banlieues, un anno dopo

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banlieues, un anno dopo
BANLIEUES, UN ANNO DOPO
Sabato 28 Ottobre 2006 14:46
di Alessandro Iacuelli
Nel pomeriggio del 27 ottobre 2005, a Clichy-sous-Bois, nella periferia parigina, due giovani,
Bouna Traoré, 15 anni, e Zyed Benna, 17 anni, morirono fulminati nella cabina elettrica in cui si
erano introdotti scavalcando una rete metallica. Un terzo, Muhittin Altun, 17 anni, sopravvissuto
con gravi ferite, raccontò di essersi nascosto con i compagni nel trasformatore della centralina
elettrica per sfuggire ai poliziotti dai quali pensava di essere inseguito. La reazione poco felice
del ministro dell'Interno francese, che dichiarò “quella gente è feccia”, scatenò la rivolta, con
centinaia di automobili incendiate, violenze, devastazioni e migliaia di arresti. Due notti fa una
decina di uomini a volto coperto ed armati hanno attaccato un autobus a Bagnolet, nel
dipartimento Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi. Hanno fatto scendere i passeggeri e gli hanno
dato fuoco. Hanno fatto scendere i passeggeri e gli hanno dato fuoco. Un incidente simile è
avvenuto anche a Nanterre, ad ovest della capitale francese, dove un altro gruppo di persone
con il volto coperto ha dato fuoco ad un autobus senza ferire nessuno. Associazioni di quartiere
e polizia temono che siano segnali per una ripresa delle violenze in occasione dell'anniversario
dei morti dell’anno scorso.
Forse la realtà è diversa e non sta nel pericolo di altre sommosse in occasione di un
anniversario. Il fatto é in un anno nulla è cambiato, se non la pianificazione del ministro
dell’Interno della propria carriera politica futura, visto che punta decisamente alle elezioni
presidenziali. E la gente di quei quartieri continua ad essere considerata “feccia”, ad essere
definita “canaglie”.
Ad essere sinceri, per trovare traccia dell’esistenza di questa “feccia” è stato necessario
andare a scavare a fondo, nei meandri delle banlieues, nei tre giorni trascorsi a
Clichy-sous-Bois durante la rivolta. Questa “feccia”, altrimenti invisibile, altro non è che il portato
del modello francese di integrazione degli immigrati, che sulla carta immigrati non sono,
essendo francesi da quattro generazioni, discendenti degli abitanti delle ex colonie del nord
Africa.
Girando per il quartiere da cui è partita la rivolta, si nota che hanno parchi pubblici, aiuole
curate, scuole, negozi. Le banlieues non appaiono degradate come spesso ci è stato descritto.
Appaiono molto più vittime del degrado certe periferie di Napoli, Roma e Milano. L'Ile de France
invece è tutto sommato vivibile, con il particolare che tutto ciò che serve è presente nel
quartiere, per scoraggiare l'idea di spostarsi, di uscire dalla
banlieue
. Proprio per evitare che escano dal quartiere, per impedire la contaminazione tra disagio e
lusso, molte linee di mezzi pubblici terminano alle 16.00, in modo da rendere difficile spostarsi,
uscire dal ghetto.
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Certo, le banlieus non sono il centro di Parigi, ma si tratta di centri urbani dignitosi e le
persone che ci vivono sono straordinariamente “normali”. Di sicuro non è una comunità aperta.
Riservati, omertosi se si vuole, chiusi nel loro spaccato, tendono a non parlare con gli
sconosciuti. L’unica volta in cui qualcuno mi ha rivolto la parola è stato perchè hanno temuto
fossimo agenti di polizia. Analisi ingenua la loro, dettata probabilmente dalla sorpresa di trovare
due facce nuove, le uniche due con la pelle bianca, nel quartiere. In realtà sono circondati da
poliziotti, ma tutti in borghese e rigorosamente di colore. Quando si allontanano di pochi
chilometri, vengono subito fermati, controllati, perquisiti, insultati. Non è colpa della polizia in
questo caso. Il problema è politico: vengono mandati appositamente in quei luoghi poliziotti non
formati al dialogo, ma solo alla repressione, che sono ancora più giovani e impauriti, incapaci
infine.
E basta effettivamente allontanarsi di pochi chilometri, per essere fermati e controllati, perchè
poco più in là c'è La Raincy, quartiere di villette a schiera monofamiliari o al massimo bifamiliari,
tutte rigorosamente a due piani, con giardino. Fuori, Mercedes o BMW parcheggiate in bella
mostra.
Lo “stacco” anche panoramico tra La Raincy e Clichy-sous-Bois è netto. Da una fermata
d'autobus alla successiva, cambia il paesaggio di colpo: le villette a schiera terminano
improvvisamente, iniziano i blocchi di cemento da 16 piani.
Gli appartamenti sono vivibili, ma sono stati progettati per nuclei familiari di 4 persone e poi
assegnati a famiglie di 7 o 8 persone
Per quanto riguarda il modello di integrazione francese, c’è da dire che i manifestanti di un
anno fa non erano affatto tutti adolescenti con voglia di violenza: tra gli arrestati figurano anche
ultraventenni diplomati, alla ricerca di un lavoro. Inutilmente. Perché il lavoro, quando c’è, non è
per loro, i “beurs”, termine dispregiativo con il quale i parigini indicano gli abitanti della
sconfinata periferia.
La Francia antirazzista non ha saputo proporre altro che assunzioni basate su curriculum
anonimi, perchè nessuno assume chi ha il cognome africano, anche se è nato in Francia da
genitori altrettanto nati in Francia, cittadino francese con diritto di voto. Ai ragazzi delle banlieue
s
,
questa storia dei curriculum anonimi piace, perchè la vedono come possibilità di trovare lavoro,
di scommettersi il futuro.
A noi italiani questa idea appare invece umiliante. Sarebbe non umiliante il poter essere scelto
per le proprie capacità, indipendentemente dall'origine del cognome.
Il segnale chiaro che emerge dal disagio delle banlieus è il fallimento di un modello
d’integrazione, che pretende da un lato la “francesizzazione” forzata dei discendenti di popoli
colonizzati, ma che dall'altro produce cittadini con diritti di serie B, provocando una
ghettizzazione che, secondo alcuni ragazzi di Clichy, è già la soglia dell'apartheid.
La strada istituzionale per far valere i propri diritti non è fallita: semplicemente, non è mai
decollata. Sono rassegnati e costretti a subire un regime di apartheid mascherato da
democrazia.
Per questo, non c’è da temere una ripresa delle violenze per l’anniversario della morte dei
ragazzi di Cliché: sono decenni che scoppiano rivolte nelle banlieues, per tutti i motivi finora
descritti. E se la rivolta di un anno fa venne etichettata come “la più intensa dalla metà degli
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anni '80”, è solo in base alla contabilità dei danni a persone e cose. Ma venti anni fa ci furono
danni persino maggiori.
Il disagio ha già in sé il futuro che lo fa crescere. Quello che non hanno i giovani delle
banlieus.
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