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il Foglio di Azzone
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Storia dol Pierulì di Rügüs:
L’avventura dei frati e dei «fregaröi»
Il fatto risale a tanti e tanti anni fa. Prima di raccontarVi l’avventura
dei due frati predicatori, devo dirVi brevemente cos’erano le Sante
Missioni, per le quali furono chiamati a predicare. Da cinquant’anni,
più non se ne parla ma, una volta, ogni 10-15 anni, i preti delle parrocchie indicevano le Sante Missioni che consistevano in una settimana di preghiere e prediche a non finire, quindi, ci volevano dei predicatori di spicco, con una eloquenza incisiva, convincente, capace di
scovare dalle coscienze i più reconditi omessi o dimenticati peccati.
Questa è la volta della comunità di Schilpario. Il parroco locale, visionato il registro dei quotati predicatori, si mise a contatto con due frati
ospiti all’Eremo della Annunciata a Ossimo. Uno era un cinquantenne, piccoletto ma, con una barba proprio da favola, lunga fino al
cingolo. L’altro, un trentenne molto bravo ma, un po’ dispettoso. Il
giorno precedente le Sante Missioni, i due frati, dopo pranzo, si
misero in cammino verso Schilpario, passando da Ossimo - Borno –
Giovetto – Azzone – Schilpario, strada, che a quei tempi, era uno dei
primi sbocchi della Valle.
Va precisato, che dall’Eremo della Annunciata a Schilpario, bisogna
percorrere ben 30 chilometri buoni, quindi una camminata di 4/5 ore.
Pensavano di arrivare dal parroco per la cena e programmare per bene
l’inizio delle Sante Missioni. Purtroppo non tennero conto del fattore
tempo. Infatti, prima di passare il Passo del Giovetto, il cielo cominciò a farsi grigio e poi scuro minacciando un brutto temporale e, scendendo lungo la “Paghera del Costone” dovettero fermarsi più volte
sotto qualche grosso albero ma poi anche questi purtroppo grondavano acqua. Fortuna volle, che prima di arrivare alle “Raseghe di
Azzone” vicino alla strada, videro un bel “poiat”, che fumava e due
uomini di guardia, i quali li ospitarono nella loro baita per asciugarsi
al fuoco finchè smise di piovere. Passò quindi un bel po’ di tempo e
divenne buio. Cammin facendo verso Azzone , si convinsero di
pernottarVi e se possibile fare un pò di cena. Ad una delle prime case
di Azzone, videro alla finestra la fiammella di un lume, e vi bussarono. Venne ad aprire un nonnino curvo, quasi novantenne, al quale
chiesero ospitalità. Il nonnino li fece entrare in cucina dove sua
moglie, anche lei quasi novantenne, stava preparando i “fregaröi” o
“sbrufadei” per cena e disse loro: “Se volete favorire, ci sono, perché
ne ho preparato per due volte. Sono buoni anche riscaldati.”. I frati
chiesero cos’erano i “fregaroi o sbrufadei”. La nonna spiegò che era
farina di frumento inumidita con acqua o latte e sfregata tra le mani,
dalla quale si ottenevano delle palline semirotonde di diverse dimensioni e il resto era farina a grumi, che poi messa in un tegame al fuoco
si mescolava continuamente fino alla cottura . Quando fu pronta la
nonna staccò il paiuolo dal fuoco e si mise a servire la razione di “fregaroi”, naturalmente ai frati per primi. Essendo un po’ lenta nel servire i suoi due piatti, vide con meraviglia, che i frati avevano già
finito e si congratulavano per la bontà. Allora la buona donna, prima
di sedersi a mangiare, gliene diede una seconda razione che consumarono velocemente come la prima. I frati si erano dissetati alla sorgente “Acqua Fredda” della “Paghera” e questa aveva procurato loro
un grande appetito.
Terminata la cena, seguì un po’ di “filanda”, la recita del Santo
Rosario e poi via a letto. La nonna aveva preparato la camera degli
ospiti di fronte alla sua, in cima alla scala a destra. Li accompagnò
con il lume fino all’uscio, dandogli la buonanotte e, poi si girò ed
entrò nella sua, a sinistra: il marito già russava.
I frati non si addormentarono subito, discutevano di quei “fregaroi”
così buoni. Il frate vecchio diceva al giovane: “Io ero vicino al tegame
e ho visto che ne erano rimasti ancora un bel po’. Se fossi pratico
della casa andrei giù a mangiarne ancora: senti i nonni come russano.” Il giovane di rimando: “Dai ,dai, vai giù e portane un po’ anche
a me.” Il vecchio disse: “Ho paura di sbagliare la porta della camera,
perché c’è troppo buio.” E il giovane: “È subito fatto, prendi il cingolo, lo leghi alla maniglia della camera e alla ringhiera della scala,
così sei sicuro di non sbagliare.” L’altro: “Sei un genio.” E uscì. Il
frate giovane come si è detto era bravo ma, un po’ dispettoso: intanto
che l’altro mangiava i “fregaroi” avanzati, si alzò, staccò il cingolo
dal suo uscio e lo attaccò a quello dei nonni e si rimise a letto. Come
d’accordo, dopo averne mangiato a sazietà, il frate vecchio ne fece un
bel mestolo pieno per il confratello in camera. Piano piano s’avviò
per la scala: una mano teneva il mestolo e l’altra la ringhiera.
Terminata che fù quella, soppraggiunse il cingolo e poi la porta della
camera. Avvicinatosi piano piano al letto disse: “Ehi, eccoti i “fregaroi”. Non arrivò nessuna risposta. Il frate vecchio chiamò due o tre
volte ma, non ottenne mai risposta. Allora disse: “Guarda che io ho
rischiato nel portateli : o li prendi o te li butto giù nel letto.” Ma anche
questa volta: Silenzio! Allora alzò leggermente la coperta e giù la
mestolata dei “fregaroi” ma contemporaneamente intravide non una
testa sola ma due e capì che erano i vecchietti e che aveva sbagliato la
camera. Per lo spavento si nascose sotto il letto pensando con ansia a
come rimediare lo sbaglio. Ormai aveva capito chi gli aveva teso uno
scherzo e chi poteva essere stato. Ora pensava: “ Se riesco a trovare la
porta per uscire subito troverei anche la mia e andrei a ringraziare il
confratello. Questi non sono scherzi da fare ma come si fa con questo
buio pesto.” Mentre pensava sul da farsi il pagliericcio sopra la testa
cominciò a scricchiolare. Sentì la voce del nonno che chiamava:
“Rosina, Rosina.” Quella non rispose. Allora il nonno chiamò più
forte e alla sua risposta le disse seccato: “Ehi, cosa hai fatto? Me l’hai
fatta dentro, e tanta.” E l’altra: “Io non ho fatto niente, sarai stato tu.”“E certo, guarda, tocca, me l’hai fatta fin sulle spalle.” – “Come
potevo io farlo?” Dopo un bel po’ di battibecco, la moglie gli disse:
“Cerca sotto il letto: c’è un avanzo di stoppa pulisci il grosso e
domani penseremo.” Il vecchietto sventolando il braccio sotto il letto
s’imbatté nella lunga e folta barba del frate e questo dovette farsi
svelto come uno scoiattolo per seguire lo zigzag del nonno che puliva
i “fregaroi”. Al gesto del nonno di buttare la stoppa, il frate s’infilò
ancora sotto il letto. Dopo un po’, essendosi calmato, trovò la porta di
uscita e rientrato nella sua stanza dopo un battibecco piuttosto acceso
con il confratello si quietarono. Sì, perché i frati, non possono arrabbiarsi più di tanto. Poi il frate vecchio disse al giovane: “Ora dobbiamo svignarcela, prima che si sveglino i vecchietti: Guarda s’intravede l’aurora.” Si incamminarono quindi, verso Schilpario. Giunti
alla sorgente delle “Baruse” si lavarono la faccia e il frate della bella
barba dovette inumidirla a lungo e per bene prima di metterci il pettine. Era divenuta secca, secca. Ormai era l’alba e, prima di arrivare
in paese sentirono il suono dell’ Ave Maria. Giunti alla casa del parroco lo trovarono molto preoccupato perché li aspettava già la sera
precedente. Si scusarono e gli spiegarono che il lungo temporale li
aveva costretti a pernottare ad Azzone ma non accennarono certo alla
avventura dei “fregaroi”. Prima di lasciare Schilpario i due frati confidarono ad un vecchietto di non essere stati soddisfatti nel predicare,
perché ad ogni predica che si accingevano a tenere, temevano sempre
di incontrare le due facce dei vecchietti di Azzone e sentirne il meritato rimprovero. Nel viaggio di ritorno, non mi resta che dire, i due
frati girarono alla larga dall’abitato di Azzone.
P.S.: È chiaro che sono storie, a volte inverosimili ma, sentirle da
ragazzi , ogni cosa era veritiera e divertente.
Per chi non ha mai mangiato i “fregaroi” ecco la novità: prepararli
subito e con un buon appetito più gustosi saranno.
B.P.