BILANCIO E CONTABILITA` DI STATO: PECULIARITA` ITALIANE ED

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BILANCIO E CONTABILITA` DI STATO: PECULIARITA` ITALIANE ED
BILANCIO E CONTABILITA’ DI STATO:
PECULIARITA’ ITALIANE ED ESIGENZE DI
CAMBIAMENTO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
RELAZIONE FINALE E RAPPORTO DI RICERCA
Dott. Marco Presciuttini
Sommario:
1.
Relazione finale
2.
Rapporto di ricerca
Relazione sul progetto di ricerca denominato:
"Bilancio e contabilità di Stato: peculiarità italiane ed esigenze di cambiamento nel contesto
internazionale"
Il campo di ricerca svolto dal sottoscritto ha il seguente titolo: "Ricerca bibliografica in merito
all’evoluzione dottrinale delle discipline amministrative contabili in tema di contabilità pubblica e
di bilancio dello Stato nel periodo intercorrente tra l’unità d’Italia ed il 1930"
Il lavoro è stato svolto in due fasi distinte, la prima parte è stata completata come previsto il 31
luglio 2003, mentre la seconda è terminata il 30 novembre 2003.
Il periodo preso in riferimento per la ricerca bibliografica è stato esteso sino al 1964 ( legge Curti)
con esplicito riferimento alla consultazione della Rivista italiana di ragioneria ed economia
aziendale.
Biblioteche e sedi dove è stata svolta la ricerca
Sia durante il primo periodo di studio che il secondo ho svolto il lavoro consultando i testi delle
biblioteche della Ragioneria Generale e quelli delle biblioteche dell’Università degli Studi di Pisa
(Facoltà di Economia, di Scienze Politiche e di Giurisprudenza). Durante tutto il lavoro di ricerca
mi sono consultato con il Prof. L. Anselmi, con cadenza pressoché settimanale, ho partecipato ad
alcune riunioni di coordinamento presso la SSPA di Roma (26 marzo 20003, 25 luglio 2003, 28
novembre 2003); inoltre, durante il secondo periodo di ricerca mi sono recato presso la biblioteca
della LUISS, che, unica in Italia, possiede tutte le pubblicazioni della Rivista italiana di ragioneria
ed economia aziendale. A novembre mi sono recato, con altri ricercatori dell’Università degli studi
di Pisa, presso l’abitazione privata della nipote dell’ex Ragioniere generale Prof. G. Cerboni, dove
abbiamo reperito alcuni testi di fine ‘800; questi libri erano stati pubblicati quando fu tentata
l’applicazione del metodo inventato dal professore. (metodo logismografico).
Oggetto e obbiettivi della ricerca
Il lavoro si colloca all’interno del progetto di ricerca " Bilancio e contabilità di Stato, peculiarità
italiane ed esigenze di cambiamento nel contesto internazionale". L’ambito di ricerca da me curato
essenzialmente storico. Il mio compito ha una rilevanza a carattere teorico dottrinale nel quadro
degli studi della contabilità di Stato, ne consegue che la ragioneria pubblica e la sua evoluzione
hanno un ruolo fondamentale nel presente lavoro.
Nonostante il periodo preso in considerazione, le analisi e le discussioni fatte da molti autori sono
senz’altro attuali. Per argomentare tale affermazione basti ricordare alcune delle questioni più
salienti poste dagli autori di fine ‘800 e inizio ‘900: scelta tra bilancio di competenza e bilancio di
cassa, quale sistema di rilevazione fosse più funzionale, adottare o meno il sistema patrimoniale. Il
quadro è ampio, tuttavia, è possibile concentrare il problema su una questione fondamentale:
l’opportunità o meno di adottare il sistema patrimoniale presso le amministrazioni centrali dello
Stato. Come è evidente la questione presenta molti quesiti. In primo luogo ci si domanda se il
sistema patrimoniale sia tecnicamente applicabile ad un sistema complesso come è
l’amministrazione pubblica, per via, ad esempio, della peculiarità di alcuni beni posseduti dallo
Stato. Bisogna poi considerare se tale sistema sia effettivamente utile e funzionale alla pubblica
amministrazione. E’ necessario capire se non ci siano ostacoli insormontabili interni alla pubblica
amministrazione. Infine, è indispensabile definire quale sistema patrimoniale sia migliore, infatti,
alcuni autori, forse per semplificare la questione, proposero sistemi patrimoniali incompleti.
Per quanto concerne altre questioni (scelta tra bilancio di competenza e bilancio di cassa e scelta del
sistema di rilevazione) si sostiene che dipendono direttamente dal fatto che sia stato adottato o
meno un sistema patrimoniale. Pertanto, il primo passo è rispondere alle domande che ci siamo
posti riguardo alla compatibilità tra sistema patrimoniale e "l’azienda Stato".
Naturalmente, accanto agli aspetti dottrinali, è necessario studiare le critiche e le osservazioni fatte
dai teorici della contabilità pubblica alle leggi promulgate dal legislatore. Quindi accanto agli
aspetti teorico dottrinali si analizzano vicende politico-istituzionali.
Periodo storico studiato
La ricerca ha come riferimenti principali le riforme che sono state attuate nell’ambito della
contabilità pubblica. Si ricordano, in particolare, le leggi del 1869, del 1883, il T. U. del 1884, la
legge De Stefani del ’22 e la legge del 1964 (legge Curti).
L’ambito di studio è idealmente diviso in due parti, durante il primo periodo mi sono concentrato
sugli aspetti teorico dottrinali, mentre negli ultimi mesi ho avuto la possibilità di indagare le vicende
più strettamente politico-istituzionali, rivedendo e approfondendo alcuni fatti studiati durante la
prima parte. Per questo, anche se nei primi mesi mi sono concentrato sul periodo che va dalla
approvazione della Cambray-Digny alla legge De Stefani (1869-1922), non vi è una netta
distinzione temporale tra lo studio svolto nei due diversi momenti.
Lavoro svolto da aprile a luglio 2003
Come accennato durante il primo periodo di ricerca ho analizzato prevalentemente questioni teorico
dottrinali, in questa fase sono stati considerati gli scritti del Prof. Fabio Besta. La sua opera ricopre
fondamentale importanza per l’analisi in oggetto, il suo contributo può essere considerato la più alta
espressione della dottrina patrimonialista, ed è senz’altro unanimemente riconosciuto come uno dei
più grandi studiosi della ragioneria. Pertanto, è stata studiata la critica che l’autore ha compiuto
sulle normative che si succedevano in materia di contabilità pubblica; sono state riportate le sue
riflessioni e le sue proposte di rettifica delle leggi. Le sue opinioni rappresentavano uno stimolo per
i legislatori del tempo. Critico e insoddisfatto della legge del 1869, il Besta fu, sul piano
accademico, un ispiratore delle varie riforme degli anni successivi (i nuovi regolamenti del 1874, la
legge del 1883, il T.U. del 1884, e i regolamenti attuativi del 1885). Nel 1904 fu chiamato dal
Ministro L. Luzzatti a redigere un piano per l’applicazione della scrittura doppia presso le
amministrazioni centrali dello Stato.
Altri autori sono stati considerati in maniera meno approfondita, in quanto la loro influenza
nell’ambito della dottrina contabile è stata, in termini relativi, meno importante di quella del Besta.
Dobbiamo, tuttavia, ricordare F. Villa e G. Cerboni.
F. Villa non vive a pieno il periodo delle riforme attuate nell’ambito della contabilità pubblica,
l’autore nasce nel 1801 e muore nel 1884. Entra come impiegato nella Imperial Regia Contabilità
Centrale Lombarda, successivamente insegna contabilità ed agraria nelle scuole governative e nel
1843 ottiene la cattedra di contabilità di Stato. Pertanto entra nell’amministrazione del Regno
Lombardo Veneto e non partecipa direttamente alle riforme che investiranno il Regno d’Italia.
L’autore appartiene alla scuola "cameralista" che di fatto non influisce sulle leggi in materia di
contabilità pubblica di fine ottocento e inizio novecento.
Il Cerboni ha avuto molta influenza nell’ambito della contabilità pubblica, basti ricordare che egli
fu nominato Ragioniere generale dello Stato nel 1876 (ricoprì tale carica dal 10 aprile del 1876 al
30 aprile 1891). In questa posizione dedicò tutte le sue energie all’introduzione della logismografia
nella contabilità pubblica. Tale metodo penetrò in alcuni rami della pubblica amministrazione,
tuttavia non ebbe molto successo: già dal 1891 non vi era più alcun ufficio che adottava la tecnica
della logismografia.
Accanto a questi autori, ve ne sono altri "minori", che hanno partecipato direttamente alla
formazione delle leggi alla loro interpretazione o, più semplicemente, si sono dimostrati attenti
osservatori. Ricordiamo brevemente Borzoni, il D’alvise (stretto collaboratore del Besta), De Brun,
Ghidiglia, Lorusso, Monetti (direttore della rivista di ragioneria ed economia aziendale), Rossi
(discepolo del Cerboni), Spinedi.
Lavoro svolto da settembre a novembre 2003
Durante il secondo periodo di ricerca, è stata approfondita l’analisi degli scritti del Besta riguardo
alla contabilità pubblica. Grazi alla Rivista Italiana di Ragioneria ho avuto modo di studiare altri
autori della "scuola" del Besta, tra tutti ricordiamo il D’Alvise. Nei molti articoli della rivista ho
potuto constatare la rivalità tra le due più importanti scuole di pensiero: i logismografi e coloro che
si rifacevano al sistema partiduplista tradizionale (i quali facevano capo al Besta). E’ fondamentale
sottolineare la loro diatriba, infatti, le due correnti espressero giudizi opposti sull’opportunità di
adottare il sistema patrimoniale presso le amministrazioni centrali dello Stato. Il Riva, uno dei più
ferventi sostenitori del sistema logismografico, dopo aver tentato l’applicazione del metodo del
Cerboni nell’amministrazione dello Stato, si dichiarò poi contrario all’introduzione del sistema
patrimoniale presso le amministrazioni centrali; mentre il Besta e i suoi discepoli sostennero
opinioni opposte.
Mentre i "Bestiani" argomentano e giustificano la loro tesi, i loro avversari (logismografi e altri)
non spendono molte parole per avvalorare la loro contrarietà alla partita doppia tradizionale.
Oltre alla rivista, ho consultato alcuni manuali di contabilità pubblica di inizio secolo. Questi libri
oltre ad essere funzionali all’apprendimento della materia erano utilizzati per divulgare la dottrina e
le opinioni degli autori stessi. Ricordo, ad esempio, il testo del Monetti, il quale sostiene più volte
che le scritture sintetiche non sono utili alla pubblica amministrazione.
Ho consultato alcuni testi più recenti che si sono dimostrati utili sia per l’indagine storica sia per
l’interpretazione delle vicende politico istituzionali. Ricordo ad esempio, il saggio: "finanza e
amministrazione pubblica" di S. Cassese il quale interpreta le vicende dell’ordinamento
amministrativo-finanziario approfondendo la normativa sui procedimenti amministrativi di
determinazione e di erogazione della spesa ed il testo di R. Faucci Finanza e amministrazione dello
Stato.
Brevi note conclusive.
A fronte di questa analisi si può constatare che le cause che determinarono le difficoltà applicative e
in seguito la cessazione sia del sistema patrimoniale che delle scritture sintetiche presso le
amministrazioni centrali dello Stato non sono imputabili ad un unico fattore; inoltre, com’è
intuibile, non è possibile adottare un impianto contabile per l’amministrazione dello Stato
indipendentemente dai periodi storici considerati. Sebbene si possa parlare di un metodo migliore o
più efficiente in termini di chiarezza, trasparenza e rapidità per amministrare la finanza pubblica,
non è detto che sia sempre applicabile; se venissero a mancare le condizioni "ideali", si porrebbero
degli ostacoli tali da metterne in discussione l’effettiva valenza, ad esempio in riferimento alla
partita doppia molti autori sollevarono dubbi e perplessità legati alla tempistica per redigere i
bilanci e per trasmetterli agli organi superiori, difficoltà che oggi sarebbero speditamente risolte con
comuni sistemi informatici.
Come ci ricorda S. Cassese, nell’ordinamento finanziario aspetti organizzativi ed aspetti procedurali
sono strettamente legati; per questo le vicende della disciplina delle procedure finanziarie sono
connesse alla posizione degli uffici finanziari, quindi non è semplice applicare un certo sistema
contabile a prescindere dai poteri e dai rapporti degli organi finanziari dello Stato.
Non ho riscontrato argomentazioni e giustificazioni di spessore a favore dell’abolizione del sistema
patrimoniale e della partita doppia. Probabilmente le motivazioni che spinsero molti autori ad
avversare tale sistema sono in parte legate proprio alla posizione ed al rapporto tra gli organi dello
Stato. Non sarebbe, tuttavia, corretto non ricordare che accanto a questo problema, vi erano
effettivamente delle questioni tecniche che rendevano difficoltosa l’applicazione della partita
doppia: formazione dei dipendenti, lentezza e difficoltà nella trasmissione dei dati e difficoltà nella
valutazione di alcuni beni dello Stato. A tutto ciò si può aggiungere che il dibattito fra gli esperti
della materia fu nocivo ad un sereno esame della questione sia in sedi accademiche che in sedi
istituzionali, mi riferisco, in particolare, alla rivalità tra i logismografi ed i sostenitori della partita
doppia tradizionale.
Come ho anticipato le cause non sono quindi riconducibili alle peculiarità dell’amministrazione
pubblica (già il Villa, che scrive a metà dell’ottocento, fa discendere i metodi contabili dallo scopo
delle aziende. Più volte l’autore sostiene che i fini economici dell’azienda sia privata che pubblica
dovrebbero indurre ad adottare sistemi contabili differenti. In particolare Villa considera
fondamentali per decidere quale sistema contabile debba essere adottato due concetti: lo scopo e la
natura dell’azienda), comunque, se esistono delle differenze non sono così importanti da poter
giustificare l’abolizione del sistema patrimoniale, infatti, non ho riscontrato elementi teorici e
dottrinali che avvalorano la tesi secondo cui le finalità e gli scopi dello Stato sono tali per cui la
partita doppia ed il sistema patrimoniale diventano superflui (secondo il Villa sarebbe stata utile una
valutazione ad hoc per ciascun ramo dell’amministrazione pubblica, lo sottolineo perché, in
generale, il noto studioso sostenne, almeno in parte, l’adozione della partita semplice nella pubblica
amministrazione). Inoltre, nella normativa del ’22 non abolisce di fatto la partita doppia, infatti, le
istruzioni della legge De Stefani non specificano quale metodo debba essere adottato, pertanto si
lasciano ampi spazi discrezionali alla Ragioneria generale dello Stato, così facendo si sono in parte
evitate polemiche e dibattiti tra i sostenitori e i detrattori della partita doppia. Questi elementi
avvalorano la tesi secondo cui i motivi per i quali fu abbandonato il sistema patrimoniale sono
profondamente legati al potere attribuito ai singoli organi dello Stato. Mi riferisco in particolare alla
Ragioneria generale dello Stato e alla Corte dei conti: al primo è stata data la facoltà di scegliere il
metodo contabile ritenuto più opportuno ed al secondo è stato attribuito un controllo solo parziale
sulla finanza pubblica.
In ultima analisi, il fatto che la scelta dei vari sistemi e metodi contabili debbano dipendere dalle
finalità e dalla natura delle aziende può essere un’argomentazione contro e contemporaneamente a
favore della sua adozione nella pubblica amministrazione. Infatti, per l’amplissima attività dello
Stato è probabile che molte aziende di erogazione necessitino di un sistema patrimoniale. Perciò
sarebbe inevitabile che presso la Ragioneria generale, ma probabilmente anche presso tutte le
ragionerie centrali, sia tenuto lo stato patrimoniale.
Per evidenziare le differenti problematiche e’ bene fare una rapida rassegna delle difficoltà che
furono affrontate durante il Regno di Italia, in particolare dal 1869 al 1922, per la stesura,
l’interpretazione e la stessa applicazione delle leggi di contabilità di Stato.
Gli ostacoli emersero sotto due punti di vista: la capacità di produrre un impianto normativo chiaro
e ben definito da parte dei legislatori e le numerose difficoltà applicative (legate in parte alle stesse
fonti normative) che si sono succedute durante le diverse riforme. La prima legge (Cambray-Digny)
venne duramente criticata dal Besta: "Le istituzioni 20 ottobre 1970 che ho riassunto segnano un
primo passo nell’applicazione della partita doppia alla contabilità dello Stato, e non può proprio
dirsi che questo primo passo sia stato felice."
Venne ricordato che lo spirito della riforma si basava su di un concetto erroneo, e cioè che in un
razionale e ben ordinato sistema di contabilità di stato e di bilancio di previsione, le entrate e le
spese di bilancio dovessero abbracciare nulla più e nulla di meno degli aumenti e delle diminuzioni
del patrimonio dell’azienda durante l’esercizio, in questo modo i conti di gestione dovevano
evidenziare soltanto le entrate e le spese che formavano già oggetto di bilancio.
Besta parla di mancanza di un’idea chiara del meccanismo della partita doppia, della natura e delle
esigenze di un’azienda.
Le critiche del Besta trovano conferma per il fatto che alcuni inconvenienti erano stati rilevati da
altri: Besta si riferisce esplicitamente ad una circolare (n.2, 24 novembre 1970) per precisare che
l’esecutivo di allora tentò di correggere i difetti della legge 22 aprile 1869.
Vengono descritti alcuni accorgimenti che le autorità dell’epoca applicarono per eliminare gli
inconvenienti della legge appena approvata. Ma Besta afferma testualmente "Simili espedienti non
bastarono a togliere gli intimi difetti del sistema dei conti adottato".
Le istruzioni del 1874 furono di fatto norme che migliorarono l’ordinamento contabile. Di seguito si
espongono sinteticamente alcuni elementi essenziali, passeremo in seguito ai difetti che furono
rilevati dal Besta.
In primo luogo, si fecero delle modifiche tecniche, e ci fu la presa di distanze da parte di Minghetti
all’erronea interpretazione della legge del 1869.
Venne puntualizzato un principio secondo il quale si erige la nuova normativa: l’amministrazione
dello Stato non forma un tutto indiviso, bensì un ordinato e complesso sistema di più
amministrazioni collaterali fra cui si ha la direzione del tesoro che fa un servizio di cassa a tutte le
altre, le quali amministrazioni devono coordinare i loro sforzi, e mantenere nella loro gestione unità
di indirizzo, conservando una loro indipendenza quasi piena, ed hanno quindi la necessità di
conoscere, tramite le loro scritture, quale sia il vero stato di quella parte del patrimonio nazionale
che amministrano. Besta richiama una delle differenze salienti tra questa normativa e quella del
1869, e dice che il concetto amministrativo a cui si richiama la vecchia normativa era tutt’altro: che
l’amministrazione dello Stato costituisce un tutto indiviso e che quindi non ci fosse nessuna
necessità che le registrazioni delle operazioni amministrative trovassero compimento in altri registri
che non fossero quelli della ragioneria generale.
Besta riteneva che il primo concetto fosse indiscutibilmente il più razionale.
Si segnalano di seguito quelle che sono a suo avviso i difetti della riforma:
Nei conti che concludono la contabilità di bilancio non sono distinti i fatti che riguardano i residui
di anni precedenti da quelli che si riferiscono alle competenze dell’anno in corso. Per rimediare a
questo inconveniente sarebbe bastato assegnare un conto ai "residui attivi" e un conto ai "residui
passivi" ai quali si sarebbe dovuto riferire, in occasione dell’apertura dei conti. Per lo stesso motivo
sembrerebbe opportuno adottare una seconda serie di conti agli " ordini di pagamento" (spese di
bilancio) e agli " agenti di riscossione" (entrate di bilancio), ma secondo Besta è sufficiente
introdurre nei conti già adottati due colonne interne, l’una per i resti e l’altra per le competenze
dell’anno.
Un altro appunto che si riferisce all’ordinamento dei conti è il seguente: non si pensò di distinguere
in essi i vari beni che fanno parte del patrimonio dello stato. Raccogliere tutti i beni in un conto
intitolato patrimonio dello stato elimina ogni chiarezza delle scritture. Si devono distinguere in
essi i beni che hanno un valore di cambio da quelli che per loro natura non sono alienabili
(questo è un concetto che F. Besta riprende più volte ed è probabilmente un elemento fondamentale
del bilancio patrimoniale). Si debbono, inoltre, distinguere i beni che costituiscono il patrimonio
fermo dello stato dalle scorte destinate a consumi e a nuove produzioni. Besta considera
quest’ultima distinzione fondamentale perché solo tramite questa suddivisione si può avere una
chiara idea della spesa: infatti, essa è costituita dai consumi effettivi e non dagli acquisti, nei quali
sono presenti anche le scorte e le rimanenze.
Fra i conti di gestione ne manca uno in cui raccogliere le rendite e le spese da imputarsi ad esercizi
futuri, ed anche per le rendite e le spese dell’anno due conti sono assolutamente insufficienti
affinché dalle scritture sintetiche si possano trarre retti criteri di amministrazione.
Come era stato anticipato la rivalità fra le due scuole principali (logismografici e patrimonialisti),
pur rappresentando una ricchezza dal punto di vista scientifico-culturale, non facilitò un dibattito
sereno.
Nel 1876 il Cerboni ricoprì l’incarico di Ragioniere generale dello Stato, nel 1977 venne approvato
il quadro di contabilità per le scritture, indicando la logismografia come metodo da adottare presso
la Ragioneria generale e vennero abrogate le precedenti istruzioni emanate con il decreto
ministeriale (4 settembre 1874). La logismografia fu applicata in alcuni uffici dell’amministrazione
pubblica, ma nonostante la caparbietà del Ragioniere generale, il metodo logismografico non fu mai
adottato in numerose ragionerie centrali, in particolare presso la Direzione generale del Tesoro si
continuò ad adoperare la partita doppia tradizionale. Già nel 1891 una circolare del Ministero del
tesoro ordinava la cessazione del predetto sistema scritturale presso le intendenze di finanza, che di
fatto furono gli ultimi uffici ad adottarlo. Senza entrare in questioni tecnico contabili, è bene
evidenziare che un così rapido cambiamento creò certamente un certo disorientamento. Addirittura
alcuni dei discepoli del Cerboni sostennero che il fallimento del suo metodo era la dimostrazione
dell’impossibilità di un’utile e funzionale adozione del sistema patrimoniale e della partita doppia
presso le amministrazioni centrali dello Stato. Tra tutti ricordiamo il Rossi, ma in parte anche il
Monetti che pur non essendo un allievo del Cerboni, argomentava la sua contrarietà all’adozione del
sistema patrimoniale e alla partita doppia sostenendo che i tentavi fatti fallirono, di questi ricordava
principalmente il sistema logismografico. Sempre il Rossi sosteneva che si poteva mutare il metodo,
ma non potevano aversi risultati migliori di quelli che la logismografia avrebbe potuto offrire.
Durante il mandato del Cerboni l’attività legislativa non si arrestò. E’ bene ricordare la legge del
Ministro Magliani, legge 8 luglio 1883 n. 1455. La legge coordinava i procedimenti di formazione
dei documenti finanziari alla tempistica parlamentare e mirava ad evitare il perdurare della prassi
degli esercizi provvisori. Successivamente fu approvato il Testo Unico con R.d. 17 febbraio 1884 n.
2016 che prescriveva, fra le altre cose, che il Ministro del tesoro redigesse l’inventario di tutti i beni
dello Stato. Il regolamento attuativo del 1885, dovendo dare esecuzione alla legge, si concentrò sul
problema delle spese eccedenti.
Questa non è la sede per dare un giudizio sulla logismigrafia, ma è certo che i dibattiti parlamentari
e gli scambi di opinioni fra i teorici della ragioneria evidenzino una rivalità troppo forte per poter
dare un contributo costruttivo alla produzione di un efficiente impianto normativo.
All’inizio del secolo le iniziative riformatrici di contabilità pubblica furono in gran parte promosse
dal Ministro Luigi Luzzatti. L’illustre statista diede incarico a Fabio Besta e a Pietro D’avilse ed al
Comm. Giovanni Forza, capo divisione alle scritture presso la Ragioneria generale, di studiare un
progetto per ripristinare la partita doppia nella contabilità dello Stato. I due studiosi, insieme al
funzionario della Ragioneria dello Stato completarono il loro lavoro nel 1904. Il progetto aveva
come riferimento principale la legge del 1874.
Quindi passarono circa trent’anni tra i provvedimenti regolamentari e lo studio per la loro effettiva
applicazione (1874-1904). Nonostante ciò, già pochi anni dopo (1908) il Ministro Carcano propose
l’abolizione della partita doppia presso gli uffici delle amministrazioni centrali. La proposta non fu
accolta perché di lì a poco si chiuse la legislatura, il disegno di legge fu ripresentato dal Ministro del
Tesoro F. Tedesco, ma non passò oltre la giunta del bilancio. Fu comunque una proposta isolata e
peraltro non fu assecondata neanche dalla dottrina.
Nel medesimo anno (1908) sulla Rivista di Ragioneria ed Economia Aziendale appare
un’interessante articolo di Ghidiglia, sullo stato delle scritture presso la Ragioneria generale (
scritture sintetiche) il quale precisa che le istruzioni di Besta erano quelle di limitare le scritture
complesse al solo sistema patrimoniale, poiché riteneva che per il sistema finanziario fossero
sufficienti le scritture elementari che tenevano conto, per ogni capitolo, delle successive fasi delle
singole entrate ed uscite per competenza e per residui. In ogni caso i funzionari della Ragioneria
generale ritennero opportuno riassumere in partita doppia anche le scritture finanziarie. In effetti,
non vi era un perfetto coordinamento tra le istruzioni del Besta e il D’alvise e la loro effettiva
applicazione, tanto che D’alvise, recandosi presso la Ragioneria generale, verificò che
l’ordinamento delle scritture finanziare non era stato predisposto secondo le indicazioni dei due
professori; dovette pertanto suggerire alcuni cambiamenti che poi furono effettivamente applicati.
Oltre alle perplessità del Ministro Carcano sfociate con una proposta per un’abolizione tout-court
della partita doppia, di cui peraltro non se ne evincono le motivazioni, se non quella di rendere
meno trasparente la materia dei conti pubblici; ancora una volta si verificano delle difficoltà di tipo
organizzativo e procedurale: si dovette aspettare una immenso lasso di tempo (1874-1904) per
arrivare a delle precise indicazioni operative dopo di che queste non vennero seguite alla lettera. A
verificarlo, come è stato accennato, sono gli stessi membri della commissione ministeriale.
Nel 1912 fu pubblicato il riassunto delle scritture della Ragioneria generale dello Stato, di cui era
cessata la pubblicazione poco dopo la soppressione della logismografia. A detta di alcuni il fatto è
estremamente importante. In effetti dopo molte polemiche, studi e lavori intorno al problema delle
scritture complesse presso lo Stato, questo fascicolo, finalmente, raccoglieva il giornale e il mastro
nella forma comune della partita doppia con le cifre riassuntive dell’intero esercizio.
Sempre nel medesimo anno Vittorio Baldassarri si esprime in modo estremamente favorevole
all’utilizzo della partita doppia. Tuttavia, ricorda che le scritture e in generale l’intero impianto
contabile della Ragioneria generale, avrebbero avuto soluzione migliore se fosse stato possibile
comprendere nelle scritture stesse, in corrispondenza dei movimenti che lo svolgimento delle
entrate e delle uscite di bilancio produce sul patrimonio finanziario, quelli che avvengono nel
patrimonio non finanziario che muta assiduamente per effetto dell’accertamento di dette entrate ed
uscite e per cause indipendenti dall’esercizio di bilancio.
Secondo l’autore questo non poté essere fatto perché si sarebbe imposto un radicale mutamento di
rapporti scritturali fra la Ragioneria generale e quelle delle amministrazioni centrali e,
conseguentemente, fra queste e gli uffici minori.
Come è stato detto la legge del 1923 non prescrive quale debba essere la forma o il metodo delle
scritture presso la Ragioneria generale dello Stato. Tale questione fu affrontata da Benedetto
Lorusso in occasione del XIII congresso nazionale dei ragionieri. Secondo lo studioso la normativa
( l’articolo 160 del nuovo regolamento di contabilità di Stato 23 maggio 1924), imponeva
implicitamente di riassumere le scritture generali dello Stato seguendo la regola della partita doppia.
"In quest’articolo, infatti, si diceva che i conti riassuntivi del patrimonio dello Stato debbono
mettere in evidenza le variazioni verificatesi della consistenza patrimoniale; e che queste variazioni
debbano riferirsi non soltanto alle varie classi di elementi patrimoniali, ma la stessa consistenza
globale del patrimonio, lo si rileva dal fatto che esse, come risulta dal citato articolo del
regolamento, sono quelle che potranno verificarsi sia per effetto della gestione del bilancio, sia per
qualunque altra causa. Consegue da ciò, che soltanto con l’applicazione della partita doppia è
possibile riassumere le dette variazione sotto tale duplice aspetto. La suddetta disposizione
regolamentare, a ben guardare, ha molta analogia con quella dell’articolo 22 del codice di
commercio, ove si dice che l’inventario si chiude col conto dei profitti e delle perdite, per cui si
consiglia ai commercianti la tenuta dei registri in partita doppia, poiché soltanto con questo metodo
si può facilmente ottemperare alla legge".
Ricapitolando, il metodo partiduplista definito nel lavoro del Besta e di D’avilse fu applicato per
pochi anni. In effetti si cominciò nell’esercizio 1905-1906 e secondo il parere dello stesso D’avilse,
già nel 1924 non era più applicato. Questa affermazione sembrerebbe contrastare con ciò che
sostiene il Monetti, secondo il quale nel 1926, la partita doppia era ancora utilizzata, ma con una
funzione del tutto teorica. A tale proposito, il Lorusso sostiene che le scritture mensili, in partita
doppia, erano già state abolite durante la prima guerra mondiale, ma presso la Ragioneria generale
erano ancora in vigore per la compilazione annuale dei Rendiconti generali dello Stato.
In ogni caso, dato che, D’avilse sostenitore dell’uso della partita doppia, afferma nel dicembre del
1931, che nel 1924 questo metodo non era più applicato "Tale ordinamento partiduplistico fu
burocraticamente applicato per una non breve serie di anni, ma non crediamo che, quando nel
novembre del ’24 se ne fecero gli elogi al XIII Congresso Nazionale dei Ragionieri, su proposta, se
non erriamo del Chiar.mo collega Prof. Benedetto Lorusso del R. Istituto Superiore (…) di Bari,
fosse ancora effettivamente in applicazione" ( Rivista Italiana di Ragioneria 31 Dicembre 1931), e il
Monetti, che di fatto ne era un oppositore, ricorda che l’ufficio incaricato di tenere il Giornale e il
Mastro era ridotto ai minimi termini e che le scritture complesse servivano per scopi puramente
teorici, si può senz’altro ammettere che, presso gli uffici centrali dell’amministrazione dello Stato,
negli anni venti l’applicazione della partita doppia ed in parte del sistema patrimoniale avevano uno
scopo meramente teorico.
A rafforzare questa tesi vi sono le affermazioni di Vito De Bellis e di Ettore Cambi, entrambi
ricoprirono la carica di Ragioniere generale dello Stato. Secondo De Bellis la lunga esperienza ha
ormai dimostrato che in una amministrazione come quella dello Stato, riescono più facili e
praticamente più utili le scritture elementari. Il successore di De Bellis, Ettore Cambi sostenne che i
metodi più noti e più sperimentati nelle imprese private male si addicono ai conti dello Stato e a
causa della complessità della materia amministrata rendono complicata e tardiva la resa dei conti.
Sempre secondo Cambi il sistema basato sulle scritture elementari è più idoneo anche di fronte a
eccezionali esigenze ed inoltre garantisce un facile adeguamento all’ampliarsi della gestione
dell’attività dello Stato. Un altro punto sul quale insisteva l’ex Ragioniere generale era che tramite
l’uso delle sole scritture elementari era più spedita la resa dei conti grazie alla quale l’Italia poteva
documentare i risultati finanziari con rapidità.
Anche sul piano strettamente accademico vi fu chi si dichiarò nettamente contrario al sistema
studiato da F. Besta e da P. D’alvise; S. Spinedi nel suo manuale di contabilità pubblica dopo una
sintetica descrizione del metodo adoperato fino agli anni 20, spiega i motivi della sua contrarietà
all’utilizzo delle scritture in partita doppia.
Per inciso, ricordiamo che questo autore scrive nel 1938, e riguardo al sistema Bestiano si esprime
in questo modo: "Anche questo ordinamento non ebbe molto fortuna e a poco a poco cadde in
disuso. Oggi la contabilità e tenuta a mezzo di scritture elementari e riepiloghi a prospetti staccati."
Nella parte conclusiva del capitolo, viene data qualche spiegazione del motivo per cui non si
dovrebbero tenere le scritture sintetiche presso l’amministrazione statale.
In prima battuta Spinedi ricorda che la Ragioneria generale dello Stato compila:
- Il progetto del bilancio di previsione,
- I provvedimenti di variazione al bilancio,
- Il rendiconto generale.
Secondo lui la Ragioneria generale non può seguire, giorno per giorno, tutte le mutazioni delle
scritture finanziare e di quelle patrimoniali, inoltre, il compito della Ragioneria generale è, di fatto,
un lavoro di riepilogo, di coordinamento, di raccolta statistica dei dati forniti dalle varie
amministrazioni e per questo lavoro non occorre nessun metodo contabile, (mi permetto di ricordare
che secondo il Besta è proprio questa la funzione delle scritture sintetiche: coordinamento e
riepilogo).
RAPPORTO DI RICERCA
I sistemi di scritture secondo la teoria Bestana.
Come è noto l’oggetto delle scritture è la ricchezza delle aziende. Il modo con cui si rileva tale
ricchezza può variare a seconda delle esigenze di chi assolve a tale funzione. La ricchezza di
un’azienda può essere verificata riferendosi ai mutamenti che, in tempo reale, determinano
variazioni nel patrimonio dell’azienda stessa, oppure è possibile far riferimento a tutti quegli atti di
controllo con i quali si presumono, si autorizzano e si limitano fatti che possono produrre variazioni
del patrimonio dell’azienda stessa. Nel primo caso, Besta dice che la ricchezza è rilevata
direttamente, l’oggetto immediato delle scritture è il patrimonio, perciò possono essere denominate
scritture patrimoniali. Nel secondo caso, le scritture si riferiscono alla fissazione delle entrate e alla
limitazione delle spese delle aziende dipendenti, siccome tali operazioni si fanno esclusivamente
per mezzo di stati o di bilanci di previsione, queste registrazioni possono dirsi scritture attinenti ai
bilanci di previsione.
Besta parla anche dei cosiddetti sistemi di scritture supplementari; questi, ad esempio, riguardano
titoli di credito di proprietà delle aziende, già evidenziati nelle scritture patrimoniali, ma che
temporaneamente sono affidati ad altri, come pegno a cauzioni di obblighi aziendali, oppure sono
semplicemente detenuti in custodia da terzi. Queste scritture possono riferirsi anche
all’amministrazione di patrimoni complessi, per esempio nel caso in cui vi siano aziende controllate
senza un separato organismo amministrativo.
Pertanto i sistemi di scritture sopra menzionati non si escludono vicendevolmente, anzi, in strutture
aziendali complesse, debbono essere considerati come complementari. Besta chiarisce tale concetto:
" Che importi comporre le scritture patrimoniali non è da dire; esse scritture […]tengono, fra quelle
che un’azienda qualsiasi può compilare, principalissimo posto. Ma non è meno palese l’importanza
delle scritture attinenti alla previsione o limitazione delle entrate e delle uscite. […] Né si può
revocare in dubbio l’utilità dei sistemi di scritture supplementari. Come si potrebbe prevedere in
tempo debito all’adempimento di impegni definiti assunti da noi e richiedere che altri soddisfaccia a
impegni contratti verso di noi, se di tali impegni non si tenesse ordinata memoria?"
Naturalmente per ordinare e riunire le scritture la ragioneria si serve dei conti; il conto, definito in
modo più dettagliato nel paragrafo seguente, è lo strumento che, in tutti i sistemi di scrittura, funge
da raccordo tra le singole scritture e il cosiddetto fondo.
Tutto ciò che viene contemplato nelle scritture si dice fondo, se l’oggetto delle scritture è l’intero
patrimonio si dice che il sistema è completo, tuttavia vi sono innumerevoli aziende che utilizzano
sistemi parziali, i sistemi parziali sono vari di natura e di estensione, secondo la parte del
patrimonio che ne forma l’oggetto. Ad esempio, in molte aziende le scritture hanno per oggetto il
solo patrimonio mobile, "molti negozianti e molti proprietari agricoltori, notano bensì con somma
cura tutti i mutamenti che van rilevando nel valore del denaro, delle mercanzie, delle scorte, dei
debiti e dei crediti, di quella parte del patrimonio insomma che va con assidua vicenda
rinnovellandosi, ma non si curano di rilevare le mutazioni di valore che avvengono nelle case, negli
edifici di ogni sorta…". Come sintetizza Besta questo tipo di sistema esclude la parte stabile e
permanente del patrimonio.
Infine, Besta ricorda che nella maggior parte delle aziende domestiche non si tiene conto che
dell’entrata e dell’uscita di denaro, e quindi si applica un sistema di scrittura di pura cassa.
Sembrerebbe quindi, che secondo il Besta le scritture per cassa siano concettualmente opposte alle
scritture di competenza, ma per motivi diversi sono anche insufficienti i sistemi di scrittura
patrimoniali compiuti. Inoltre, da come vengono descritti i diversi sistemi di registrature il sistema
patrimoniale è inscindibile dalle scritture per competenza.
Le aziende pubbliche adottavano un sistema misto, si tenevano distinte le scritture che riguardavano
quella parte del patrimonio, a cui direttamente si riferivano le autorizzazioni di bilancio, da quelle
che concernevano la rimanente porzione. Le prime si chiamavano scritture del patrimonio e le altre
scritture finanziarie.
Riassumendo il pensiero del Besta: tutte le aziende devono considerare i sistemi di scrittura
patrimoniali, le scritture attinenti il bilancio di previsione e se il caso lo richiede debbono adottare
opportuni sistemi di scritture supplementari. Delle scritture patrimoniali si è già discusso; le
scritture attinenti il bilancio di previsione hanno per oggetto un cumulo di previsioni che debbono
ancora accadere. Se tale cumulo di previsioni comprende tutte quelle del bilancio il sistema è
compiuto, altrimenti si dice parziale.
I sistemi di scritture supplementari si riferiscono a: titoli di credito altrui che si hanno in consegna a
cauzione di obbligazioni od impegni definiti assunti da altri, a beni mobili ricevuti da altri affinché
siano custoditi, carte o titoli di credito avuti da terzi in deposito per la semplice custodia e infine,
effetti cambiari altrui ricevuti per l’incasso.
Di seguito verranno specificati alcuni dei concetti ai quali si è accennato:
- Definizione e funzione dei conti.
- Differenza tra Bilanci di cassa e bilanci di competenza.
Definizione e funzione dei conti
Più volte Besta si sofferma sul numero di conti e sul loro utilizzo all’interno di un determinato
sistema contabile, per questo sembra utile riportare le sue opinioni in merito alla funzione e allo
scopo dei conti.
Il conto può definirsi come "una serie di scritture riguardanti un oggetto determinato,
commensurabile e mutabile, e aventi per ufficio di serbar memoria della condizione e della misura
di tale oggetto in un dato istante e dei momenti che va subendo, in maniera da poter rendere ragione
dello stato di codesto oggetto in un tempo quale si voglia"
Besta ci ricorda che, al tempo, pressoché tutti gli autori erano concordi nel definire un conto come
un insieme di scritture, le differenze scaturiscono al momento di definire e di limitare tale insieme.
Secondo Besta qualsiasi tipo di limitazione sarebbe superflua o vaga, tanto che critica fortemente le
proposte avanzate da altri autori, i quali affermavano che l’insieme delle notazioni contenute in un
singolo conto dovessero produrre effetti omogenei. A tale riguardo, egli pone la seguente domanda:
in quale aspetto debbono contemplarsi gli incassi e i pagamenti, le cui notazioni devono riunirsi in
un solo conto perché i loro effetti possano dirsi omogenei? Per questo, Besta taglia corto e dice "Si
classificano le scritture nei conti perché si giudica utile tale classificazione: ecco tutto."
Dal punto di vista numerico sembra che Besta proponga un sistema al quanto discrezionale, di fatti
egli ricorda che non ci sono criteri oggettivi nella determinazione del numero dei conti. I conti da
accendersi nelle singole aziende sono tanti quante sono in essa le cose che possono formarne
utilmente l’oggetto. "Possono dirsi razionali quei metodi soltanto che permettono di aprire e tenere
accesi tutti quei conti che danno notizie utili per la migliore e più corretta gestione dell’azienda, né
più né meno di essi. Io pongo questo metodo di per se stesso così ovvio come fondamento alla
teoria de’ metodi di registrazione."
L’oggetto al quale si riferiscono i conti stessi è un’insieme più vasto, e Besta si riferisce a questo
denominandolo fondo. La forma e i contenuti del fondo variano a seconda del tipo di scritture che si
adottano. Ad esempio se si utilizzano delle scritture patrimoniali compiute, tale fondo comprende
l’intero patrimonio dell’azienda. Nelle scritture patrimoniali incompiute il fondo descrive più
semplicemente una porzione del patrimonio. Nelle scritture generali del bilancio di previsione è il
cumulo delle annotazioni, di cui per quanto s’attiene all’entrata e alla uscita, gli amministratori
possono, a partire di un determinato momento e per un dato lasso di tempo, usare.
Differenza tra Bilanci di cassa e bilanci di competenza.
L’autore nel testo "la Ragioneria" elenca i pregi e i difetti di entrambi i sistemi di registrazione. I
fautori dei bilanci di cassa sostengono che questi sono più facili da compilare e da comprendere,
che sono più utili in quanto agli amministratori importa sopratutto sapere su quale somma di denaro
potranno fare affidamento nei tempi a venire.
Besta non contesta questi due pregi dei bilanci di cassa, infatti, riguardo al secondo punto, ricorda
che è più facile riscontrare preventivamente e vincolare gli incassi e i pagamenti. Comunque, per
Besta, ciò non basta a dimostrare che i bilanci di cassa sono migliori di quelli di competenza per
rendere efficace il controllo che si vuole esercitare sugli amministratori. Secondo la sua opinione,
gli incassi e i pagamenti sono fatti più incerti e pertanto più difficili da prevedere che le rispettive
competenze. Nella pratica non avviene mai un incasso senza che sia stato accertato e liquidato il
credito, similmente, non si procede ad un pagamento se non dopo averne contratto l’impegno.
Pertanto incassi e pagamenti hanno tutte le incertezze che sono proprie delle competenze, e hanno
per giunta tutte quelle altre incertezze che dipendono dal diverso grado di puntualità dei debitori;
siccome chi amministra non può trovarsi nella condizione di non poter eseguire i pagamenti per
mancanza di fondi, sono spesso costretti a presumere le riscossioni in misura più ristretta, e i
pagamenti in misura più larga di come effettivamente si verificheranno: l’efficacia del bilancio
come freno diminuisce.
Oltre a ciò, Besta pensa che sia un errore credere che un bilancio di competenza renda più difficile e
in ogni caso meno compiuto il riscontro sulla gestione: " osservo solamente che è possibile un
secondo riscontro sui movimenti di cassa; cosicché potranno sempre impedirsi i pagamenti quando
non mirino ad estinguere debiti reali debitamente assunti nei limiti segnati innanzi. Ed è manifesto
ad ognuno che tale doppio riscontro deve necessariamente essere più compiuto e più efficace di
quanto possa riuscire la sola sua seconda parte."
LA CONTABILITA’ PATRIMONIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI,
APPLICAZIONE DELLA LEGGE 22 APRILE 1869.
Specificità del patrimonio delle pubbliche amministrazioni.
Con la legge 22 aprile 1869 si voleva dare nuovo ordine e nuova forma alla contabilità di Stato, in
particolare, Besta sottolinea che l’obiettivo di tale riforma era quello che i " risultamenti della
pubblica gestione si desumessero dalla considerazione di tutta la ricchezza dello Stato"; l’autore
insiste sulla necessità di valutare il patrimonio di tutte le pubbliche amministrazioni, per questo
motivo considera buoni, almeno in via teorica, i principi fondanti la nuova normativa.
E’ indispensabile ricordare che il patrimonio delle pubbliche amministrazioni, pur comprendendo
elementi attivi e passivi assimilabili a quelli delle altre aziende, può avere delle caratteristiche
singolari, ad esempio nel testo "La Ragioneria" si precisa che "il demanio pubblico dello Stato e i
beni di uso pubblico dei comuni, delle province e dello Stato stesso formano parte del loro
patrimonio inteso in senso lato, ma , generalmente, non si tenta di computarne il presunto valore
nella ricerca del patrimonio netto".
Nelle aziende private tutti i beni che hanno un valore sono componenti del patrimonio mentre nelle
pubblica amministrazione. la determinazione del patrimonio è molto dibattuta. Nelle aziende private
il proprietario non ha impedimenti ad alienare tutto ciò che non è produttivo e nessuno può forzarlo
a custodire beni che non fruttino vendite, mentre, dietro la aziende pubbliche vi è il pubblico, che
s’avvicenda, ma non muta nella sua natura, rimane con le sue esigenze e i suoi bisogni, i beni delle
pubblica amministrazione. mirano al soddisfacimento di tali bisogni, tuttavia, tali beni non possono
vendersi finché dura la loro ragione di essere, anzi risultano onerosi. Per questo la valutazione dei
beni pubblici può rimanere arbitraria, la motivazione è dovuta al fatto che nelle pubbliche
amministrazioni vi è un "indole peculiare di quei beni d’uso pubblico che non hanno valore di
cambio".
Proprio per i compiti che sono assegnati alle pubbliche amministrazioni vi è la necessità di
mantenere beni "d’uso pubblico" che come vedremo, spesso sono per loro natura onerosi per lo
stato. Per chiarire il pensiero dell’autore riporto un’altra affermazione: "Anzitutto devono
distinguersi sugl’inventari e sui bilanci patrimoniali i beni che danno rendita all’azienda da quelli
che, sebbene siano di pubblica utilità nonché aumentare le sue entrate le scemano forzandola a
spese di manutenzione e custodia."
L’autore dice che i beni della prima categoria vengono generalmente classificati in beni produttivi e
quelli della seconda in improduttivi, egli contesta fortemente questa classificazione preferendo per i
primi la denominazione capitali di rendita e per i secondi beni d’uso pubblico.
Un altro tipo di problema riguarda il calcolo delle quote di svalutazione dei beni del patrimonio
statale, infatti, sia che appartengano alla prima o alla seconda categoria la loro valutazione risulterà
difficoltosa, per l’immensa vastità e peculiarità dei beni che appartengono allo Stato.
Riassumendo, il patrimonio dello Stato è costituito da beni comuni a qualsiasi azienda privata e da
beni d’uso pubblico che possono avere o meno un valore di cambio.
Dal punto di vista contabile dovrebbero essere inseriti nel patrimonio, con una netta distinzione, sia
i beni d’uso pubblico che i capitali di rendita. Tuttavia, tra i beni d’uso pubblico, quelli che non
hanno un valore di cambio, sarebbero soggetti a valutazione aleatorie e discrezionali, pertanto, non
dovrebbero far parte dello stesso raggruppamento.
Senza dubbio, l’amministrazione dello stato, pur essendo concettualmente assimilabile
all’amministrazione delle aziende private, presenta degli ostacoli caratteristici. In questa sede
interessa il controllo che è uno dei momenti dell’amministrazione economica, le registrazioni e più
in generale la materia contabile, sono compresi in quest’ultima fase dell’amministrazione
economica. Come si è detto vi è la necessità di distinguere i beni d’uso pubblico dai capitali di
rendita, (del resto questo distinzione giova a ricordare agli amministratori quali sono i beni
potenzialmente alienabili), si deve aprire una contabilità specifica per quei beni di uso pubblico a
cui non corrisponde un valore di cambio, spesso, mancano le competenze necessarie per applicare la
partita doppia e i bilanci di competenza, infine, la valutazione delle quote di ammortamento dei beni
pubblici è complessa per l’estrema varietà del patrimonio statale e rimarrà probabilmente insoluta
per i beni a cui non corrisponde un valore di cambio.
Per via di tutte queste difficoltà l’autore non è convinto che in tutte le pubbliche amministrazioni sia
possibile esprimere la totalità delle loro ricchezze, come risultante di passività e di attività. "Per
tutte queste ragioni io non so indurmi a convenire nella sentenza che come tutte le grandi società
anonime così in tutte le aziende pubbliche i conti hanno da estendersi a tutta la ricchezza, di tutta
rappresentarne la grandezza mercé di un numero solo"
A questo punto, si può definire qual è la porzione del patrimonio oggetto delle scritture e dei conti
finali: " Secondo il mio giudizio, il fondo patrimoniale che nelle aziende pubbliche ha da essere
oggetto delle scritture e dei conti finali deve comprendere tutta la ricchezza loro che valore di
cambio e determinabile con sufficiente esattezza. Laonde deve comporsi non solamente della
ricchezza, che per effetto della gestione si rinnova, come sarebbe adire del denaro e dei materiali,
delle scorte, dei redditi di competenza attivi e passivi, di tutto ciò insomma che costituisce il
capitale circolante, ma ancora di quella porzione di patrimonio ferma e permanente che non è per
sua natura inalienabile, dei crediti, debiti fluttuanti, redimibili e consolidati."
Quindi si dovrebbero escludere, dalla valutazione del patrimonio delle pubbliche amministrazioni,
tutti quei beni che non possiedono un valore di cambio.
Un altro punto, sul quale l’autore insiste, è la classificazione delle entrate a le spese. Questo
argomento è strettamente legato alla valutazione patrimoniale dei beni dello Stato. In effetti, alcuni
accorgimenti contabili sono indispensabili per un efficace controllo amministrativo sui bilanci
pubblici. Una delle questioni più importanti nella classificazione delle entrate e delle spese, è quella
per la quale esse si considerino in relazione al patrimonio per gli effetti che su di esso producono,
Besta ricorda che è un bene che nei bilanci di uno stato siano separati tra le entrate e le spese quelle
che sono rendite e quelle che sono spese vere (si usava anche la terminologia entrate per le prime,
e spese effettive per le seconde). Sintetizzando, basta ricordare la differenza per le uscite per
l’estinzione di debiti, per accensioni di crediti, per l’acquisto di beni, o per le spese per il pagamento
di interessi di stipendi e simili. Per alcune di queste il patrimonio non scema, ma muta nella forma,
per altre vi è una sostanziale riduzione della ricchezza dello Stato. Lo stesso concetto è esprimibile
facendo riferimento alle entrate. Pertanto sarà molto utile una distinzione fra queste due classi di
entrate e di spese. In Italia e in molti altri bilanci esteri le entrate si raccolgono in un solo prospetto
di bilancio e le spese in tanti quanti sono i ministeri; Besta sembra apprezzare questa distinzione,
ma aggiunge che tra tutti i criteri secondo i quali si vuole fare la classificazione delle spese e delle
entrate, la massima importanza deve essere attribuita al rapporto tra esse e il patrimonio dello Stato.
Come è stato detto gli effetti sul patrimonio non sono indipendenti dalla categoria delle singole
spese.
Pertanto nell’unico stato di previsione per l’entrata figureranno:
Le rendite vere, effettive (le imposte storiche approvate da leggi, le
rendite temporanee ugualmente approvate per legge, le rendite annuali da
autorizzarsi con la legge del bilancio).
-
Le entrate per il movimento o giro di capitali
Le entrate di giro ( Ossia quelle a cui corrispondono uguali spese nei
ministeri o dicasteri passivi quando la legge non consenti di non tenerne
conto)
Parimenti, riguardo all’uscita in ciascun stato di previsione parziale si porranno:
Le spese vere effettive ( le spese permanenti approvate per leggi, le
spese temporanee sempre approvate tramite legge, le spese annuali limitate
solamente della legge di bilancio, le quali possono distinguersi in ordinarie o
straordinarie)
Le uscite di giro di capitali ( esponendo prima quelle approvate da
leggi poi quelle che soltanto la legge di bilancio può autorizzare).
-
Le uscite di giro che corrispondono alle entrate di giro.
La legge del 22 aprile 1969
Nel 1852 il Cavour presentò alla Camera un disegno di legge sull’amministrazione centrale e la
contabilità dello Stato. Si tentava essenzialmente di promuovere un’organica riforma delle norme
esistenti. La proposta fu approvata (legge 23 marzo 1853 n. 1483); successivamente a questa si
aggiunsero altri due provvedimenti (legge n. 3746 e legge 3747 del 1859). Dopo l’Unità d’Italia, per
poter semplificare ed uniformare in tutto il Regno le disposizioni in materia di contabilità di Stato, il
Minghetti ed il Sella si fecero promotori di nuovi provvedimenti. Il regio decreto n. 1628 del 1863,
voluto dal Minghetti, non risultò idoneo a semplificare ed a snellire le procedure amministrative,
perciò lo stesso Ministro propose un nuovo disegno di legge che tuttavia non fu approvato. Il
progetto del Sella era di per sé innovativo, ma non conseguì l’approvazione del Parlamento; si
basava sul sistema inglese e non presentava gli aspetti pratici e regolamentari che devono
caratterizzare questa materia.
Lo sforzo compiuto dai legislatori aveva contribuito a migliorare le leggi esistenti, soprattutto sotto
il profilo dell’uniformità della gestione finanziaria, tuttavia restava il problema del controllo sulla
gestione del denaro e del patrimonio dello Stato.
La prima importante riforma in materia di contabilità di Stato dopo l’unificazione è senz’altro la
legge n.5026 del 22 aprile 1869. Questa trova fondamento nel disegno di legge presentato dal
Ministro delle finanze Cambray Digny il 4 febbraio 1868.
Il primo tentativo per rendere il sistema contabile del paese più efficiente fu compiuto tramite
alcune innovazioni apportate da questa riforma. Ricordiamo due elementi che condizioneranno
qualsiasi dibattito futuro in materia di contabilità di Stato: la creazione di un istituto finalizzato a
rilevare, elaborare e presentare al Governo e ad altri organi (Ministero del Tesoro Corte dei Conti)
le risultanze della gestione finanziaria dello Stato. Perciò il disegno di legge proponeva l’istituzione
della Ragioneria Generale. Il secondo elemento era l’obbligatorietà dell’utilizzo della partita doppia
per la compilazione dei registri contabili.
Fabio Besta afferma che tramite la proposta del ministro delle finanze ci si avvicina allo schema che
egli aveva in mente. In ogni caso pur essendo un progetto fondato su di un conto patrimoniale,
Besta non si esprime positivamente: "Non si può dire, tuttavia che tanto nel definire i confini del
conto, quanto nel determinare la materia del bilancio, non abbia lasciato sussistere qualche
incertezza".
La legge del 22 aprile 1869 n. 5026 prescriveva tassativamente l’applicazione della partita doppia
alle scritture della Ragioneria generale e della direzione generale del tesoro, mentre il regolamento
4 settembre 1870 per l’amministrazione del patrimonio dello Stato e della contabilità generale
imponevano l’adozione della partita doppia anche alla ragioneria delle amministrazioni centrali,
delle intendenze di finanza e degli altri uffici provinciali e compartimentali. La circolare del 20
settembre del 1870 diede un primo ordinamento secondo le disposizioni della nuova legge.
Besta critica la proposta non tanto nelle intenzioni ma nella incapacità di adempiere ad una funzione
che giudica importante. Ricorda, infatti, che Cambray Digny aveva voluto prescrivere un bilancio di
accertamenti; ma i contenuti di alcuni articoli, che di seguito riprenderemo, tendono piuttosto ad un
bilancio di cassa.
L’autore ricorda che nella proposta in questione sono meglio definiti gli elementi del conto
consuntivo, sebbene anche in questo caso non si possa dire che il suo svolgimento sia preciso.
Besta giudica la parte che si riferisce alla materia del bilancio e del conto la meno corretta. In primo
luogo la legge prescriveva che per ciascun anno il parlamento dovesse votare stati di prima
previsione e in seguito un bilancio definitivo che li rettifichi. Gli elementi del conto consuntivo
sono indicati nell’articolo 65, dove Besta ne critica fortemente il contenuto. Ed afferma che in
quest’articolo la forma del rendiconto patrimoniale è ben lontana dall’essere strettamente definita,
tuttavia ricorda che proprio in virtù di questo e degli articoli precedenti si poteva dedurre che il
bilancio dovesse prevedere e autorizzare accertamenti e non soltanto semplici operazioni di cassa.
Tuttavia l’art. 24 prescriveva degli ordini differenti, infatti, Besta dice "Dal testo di tale articolo e da
varie frasi che si trovano in vari punti della legge si volle desumere che il bilancio dovesse essere di
cassa".
Esaminando la vicenda Besta ricorda che Cambray Digny voleva un bilancio di accertamenti ed un
conto patrimoniale, ma egli incorse nell’errore di credere che un sistema che imponeva l’obbligo
dell’utilizzo della partita doppia fosse inseparabile da un sistema di contabilità a conti strettamente
patrimoniali. Quindi, un’interpretazione scorretta di un metodo di registrazione ha contribuito a
rendere la legge incerta, e la sua applicazione erronea.
In effetti Besta ricorda, ancora una volta, che era il legislatore a volere un bilancio di accertamenti e
una contabilità che si estendesse a tutto il patrimonio dello stato, che di fatto si tradusse nei primi
anni in un bilancio di cassa ed un conto patrimoniale che non poté dirsi compiuto.
Quintino Sella fu il primo ministro che ebbe l’incarico di applicare la nuova normativa.
Paradossalmente durante la discussione alla camera fu uno dei più accaniti oppositori, perciò
nell’applicare la legge cercò comunque di propugnare il proprio concetto ideale che aveva della
materia del bilancio dello Stato; fu così che tentò di mirare ad un sistema di bilancio di cassa.
Nel bilancio definitivo non ci fu una fedele e regolare applicazione della normativa, in effetti, la
relazione di presentazione richiamava alcune presunte contraddizioni della legge stessa, in
particolare si insisteva sull’incoerenza dell’art. 24 e gli art. 25 e 26; Besta esamina lungamente la
questione, e asserisce che la legge fu male interpretata e a suo avviso c’erano molti errori negli
apprezzamenti contenuti nella relazione del Ministro delle finanze.
Elementi critici sull’applicazione della partita doppia alle scritture delle aziende centrali (il
regolamento applicativo).
Se da una parte vengono apprezzati i propositi della Cambray Digny pur tuttavia contestandone la
forma e la chiarezza, si critica duramente il regolamento applicativo.
Ricordiamo, come sempre, il Besta: "Le istituzioni 20 ottobre 1970 che ho riassunto segnano un
primo passo nell’applicazione della partita doppia alla contabilità dello Stato, e non può proprio
dirsi che questo primo passo sia stato felice." Ma come vedremo gli stessi legislatori furono costretti
ad adottare dei provvedimenti correttivi.
Viene ricordato che lo spirito della riforma si basava su di un concetto erroneo, e cioè che in un
razionale e ben ordinato sistema di contabilità di stato e di bilancio di previsione, le entrate e le
spese di bilancio dovessero abbracciare nulla più e nulla di meno degli aumenti e delle diminuzioni
del patrimonio dell’azienda durante l’esercizio, in questo modo i conti di gestione dovevano
evidenziare soltanto le entrate e le spese che formavano già oggetto di bilancio. Besta ricorda che
un simile concetto era stato espresso dall’allora Ministro delle finanze (Cambray- Digny).
Besta parla di mancanza di una idea chiara del meccanismo della partita doppia e della natura e
delle esigenze di un’azienda. E ricorda, ad esempio " Mentre si dice che in ogni amministrazione
centrale il conto – entrate- che è conto di gestione, nel bilancio che vanno effettuandosi e svolgersi
in tanti sottoconti, quanti sono i capitoli che riguardano l’amministrazione stessa, si ordina che dove
le entrate vere e proprie figurano, com’è razionale in avere, le entrate di bilancio provenienti da
vendite di beni appaiono in dare. Così si commisero due errori: non si raccolsero in una sola parte di
un conto tutte le entrate di bilancio, e si scrissero in conto gestione, e in dare, a diminuzione delle
rendite, somme che non rappresentano punto diminuzione di patrimonio."
Viene rafforzata la critica ricordando che simili inconvenienti erano stati rilevati addirittura dagli
stessi legislatori, ci si riferisce in particolare ad una circolare (N.2, 24 novembre 1970) con la quale
l’esecutivo di allora tentò di correggere i difetti del regolamento applicativo del 20 ottobre.
Vengono descritti alcuni accorgimenti che le autorità dell’epoca applicarono per eliminare gli
inconvenienti della legge appena approvata. Ma Besta testualmente dice "Simili espedienti non
bastarono a togliere gli intimi difetti del sistema dei conti adottato." E continua " Il concetto che i
conti – entrate- e –spese- dovessero indicare ad un tempo gli aumenti e le diminuzioni vere del
patrimonio, e le entrate e le vendite di bilancio, aveva necessariamente portato alla conclusione che
si dovessero registrare i crediti e i debiti dello Stato non già quando venivano accreditati e liquidati
in una somma determinata e sicura, ma solamente quando giungevano alla scadenza per la sola
parte scaduta, se il credito e il debito doveva estinguersi in rate"
Opinioni di Besta in merito ai conti e ai bilanci dello Stato
" Fra le più ardue ed importanti questioni attinenti alla contabilità dello stato vi è questa, di
determinare quali sono i fatti amministrativi ai quali deve accennare il bilancio e il conto di un anno
finanziario: ossia quali ne sono gli elementi, e come suole anche dirsi, quale la materia."
Prima di tutto Besta scansa un equivoco: il fatto di credere che il conto finale relativo ad un
determinato esercizio debba riguardare tutti i fatti a cui si accenna nel bilancio di previsione di quel
esercizio e solamente a quelli; insomma si commette l’errore che questo debba essere il bilancio
rettificato.
Il rendiconto di uno stato si compone essenzialmente di due parti per loro natura essenzialmente
diverse. La prima riguarda la gestione dell’intero patrimonio pubblico e deve dimostrare quale era il
montare al principio dell’anno, quali le mutazioni che subì durante l’esercizio e infine quale la
consistenza finale di esso. La seconda parte considera la gestione nei riguardi del bilancio di
previsione e deve dimostrare in quale misura si siano verificate le previsioni che si erano fatte o
meglio quale uso si sia fatto delle autorizzazione che si erano ricevute.
Naturalmente la forma della prima parte varia a seconda se si utilizzi un sistema di scritture
patrimoniali completo o parziale, la seconda parte dipende dalla natura del bilancio di previsione e
dalla durata dell’esercizio.
In seguito Besta individua alcuni ostacoli all’applicazione del metodo patrimoniale alla contabilità
dello Stato, in primis la sconfinata estensione dell’amministrazione e la moltitudine dei fatti da
considerare, in secondo luogo la distanza dei luoghi in cui accadono tutti i fatti amministrativi
rendeva molto lenta la trasmissione delle notizie, infine, ricorda la natura speciale di certi elementi
patrimoniali: quelli inalienabili e quelli senza un "valore di cambio". Tutte queste difficoltà
determinano una serie di argomentazioni per coloro che osteggiano l’applicazione delle scritture
con il metodo a conti patrimoniali.
Besta riporta una serie di osservazioni fatte da chi avversa il metodo patrimoniale e cita quelle che
secondo lui hanno un qualche peso, e naturalmente sono quelle che riguardano la variazione di
valore dei beni di uso pubblico, le quali possono avere o meno un valore di cambio. Sulle altre
argomentazioni Besta si esprime in questo modo "[…] le altre, procedono da menti che mostrano di
non avere né un adeguato concetto dei bisogni di un’amministrazione, né un’ampia fiducia nella
percettibilità dei sistemi di scrittura, per confutarle vittoriosamente."
Un altro problema riguarda la determinazione dell’ammontare del conto del tesoro. Il conto del
tesoro deve dimostrare a quanto ammonta il danaro al principio dell’anno e quanto alla fine, ma
Besta precisa che il denaro dello stato non è soltanto quello che si trova a disposizione di chi
presiede al tesoro, ma anche quello che gli agenti di riscossione hanno ricevuto dai contribuenti, e
quello temporaneamente affidato ai funzionari per i pubblici servizi. Besta, comunque conclude che
per problematiche legate ai tempi di presentazione del bilancio, il conto del tesoro deve limitarsi a
dimostrare quale era la somma presente all’inizio dell’anno a disposizione di chi presiede il servizio
del tesoro, quali furono le somme che si aggiunsero, quali quelle che si tolsero ed infine quale era il
fondo a disposizione alla fine dell’anno.
Anche la fissazione dei limiti della contabilità del patrimonio può presentare alcune difficoltà. Il
conto delle finanze comprende il conto del tesoro, il conto delle materie e delle scorte destinate al
consumo e conservate nei magazzini, i beni mobili che non siano scorte o denari, gli immobili i
debiti e i crediti non compresi nel conto delle finanze, le varie classi di spese e di rendite di utili e di
danni. La logica è sempre la stessa, i conti subalterni relativi agli elementi patrimoniali devono
dimostrare la loro consistenza nei due momenti che segnano il nascere e lo spegnere dell’anno
finanziario, e le variazioni che sono avvenute durante questo periodo. I conti delle rendite e delle
spese devono dimostrare le variazioni del patrimonio avvenute durante l’anno.
Nel passare dalla teoria alla pratica si incontrano molti problemi, i primo luogo si deve decidere
quali sono i beni mobili ed immobili che saranno oggetto di valutazione nel patrimonio dello stato,
in particolare, ci si pone la domanda se i beni che non sono di uso pubblico possano essere esclusi
dalle registrazioni. La questione è controversa, e comunque, una volta risolta, resta il problema di
quali debbano essere i criteri di valutazione per tutti i beni. Besta è convinto che una simile
questione non possa essere risolta tramite una legge o con regolamenti, secondo lui sarebbe
preferibile affidarsi al criterio amministrativo degli impiegati che hanno l’incarico di rilevare le
singole variazioni patrimoniali. Comunque si dovrà sempre seguire un’indicazione generale,
fungibile per qualsiasi amministrazione, il conto patrimoniale dovrà epilogare tutte le variazioni che
durante l’anno finanziario sono state registrate nelle scritture.
La Riforma del 4 novembre 1874.
Principi della riforma.
Con il decreto ministeriale n. 7699 del 4 novembre 1874 firmato dal Ministro delle finanze
Minghetti vennero sanciti nuovi principi regolamentari per la contabilità di Stato. Queste istruzioni
sono quanto mai importanti, sono infatti, quelle su cui si fondarono gli studi promossi dal Ministro
Luigi Luzzatti nel 1904.
Il decreto apportò delle modifiche tecniche, ma ci fu anche la presa di distanze da parte di Minghetti
dall’erronea interpretazione della legge (Cambray Digny).
Nei prospetti esplicativi non si dava una sufficiente spiegazione del modo con cui si ottenevano le
somme che dovevano reputarsi come previsione ed autorizzazione definitive, e che non erano
distinte le competenze dell’anno dalle variazioni che ad esse si portavano ai residui, per eliminare
simili inconvenienti si cambiò la forma dei prospetti esplicativi, i quali dal 1874 al 1877 compreso,
furono compilati da moduli illustrati dall’autore.
Ricordiamo brevemente la relazione esplicativa della legge dove sono illustrati i principi che
ispirarono la riforma.
La contabilità dello stato deve:
A)
Raccogliere nei suoi registri tutte indistintamente le attività e le passività
dello Stato
B) Registrare i fatti avvenuti relativamente all’esercizio, sia in rapporto al bilancio
che al patrimonio
C)
Tener dietro alle trasformazioni dei valori, ed al conseguente debito dei
consegnatari responsabili.
D) Presentare la situazione del patrimonio al principio e alla fine dell’anno.
E)
Offrire i dati per la compilazione del rendiconto generale consuntivo da
presentarsi annualmente al parlamento.
Di seguito si riportiamo uno schema delle struttura della nuova legge.
1)
La prima parte comprende nozioni generali
2)
La seconda contiene le norme per la registrazioni
3) L’ultima riguarda i documenti che le ragionerie speciali debbono
trasmettere alla ragioneria centrale.
Besta apprezza la nuova riforma, in effetti, ne parla come di "una riforma in molti punti felice". In
seguito ne analizza la struttura punto per punto:
In primo luogo Besta elogia il fatto che la riforma abbia "sciolto il problema di tenere in una
contabilità strettamente patrimoniale al tutto divisi e distinti dagli altri fatti di gestione che hanno
attinenza con il bilancio di previsione, problema di primaria importanza in un’amministrazione
pubblica. A tale intento servono i conti "debitori/creditori di fronte al bilancio di previsione" "agenti
di riscossione" "ordini di pagamento" sviluppati in relativi sottoconti per capitolo."
Ad esempio il conto "debitori di fronte al bilancio" presenta in dare le somme dovute allo stato, in
avere le somme riscosse, al saldo i residui per somme scadute e non riscosse.
L’autore ricorda che in tal modo i conti "entrate" e "spese" opportunamente completati col conto
"variazioni patrimoniali" sono diventati veri conti di gestione destinati a raccogliere i veri aumenti e
le vere diminuzioni del patrimonio dello stato.
Viene apprezzata la divisione del "conto funzionari delegati", come la distinzione dei conti "debitori
di fronte il bilancio"che permise che si tenesse sugli altri due conti "debitori diversi e creditori
diversi" nota dei crediti accertati ma non ancora pervenuti alla loro scadenza.
A questo punto evidenziamo il principio secondo il quale si erige la nuova normativa:
l’amministrazione dello stato non forma un tutto indiviso, bensì un ordinato e complesso sistema di
più amministrazioni collaterali fra cui si ha la direzione del tesoro che fa un servizio di cassa a tutte
le altre, le quali amministrazioni devono coordinare i loro sforzi, e mantenere nella loro gestione
unità di indirizzo, conservando una loro indipendenza quasi piena, ed hanno quindi la necessità di
conoscere, tramite le loro scritture, quale sia il vero stato di quella parte del patrimonio nazionale
che amministrano. Besta richiama una delle differenze salienti tra questo regolamento e quello del
1870, e dice che il concetto amministrativo a cui si richiama la vecchia normativa era tutt’altro: che
l’amministrazione dello stato costituisce un tutto indiviso e che quindi non ci fosse nessuna
necessità che le registrazioni delle operazioni amministrative trovassero compimento in altri registri
che non fossero quelli della ragioneria generale.
Besta riteneva che il primo concetto fosse indiscutibilmente il più razionale.
Di seguito segnaliamo alcuni difetti della riforma:
- Nei conti che concludono la contabilità di bilancio non sono distinti
i fatti che riguardano i residui di anni precedenti da quelli che si
riferiscono alle competenze dell’anno in corso, per rimediare a questo
inconveniente sarebbe bastato assegnare un conto ai "residui attivi" e
un conto ai "residui passivi" ai quali si sarebbe dovuto riferire, in
occasione dell’apertura dei conti. Per lo stesso motivo sembrerebbe
opportuno adottare una seconda serie di conti agli " ordini di
pagamento" ( spese di bilancio) e agli " agenti di riscossione" ( entrate
di bilancio), ma secondo Besta sarebbe sufficiente introdurre nei conti
già adottati due colonne interne, l’una per i resti e l’altra per le
competenze dell’anno.
- Un altro appunto che si riferisce all’ordinamento dei conti è il
seguente : che non si pensò di distinguere in essi i vari beni che fanno
parte del patrimonio dello stato. Raccogliere tutti i beni in un conto
intitolato patrimonio dello stato elimina ogni chiarezza delle scritture.
Si devono distinguere in essi i beni che hanno un valore di cambio
da quelli che per loro natura non sono alienabili (questo è un
concetto che anche Besta riprende più volte ed è probabilmente un
elemento fondamentale del bilancio patrimoniale). Si debbono,
inoltre, distinguere i beni che costituiscono il patrimonio fermo dello
stato dalle scorte destinate a consumi e a nuove produzioni. Besta
considera quest’ultima distinzione fondamentale perché solo tramite
questa suddivisione si può avere una chiara idea della spesa, infatti,
essa è costituita dai consumi effettivi e non dagli acquisti, nei quali
sono presenti anche le scorte e le rimanenze.
- Fra i conti di gestione ne manca uno in cui raccogliere le rendite e le
spese da imputarsi ad esercizi futuri, ed anche per le rendite e le spese
dell’anno due conti sono assolutamente insufficienti affinché dalle
scritture sintetiche si possano trarre retti criteri di amministrazione.
Questi difetti vengono riassunti in un semplice concetto, e cioè che si è voluto assegnare pochi
mastri principali ai singoli dicasteri, ciò è frutto della mentalità che guidò i legislatori del 1870 e del
1874, e cioè che il mastro della ragioneria generale dovesse riprodurre anziché epilogare i mastri
che si trovano nelle ragionerie speciali.
Besta ammette la possibilità che le scritture delle amministrazioni centrali siano più
particolareggiate di quelle della ragioneria generale, l’idea è che la ragioneria generale svolga un
ruolo di sintesi per singoli gruppi. Così la classificazione delle scritture potrebbe essere svolta in
modo sufficientemente largo, e per alcuni conti principali si potrebbe tralasciare la suddivisione in
sotto conti.
Probabilmente per eliminare alcuni dei difetti derivanti dall’applicazione di questa legge sarebbe
bastato applicare la normativa in maniera più discrezionale. L’autore ricorda che vi erano le basi
giuridiche per eliminare gli inconvenienti sopradetti. Ad esempio i singoli dicasteri potevano
proporre ed ottenere l’apertura di conti speciali oltre ai conti comuni a tutti.
Besta conclude la sua analisi ricordando alcuni modifiche tecniche finalizzate ad eliminare due
ordini di problemi:
Quello di allegare in sito appropriato le scritture delle entrate e delle
uscite del bilancio, quindi di adattare le nuove esigenze di un bilancio di
previsione, una contabilità strettamente patrimoniale.
Quella della doppia decomposizione dei conti principali in modo che
le due serie di sottoconti raggiungano scopi diversissimi. Da conti puramente
patrimoniali si ottengono conti che pongono in evidenza le entrate e le uscite
del bilancio nelle varie loro fasi e secondo le molteplici voci di questo.
Besta precisa che un simile risultato si è ottenuto perché è stato abbandonato un vecchio concetto
della legge precedente, e cioè che le entrate e le uscite del bilancio dovessero apparire da conti di
gestione, ossia da rendite e spese, "anziché da conti a elementi patrimoniali", da conti accesi a
crediti e debiti.
Besta elogia nuovamente i legislatori sottolineando, a suo modo di vedere, i principi sui quali si è
fondata la riforma: la perequità, semplicità e la modestia del linguaggio.
Ricorda in particolare, che le normative emanate in questo settore hanno un stile solenne e barocco
mancando di spirito di praticità e semplicità, necessari alla materia.
Applicazione della logismografia.
La logismografia applicata alle scritture complesse dei vari uffici dello Stato.
Dopo la crisi parlamentare del 18 marzo 1876 Cerboni ricevette l’incarico di Ragioniere generale
dello stato. Cerboni si adoperò per applicare la logismografia alle scritture dello stato. Con il
decreto ministeriale del 15 giugno 1877 firmato Depretis il governo approva il quadro di contabilità
per le scritture in partita doppia (metodo logismografico) della ragioneria generale, compilato dallo
stesso Cerboni.
La logismografia venne applicata alle scritture della direzione dei servizi amministrativi del
ministero della guerra.
La logismografia applicata alle scritture della ragioneria generale
Nel testo del Besta viene riprodotta parte del giornale, nel quale vi sono tre bilanci che
rappresentano le sintesi di altrettanti conti, i primi due riguardano le scritture del bilancio di
previsione e sono ordinati secondo le uscite e le entrate, la terza parte comprende le scritture
patrimoniali.
Cerboni distingue le prime due parti in esercizio finanziario e la terza in esercizio economico, per
esercizio finanziario si deve intendere il cumulo dei fatti amministrativi considerati in un
determinato aspetto, pertanto non si riferisce a fatti che accadono in un determinato lasso di tempo.
La prima bilancia funziona in questo modo: la posizione dello stato verso il governo e la posizione
del governo verso lo stato ente proprietario e sovrano.
Nella seconda bilancia che rappresenta l’esercizio finanziario per la spesa si verificano, in senso
inverso le stesse posizioni e gli stessi fenomeni che in quello dell’entrata.
Si chiamano legislativi i conti che rappresentano la posizione dello stato verso il governo e conti
morali quelli che rappresentano la posizione del governo nei confronti dello stato (rappresentano il
grado di responsabilità spettante al potere esecutivo nell’esercizio di queste sue funzioni)
La logismografia applicata alle scritture dell’economato generale.
Nel 1878 è stato pubblicato il quadro della contabilità dell’economato generale, dove peraltro già
dal 1877 era applicato il metodo Cerboni.
L’economato generale era stato istituito nel 1873 presso il ministero dell’agricoltura e del
commercio quando questo fu abolito si passò al ministero del tesoro per tornare nel 1879 al
ministero dell’agricoltura e del commercio che era stato ricostituito all’inizio di quell’anno.
Le funzioni amministrative e la gestione di tale ente differiscono molto dalle altre amministrazioni
centrali, ma come tutti gli altri enti, trae vita dal bilancio dello stato, pertanto necessita di un
bilancio d’esercizio.
La logismografia applicata alle scritture complesse delle intendenze di finanza.
Le intendenze di finanza amministrano i beni patrimoniali immobili dello stato nel territorio di loro
giurisdizione, sono amministrazioni subalterne agiscono per conto della direzione del tesoro.
Tutelano i diritti del fisco in tutti i beni del demanio pubblico.
Vi sono molte regole che si susseguono negli anni ’70 per il metodo di scrittura da adottare.
Venne emanato un decreto sulle scritture complesse da redigere in tutte le intendenze di finanza,
(decreto del ministro delle finanze Magliani 20 novembre 1880).
Con questo decreto si sanciva che le scritture fossero puramente patrimoniali, e fu applicata loro la
prima forma spuria della scrittura doppia che si svolge in due serie di conti e due serie di elementi.
Nel 1891 una circolare del ministro del tesoro ordinava alle intendenze di finanza, di cessare di
tenere le scritture complesse, così, dice Besta, ebbe termine questa infelice applicazione della
logismografia.
Periodo Giolittiano.
Studi, opinioni e proposte di legge riguardo alla partita doppia.
Sul finire del XIX secolo si intensificarono gli studi che miravano a migliorare il sistema di
contabilità di Stato. Furono presentati ed approvati nuovi disegni di legge; ricordiamo la legge
Giolitti radicalmente modificata dalla legge Grimaldi. Le due leggi miravano, fra le altre cose, a
risolvere l’annoso problema delle eccedenze degli impegni rispetto agli stanziamenti approvati col
bilancio annuale. Purtroppo entrambe non furono all’altezza del compito. In questo contesto e dopo
il fallimento della logismografia i precetti della legge del ’69 e del T.U. del ’84, riguardo alla partita
doppia non vennero assolti. Tuttavia molti autori ed alcuni statisti non cessarono di sostenere il
sistema partiduplista. Gli studi si avvicendarono e grazie alla intraprendenza del Ministro delle
finanze Luigi Luzzatti si concretarono in disposizioni pratiche per l’adozione della partita doppia.
Tra gli autori che continuarono a sostenere l’applicazione della partita doppia tradizionale, vi fu
Benedetto Lorusso, forse uno dei più importanti allievi del Besta. Egli pose il seguente quesito:
come si possa applicare la partita doppia ad un sistema parziale di scritture patrimoniali. L’autore
dopo una breve disamina terminologica sul significato della contabilità finanziaria e della
contabilità amministrativa (l’autore spiega che la seconda definizione sarebbe più opportuna) si
propone di dimostrare che con l’applicazione della partita doppia è possibile ottenere sia le notizie
che riguardano direttamente le mutazioni dello stato finanziario sia quelle che riguardano quelle
relative al corrispondente bilancio di competenza.
L’autore espone le sue idee nel 1902 sulla rivista italiana di ragioneria intitolato "la partita doppia
applicata ad un sistema di scritture patrimoniali finanziarie" dal titolo e dalle affermazione
dell’autore stesso si deduce che le scritture non riguardano l’intero patrimonio ma solo la sua parte
finanziaria.
Il quesito non è se si debba applicare il sistema patrimoniale alla contabilità di Stato, come
discepolo del Besta l’autore si pone a favore di una rilevazione patrimonialista, il problema è quale
tipo di sistema parziale si debba adottare.
In primis ci si domanda se la partita doppia possa essere utilizzata proficuamente per sistemi di
scritture patrimoniali non completi. A tal proposto Lorusso cita il Ghidiglia il quale propone
l’adozione di tre sistemi parziali:
un sistema parzialmente patrimoniale, non limitato però alla sola parte
finanziaria.
un sistema di conti attinenti al bilancio di previsione, che egli pure,
seguendo la vecchia ed impropria denominazione, chiama sistema
finanziario.
-
un sistema relativo alle previsioni di cassa.
Senza approfondire la questione ritengo sia utile prendere atto che dopo avere avvallato un sistema
di scritture sintetiche vi sono molte difficoltà sulla scelta di quale sistema "parziale"vada poi
adottato. Questi problemi rimettono in discussione l’utilizzo della partita doppia, e possono
diventare delle argomentazioni per coloro che optano per un mero sistema di scritture semplici,
affiancato da un inventario per tutta la parte patrimoniale dello Stato.
Il problema della valutazione e della scelta tra quale sistema patrimoniale non completo vada
utilizzato ha una stretta attinenza con le specificità del patrimonio dello Stato; in un articolo
intitolato "Una lezione di contabilità di Stato all’università popolare Fiorentina" Tarchiani offre una
rapida rassegna sulle differenze dei beni dello Stato. In effetti già il Besta aveva distinto i beni in
funzione delle loro caratteristiche proprio perché rappresentavano uno scoglio per le valutazione
patrimoniali e conseguentemente per l’utilizzo delle scritture sintetiche.
Per il Tarchiani, che scrive nel 1904, i beni dello stato si distinguono in demanio pubblico e beni
patrimoniali. Sono beni del demanio quelli che appartengono allo Stato, come le strade statali, il
lido del mare i porti, ecc., questi beni demaniali vengono descritti in inventari tenuti dalla Direzione
generale del demanio, dal Ministero della guerra, dal Ministero della marina e per la parte relativa a
ciascuna provincia dalla rispettiva Intendenza di Finanza o direzione territoriale militare. I beni del
demanio pubblico sono per loro natura inalienabili. Sono beni patrimoniali invece quelli che
appartengono allo Stato a titolo di proprietà privata, questi, a loro volta si distinguono in disponibili
e indisponibili; sono considerati disponibili quelli di cui si può effettuare la vendita, la permuta la
cessione ecc., sono invece considerati indisponibili gli altri beni di qualsivoglia natura sui quali lo
stato, sia per la destinazione di essi, sia per le disposizioni di leggi non può fare nessuna delle
operazioni sopra menzionate.
Il problema è scegliere quali di questi beni dovrebbero essere soggetti a valutazione; le
considerazioni fatte dal Ghidiglia affrontano in maniera estremamente differente il problema, basti
pensare che egli ipotizza addirittura di prendere in considerazione la sola parte finanziaria del
patrimonio. Se si interpreta correttamente il pensiero di Besta, si dovrebbero valutare tutti quei beni
che per loro natura sono potenzialmente soggetti ad una valutazione di mercato, la linea di
demarcazione potrebbe essere quella tra demanio e beni patrimoniali, ma anche questa
interpretazione potrebbe esporsi a critiche, visto che lo Stato possiede beni potenzialmente
alienabili ma che per loro natura, unicità o altre caratteristiche risultano difficilmente
commercializzabili. Del resto questi appunti erano già stati sollevati come argomentazioni che
numerosi autori opponevano all’utilizzo della valutazione patrimoniale nella contabilità di Stato.
Luigi Luzzatti ricopre un ruolo molto importante nell’ambito dello studio della contabilità di Stato,
fu professore di Diritto costituzionale all’Università di Padova e poi di diritto commerciale e
costituzionale a Roma, nel 1921 divenne senatore. Ricoprì la carica di Ministro delle Finanze per
due volte (1892, 1903-1904,), quella di Ministro del Tesoro per ben quattro volte (1891-1892,
1896-1898, 1903-1905, 1920) e fu presidente del Consiglio nel 1910-1911. Incise notevolmente
nella vita politica dello Stato, molti sono i provvedimenti che portano il suo nome; la riforma De
Stefani rappresenta il coronamento delle sue iniziativa nell’ambito della contabilità pubblica (ne
rivendicò la paternità in Parlamento).
Come si è visto l’applicazione delle scritture sintetiche nella contabilità dello Stato ha sollevato
dubbi e critiche da parte di molti autori, quando sono state applicati alcuni metodi (la logismografia
del Cerboni), sono stati poi speditamente eliminati ( fine dell’ottocento).
Per questi motivi, Il Ministro Luigi Luzzati diede incarico a Fabio Besta e a Pietro D’avilse di
studiare un progetto per ripristinare la partita doppia nella contabilità dello Stato. I due studiosi,
insieme ad un funzionario della Ragioneria dello Stato completarono il loro lavoro nel 1904. Il
progetto aveva come riferimento principale la legge del 1974.
Pochi anni dopo, il 29 maggio del 1908 l’onorevole Carcano presentò un disegno di legge alla
Camera concernente "modificazioni alla legge per l’amministrazione del patrimonio e per la
contabilità generale dello Stato", la proposta di legge si rifaceva ai suggerimenti della commissione
Majorana.
Il Carcano proponeva l’abolizione dell’obbligo della registrazione delle scritture in partita doppia,
la soppressione dell’assestamento del bilanci. Le proposte non furono accolte perché di lì a poco si
chiuse la legislatura, tale progetto fu ripresentato dal Ministro del Tesoro F. Tedesco, ma non passò
oltre la giunta del bilancio. Dallo Stesso Ministro venne emanato il Regio decreto 17 settembre, n.
822, col quale si prescriveva che le scritture degli impegni definitivi e provvisori fossero
concentrate presso la Ragioneria centrale, mentre prima erano disperse in vari uffici.
Alessandro De Brun spiega la sua contrarietà alla proposta del Ministro del Tesoro Carcano per la
riforma della contabilità di Stato, l’autore sintetizza la sua contrarietà su tre modifiche del progetto
di legge:
- L’eliminazione della scrittura in partita doppia;
- La soppressione della legge annua per l’assestamento del bilancio in corso;
L’istituzione dei giudizi di responsabilità avanti alla corte dei conti
contro i funzionari imputati di aver provocato eccedenza d’impegni sugli
stanziamenti di bilancio.
In questa sede interessa il primo punto di modifica della contabilità di Stato, nell’articolo del 1908
"La riforma della contabilità dello Stato" il De Brun non ne discute affatto, ricorda semplicemente
di averne già parlato precedentemente, ricordiamo che pur essendo contrario alla riforma Carcano
non è un sostenitore dell’utilizzo della partita doppia presso gli uffici statali. Ciò lo si evince in
molte sue dichiarazioni, tuttavia non è facile rintracciare le sue argomentazioni contro l’utilizzo
delle scritture complesse.
Nel medesimo anno sulla Rivista appare un’interessante articolo di Ghidiglia, sullo stato delle
scritture presso la Ragionieri generale ( Le scritture complesse nella ragioneria generale) egli
precisa che le istruzioni di Besta erano quelle di limitare le scritture complesse al solo sistema
patrimoniale, poiché per il sistema finanziario riteneva sufficienti le scritture elementari che
tenevano conto, per ogni capitolo, delle successive fasi delle singole entrate ed uscite per
competenza e per residui. In ogni caso i funzionari della Ragioneria generale ritennero opportuno
riassumere in partita doppia anche le scritture finanziarie. In effetti, vi era carenza di coordinamento
tra le istruzioni del Besta e il D’alvise e la sua effettiva applicazione, tanto che D’alvise, recandosi
presso la Ragioneria generale, verificò che l’ordinamento delle scritture finanziare non era stato
predisposto secondo le istruzione dei due professori, dovette pertanto suggerire alcuni cambiamenti
che poi furono effettivamente applicati.
In generale, sembra che, in materia di contabilità pubblica specie per quanto riguarda le
registrazioni, vi fosse una certa divergenza fra le leggi e la loro applicazione, infatti, sia durante
l’utilizzo della logismografia, che nel periodo successivo fino al 1904, quando Besta e D’alvise
completarono il loro progetto, non vi fu nessuna applicazione delle scritture sintetiche. In seguito,
fu applicato il progetto commissionato a Besta e D’alvise , ma come affermano lo stesso D’alvise e
il Ghidiglia vi erano alcune incongruenze tra le istruzioni degli studiosi e ciò che veniva
effettivamente svolto dai funzionari della Ragioneria generale.
Ghidiglia riporta un’obbiezione che D’alvise gli contesta, riguardo all’ordinamento dei conti presso
la Ragioneria generale. Secondo D’alvise l’impianto dei conti per la ragioneria generale pubblicato
da Ghidiglia è un piano che mai venne applicato e che non è dovuto né al Besta né allo stesso
D’alvise.
Naturalmente il Ghidiglia ribatte a queste affermazioni ricordando che il piano dei conti che aveva
pubblicato era applicato nella sua integrità al sistema patrimoniale. Senza approfondire la questione,
si vuole far notare che la materia era oggetto di discussioni su questione tecniche, ad esempio: il
progetto promosso dal Ministro (quello di Besta e D’alvise) viene completato, approvato e applicato
non nella sua integrità, tanto da far discutere due autori (D’alvise e Ghidglia), entrambi sostenitori
dell’applicazione della partita doppia; non solo, come abbiamo detto fu lo stesso D’alvise che si
accorse che i funzionari non avevano applicato il sistema proposto dai due professori.
Nel medesimo articolo Ghidiglia ricorda che i principali oppositori dell’utilizzo della partita doppia
presso la ragioneria generale erano Rossi e De Brun, i quali, a sua avviso, dimostrano una tesi che
egli stesso accetta e condivide e cioè che "le scritture complesse da sole non servono a controllare i
dati dei fatti, né i fatti medesimi, nel modo e nelle forme in cui si manifestano." Ma secondo
l’autore: " Tutto questo è evidente, è logico anzi intuitivo; le scritture siano elementari o complesse,
tengono nota dei fatti non li modificano servono per l’avvenire non per il passato; sono dicono i
seguaci del Besta strumento di controllo susseguente non concomitante. Non è dunque possibile
richiedere alle scritture complesse o elementari, nello Stato come in qualsiasi altra azienda ciò che
non possono dare."
In seguito si capisce che vi era una vivace discussione sulla funzione delle scritture sintetiche,
infatti, lo studioso ricorda che oltre ai due autori già citati vi era una schiera di personalità minori
che li fiancheggiavano, tanto che Ghidiglia sostiene che questi si erano fatti persuadere più dalla
suggestione dei nomi che dall’esame oggettivo e sereno della questione.
Nel 1912 fu pubblicato il riassunto delle scritture della Ragioneria generale dello Stato, di cui era
cessata la pubblicazione poco dopo la soppressione della logismografia. A detta di alcuni il fatto è
estremamente importante. In effetti dopo molte polemiche, studi e lavori intorno al problema delle
scritture complesse presso l’amministrazione dello Stato, questo fascicolo, finalmente, raccoglieva
il giornale e il mastro nella forma comune della partita doppia con le cifre riassuntive dell’intero
esercizio. Borzoni definisce questo fascicolo: la registrazione dei totali dell’intero anno finanziario.
Sempre nel medesimo anno Vittorio Baldassarri si esprime in modo estremamente favorevole
all’utilizzo della partita doppia, tuttavia, ricorda che le scritture e in generale l’intero impianto
contabile della Ragioneria generale, avrebbero avuto soluzione migliore se fosse stato possibile
comprendere nelle scritture stesse, in corrispondenza dei movimenti che lo svolgimento delle
entrate e delle uscite di bilancio produce sul patrimonio finanziario, quelli che avvengono nel
patrimonio non finanziario che muta assiduamente per effetto dell’accertamento di dette entrate ed
uscite e per cause indipendenti dall’esercizio di bilancio.
Secondo l’autore questo non poté essere fatto perché si sarebbe imposto un radicale mutamento di
rapporti scritturali fra la Ragioneria generale e quelle delle amministrazioni centrali e,
conseguentemente, fra queste e gli uffici minori.
Forse gli inconvenienti appena indicati furono in parte la causa di una nota da parte del Ragioniere
generale una relazione indirizzata al Ministro del Tesoro, che riscontrava la difficoltà di
comprendere nelle scritture, parallelamente ai movimenti del patrimonio finanziario, anche quelli
che si verificano nelle attività e passività non finanziarie, più precisamente venne osservato che " il
tener conto di tali variazioni, mese per mese, richiederebbe un incessante lavorio, presso tutte le
amministrazioni, senza raggiungere tuttavia, data l’ingente mole e varietà dei beni dello Stato e
delle passività, lo scopo di offrire di essi, mese per mese, una situazione esatta" tuttavia, secondo il
Prof. Baldassarri, data l’importanza del patrimonio non finanziario dello Stato e l’entità dei
movimenti che su di esso si ripercuotono, sia insufficiente limitarsi a contabilizzare i suddetti
movimenti nelle scritture riassuntive. Egli fa rilevare che le registrazioni in partita doppia, degli
accertamenti di Entrata e uscita di bilancio, prive del rilievo dei mutamenti patrimoniali,
corrispondenti, che possono essersi verificati nel patrimonio non finanziario, costringono a supporre
aumenti o diminuzioni di netto patrimoniale che, tali non essendo in realtà, debbono essere poi
rettificati al momento della chiusura dei conti o addirittura quando occorre saranno completamente
eliminati.
Secondo questo autore, molto è stato fatto per la realizzazione delle istruzione della legge del 1874,
elogia il lavoro di F. Besta e di P. D’Avilse, tuttavia egli è ben conscio che rimangono alcuni
problemi, ad esempio, riferendosi al problema sopra menzionato, ricorda l’inutilità di tenere delle
scritture durante l’esercizio, quando si sa che esse non riproducono i veri effetti economici dei fatti
che le hanno determinati.
Indubbiamente l’autore è un accanito sostenitore del sistema patrimoniale e del metodo della partita
doppia, infatti, ricorda che le istruzioni del 1874 sono incontestabilmente il mezzo con il quale fu
possibile ottenere "un ordinamento razionale contabile come difficilmente alcun altro metodo
potrebbe attualmente offrire"
La legge De Stefani.
Il Regio decreto del 18 novembre 1923, oltre a regolare lo senellimento delle procedure e le
modifiche che riguardavano e la forma di pagamento ed i contratti, non prescriveva più l’obbligo
dell’utilizzo della partita doppia. Tale questione fu affrontata da Lorusso in occasione del XIII
congresso nazionale dei ragionieri. Secondo lo studioso la normativa ( l’articolo 160 del nuovo
regolamento di contabilità di Stato 23 maggio 1924), imponeva implicitamente di riassumere le
scritture generali dello Stato seguendo la regola della partita doppia. "In quest’articolo, infatti, si
diceva che i conti riassuntivi del patrimonio dello Stato debbono mettere in evidenza le variazioni
verificatesi nella consistenza patrimoniale; e che queste variazioni debbano riferirsi non soltanto
alle varie classi di elementi patrimoniali, ma la stessa consistenza globale del patrimonio, lo si
rileva dal fatto che esse, come risulta dal citato articolo del regolamento, sono quelle che potranno
verificarsi sia per effetto della gestione del bilancio, sia per qualunque altra causa. Consegue da ciò,
che soltanto con l’applicazione della partita doppia è possibile riassumere le dette variazione sotto
tale duplice aspetto. La suddetta disposizione regolamentare, a ben guardare, ha molta analogia con
quella dell’articolo 22 del codice di commercio, ove si dice che l’inventario si chiude col conto dei
profitti e delle perdite, per cui si consiglia ai commercianti la tenuta dei registri in partita doppia,
poiché soltanto con questo metodo si può facilmente ottemperare alla legge".
Il Monetti che scrive nel ’26 afferma che le scritture presso la Ragioneria generale erano ancora
compilate con il metodo della partita doppia. Tuttavia l’ufficio incaricato di tenere il Giornale e il
Mastro era ridotto ai minimi termini e il riassunto delle scritture fatte a fine anno non veniva più
pubblicato.
Il Monetti non crede che lo svolgimento delle scritture possa essere mantenuto per molto tempo.
L’autore sostiene tale tesi argomentandole in questo modo: " non possiamo affermare però se tale
scritture, avendo oramai, com’è noto uno scopo puramente teorico, ed essendo redatte dopo la
compilazione del conto consuntivo, potranno essere mantenute, dati gli scopi di grandi economie
che si prefigge il Governo"
Passaggio delle ragionerie centrali alle dipendenze della ragioneria generale.
Il passaggio delle ragionerie centrali alle dipendenze della ragioneria generale ha seguito un
percorso lungo e tortuoso, possiamo risalire al 1904 quando Luzzatti propose il primo progetto di
riforma dei predetti uffici. Già nel 1905 viene formalizzata una proposta di passaggio delle
ragionerie centrali alle dipendenze delle ragioneria generale. Secondo S. Cassese " il motivo è
offerto dall’abuso compiuto, negli anni precedenti, del sistema cosiddetto delle eccedenze degli
impegni (elenchi di spese eccedenti il bilancio presentati in blocco all’approvazione del
Parlamento)." Secondo lo stesso Luzzatti era necessario sottoporre a vigilanza gli impegni e gli atti
che potevano creare impegni per lo Stato, per poter risolvere il problema delle eccedenze di impegni
sorto con la legge Giolitti del 1889.
Luzzatti è sulla linea dell’accentramento amministrativo, egli stesso quando presentò la proposta al
Parlamento disse che lo scopo era quello di "sottoporre a rigorosa vigilanza non solo gli impegni
che l’amministrazione viene contraendo medianti atti rivestiti dalle formalità legali e contabili
necessarie a rendere esecutoria la spesa, ma anche i procedimenti che precedono l’emanazione degli
atti stessi che generano obblighi onerosi per il bilancio stesso"
Il progetto del Ministro Luzzatti si compie dopo molti anni, le condizioni ideali scaturirono con la
proposta Mussolini di delega al governo dei pieni poteri per la riforma amministrativa, per
riorganizzare i pubblici uffici e istituti, rendere più agili le funzioni e diminuire le spese.
Alberto De Stefani fu l’allievo e il naturale continuatore dell’opera di Luzzati, egli fece emanare il
regio decreto 28 gennaio 1923, n.126 secondo il quale gli uffici di ragioneria delle amministrazioni
centrali cessano di appartenere alle amministrazioni stesse e sono trasferite alle dipendenze del
ministero delle finanze. Il R.D. del 25 marzo dello stesso anno sancisce che la ragionerie centrali
sono uffici del ministero delle finanze.
L’11 giugno del ’23, Luzzatti, ormai ottantaduenne, intervenendo in Parlamento fa notare che la
legge De Stefani è il compimento di alcune delle sue proposte di riforma. In un articolo sul Corriere
della Sera del gennaio del 1923 l’ex ministro afferma che le ragionerie centrali avevano
gradualmente perso il loro status di indipendenza.
Secondo Luzzatti i ragionieri, per ingraziarsi, o per non confliggere con i loro rispettivi ministri
finivano per accettare alcuni decreti di spesa "non consentiti ma abilmente dissimulati sotto le
pieghe del bilancio".
Le affermazioni di Luzzatti hanno una rilevanza notevole, in quanto dimostrerebbero che uno degli
obbiettivi che si volevano raggiungere con i decreti appena citati era quello di controllare le spese in
maniera più efficace.
Stato delle scritture dopo la legge De Stefani.
Ricapitolando il metodo partiduplista definito nel lavoro del Besta e di D’avilse fu applicato per
pochi anni. In effetti si cominciò nell’esercizio 1905-1906 e secondo il parere dello stesso D’avilse,
già nel 1924, quando il Prof. B. Lorusso ne fece gli elogi, non era più applicato. Questa
affermazione contrasta con ciò che sostiene il Monetti, secondo il quale nel 1926, la partita doppia
era ancora utilizzata, ma con una funzione del tutto teorica. A tale proposito, il Lorusso sostiene che
le scritture mensili, in partita doppia, erano già state abolite durante la prima guerra mondiale, ma
presso la Ragioneria generale erano ancora in vigore per la compilazione annuale dei Rendiconti
generali dello Stato.
In ogni caso, dato che, D’avilse, sostenitore dell’uso della partita doppia, afferma nel dicembre del
1931, che nel 1924 questo metodo non era più applicato, e il Monetti, che di fatto ne era un
oppositore, ricorda che l’ufficio incaricato di tenere il Giornale e il Mastro era ridotto ai minimi
termini e che le scritture complesse servivano per scopi puramente teorici, si può senz’altro
ammettere che, presso gli uffici centrali dell’amministrazione dello Stato, negli anni venti
l’applicazione della partita doppia ed in parte del sistema patrimoniale erano probabilmente già
destinati a scomparire.
A rafforzare questa tesi vi sono le affermazioni di Vito De Bellis e di Ettore Cambi, i quali
ricoprirono la carica di Ragioniere generale dello Stato. Secondo De Bellis la lunga esperienza ha
orami dimostrato che in una amministrazione come quella dello Stato, riescono più facili e
praticamente più utili le scritture elementari. Il successore di De Bellis, Ettore Cambi sostenne che i
metodi più noti e più sperimentati nelle imprese private male si addicono ai conti dello Stato e a
causa della complessità della materia amministrata rendono complicata e tardiva la resa dei conti.
Sempre secondo Cambi il sistema basato sulle scritture elementari è più idoneo anche di fronte a
eccezionali esigenze e garantisce un facile adeguamento all’ampliarsi della gestione dell’attività
dello Stato. Un altro punto sul quale insisteva l’ex Ragioniere generale era che tramite l’uso delle
sole scritture elementari era più spedita la resa dei conti grazie alla quale l’Italia poteva
documentare i risultati finanziari con rapidità.
Brevi note conclusive.
A fronte di questa analisi si può constatare che le cause che determinarono le difficoltà applicative e
in seguito la cessazione sia del sistema patrimoniale che delle scritture sintetiche presso le
amministrazioni centrali dello Stato non sono imputabili ad un unico fattore; inoltre, com’è
intuibile, non è possibile adottare un impianto contabile per l’amministrazione dello Stato
indipendentemente dai periodi storici considerati. Sebbene si possa parlare di un metodo migliore o
più efficiente in termini di chiarezza, trasparenza e rapidità per poter amministrare la finanza
pubblica, non è detto che sia sempre applicabile; se venissero a mancare le condizioni "ideali", si
porrebbero degli ostacoli tali da metterne in discussione l’effettiva valenza, ad esempio in
riferimento alla partita doppia molti autori sollevarono dubbi e perplessità legati alla tempistica per
redigere i bilanci e per trasmetterli agli organi superiori, difficoltà che oggi sarebbero speditamente
risolte con comuni sistemi informatici.
Come ci ricorda S. Cassese, nell’ordinamento finanziario aspetti organizzativi ed aspetti procedurali
sono strettamente legati; per questo le vicende della disciplina delle procedure finanziarie sono
connesse alla posizione degli uffici finanziari, quindi non è semplice applicare un certo sistema
contabile a prescindere dai poteri e dai rapporti degli organi finanziari dello Stato.
Non ho riscontrato argomentazioni e giustificazioni di spessore a favore dell’abolizione del sistema
patrimoniale e della partita doppia. Probabilmente le motivazioni che spinsero molti autori ad
avversare tale sistema sono in parte legate proprio alla posizione ed al rapporto tra gli organi dello
Stato. Non sarebbe tuttavia corretto non ricordare che accanto a questo problema, vi erano
effettivamente delle questioni tecniche che rendevano difficoltosa l’applicazione della partita
doppia: formazione dei dipendenti, lentezza e difficoltà nella trasmissione dei dati e difficoltà nella
valutazione di alcuni beni dello Stato. A tutto ciò si può aggiungere che il dibattito fra gli esperti
della materia, anche se estremamente prolifico dal punto di visto culturale, fu nocivo ad un sereno
esame della questione sia in sedi accademiche che in sedi istituzionali, mi riferisco, in particolare,
alla rivalità tra i logismografi ed i sostenitori della partita doppia tradizionale.
Come ho anticipato le cause non sono quindi riconducibili alle peculiarità dell’amministrazione
pubblica (già il Villa, che scrive a metà dell’ottocento, fa discendere i metodi contabili dallo scopo
delle aziende. Più volte l’autore sostiene che i fini economici dell’azienda sia privata che pubblica
dovrebbero indurre ad adottare sistemi contabili differenti. In particolare Villa considera
fondamentali per decidere quale sistema contabile debba essere adottato due concetti: lo scopo e la
natura dell’azienda), comunque, se esistono delle differenze non sono così importanti da poter
giustificare l’abolizione del sistema patrimoniale, infatti, non ho riscontrato elementi teorici e
dottrinali che avvalorano la tesi secondo cui le finalità e gli scopi dello Stato sono tali per cui la
partita doppia ed il sistema patrimoniale diventano superflui (secondo il Villa sarebbe stata utile una
valutazione ad hoc per ciascun ramo dell’amministrazione pubblica, lo sottolineo perché, in
generale, il noto studioso sostenne l’adozione della partita semplice nella pubblica
amministrazione). Inoltre, nella normativa del ’22 non si abolisce di fatto la partita doppia, infatti, le
istruzioni della legge De Stefani non specificano quale metodo debba essere adottato, pertanto si
lasciano ampi spazi discrezionali alla Ragioneria generale dello Stato, così facendo si sono in parte
evitate polemiche e dibattiti tra i sostenitori e i detrattori della partita doppia. Tutti questi elementi
avvalorano la tesi secondo cui i motivi per i quali fu abbandonato il sistema patrimoniale sono
profondamente legati al potere attribuito ai singoli organi dello Stato. Mi riferisco in particolare alla
Ragioneria generale dello Stato e alla Corte dei conti: al primo è stata data la facoltà di scegliere il
metodo contabile ritenuto più opportuno ed al secondo è stato attribuito un controllo solo parziale
sulla finanza pubblica.
In ultima analisi, il fatto che la scelta dei vari sistemi e metodi contabili debbano dipendere dalle
finalità e dalla natura delle aziende può essere un’argomentazione contro e contemporaneamente a
favore della sua adozione nella pubblica amministrazione. Infatti, per l’amplissima attività dello
Stato è probabile che molte aziende di erogazione necessitino di un sistema patrimoniale. Perciò
sarebbe inevitabile che presso la Ragioneria generale, ma probabilmente anche presso tutte le
ragionerie centrali, sia tenuto lo stato patrimoniale.
Riferimenti bibliografici.
Bertini U.Carlo Ghidiglia saggio per una interpretazione della sua opera, Pisa, C. Cursi 1967,
Besta Fabio, La ragioneria (vol.I), (vol.II), (vol.III)(1922)
La contabilità di Stato (quattro volumi) (1898)
Borgata C. "La pressione fiscale e il problema del pareggio" -Il giornale degli economisti- (1922)
Cassese Sabino, Finanza e amministrazione pubblica in "L’amministrazione dello Stato" 1976
Cerboni Giuseppe, La ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e
sociali
Chianale Angelo, Il patrimonio degli enti pubblici nei conti e nei bilanci: note introduttive allo
studio della contabilità di Stato(1935)
D'Alvise Pietro, Nozioni teorico-pratiche di contabilità dello stato (1912)
D’Alvise Pietro, Studio sintetico di ragioneria statale in regime fascista ossia contabilità generale
dello Stato secondo le ultime disposizioni (1940)
Faucci Riccardo, Finanza, amministrazione e pensiero economico : il caso della contabilità di Stato
da Cavour al Fascismo
Franceschi Rosella, Aspetti evolutivi della dottrina economico aziendale: Francesco Villa.(1970)
Giannessi Egidio, I precursori (1971)
Gitti e Massa, trattato di ragioneria
Ingrosso gustavo, Principii di contabilità di Stato (1926)
Ministero del Tesoro, "la Ragioneria generale dello Stato"
Monetti Ugo, Le amministrazioni centrali dello Stato e l'ordinamento dei controlli :i ministeri, le
ragionerie centrali (1926)
Monetti Ugo, compendio di contabilità di Stato: commento alla legge e al regolamento sulla
amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (1961)
Monetti Ugo, corso di contabilità di Stato (1937)
Pisoni Piero, Il bilancio consolidato(1983)
Pisoni Piero, Gruppi aziendali e bilanci di gruppo(1995)
Pozzi Leone, trattato di ragioneria pubblica (1964)
Rostagno Fortunato, Contabilità di Stato: corso teorico pratico sull’attuale sistema contabile del
Regno d’Italia (1902)
Spinedi Sabino, Compendio di contabilità di Stato (1938)
Tognacci Giuseppe, la contabilità dello Stato (1930)
Villa Francesco, elementi di amministrazione e contabilità
Villa Francesco, La contabilità applicata delle amministrazioni private e pubbliche (I)
La contabilità applicata delle amministrazioni private e pubbliche (II)
Di seguito segnalo gli articoli più importanti consultati nella RIREA (Rivista Italiana di Ragioneria
e Economia Aziendale)
Anno 1906
L. O. Borzoni I riscontri e le responsabilità nella Contabilità di Stato
B. Lorusso Collegamento delle scritture patrimoniali complete con quelle del sistema finanziario
Alessandro De Brun Contabilità di Stato
Anno 1908
C. Ghidiglia Le scritture complesse nella ragioneria generale dello Stato
Alessandro De Brun Riforme proposte alla contabilità di Stato
Anno 1909
C. Ghidiglia La prolusione del Prof. F. Besta sulle riforme proposte ai nostri istituti di contabilità
di Stato
Anno 1910
U. Monetti Bilancio di competenza e bilancio di cassa
Anno 1912
L. O. Borzoni Il riassunto delle scritture della Ragioneria generale dello Stato
V. Baldassarri Note e osservazioni sull’attuale ordinamento computistico delle scritture della
ragioneria generale dello Stato
Anno1915
U. monetti Le riforme in materia di contabilità di Stato proposte dall’on. Alessio
Anno 1921
M. Bossi Di alcuni recenti dibattiti sui conti dello Stato
Anno 1924
U. Monetti Osservazioni sulla nuova legge di contabilità di Stato
B. Lorusso La partita doppia applicata ai sistemi patrimoniali incompleti
Anno 1925
B. Lorusso La partita doppia nelle scritture generali dello Stato
F. Rostagno La contabilità di Stato
Anno 1926
U. Monetti Questioni di contabilità di Stato
Anno 1930
F. Maravigna Le scritture complesse nelle aziende pubbliche
Anno 1931
M. Depaolis La partita doppia applicata alle aziende pubbliche
Anno 1935
L. Pace Sulla migliore forma contabile di un bilancio pubblico
Anno 1937
G. Damato Dell’amministrazione e della classificazione dei beni patrimoniali dello Stato
Anno1938
A. Amato Sulla classificazione delle entrate e delle uscite del bilancio dello Stato
P.D’Alvise Dibattito parlamentare sugli avanzi
Anno 1945
V. Richichi Le scritture doppie patrimoniali in una azienda pubblica la cui gestione è regolata dal
bilancio finanziario di competenza
Anno1957
C. Vecchio Metodi contabili adottati e tuttora in uso nell’azienda dello Stato
C. Vecchio Lo studio di contabilità di Stato nello storico suo svolgimento.