3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla semiotica

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3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla semiotica
3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla
semiotica generativa
3.1. Brevi cenni bio-bibliografici
Greimas nasce nel 1917 in Lituania. Lascia la Lituania nel 1944 e si laurea a
Parigi nel 1948 con una tesi sul vocabolario della moda del 1830. Il suo primo
campo d’interesse è la lessicologia, presto abbandonata in favore della semantica. Lo
studio della semantica porta alla redazione di un libro fondamentale: Semantica
strutturale [1966]. Anche il progetto di descrivere la semantica delle lingue naturali,
tuttavia, rivela presto limiti insormontabili: per questa ragione Greimas passa
gradualmente alla messa a punto di una teoria semiotica di più ampio respiro: a
partire dal 1970 lavora al progetto che porterà all’elaborazione della cosiddetta
“semiotica generativa”: nel 1970 pubblica Del senso (saggi di semiotica); nel 1983
pubblica Del senso II, e nel frattempo, nel 1979, pubblica insieme a Joseph Courtés
il Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, dal quale risulta evidente come
l’impianto costruito da Greimas si basi su un insieme di concetti interdefiniti.
Intorno all’opera di Greimas nasce una vera e propria scuola semiotica (École de
Paris), ma va anche ricordato che la figura di Greimas è al centro di una sorta di
costellazione di autori che in varia misura hanno contribuito alla messa a punto della
teoria. Per citarne alcuni: Saussure, Hjelmslev, Benveniste, Tesnière, Brøndal,
Martinet, Merleau-Ponty, Dumézil, Lévi-Strauss, Propp, Jakobson, Barthes, ecc.
3.2. La semantica strutturale
Abbiamo detto che negli anni Sessanta gli sforzi di Greimas si concentrano
sull’elaborazione di una semantica strutturale: l’idea di fondo è che sia possibile
descrivere il piano del significato attraverso l’identificazione di unità del contenuto
(sèmi), così come la fonologia identifica unità dell’espressione (fèmi). L’obiettivo è
quello di arrivare alla descrizione completa della semantica delle lingue naturali, e
l’idea del parallelismo tra organizzazione del piano dell’espressione e
organizzazione del piano del contenuto è ripreso chiaramente da Hjelmslev e dalla
glossematica [cfr. § 2.3.1.2].
50
Secondo Greimas la relazione che sul piano dell’espressione si istituisce fra tratti
distintivi e fonemi,1 può essere fatta corrispondere sul piano del contenuto a una
relazione analoga: i tratti distintivi saranno denominati sèmi, e tali tratti andranno a
costituire i sememi. In un saggio sul discorso poetico, Greimas chiarisce i termini di
questa corrispondenza: se il primo processo analitico è quello di distinguere due
piani di un oggetto semiotico, cioè il piano dell’espressione e il piano del contenuto,
la seconda mossa è quella di ipotizzare un isomorfismo tra i due piani. Tale
isomorfismo caratterizzerebbe il livello profondo e il livello di superficie: “È noto
che la fonologia è riuscita, peraltro non senza difficoltà, a costruire i concetti di
fonema, unità astratta, indipendente dalle realizzazioni foniche al livello dei segni, e
di fèma o tratto distintivo, unità minima costitutiva del fonema. La semantica, che ha
seguito lo stesso percorso, ma con un notevole ritardo, propone a sua volta quali
nozioni corrispondenti i sememi e i sèmi.” [Greimas 1972: 138] L’isomorfismo
ipotizzato da Greimas può assumere la seguente rappresentazione schematica:
livello
profondo:
fèmi
livello di
superficie:
fonemi
Piano dell’espressione
sillabe
fonemi realizzati
Piano della manifestazione
sememi realizzati
livello di
superficie:
sememi
livello
profondo:
sèmi
enunciati
semantici
Piano del contenuto
Figura 3.1 [ibidem]
Greimas si sofferma poi sui problemi legati all’ipotesi dell’isomorfismo dei due
piani e delle loro articolazioni, ma per il momento ci interessa mettere in evidenza
l’idea di una corrispondenza tra gli elementi del piano dell’espressione, così come li
1
Cfr. supra, § 2.3.3, quando si è parlato di fonemi e di tratti distintivi a proposito della
commutazione.
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ha individuati la fonologia, e gli elementi del piano del contenuto, così come ha
intenzione di descriverli la semantica. Vediamo allora più da vicino lo statuto dei
sèmi e dei sememi.
I sèmi, in quanto tratti distintivi, non hanno altra esistenza se non relazionale e
strutturale. Il loro valore si determina sempre in una relazione binaria e tale relazione
deve essere considerata una categoria semantica. Per esempio i sèmi “maschile” e
“femminile” non vanno intesi in senso sostanziale, ma in senso esclusivamente
differenziale, poli di una categoria semantica che possiamo denominare
“sessualità”. La natura dei sèmi, dunque, è teorica e metalinguistica: i sèmi ci
servono per rendere intelligibili i valori di senso. Sebbene i sèmi vengano definiti per
il loro “carattere minimale”, occorre precisare che l’analisi semica non può portare
a un inventario finito, come avviene invece per i fèmi in ambito fonologico: “Il
carattere minimale del sèma (che, non dimentichiamolo, è un’entità costruita) è
dunque relativo e si fonda sul criterio della pertinenza della descrizione.” [Greimas
e Courtés 1979: 301]
I lessemi, invece, sono luoghi d’incontro di diversi sèmi. Per esempio il lessema
alto racchiude i sèmi “spazialità”, “dimensionalità”, “verticalità”; il lessema lungo
contiene i sèmi “spazialità”, “dimensionalità”, “orizzontalità”. Ora, analizzando i
lessemi nelle loro occorrenze concrete, ci si accorge che sono costituiti da sèmi
differenti: i sèmi nucleari, che sono costanti, e i sèmi contestuali (detti anche
classemi), che dipendono appunto dal contesto in cui si inserisce il lessema. I sèmi
nucleari individuano elementi invarianti di una unità di significazione. Greimas
[1966] analizza il lessema «testa», e trova che nelle varie occorrenze i sèmi sono i
seguenti:
a) “estremità” + “superiorità” + “verticalità”
la testa di un palo
essere alla testa della ditta
avere debiti fin sopra alla testa
b) “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “continuità”
testa di una trave
stazione di testa
c) “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “discontinuità”
vettura di testa
testa di corteo
prendere la testa
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Questo inventario mette in evidenza due tratti comuni: quello di “estremità” e
quello di “superatività” (superiorità o anteriorità), e questi tratti comuni vanno a
definire il nucleo semico del lessema testa. Ma se il nucleo semico descrive
l’insieme invariante dei sèmi, le variazioni di senso possono provenire solo dal
contesto: “in altri termini, il contesto deve comportare le variabili semiche le quali
sole possono render conto dei mutamenti di effetti di senso suscettibili di venir
registrati.” [ibid.: 71] Per cui al nucleo semico si aggiungeranno i sèmi contestuali,
o classemi, che produrranno particolari effetti di senso: per esempio spaccare la
testa, rompersi la testa, testa di morto, ecc. Pertanto i sèmi contestuali determinano
le accezioni particolari di un termine.
A questo punto possiamo definire il semema. Il semema è la somma di un nucleo
semico (invariante) e di sèmi contestuali (effetti di senso). Il semema, di fatto, è un
effetto di senso, e viene rappresentato da Greimas [1966] in questo modo:
Sm = Ns + Cs
Abbiamo dunque un nucleo semico la cui combinazione con i semi contestuali
provoca degli effetti di senso (sememi). Per esempio, se consideriamo il lessema
testa nella frase «prendere la testa di un corteo», ai sèmi nucleari “estremità” e
“superatività” dobbiamo aggiungere i sèmi contestuali “anteriorità” e
“discontinuità”.
Per contro il lessema è un modello virtuale che sussume l’intero funzionamento
di una figura di significazione: tale modello virtuale è – si badi bene – anteriore a
qualsiasi formulazione del discorso, il quale, dal proprio conto, può produrre solo
sememi particolari. Il lessema dunque “appare come un insieme di possibili
percorsi discorsivi, che, partendo da un nucleo comune, sfociano ogni volta, grazie
all’incontro di sèmi contestuali differenti, in altrettante realizzazioni sotto forma di
sememi.” [Greimas e Courtés 1979: 190] Il lessema va dunque pensato come un
modello virtuale della significazione che si realizza sotto forma di sememi.
3.3. Il progetto semiotico
Nella seconda fase della riflessione semiotica greimasiana si delinea un progetto
teorico di vasta portata, il cui esito complessivo va sotto il nome di Percorso
Generativo. Di seguito vediamo brevemente quattro presupposti di questo progetto:
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
la centralità del livello immanente
il passaggio dai segni ai testi
il “mondo naturale” come linguaggio
la vocazione scientifica della semiotica
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(i) La centralità del livello immanente
Negli anni Sessanta, all’epoca di Semantica strutturale, l’idea di Greimas è
dunque quella di lavorare sul piano del contenuto così come si era già lavorato, con
successo, sul piano dell’espressione. Tuttavia i limiti di questo progetto appaiono
subito evidenti: per quanto alcuni sèmi si presentino come effettivamente
fondamentali, risulta impossibile trovare inventari limitati di sèmi per descrivere la
semantica del linguaggio naturale. Se non è possibile costruire tassonomie di tratti
minimi sul piano del contenuto, Greimas pensa di battere un’altra strada tentando di
individuare una struttura che accomuni tutti gli universi semantici: questa struttura
però non si troverebbe nel livello manifesto dei segni, bensì in un livello più
profondo. L’idea è che al livello profondo si possano reperire strutture semantiche
molto generali in grado di generare i segni così come vengono manifestati.
È evidente dunque come il progetto semiotico di Greimas si basi sulla
distinzione, già centrale in Hjelmslev, tra immanenza e manifestazione. Se è vero che
il dato immediato che ci si pone di fronte, cioè un testo realizzato (un oggetto
materiale), è il livello della manifestazione, è anche vero che l’oggetto di studio della
semiotica, secondo Greimas, deve essere la forma (hjelmsleviana), o la langue
(saussuriana). La manifestazione presuppone logicamente una forma semiotica
immanente, sia a livello di espressione sia a livello di contenuto, ed è a quel livello
che la semiotica deve lavorare. In termini hjelmsleviani, il livello immanente è quello
della forma, al quale sono riconducibili gli assi del linguaggio (processo e sistema):
quando, parlando del processo, Hjelmslev precisava che è fondamentale l’ordine
posizionale degli elementi (proprietà interna), si situava con precisione al livello
immanente, prima delle possibili manifestazioni temporali e spaziali [cfr. supra, §
2.3.2]. Occuparsi del livello immanente, secondo Greimas, significa porre
l’attenzione sui sistemi soggiacenti che permettono ai segni di significare.
(ii) Dai segni ai testi
A questa prima mossa, che ricolloca lo studio della semantica nel livello
immanente dei segni, Greimas aggiunge una seconda mossa: anziché occuparsi di
segni isolati, bisogna porre l’attenzione sui sistemi semiotici. Il che vale a dire che
per descrivere il piano del contenuto (la semantica) occorre passare dai segni
(termini isolati) ai testi, cioè a oggetti di taglio superiore. Il passaggio è determinante
perché con Saussure si era parlato solo di segni linguistici, con Hjelmslev si era
cominciato a ragionare sulle frasi, ma ora si passa dal frastico al transfrastico, cioè si
supera il taglio della frase e si passa, appunto, a considerare ampie porzioni testuali.
Questo slittamento peraltro rende conto della prospettiva specificamente semiotica di
questo approccio: la nozione di testo, molto più della nozione di segno, aiuta a
passare da una semantica del linguaggio naturale a una semantica dei linguaggi.
Non dobbiamo più ricercare il significato di una parola, o di una forma, o di una
nota, ma cerchiamo di descrivere il significato di un racconto, di un quadro (preso
nel suo insieme), di una partitura, di una conversazione.
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(iii) Il “mondo naturale” come linguaggio
Al primo livello, quello dell’oggetto semiotico da analizzare, si situa anche il
“mondo naturale”, che secondo Greimas deve essere inteso a tutti gli effetti come
un linguaggio: “Pur ammettendo il carattere privilegiato della semiotica delle lingue
naturali – dato che queste hanno la proprietà di ricevere le traduzioni delle altre
semiotiche –, dobbiamo tuttavia postulare l’esistenza e la possibilità di una semiotica
del mondo naturale e concepire la relazione fra i segni e i sistemi linguistici
(‘naturali’), da un lato, e i segni e i sistemi di significazione del mondo naturale,
dall’altro, non tanto come una referenza del simbolico al naturale, del variabile
all’invariabile, quanto invece come un reticolo di correlazioni fra due livelli di realtà
significante.” [Greimas 1970: 52] Questa posizione esclude una visione
referenzialistica del linguaggio, nel senso che rifiuta l’idea che le lingue si applicano
in modo speculare a porzioni del reale. Piuttosto ci sarebbe una correlazione fra
diversi sistemi linguistici, cioè tra diversi sistemi di significazione. Seguiamo nel
dettaglio la definizione dizionariale di “mondo naturale”:
Intendiamo con mondo naturale l’apparenza secondo la quale l’universo si
presenta all’uomo come un insieme di qualità sensibili, dotato di una
determinata organizzazione che lo fa talvolta designare come il “mondo del
senso comune”. Rispetto alla struttura “profonda” dell’universo, che è di
ordine fisico, chimico, biologico, ecc., il mondo naturale corrisponde, per così
dire, alla sua struttura “di superficie”; ma è, d’altro canto, una struttura
“discorsiva”, poiché si presenta nell’ambito della relazione soggetto/oggetto,
come l’“enunciato” costruito dal soggetto umano e da lui decifrabile.
[Greimas e Courtés 1979: 218]
L’ipotesi del mondo naturale come linguaggio dà una prospettiva nuova alla
questione del referente. Se le semantiche logico-filosofiche sostengono che il
significato di una parola è il suo referente (cioè l’oggetto “reale” a cui si riferisce),
e il significato di un enunciato consiste nel criterio di verità,2 la teoria semiotica di
Greimas considera il mondo esterno come un mondo significante fatto di “natura”
e di “cultura”, non già come un referente neutro con il quale la lingua costruirebbe
dei legami. Il mondo naturale in questa prospettiva è dunque fortemente
culturalizzato.
(iv) La vocazione scientifica della semiotica
Il progetto semiotico di Greimas eredita dalla linea teorica Saussure-Hjelmslev
una vocazione scientifica: tale visione si esplica nella definizione di semiotica come
gerarchia di metalinguaggi. L’ipotesi di vari livelli semiotici che si presuppongono
in un ordine gerarchico vede al primo livello la lingua-oggetto che deve essere
2
Per una esposizione esaustiva dei presupposti che caratterizzano le semantiche logico-filosofiche,
cfr. Violi [1997: 13-30]; opp. infra, § 8.1.
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analizzata. Al secondo livello si dispongono gli strumenti descrittivi della semiotica,
e abbiamo quindi un metalinguaggio descrittivo. È proprio a questo punto che
Greimas pone il problema della scientificità. Il metalinguaggio del secondo livello
può essere non-scientifico, nel caso sia “naturale” come la lingua-oggetto che si
incarica di descrivere. Il linguaggio della critica pittorica, per esempio, è non
scientifico nella misura in cui si presenta come sottoinsieme di una lingua naturale
(per es. quella italiana o quella francese). Il metalinguaggio, al contrario, è scientifico
se è costruito, cioè se tutti i termini che lo compongono costituiscono un corpus
coerente di definizioni.3 Perché si verifichi una situazione di questo tipo, è
necessario quindi che si ponga al terzo livello un linguaggio metodologico destinato
a definire le categorie descrittive e a verificarne la coesione interna. Tuttavia tale
sistema di incassamento, per dirla con Greimas, deve essere “quaternario”, nel
senso che deve esserci un quarto livello in cui si discute la validità delle modalità –
per esempio dell’induzione e della deduzione –, e in cui si rivedono condizioni di
validità della descrizione semiotica così come è stata attuata nei livelli precedenti.
Quest’ultimo livello è costituito dal cosiddetto linguaggio epistemologico.4
3.4. Il percorso generativo
Lavorando sul livello immanente, Greimas pensa a un sistema semantico
organizzato per livelli di profondità, e tra questi livelli pone un meccanismo di
generatività: si tratta insomma di pensare a elementi più profondi in grado di
generare elementi più superficiali secondo regole di conversione.
In questi termini la teoria greimasiana è definibile come una teoria della
generazione del senso: al livello più profondo si situano elementi di tipo logicosemantico che si convertono in piani semantico-sintattici più superficiali, per poi
passare, attraverso i meccanismi dell’enunciazione, al livello discorsivo: il tutto in
vista della manifestazione al momento della semiosi.
Questo quadro complesso è riassunto schematicamente nel Percorso Generativo:
3
La nozione di scientificità così come è esposta in Greimas [1966] è ripresa da Hjelmslev [1943],
il quale prevede un complesso sistema di semiotiche e di meta-semiotiche che si presuppongono e
si controllano.
4
Vedremo in seguito [cfr. infra, § 9.1.] che questa gerarchia di livelli si pone, secondo Fabbri
[1998], alla base della scientificità della semiotica. In quella sede Fabbri mostra le anomalie della
prassi semiotica qualora le connessioni tra i livelli non funzionassero: in quel caso Fabbri parla di
“anelli mancanti”.
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Percorso generativo
Componente
Sintattica
Strutture
semionarrative
Componente
Semantica
livello
profondo
SINTASSI
FONDAMENTALE
livello di
superficie
SINTASSI NARRATIVA SEMANTICA
SUPERFICIALE
NARRATIVA
Strutture
discorsive
SEMANTICA
FONDAMENTALE
SINTASSI
DISCORSIVA
SEMANTICA
DISCORSIVA
Discorsivizzazione
Tematizzazione
attorializzazione
temporalizzazione
spazializzazione
Figurativizzazione
Figura 3.2 [Greimas e Courtés 1979: 159]
3.4.1. Strutture semio-narrative: il livello profondo
Al livello più profondo delle strutture semionarrative si situa il quadrato
semiotico, che costituisce la struttura elementare della significazione. Il quadrato
semiotico è lo schema generale delle articolazioni possibili di una categoria
semantica. Il sèma “maschile”, che abbiamo preso prima come esempio, può essere
identificato rispetto a due posizioni: da una parte rispetto al suo contrario
(“femminile”), dall’altro rispetto alla sua negazione (“non maschile”):
“Sessualità”
“maschile”
“femminile”
“non maschile”
Figura 3.3 [Marsciani e Zinna 1991: 46]
57
La forma completa del quadrato semiotico, interamente sviluppato, è la seguente:
S1
non S2
S
NON-S
S2
non S1
Figura 3.4
L’opposizione orizzontale è detta di contrarietà, mentre l’opposizione sulla
diagonale è detta di contraddittorietà. Ecco un esempio con lo sviluppo completo
della categoria /sessualità/:
“Uomo”
“Donna”
“Ermafrodita”
‘sessualità’
‘maschile’
‘femminile’
‘non-femminile’
‘non-maschile’
‘non-sessualità’
“Angelo”
Figura 3.5 [Marsciani e Zinna 1991: 49]
La categoria /sessualità/ si articola nei sèmi “maschile” e “femminile”
(contrari), “non-maschile” e “non-femminile” (contraddittori rispetto ai primi
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due); la categoria si oppone altresì alla sua assenza “non-sessualità”. Nella parte
esterna sono indicati alcuni sememi che possono farsi carico della manifestazione
dei singoli sèmi (“uomo”, “donna”, ecc.).
In quanto struttura che rende conto dell’organizzazione profonda di una
categoria semantica, il quadrato semiotico porta alle estreme conseguenze il concetto
saussuriano di valore,5 secondo il quale un segno può darsi solo su base oppositiva:
il quadrato è di fatto una struttura differenziale, un quadro formale per la
comprensione del funzionamento di una categoria semantica. Tra gli esempi forniti
dallo stesso Greimas, c’è lo sviluppo in forma di quadrato della categoria delle
ingiunzioni:
ingiunzioni
prescrizioni
interdizioni
non-interdizioni
non-prescrizioni
non-ingiunzioni
Figura 3.6 [Greimas 1970: 149]
Nei semafori, dice Greimas, il verde significa prescrizione, il rosso interdizione (il
transito è vietato), il giallo può significare non-prescrizione (quando succede al
verde), o non-interdizione (quando succede al rosso), o anche non-ingiunzioni
(quando lampeggia da solo).
Il quadrato delle ingiunzioni può essere investito dal punto di vista del contenuto
considerando le relazioni sessuali di un gruppo umano dal punto di vista semiotico.
Partendo dall’opposizione Cultura vs Natura, dove la Cultura racchiude le relazioni
permesse mentre la Natura racchiude le relazioni che una società esclude, i termini
del quadrato semiotico diventano i seguenti:
5
Cfr. supra, § 1.8.1.
59
Relazioni permesse
(Cultura)
Relazioni matrimoniali
(prescritte)
Relazioni “normali”
(non interdette)
Relazioni escluse
(Natura)
Relazioni “anormali”
(interdette)
Relazioni non matrimoniali
(non prescritte)
Figura 3.7 [Greimas 1970: 151]
Come si può vedere, il quadrato organizza un universo concettuale e
l’organizzazione dipende dalle codificazioni sociali. Se è evidente, infatti, che le
relazioni matrimoniali sono quelle prescritte, più problematiche sembrano le
relazioni “anormali”, all’interno delle quali possiamo mettere con sicurezza
l’incesto, ma con maggiori oscillazioni l’omosessualità (sappiamo che alcune
società giudicano anormale l’omosessualità, mentre altre la giudicano normale, cioè
non interdetta). Ancora, alcune società giudicano “normale” l’adulterio dell’uomo e
non-prescritto l’adulterio della donna.
Ora, il modello rappresentato dal quadrato è semantico (semantica
fondamentale), in quanto struttura una categoria semantica e rende conto
dell’articolazione del senso all’interno di un micro-universo di significato (da
questo punto di vista è dunque una descrizione tassonomica). È invece un modello
sintattico (sintassi fondamentale) in quanto consente operazioni: la sintassi infatti
opera delle trasformazioni in base alle quali un contenuto è affermato e un altro è
negato. Così se da un lato abbiamo una sorta di tassonomia semica (visione statica
del quadrato), dall’altro abbiamo le operazioni che un soggetto semiotico può fare
su queste posizioni virtuali (visione dinamica del quadrato): negare S 1 significa
generare il suo contraddittorio non-S1; affermare non-S1 può portare ad affermare
S 2 sulla base di una implicazione particolare. Dal punto di vista dinamico
(sintattico), il quadrato è dunque in grado di prevedere dei percorsi e delinea le
condizioni embrionali della narratività.
60
Nell’elaborazione del quadrato semiotico come articolazione profonda della
semantica, Greimas prende ispirazione da alcuni studi di Lévi-Strauss [1958]. Da una
prospettiva strutturale che si caratterizza per la ricerca di costanti, Lévi-Strauss
analizza alcuni miti e trova che essi si riproducono con gli stessi caratteri nelle diverse
regioni del mondo. In particolare Lévi-Strauss si sofferma sui miti tebani (nello
specifico su quello di Edipo), e ipotizza che tali racconti mettano in relazione due
diverse concezioni dell’origine dell’uomo, che evidentemente coesistevano a quel
tempo presso i greci: secondo la prima concezione gli esseri umani spuntarono dalla
terra (origine ctonia); in base alla seconda concezione nacquero da progenitori
umani. Rileggendo alla luce di questa coesistenza alcuni miti, Lévi-Strauss costruisce
uno schema in cui prova a mettere in correlazione un serie sintagmatica con una
paradigmatica:
Cadmo cerca sua
sorella Europa, rapita da Zeus
Cadmo uccide il
drago
Gli Sparti si sterminano vicendevolmente
Edipo uccide suo
padre Laio
Edipo sposa Giocasta, sua madre
Eteocle uccide suo
fratello Polinice
Antigone seppellisce Polinice, suo
fratello, violando il
divieto
Labdaco (padre di
Laio) = «zoppo»
Laio (padre di EEdipo immola la dipo) = «sbilenco»
sfinge
Edipo = «piede
gonfio»
Figura 3.8 [Lévi-Strauss 1958: 240]
La serie sintagmatica manifesta le sequenze dei miti, mentre la serie paradigmatica
raggruppa nelle stesse colonne verticali avvenimenti analoghi. Nella prima colonna i
miti tebani presentano casi in cui i rapporti familiari vengono “sopravvalutati”
(Edipo sposa sua madre Giocasta, Antigone sfida la morte e seppellisce suo fratello
Polinice); nella seconda colonna ci sono invece i casi in cui i rapporti di parentela
vengono “sottovalutati” (Edipo uccide suo padre, Eteocle uccide suo fratello, ecc.).
Secondo Lévi-Strauss questi miti affermerebbero e negherebbero l’origine parentale
dell’uomo.
La terza colonna riguarda i mostri e la loro distruzione (Edipo annienta la Sfinge,
Cadmo uccide il drago): simbolicamente vi si potrebbe leggere la negazione
dell’origine dell’uomo dalla terra. Ma dalla quarta colonna si evince che una serie di
personaggi mitici si caratterizzano per la loro zoppia, e questo confermerebbe
l’origine ctonia dell’uomo, indicando la condizione imperfetta dell’uomo emerso
dalla terra. Dice Lévi-Strauss: “Quale significato finisce dunque con l’avere il mito di
Edipo così interpretato «all’americana»? Esso esprimerebbe l’impossibilità, in cui si
61
trova una società che professa di credere all’autoctonia dell’uomo […], di passare da
questa teoria al riconoscimento del fatto che ciascuno di noi è realmente nato
dall’unione di un uomo e di una donna. La difficoltà è insuperabile.” [ibid.: 242] Ne
consegue che il mito non risolve la contraddizione che si genera dalle due concezioni
sull’origine dell’uomo, ma le fa convivere mettendo in un rapporto di analogia due
contraddizioni: “la sopravvalutazione della parentela di sangue sta alla
sottovalutazione di quest’ultima, come lo sforzo di sfuggire all’autoctonia sta
all’impossibilità di riuscirci.” [ibidem]
L’ipotesi di Lévi-Strauss è che i miti si basino su contraddizioni soggiacenti e che
le narrazioni mitiche servirebbero proprio a “sanare” queste contraddizioni. In altri
termini, sono proprio queste contraddizioni a generare le narrazioni, i personaggi, le
azioni, i drammi. Insomma, se la logica esclude le contraddizioni, l’antropologia e la
semiotica sostengono che i contrari possono coesistere, e che anzi proprio questa
coesistenza sarebbe alla base delle narrazioni. Greimas riprende questa idea delle
polarità soggiacenti e pensa di svilupparla nell’articolazione logica del quadrato, che
va a porsi al livello più profondo della semantica.
3.4.2. Strutture semio-narrative: il livello di superficie
Il primo meccanismo di conversione, quello che rende conto del passaggio dal
livello profondo al livello di superficie delle strutture semionarrative [cfr. il Percorso
Generativo, Figura 3.2], consiste nel passaggio dall’astrazione del quadrato a una
narratività antropomorfizzata. In altri termini: le relazioni logico-semantiche del
quadrato e le possibili operazioni sintattiche di affermazione/negazione di valori si
traducono ora in azioni e volizioni di soggetti. I valori virtuali del quadrato vengono
investiti in oggetti (oggetti di valore) che possono trovarsi in congiunzione o in
disgiunzione con i soggetti: di qui le dinamiche narrative per rendere conto di queste
trasformazioni. La narratività è dunque la sequenza ordinata di situazioni e di azioni:
è la versione “umanizzata” di quello che succedeva con il quadrato a livello
profondo. Mentre lì c’erano solo delle articolazioni semiche, ora quelle articolazioni
diventano valori, intervengono dei soggetti che vogliono fare delle cose, trasformare
delle situazioni, ecc.
È bene sottolineare fin da ora che questa è una delle idee più importanti di
Greimas: il senso può essere colto solo attraverso la sua narrativizzazione. Se si
accetta l’ipotesi che qualsiasi discorso è organizzato in forma narrativa, la
componente narrativa diventa un universale del piano del contenuto dei linguaggi; la
narratività diventa il principio organizzatore di qualsiasi tipo di discorso, dai discorsi
figurativi (cioè narrativi in senso stretto), ai discorsi scientifici o filosofici. Così dalle
differenze valoriali del quadrato si passa al confronto-scontro tra soggetti e oggetti
con un progressivo incremento di senso. Per questa ragione Greimas ritiene
fondamentale la descrizione della grammatica narrativa di superficie, e in questo
prende molta ispirazione da Propp, il quale aveva prodotto un importante lavoro di
analisi della fiaba russa.
62
Vladimir Propp (1895-1970), folklorista russo, nel 1928 pubblica Morfologia
della fiaba, un lavoro per molti versi pionieristico in cui analizza un corpus di alcune
centinaia di fiabe russe di magia alla ricerca di schemi narrativi costanti. Propp si
accorge che al di là delle varianti superficiali, le fiabe di magia manifestano funzioni
narrative sempre uguali: e quindi, se i personaggi e le situazioni sono numerosissime,
le funzioni narrative sono invece assai limitate (Propp ne individua trentuno).
Proviamo a vedere le funzioni principali che si ripetono pressoché uguali nel corpus
analizzato da Propp:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Uno dei membri della famiglia si allontana dalla casa (allontanamento);
All’eroe viene fatta una proibizione (proibizione);
La proibizione viene violata (violazione);
Il cattivo tenta di eseguire una investigazione (investigazione);
Al cattivo vengono date notizie sulla vittima (delazione);
Il cattivo tenta di ingannare la sua vittima per impossessarsene o per
impadronirsi dei suoi beni (perfidia);
7. La vittima cade nel tranello e aiuta involontariamente il nemico (complicità);
8. Il cattivo arreca un danno o una lesione a uno dei membri della famiglia
(danneggiamento);
8a A uno dei membri della famiglia manca qualcosa; egli desidera avere
qualcosa (mancanza);
9. Si verifica la sciagura o la mancanza; l’eroe riceve un ordine o un invito, viene
inviato o lasciato andare (mediazione);
10. Il ricercatore acconsente o decide di reagire (reazione incipiente);
11. L’eroe abbandona la casa (partenza);
12. L’eroe viene messo alla prova (prima funzione del donatore);
13. L’eroe reagisce alle azioni del futuro donatore (reazione dell’eroe);
14. L’eroe riesce a entrare in possesso del mezzo magico (ottenimento del mezzo
magico);
15. L’eroe si dirige, raggiunge o viene portato sul luogo in cui si trova
l’oggetto della sua ricerca (trasferimento spaziale tra due regni);
16. L’eroe e il cattivo si battono in uno scontro diretto (lotta);
17. Imprimono un marchio all’eroe (marchiatura);
18. Il cattivo è vinto (vittoria);
19. Viene posto riparo alla sciagura iniziale o viene eliminata la mancanza iniziale
(rimozione della sciagura o della mancanza);
20. L’eroe ritorna (ritorno);
21. L’eroe viene perseguitato (persecuzione);
22. L’eroe scampa alla persecuzione (salvezza);
23. L’eroe, non riconosciuto, arriva a casa o in un altro paese (arrivo in incognito);
24. Il falso eroe avanza pretese infondate (pretese infondate);
25. All’eroe viene affidato un difficile compito (compito difficile);
26. Il compito è assolto (soluzione);
27. L’eroe è riconosciuto (riconoscimento);
28. Il falso eroe o il cattivo è smascherato (smascheramento);
29. L’eroe assume un nuovo aspetto (trasfigurazione);
30. Il cattivo è punito (punizione del falso eroe);
31. L’eroe si sposa e viene proclamato re (matrimonio).
63
Nelle fiabe non sono presenti sempre tutte le funzioni, ma le sequenze vengono
rispettate e questo schema funziona assai bene come impianto di base per rendere
conto delle azioni standard di quei racconti. Al di là dei suoi esiti immediati, la ricerca
di Propp è stata una grande lezione di metodo che pone le basi per l’analisi strutturale
dei racconti.
Gli strumenti della narratologia proppiana diventano così le basi per la
costruzione del livello semio-narrativo (cfr. il Percorso Generativo, Figura 3.2). Alla
base della grammatica narrativa di superficie si dispongono gli attanti narrativi: gli
attanti sono tipi narrativi molto generali e astratti, che non vanno confusi con i
personaggi della narrazione. Greimas descrive un modello attanziale di questo tipo:
Destinante Æ
Aiutante
Æ
Oggetto
↑
Soggetto
Æ
Destinatario
¨
Opponente
Figura 3.9
La prima azione, secondo la semiotica narrativa di Greimas, consiste in una sorta
di contratto: un Destinante trasmette qualcosa a un Destinatario, per esempio il
mandato a compiere una certa azione. Il Destinante, pertanto, è colui che desidera lo
svolgimento di una certa azione, e alla fine è colui che ne certifica il successo con la
sanzione. Occorre precisare fin da subito che spesso i due ruoli sono ricoperti nei
racconti dallo stesso personaggio.
Tra Destinante e Destinatario c’è sempre in gioco un Oggetto, concreto o astratto
che sia. L’Oggetto è anzitutto in relazione con un Soggetto per cui esso ha valore e
che si batte per ottenerlo. Anche Destinatario e Soggetto sono spesso rappresentati
da uno stesso personaggio. Quindi in genere all’inizio dei racconti un DestinatarioSoggetto si impegna a realizzare il volere del Destinante attraverso delle prove
(contratto), e il Destinante si impegna a sua volta a retribuire il Destinatario-Soggetto
con una sanzione positiva o negativa sulla base di un giudizio sul suo operato.
Di solito l’impresa del Soggetto è contornata da circostanze favorevoli e/o
sfavorevoli: in termini attanziali queste si traducono in aiutanti (animati o inanimati)
e opponenti (anch’essi animati o animati: cioè persone che ostacolano l’azione,
oppure ostacoli ambientali, meteorologici, ecc.). In una campagna elettorale un
politico, in quanto Soggetto, prefigura un’impresa: quella di ottenere determinati
risultati (Oggetto). Per il raggiungimento di questo scopo un politico può riferirsi a
diversi mandanti (Destinanti): di solito si dichiara che siano gli elettori, ma per una
64
serie di valori specifici il mandante può essere anche, per esempio, la Chiesa. Da
questo punto di vista è evidente che tra il Soggetto e il Destinante si stipula un
contratto, e che il destinante alla fine del mandato elettorale potrà giudicare l’operato
del Soggetto. Durante l’impresa il Soggetto-politico potrà avere degli aiutanti (la
stampa, la congiuntura economica, gli intellettuali, ecc.), o degli opponenti (critiche
autorevoli, attacchi personali, ecc.).
I ruoli attanziali, che si collocano nelle strutture semio-narrative di superficie,
vengono ricoperti nel discorso dagli attori6 . Le possibilità previste da Greimas sono
le seguenti:
1):
2):
3):
A1
A1 A2 A3
A1
a1
a1
a1 a2 a3
Figura 3.10 [Greimas 1983: 45]
Tra l’attante e l’attore ci può essere un rapporto univoco (caso 1: l’attante del
Destinante viene personificato dal re); oppure un attore può rappresentare un
sincretismo di più attanti (caso 2: il re parte egli stesso per recuperare la
principessa); oppure ancora una posizione attanziale può essere ricoperta da più
attori (caso 3: tre eroi vanno alla ricerca della principessa scomparsa).
Oltre a ricoprire un ruolo attanziale, un attore “incarna” un ruolo tematico: il
ricco, il potente, il prigioniero, ecc: “Un testo narrativo è una macchina che
trasforma i ruoli tematici degli attori, facendoli passare da poveri a ricchi, da
prigionieri a uomini liberi, da straccioni a re. Altrettanto spesso, insieme ai ruoli
tematici, il testo mette in scena la trasformazione dei ruoli patemici, mutando i
personaggi da tristi a gioiosi, da calmi a ansiosi, da indifferenti a appassionati.”
[Marsciani e Zinna 1991: 75]
Conviene ricordare che stiamo sintetizzando il tentativo di Greimas di delineare
una grammatica elementare della narratività. Siamo cioè alla ricerca di una serie di
elementi ricorsivi che caratterizzano i racconti. Da questo punto di vista numerosi
esempi ci vengono offerti dalle soap opera, generi televisivi strutturalmente ripetitivi,
nel senso che si basano su schemi narrativi altamente standardizzati. Per esempio
molte soap, proprio per prevedere lunghe e faticose trasformazioni dei ruoli tematici,
mettono in scena di solito due famiglie, una di estrazione sociale bassa e una di
estrazione molto alta. Quasi sempre c’è un Soggetto che si pone come scopo (quindi
abbiamo un sincretismo tra Destinante e Soggetto) quello di trasformare il suo ruolo
tematico, passando da una condizione disagiata a una evidentemente molto più agiata.
6
Per il livello discorsivo cfr. infra, § 3.4.3. Ora anticipiamo il discorso sugli attori al solo scopo
di evitare confusione tra gli attanti, che indicano ruoli generali, e gli attori, che intervengono nelle
strutture discorsive.
65
Per operare questa trasformazione, il Soggetto deve entrare in congiunzione con un
Oggetto (di solito occorre sposare il rampollo della famiglia ricca), ma è chiaro che
l’impresa avrà innumerevoli ostacoli, grazie all’intervento di opponenti che dilatano il
raggiungimento dell’oggetto. Va da sé che la dilatazione del racconto passa attraverso
continue trasformazioni patemiche in cui gli attori sono gioiosi, furibondi, allegri,
appassionati, ecc.
I due ruoli attanziali fondamentali, quelli del Soggetto e dell’Oggetto, si
interdefiniscono reciprocamente: il Soggetto è tale solo nella relazione con
l’Oggetto. Per comprendere questa interdefinizione, bisogna ricorrere alla categoria
di valore: “il soggetto si congiunge con un oggetto dotato di valore, con un oggettovalore, un oggetto in cui si investe il valore semantico e narrativo che instaura il
soggetto stesso come soggetto narrativo.” [Marsciani e Zinna 1991: 77]
Per spiegare meglio le possibili valorizzazioni di un oggetto Greimas ricorre
all’esempio dell’automobile: l’oggetto può essere acquistato in virtù di diverse
possibili valorizzazioni, dalla rapidità degli spostamenti alla comodità, dal prestigio
sociale al senso di potere. È importante capire questo sganciamento valoriale rispetto
agli oggetti: sono anzitutto i valori a circolare e a determinare le dinamiche narrative,
mentre il ruolo giocato dagli oggetti è, in definitiva, marginale.
In un saggio diventato celebre Floch [1990], riflettendo sul modo in cui
l’oggetto-macchina viene valorizzato negli spot pubblicitari, individua quattro tipi di
valorizzazione:
• la valorizzazione pratica, che corrisponde a valori “utilitari” come la
maneggevolezza, il confort, la robustezza. L’oggetto viene presentato in
quanto strumento: Floch riporta l’esempio di un annuncio Volvo in cui si
insiste sulla sicurezza che la vettura offre a chi viaggia al suo interno. Nel caso
in questione chi siede nel sedile posteriore è una bambina, e quindi è in gioco
la protezione del futuro dei figli;
• la valorizzazione utopica, contraria a quella pratica, che comprende valori
“esistenziali” come l’identità, la vita, l’avventura. L’attenzione qui non è
posta tanto sull’oggetto quanto sul soggetto che, congiungendosi con
l’oggetto-macchina, intende realizzare la propria identità. Il visual di un
annuncio Volkswagen preso a esempio da Floch recita: “Le vent de
l’aventure”, dove il desiderio di avventura del destinatario prevale su qualsiasi
altra caratteristica dell’oggetto pubblicizzato;
• la valorizzazione ludica, che corrisponde alla negazione dei valori utilitari e
comprende il lusso, la gratuità, la raffinatezza, la “follia”, ecc. In questo
caso si considera l’oggetto a prescindere dalla sua funzionalità ma per il
piacere che procura. L’annuncio BMW riportato da Floch recita: “Conduire
sans motif apparent”, indicando che la conduzione della macchina può
avvenire per puro piacere, senza un motivo preciso;
• la valorizzazione critica, che corrisponde alla negazione dei valori
“esistenziali” e comprende, per esempio, i rapporti qualità/prezzo,
innovazione/costo, ecc. L’oggetto viene scelto per la sua convenienza
economica: l’annuncio Wolkswagen scelto da Floch mostra un personaggio
intento a usare la pompa di benzina per suicidarsi: la soluzione suggerita
66
implicitamente è quella di usare la macchina pubblicizzata, che evidentemente
ha un consumo accettabile.
Tali valorizzazioni vengono proiettate sul quadrato semiotico nel modo seguente:
maneggevolezza
confort
affidabilità
costi/benefici
qualità/prezzo
valorizzazione
pratica
valorizzazione
utopica
valori
“utilitari”
valori
“esistenziali”
valori
“non esistenziali”
valori
“non utilitari”
valorizzazione
critica
valorizzazione
ludica
vita
identità
cultura
gratuità
raffinatezza
Figura 3.11 [Floch 1990: 176]
Gli esempi riportati da Floch mettono bene in evidenza come l’oggetto-macchina
in sé sia marginale, ma diventi appetibile nel momento in cui viene investito di una
qualche valorizzazione.7
Gli oggetti valorizzati costituiscono dunque un incremento di senso rispetto al
quadrato semiotico, e vanno a costituire l’area della semantica narrativa [cfr. il
Percorso Generativo, Figura 3.2]: diventano così gli elementi che “scatenano” la
sintassi narrativa, e infatti il Soggetto tende verso il valore che per lui è investito in
un Oggetto. È in questa ricerca, in questa tensione, che consiste l’organizzazione
canonica degli enunciati narrativi. La grammatica narrativa prevede due tipi di
enunciati molto generali: gli enunciati di stato e gli enunciati del fare.
Gli enunciati di stato stabiliscono una relazione di giunzione tra un attante
Soggetto e un attante Oggetto. Le possibilità sono quindi le seguenti:
S«O
S»O
7
il Soggetto è congiunto con l’Oggetto
il Soggetto è disgiunto dall’Oggetto
Il quadrato delle valorizzazioni, secondo Floch, è efficace nella misura in cui può dare luoghi a
percorsi, cioè a una sintassi narrativa: con l’analisi dello spot della Citröen BX Floch mette in
evidenza il passaggio da una valorizzazione pratica (efficienza) a una valorizzazione ludica (la
“follia” di un tuffo in mare con la macchina), a una valorizzazione utopica (la macchina rappresenta
uno stile di vita). Sull’efficacia del quadrato di Floch, cfr. Marrone [2001: 184-187].
67
È importante ribadire “che l’oggetto di cui si sta parlando può essere concreto
(per esempio un personaggio di una narrazione che sia ricco è in congiunzione col
suo denaro: S1 « Oricchezza) ma anche astratto: un personaggio infelice può essere
descritto come disgiunto dalla felicità che, per esempio, aveva in precedenza:
S2»Ofelicità. L’oggetto è individuato dal testo, e la sua caratteristica essenziale è di
aver valore per il soggetto. Di conseguenza, si può dire che nell’ambito degli
enunciati di stato oggetto e soggetto si individuino a vicenda. Il soggetto è colui per
cui l’oggetto ha valore; l’oggetto è ciò che importa al soggetto.” [Volli 2000: 121]
La narrazione, secondo Greimas, non è altro che una trasformazione di stati: si
passa da stati di congiunzione a stati di disgiunzione e viceversa. La trasformazione
opera infatti sulla relazione di giunzione tra Soggetto e Oggetto. Entriamo così negli
enunciati del fare, dove un Soggetto tende a provocare la congiunzione o la
disgiunzione di un Soggetto (che può essere se stesso o un altro) da un Oggetto.
Ecco le due possibilità:
S1 Æ (S2«O)
S1 Æ (S2»O)
trasformazione congiuntiva
trasformazione disgiuntiva
dove:
S1 = soggetto del fare
S2 = soggetto di stato
“È intuitivo interpretare il primo caso riportato qui sopra per esempio come un
dono (S1 regala O a S2) e il secondo come un furto (S1 toglie O a S2). Ma in questa
maniera si possono schematizzare rapporti molto più complessi, come uno scambio
[S1Æ(S2«O) e S2Æ(S1«O)] oppure il procurarsi ciò che si vuole [S1Æ(S1«O)]
o ancora, l’abbandonare qualcuno [S1Æ(S2»S1)].” [ibidem]
Fin qui la semiotica narrativa di Greimas si preoccupa di ampliare e approfondire
l’ossatura narratologica messa a punto da Propp e da Lévi-Strauss. Ma un tale
sistema, per quanto articolato nelle sue varie parti, ha dei limiti evidenti: infatti può
essere applicato a testi che si basano su azioni ben chiare, dove siano reperibili stati
di congiunzione e di disgiunzione; ma cosa dire di quei testi complessi in cui al
centro dell’attenzione non vi sono le azioni dei personaggi ma, per esempio, conflitti
interiori, riflessioni, stati cognitivi? Per dirla in altri termini: una grammatica narrativa
di superficie pensata in questi termini servirebbe a capire meglio l’articolazione di
una fiaba e forse de I promessi sposi, ma potrebbe poco di fronte all’Ulisse di
Joyce o alla Ricerca del tempo perduto di Proust. Ma anche nel caso di testi non
letterari (conversazioni, comizi, ecc.), appare evidente che l’interesse non può essere
circoscritto alle azioni e alle trasformazioni narrative, essendo fondamentale ciò che
fa agire e trasformare le situazioni, e cioè la dimensione cognitiva degli attanti.
Secondo Greimas tale dimensione può cominciare a essere descritta ricorrendo ai
verbi modali (teoria delle modalità). Se l’enunciato del fare prevede una
68
trasformazione, e dunque una performanza, ricorrendo alle lingue naturali possiamo
descrivere questa situazione con la struttura modale del far-essere (l’esempio
discorsivo potrebbe essere “prendere una mela”8 ). Tuttavia abbiamo detto che ci
interessa ciò che fa realizzare la performanza, lo stato cognitivo che muove l’azione,
e cioè la competenza. Ricorrendo alle lingue naturali possiamo descrivere la
competenza con la struttura modale dell’essere del fare (l’esempio discorsivo
potrebbe essere “voler prendere una mela”). La competenza è insomma quel modo
di essere che ci consente di eseguire un atto. La performanza presuppone la
competenza, e le due strutture modali, insieme, costituiscono quello che Greimas
definisce atto pragmatico: se Eva prende la mela (performanza) è perché Eva voleva
prendere la mela (competenza presupposta dall’atto).
Se la performanza è il “fare che modalizza l’essere”, e la competenza è
“l’essere che modalizza il fare”, restano da registrare due combinazioni possibili:
“il fare che modalizza il fare”, e “l’essere che modalizza l’essere”. Il fare che
modalizza il fare è una forma di manipolazione: il serpente fa in modo che Eva
prenda il frutto dell’albero (l’esempio discorsivo potrebbe essere “far prendere una
mela”). L’essere che modalizza l’essere è una forma di sanzione: è il momento in
cui Eva, ascoltando le parole del serpente, crede che l’oggetto sia investito di potere
(“credere nel potere della mela”); oppure può essere inteso come il momento in cui
si giudica un certo atto. Ecco una rappresentazione sintagmatica delle quattro
strutture modali:
MANIPOLAZIONE
far-fare
SANZIONE
essere dell’essere
performanza cognitiva di S2
competenza cognitiva di S2
COMPETENZA di S1
essere del fare
PERFORMANZA di S1
far-essere
atto pragmatico
Figura 3.12 [Greimas 1983: 73]9
In questi termini l’atto pragmatico è l’insieme di una competenza e di una
performanza, e risulta collocato in un quadro contrattuale all’interno del quale la
manipolazione e la sanzione costituiscono due momenti essenziali. Nel momento
della manipolazione un Destinante (S2) fa sì che un secondo soggetto (S1) faccia
un’azione. Nel momento della sanzione il Destinante giudica l’atto compiuto da S1.
8
9
Alcuni esempi che seguono sono ripresi da Marsciani e Zinna [1991].
Lo schema riporta le integrazioni di Magli e Pozzato [1983: XIII]
69
Oltre alle modalizzazioni del «fare» e dell’«essere», occorre considerare i valori
modali del dovere, del volere, del sapere e del potere (surmodalizzazioni). In base a
questi valori, la competenza può essere pensata come una catena orientata di
modalità:
dovere Æ volere Æ sapere Æ potere
Un soggetto, sulla base di un contratto con un Destinante-manipolatore, deve o
vuole fare qualcosa, e per questa ragione deve acquisire una competenza, il saper
fare, cui può seguire un poter fare. Infine la performanza, cioè il far-essere, realizza
l’azione. Pertanto si può dire che i personaggi hanno dei programmi narrativi
(PN): i programmi narrativi indicano sintatticamente gli scopi e le azioni dei soggetti
e possono essere espressi come enunciati di traformazione congiuntiva o
disgiuntiva:
PN = F[S1Æ(S2«Ov)]
PN = F[S1Æ(S2»Ov)]
I programmi narrativi possono essere semplici o complessi. I programmi
complessi si servono di sottoprogrammi d’azione, o programmi narrativi d’uso
(PNu), che si inseriscono nel programma narrativo di base (PNb) e servono, ad
esempio, per l’acquisizione della competenza. Eccone un esempio schematico:
PNb:
[S1 (volere)
Æ (S2«O1)]
PNu1 O2v: (sapere)
[S1Æ(S2«O2v)]
PNu2 O3v: (potere)
[S1Æ(S2«O3v)]
Figura 3.13 [Zinna e Marsciani 1991: 100]
Il programma narrativo di base, descritto nella linea superiore, include due
programmi narrativi d’uso in cui il soggetto deve acquisire la competenza: in altri
termini deve congiungersi con oggetti investiti di valori modali (sapere, potere, ecc.).
70
In questo senso i programmi narrativi d’uso rappresentano delle dilatazioni, delle
espansioni. Dilatazioni di questo tipo giocano evidentemente sulla durata e sono in
grado di creare la suspense narrativa.
Scrive Volli [2000: 125]: “Insomma le modalità ci forniscono uno strumento
estremamente potente per descrivere i rapporti dei personaggi del racconto non solo
sul piano delle azioni, ma su quello altrettanto importante delle intenzioni, delle
conoscenze, delle credenze. Non si tratta di caratterizzazioni puramente psicologiche,
come si potrebbe credere ingenuamente. Fattori «psicologici» come il volere o il
sapere sono in realtà parte essenziale del meccanismo narrativo e devono essere
presenti perché anche il racconto più elementare e antirealistico (come per esempio
una fiaba) possa svilupparsi felicemente.”
C’è una fase del romanzo I tre moschettieri di Dumas in cui si manifesta una
sintassi narrativa che sintetizza una chiara situazione polemico-contrattuale e che
raggiunge il suo culmine nell’atto pragmatico inteso come correlazione tra
competenza e performanza. Al ballo della “Caccia al Merlo” in onore del re e della
regina, quest’ultima deve presentarsi con i dodici fermagli ragalatigli dal re. Il
problema è che Sua Maestà Anna d’Austria ha regalato i diamanti al suo amante
inglese il duca di Buckingham e l’unica soluzione consiste nel recupero dei fermagli.
A questo punto si instaura una prima situazione contrattuale che vede la regina in
quanto Destinante-manipolatore (S2) far sì che un secondo soggetto, D’Artagnan
(S1), compia l’azione di recupero. Si tratta quindi di una manipolazione (far-fare).
Abbiamo detto che l’atto pragmatico si definisce come correlazione di una
competenza e di una performanza, e sappiamo anche che la sintagmatica delle
modalità procede nella direzione dovere o volere Æ sapere Æ potere Æ fare (cioè
competenza Æ performanza): il Programma Narrativo di base di D’Artagnan consiste
nel raggiungimento dell’oggetto di valore in questione, ma egli deve far fronte a due
ordini di problemi: (i) per quanto riguarda la surmodalizzazione del “poter fare”,
deve ottenere un permesso speciale dal signore di Treville, comandante dei
Moschettieri, operazione che richiede un sottoprogramma d’uso; (ii) deve considerare
il programma narrativo dell’anti-soggetto, il cardinale Richelieu, coadiuvato dalla
perfida contessa di Winter.
L’operazione ha successo, nel senso che la performanza si realizza, tuttavia il
Programma Narrativo di base si dilata in diverse occasioni per l’inserimento di
Programmi Narrativi d’uso, e certi momenti durativi creano l’effetto di suspense,
come per esempio il colloquio di D’Artagnan con Treville.
3.4.3. Strutture discorsive
Le strutture discorsive [cfr. il Percorso Generativo, Fig. 2] sono meno astratte e
più intuitive delle precedenti, per quanto, come le precedenti, si collochino ancora nel
livello immanente. Mentre i passaggi precedenti erano denominati conversioni, il
passaggio dal livello delle strutture narrative al livello delle strutture discorsive è
denominato convocazione, nel senso che chi vuole produrre un discorso convoca
una serie di conoscenze e capacità che gli sono offerte da repertori personali e
71
culturali, e trasforma i ruoli più o meno astratti delle strutture semio-narrative in
spazi, in tempi, in attori, in temi, in figure. In altri termini, comincia la vera e propria
messa-in-scena, con luoghi, personaggi, temi, in un’ottica narrativa pienamente
umana.
Alla base della convocazione c’è un’istanza dell’enunciazione che media tra
un’enunciazione, cioè un contesto produttivo originario, e un enunciato, che quindi
presuppone un’enunciazione e ne mantiene delle tracce (marche). In altri termini,
chi produce un discorso (soggetto dell’enunciazione) parte da un contesto e da una
serie di competenze, e proietta fuori di sé, cioè fuori dall’io-qui-ora
dell’enunciazione, degli attori (non-io), dei tempi (non-ora) e degli spazi (non-qui),
che sono diversi da quelli del contesto dell’enunciazione e che andranno a
caratterizzare l’enunciato. Ecco perché qualsiasi enunciato presuppone
un’enunciazione e nello stesso tempo ne mantiene traccia sotto forma di marche
dell’enunciazione: “Ci possono essere casi in cui il soggetto dell’enunciazione
viene segnalato esplicitamente (con un pronome di prima persona nella lingua, con
un movimento di macchina al cinema, con la rappresentazione del pittore in una tela
etc.), oppure casi in cui, viceversa, ogni traccia della produzione enunciativa viene
nascosta (con l’‘egli’ linguistico, le figure di profilo in pittura, la mancanza di
intrusioni d’autore in letteratura etc.), di modo che l’enunciato appare privo di ogni
riferimento a chi lo ha prodotto e, dunque, interamente proiettato verso la ‘realtà’ che
tende a rappresentare. Per Greimas, insomma, l’enunciazione è sempre presente
nell’enunciato anche quando non è percepibile, dato che l’assenza della sua
esplicitazione – segnalando, ad es. nel discorso storico, la volontà di costruire forme
di ‘oggettività’ – appare ancora più significativa della sua presenza.” [Fabbri e
Marrone 2001: 12] Il soggetto dell’enunciazione si costruisce, quindi, solo
negativamente, poiché l’approccio semiotico ha a che fare con tutto ciò che il
soggetto dell’enunciazione non è, con tutto ciò che lo presuppone, cioè con
l’enunciato.
Il processo attraverso il quale il soggetto dell’enunciazione proietta fuori di sé
attori, spazi e tempi, è detto débrayage (letteralmente “disinnesco”). Il ritorno
all’istanza dell’enunciazione è detto embrayage: è il caso di un narratore che – dopo
essersi eclissato – alla fine di un racconto riemerge per offrire chiavi interpretative ai
lettori; oppure è il caso di un personaggio che alla fine del film guarda nella camera
riportando bruscamente lo spettatore nel contesto dell’enunciazione (finzione)
filmica.10
La teoria dell’enunciazione ha avuto soprattutto il pregio di mettere in evidenza
come nei testi appaiano solo i simulacri dei due poli della comunicazione: da un lato
l’enunciatore empirico (in carne-e-ossa) proietta un simulacro di sé nell’enunciatore
del testo (narratore), dall’altro l’enunciatario empirico è anch’esso rappresentato nel
testo da un suo simulacro (narratario). Anche l’embrayage, cioè il ritorno all’istanza
10
Sull’enunciazione audiovisiva cfr. Bettetini [1984]. Per un inquadramento storico-teorico
dell’enunciazione cfr. Manetti [1998].
72
dell’enunciazione, è comunque un ritorno a un simulacro, e mai alla vera istanza
dell’enunciazione.
Dunque in virtù dell’enunciazione avviene la convocazione che realizza le
strutture discorsive: da una parte abbiamo le procedure di spazializzazione (con
l’uso di toponimi), temporalizzazione (con l’uso di crononimi), attorializzazione
(con l’uso di antroponimi), cioè la definizione di luoghi, tempi e personaggi;
dall’altro abbiamo la disseminazione di temi, cioè di stereotipi specifici, e di figure,
cioè forme concrete della nostra esperienza percettiva. Ecco la spiegazione di Floch
[1985: 55]: “Facciamo l’esempio di un percorso generativo particolare, definito
dalla ricerca, da parte del soggetto, di un oggetto di valore come la ‘libertà’. Investito
nel discorso e, in particolare, spazializzato, il percorso di liberazione diverrà una
‘evasione’. Da quel momento il tema diventa già meno astratto; ma lo stesso
percorso potrà diventare apertamento figurativo con l’apparizione di ‘grate segate’,
di ‘cavalcate’, di ‘imbarchi’, o ancora di ‘lampade meravigliose’ e di ‘tappeti
volanti’. Immettere nel discorso è, quindi, anche, per investimenti semantici sempre
più complessi e particolari, fare di un percorso narrativo, astratto, un percorso
tematico poi un percorso figurativo.” Analogamente, il tema dello «sperpero»11
può avere vari percorsi figurativi: 1. la vita debosciata, con la rappresentazione di
festini; 2. la dilapidazione per il gioco, con la rappresentazione di roulette, case da
gioco, ecc.; 3. la dilapidazione per amore, con la rappresentazione di regali, capricci,
ecc.; 4. l’acquisito di droga, ecc.
Proviamo a fare un esempio. Supponiamo che Alexandre Dumas, nella sua casa di
Parigi, nel dicembre del 1844, abbia scritto questa nota per un amico:
Caro amico, ti scrivo questo soggetto da Marsiglia, dove ho trovato ispirazione
per una storia d’avventure e di vendette.
La storia comincia il 24 febbraio 1815. Edmondo Dantès, marinaio di
Marsiglia, sta per essere nominato capitano del Pharaon e sta per sposare la
bella catalana Mercedes. Ma Fernando, spasimante di Mercedes, e Danglars,
compagno di bordo di Edmondo, denunciano Dantès quale agente
bonapartista. Il giudice Villefort fa rinchiudere Dantès nel Castello d’If. Qui
Dantès rimane per quattordici anni e conosce rocambolescamente l’abate Faria,
ritenuto da tutti un folle perché dichiara di avere un tesoro nascosto. Faria
muore, Dantès riesce a fuggire mettendosi nel sacco del cadavere dell’abate e
liberandosi una volta in mare. Seguendo le indicazioni dell’abate Faria troverà
il tesoro nell’isola di Montecristo e diventerà il ricco e potente Conte di
Montecristo. La vendetta avviene a Parigi, dove il Conte di Montecristo ritrova
Fernando (conte di Morcerf) e sua moglie Mercedes, il ricco banchiere
Danglars e Villefort. Montecristo costringe al suicidio Morcerf, fa impazzire
Villefort, e infine perdona Danglars dopo avergli fatto patire sofferenze atroci.
Io sono sicuro che questa storia potrà interessare, ma non so come reagirà il
pubblico di fronte alla vendetta spietata di Montecristo, che in fondo si
sostituisce alla Provvidenza. Vorrei sapere che cosa ne pensi tu, che hai una così
elevata sensibilità etica.
11
L’esempio è discusso in Pozzato [2001: 71].
73
Per il momento non si consideri il fatto che ci troviamo di fronte a un testo
manifestato (scrittura realizzata), perché lo stesso esempio si potrebbe immaginare
realizzato con altre sostanze (pittura, cinema, ecc.). Ci si concentri invece sul livello
immanente del discorso. Il primo débrayage è nelle prime due righe: chi scrive
installa un simulacro dell’enunciatore e un simulacro dell’enunciatario.
Tecnicamente si definisce débrayage enunciazionale, perché il testo crea un
simulacro di chi scrive: però attenzione, si tratta di un simulacro, e non solo perché
chi scrive non è affatto a Marsiglia, come sappiamo, bensì a Parigi; il punto da mettere
a fuoco è che l’istanza linguistica (io) è sempre altra cosa rispetto all’istanza
enunciazionale, cioè rispetto alla persona che realmente sta scrivendo.
Nel secondo paragrafo abbiamo un débrayage che si definisce invece enunciativo,
perché proietta soggetti diversi da quello dell’enunciazione e costruisce un discorso
oggettivato, in terza persona: Alexandre Dumas (io), nella sua casa di Parigi (qui), nel
dicembre del 1844 (ora), proietta nel discorso degli attori (non-io), con antroponimi
come “Edmondo Dantès”, “Fernando”, “Mercedes”, ecc.; degli spazi (non-qui),
con toponimi come “Marsiglia” e “l’isola di Montecristo”; dei tempi (non-ora),
con crononimi come “24 febbraio 1815”. L’enunciato acquisisce così una sua
dimensione e presuppone un atto d’enunciazione. Nel discorso si sviluppa una
grammatica narrativa che vede nel livello profondo l’articolazione del valore libertà, e
a livello di superficie dapprima la ricerca della libertà, che può andare a buon fine
solo tramite il congiungimento del soggetto con l’oggetto-tesoro, e poi la
realizzazione della vendetta (con importanti trasformazioni patemiche).
Ma nel terzo paragrafo del testo abbiamo un embrayage: chi scrive ci riporta
all’istanza di enunciazione intervenendo in prima persona (io), riferendosi a un
pubblico, chiamando in causa il suo interlocutore (tu). L’embrayage – che
presuppone sempre un débrayage – produce, evidentemente, un effetto di realtà, ma è
bene sottolineare che anche in questo caso non si tratta di un ritorno all’istanza
dell’enunciazione reale, bensì a dei simulacri: l’io del testo non coincide ovviamente
con il Dumas in carne-e-ossa, così come il tu non è altro che un simulacro
dell’interlocutore di Dumas.
Il film E la nave va di Federico Fellini racconta di un gruppo di cantanti lirici che
nel 1914, a bordo di un transatlantico, portano le ceneri del grande soprano Edmea
Tetua da spargere in mare. Tutto il film è contornato da embrayage che mettono in
luce la finzione e in tal modo riportano all’atto dell’enunciazione filmica: si vede
bene che il mare è di polietilene, che il tramonto è dipinto, e i personaggi non
mancano di esclamare: “sembra finto”. Alla fine del film, con un embrayage
straordinario, viene inquadrato lo studio 5 di Cinecittà dove la nave è stata costruita: si
vedono i martinetti idraulici che la fanno rullare realisticamente, si vedono i tecnici, i
fotografi, le telecamere, e infine si vede lo stesso Fellini impegnato in una carrellata.
Tutto è ricostruito in studio, insomma, e Fellini non manca di rimarcarlo, ma è
evidente che l’embrayage finale non riporta al contesto reale d’enunciazione, ma a
un simulacro del contesto reale, così come il regista che si vede alla fine è solo un
simulacro del regista che produce l’opera. Dal punto di vista semiotico di una teoria
dell’enunciazione i discorsi mettono in gioco solo simulacri, e i pronomi disseminati
nei discorsi (io e tu nel linguaggio naturale, movimenti di macchina e attori che si
rivolgono verso la telecamera nel linguaggio cinematografico) non coincidono mai
con i soggetti dell’enunciazione.
Seguendo i livelli del percorso generativo si arriva gradualmente a strutture che
conosciamo meglio grazie alla nostra esperienza. Dai valori del quadrato,
74
estremamente astratti, si passa alla grammatica narrativa di superficie, e poi, in virtù
dei meccanismi enunciativi, si arriva agli attori, agli spazi, ai luoghi, ai temi, alle
figure.
È importante infine precisare che il Percorso Generativo non è il percorso di
generazione del testo da parte del suo autore, quanto piuttosto un quadro generale
all’interno del quale si tenta di posizionare gli strumenti di cui dispone la teoria. In
altri termini, il Percorso Generativo definisce un oggetto significante secondo il suo
modo di produzione e non secondo la storia della sua creazione. “Generazione”,
precisa bene Floch, si oppone così a “genesi”: “Si tratta di un’opposizione
metodologica capitale: la costituzione del senso – dall’articolazione minima fino a
quelle che sono riunite nel piano dell’espressione – è uno sviluppo logico, costruito
a posteriori dall’analista; non è lo svolgimento temporale della sua materializzazione.
La ricchezza di significazione di un’opera non ha niente a che vedere con il tempo
passato per realizzarla e nemmeno per concepirla.” [Floch 1985: 48]
3.5. Le passioni e l’estesia
Da diverso tempo la semiotica greimasiana sta tentando di integrare il modello
narrativo espresso dal Percorso Generativo con categorie di tipo patemico ed
estesico, relative cioè alle passioni e alle percezioni. Se la grammatica narrativa rende
conto delle azioni, e la teoria delle modalità rende conto delle cognizioni, a una teoria
semiotica testuale così concepita mancano elementi fondamentali come le emozioni,
le tensioni, le disposizioni psicologiche degli attori.
La semiotica comincia così ad analizzare i sentimenti e le passioni rappresentate
nei discorsi. E lo fa, secondo Fabbri e Marrone [2001],12 sulla scorta di motivazioni
“esterne” ed “interne”. Esternamente si registra un interesse diffuso per la
problematica dell’affettività in varie discipline (economia, antropologia, sociologia,
linguistica, ecc.). Internamente agli studi semiotici cresce invece la consapevolezza
che la passionalità caratterizza le relazioni intersoggettive di cui sono intessute le
strutture narrative. Le azioni narrative – detto in altri termini – dipendono dalla
passionalità, cioè dall’essere dei soggetti, e una teoria semiotica deve rendere conto
anche di questo livello.
Greimas [1983] tenta anzitutto la strada dell’analisi lessematica delle passioni.
Convinto che i lessemi siano spesso delle condensazioni che racchiudono strutture
narrative e discorsive complesse, Greimas individua una passione lessicalizzata – per
esempio la “collera” –, e servendosi delle definizioni dizionariali la “smonta”
scoprendo i percorsi narrativi latenti. Infatti la “collera” è un lessema che può
coprire una sequenza discorsiva costituita da situazioni statiche e azioni: l’analisi
deve scomporre il lessema in unità sintagmatiche per costruire una configurazione
12
Cfr. Premessa alla Parte quarta: La dimensione passionale.
75
passionale. Le definizioni dizionariali della “collera”, in questo senso, sembrano
nascondere una sequenza di questo tipo:
“frustrazione” Æ “scontento” Æ “aggressività”
Ma è centrale anche il concetto di delusione per un’attesa non soddisfatta, e dal
punto di vista narrativo questo implica un soggetto (di stato) che ha una fiducia nei
confronti di un altro soggetto (del fare): se il soggetto del fare viene meno alla
fiducia che il soggetto di stato ha riposto in lui, allora l’insoddisfazione può portare
all’esplosione della collera. Dal punto di vista lessicale si apre una costellazione di
termini collegati: “ostilità”, “rancore”, “offesa”, “vendetta”, ecc. E dal punto di
vista discorsivo si alternano stati di tensione e di distensione. L’analisi di Greimas è
molto dettagliata, ma quello che ci interessa in questa sede è il procedimento
metodologico, che consiste nell’“aprire” un lessema per svelarne i percorsi narrativi
e discorsivi potenziali.
Tuttavia le passioni non sono analizzabili solo a partire dal lessico e
dall’enciclopedia, ma anche a livello della discorsività. Da questo punto di vista è
interessante analizzare la produzione delle passioni nel quadro del Percorso
Generativo. Nel livello più astratto delle strutture semio-narrative si situa il
“motore” delle passioni, cioè le disposizioni fisiche e somatiche che generano
sentimenti positivi o negativi, attrazioni o repulsioni, simpatie o antipatie e via
dicendo. In termini semiotici è fondamentale l’azione della cosiddetta categoria
timica, che si esprime nell’opposizione euforia/disforia e che sovradetermina altre
categorie organizzate in forma di quadrato semiotico. La categoria timica è alla base
dei giudizi di valore e determina atteggiamenti positivi (euforici) o negativi (disforici)
rispetto a qualcosa o a qualcuno. Tecnicamente diremo che la categoria timica,
esprimendo giudizi di valore, assiologizza una categoria. Ecco l’esempio che porta
Volli, dove il quadrato della pulizia viene assiologizzato dalla categoria timica che
rende euforico il bianco (pulizia) e disforico il nero (sporco):
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ASSIOLOGIZZAZIONE DI UNA CATEGORIA
OPPOSIZIONE TIMICA
Euforia
Disforia
Investimento assiologico
positivo
Investimento assiologico
negativo
QUADRATO DELLA PULIZIA
bianco
lato dei
detersivi
nero
lato dello
sporco
non nero
non bianco
Figura 3.14 [da Volli 2000: 132]
Gli investimenti assiologici determinano le pulsioni profonde e sono quindi alla
base degli effetti passionali. Come ricordano Marsciani e Pezzini [1996: XXXIII], le
assiologie determinate dalla categoria timica delineano i campi di valori che
caratterizzano il livello semio-narrativo di superficie (grammatica narrativa), dove le
attrazioni e le repulsioni si traducono in azioni, lotte, scambi, desideri, competizioni
tra soggetti e oggetti. Infine a livello discorsivo l’investimento timico del livello
profondo prende corpo in configurazioni e ruoli patemici, per cui gli attori saranno
felici, allegri, collerici, nostalgici, ecc. Ma è importante sottolineare come in questa
prospettiva la dimensione patemica diventi la componente fondamentale di ogni tipo
di discorso, nel senso che precede logicamente la costituzione dei discorsi.
Dal momento che la narratività si organizza sulla base di uno schema narrativo
canonico, Fontanille [1993] pensa a un percorso canonico delle passioni e mette a
confronto i due schemi in questo modo:
77
Schema Narrativo Canonico
contratto-manipolazione
competenza
performanza
conseguenza
sanzione
Schema Passionale Canonico
costituzione
disposizione
patemizzazione
emozione
moralizzazione
La costituzione, dice Fontanille, è la fase nella quale il soggetto “emerge”
all’interno del discorso, nel senso che “è messo nella condizione di conoscere una
passione”. Il soggetto è dunque ricettivo rispetto a eventuali sollecitazioni
passionali. Le analisi dei testi convergono nel rilevare, in questa fase, particolari
modulazioni ritmiche e quantitative del soggetto: agitazione, rallentamento e
imbarazzo sono esempi tipici di temporalità ritmica sospesa, neutralizzata rispetto a
eventi che potrebbero verificarsi ma che per il momento non avvengono. E lo stile
tensivo che caratterizza questa fase resta di solito invariata nelle fasi successive del
percorso passionale.
La disposizione, secondo Fontanille, è la fase in cui un soggetto acquisisce le
determinazioni per provare una passione specifica. Mentre prima eravamo nella fase
della predisposizione generica alle passioni, ora le passioni cominciano a
determinarsi: per esempio il soggetto, tramite il sospetto, comincia a determinare la
sua gelosia.
La patemizzazione è la fase trasformatrice, è il momento in cui il soggetto capisce
il suo turbamento ed è in grado di identificarlo come passione. In pratica il soggetto
può dare un nome al suo stato sulla base delle codificazioni passionali della propria
cultura. In questo senso la patemizzazione è anche una spiegazione retroattiva degli
stati precedenti.
L’emozione, sottolinea Fontanille, ci riconduce all’individuo e al suo corpo: “ S e
infatti la costituzione, con la sua temporalità musicale e ritmica e le sue proprietà
tensive, concerneva essenzialmente la componente propriocettiva, la disposizione e la
patemizzazione lasciavano in apparenza in pace il corpo del soggetto; ecco allora che
con l’emozione quest’ultimo ricompare: sussulto, trasposto, fremito, tremore,
convulsione, sobbalzo, turbamento e così via – tutte queste passioni manifestano,
grazie a una reazione somatica vissuta dal soggetto e osservabile dall’esterno, la
conseguenza timica della trasformazione passionale e più in particolare il carattere
sopportabile o insopportabile, atteso o inatteso di tale conseguenza per il corpo del
soggetto.” [Fontanille 1993: 259]
La moralizzazione conclude il percorso passionale: il soggetto valuta le fasi del
percorso passionale sia sulla base della cultura nella quale è inserito sia a titolo
personale, in quanto egli stesso è implicato nella scena passionale. È il momento in
cui si valuta se si è stati troppo irruenti, troppo impulsivi, troppo vanitosi, troppo
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generosi, ecc. È essenziale, ricorda Fontanille, che ci sia una regolamentazione
individuale e sociale degli stili tensivi, delle competenze e delle manifestazioni
passionali.
Come abbiamo visto la semiotica delle passioni, indagando le radici
dell’affettività, ha cominciato a considerare la corporeità come un elemento basilare
della significazione: in questo senso si collega a una semiotica dell’estesia, un
paradigma che tenta di ricollocare la dimensione sensoriale e somatica all’interno del
modello teorico del Percorso Generativo. L’ipotesi di partenza è che il senso sia
legato ai sensi, che la significazione sia legata alle dinamiche della percezione, e che
quindi si debba ripensare semioticamente il rapporto soggetto-mondo.
Da questo punto di vista il testo di Greimas Dell’imperfezione, del 1987, segna
una svolta teorica: proprio per l’attenzione che egli pone agli aspetti estesici, ovvero
percettivi, dell’esperienza estetica. In brani letterari di Calvino, Tournier, Rilke,
Tanizaki e Cortázar, Greimas analizza descrizioni che mettono in evidenza la presa
estetica, cioè una messa in relazione percettiva tra soggetto e oggetto.
Il Robinson di Michel Tournier, di fronte a una goccia d’acqua che rimane
sospesa quasi a “invertire il corso del tempo”, vacilla come a causa di un abbaglio, e
addirittura riesce a immaginare “un’altra isola dietro quella dove soffriva in
solitudine, più fresca, più calda, più fraterna”. Quella che si verifica, secondo
Greimas, è una presa estetica eccezionale, cioè una relazione particolare tra soggetto e
oggetto di valore. In seguito il soggetto può ricostruire l’accaduto e provare nostalgia
per quell’effetto percettivo durato un tempo non quantificabile: “Il susseguirsi della
quotidianità, l’attesa, la rottura di isotopia come frattura, il vacillare del soggetto, lo
statuto particolare dell’oggetto, la relazione sensoriale tra i due, l’unicità
dell’esperienza, la speranza di una congiunzione totale futura – sono questi alcuni
degli elementi costitutivi della presa estetica che ci ha rivelato il testo di Michel
Tournier.” [Greimas 1987: 17]
Il signor Palomar di Italo Calvino, passeggiando lungo una spiaggia deserta, vede
una fanciulla distesa sulla sabbia che prende il sole a seno nudo. Secondo Greimas, in
questo passaggio si rivela la presa estetica: “Si volta e ritorna sui suoi passi. Ora, nel
far scorrere il suo sguardo sulla spiaggia con oggettività imparziale, fa in modo che,
appena il petto della donna entra nel suo campo visivo, si noti una discontinuità,
uno scarto, quasi un guizzo. Lo sguardo avanza fino a sfiorare la pelle tesa, si ritrae,
come apprezzando con un lieve trasalimento la diversa consistenza della visione e lo
speciale valore che essa acquista, e per un momento si tiene a mezz’aria, descrivendo
una curva che accompagna il rilievo del seno da una certa distanza, elusivamente ma
anche protettivamente, per poi riprendere il suo corso come niente fosse stato.”
L’aspetto interessante di questo effetto estetico è che l’oggetto si impone per la sua
“pregnanza” e la presa estetica è quasi il risultato di un “volere reciproco di
congiunzione”, un “incontro a metà strada del soggetto con l’oggetto”. Non solo: la
facoltà visiva – più razionale – sfocia nella tattilità (“fino a sfiorare la pelle tesa”),
cioè in un livello più profondo della sensorialità.
Ecco come Greimas definisce il fenomeno della presa estetica: “Ad un tratto
accade qualcosa, non sappiamo cos’è: né bello, né buono, né vero, ma tutte queste
cose insieme. E neppur questo: accade un’altra cosa. Cognitivamente inafferrabile,
79
questa frattura della vita quotidiana è suscettibile, a posteriori, di ogni tipo di
interpretazione: crediamo di ritrovarvi l’attesa inaspettata che l’aveva preceduta, o di
riconoscere la madeleine che rinvia alle sorgenti immemoriali dell’essere; essa fa
nascere la speranza di una vita vera, di una fusione totale del soggetto e dell’oggetto.
Insieme al sapore dell’eternità ci lascia un fondo d’imperfezione.” [ibid.: 52]
L’importanza del testo di Greimas è riassunta in questo modo da Pozzato: “le
riflessioni di Greimas sul livello estetico-estesico sono state di grande importanza
poiché hanno segnato l’ingresso nella semiotica testuale delle ‘zone basse’ della
coscienza (emozioni, tensioni, propensioni) il cui carattere è essenzialmente graduale,
continuo, modulare, quanto i programmi narrativi e le modalità sono invece di ordine
categoriale e pertanto organizzati in strutture logiche di tipo oppositivo.” [Pozzato
2001: 170]
Con la “rivoluzione estesica”, secondo Fabbri e Marrone [2001],13 si è
cominciato a pensare che le componenti sensoriali come l’udito, l’odorato, il gusto,
il tatto, contribuiscono in qualche misura alla costruzione della semantica dei testi. In
questa prospettiva, occorre ribadirlo, è centrale il corpo in quanto oggetto del mondo
e punto di vista sul mondo, in quanto esteriorità e interiorità, luogo del “timismo
profondo” dove si generano le attrazioni e le repulsioni rispetto a se stessi e rispetto
agli oggetti del mondo. Grazie alla mediazione del corpo avviene la traduzione
reciproca tra processi cognitivi e stati di cose, tra mente e mondo.14
3.6. Riepilogo
Negli anni Sessanta l’idea di Greimas è che – sulla scorta di Hjelmslev – si
possa descrivere il piano del contenuto dei linguaggi trovando delle unità minimali.
Le figure del contenuto di Hjelmslev diventano, nella terminologia di Greimas, i
sèmi. Lo stadio successivo della riflessione di Greimas porta all’elaborazione di un
progetto semiotico più ampio che prevede (1) il passaggio dalla considerazione dei
segni alla considerazione dei sistemi semiotici (testi), (2) la considerazione del livello
immanente dei testi, cioè le strutture soggiacenti che caratterizzano i sistemi e i
processi della significazione. Il piano del contenuto dei linguaggi diventa così un
sistema pensato a strati, in cui dal livello più profondo e astratto, tramite meccanismi
di conversione, si arriva a un livello più superficiale e concreto in virtù di un
continuo incremento di senso. Il livello più profondo è costituito dal quadrato
semiotico, che rappresenta la base per lo sviluppo di una grammatica narrativa del
livello di superficie (attanti, enunciati narrativi, modalità, ecc.). Da lì si arriva alle
strutture discorsive, che manifestano la messa in scena del senso. Infine, al livello
della manifestazione, ci sono le strutture testuali.
13
14
Cfr. Premessa alla Parte quinta: Estetica ed estesia.
Sulla corporeità in semiotica cfr. infra, § 5.2.1.
80
Il Percorso Generativo di Greimas si fonda sull’ipotesi per la quale il senso può
essere colto solo attraverso la sua narrativizzazione: in questo modo la narratività
diventa il principio ordinatore di tutti i linguaggi e di tutti i discorsi: linguaggi
naturali, visivi, musicali, discorsi verbali, non verbali, testi narrativi, giuridici,
scientifici, ecc.
Di recente il progetto di ricerca greimasiano si è sviluppato tentando di integrare
categorie patemiche ed estesiche. Dal un lato, con la semiotica delle passioni, si
ritiene importante analizzare il ruolo che le emozioni e gli stati psicologici hanno nei
testi; dall’altro, con la semiotica dell’estesia, si tenta di reintegrare le componenti
sensoriali e somatiche – quindi percettive – all’interno del Percorso Generativo.