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Anno XVII n. 3 Luglio-Settembre 2003
Sommario
EDITORIALE
A. BRUSCO, Riflessioni sulla pastorale sanitaria nel territorio.
I gruppi di auto mutuo aiuto ............................................................................ pag. 3
IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE ........................................................................ pag. 5
STUDI
L. SANDRIN, L'esperienza del dolore umano. Riflessioni teologico-pastorali.......... pag. 6
M. BIZZOTTO, Le regole della nascita ..............................................................pag. 20
PASTORALE
Malattia... terra d'esilio. Un dialogo pastorale ...................................................pag. 29
FORMAZIONE
G. CERVELLERA, Il piacere di formarsi ............................................................pag. 34
V. MARCATO, Formazione all'accompagnamento spirituale del morente
nelle Cure Palliative .......................................................................................pag. 44
VARIAZIONI .................................................................................................. pag. 50
TESTIMONI CONTEMPORANEI
M. GADILI, San Giovanni Calabria .................................................................pag. 51
DOCUMENTI
Ecclesia in Europa ..........................................................................................pag. 59
1
ABBIAMO LETTO PER VOI
O. SCARAMUZZI, I tanti dilemmi della bioetica.................................................pag. 60
L. DI TARANTO, Meno preti, quale Chiesa? .....................................................pag. 62
NOTIZIE ....................................................................................................... pag. 67
SEZIONE BIBLIOGRAFICA ............................................................................... pag. 76
2
EDITORIALE
E D I T O R I A L E
RIFLESSIONI SULLA PASTORALE
DELLA SALUTE NEL TERRITORIO
I gruppi di auto mutuo aiuto
Angelo Brusco
Recentemente ho partecipato ad una tre-giorni di studio sull'auto mutuo aiuto. Durante questo interessante momento informativo e formativo mi eÁ accaduto piuÁ volte di associare la risorsa sociale dell'auto mutuo aiuto alla pastorale della salute nel territorio.
L'O.M.S. definisce l'auto mutuo aiuto come l'insieme di tutte «le misure adottate dai
non professionisti per promuovere, mantenere o ricuperare la salute di una determinata comunitaÁ». Si tratta di affrontare determinate patologie o stati personali di disagio
(malattie, separazioni, dipendenze, lutti, disturbi alimentari) dal basso, facendo leva
sulle motivazioni, l'interesse e le esperienze delle persone direttamente interessate
piuttosto che sull'esclusiva presa in carico di professionisti e istituzioni. CioÁ avviene
soprattutto attraverso la costituzione di gruppi in cui i partecipanti, che condividono
problematiche simili, pongono a servizio gli uni degli altri le proprie risorse per fare
fronte alle situazioni che impediscono il loro processo di crescita.1
Il principio che sta alla base di questa iniziativa poggia sulla constatazione che le
persone bisognose di aiuto non hanno solo problemi ma anche del potenziale positivo, dei saperi e delle esperienze che possono mettere a servizio di se e degli altri. Il
risultato eÁ l'empowerment, cioeÁ la trasmissione e l'acquisizione di forze che contribuiscono al cambiamento, cioeÁ all'apprendimento di nuovi modi di comportarsi piuÁ positivi e gratificanti.
I gruppi di auto mutuo aiuto sono nati negli Stati Uniti, verso la fine del 1800. EÁ solo
verso la metaÁ del secolo XX che appaiono in Europa e in Italia. Da allora, hanno conosciuto un promettente sviluppo soprattutto nel Nord e nel Centro della nostra Penisola.
Fa riflettere positivamente il fatto che nel Trentino, su una popolazione di 460.000 abitanti, 9600 (2%) siano coinvolti in tali iniziative.
Tanti di questi gruppi operano all'interno di istituzioni o sono in stretta relazione
con i servizi sanitari locali che offrono varie competenze, altri invece sono dovuti all'iniziativa di singoli individui o si muovono sotto l'egida di particolari organismi, anche
1
Sull'auto mutuo aiuto si possono consultare i seguenti volumi: STEINBERG D.M., L'auto/mutuo aiuto Guida per facilitatori di gruppo, Erickon, Trento; Bertoldi S. e Vanzetta M., (a cura di), I gruppi di auto mutuo
aiuto e l'esperienza dell'Associazione A.M.A. di Trento, Trento, 2002; PANGRAZZI A., Aiutami a dire addio,
Erickson, Trennto, 2003.
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Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
EDITORIALE
ecclesiali. Non sempre risulta facile la collaborazione tra le istituzioni sanitarie e i
gruppi di auto mutuo aiuto, perche i professionisti del mondo della salute fanno fatica
a credere all'efficacia delle risorse presenti negli individui.
Come eÁ giaÁ stato reso noto da questa rivista, vi sono membri dell'A.I.Pa.S. impegnati nella promozione di gruppi di auto mutuo aiuto finalizzati all'elaborazione del lutto.2 Persone che soffrono per la perdita di una persona cara si riuniscono e, con l'accompagnamento di un facilitatore (questa figura puoÁ anche non esserci o progressivamente scomparire), fanno un cammino di crescita, aiutandosi reciprocamente, condividendo le proprie esperienze, imparando gli uni dagli altri, cercando modalitaÁ concrete di uscire dal tunnel della sofferenza, stabilendo legami nuovi, ritornando a guardare alla vita con serenitaÁ e ottimismo.
EÁ proprio questo coinvolgimento giaÁ in atto di operatori pastorali che mi ha fatto associare pastorale della salute nel territorio e gruppi di auto mutuo aiuto.
Rileggo quanto scritto nella Nota della CEI sulla pastorale della salute in Italia: «Il
raggio d'azione della pastorale sanitaria non puoÁ esaurirsi nell'area delle strutture di
ricovero, ma deve estendersi a tutto il territorio nel quale si svolge la vita del cittadino,
riscoprendo il rapporto naturale tra ammalato e famiglia, famiglia e comunitaÁ civile ed
ecclesiale. L'ospedale infatti si configura ormai come servizio integrato con altre strutture sanitarie e aperte alla partecipazione dei cittadini e non piuÁ l'unico punto di riferimento per essere curati e guariti. Le concrete implicazioni pastorali di questo spostamento d'accento dall'ospedale al territorio sono numerose e investono di nuove responsabilitaÁ sia gli operatori pastorali impegnati nelle strutture di ricovero che quelle
operanti nelle comunitaÁ parrocchiali. EÁ esigito un modo nuovo di impostare la pastorale sanitaria che domanda un rinnovamento tempestivo e creativo» (n. 21).
Tutti sappiamo quanto sia lenta la realizzazione del dettato della Nota. Si tratta di
passare da una mentalitaÁ che concepisce l'attivitaÁ pastorale in termini istituzionali ad
un modo di vedere le cose in termini di comunitaÁ, dove la voglia di vivere meglio fa
appello a tutte le risorse presenti nelle persone.
I gruppi di auto mutuo aiuto si collocano, con una loro identitaÁ specifica, tra le tante
possibili iniziative per un positivo passaggio dall'ospedale al territorio, accanto alle
associazione di categorie di malati, di operatori sanitari e pastorali, e volontari. Il costituirli spinge a osservare attentamente l'ambiente in cui la gente vive, a cogliere i bisogni, a collaborare con gli organismi pubblici, offrendo l'apporto che viene dalla nostra tradizione e la ricchezza dei valori evangelici. Non solo, ma offre anche l'occasione per creare solidarietaÁ, amicizia, comunitaÁ e comunione.
Quale meravigliosa occasione di collaborare alla promozione della salute integrale
avrebbe la comunitaÁ ecclesiale se fosse presente, direttamente o indirettamente, nei
410 gruppi attualmente attivati da un'associazione di auto mutuo aiuto, e rivolti a ben
33 ambiti di disagio!
2
Cfr. SCARAMUZZI O., Secondo Convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto per l'elaborazione del lutto, in «Insieme per servire», 52 (2002), pp. 85-86; Id., III Convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto per
il lutto: «Condividere per vivere, risorse del mutuo aiuto nel cordoglio», in «Insieme per servire», 55
(2003), pp. 65-69.
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Il Messaggio del trimestre
All'inizio del nuovo anno sociale, questa preghiera, che chiede a Dio
il dono di una calda umanitaÁ, riflesso del suo amore misericordioso,
aiuti ogni operatore pastorale a raggiungere,
nell'esercizio del proprio ministero, la capacitaÁ
di dare con gioiosa gratuitaÁ e di ricevere con gratitudine.
Molti sono i Tuoi doni, o Dio,
quante sono le stelle del cielo, e tutti preziosi.
Ma nella nostra piccola vita nulla eÁ piuÁ prezioso
dell'amore che sappiamo donarci.
In un cuore tenero incontriamo
il volto della Tua misericordia;
in un cuore capace di emozioni e
in occhi splendenti di calde lacrime
possiamo incontrare il Tuo sguardo amorevole.
Un cuore allegro, che sa donare il sorriso,
puoÁ mostrarci il Tuo volto gioioso.
Un cuore compassionevole che sa perdonare,
che a tutto partecipa, capace
di condividere le pene e gli affanni,
sa donarci l'esperienza del Tuo caldo abbraccio.
Un cuore curioso e appassionato,
pronto a meravigliarsi ad ogni istante
di fronte al miracolo della vita
in tutte le sue forme ed espressioni
ci rende la bellezza del Tuo volto.
Dio, Padre e Madre di ogni essere vivente,
che non emargini nessuno dal Tuo amore,
aiutaci a costruire pace, giustizia,e comprensione
tra popoli culture e religioni diverse
uscendo dai pregiudizi, dalle prepotenze e dalle pigrizie.
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S
T
U
D
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L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO
Riflessione teologico-pastorale
Luciano Sandrin *
nostra malattia il suo stesso dolore e
le sue stesse fragilitaÁ, e non lo sa accettare. Forse perche ha semplicemente paura. Forse perche vorrebbe
capire e aiutarci ma non lo sa fare.1
Per aiutare eÁ importante saper
ascoltare. E ascoltare colui che soffre
vuol dire decifrare non solo le sue parole ma anche i suoi silenzi, tutte le
sue comunicazioni per arrivare a sintonizzarci (anche se mai completamente) con i suoi pensieri e il suo
mondo emotivo. Talvolta una parola
o un gesto sono una specie di grido
soffocato che proviene dal profondo
della psiche, un messaggio che ci introduce nel suo mondo misterioso e
privato, ci narra una storia non solo
personale ma anche familiare.
Ma puoÁ capitare che non riusciamo a udire l'altra persona solo percheÂ
la nostra mente eÁ «pre-occupata», giaÁ
occupata d'altro, o crediamo di sapere tutto in anticipo e non sentiamo il
bisogno di ascoltare.
Nel parlare del dolore si rischia di
dire belle frasi e di fare discorsi lontani dall'esperienza di chi lo vive. Chi
soffre ci rinfaccia di non poter capire
la sua esperienza. E noi, impauriti,
possiamo rinunciare a restargli accanto. Eppure il dolore eÁ esperienza che
tutti facciamo, differente ma anche
1. Interpretare il dolore
Ognuno di noi ha sofferto qualche
dolore fin da bambino: il dolore fisico legato a qualche disturbo, alla malattia, all'handicap, a incidenti o a
violenze in famiglia; scatenato dalla
morte di un genitore, dal divorzio,
dall'abuso o dall'abbandono, dalle
perdite subite o anche solo immaginate. Qualcuno ha sofferto anche prima di nascere: e le ferite di un rifiuto
fanno fatica a guarire. Dolore e sofferenza accompagnano la nostra vita,
evocano paura ed angoscia, sono
esperienze di smarrimento e di solitudine, ci fanno sentire improvvisamente aggrediti dentro la casa del nostro
corpo e della nostra mente, isolati dal
mondo e insicuri.
Nel dolore che accompagna la malattia, la presenza di coloro che ci
amano o di chi ci assiste e ci cura puoÁ
essere il segno di un'appartenenza
che credevamo smarrita, di una relazione che riannoda i frammenti del
nostro corpo e della nostra vita, di un
sostegno alla nostra speranza. A volte, peroÁ, chi dovrebbe starci accanto
si allontana e chi si avvicina crea nel
rapporto con noi una grande distanza. Forse percheÂ, come in uno specchio, vede nel nostro dolore e nella
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Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
simile. Ha un suo linguaggio: parole
e segni che, almeno in parte, possiamo interpretare e attraverso i quali
comunicare.
Il dolore del corpo eÁ un messaggio
che eÁ importante saper interpretare.
E dietro al lamento e al pianto si possono intravedere i segni della paura,
di un desiderio frustrato o di un amore tradito, dell'insicurezza e della solitudine, della tristezza e della disperazione, dell'abbandono e dell'inganno,
del rimorso e della colpa, delle tante
perdite subite o previste, dell'angoscia per l'ultima e definitiva separazione. Il dolore del corpo puoÁ incanalare e comunicare la sofferenza di tutta la persona.
A volte il dolore prende strade aggressive che allontanano dal malato
chi lo vuole aiutare. EÁ insieme il tentativo di scaricare altrove un peso
emotivo troppo grande da sopportare
e un grido di aiuto. A volte l'aggressivitaÁ ritorna sul malato, veste i panni
della depressione, del sospetto, della
gelosia, dell'impazienza, della disperazione, della passivitaÁ o del suicidio:
espressione estrema di un dolore insostenibile, di una vita che ha perso il
suo senso, e insieme richiesta di un
aiuto e atto finale di accusa.
Dolore e sofferenza sono parole
che possono riferirsi, in modo diversificato, al corpo o alla mente. EÁ possibile distinguerle ma eÁ impossibile
separarle completamente. Anche nel
dolore del corpo la psiche gioca la
sua parte. Dobbiamo decodificarne i
segni e rispondere in modo adeguato
a cioÁ che esso ci vuol dire. Il dolore eÁ
spesso un simbolo: il suo significato
puoÁ non essere in cioÁ che appare.2
Troppo spesso, invece di cogliere
cioÁ che il dolore cerca di comunicarci, e cercarne i veri «perche», noi lo
addormentiamo con qualche analgesico, mettiamo un cerotto al dolore,
una sordina alla sua voce. O lo rimuoviamo distraendo, in vari modi,
la nostra attenzione. Non ascoltiamo
cioÁ che la persona che soffre, attraverso il suo stesso dolore, ci vuole comunicare.
A volte c'eÁ solo silenzio. Ma i malati che stanno in silenzio, sono quelli
che forse soffrono di piuÁ; non esprimendo, peroÁ, il loro dolore piuÁ difficilmente troveranno un aiuto per attenuarlo. La mente umana ha una
grande capacitaÁ di difendersi da dolori troppo grandi. La nostra psiche
usa, spesso senza saperlo, un insieme
di «trucchi» per dimenticare, ignorare ed evitare cioÁ che rischia di farci
troppo soffrire: meccanismi di difesa
da un'angoscia e da una tristezza
troppo forti da controllare e gestire.
Il silenzio puoÁ esprimere rifiuto e negazione, ma anche sfiducia che qualcuno sappia veramente ascoltare.
Il dolore eÁ un'esperienza profondamente personale e mai pienamente
condivisibile. Ma qualcosa trapela. Il
dolore ha mille strade per farsi sentire. Esso entra spesso in risonanza con
i nostri presenti o antichi dolori. Nel
dialogo con chi soffre, noi scopriamo
le nostre ferite e le barriere che sono
dentro di noi, che abbiamo man mano costruito fin dalla nostra infanzia,
per salvarci dalle nostre ferite e dal
nostro profondo dolore: corazze che
ci impediscono di essere veramente
presenti agli altri e in comunione con
loro, ma anche con noi stessi. Per
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STUDI
finisce per avere per lui all'interno
delle relazioni. Dal significato che
l'uomo daÁ all'esperienza del dolore
dipende in gran parte la sua capacitaÁ
di sopportarlo e di accettarlo. Anche
i significati culturali e religiosi giocano in questo caso un ruolo importante. «Il dolore ± scrive von Engelhardt, filosofo e storico della medicina ± non puoÁ essere ridotto soltanto
alla biologia, il dolore eÁ un tema della
psicologia, della sociologia, della filosofia e anche della teologia. Una medicina che non voglia esaurirsi in una
tecnica di guarigione, ma voglia essere una cultura della guarigione dovraÁ
sempre prendere in considerazione
anche queste altre dimensioni del dolore».3
Il dolore puoÁ essere uguale (universale) come «danno» ma non lo eÁ
come «senso». Diverso eÁ il senso che
al dolore viene dato dalla persona nei
vari momenti della vita e dalle varie
persone, anche a seconda della loro
cultura, del loro credere o non credere. Diverso quindi eÁ il modo in cui il
dolore viene «vissuto». L'esperienza
effettiva del soffrire eÁ data quindi dalla circolaritaÁ (e reciproca influenza)
tra danno (cioÁ che succede nel corpo)
e senso (l'elaborazione che la mente
ne fa). Esso produce interrogazioni
radicali e profonde su se stessi e sullo
stesso vivere, sul senso dello stare al
mondo e sul senso del morire. Il dolore isola, separa, impedisce di partecipare alla vita degli altri, esclude.
Nel dolore, il corpo (apertura al
mondo) eÁ vissuto come ostacolo, come barriera, nei confronti del mondo. Il dolore chiude possibilitaÁ ritenute scontate e dovute, modifica le
ascoltare il grido del malato, e decifrare le sue emozioni, dobbiamo imparare a non far tacere il dolore delle
ferite che abitano dentro di noi e accettare i rischi dell'empatia.
Studiando a fondo il dolore del
corpo, per capirlo ma soprattutto per
arrivare ad una sua adeguata terapia,
gli specialisti del settore si sono resi
conto che anche il dolore del corpo eÁ
un fenomeno complesso, il risultato
di un «lavoro», di una elaborazione,
spesso non cosciente, di tutta la persona. Anche il dolore del corpo eÁ una
complicata esperienza influenzata
dalla personalitaÁ dell'individuo, dalla
sua storia passata, dallo stato d'animo
del momento e, in modo particolare,
dal significato che egli daÁ alla situazione in riferimento non solo al presente ma anche al futuro.
La capacitaÁ o meno di controllare
il dolore (e la fiducia che qualcuno
abbia la competenza per farlo) svolge
un ruolo non indifferente nella sua
attenuazione e nella sua cura. Del resto di che cosa ci parla l'effetto placebo se non di questo rapporto nella
persona malata tra psiche e soma, del
valore terapeutico della relazione,
della speranza nel farmaco e dell'affidamento del malato a chi lo cura?
2. La circolaritaÁ tra danno e senso
L'intensitaÁ con la quale viene sentito il dolore, ed il tipo di emozioni che
scatena, dipendono da tanti fattori.
L'elemento psicologico centrale eÁ,
peroÁ, il senso che quel dolore ha per
l'individuo che lo vive, il significato
(e l'importanza) che esso man mano
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L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
condizioni d'esperienza. Proprio per
questo da impedimento puoÁ trasformarsi, anche, in occasione per individuare nuovi sentieri, far intravedere
nuove possibilitaÁ, stimolare, far crescere.
«Ma davvero il dolore fa crescere,
rende migliori? ± si domanda Salvatore Natoli ± Forse. Bisogna peroÁ stare attenti, la frase puoÁ essere consolatoria. Il dolore innanzitutto devasta.
Poi puoÁ anche far crescere, ma a condizione che al di laÁ della lacerazione
diventi ancora possibile sperimentare
legami. Restiamo legati alla vita oltre
il dolore perche la vita eÁ legame. Cos'eÁ infatti il morire se non uno sciogliere il legame che lega il se con seÂ, il
se con gli altri? Nel dolore appare
piuÁ che mai l'alteritaÁ. Il sofferente riesce a tollerare meglio il suo dolore se
si sente obbligato nei confronti di
qualcuno. Ma chi soffre si sente in
obbligo di vivere se eÁ ragione di vita
per qualcuno, se il suo venire meno eÁ
da qualcuno vissuto davvero come
perdita».
Il dolore interroga e mette alla prova non solo l'individuo che ne eÁ implicato, la sua forza e i suoi valori, ma
anche i legami familiari e sociali, la
loro forza reale o solo apparente. Nei
legami si cerca un senso o per lo meno una condivisione che ne attutisca
la violenza. «Esistono legami che fanno da ponte verso la vita. Le credenze aiutano a ricostruire il senso, non
tanto perche riescono a giustificare la
sofferenza, ma perche permettono di
attraversarla. Giobbe contende con
Dio; Dio non risponde alle sue domande, ma nonostante questo eÁ sempre un tu a cui Giobbe si puoÁ rivolge-
re, con cui contendere. Giobbe non
resta solo: ha qualcuno con cui parlare e percioÁ possiede una buona ragione per vivere. Il colloquio, poco importa se tra Dio e l'uomo o se tra gli
uomini tra loro, eÁ luce nella notte,
evita il baratro del non senso. Potersi
rivolgere a Dio ± fosse anche inesistente ± o all'altro che ci sta accanto,
pur tacendo ± un eloquente silenzio ±
non annulla affatto la sofferenza, la
rende peroÁ vivibile».4
La medicina ha i mezzi per lenire il
dolore del corpo ma rischia di aumentarlo (oltre che aumentare la sofferenza) se non prende in considerazione l'interezza della «persona». Anche nei migliori ospedali si puoÁ creare il paradosso che il dolore non solo
sia presente nel corso di una malattia
ma sia «il risultato del suo trattamento», che siano cioeÁ i vari professionisti della salute a causare sofferenza
proprio mentre cercano di lenirla o
risolverla.
La sofferenza (anche nelle sue accezioni di dolore) eÁ esperienza della
persona nella sua interezza e nelle sue
varie dimensioni. Fintantoche prevale
una concezione dicotomica del rapporto mente-corpo, la sofferenza saraÁ
vista sempre come soggettiva e quindi non del tutto reale, non di dominio
della medicina o identificata col dolore del corpo (curabile con in mezzi di
cui la medicina dispone). E tutto cioÁ
depersonalizza il malato ed eÁ fonte di
ulteriore sofferenza. Solo «una medicina che si prende carico della persona che soffre» nella sua interezza ±
tenendo in considerazione il suo carattere e la sua personalitaÁ, la sua storia passata, i significati che daÁ alla
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STUDI
malattia e al trattamento, la sua famiglia, la cultura, i ruoli che svolge nella
vita, la varietaÁ delle sue relazioni, il
suo corpo e il modo di viverlo, ma
anche la sua mente e le esperienze di
vita che essa custodisce, il suo mondo
inconscio, il suo modo di guardare al
futuro, il trascendente nel quale crede e al quale si affida ± puoÁ curare o
almeno lenire il dolore.5
Il dolore non eÁ la sofferenza, ma
nel vissuto della persona gli slittamenti dall'uno all'altra e il reciproco
influenzarsi eÁ continuo, e forte eÁ il loro richiamare la morte ed esserne come un'anticipazione. Ed eÁ questo che
piuÁ fa soffrire ma pone anche gli interrogativi piuÁ forti sul «senso» e
«fonda la serietaÁ e la gravitaÁ della vita».6 Se c'eÁ un dolore che puoÁ e deve
essere curato c'eÁ una sofferenza che
fa parte della vita, della condizione
umana, e non puoÁ essere rimossa.
Il dolore dell'anima eÁ come quello
del corpo: non possiamo eliminarlo
dalla nostra vita. Fa parte della nostra
umanitaÁ «mortale» e della nostra
conseguente fragilitaÁ e vulnerabilitaÁ,
del nostro essere uomini e donne di
questo mondo.
stri, le nostre vite sono nostre, il nostro destino eÁ nostro. La natura eÁ sotto il nostro controllo ed abbiamo un
autonomo diritto di trovare la nostra
propria via individuale nel controllare la nostra vita e la nostra morte. La
tendenza verso l'eutanasia ne eÁ il decisivo punto ultimo. Una risposta all'eutanasia comincia con il ri-conoscere il nostro «Se mortale» (facendo
lutto da un se onnipotente e illusorio)
ri-comprendendo il dolore, la sofferenza e la morte (senza rimuoverli) ripensando il come vogliamo vivere in
compagnia degli altri (accettando le
forme di dipendenza che fanno parte
dell'essere umani, fragili e vulnerabili), e ri-pensando le implicazioni morali e terapeutiche che tutto cioÁ comporta, anche a proposito del dolore.7
La domanda di eutanasia eÁ piuÁ ampia di cioÁ che «esplicitamente» dice.
Il dolore che spinge colui che muore
a richiederla ha un «implicito» piuÁ
ricco che va decodificato. «La domanda che sgorga dal cuore dell'uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte, specialmente
quando eÁ tentato di ripiegarsi nella
disperazione e quasi di annientarsi in
essa, ± ci ricorda Giovanni Paolo II
nell'Evangelium vitae ± eÁ soprattutto
domanda di compagnia, di solidarietaÁ
e di sostegno nella prova. EÁ richiesta
di aiuto per continuare a sperare,
quando tutte le speranze umane vengono meno».8
La domanda di chi muore eÁ carica
di un'attesa relazionale piuÁ ampia
della semplice prestazione tecnica, eÁ
ricerca della propria identitaÁ, del senso del proprio vivere, del soffrire e
del morire. La domanda di eutanasia
3. Oltre il dolorismo
Essere umani eÁ essere mortali. A
questo si ribella il nostro inconscio
ma anche una cultura sociale e sanitaria confidente piuttosto sui frutti attuali e su quelli sperati della scienza e
della tecnica. Siamo immersi in una
cultura che vede nell'autodeterminazione il punto finale e caratteristico
della libertaÁ. I nostri corpi sono no10
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
chiede, innanzitutto, una risposta che
prenda sul serio il dolore (e la sofferenza) da cui essa nasce e che coinvolge l'interezza della persona. Il dolore non attiene solo alla sfera fisiologica, ma anche a quella psicologica,
sociale e spirituale: eÁ sempre un'esperienza della persona. E sono varie oggi le possibilitaÁ per una sua attenuazione e una sua cura.
Ma c'eÁ una sofferenza, dentro al
morire, che non puoÁ essere tolta, perche eÁ la piuÁ vivida manifestazione del
nostro Se mortale. «Possiamo alleviare la fame di un altro o il dolore fisico. Ma la sofferenza puoÁ essere alleviata solo in parte, precisamente perche la sofferenza piuÁ profonda proviene dal convivere con la nostra
mortalitaÁ, con il pericolo finale dell'annientamento. Nessun altro essere
umano puoÁ toglierci questo rischio.
Tentare di rimuovere questo senso di
minaccia una volta per tutte, intimare
a qualcuno che questa sofferenza non
si deve sopportarla, eÁ tagliar via la vera anima dalla vita umana».9 C'eÁ un
dolore che puoÁ (e deve) essere curato. Ma c'eÁ un dolore che fa parte del
nostro vivere e diventa piuÁ forte nell'esperienza del morire. Fuggire da
questo dolore significa impedirsi di
vivere.
Il dolore eÁ la traccia fisiologica della nostra creaturale finitudine, ma
proprio perche siamo esseri finiti,
contingenti, mortali, siamo esseri relazionali, bisognosi cioeÁ, per conquistare la nostra piena identitaÁ, dell'essere-con-l'altro, convinti che la nostra
eÁ sempre vita accanto a vite, fonte e
donatrice di significati, anche quando
non li percepiamo. «Qui si colloca
scrive Francesco D'Agostino ± l'immenso valore bioetico delle cure palliative, in particolare di quelle prestate ai malati terminali: alleviare i dolori
di chi soffre, anche senza per questo
potergli garantire la guarigione, veicola un significato che va oltre quello
± giaÁ di per se immenso ± rappresentato dalla diminuzione del dolore: diviene un simbolo tangibile dell'essere
accanto, di cioÁ che in altre parole un
malato desidera piuÁ di ogni altra cosa».10 Nella presenza dell'altro, nella
sua solidarietaÁ ed amicizia il malato
che muore coglie se vale la pena continuare a vivere, pur dentro ai dolori
e alla sofferenza del morire.11
Nella persona umana il dolore
coinvolge l'interezza della persona.
Parlare di etica del dolore significa
parlare dell'uomo, del suo limite e
del suo tendere, del suo essere radicato qui, ma anche del suo saper trascendere, del suo essere debitore e
del suo dare. Se questa etica del dolore trova ancoraggio nel cristianesimo,
diventa etica che si fonda sull'agire di
un Dio che, donando se stesso, rende
l'uomo capace di vivere dall'interno
una nuova esistenza che si irradia in
tutti i rapporti. Ma questo non puoÁ
essere espresso da un singolo specialista, riguarda i vari soggetti morali.
Solo insieme (pur da varie prospettive professionali) si puoÁ comprendere
la multifattorialitaÁ del dolore, affrontarne la cura e sostenerne la condivisione.12
Ma «trattandosi della sua sofferenza, il malato eÁ il primo che ha competenza a rispondere».13 Nella relazione
di cura, trattandosi della sua sofferenza, il malato (e la sua esperienza)
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STUDI
deve restare al centro, punto d'incrocio dei vari «sguardi» professionali e
di verifica della cura. Anche quando
l'intervento antidolorifico puoÁ togliere al malato la coscienza, tutto cioÁ deve essere fatto nel rispetto della sua
dignitaÁ e della sua libertaÁ, del «suo
bene» (non frettolosamente definito
ma dialogicamente interpretato) all'interno di una strategia terapeutica
globale: non deve essere, in alcun
modo, una fuga «autorizzata» dalla
relazione e un modo «non detto» di
scomunicare una voce difficile da
ascoltare, perche implica una dolorosa presa di coscienza del nostro essere mortali, del senso del nostro vivere, del nostro soffrire e del nostro
morire.
La relazione con chi soffre eÁ una relazione difficile perche mette in causa
sia il malato che i curanti nella loro interezza esperienziale e nell'incontrarsi, scontrarsi e armonizzarsi, continuo
dei loro sguardi parziali e dei loro dolori. EÁ una relazione capace di affrontare i fluttuanti vissuti di chi soffre e
gestire quelli di chi lo cura (di fronte
al dolore, al limite, all'impotenza e al
morire) assicurando una presenza
«autentica», che accetti di rimanere
vulnerabile e che autorizzi peroÁ nel
malato una speranza (se non altro di
non essere abbandonato).
Se pesa in molti teologi «una tradizione ingombrante, quella rappresentata da una letteratura ascetica e devota che ha celebrato in molti modi
le magiche capacitaÁ elevanti della sofferenza, e soprattutto della pazienza»14, pesa peroÁ anche in molti professionisti sanitari una ignoranza «religiosa» abbastanza diffusa, come pe-
sa anche il loro difendersi da vissuti
psicologici che, proprio perche «non
detti», condizionano e impoveriscono
la loro relazione di cura. Se esistono
ancora forti reticenze da parte di
molti medici ad usare la morfina cioÁ
non puoÁ essere semplicemente attribuito ad una educazione «doloristica» cattolica. Alcune proposte teologiche trovano terreno fertile in dinamiche motivazionali che abitano nel
profondo piuÁ o meno inconscio della
psiche, non solo del malato ma anche
di chi lo cura.15
La visione cattolica nei confronti
del dolore eÁ spesso identificata con il
«dolorismo» inteso come accettazione «paziente» (e offerta passiva) del
dolore nella propria vita. La proposta
cristiana, anche nelle sue sottolineature cattoliche, eÁ in realtaÁ molto piuÁ
ricca e non identificabile con questa
prospettiva.
Giovanni Paolo II, nella sua lettera
enciclica sul Vangelo della vita, cosõÁ
scrive: «Nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le
cosiddette «cure palliative», destinate
a rendere piuÁ sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e
ad assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano. In questo contesto sorge,
tra gli altri, il problema della liceitaÁ
del ricorso ai diversi tipi di analgesici
e sedativi per sollevare il malato dal
dolore, quando cioÁ comporta il rischio di abbreviargli la vita. Se, infatti, puoÁ essere considerato degno di
lode chi accetta volontariamente di
soffrire rinunciando a interventi antidolorifici per conservare la piena luciditaÁ e partecipare, se credente, in
12
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
maniera consapevole alla passione del
Signore, tale comportamento «eroico» non puoÁ essere ritenuto doveroso
per tutti. GiaÁ Pio XII aveva affermato
che eÁ lecito sopprimere il dolore per
mezzo di narcotici, pur con la conseguenza di limitare la coscienza e di
abbreviare la vita, «se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze,
cioÁ non impedisce l'adempimento di
altri doveri religiosi e morali»», con
l'attenzione peroÁ a non privare il moribondo della coscienza di se senza
gravi motivi (Evangelium vitae, 65).
Il dolore non eÁ «un oggetto» che
ha valore in se stesso ma un'esperienza della persona. Sopportazione e
cambiamento sono due parole-chiave
per quanto riguarda l'etica del dolore: la sopportazione non eÁ peroÁ semplice rassegnazione o mistificazione
del dolore, ma la ricerca attiva di
quelle risorse interiori che sono necessarie per vivere il dolore e aiutano
a non dipendere unicamente da farmaci o droghe e il cambiamento non
eÁ realizzazione di un sogno impossibile di felicitaÁ totale, assoluta, ma si
esprime attraverso la diagnosi, la cura
e la prevenzione del dolore.16
In questo senso, l'impegno cristiano diventa anche «critico» rispetto a
una cultura che rimuove il dolore dalla vita. Una visione del mondo che
non puoÁ dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso fallisce proprio
laÁ dove fanno la loro comparsa le domande fondamentali e decisive dell'esistenza. «Coloro che sul dolore non
hanno nient'altro da dire se non che
si deve combatterlo, ci ingannano.
Certamente bisogna fare di tutto per
alleviare il dolore di tanti innocenti e
per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non esiste, e
chi non eÁ capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni
che sole ci fanno diventare maturi».17
4. Dio chiamato in causa
A volte, nella nostra vita, il dolore
prende il sopravvento e il controllo
su di noi. E la domanda del «percheÂ?» si trasforma in domanda sul
«perche proprio a me?». Ne cerchiamo una causa, un'attribuzione, una
colpa: Dio, gli altri, noi stessi o un
peccato che fin dall'origine ci accompagna e trova materializzazioni sempre nuove nei nostri stessi peccati. Risposte religiose diverse vengono proposte per rispondere al perche del nostro soffrire, cercandone il «senso» in
cui Dio eÁ implicato, sottolineando, di
volta in volta, la sua onnipotenza di
Dio o impotenza, la sua distanza o il
suo amore.18
Anche a riguardo della sofferenza,
per cercarne una risposta, non possiamo non tenere fisso il nostro
sguardo sul volto del Signore (Novo
Millennio Ineunte n. 16). Dovremmo
continuamente ripartire da Lui. La risposta al perche della sofferenza ed al
grido di chi soffre non puoÁ che essere
Lui stesso, Parola definitiva e «accreditata» del Padre. GesuÁ Cristo ci rivela l'agire o il non agire di Dio anche
in rapporto all'umana sofferenza.
«CioÁ che GesuÁ non fa e non puoÁ fare,
Dio non fa e non puoÁ fare in rapporto alla sofferenza dell'uomo».19
E GesuÁ, sul dolore, eÁ stato molto
«discreto». Non l'ha spiegato. Ha fat13
STUDI
to un discorso teologico, se cosõÁ si
puoÁ dire, semplice ma diretto, solo
per difendere il malato, a proposito
del rapporto malattia-colpa. La colpa
e i sentimenti che la esprimono eÁ frequente nelle espressioni di chi soffre,
del malato e dei suoi familiari. GesuÁ,
Parola definitiva del Padre, ha dichiarato, a proposito del cieco, che della
sua cecitaÁ non ne avevano colpa neÂ
lui ne i suoi genitori (Gv 9,3).20
Per un cristiano il senso ultimo del
dolore e del morire non puoÁ essere
pienamente spiegato ma «vissuto»
dentro all'esperienza di fede. Lo stesso GesuÁ non lo ha predicato ma ne
ha «narrato» il senso nella risposta
che concretamente dava ai sofferenti
che lo cercavano, e soprattutto nella
sua passione e nella sua morte: abbandonandosi obbediente e fiducioso
nelle braccia del Padre, credendo alla
relazione d'amore con lui (contro
ogni evidenza), il suo soffrire e morire eÁ diventato luogo di redenzione e
di profonda guarigione.21
E GesuÁ non propone atteggiamenti di rassegnazione. Anzi, egli si adoperoÁ con la parola e le opere percheÂ
fossero vinte le cause del male. Neppure cercoÁ mai, per se stesso, la sofferenza. Quando tuttavia non pote evitarla perche conseguenza della fedeltaÁ alla volontaÁ salvifica del Padre, vi
si sottomise, la prese su di se (Mt 8,
17): la sofferenza acquistoÁ un senso e
divenne via d'accesso alla pienezza di
vita non solo per Lui, ma per noi tutti. Il «percheÂ?» del dolore dell'uomo
eÁ diventato la domanda di Dio stesso,
e ora risuona all'interno della vita divina: nulla ormai di quanto accade all'uomo eÁ estraneo a Dio. Nel Cristo
sofferente ci viene svelato fino a che
punto Dio sia amore, e amore per
noi.22
Ciascuno si chiede il senso della
sofferenza e cerca una risposta a questa domanda. E pone piuÁ volte questa
domanda a Dio. Ma «egli non puoÁ
non notare che colui, al quale pone la
sua domanda, soffre lui stesso e vuole
rispondergli dalla Croce, dal centro
della sua propria sofferenza» (Salvifici
Doloris 26). Il Dio compassionevole
dice la sua Parola di partecipazione alla sofferenza dell'uomo e nel Figlio incarnato la fa propria. «Il Dio cristiano non eÁ fuori della sofferenza del
mondo, spettatore impassibile di essa
dall'alto della sua immutabile perfezione: egli la assume e la vive nel modo piuÁ intenso, come sofferenza attiva, come dono e offerta da cui sgorga
la vita nuova del mondo. Da quel venerdõÁ santo noi sappiamo che la storia delle sofferenze umane eÁ anche la
storia del Dio cristiano: egli eÁ presente in essa, a soffrire con l'uomo e a
contagiarli il valore immenso della
sofferenza offerta per amore».23
Il significato definitivo della sofferenza di GesuÁ appare peroÁ in maniera
compiuta solo nell'evento della risurrezione. La contemplazione del volto
di Cristo non puoÁ fermarsi al Volto
dolente. Egli eÁ il Risorto! Se cosi non
fosse, vana sarebbe la nostra predicazione e vana la nostra fede (cfr 1 Cor
15,14). EÁ a Cristo risorto che ormai la
Chiesa guarda (NMI n. 28). La risurrezione del suo Cristo eÁ la «risposta»
ultima del Padre al grido del suo Figlio, che daÁ senso e compimento al
suo atteggiamento di filiale fiducia e
obbedienza. Il Padre ri-consegna lo
14
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
Spirito d'amore a chi, nella croce a
Lui l'aveva consegnato. Le piaghe del
Crocifisso rimarranno impresse sul
suo corpo al di laÁ della risurrezione
quale sigillo espressivo d'un amore
che ha segnato la sua vita, le sue relazioni sananti con i malati che incontrava e si eÁ espresso in modo drammatico, ma fedele, sulla croce.
Come GesuÁ non ha dato una spiegazione alla sofferenza, cosõÁ neppure
l'ha eliminata. L'ha piuttosto svuotata
della sua assurditaÁ, del suo non-senso. «Nella croce di Cristo non solo si
eÁ compiuta la redenzione mediante la
sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana eÁ stata redenta (Salvifici
Doloris 19)». Guardando a Cristo si
capisce come la sofferenza e la morte
non hanno un valore in se stesse: il
loro valore proviene dalla fedeltaÁ all'amore obbediente.
Il suo dolore eÁ diventato luogo di
fedeltaÁ al Padre e della realizzazione
del suo progetto d'amore. Il grido del
Cristo in croce ricapitola tutto il dolore del mondo ed esprime nello stesso tempo l'atroce sofferenza di Dio.
Nel nostro vivere in Cristo, la sofferenza eÁ vinta dall'interno e il suo senso di assurditaÁ viene superato attraversandola insieme con Lui, perche di
fatto eÁ Lui che la vive in noi trasformandola in amore che redime. «La
croce eÁ rivelazione dell'amore compassionevole di un Dio che soffre e fa
compagnia al dolore umano».24
E dalla croce invita tutti noi alla
collaborazione. «Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo
ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza,
puoÁ diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo» (Salvifici
Doloris 19). La risurrezione promessa
non ne banalizza, peroÁ, la drammaticitaÁ. La domenica di Risurrezione
non annulla il VenerdõÁ di passione.
La tensione tra croce e risurrezione
continua a segnare la vita dei credenti. Nella risurrezione di Cristo Dio rivela la sua volontaÁ di distruggere, nel
dolore del Figlio, il dolore che pure
continua a segnare la vita degli uomini. «I cristiani sono chiamati a vivere
questo mistero, paradossalmente, tra
due atteggiamenti diversi: da un lato,
la sofferta ricerca di un senso per il
dolore ineluttabile che accomuna tutti gli uomini, «non ancora» eliminato
per sempre, perche esso possa essere
accolto come un segno della partecipazione alla passione del Cristo; dall'altro, la consapevolezza che la potenza scaturita dalla risurrezione del
Figlio di Dio eÁ «giaÁ» efficace nel tempo della Chiesa, perche sia compiuta
la guarigione e la liberazione dell'uomo da ogni male».25
5. ComunitaÁ sanante
EÁ possibile entrare nell'esperienza
dell'altro, nel suo dolore, ma per farlo dobbiamo levarci i sandali, percheÂ
eÁ come entrare nella terra del mistero, nel mondo del limite e della finitudine, in quelle esperienze che, mentre si svelano alla nostra conoscenza,
continuamente sfuggono ai nostri
schemi e continuamente si velano.
EÁ legittimo anche inoltrarsi «teologicamente» dentro al mistero di
Dio (anche a proposito del dolore)
15
STUDI
ma senza dimenticare che eÁ sempre
forte il rischio di non dire «cose rette» di Lui (come gli amici di Giobbe)
e di non rispettare, in chi soffre, la ricerca appassionata e del tutto personale della presenza di Lui. Anche se
non riceve spiegazioni e consolazioni,
Giobbe «sente vicino il suo Signore
ed esce, cosõÁ, dalla solitudine che rende insopportabile qualsiasi dolore».26
E si sente confortato e piuÁ forte nella
sua fede di cui ne fa professione. «Io
ti conoscevo per sentito dire, ma ora i
miei occhi ti vedono» (Gb 42,5). Ed
eÁ questa la sua guarigione. «E in realtaÁ Giobbe, piuÁ che il simbolo di una
ricerca e di una soluzione del mistero
del dolore innocente, eÁ la scoperta
del vero volto di Dio attraverso la
strada piuÁ erta, quella dell'apparente
assurdo, del silenzio divino e dello
scandalo. EÁ, quindi, una celebrazione
della vera fede contro le definizioni
di seconda mano, le facili teodicee e
le scorciatoie apologetiche. Non per
nulla le ultime sue parole sono rivolte
a Dio: «Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono»
(Gb 42, 5). EÁ, dunque, la storia di un
uomo posto nel crocevia del dolore
che tenta di orientarsi verso il vero
volto e la vera parola di Dio, ricusando le false piste delle facili spiegazioni e dei simulacri di Dio».27
Le domande che nascono dal dolore e dalla sofferenza del morire sono
le domande vere che non possiamo
eludere perche sono domande di relazione e solidarietaÁ, un cercare l'incontro, la comunione, il conforto della vicinanza e della «com-passione». Nella
relazione con il malato che soffre e
che muore (nella sua capacitaÁ di ri-
spondere al desiderio di relazione che,
anche nella domanda di eutanasia,
viene drammaticamente espressa) la
comunitaÁ terapeutica puoÁ riscoprire
la sua missione sanante, e cioeÁ il senso
profondo e autentico della cura.28
Se Cristo ha redento la persona
umana, e l'ha chiamata a collaborare
alla redenzione, per cioÁ stesso ha anche redento la relazione tra le persone. EÁ quindi evidente che la relazione
con chi soffre puoÁ essere uno dei luoghi privilegiati in cui il desiderio di
Dio oggi si incarna, e diventare profondamente sanante e reciprocamente redentiva. Se vuole essere discepola del suo Signore, la comunitaÁ cristiana, comunitaÁ sanata dall'amore e
riconciliata nel Cristo Crocifisso e Risorto con le proprie sofferenze, deve
esprimersi come comunitaÁ sanante dicendo la pienezza della Parola che le
eÁ stata affidata attraverso un «amore
impegnato» verso chi soffre, in modo
particolare nella presenza che non
viene meno e nel gesto di cura.29 Una
chiesa non attenta ai piccoli, ai poveri, ai malati, ai sofferenti non eÁ la comunitaÁ di Cristo. «La chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella
croce di Cristo, eÁ tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale
incontro l'uomo «diventa la via della
chiesa», ed eÁ, questa, una delle vie
piuÁ importanti (Salvifici Doloris 3)».
Il compito piuÁ importante per la
comunitaÁ cristiana (la sua missione) eÁ
quello di presentare, al malato e a chi
soffre, non tanto risposte facili e in
apparenza «risolutorie» sul dolore
ma la tenerezza di un Dio compassionevole che in GesuÁ ha fatto del soffri16
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
re e del morire (che per l'uomo eÁ
spesso tentazione di allontanarsi da
Dio) strade faticose ma «possibili»
per abbandonarsi al Padre e salvare
nell'Amore l'umanitaÁ intera. La comunitaÁ cristiana ha il compito sanante di calare nei suoi gesti di vicinanza,
di cura, di consolazione e di speranza
il Dio compassionevole che annuncia
nel vangelo. «Nell'isolamento della
sofferenza, la presenza della compassione divina come compagna nel dolore trasforma la sofferenza, non mitigando il suo male ma portando inesplicabilmente consolazione e conforto».30
Per colui che soffre, l'amore di Dio
«passa» il piuÁ delle volte attraverso il
nostro amore. La sofferenza dell'altro
eÁ «pro-vocazione» al servizio e alla
compagnia. Il cammino della ricerca
di un senso del dolore puoÁ essere visto come un viaggio che noi facciamo
insieme con chi soffre. E in questo
viaggio Dio cammina con noi e ci salva, ma anche noi possiamo «salvare»
Lui rispettandone il nome, anche senza capire.31 Torna a farsi sentire, ±
anche a proposito della malattia, della sofferenza e della colpa, ± il comandamento «non nominare il nome
di Dio invano».
Non sempre eÁ possibile guarire il
dolore. A volte si eÁ impotenti e si resta in silenzio. Proprio il silenzio eÁ
spesso il piuÁ grande servizio percheÂ
permette a chi soffre di «con-dividere» con noi il suo dolore. Rimanendo
con le persone e lottando con loro,
ma allo stesso tempo rifiutando di
coltivare le loro impossibili «illusioni», noi possiamo ristabilire in loro il
coraggio a chiamare per nome le loro
profonde paure, ad esprimere ma anche a vivere «da soggetti» il loro dolore.
Il nostro compito principale eÁ di
stare lõÁ e di vegliare con coloro che
soffrono, di fare cioeÁ quel semplice
servizio che GesuÁ chiese invano ai
suoi discepoli nell'orto degli ulivi e
che Maria ha saputo esprimere ai piedi della croce: presenza discreta, silenziosa, eppure profondamente partecipe, «parola d'amore» significativa
di una madre accanto al suo figlio
che soffre e che muore.
E proprio un amore che condivide
il dolore puoÁ rivelarsi anche «luogo»
che purifica e arricchisce il nostro
stesso teo-logare.
Dio non vuole la sofferenza degli
uomini. EÁ questo il titolo lapidario di
un libro di Jean-Claude Larchet. Essa
eÁ estranea al disegno di Dio sull'uomo e sul mondo. In Cristo Dio ci mostra il suo disegno: che la sofferenza
sia abolita. Ma questo per noi arriveraÁ, nella sua completezza, alla fine dei
tempi. Egli ha dato dei segni anticipatori di questa vittoria sulla sofferenza, alleviando la sofferenza di
quelli che accorrevano a Lui. Non ha
mai giustificato la sofferenza ma anzi,
ha indicato a noi tutti, che alleviare la
sofferenza eÁ una dimensione essenziale della caritaÁ verso il prossimo.
Con Cristo la sofferenza ha assunto
un nuovo statuto: da «tentazione» in
«occasione» di crescita spirituale. Ma
questo non significa che essa debba
essere peroÁ ricercata in alcun modo
per se stessa. «Il cristianesimo non fa
della sofferenza un fine della vita spirituale, ne un mezzo obbligato di
questa. I beni spirituali acquisiti nella
17
STUDI
1
Cfr SANDRIN L., Compagni di viaggio. Il
malato e chi lo cura, Paoline, Milano 2000.
2
Cfr SANDRIN L., Come affrontare il dolore. Capire, accettare, interpretare la sofferenza,
Paoline Milano 19953.
3
von ENGELHARDT D., Antropologia del
dolore,http:www.emsf.rai.it/interviste.asp?d
=329. Cfr anche BIZZOTTO M., Il grido di
Giobbe. L'uomo, la malattia, il dolore nella
cultura contemporanea, San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI), 1995.
4
NATOLI S., Il dolore tra danno e senso, in
NATOLI S., Stare al mondo. Escursioni nel
tempo presente, Feltrinelli, Milano 2002, pp.
133-139; NATOLI S., L'esperienza del dolore.
Le forme del patire nella cultura occidentale,
Feltrinelli, Milano 1988.
5
CASSEL E.J., The nature of suffering and
the goals of medicine, Oxford University,
New York-Oxford 1991, pp. 30-47.
6
Cfr BORGNA E., Sottrarre il dolore alla
sua solitudine, in BORGNA E., L'arcipelago
delle emozioni, Feltrinelli, Milano 2001, pp.
128-144.
7
CALLAHAN D., The troubled dream of life.
In search of a peaceful death, Georgetown
University, Washington D.C. 2000, pp. 120155.
8
GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae.
Lettera enciclica sul valore e l'inviolabilitaÁ della vita umana, 1995, n. 67. Cfr anche SANDRIN L., Una domanda che nasce dal dolore.
Riflessioni sull'eutanasia da una prospettiva
cattolica, in MORANDINI S., PEGORARO R. (a
cura di), Alla fine della vita: religioni e bioetica, Fondazione Lanza Gregoriana, Padova
2003, pp. 57-79.
9
CALLAHAN D., The troubled dream of life. In search of a peaceful death, Georgetown
University, Washington D.C. 2000, p. 143.
10
D'AGOSTINO F., Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1998, pp. 213-214. Cfr. anche O'ROURKE K. (edited by), A primer health care ethics.
Essays for a pluralistic society, Georgetown
University, Washington D.C. 20002, pp.
203-236.
11
Cfr GALZAIN C., Quand les jours sont
compteÂs, Saint-Paul, Versailles 1997.
sofferenza non sono ricevuti da essa,
ma in occasione di essa. Ed essi dipendono meno dalla sofferenza stessa
che dall'atteggiamento che l'uomo
adotta nei suoi riguardi. E in tanto
che beni, sono sempre un dono di
Dio».32
Sono un dono del suo Spirito. La
sofferenza puoÁ essere luogo di incontro tra lo Spirito di Dio, la fede dell'uomo che soffre e di coloro che se
ne prendono cura: e «l'incontro eÁ il
luogo privilegiato dell'esperienza spirituale». La sofferenza, per la debolezza in cui getta il malato, puoÁ diventare anche lo spazio che attira
l'aiuto dello Spirito santo: Lo Spirito
viene in aiuto alla nostra debolezza
(Rm 8, 26), a quella del malato ma
anche a quella di chi lo cura.33
Se eÁ fuori dubbio l'efficacia dell'azione dello Spirito eÁ altrettanto vero
che Dio, fin dagli inizi, ha voluto aver
bisogno di noi. Dobbiamo essere capaci di «con-laborare» con Lui nel
migliore dei modi: la relazione con
chi soffre eÁ troppo delicata per essere
lasciata al buon senso terapeutico e
all'improvvisazione teologico-pastorale.
Con l'aiuto dello Spirito santo che
eÁ Spirito dell'amore, dell'intelligenza
e del coraggio, ± la nostra competenza nel servire chi soffre puoÁ esprimere meglio quei segni che anticipano il
Regno.
Note
* Docente di Psicologia della salute e della
malattia e di Teologia pastorale sanitaria al Camillianum di Roma.
18
L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin)
12
Cfr SANDRIN L., Educare alla relazione
tra tutti i soggetti della cura, Atti della 16a
Conferenza Internazionale del Pontificio
Consiglio per la Pastorale della Salute su
«Salute e potere», CittaÁ del Vaticano
17.11.2001, in «Dolentium Hominum»,
49(2002), pp. 109-115.
13
MATRAY B., Traitement de la douleur et
relation avec la personne en souffrance: approche eÂtique, in «Laennec» 3-4 1997 ± NumeÂro
speÂcial «Le traitement des douleurs. Vers de
voies nouvelles?», pp. 22-26.
14
ANGELINI G., La malattia, un tempo per
volere. Saggio di filosofia morale, Vita e Pensiero, Milano 2000, p. 8.
15
Cfr., come esempio, PERRY S., Il bisogno
di dolore, in «Psicoterapia e scienze umane»
3 (1984), pp. 63-84.
16
TRENTIN G., Dolore, in LEONE S., PRIVITERA S., Dizionario di Bioetica, EDB-ISB,
Acireale (CT)-Bologna 1994, p. 290.
17
RATZINGER J., La Chiesa. Una comunitaÁ
sempre in cammino, Paoline, Cinisello B.
(MI), 1992, p. 111. Cfr. anche van der POEL
C., La sofferenza come ben.-essere. Una sfida
che si puoÁ vincere, Paoline, Milano 1998 (a
cura di L. Sandrin).
18
van der VEN J. A., VOSSEN E., Suffering:
Why for God's sake?, Verlag, Kampen 1995,
pp. 16-19.
19
SEQUERI P., Il senso del discorso teologico sull'agire di Dio e le difficoltaÁ irrisolte della
sua «giustificazione» in rapporto alla sofferenza dell'uomo, in FACOLTAÁ TEOLOGICA DELL'ITALIA SETTENTRIONALE, Il significato cristiano
della sofferenza, La Scuola, Brescia 1982, p.
109.
20
MORICONI B., «Ne lui ha peccato, ne i
suoi genitori» (Gv 9,3). Malattia e colpa nella
Bibbia in SANDRIN L. (a cura di), «Che cosa
ho fatto di male?» Malattia e senso di colpa,
Camilliane, Torino 1999.
21
Cfr. SANDRIN L., Parlare oggi di GesuÁ
Cristo nella sofferenza, in DE MARCHI S. (a
cura di), GesuÁ Cristo pienezza del tempo,
Messaggero, Padova 2001, pp. 133-143.
22
Cfr. CINAÁ G., Sofferenza. Approccio teologico, in CINAÁ G., LOCCI E., ROCCHETTA C.,
SANDRIN L. (a cura di), Dizionario di teologia
pastorale sanitaria, Camilliane, Torino 1997,
pp. 1178-1197 e il documento dell'Ufficio
Nazionale CEI per la Pastorale della sanitaÁ,
«LA SOFFERENZA EÁ STATA REDENTA». Dallo scandalo al mistero, Camilliane, Torino 1999.
23
FORTE B., Apologia del dolore innocente,
in AA. VV., Il dolore innocente, AÁncora, Milano 1999, p. 96.
24
FORTE B., in FORTE B., NATOLI S., Delle
cose ultime e penultime. Un dialogo, Mondadori, Milano 1997, p. 10.
25
LANGELLA A., La funzione terapeutica
della salvezza nell'esperienza della Chiesa:
sguardo diacronico e riflessione sistematica, in
AA.VV., Liturgia e terapia. La sacramentalitaÁ
a servizio dell'uomo nella sua interezza, a cura
di A.N. TERRIN, Messaggero, Padova 1994,
p. 86.
26
MORICONI B., Giobbe. Il peso della sofferenza. La forza della fede, Camilliane, Torino 2001, p. 92.
27
RAVASI G., La sofferenza nella Bibbia:
tra tenebra e luce, in AA.VV., Il dolore innocente, AÁncora, Milano 1999, 115.
28
Cfr FORTE B., La Chiesa della TrinitaÁ.
Saggio sul mistero della Chiesa comunione e
missione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
19952, pp. 9-10.
29
Su questo tema cfr. SANDRIN L., Chiesa,
comunitaÁ sanante, Paoline, Milano 2000.
30
JOHNSON E.A., Colei che eÁ. Il mistero di
Dio nel discorso teologico femminista (trad.
it.), Queriniana, Brescia 1999, p. 516.
31
BLUMENTHAL D., Teodicea: una dissonanza tra teoria e pratica, in «Concilium» 1
(1998), pp. 144-145.
32
LARCHET J.C., Dieu ne veut pas la souffrance des hommes, Cerf, Paris 1999, p. 121.
33
BIANCHI E., Di fronte alla malattia, in
BIANCHI E., MANICARDI L., Accanto al malato,
Qiqajon, Magnano (BI) 2000, p. 25.
19
LE REGOLE DELLA NASCITA
Mario Bizzotto
«I vostri figli non sono i vostri figli; essi non vengono da voi, ma attraverso di voi.»
(Gibran)
Il documento pontificio Donum vitae parla della vita e percioÁ anche della nascita, qualificandole come un dono. L'affermazione non suona ovvia
in un tempo dove si parla della comparsa dell'uomo all'esistenza come
d'un «essere gettati nel mondo». Forse si vuole qui sottolineare che non si
sceglie di nascere, ma proprio percheÂ
non si tratta di scelta, si eÁ anche giustificati a parlare d'un dono. Esso infatti eÁ qualcosa di non meritato, neÂ
conquistato a prezzo di proprie fatiche. L'uomo eÁ certo chiamato a cooperare all'evento della nascita, non
peroÁ a decidere, quasi si trattasse d'un'opera esclusivamente sua. Per
quanto egli faccia non potraÁ mai eliminare la sorpresa e percioÁ la gioia
per la nascita d'una creatura. Essa suscita stupore. Si compie in ambito sacro e dove s'incontra il sacro, s'incontra l'avvertimento: fai attenzione, qui
devi riconoscere il mistero, qui non
puoi interferire, bloccando il processo della vita o avocando a te ogni potere. Sei piuttosto chiamato ad inchi-
narti in atteggiamento di timore e tremore, di riconoscenza e gioia.
Dire che la vita eÁ dono equivale dire che non puoÁ essere abbassata ad
un artificio, come tenta di fare la tecnica quando ne decide la nascita, si
oppone al suo compimento o ne anticipa la fine. Tutto questo eÁ un comportamento definito immorale. Lo eÁ
per delle ragioni facilmente comprensibili precisamente perche alla nascita
sono inerenti delle regole. Si tratta
ora di chiarirle.
La dignitaÁ dell'uomo
La nascita eÁ un evento sacro perche tale eÁ anche la dignitaÁ dell'uomo.1
CioÁ significa che essa sorpassa l'iniziativa umana, eÁ inviolabile, esclude
qualsiasi manomissione o interferenza che ne offenda il suo compimento,
va rispettata in modo incondizionato.
La prima regola eÁ data dal suo stesso
carattere sacro. Esso interdice qualsiasi intromissione: sia essa ordinata
20
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto)
mani del proprietario cosõÁ come rileva Kafka nella sua Lettera al padre,
accusato di dispotismo. Non eÁ accolto come persona, per esserlo si dovrebbero osservare delle regole che
pongono limiti all'intervento umano.
O la vita eÁ riconosciuta come realtaÁ
gratuita o decade a rango infraumano, eÁ trattata alla stregua d'un prodotto. Si costringe una persona a nascere, frutto d'un proprio comando.
Il disordine implicito in questo atteggiamento diventa comprensibile una
volta che affrontiamo la possibile domanda del figlio: perche mi avete
messo al mondo? Chi ha preso in mano il potere della vita in modo arbitrario eÁ tenuto ad una risposta. ``Ti
abbiamo messo al mondo per vincere
la nostra solitudine, per avere un sostegno nella nostra vecchiaia, per affidarti la nostra ereditaÁ.'' In tutte queste risposte manca l'attenzione alla
persona come fine a se stessa. I motivi della nascita sono tutti rivolti al di
fuori, verso interessi di tipo economico e psicologico. L'individuo non eÁ
voluto in se stesso, ma perche appaga
determinate esigenze egoistiche. In
fondo il motivo predominante eÁ di
natura interessata: la comoditaÁ o il
puro desiderio. Non si puoÁ giustificare la generazione d'un figlio come
una medicina per risolvere una propria esigenza psicologica oppure come un erede d'un patrimonio.
Supponiamo che la stessa domanda sia rivolta ai genitori, che hanno
avuto il figlio attraverso il processo
naturale e percioÁ come un dono. La
loro risposta puoÁ essere articolata
senza imbarazzo. ``Tu sei frutto del
nostro amore, non d'un nostro calco-
ad impedire la partenza della vita, sia
essa intenta ad assoggettarla al proprio dominio, per servirsene a proprio arbitrio.
Il tentativo di fare la fabbrica della
vita con la manipolazione del gene,
con la fecondazione in vitro, con la
clonazione o con la presa in prestito
dell'utero e altro costituisce un'aperta
violazione delle regole preposte alla
vita. GiaÁ i termini fabbrica o ingegneria genetica applicate all'uomo sono
fuori luogo. Si possono riferire alla riproduzione di piante o di animali,
non certo all'uomo dotato di dignitaÁ
inviolabile. Il figlio voluto a tutti i costi utilizzando l'artificio di laboratorio
fa pensare alla falegnameria di Geppetto che servendosi di legno, martello e pialla costruisce Pinocchio. In
questo caso non si riconosce piuÁ la
persona, l'individuo come soggetto, ci
si trova davanti ad un essere trattato
come un oggetto o una cosa di mio
possesso, il cui esistere eÁ avocato interamente al mio arbitrio. La persona eÁ
abbassata a giocattolo. Tale eÁ il figlio
su commissione, eÁ ordinato cosõÁ come
si ordina un mobile. La nascita allora
eÁ offesa nella sua caratteristica piuÁ
propria: non eÁ piuÁ dono ma frutto dell'artificio, articolo di fabbrica.2
I termini `genitori e figli' sono alterati nella loro sostanza, gli uni figurano come imprenditori che si costruiscono il figlio cosõÁ come si costruisce
una casa, gli altri diventano una proprietaÁ. L'autosufficienza e la boria
escludono l'esperienza del dono e
percioÁ anche il sentimento della riconoscenza. Finche poi il figlio eÁ considerato come un possesso, non gode il
diritto di essere se stesso, eÁ tutto nelle
21
STUDI
lo. Noi ci siamo amati senza pensare
a te. Se poi sei venuto tu, ti abbiamo
accolto con gioia come un dono. Non
siamo noi a dover giustificare la tua
presenza, ma colui dal quale sei stato
donato''. In questo caso la dignitaÁ
della persona eÁ chiaramente salvaguardata fin dall'istante del suo concepimento, dato che il suo dischiudersi alla vita non eÁ fatto dipendere
esclusivamente dall'iniziativa dei genitori. Questi sono appunto genitori,
non creatori, sono collaboratori non
padroni della vita. Da qui si ricava
un'ulteriore regola della nascita: la vita eÁ messa nelle mani dei genitori, cui
spetta l'obbligo di amministrarla.
Una volta peroÁ che si arrogano il
compito di essere padroni, tutto
sconfina nell'arbitrio, tutto si fa volubile, essendo l'ultimo verdetto se esistere o no rimesso alla loro volontaÁ. Il
centro dei valori si sposta dall'essere
cosõÁ delle cose, al disporre cosõÁ della
volontaÁ. In fondo a questa eÁ lasciato
decidere la linea di demarcazione che
divide il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il vero dal falso.
Niente di piuÁ paradossale quanto
sostenere che la regola della vita eÁ
quella che decido io e dipende dal
mio parere. Non si accetta niente che
si ponga al di sopra della mia decisione. Sarebbe come dire: l'operazione
2+2=4 non eÁ riposta nell'ordine delle
cose, ma nella decisione del mio giudizio. Ancora. La giustizia non eÁ un
valore in seÂ, al quale mi devo adeguare, piaccia o non piaccia, ma eÁ quello
che un gruppo convenzionalmente
stabilisce. Oppure. La vita non eÁ sacra in seÂ, ma solo perche cosõÁ ci si eÁ
accordati. L'uomo allora assurge a
padrone assoluto. Tutto eÁ riposto
nella sua volontaÁ: nascita e morte, diritto e non diritto.3
Contro questa mentalitaÁ che sfocia
nell'anarchia e nel disordine morale
va riconosciuta la presenza della legge posta a difesa della vita e della dignitaÁ della persona indipendentemente dalla decisione d'un singolo o
d'una collettivitaÁ. L'uomo non crea la
legge ma la scopre e se la scopre eÁ segno che era giaÁ presente. La legge
della gravitaÁ e ogni altra legge non eÁ
creata dall'uomo, ma solo da lui riconosciuta. Come le leggi della natura:
astronomia, chimica, biologia e altro,
cosõÁ quelle di ordine morale sono giaÁ
date, all'uomo spetta l'onestaÁ di riconoscerle e l'impegno di osservarle. La
dignitaÁ dell'uomo non eÁ un valore inventato, ma costitutivo della natura
umana.
Supponiamo il caso che i valori
morali non siano dati dall'essere dell'uomo, ma dalla sua volontaÁ e valutazione. Se cosõÁ fosse, tutto l'ordine
morale sarebbe fatto dipendere dall'arbitrio e si avrebbe il caos. Non ci
sarebbe azione detestabile. Tutto si
potrebbe giustificare: qualsiasi orrore
e bassezza, aborto, eutanasia, eliminazione di malformati, minorati, invalidi, malati mentali. Segue l'impossibilitaÁ di trovare un criterio solido in
base al quale riconoscere il bene e il
male. Quanto eÁ avvenuto nelle feroci
dittature del secolo scorso, che hanno
inflitto la morte in modo sistematico
a coloro che erano considerati di peso alla comunitaÁ, non sarebbe condannabile. In forza di quale principio
i crimini di guerra possono essere
condannati, se ogni valore o disvalore
22
LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto)
eÁ deciso dall'uomo? Per sfuggire a
queste conseguenze non resta che
una via: riconoscere che le regole morali sono date indipendentemente
dalla volontaÁ umana. Il valore della
vita eÁ sacro e tale resta anche se, per
tragica fatalitaÁ, non dovesse essere riconosciuto.
che l'embrione non ha un'identitaÁ
sua propria. C'eÁ peroÁ un'altra ragione
da addurre. Non eÁ vero che del proprio corpo si puoÁ fare quello che si
vuole: mutilarlo o addirittura sopprimerlo. Se si dice che il nascituro appartiene alla madre, va precisato il
senso di questa appartenenza; si intende dire che quello eÁ ad essa affidato, non certo che eÁ una sua proprietaÁ
sulla quale puoÁ disporre a piacere.5
Al di laÁ delle molte disquisizioni
piuÁ o meno sottili resta un dato di
fatto di elementare evidenza: questa
incipiente forma di vita, per quanto
biologicamente ridotta, alla distanza
di pochi mesi diventa un essere con
un volto, con proprie reazioni di riso
o pianto, un essere capace di vedere,
sentire e reagire a determinati stimoli.
Non occorre chiedere aiuto a difficili
argomentazioni di ragione per capire
che un breve lasso di tempo non puoÁ
decidere la natura d'un essere. Per
capirlo eÁ sufficiente il richiamo ad un
sano buon senso. Non eÁ accettabile
che un essere allo stato fetale non sia
persona e lo divenga poi con la nascita. Se eÁ persona una volta che apre gli
occhi alla luce, non si capisce come
non lo possa essere fin dal primo
istante dello stesso concepimento.
Non appena parte la vita, parte
con tutto il corredo di facoltaÁ di cui
essa eÁ costituita, ossia come persona.
Sospenderne l'esistenza eÁ una chiara
offesa perpetrata contro l'uomo, eÁ un
omicidio.6 Il diritto alla nascita non eÁ
dato dal fatto che eÁ in gioco un essere
vivente, quanto piuttosto dal fatto
che questo essere eÁ un uomo e come
tale non va abbassato a questione di
etaÁ. Esso rimane con tutta la sua di-
Il diritto di nascere
Il diritto inviolabile alla nascita si
presenta non appena si forma l'embrione. Questo eÁ costituito da caratteri precisi che lo identificano come individuo e come persona. Porta infatti
con se un programma suo proprio,
una struttura che lo distingue dalla
madre anche se a questa eÁ strettamente unito. Con il primo passo della vita
inizia lo sviluppo della persona. Da
una forma germinale sale a caratteri
sempre piuÁ marcati. Dallo stato embrionale a quello completo, che ha
luogo dopo la nascita, si ha sempre lo
stesso soggetto. Quanto eÁ acquisito
nello sviluppo non eÁ altro che una
esplicitazione di connotati giaÁ presenti fin dal primo istante della vita.
L'embrione, visto nel percorso del
suo divenire manifesta una continuitaÁ.
Come da un chicco sorge una spiga e
da una ghianda una quercia e tra i due
momenti di crescita si riconosce un
nesso inscindibile, cosõÁ tra l'etaÁ embrionale e quella della maturitaÁ.4
Si obietta che la comparsa della vita nascente fa un tutt'uno con il corpo della madre, per cui va ad essa riconosciuto il diritto di intervenire per
decidere il destino della sua creatura.
L'osservazione parte dal presupposto
23
STUDI
gnitaÁ sia quando non eÁ ancora arrivato all'uso della ragione sia quando vi
eÁ arrivato,come d'altra parte quando
ne perde l'uso.
L'essere allo stato fetale eÁ dotato
d'un'anima ossia d'un principio organizzatore, ha giaÁ il programma della
sua crescita. Certo nello sviluppo
completo di se stesso acquista coscienza, eÁ capace di scelte e responsabilitaÁ, con questo non cambia quel
suo carattere di umanitaÁ che possiede
fin dal primo istante del concepimento. L'inviolabilitaÁ del diritto d'un
bambino nato ad essere riconosciuto
come uomo eÁ la stessa che va riconosciuta al bambino non ancora nato. Il
riconoscimento di questo diritto non
dipende dai genitori, eÁ dato dall'essere stesso del concepito, eÁ percioÁ anteriore a qualsiasi volontaÁ.7
me che il progresso tecnico non riesce a risparmiare dalla morte. Nel
suo congedo dalla vita si eÁ contraddistinta lasciando un messaggio di
grande nobiltaÁ. EÁ morta infatti rifiutando le cure farmaceutiche per non
nuocere alla creatura che doveva nascere. Si eÁ sottoposta a pesanti rinunce nutrendo la speranza che qualcosa
di lei sarebbe sopravvissuto nel bambino. Ma qualcosa di lei sopravvive
anche in noi e precisamente la lezione
che la vita merita un assenso incondizionato e non solo la propria, anche
l'altrui.
In un'epoca in cui la morte non eÁ
piuÁ solo una necessitaÁ di natura, spesso anzi un obiettivo freddamente perseguito, abbiamo bisogno di esempi
che ci ricordino l'atteggiamento riconoscente con il quale va accolta la vita, in ogni caso anche quando la stessa legge le rifiuta la propria difesa. Lo
sapevamo che la vita eÁ intoccabile.
L'abbiamo sentito ripetere dalla cattedra di professori indignati contro
regimi criminali, l'avevamo letto su libri e riviste, eÁ bene peroÁ che ci venga
ripetuto da esempi che toccano l'eroismo.
L'esempio di Carla oltre essere un
atto di alto significato religioso e morale, nel clima della nostra cultura assume un senso provocatorio. Lo testimoniano le proteste di chi difendendo una cultura di morte si eÁ sentito
punto sul vivo. Quando poi, undici
giorni dopo la morte della madre,
moriva anche il bambino, non eÁ mancata l'esclamazione: tutto eÁ stato inutile. Non eÁ vero. L'insegnamento della signora Carla resta ugualmente valido, continua a dirci che nel mondo
AmbiguitaÁ nella cultura contemporanea
Quale concezione eÁ seguita nella
cultura contemporanea? Non eÁ facile
rispondere a questo interrogativo, essendo il quadro delle diverse concezioni morali molto complesso. Si parla ad es., della morale laica e della
morale cristiana cui fa seguito una serie di molte altre distinzioni. Affronto
la domanda con un esempio che potrebbe far pensare ad una semplificazione del problema, tuttavia ha il vantaggio d'una chiarificazione dei principi qui accennati.
Il 23 gennaio 1993 muore a Bergamo una giovane mamma, Carla Levati Ardenghi. Il male che l'ha colpita
l'annovera nella folta schiera di vitti24
LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto)
ci sono valori cosõÁ preziosi da non
commisurarsi con il criterio dell'utilitaÁ o del successo, poveri ideali questi
cui la nostra cultura eÁ meschinamente
asservita. Un ambiente che riconosce
come unica norma il proprio tornaconto non capiraÁ mai la lezione di chi
si vota per la salvezza altrui.
Si eÁ detto che la vita umana eÁ sacra, eÁ dono intangibile. Giustamente
e lo eÁ anche laÁ dove non c'eÁ coscienza
o addirittura dove questa resteraÁ
spenta per sempre. Perfino le figure
deformi, confinate in un ricovero al
di fuori del mondo, esprimono un valore assoluto nonostante non siano in
grado di dire il loro dolore.
Sento l'obiezione ventilata da piuÁ
parti. Non sarebbe meglio per la dignitaÁ dello stesso handicappato il colpo di grazia, risparmiandogli cosõÁ l'umiliazione alla quale la sventura lo
condanna? L'eliminazione del sofferente eÁ mistificata come atto di pietaÁ.
Ma se guardiamo le cose come stanno
siamo costretti per onestaÁ a pensare
che potrebbe trattarsi proprio del
contrario. Si infligge la morte ad un
disgraziato, perche lo si sente come
un peso. Liberandosi di lui ci si libera
d'un destino di dolore che non ci si
sente di condividere. O se si vuole, la
pietaÁ eÁ sõÁ presente, eÁ rivolta peroÁ non
tanto alla sofferenza altrui, come si
vuole far intendere quanto piuttosto
alla propria. EÁ di se stessi che si ha
compassione, non dell'altro, eÁ il proprio dolore che fa paura, non quello
di chi eÁ affidato alle proprie cure.
Certe decisioni sono spiegabili soltanto con una mancanza di amore. Chi
ama dice alla persona amata: eÁ bene
che tu sia.
Una societaÁ che di fronte a dei minorati non sa trovare altro rimedio se
non quello della loro eliminazione,
coprendola con la maschera d'un
sentimento di compassione, ha smarrito il senso piuÁ elementare di umanitaÁ e finisce per esaltare come ideale
scelte di cui dovrebbe sentire il disgusto. Fa parte delle contraddizioni
del nostro tempo proclamare il diritto alla vita e nel frattempo non avvertire il disordine presente nella soppressione d'un embrione o d'un minorato. Chi tollera interventi diretti a
procurare la morte non puoÁ piuÁ affermare, senza contraddirsi, che la vita
umana eÁ sacra. Se eÁ vero che eÁ tale, lo
deve essere per tutti, senza distinzione tra chi vive nel grembo della madre e chi nel grembo della societaÁ, tra
chi ha la fortuna di essere sano ed efficiente e chi invece ha la disgrazia di
essere menomato.8
La lezione dell'umiltaÁ
L'atteggiamento adeguato per la
salvaguardia della vita eÁ l'umiltaÁ. EÁ
questa un'altra regola preposta all'evento della nascita. Essa trova un
particolare risalto soprattutto nel cristianesimo. In essa viene a galla qualcosa di fondamentale dell'essere
umano. Dice anzitutto l'onestaÁ di riconoscersi per quello che si eÁ con i
propri limiti.
Quando si parla di umiltaÁ si pensa
ad una disposizione psicologica e
ascetica. Non eÁ peroÁ questo il senso
qui inteso. Si riferisce infatti all'essere
stesso dell'uomo, alla sua natura finita e al posto che occupa nel mondo,
25
STUDI
dove eÁ chiamato a comportarsi da
amministratore e non da padrone. Il
suggerimento della parabola evangelica, che mette in scena il padrone e i
servi cui eÁ affidata l'amministrazione
della casa, esprime saggezza e realismo. Esprime la vera condizione
umana, di cui parla Pascal nel frammento 176, riferendosi alla sorte del
Cromwell, padrone di enormi distese
di spiagge. Purtroppo un granello di
sabbia si eÁ conficcato nel suo uretere
e il padrone delle molte spiagge eÁ
morto. Che padrone eÁ mai questo?
Pascal ha certamente appreso la lezione dell'umiltaÁ dalla Bibbia, che fin
dalle prime battute fa dipendere il destino dell'uomo da un atto di superbia. La comparsa del serpente presenta la promessa lusinghiera: sarete come Dio. Si tenta di gettare l'uomo al
di fuori della sua orbita naturale, per
elevarlo ad un rango che non gli compete. Qui eÁ tesa la trappola della sventura. Quanto eÁ detto nel libro della
Genesi non eÁ una realtaÁ episodica neÂ
un valore accessorio, eÁ anzi un paradigma. Al di fuori del contesto biblico
perfino i miti dell'antica Grecia mettono in guardia dai rischi cui si espone l'uomo non appena si arroga imprese che sono superiori alla sua natura (es. Dedalo e Icaro).
In fondo tutti i disastri che si sono
abbattuti sulla storia umana riportano al mito dell'onnipotenza: tirannidi, guerre, stermini, genocidi. La stessa presunzione che sta alla base dello
sviluppo tecnico, irriverente d'ogni
remora morale, eÁ un'aggressione alla
condizione umana. Oggi si avverte
come l'avventura della tecnica, se
non eÁ regolata da uno statuto morale,
costituisce una minaccia per la stessa
sopravvivenza dell'uomo.9
Il richiamo alla propria condizione
eÁ ribadito nella rivelazione e acutizzato fino allo sconcerto nell'evento dell'incarnazione, dove Dio assume le
sembianze di servo e si umilia. L'umiltaÁ eÁ eretta a ideale di vita, misura
le proprie scelte, propone la modestia, insegna la docilitaÁ. L'arroganza
dei progenitori viene rovesciata.
Mentre questi pretendevano di farsi
come Dio, nel caso di Cristo si compie il gesto inverso: Dio si fa uomo, si
fa obbediente ai confini della natura,
alla precarietaÁ della esistenza umana,
stretta nella morsa della morte.
Nell'uomo, irriverente nei confronti delle leggi della nascita, spunta
l'antico orgoglio, la volontaÁ di potenza, la sete di dominio e la padronanza
su gli stessi eventi elementari della vita. Non c'eÁ niente di sacro e inviolabile, non sono ammesse restrizioni
nell'esercizio del potere, caduto nelle
mani dell'uomo.
La ricetta che rimette l'uomo al
suo posto, per quanto possa apparire
di natura ascetico-religiosa, eÁ l'umiltaÁ.
Nel caso essa passi, porta ad effetti
che non possono passare inosservati:
brutalitaÁ, indifferenza nei confronti
dei valori, arroganza e sprezzo della
vita. Non si accetta alcun rapporto
tra potere tecnico e legge morale.
Quello che eÁ fattibile tecnicamente,
va fatto, senza preclusioni di carattere
morale. Viene su in maniera sempre
piuÁ rilevante un'immagine di uomo
padrone di tutto, si libera della soggezione morale, pensando di guadagnare in libertaÁ. In questo contesto si
capisce come venga messo in discus26
LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto)
sione l'obbedienza alle regole della
nascita.
La tentazione biblica: sarete come
Dio, si ripresenta in una forma inedita. L'uomo avanza sullo stesso terreno della vita senza scrupoli. Non prova alcun rimorso. Rimane imperterrito. EÁ venuto meno la sensibilitaÁ dei
valori. Si lascia guidare solo dalla sua
aviditaÁ di conquiste.
Non si ignora che nel nostro tempo emergono tendenze in aperto contrasto tra loro: da una parte l'esaltazione delle spinte istintive e dall'altra
la fredda funzionalitaÁ della ragione.
Questa separazione che spacca l'uomo in due parti: in ragione e cuore,
un nuovo devastante dualismo, prepara disastri. Se si opta per le tendenze capricciose e volubili della sensazione si cade vittime d'un gioco di
emozioni scomposte e contraddittorie. Se d'altra parte si privilegia la pura ragione con le sue formule e processi si cade nell'indifferenza morale.
La ragione infatti non sente i valori;
ad essa spetta collegare, dedurre, riflettere. Il suo punto nevralgico eÁ l'esattezza dei ragionamenti, non la loro
veritaÁ. Non ha importanza se cioÁ a
cui essa si applica eÁ un contenuto
buono o cattivo. Decisivo eÁ che il ragionamento funzioni secondo le regole della logica. Non eÁ la veritaÁ, ma l'esattezza, l'obiettivo su cui punta.
La caduta della sensibilitaÁ in ambito morale non puoÁ che generare mostri: industrie della morte, sopraffazioni, ingiustizie e ogni genere di scelleratezze. La cosa piuÁ grave peroÁ eÁ
l'ottusitaÁ e insensibilitaÁ morale, per
cui il male compiuto non suscita alcun disagio e tanto meno rimorso di
coscienza.
Maestro in proposito eÁ Sade, il
quale ha giustificato il delitto. Nelle
sue riflessioni stacca la ragione dal
cuore, facendola funzionare come un
mulino. Macina soltanto, non importa se buon grano o zizzania o altro
materiale di scarto. Suo compito eÁ solo macinare, non interessa cosa. Qui
eÁ il tracollo morale. Alla ragione si ri-
La crisi del sentimento
Associata alla spasmodica aspirazione di dominio in ogni ambito eÁ la
svalutazione del sentimento. Si guarda alle cose solo dal punto di vista
tecnico. Al cuore e alle sue emozioni
non eÁ accordato alcun peso. La tecnica dispone d'un potere narcotizzante.
Atrofizza la sensibilitaÁ e fa dell'uomo
un essere apatico, freddo, meccanico.
L'unica preoccupazione nell'operare
una scelta eÁ la sua riuscita tecnica.
Il nerbo che collega l'uomo al cuore eÁ tranciato. Cessano le emozioni:
pentimenti, rimorsi, dubbi, conflitti
di coscienza. Ogni azione procede in
modo neutrale. Chi agisce si comporta secondo il modello esibito dalla
macchina. Non ha senso chiedersi cosa l'uomo prova, se pietaÁ o stupore,
ammirazione o compassione, titubanza o timore. Allo spegnimento del
cuore eÁ subito pronto come surrogato la sensazione ossia ``l'eccitazione
violenta, ma superficiale, che afferra
sull'istante e rapidamente svanisce e
non ha ne feconditaÁ ne durata''.10
L'immagine di uomo che si fa avanti
richiama quella morta e meccanica
del robot.
27
STUDI
porta tutto come ad un tribunale la
cui sentenza eÁ definitiva, ad essa eÁ riconosciuto il compito dell'avvocato
che si presta alla difesa di qualsiasi
causa. Per essa si pone sullo stesso
piano l'amore e l'odio, la bontaÁ e la
malvagitaÁ. Non ci sono distinzioni tra
bene e male. Niente percioÁ va condannato: ne aborto, ne eutanasia, neÂ
l'eliminazione fisica della persona, neÂ
l'incesto, ne altro disordine morale.
Dalla volontaÁ di dominio si precipita ancora piuÁ in basso verso l'indifferenza o apatia morale. La ragione eÁ
pronta a trovare argomenti a favore
di qualsiasi nequizia. Senza sensibilitaÁ
morale e senza una dose di umiltaÁ o
onestaÁ le regole della nascita sono
ignorate. L'anarchia morale eÁ l'avventura piuÁ tragica nella quale va sempre
piuÁ coinvolgendosi il nostro tempo.11
Non c'eÁ da meravigliarsi se in questo contesto vanno smarrendosi il
senso della nascita e lo stupore per il
miracolo della vita. Giustamente osserva con parole ispirate Hannah
Arendt: «Il miracolo che preserva il
mondo [...] dalla sua normale, `naturale' rovina eÁ in definitiva il fatto della natalitaÁ. [...] EÁ, in altre parole, la
nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sono capaci in
virtuÁ dell'esser nati. Solo la piena
esperienza di questa facoltaÁ puoÁ conferire alle cose umane fede e speranza
[...]. EÁ questa fede e speranza nel
mondo che trova forse la sua piuÁ gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo annuncioÁ la `lieta novella' dell'avvento: `Un
bambino eÁ nato fra noi'».12
Note
1
ROTTER H., Die WuÈrde des Lebens, Tyrolia, Innsbruck 1989, 21-31
2
MIETH D., La dittatura dei geni. La bioetica tra fattibilitaÁ e dignitaÁ, tr.it., Queriniana,
Brescia 2003,19ss
3
Cf. SPAEMANN R., Die AktualitaÈt des Naturrechtes, in ID., Philosophische Essays, Reclam, Stuttgart 1983, 74-78
4
Cf. COTTIER G., Scritti di etica, Piemme,
Milano 1994, 207-248 e FUCHS J., Il Verbo si
fa carne, tr.it., Piemme, Milano 1989, 279ss
5
Cf. GUARDINI R., ResponsabilitaÁ, tr.it.,
Corsia dei Servi, Milano 1954, 45ss
6
Cf. MARAINI D., Avvenire, 11 aprile
1996, dove riconosce la presenza d'un omicidio nella pratica dell'aborto, ma nel contempo ne approva la legge. La presa di posizione
in ALBERTI B., con il significativo titoletto in
Corriere 7, L'aborto eÁ un assassinio, ma io difendo questa tremenda libertaÁ. Si veda pure
POPPI A., La presenza dell'etica nei quotidiani
italiani, in Aa.Vv., Etica oggi: comportamenti
collettivi e modelli culturali, Gregoriana, Padova 1989, 237-252
7
Cf. COTTIER G., Scritti di etica, o.c.,
157ss e 208ss e soprattutto PALAZZANI L., Il
concetto di persona tra bioetica e diritto,
Giappichelli, Torino 1996, 211ss
8
Sull'argomento la letteratura eÁ piuÁ che
abbondante. A titolo di esempio di veda
COTTIER G., Scritti di etica, o.c., 369-401 e
SANTEUSANIO F., Il medico di fronte alla morte, in Alici L.- D'AGOSTINO F. SANTEUSANIO
F., La dignitaÁ degli ultimi giorni, S. Paolo,
Milano 1998, 9-47
9
Cf. GUARDINI R., La fine dell'epoca moderna. Il potere, tr. it., Morcelliana, Brescia
1999, specie 137ss sull'umiltaÁ e 145ss sul potere.
10
Ivi, 155
11
cf. HORKHEIMER M. ADORNO W.Th.,
Dialettica dell'illuminismo, tr.it., Einaudi,
Torino 1971, 90ss
12
ARENDT A., Vita activa, tr.it., Bompiani,
Milano 1996, 182. Si veda anche le osservazioni molto precise di BELARDINELLI S., Il gioco delle parti, AVE, Roma 1996, specie 67-85
28
P
A
S
T
O
R
A
L E
MALATTIA... TERRA D'ESILIO
Un dialogo pastorale
INTRODUZIONE
Un giovane studente di teologia, durante un corso di educazione pastorale clinica, incontra una signora
di 61 anni, ricoverata in un ospedale del Veneto a causa di un blocco intestinale.
Nell'introduzione al `verbatim' scrive: «Avevo visitato la signora L. giaÁ due volte, ma la nostra relazione
non era stata per nulla profonda. C'era sempre molta gente in stanza e aveva potuto comunicare poco
di seÂ; mi aveva parlato della sua origine friulana, dei suoi disturbi intestinali e aveva accennato al disagio
per la distanza da casa.
Il testo riportato eÁ stato elaborato dopo la terza visita. CioÁ che merita di essere sottolineato in questo
lavoro eÁ l'analisi che l'operatore compie ritornando sul dialogo. Essa dimostra onestaÁ, acutezza, notevole
capacitaÁ di riflessione, dimostrando quanto si possa imparare anche da un incontro pastorale di per seÂ
non esaltante.
Piano pastorale
tornare sul tema della solitudine e cosõÁ diventarle maggiormente `confidente', `persona amica' e, se occorre,
`valvola di sfogo'.
La signora Luigia aveva espresso il
desiderio di vedermi ed ho avuto,
pertanto, l'opportunitaÁ di prepararmi
un po': volevo conoscere meglio i
suoi sentimenti. Avevo giaÁ intuito
una delle difficoltaÁ maggiori: la solitudine e la nostalgia dei parenti. Volevo pertanto che esplicitasse meglio
questo sentimento. Mi proponevo anche di far emergere la dimensione religiosa per vedere se potevo far leva
su di essa. Durante il colloquio ho capito la sua solitudine ed ho cercato di
fargli capire che `avevo capito'. Ho
esitato ad insistere ulteriormente sulla problematica religiosa: non mi eÁ
parsa di molto aiuto per approfondire la relazione di aiuto. Ho preferito
Osservazioni
La signora Luigia ha un aspetto
giovanile, eÁ magra, esile, di media statura. Mi hanno colpito i capelli, ben
tenuti e nerissimi: mi eÁ venuto il sospetto che li tinga. Quando ho avuto
il colloquio era a letto con una flebo
al braccio, la testa su un alto cuscino;
l'abbigliamento era curato ed elegante. Non si eÁ mai mossa durante tutto
il colloquio.
29
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
PASTORALE
COLLOQUIO
Á difficile restare in ospedale in atA.7 E
A.1 Buonasera, signora.
a.1 Buonasera, la aspettavo percheÁ
tesa dell'operazione...
a.7 SõÁ e poi sono lontana da casa; qui
non ho nessuno...il tempo non
passa mai...
A.8 Soffre di nostalgia?
a.8 SõÁ, molto: penso sempre a casa, ai
nipoti e non vedo l'ora di tornarci... loro vengono a trovarmi: sono
stati qui ieri e volevano tornare domani, ma ho detto che non c'eÁ bisogno. La strada eÁ lunga ed il viaggio costa molto, non voglio che si
disturbino troppo; non c'eÁ bisogno adesso, finche non saroÁ operata.
A.9 Non vuole creare disturbo...
a.9 No, non ce n'eÁ bisogno!
A.10 PeroÁ, da sola, il tempo eÁ lungo da
passare e sente nostalgia...
a.10 GiaÁ, non passa mai. I giornali non
posso leggerli: faccio fatica con gli
occhi e mi stanco subito... non ho
niente da fare. CosõÁ penso a casa
ed ai miei malanni... Penso anche
al Signore: qui prego molto; ne
ho di tempo...
A.11 Ed il pregare la aiuta?
a.11 SõÁ, ho sempre pregato ed anche
adesso; prego perche sia operata
in fretta e possa tornare a casa.
A.12 Sento che le pesa molto la lontananza da casa e la solitudine...
a.12 SõÁ, la mia vita eÁ laÁ... qui sono sola...
speriamo che finisca presto...
A.13 Glielo auguro di cuore, signora...
(attimo di silenzio) verroÁ ancora
a trovarla prima dell'operazione
che le auguro venga fatta al piuÁ
presto.
volevo parlare un po'.
A.2 Bene, forse eÁ meglio che mi sieda
a.2
A.3
a.3
A.4
a.4
A:5
a.5
A.6
a.6
(annuisce); (mi siedo accanto al
letto) come sta oggi?
Un po' meglio, il male eÁ quasi
scomparso anche se non riesco a
scaricarmi... Non possono farmi
il clistere per paura che mi gonfi
maggiormente ed intanto non succede niente...
La sento un po' giuÁ...
SõÁ, sono demoralizzata percheÁ va
per le lunghe: non possono farmi
niente di particolare finche non
sanno il responso di tutti gli esami... E dire che li avevo giaÁ fatti
quando ero a S. DonaÁ ... li ho portati qua , ma li stanno ripetendo
tutti ...chissaÁ cosa c'eÁ...
La sento preoccupata...
SõÁ, io non sento niente, ma il blocco c'eÁ... magari avessi male, non
so, per reumatismi, male anche
forte, ma sapendo cosa c'eÁ .....
Il non sapere di cosa si tratta la tiene in uno stato di ansia?
GiaÁ... se almeno sapessi quando
mi opereranno .... intanto non si
pronunciano; speriamo sia la settimana prossima...
L'operazione non sembra preoccuparla troppo!
No, ne ho subite di peggio e poi almeno risolverebbe la situazione.
Sono venuta qui da S. DonaÁ proprio percheÁ me la facessero; speravo che la facessero subito, invece
stanno facendo tutti gli esami...
30
MALATTIA... TERRA D'ESILIO
a.13 SõÁ, venga, cosõÁ potroÁ sfogarmi un
A.14 Va bene, arrivederci (Mi alzo e le
po', se no devo tenermi dentro tutto...
stringo la mano).
a.14 Arrivederci.
ANALISI
1. La situazione
verso i medici che ripetono gli esami
clinici, ma non la informano piuÁ di
tanto. Nei confronti della malattia
non mostra aggressivitaÁ, ne rassegnazione, ma forse una certa `noncuranza': eÁ vista probabilmente come un
incidente provvisorio, per cui non eÁ
molto `integrata' nell'esistenza; in
compenso suscita una forte motivazione a reagire positivamente. La fiducia in Dio eÁ un'attitudine positiva:
la aiuta a vivere con coraggio e forza
la situazione di malattia; nel medesimo tempo non sembra un sentimento
centrale tra quelli espressi dalla signora: emerge tardi nel colloquio ed
in una connotazione `strumentale'
(sembra essere valido solo se ottiene
dei risultati); cioÁ nonostante rimane
positivo e valorizzante.
Io durante tutto il colloquio ho provato sentimenti positivi: ho ascoltato
con attenzione e partecipazione i sentimenti della signora Luigia. Mi sono
proposto come presenza amica ed
ascoltatore attento. Al termine del
colloquio ho provato un po' di disagio
nel chiudere il discorso: avevo l'impressione di non essere stato molto
utile e di non avere piuÁ risorse da utilizzare; me ne sono pertanto andato
via con un certo grado di frustrazione.
Questo eÁ il motivo per cui ho trascritto il verbale: l'aver combinato poco
In chirurgia eÁ ricoverata la signora
Luigia per un blocco intestinale che
dovraÁ essere operato. EÁ friulana, sposata, madre e nonna. Sente forte il distacco da casa e dai familiari. Il ricovero piuÁ prolungato del previsto e il
dover ripetere gli esami clinici la preoccupano e la demoralizzano. La signora accenna ad un'abitudine alla
preghiera che viene intensificata in
ospedale. Ella incontra l'aiuto cappellano e confida la sua situazione e i
suoi sentimenti: il parlare sembra essere di utilitaÁ per superare il momento di sconforto e solitudine. Non ho
capito bene la gravitaÁ del male della
signora: lei sembra non esser ne eccessivamente preoccupata; altri pensieri la turbano.
2. Dimensione emotiva
I sentimenti che la signora ha evidenziato sono quelli di tristezza, preoccupazione, noia (per il non sapere
cosa fare), ansia, nostalgia, solitudine,
preoccupazione di non creare disturbo e di non essere di peso, fiducia nel
Signore, soddisfazione per essersi sfogata un po'. Probabilmente la signora
Luigia prova una certa aggressivitaÁ
31
PASTORALE
(pur essendoci in me tutte le disposizioni positive) mi reca una certa frustrazione. Mi nascono degli interrogativi sulla mia identitaÁ di pastore; penso
infatti non sia estranea al mio modo di
funzionare una ricerca (destinata ad
essere frustrata) di successo, di gratificazione e della piacevole sensazione di
essere utile o indispensabile.
4. La dimensione teologica
La tematica biblica che mi eÁ venuta
subito in mente rileggendo il colloquio eÁ quella dell'esilio. La signora eÁ
in una situazione simile a quella di
Giuseppe in Egitto, a quella del popolo schiavo del Faraone, simile a quella
del popolo in Babilonia: ``...sedevamo
piangendo al ricordo di Sion''. La preghiera della signora non mi pare ottimale ma questo eÁ spiegabile e comprensibile: ``...come cantare i canti del
Signore in terra straniera...''.
Ripensando all'AT scorgo come sia
da non dimenticare un'altra attenzione: eÁ l'attenzione al forestiero. Siamo
forse portati a far coincidere la persona `forestiera' con persona `nemica',
da cui difenderci. Questo puoÁ avvenire sia da parte degli ammalati, considerando come `nemico' (e tal volta
puoÁ esserlo) l'ambiente ospedaliero o
il personale sanitario, sia da parte dell'operatore, come `insensibilitaÁ' a cogliere l'esigenza di `ospitalitaÁ' dell'ammalato/forestiero. La riscoperta
di questa tematica biblica penso sia
importante per capire l'ammalato ed
offrirgli un ambiente accogliente ed
ospitale.
Un ultimo punto riguarda l'atteggiamento verso la sofferenza. Cristo eÁ
il prototipo di un soffrire `volontario'
e non subõÁto; con questo non voglio
dire che GesuÁ sia andato in cerca dei
suoi crocifissori, voglio dire che di
fronte alla sofferenza (di certo immeritata) ha preso posizione: eÁ divenuta
per lui una prestazione, un modo per
crescere; questo eÁ stato possibile percheÁ ha dato un senso al suo soffrire e
morire; non lo ha considerato come
3. Contesto culturale
La cultura dominante ha una concezione della malattia per molti versi
simile a quella della signora Luigia: eÁ
un incidente nel cammino dell'esistenza, non viene integrata nella concezione di vita. Esclusa la ricerca di
un significato della sofferenza, essa
non puoÁ che rivelarsi `inutile' e senza
senso. Sorge in me, pertanto, un certo rammarico nel costatare come tanta sofferenza rimanga `sterile' e non
conduca alla crescita e ad un arricchimento della persona che soffre, ma
solo a `fuga' di fronte al negativo della vita. Ho la sensazione che anche la
signora Luigia corra questo rischio.
Anche l'ospedale eÁ diventato un
luogo di emarginazione dalla vita reale. Da luogo `ospitale' diventa luogo
`inospitale', in cui ci si va solo quando non se ne puoÁ fare a meno: non
deve sorprendere se solitudine e nostalgia divengono, assieme alla preoccupazione per lo stato di malattia, i
sentimenti predominanti dei ricoverati/emarginati. La signora Luigia
evidenzia anche altri atteggiamenti
abbastanza apprezzati dalla mentalitaÁ
odierna: l'attaccamento alla famiglia,
alla propria casa ed ambiente.
32
MALATTIA... TERRA D'ESILIO
5. OpportunitaÁ pastorali
una ingiustizia da subire, ma come
un modo per esprimere il suo amore
per noi; ha cosõÁ trasformato il dolore
e la morte in sacrificio per amore. In
tal modo il soffrire e la morte sono
state `vinte', nel senso che dopo la
morte c'eÁ la resurrezione; forse peroÁ
eÁ piuÁ giusto dire che a causa della
morte c'eÁ la resurrezione: questa
sboccia dalla sofferenza/morte. La
sofferenza daÁ origine ad una vita piuÁ
piena (vedi anche la parabola del
chicco di frumento). La sofferenza in
questa prospettiva acquista una sua
dignitaÁ: non resta piuÁ un incidente,
nemmeno uno scalino per salire nelle
virtuÁ cristiane o una prova che il Signore manda, ma la realtaÁ (forse l'unica) che ci fa entrare in una nuova e
piuÁ ricca dimensione di vita. Il colloquio che ho avuto con la signora Luigia penso non sia stato di grande utilitaÁ per permettere questa valorizzazione della sofferenza.
A questo punto emerge chiaro un
netto contrasto tra la cultura e la Tradizione nel modo di capire e vivere la
malattia e la signora Luigia eÁ piuÁ vicina al modo di intenderla della cultura:
c'eÁ pertanto il rischio che non riesca a
dotarla di significato e a valorizzarla.
Il negativo eÁ colto solo nella sua dimensione distruttiva e non nel suo
aspetto di opportunitaÁ per la crescita.
Sorgono a questo punto alcuni
suggerimenti per la prossima visita
pastorale.
Poiche la signora sente forte un
sentimento di solitudine e di estraneitaÁ alla vita dell'ospedale, il mio primo
compito penso sia quello di propormi
come persona `ospitale' che le stia vicino, testimoniando in tal modo anche la capacitaÁ di accoglienza del Signore ed il suo impegno nel `far tornare dall'esilio.
Un altro punto che mi prefiggo eÁ
quello di approfondire e di far emergere il significato che lei daÁ alla sofferenza; spero di poterla aiutare a rendere il suo soffrire meno subõÁto, piuÁ
attivo ed arricchente. Per far questo
penso sia necessaria una certa `evangelizzazione' (che eÁ mancata in questo colloquio): anche se non trovo
spontaneo il passaggio all'evangelizzazione, penso che sia indispensabile
per il proseguimento di una reale relazione di aiuto.
Resta aperto il problema della formazione di un'identitaÁ pastorale piuÁ
precisa ed al riparo dagli insuccessi,
inevitabili, del ministero.
33
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IL PIACERE DI FORMARSI 1
Giovanni Cervellera 2
subdolo che finiraÁ per divorare il padrone. Basta... Il mio corpo mi eÁ caro; mi ha servito bene, e in tutti i modi, e non staroÁ a lesinargli le cure necessarie.
Ma, ormai, non credo piuÁ, come
finge ancora Ermogene, nelle virtuÁ
prodigiose delle piante, nella dosatura precisa di quei sali minerali che eÁ
andato a procurarsi in Oriente. EÁ un
uomo fine; eppure, m'ha propinato
formule vaghe di conforto, troppo
ovvie per poterci credere; sa bene
quanto detesto questo genere d'imposture, ma non si esercita impunemente piuÁ di trent'anni la medicina.
Perdono a questo mio fedele il suo
tentativo di nascondermi la mia morte. Ermogene eÁ dotto; eÁ persino saggio; la sua probitaÁ eÁ di gran lunga superiore a quella d'un qualunque medico di corte.
AvroÁ in sorte d'essere il piuÁ curato
dei malati. Ma nessuno puoÁ oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le
gambe gonfie non mi sostengono piuÁ
nelle lunghe cerimonie di Roma; mi
sento soffocare; e ho sessant'anni».3
Introduzione
«Mio caro Marco, Sono andato
stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da
un lungo viaggio in Asia. Bisognava
che mi visitasse a digiuno ed eravamo
d'accordo per incontrarci di primo
mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo
sono per me, e la descrizione del corpo d'un uomo che s'inoltra negli anni
ed eÁ vicino a morire di un'idropisia
del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapiditaÁ
dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla,
che m'ha curato in sua assenza.
EÁ difficile rimanere imperatore in
presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza
umana: l'occhio del medico non vede
in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E
per la prima volta, stamane, m'eÁ venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto piuÁ dell'anima, eÁ solo un mostro
Il brano riferito varca la soglia dell'intimitaÁ di un grande personaggio,
un imperatore, a contatto con la ma34
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera)
lattia. Che cosa impara quest'uomo?
E cosa possono imparare gli altri che
lo circondano? E, infine, cosa dice, al
nostro mondo tecnologicamente evoluto?
Adriano si sente privato della propria dignitaÁ e ritiene che il medico lo
veda solo come corpo e quel corpo
finiraÁ per divorarlo: lui si sente piuÁ
del corpo che il medico osserva e al
tempo stesso sa bene che solo quel
corpo puoÁ servirlo fedelmente ed essere la via di comunicazione col mondo esterno.
Ermogene, dichiarato «medico fine», di fronte alla grandezza del personaggio e ancora di piuÁ di fronte all'ineluttabilitaÁ della morte si sente impotente e sconfina in «formule vaghe
di conforto e troppo ovvie per poterci credere».
Il medico ricorre al falso e il malato
vuole la veritaÁ.
Il paradosso sta nel fatto che eÁ il
malato che si educa a comprendere e
perdonare il suo medico.
E il medico? E tutti coloro che
operano in sanitaÁ cosa apprendono
dal malato?
Il tema della formazione in campo
sanitario e piuÁ specificamente di pastorale della salute si presenta ampio,
mentre sopra eÁ stata descritta una
delle possibili situazioni formative:
quella del quotidiano operativo. Non
si tratta in questo caso di situazione
formale di formazione e, nonostante
cioÁ, appare in tutta la sua grandezza
plasmante molto piuÁ di tanti contesti
accademici.
Il malato diventa l'universitaÁ dove
apprendere il dolore.
Quello che avviene in un ospedale,
cioeÁ la percezione di messaggi di dolore, oggi eÁ in vario modo rappresentato sui mass-media. «Che cosa ne
facciamo della nostra conoscenza del
dolore degli altri e che cosa opera in
noi questa conoscenza? Sono gli interrogativi che sorgono quando «persone, organizzazioni, governi o intere
societaÁ ricevono informazioni troppo
inquietanti, minacciose o anomale
per poter essere assorbite del tutto o
apertamente riconosciute». L'informazione viene, quindi, in qualche
modo repressa, rinnegata, accantonata o reinterpretata. Privati dei loro
abbellimenti, tutti gli argomenti rivelano l'uno o l'altro dei seguenti modelli «Non sapevo» oppure «Non ho
potuto fare nulla».4
Come leggere i messaggi di dolore?
Due vie si aprono nella direzione della soluzione biografica e della soluzione sistemica, cioeÁ eÁ possibile trovare
nell'esperienza personale indicatori
di soluzione oppure impegnarsi a risolvere questioni sociali di fondo.
1. La semplicitaÁ: chiave di interpretazione di un sistema complesso
Chi opera in sanitaÁ si ritrova immerso in un contesto che si articola
in misura sempre maggiore. Le istituzioni sanitarie si ampliano, aggiungono nuovo personale in qualitaÁ e quantitaÁ, crescono le specializzazioni, aumentano le cose da fare e diminuisce
il tempo per farle e i sistemi di pagamento stringono a prezzi molto contenuti. La sanitaÁ si espande sul territorio e nascono nuove forme di assistenza.
35
FORMAZIONE
In questo mondo complessificato
si agitano coloro che inseguono il
cammino di una pastorale della salute
che, oltre ad avere problemi di crescita interna, deve confrontarsi con questo mondo esterno che costituisce il
campo di azione. EÁ cresciuta la sensibilitaÁ ad accogliere e assistere il malato come essere integrale, ma restano
ampi margini di consolidamento.
La pastorale della salute ha il pregio di avere un riferimento concettuale ed esperienziale che semplifica
l'approccio al concreto: la persona eÁ
al centro di ogni operazione e in specie la persona malata. Questo riferimento culturale le viene naturalmente dal credo in quel Dio che, incarnandosi in GesuÁ di Nazaret, ha posto
l'uomo al centro delle sue attenzioni,
portando un messaggio che eÁ e-vangelo di salvezza e di salute.5
Mettere al centro il malato in formazione sanitaria significa ascoltare il
racconto della sua vita. La persona si
narra in diversi modi: dal racconto
verbale, alla sua cartella clinica, ai segni inscritti nel suo corpo e nei suoi
comportamenti. Ascoltarlo eÁ giaÁ la
prima fase (forse l'unica necessaria e
indispensabile) della terapia sanante.
La formazione sviluppa l'essere in
ascolto e le tecniche che necessitano
affinche questo ascolto sia efficace.
Per evitare la deriva tecnicistica e
forse illusoria, eÁ necessaria la presenza di un'anima profonda, altrimenti si
corre il rischio di generare finzioni e
frasi fatte, proprio come accade ad
Ermogene nel racconto iniziale. Anzi,
in quel testo saraÁ proprio la disposizione del medico a permettere l'opera di riconciliazione interiore, che il
malato coglie al di laÁ delle inutili frasi
adoperate.
L'operatore sanitario che cura con
la sua presenza eÁ la persona autentica
che si adopera affinche i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti
producano salute.
Non si tratta di una formazione libresca e formale ma di una formazione che mette di fronte ai propri vissuti, che entra nelle radici della incomunicabilitaÁ, riduce a nulla la presunzione, rompe con la routine e le abitudini e opera la conversione continua
dell'essere. Non c'eÁ vera formazione
se non attraverso una frattura che incide il nuovo nella vita e fa crescere
un germoglio di salute. Il tralcio nasce da un taglio sul vivo, il seme genera se marcisce, se si rompe, si frantuma.
2. Il ritorno a se stessi
Un albero sviluppa i suoi rami nella direzione verso cui si espandono le
sue radici. Se il terreno eÁ poco profondo l'albero non cresceraÁ in altezza, se da un lato c'eÁ roccia o cemento
impenetrabile, l'albero non svilupperaÁ rami su quel lato .
L'uomo che non eÁ radicato nel suo
intimo non produrraÁ frutti o ne faraÁ
di piccoli e acerbi. La radice della
persona eÁ un concentrato di spiritualitaÁ che spinge l'agire. La formazione
non puoÁ evitare questo nodo: eÁ un
passaggio che mette a fuoco l'anima
della persona, la sua vitalitaÁ. EÁ nel
cuore dell'uomo che tutto viene deciso. Ma come fare a conoscere questo
cuore? Il Vangelo su questo eÁ chiaro:
36
IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera)
solo Dio conosce il cuore dell'uomo.
Ma noi che siamo in cammino come
ci regoliamo?
Formazione eÁ ritornare al centro
del nostro essere persona e personain-relazione, diventa un viaggio nell'intimo di se stessi e nei rapporti con
gli altri. Si tratta di dare forma all'azione e di agire per dare una forma
visibile e comunicabile. In tutto non
deve mancare la sostanza per non ritrovarsi con una forma vuota e un
agire inutile.
persona e centralitaÁ di Cristo apre
una chiara prospettiva antropologica.
In formazione la domanda sull'uomo
eÁ necessaria: quale tipo di uomo si
vuole formare? In quale societaÁ inserirlo? Come aiutarlo a diventare cioÁ
che eÁ in potenza? Se eÁ vero che la formazione autentica eÁ quella che aiuta
l'individuo a diventare persona, ad
estrarre da se stesso le proprie energie e risorse eÁ anche vero che il formatore deve sapere dove andare, avere una chiara visione dell'ideale da
tradurre in concreto.
«Le forme della cultura riflessa del
nostro tempo segnalano con insistenza addirittura esasperante la necessitaÁ
di provvedere alla formazione del
soggetto.»8
La ricerca dell'uomo perfetto converge su GesuÁ di Nazaret: ogni altro
tentativo risulta parziale. Ma come
tradurre quella visione in un modello
raggiungibile? La formazione non
puoÁ che partire da quei valori che, incarnandosi in GesuÁ, appartengono
innanzitutto all'essenza umana piuÁ
vera. Sono i valori dell'onestaÁ, della
lealtaÁ, della dignitaÁ, della generositaÁ e
disponibilitaÁ, del bene e del bene comune, dello spirito di fratellanza e
della libertaÁ del cuore
Come far diventare questi valori
un percorso formativo?
Al centro dell'uomo eÁ possibile ritrovare l'unica figura capace di recepire ogni dimensione: GesuÁ Cristo,
l'uomo totalmente interiore e l'uomo
totalmente in relazione con gli altri.6
Il ritorno a se stessi non vuol dire
egocentrismo ma cristocentrismo; solo Dio pone la domanda giusta, capace di collocare l'uomo nell'attimo
presente della sua vita.
«Esiste una domanda demoniaca,
una falsa domanda che scimmiotta la
domanda di Dio, la domanda della
veritaÁ. La si riconosce dal fatto che
non si ferma al «Dove sei?» ma prosegue: «Nessun cammino puoÁ farti
uscire dal vicolo cieco in cui ti sei
smarrito». Esiste un ritorno perverso
a se stessi che, invece di provocare
l'uomo al ravvedimento e metterlo
sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno e cosõÁ lo inchioda in una
realtaÁ in cui ravvedersi appare assolutamente impossibile e in cui l'uomo
riesce a continuare a vivere solo in
virtuÁ dell'orgoglio demoniaco, dell'orgoglio e della perversione».7
3. L'autoformazione
L'assunzione dei valori umani non
puoÁ avvenire per una sorta di imposizione piuÁ o meno latente.
«Nell'opera formativa alcune convinzioni si rivelano particolarmente
La connessione tra centralitaÁ della
37
FORMAZIONE
necessarie e feconde. La convinzione,
anzitutto, che non si daÁ formazione
vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la
responsabilitaÁ della formazione: questa, infatti si configura essenzialmente
come autoformazione».9
Che cosa eÁ dunque «autoformazione»? EÁ un moto della coscienza? Un
impegno personale? E poi trova riscontro in percorsi possibili e attuabili? Questa dimensione appartiene al
saper essere della persona, ma i percorsi formativi, che sono ottimi circa
il sapere e il saper fare, risultano carenti sull'essere, e spesso rinunciano
a cercare forme concrete a causa della difficoltaÁ di verifica degli atteggiamenti e delle motivazioni. Non eÁ un
caso che molte tecniche educative
siano di impianto comportamentista.
Ma si puoÁ rinunciare a costruire
l'essere di una persona?
Una strada possibile vuole una comunicazione laterale che incida sulle
risorse personali, ottimizzandole e
portando il soggetto a credere fortemente nelle sue capacitaÁ e a sprigionare una volontaÁ decisa.
L'uso della volontaÁ eÁ un rimedio
efficace a sconfiggere le paure che sono il vero e proprio ostacolo del nostro agire, infatti la differenza tra chi
conosce le cose e chi le fa sta proprio
nell'uso della volontaÁ.
Stufi di essere nutriti di formazione
imposta e di indottrinamenti, l'unica
strada percorribile in un contesto
plurale, multiforme e complesso come quello odierno eÁ il livello metodologico e l'autoformazione eÁ quella
«molla» interiore che spinge a conoscere gli aspetti specifici e ad appro-
fondire i campi degli interessi professionali e personali.
«Il conoscere non eÁ identificato col
vedere, col venire in contatto con
qualcosa al di fuori di noi, ma eÁ un
processo soprattutto interiore, perche la veritaÁ sta nell'intimo. E la veritaÁ emerge al termine di un processo
di autotrascendenza che comprende
lo sperimentare, il capire, il valutare e
il giudicare e puoÁ assumere come criterio anche il credere.»10
L'autoformazione, come del resto
tutta la formazione, si nutre di comunicazione. Proprio questo eÁ il nodo
da sciogliere per giungere ad una formazione che renda giustizia della persona e che, costruendo l'individuo
(cioeÁ l'identitaÁ del soggetto), lo collochi in relazione agli altri, proprio come postula l'essere persona.
4. I saperi dell'etaÁ post-moderna
Un recente libro di Edgar Morin
riflette sui saperi necessari all'educazione del futuro. Tra i sette capitoli,
tutti degni di apprezzamento, vi eÁ un
passaggio che indica nell'insegnare la
comprensione un tratto fondamentale che per altro attraversa gli altri capitoli, rappresenta la congiunzione
ideale tra tutti i saperi. Comprensione che supera l'errore e l'illusione
della conoscenza e la rende pertinente, comprensione che insegna molto
della condizione umana e contribuisce a costruire una identitaÁ terrestre,
rendendo la persona capace di affrontare le incertezze e che costituisce la base della democrazia e del vivere etico.
38
IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera)
Comprensione, dunque come la
forma piuÁ autentica di comunicazione. La comprensione non si ferma all'intelligibilitaÁ del messaggio ma coinvolge tutta la persona, se «la comprensione intellettuale passa attraverso l'intelligibilitaÁ e la spiegazione la
comprensione umana va oltre la spiegazione.
Comprendere comporta necessariamente un processo di empatia, di
identificazione e di proiezione. Sempre intersoggettiva, la comprensione
richiede apertura, simpatia, generositaÁ».11
Proseguendo nella riflessione l'autore identifica gli ostacoli della comprensione che sono riconducibili agli
intralci della comunicazione. Alla nostra riflessione interessano quelli che
Morin chiama «ostacoli interni» e
cioeÁ «l'indifferenza, l'egocentrismo,
l'etnocentrismo, il sociocentrismo,
che hanno come tratto comune il fatto di situarsi al centro del mondo e di
considerare come secondario, insignificante o ostile tutto cioÁ che eÁ straniero o lontano».12
Quasi niente di nuovo, sono gli
stessi ostacoli che giaÁ i padri della
Chiesa avevano individuato e che
chiamavano: ira, superbia, lussuria,
accidia, avarizia
re speranza all'agire, insieme ad una
cultura del dare che con la comprensione orientino al bene comune. Una
formazione che movendo la volontaÁ,
eluda l'imperativo del vietato vietare,
per accedere ad un processo etico in
cui rispetto e sviluppo procedano all'unisono.
Il nostro tempo invoca a gran voce
l'urgenza di mettersi insieme, di costruire per e con gli altri, di agire in
funzione del bene altrui, rispettando
se stessi. Ma in definitiva chi si ritrova nella condizione di aver ricevuto
di piuÁ e di possedere di piuÁ eÁ colui
che deve compiere il primo passo nella direzione giusta.
Il cielo eÁ troppo alto
e vasto
perche risuoni di questi
solitari sospiri.
Tempo eÁ di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la Bellezza. 13
5. Pedagogia divina
La bellezza muove da un'anima
profondamente serena. La formazione pastorale mira a promuovere persone sane e salvate, capaci di redimere perche redente. La persona in formazione somiglia al giardiniere che
cura le sue piante e l'insieme in un
tutto armonico. Come ci sono vari
modi di coltivare un giardino, cosõÁ ci
sono vari modi ricoltivare la propria
persona e la rappresentazione del nostro giardino interiore dice qualcosa
Come uscire quindi da una formazione che accede con difficoltaÁ al livello dell'essere?
La riflessione fin qui condotta fa
emergere la prospettiva di una formazione che alla base ha un pensiero
positivo e una parola positiva che,
senza nascondere la problematicitaÁ
dell'era post-moderna, sappiano rida39
FORMAZIONE
di noi e di cosa stiamo formando.
«Il giardino non eÁ pieno solo di
metafore, eÁ pieno di alberi e piante.
O, forse, diciamo meglio: le piante e
gli alberi sono anche loro metafore,
cioÁ che eÁ botanico eÁ anche psicologico.
Tutto cioÁ che accade nel giardino
suggerisce metafore della nostra vita
psichica. Che si tratti di un ponte, o
di un sentiero tortuoso, o di foglie cadute.
La caduta delle foglie, la paralisi
della vita durante l'inverno, lo schiudersi dei germogli, il movimento dell'acqua fra le rocce. Sono tutte esperienze che anche l'individuo umano
fa, solo che le esprime con i concetti
complessi della psicologia, mentre il
giardino le esprime con il linguaggio
della natura».14
Il giardino eÁ l'incontro tra natura e
cultura, delimita e separa, eÁ quasi
uno spazio sacro come pure diventa
accettazione di un limite.15
Anche la nostra vicenda umana eÁ
iniziata in un giardino, come narra la
Scrittura, e tutto cioÁ che lõÁ eÁ accaduto
dice della nostra condizione e della
direzione da perseguire in formazione.
Dai giardini descritti nella Bibbia
cogliamo alcune immagini che ci indicano il percorso valoriale della nostra formazione.16
finito quando Dio decide di affiancare la donna all'uomo: «Non eÁ bene
che l'uomo sia solo: gli voglio fare un
aiuto che gli sia simile».17 La dualitaÁ
dell'essere umano eÁ l'apertura reciproca, la necessitaÁ ontologica dell'essere insieme viene inscritta nella carne e si fonda la radice dell'autotrascendenza. L'uomo eÁ fatto per vivere
con gli altri.
Il secondo aspetto eÁ espresso dal
comando divino: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma
dell'albero della conoscenza del bene
e del male non devi mangiare, percheÂ, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti''.18 L'uomo apprende una norma di comportamento
esterno che ha una profonda rilevanza interiore, la mancanza alla regola
provocheraÁ una disarmonia interiore
con riflesso esterno.
Non sono forse queste le prime
esperienze formative che il bambino
compie? Apre gli occhi sulla madre e
da questa relazione impareraÁ a rapportarsi con gli altri e poi deve fare i
conti con le prime regole e i primi
controlli che sono anzitutto interiori
prima che esterni. Ogni formazione
deve quindi contemplare la dimensione relazionale e la dimensione etica.
b. Hortus conclusus
Il Cantico dei Cantici narra di uno
splendido giardino che eÁ immagine
della cura dell'anima multiforme e
bella:
a. Eden
Due elementi ci vengono particolarmente indicati: la dimensione dell'apertura all'altro e la normativa come legge da interiorizzare.
Il primo aspetto eÁ chiaramente de-
«Giardino chiuso tu sei,
sorella mia sposa,
giardino chiuso e fonte sigillata.
40
IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera)
I tuoi germogli sono un giardino
di melagrane,
con i frutti piuÁ squisiti,
alberi di cipro e di nardo,
nardo e zafferano, cannella e
cinnamomo
con ogni specie d'alberi da
incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi»19.
eÁ l'immagine della meta da raggiungere, l'ideale da perseguire, la visione
da incarnare.
«Mi mostroÁ poi un fiume d'acqua
limpida come cristallo, che scaturiva
dal trono di Dio e dell'Agnello. In
mezzo alla piazza della cittaÁ e da una
parte e dall'altra del fiume si trova un
albero di vita che daÁ dodici raccolti e
produce frutti ogni mese; le foglie
dell'albero servono a guarire le nazioni.
c. Getsemani
Il giardino in cui GesuÁ si ferma a
meditare eÁ l'incontro con la propria
sofferenza e la necessitaÁ, per chi accompagna il sofferente, di vegliare. Il
rischio tipico dell'operatore sanitario:
cedere le armi di fronte alla sofferenza, cadere nell'abitudine, fuggire a
motivo dell'intensitaÁ del dolore.
«Disse loro: La mia anima eÁ triste
fino alla morte; restate qui e vegliate
con me»20.
«Naturalmente GesuÁ ha saputo
compiere questo itinerario pedagogico, questo andirivieni tra l'abbandono e la TrinitaÁ, e nella sua esperienza
terrena, ha vissuto con intensitaÁ eccelsa la relazione interpersonale con
gli altri, praticando l'empatia, l'accettazione, la speranza, la lotta educativa, la vita di unitaÁ col Padre e «con i
suoi»: Lui eÁ il testimone piuÁ autentico
e piuÁ esigente di cosa significhi essere
educatori.»21
E non vi saraÁ piuÁ maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
saraÁ in mezzo a lei
e i suoi servi lo adoreranno;
vedranno la sua faccia
e porteranno il suo nome
sulla fronte.
Non vi saraÁ piuÁ notte
e non avranno piuÁ bisogno di luce
di lampada,
ne di luce di sole,
perche il Signore Dio li illumineraÁ
e regneranno nei secoli dei
secoli»22.
Immagini e valori per definire plasticamente cioÁ che serve alla nostra
formazione: alteritaÁ e reciprocitaÁ, etica, interioritaÁ, vigilanza, visione. Elementi che devono trovare posto in
ogni itinerario formativo, ma per delineare un percorso eÁ necessario un
altro tempo e un'altra riflessione: qui
abbiamo aperto un varco per ripensare la nostra formazione.
Per concludere con l'immagine del
giardino evochiamo una grande maestra di vita e di preghiera e siccome la
vita del cristiano eÁ preghiera, l'esem-
d. Gerusalemme celeste
Infine, l'ultima immagine non eÁ direttamente un giardino ma eÁ la cittaÁ
celeste in cui vi sono elementi naturali: l'albero, i frutti, le foglie, il fiume:
41
FORMAZIONE
vanni (CS), il 22 novembre 2002.
2
Gianni Cervellera, licenza in teologia pastorale, coordinatore pastorale in istituto di
riabilitazione psichiatrica, consulente di formazione in ambito umanistico
3
M. YOURCENAR, Memorie di Adriano,
Torino, Einaudi, 1988, pag. 1-2.
4
Z. BAUMAN, «Parlare insieme o morire
insieme: dilemma di tutto il pianeta», relazione al convegno «Parabole Mediatiche. Fare
cultura nel tempo della comunicazione», Roma 7 novembre 2002.
5
C'eÁ un terzo approccio, un terzo sapere,
una terza pratica professionale oltre la psichiatria e la psicoterapia ed eÁ quella che chiamerei la pratica pastorale un terzo ambito
molto importante di persone che si occupano dei disagi e dei malesseri riconducibili alla
psichiatria o la malattia mentale, da un angolo visuale che invece valorizza al massimo la
persona.. in particolare aderenti al movimento transpersonale che cercano di individuare
in certi comportamenti «etichettabili» come
psichiatrici dei segnali o delle domande e degli indici della crescita personale. (S. SPINSANTI, Pregiudizi, giudizi e decisioni etiche nell'orizzonte della psichiatria, Convegno su «Sofferenza mentale: famiglie, servizi, comunitaÁ,»
Milano 15 novembre 2001).
6
cfr. Comunicare il vangelo in un mondo
che cambia, Orientamenti Pastorali dell'Episcopato Italiano per il primo decennio del
2000, cap. II.
7
M. BUBER, Il cammino dell'uomo, Magnano,Qiqajon, 1990, pag. 24.
8
G. ANGELINI, Primato della formazione
ragioni e problemi di un assioma della pastorale recente, in AAVV, Il Primato della Formazione, Milano, Glossa, 1997, pag. 16.
9
CL, 63.
10
C.M. MARTINI, Lezione in UniversitaÁ
Cattolica in occasione del conferimento della
laurea Honoris causa in scienze dell'educazione, Milano 11 aprile 2002.
11
E. MORIN, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001,
pag. 98-99.
12
MORIN, op. cit., pag. 100.
13
D.M. TUROLDO, EÁ tempo amico, in Nel
segno del Tau, Milano, Scheiwiller, 1988.
pio che lei porta per far comprendere
l'orazione eÁ utile anche a far comprendere la vita.
«A me sembra, dice la santa, che
un giardino si possa innaffiare in
quattro modi:
o con l'attingere acqua da un pozzo, il che comporta per noi una
gran fatica;
o con noria e tubi tirandola fuori
mediante una ruota, il che eÁ di minor fatica del primo e fa estrarre
piuÁ acqua;
oppure derivandola da un fiume o
da un ruscello: con questo sistema
si irriga molto meglio, perche la
terra resta piuÁ impregnata d'acqua,
non occorre innaffiarla tanto spesso, e il giardiniere ha molto meno
da faticare;
infine a causa di un'abbondante
pioggia, in cui eÁ il Signore ad innaffiarla senza alcuna nostra fatica,
sistema senza confronto migliore
di tutti quelli che ho detto.»23
E se la formazione iniziasse dal farsi innaffiare da una pioggia abbondante dall'alto?
Note
1
Relazione tenuta all'Incontro di formazione regionale della Conferenza Episcopale
Calabra «Annunciare il Vangelo oggi nel
mondo della salute», presso il Centro congressi «La Principessa» di Campora S. Gio42
IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera)
14
J. HILLMAN, Il piacere di pensare, Milano, Rizzoli, 2001, pag. 9.
15
cfr. D. DEMETRIO, Di che giardino sei?,
Roma, Meltemi, 2001, pag. 15.
16
Un antico proverbio indiano dice che la
vita dell'uomo si compone di quattro stadi:
nel primo si impara, nel secondo si insegna,
nel terzo si va nel bosco a meditare e nel
quarto si va a mendicare. In questo passaggio
eÁ come se si andasse nel bosco a meditare:
una condizione tipica della formazione in etaÁ
adulta che eÁ il substrato culturale della formazione in pastorale della salute. Cfr. C.M.
MARTINI, I quattro stadi della vita dell'uomo,
Intervento alla Fondazione Ambrosianeum,
17-05-2002.
17
Gen 2, 18.
18
Gen 2,16.
19
Ct 4, 12-14.
20
Mt 26, 39.
21
C. LUBICH, Il carisma dell'unitaÁ e i suoi
effetti nella pedagogia, Discorso in occasione
della consegna della Laurea Honoris Causa
assegnatale dall'UniversitaÁ cattolica di Washington, 10-11-2001.
22
Ap 22, 1-5.
23
S. TERESA D'AVILA, Il libro della mia vita, cap. 11,7, Milano, EP, 1988, pag. 142.
La nostra formazione eÁ valida quando cioÁ che impariamo ci aiuta a cambiare,
e il cambiamento fa crescere il nostro sapere
ed incide nell'ambiente
in cui lavoriamo.
Se la nostra formazione non arriva a trasformare noi
e contemporaneamente l'ambiente in cui lavoriamo,
i nostri cambiamenti rischiano di avere la durata di un mattino:
il primo sole li faraÁ seccare, alle prime difficoltaÁ soffocheranno.
43
LA FORMAZIONE
ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
DEL MALATO MORENTE NELLE
`CURE PALLIATIVE'
Un progetto pastorale
Valentino Marcato
Introduzione
Il contesto del progetto
L'accompagnamento spirituale del
morente eÁ un compito delicato e impegnativo; fa appello all'intelligenza e
al cuore; esige quindi preparazione a
livello di essere, di sapere e anche di
saper fare. Il progetto di accompagnare il proprio simile fino al termine
della vita, rimette ciascuno nella veritaÁ della sua condizione. Nell'accompagnamento spirituale, infatti, l'uomo
eÁ ricondotto verso l'autenticitaÁ della
propria esistenza e viene confrontato
con la propria fine: si pone una domanda di senso.
Nasce cosõÁ la necessitaÁ, da parte
degli operatori, di interrogarsi sulla
propria spiritualitaÁ, sul sistema di valori che guida la loro esistenza, sulle
risposte che nascono nel loro cuore
agli interrogativi concernenti il significato della sofferenza e della morte.1
Il presente progetto intende dare
un contributo a tutti coloro che affrontano questa avventura.
Il contesto dove si realizza il progetto eÁ rappresentato dalla UnitaÁ
Operativa di Cure Palliative (U.O.C.
P.), riconosciuta a livello istituzionale
e nazionale quale struttura organizzativa per l'erogazione delle Cure Palliative (nel nostro caso, chiamate anche «cure di fine vita») alle persone
affette da una malattia evolutiva irreversibile attraverso la copertura globale dei problemi sanitari, sociali,
psicologici e spirituali del malato in
fase terminale e dei suoi familiari, sia
a livello domiciliare che in strutture
«a degenza piena», quali l'hospice.2
«Le Cure Palliative sono la cura totale prestata alla persona affetta da
una malattia non piuÁ responsiva alle
terapie aventi come scopo la guarigione. Il controllo del dolore, degli
altri sintomi e delle problematiche
psicologiche, sociali e spirituali eÁ di
enorme importanza. Lo scopo delle
Cure Palliative eÁ quello di ottenere la
44
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato)
massima qualitaÁ della vita possibile
per il paziente e per i suoi familiari.
Esse:
- affermano il valore della vita, considerando la morte come un evento
naturale;
- non prolungano ne abbreviano
l'esistenza dell'ammalato;
- provvedono al sollievo dal dolore e
dagli altri sintomi;
- integrano gli aspetti clinici, umani,
psicologici e spirituali dell'assistenza;
- offrono un sistema di supporto per
aiutare il paziente a vivere il piuÁ attivamente possibile sino alla morte;
- offrono un sistema di supporto per
aiutare la famiglia dell'ammalato a
convivere con la malattia e poi
con il lutto».3
zioni e delle convinzioni che organizzano in un progetto unitario la vita
dell'uomo, da una parte e, dall'altra,
l'insieme delle reazioni e delle espressioni personali in cui si concretizza
quel progetto di vita».5
La spiritualitaÁ comprende la religiositaÁ, ma non coincide con questa.
EÁ un concetto piuÁ ampio, non necessariamente connesso con una particolare fede religiosa, anche se tende ad
essere vista come tale. La spiritualitaÁ
eÁ una dimensione umana universale
che si esprime attraverso le relazioni
interpersonali, la creativitaÁ, l'affettivitaÁ, i valori, i comportamenti, le convinzioni religiose.6
I moderni modelli di cura non prevedono specifiche linee-guida per
un'assistenza spirituale; infatti il modello biomedico dominante omette
ogni preoccupazione di diagnosi per
la valutazione e la cura delle problematiche spirituali. CosõÁ, seppure nella
teoria alcune scuole infermieristiche e
alcuni modelli diagnostici comprendano una preoccupazione per gli
aspetti spirituali della persona, nella
pratica questi bisogni sono considerati di competenza del sacerdote, del
cappellano e di altri «esperti» spirituali, o classificati e sottovalutati tra
gli aspetti psicosociali.
Inoltre il sacerdote, o comunque
l'operatore pastorale, raramente sono
considerati parte integrante dello
staff di cura.7 Questa separazione diminuisce le potenzialitaÁ, sia per il malato che per l'operatore professionale,
di farsi pienamente presenti l'uno all'altro nella relazione terapeutica. La
dimensione spirituale, connota sia la
persona dell'operatore professionale
La dimensione spirituale e religiosa
nelle Cure Palliative
L'incontro con la situazione di vita
di una persona che soffre evidenzia
una dimensione particolare al di laÁ
delle dimensioni fisiche e psicologiche, nella quale i parametri di benessere e di sofferenza non si correlano
soltanto alla mente o al corpo. Questa
dimensione eÁ quella dello spirito umano, che trascende la vita quotidiana
ed eÁ correlato con qualcosa di piuÁ
grande: Dio, l'universo, la natura.4
La dimensione spirituale puoÁ essere delineata come il bisogno di significato, di scopo, di realizzazione che
connota la vita umana, la speranza e
la volontaÁ di vita, le convinzioni, la
fede. Ancora, si puoÁ definire la spiritualitaÁ come «l'insieme delle aspira45
FORMAZIONE
che quella del malato, e quindi si puoÁ
affermare che un'assistenza spirituale
comincia da un'attenzione dell'operatore nei confronti della propria vita
spirituale.
Caretta F. e Petrini M. evidenziano
gli ostacoli piuÁ comuni che interferiscono nell'individuazione e accompagnamento dei bisogni spirituali del
malato con:
- la difficoltaÁ dell'operatore ad integrare la spiritualitaÁ nel proprio lavoro;
- la convinzione che tale condivisione richieda di essere esperti nella religione e nella spiritualitaÁ;
- il presupposto che la professionalitaÁ richieda un distacco emotivo.
sul tema della «Dimensione Spirituale» per gli operatori.
Scopo: crescere nel metodo della interdisciplinarietaÁ; migliorare il proprio rapporto empatico con l'ammalato, nel quadro piuÁ generale di un
approccio olistico alla persona; prendere coscienza o riscoprire la «dimensione spirituale»; favorire il dialogo
ecumenico e interreligioso nel rispetto di una societaÁ sempre piuÁ multietnica.
b. Accompagnare gli operatori nelle
loro esperienze individuali con i malati, con la condivisione nel gruppo e la
presenza e il confronto con l'Assistente
spirituale.
Scopo:: favorire la crescita del gruppo di lavoro; sostenere e incoraggiare
gli operatori nei momenti di crisi; valorizzare al meglio le esperienze personali; promuovere un rapporto di
apertura e collaborazione con l'Assistente Spirituale.
Il problema riguarda innanzitutto gli
operatori sanitari e la loro capacitaÁ di
elaborare angosce e vissuti collegati
con la morte, il dolore, la frustrazione e
la colpa. Le paure sono molte, e sono
presenti nel malato che muore e in
coloro che l'accompagnano.8
c. Formare alla elaborazione di una
«diagnosi spirituale» del malato per
offrire un servizio piuÁ integrato.
Scopo:: per «diagnosi spirituale» si
intende: «cogliere la dimensione «sacra» presente in ogni umana avventura; entrare nel modo interiore dell'altro e identificare le sue fonti produttrici di senso; scoprire il posto che
Dio occupa nella vicenda di questa
particolare persona; valutare il ruolo
della fede nella gestione dell'esperienza umana».9
Si tratta quindi di imparare a mettere in luce quegli elementi che ci
permettono di delineare un profilo
spirituale della persona.
Obiettivi del progetto
Obiettivo generale:: «Favorire e promuovere la conoscenza della ``dimensione spirituale'' della persona umana,
come risorsa per il malato e l'operatore, nella sofferenza e nelle «cure di fine vita».
Tempo di attuazione: 6 mesi, dall'inizio dell'attuazione del progetto.
Questo obiettivo saraÁ realizzato
perseguendo alcuni obiettivi specifici,
quali:
a. Avviare un Corso di Formazione
46
LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato)
d. Individuare un piccolo gruppo (34 persone), tra gli operatori maggiormente sensibili al tema, come collaboratori dell'Assistente spirituale.
Scopo:: assicurare la continuitaÁ del
servizio spirituale; promuovere incontri di carattere spirituale con questi
collaboratori; liberare la creativitaÁ e
l'espressione dei diversi carismi personali.
-
Le diverse espressioni della religiositaÁ nella sofferenza: cristiana, ebraica, islamica, buddhista, induista,
tradizionale africana (eventualavola rotonda).
Metodo: I contenuti saranno sviluppati in 4 incontri, di 3 ore
ciascuno, a cadenza settimanale, svolti
attraverso lezioni teoriche e con il
coinvolgimento degli operatori. In
particolare all'inizio del corso il responsabile sottopone un test di ingresso ai partecipanti che saraÁ confrontato con il test finale di valutazione dell'apprendimento.
Tenuto conto che non tutti gli operatori dell'U. O. C. P. potranno parteciparvi, per ovvi motivi, eÁ assicurata
la video-registrazione.
Fase operativa
In questa fase vengono delineate le
iniziative, i tempi indicativi e le risorse per concretizzare gli obiettivi specifici.
Obiettivo A: Avviare un Corso di
Formazione sul tema della «Dimensione Spirituale» per gli operatori.
L'Assistente spirituale, previo accordo con l'eÂquipe della struttura e
con l'Amministrazione, stabilisce il
luogo degli incontri, delinea i contenuti, contatta i relatori, definisce il
metodo e i tempi del corso con apposita locandina. I contenuti e il metodo del corso possono includere:
- Il processo di autoconoscenza e
autoaccettazione
- La comunicazione verbale e non
verbale della spiritualitaÁ: saper cogliere la domanda
- Le paure e le speranze dinanzi alla
morte
- Il processo di riconciliazione (con
se stessi, con gli altri e con Dio)
- I bisogni e le risorse spirituali dinanzi alla morte nella cultura occidentale
Obiettivo B: Accompagnare gli operatori nelle loro esperienze individuali
con i malati, con la condivisione nel
gruppo e la presenza e il confronto con
l'Assistente spirituale.
Si sviluppa dopo la partecipazione
al Corso con due attivitaÁ:
1. DisponibilitaÁ dell'Assistente spirituale a incontri personali con gli
operatori, con frequenza e tempi da
accordare.
2. Organizzazione di «Focus Group», a cadenza mensile (iniziando 15
giorni dopo la fine del Corso) della durata massima di 90'. EÁ una tecnica di intervista di gruppo che permette di produrre riflessioni riguardo un tema
preordinato; eÁ particolarmente adatta,
in campo sanitario, a studiare atteggiamenti ed esperienze di persone che
47
FORMAZIONE
hanno difficoltaÁ a riferire le proprie
opinioni, incoraggiandone la partecipazione alla discussione collettiva e alla
condivisione.
Fase valutativa
L'eÂquipe dell'U. O. C. P. e l'Assistente spirituale sono i soggetti che
oltre a seguire lo svolgimento delle
varie fasi di attuazione, hanno il compito di valutare e verificare il raggiungimento degli obiettivi:
Obiettivo C: Formare alla «Diagnosi
Spirituale» del malato per offrire un
servizio piuÁ integrato.
L'obiettivo si raggiunge attraverso
la presentazione, discussione, eventuale rielaborazione, e applicazione
di un «Protocollo di valutazione dei
bisogni spirituali/religiosi». EÁ uno
strumento didattico che serve da linea-guida e griglia di lettura comune
per la raccolta di informazioni rispetto al concetto di Dio, al significato
della malattia, l'approccio alla speranza e le relazioni significative del
malato.
Obiettivo A:: avviamento e realizzazione del Corso. I test a cui si
accennava nella metodologia, permettono di valutare l'indice di gradimento, l'efficacia della metodologia e
l'effettivo apprendimento dei contenuti. In particolare va sottolineato che
il vero obiettivo della formazione in
generale eÁ «la modificazione degli
atteggiamenti e dei comportamenti»,
che in questo caso risulta essere una
maggiore attenzione e valorizzazione
della dimensione spirituale da parte
dell'operatore.
Obiettivo D: Individuare un piccolo
gruppo (3-4 persone), tra gli operatori
maggiormente sensibili al tema, come
appoggio all'Assistente Spirituale.
EÁ un obiettivo che dipende in parte dalla buona riuscita di A e B; si
realizza attraverso un lavoro di discernimento dei singoli operatori in
collaborazione con l'Assistente spirituale. Il Corso frequentato e i lavori
di gruppo metteranno in luce sensibilitaÁ, livello di interesse, capacitaÁ e disponibilitaÁ, quali elementi per identificare soggetti promotori di iniziative e
per riconoscere e rispondere meglio
agli stimoli che vengono dalla «base».
EÁ un metodo di auto-formazione che
tiene in considerazione la flessibilitaÁ
della risposta e favorisce la creativitaÁ.
Obiettivo B: aumento della sensibilitaÁ alla dimensione spirituale, valutabile dal numero delle richieste di
incontri personali con l'assistente spirituale, riguardo a difficoltaÁ incontrate
dagli operatori in tema di soddisfacimento dei bisogni spirituali dei malati;
partecipazione e grado di coinvolgimento ai «Focus Group». Entro i 6
mesi dall'inizio del Corso devono
essere stati effettuati 4 incontri.
Obiettivo C: Confronto e verifica
con l'Assistente Spirituale sulla «Diagnosi spirituale» scritta, secondo il
protocollo proposto, che viene inserita tra la documentazione clinica del
malato.
48
LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato)
Obiettivo D:: costituzione del piccolo gruppo di appoggio all'Assistente spirituale, entro i 6 mesi dall'inizio
del Corso.
Note
1
BRUSCO A., L'accompagnamento spirituale del morente», in «Camillianum», VII, 13,
1996, pag. 45.
2
CORLI O., (a cura di), Realizzare le Cure
Palliative in Italia, Consensus Conference,
S.I.C.P., 1997, pag. 30.
3
VENTAFRIDDA V., Cure Palliative, in CinaÁ
G. Locci E. Rocchetta C. Sandrin L. (a cura
di), Dizionario di Teologia Pastorale Sanitaria, Camilliane, Torino, 1997, p. 325.
4
CARRETTA F. - PETRINI M., Ai confini del
dolore, CittaÁ Nuova Editrice, Roma, 1999,
pag. 49-50.
5
SORAVITON L., Educare alla spiritualitaÁ, in
«Credere Oggi», 22 (1984), p. 91.
6
PANGRAZZI A., Sii un girasole accanto ai
salici piangenti, Edizioni Camilliane, Torino,
1999, pag. 169.
7
CARRETTA F. PETRINI M., op. cit., pag.
51.
8
SANDRIN L., (a cura di), Malati in fase
terminale, Edizioni Piemme, Casale M. (AL),
1997, pag. 62.
9
BRUSCO A., La relazione pastorale d'aiuto. Camminare insieme, Camilliane, Torino,
1993, pag. 109-110.
Conclusione
EÁ importante sottolineare la necessitaÁ per coloro che osano il rischio di
questa avventura, di aver fatto esperienza personale dentro la propria dimensione spirituale, di averla identificata, e di aver scoperto le risorse particolari con cui superare le inevitabili
piccole o grandi crisi esistenziali.
Questa consapevolezza aiuta a raggiungere l'obiettivo di suscitare e valorizzare le capacitaÁ spirituali della
persona malata grave e/o morente.
49
Variazioni
La favola di Noia, di Meraviglia, di Gioia
Racconta una vecchia fiaba, non so piuÁ di quale Paese del mondo,
che un giorno la Noia sfidoÁ l'Ombra a chi riuscisse di restare il piuÁ a
lungo possibile attaccata agli uomini, senza che gli uomini se ne potessero liberare.
«Tu hai bisogno di una fonte luminosa per esistere. Io non ho bisogno di nulla, io sono con loro nel buio e nella luce», si vantoÁ la
Noia. Da quel giorno, per quanto furbi si facessero gli uomini per
sfuggirla, la Noia non li lasciava mai, tanto che gli uomini cominciarono a pensare che la Noia fosse la loro irrinunciabile compagna quotidiana e che la vita non fosse altro che una cosa estremamente noiosa.
Allora, in aiuto dell'umanitaÁ annoiata, venne la Meraviglia. CosõÁ capitava che ogni tanto qualcuno degli uomini, forse particolarmente
stanco, stremato, si fermasse, si guardasse attorno e, improvvisamente, come dicono che capiti soltanto ai bambini, provasse una sconcertante meraviglia. Eppure nulla attorno a lui era cambiato. Di cosa
mai si meravigliava quell'uomo? Di tutto e di nulla, forse soltanto del
fatto di essere vivo e domani, magari, di dover morire. Senza alcuna
particolare ragione entrava in lui, in quel momento, una strana, insensata, felicitaÁ.
Ma quell'uomo non era il solo al quale capitasse una cosa tanto
inaspettata. Altri, vecchi e giovani, uomini e donne, cominciarono a
provare istanti di una luminosa Meraviglia che scacciava i grigiori della Noia. Purtroppo la maggior parte di essi, vedendo attorno a se gli
altri uomini e donne che continuavano a essere annoiati e tristi, non
dicevano nulla nel timore di venire scherniti.
Ma quando qualcuno trovava il coraggio di dividere con altri la
propria felicitaÁ, allora la Gioia, della quale da tempo si era persa ogni
traccia, tornava a vivere tra gli uomini, passando randagia dall'uno all'altro fino a trovare qualcuno disposto ad ospitarla.
(Ferruccio Parazzoli)
50
T
E
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SAN GIOVANNI CALABRIA
L'uomo che conobbe il dolore
Mario Gadili *
Profilo biografico
San Giovanni Calabria, nacque a
Verona 1'8 ottobre 1973.
A 12 anni rimase orfano del padre.
L'unica risorsa per la famiglia proveniva dal lavoro di lavandaia della
mamma. Per portare un suo contributo economico in casa, il ragazzo
abbandonoÁ gli studi primari, mettendosi a servizio come garzone di bottega. Ma il suo grande desiderio era il
sacerdozio. Un vecchio insegnante
del Seminario, don Pietro Scapini, lo
aiutoÁ privatamente a passare in liceo.
Tre anni di una scuola un po' rabberciata ma fatta con tenacia e buona volontaÁ. Fu accolto in Seminario ma,
per la mancanza di solide basi culturali e di un'alimentazione insufficiente subõÁ grandi delusioni scolastiche e
amare umiliazioni.
Durante il secondo anno di liceo,
fu chiamato sotto le armi. Se avesse
sborsato una tassa di £ 1500, avrebbe
potuto usufruire di uno sconto di an-
ni di naia. Non era in grado di pagare
e percioÁ passoÁ due anni di servizio
militare presso l'ospedale militare di
Verona. ``Furono gli anni piuÁ fruttuosi e belli della mia vita!'' diraÁ un giorno ai suoi religiosi. Eppure, qualcuno
dei suoi Superiori sperava che, a contatto con un mondo un po' scanzonato, gli sarebbe passata la voglia di
continuare gli studi ecclesiastici. Si
sa, tra i soldati si possono fare tante
esperienze. E, invece, quei due anni
divennero fecondi di bene. Dopo i
primi sorrisetti di scherno per quel
soldatino tanto buono e devoto, subentroÁ la stima e il rispetto. Molti
suoi commilitoni e anche alcuni ufficiali furono attratti dalla sincera fede
senza bigottismo e dalla caritaÁ servizievole del soldato Calabria.
Ritornato agli studi arrancoÁ per altri cinque anni, giungendo finalmente
al sacerdozio. Il suo vescovo lo mandoÁ a fare la sua esperienza pastorale
in una parrocchia povera della suburra di Verona. Nei sette anni di permanenza, incontroÁ tanta miseria e
* Mario Gadili eÁ autore di: San Giovanni Calabria, San Paolo, Cinisello B. (Mi), 2002, brillante
biografia del santo.
51
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
TESTIMONI CONTEMPORANEI
litare. E non certamente per aver potuto sfoggiare la divisa o per amore
delle esercitazioni, che risultarono
noiose, inconcludenti e umilianti, ma
per aver avuto la possibilitaÁ di dedicare il suo tempo nell'assistenza ai
malati, che lui chiamava ``le vive immagini di GesuÁ sofferente''.
Padre FerruccioValente, in un articolo apparso sul Bollettino dei Camilliani, attesta che don Calabria desiderava farsi religioso camilliano. Il superiore generale, padre Giuseppe
Sommavilla, gli consiglioÁ di attendere
perche la mamma, anziana e sola,
aveva bisogno della sua assistenza.
Tuttavia, anche quando il Signore
gli indicoÁ una nuova strada di apostolato, don Calabria mantenne sempre
buoni rapporti con i Camilliani della
Casa di San Giuliano di Verona. Andava a confessare i giovani aspiranti
religiosi e spesso si fermava a pranzo
da loro. Conversava affabilmente e
confidava intenzioni e preoccupazioni, sentendosi completamente a suo
agio. Si puoÁ dire che in mezzo a loro
respirava aria di casa.
Alle suore infermiere dell'Ospedale di Negrar, le Piccole Sorelle della
Sacra Famiglia, don Calabria diceva:
``Chi va a fare servizio all'ospedale
non ha bisogno che vada in chiesa; all'ospedale, nel letto dell'ammalato, si
trova GesuÁ sofferente''. ``I sani celebrano l'Eucaristia stando attorno all'altare. I malati sono sopra l'altare''.
E cosõÁ si rivolgeva ai medici e agli
infermieri dell'ospedale di Negrar
(Verona): ``Non dubito affermare
che, dopo la missione divina del sacerdote, quella del medico sia la professione piuÁ nobile che il Creatore
tanti ragazzi abbandonati. ComincioÁ
ad interessarsi di loro. Con l'aiuto di
un giovane seminarista, di un ardente
sacerdote e di un conte, inizioÁ la sua
opera a favore dei ragazzi poveri e
abbandonati, mettendo come base
economica solo la fiducia e l'abbandono nella divina Provvidenza.
Con una fede illimitata nelle parole
di GesuÁ: ``Cercate in primo luogo il
Regno di Dio e la sua giustizia... e
tutto il resto vi verraÁ dato in sovrappiuÁ'' ... ``Guardate gli uccelli del cielo... guardate i fiori dei campi... Se
Dio mantiene loro... quanto piuÁ avraÁ
cura di voi''.
Don Giovanni prese alla lettera
queste parole, le mise alla base dell'Opera, che egli chiamava ``Opera di
GesuÁ'', ± e della quale si considerava
il semplice ``casante'', il custode ± e
s'incamminoÁ verso una strada che
umanamente sembrava semplicistica
e poetica. Lui credette, mise alla prova la parola di Dio e camminoÁ, in
mezzo a tante tribolazioni e contrarietaÁ, ma con tanta fiducia e serenitaÁ.
MorõÁ il 4 dicembre 1954.
Giovanni Paolo II lo beatificoÁ, a
Verona, il 17 aprile del 1988. Venne
dichiarato santo il 17 aprile del 1999.
L'anima `camilliana' di san Giovanni
Calabria
L'attivitaÁ svolta nell'ospedale militare aveva rivelato in Giovanni Calabria una congeniale propensione per
l'apostolato tra gli ammalati. ``Fu il
tempo piuÁ bello della mia vita!'', ripeteva spesso quando parlava dei
due anni di servizio nell'ospedale mi52
SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili)
possa affidare ad un uomo sulla terra.
Il medico eÁ un collaboratore di Dio,
autore e conservatore della vita... eÁ
chiamato da Dio a curare le infermitaÁ, o almeno a lenire i dolori, renderne meno sensibile la sofferenza, e
procurarne sereno il tramonto... Salvare una vita, prolungare un'esistenza! Un uomo che vive, non fosse altro
che per pochi minuti in piuÁ, puoÁ fare
del bene; e, col bene, daÁ piuÁ gloria a
Dio che non tutte le creature insensate nel giro dei secoli. Pensiamo quale
merito per il medico quando riesce a
prolungare e moltiplicare le vite umane. ``Venite benedetti, perche ero infermo e mi siete venuti a visitare'';
disse GesuÁ. Queste parole sono proprio per voi, e saranno la degna ricompensa della vostra carriera mortale».
Ebbe sempre un'attenzione particolare anche per gli ammalati psichici, che soffrono piuÁ degli altri per
l'abbandono e l'isolamento. Per questi egli prestava cure e finezze speciali. Nelle lettere indirizzate a loro troviamo espressioni che manifestano
amore, compassione, predilezione.
Le parole sono sempre ispirate dalla
fede e dalla convinzione che la loro
esistenza eÁ un mistero insondabile.
Solo in Dio potremmo un giorno capire e valutare, nella sua giusta collocazione nel mistero della Redenzione,
l'utilitaÁ e preziositaÁ della loro sofferenza.
Andava a visitarli nelle case di cura, nonostante i disagi che doveva
sopportare per la sua salute precaria.
E sempre li avvicinava con delicatezza e discrezione, per non umiliare i
malati stessi.
I miei cari ammalati
``Fin dalla mia gioventuÁ i malati sono sempre stati la pupilla dei miei occhi e la bella provvidenziale opera
dell'Apostolato degli Infermi ha occupato sempre un posto di privilegio
nel mio cuore''. Don Giovanni Calabria coltivoÁ sempre questa vocazione
speciale per l'apostolato tra gli infermi.
Un suo vicino di casa e suo benefattore, il signor Antonio Fabbro, affermoÁ che ``fin dalla fanciullezza, dimostroÁ questa inclinazione speciale
per gli ammalati. Soprattutto per la
salvezza delle loro anime. Quando
non poteva visitarli, pregava e faceva
pregare, perche si disponessero a ricevere i santi sacramenti''.
Da giovane studente liceale continuoÁ questo apostolato, specialmente
se gli ammalati erano i ragazzi dell'oratorio. Qualche professore del Seminario gli rimproverava questo zelo e
caritaÁ verso gli ammalati come distrazione nociva allo studio.
Da chierico fondoÁ la ``Pia Unione
per l'Assistenza agli Ammalati Poveri''.
Un giorno del 1925 gli capitoÁ di
leggere un trafiletto su l'Osservatore
Romano che attiroÁ la sua attenzione.
Si parlava di un Centro Internazionale
per l'Apostolato degli Infermi, sorto
da poco in Olanda, per opera del
parroco di Bloemendaal, diocesi di
Haarlem. Gli parve un'iniziativa bella
e utile. Si mise in contatto epistolare
col Centro olandese e ottenne le debite autorizzazioni ecclesiastiche per
farne propaganda in Italia. CosõÁ, il 24
maggio 1930, presso il Santuario del53
TESTIMONI CONTEMPORANEI
la Madonna di Campagna, istituõÁ la
sezione italiana dell'Apostolato infermi. Il giornale cattolico, L'Avvenire
d'Italia, ne dava notizia con un articolo: ``Una nuova iniziativa: l'Apostolato dei malati''. E spiegava la modalitaÁ
e la finalitaÁ dell'iniziativa: ``Non occorrono denari, ne titoli, ma solo tre
cose che valgono piuÁ di tutto l'oro
del mondo:
1. accettare dalla mano di Dio le
sofferenze della malattia;
2. sopportarle con spirito cristiano
in unione alle pene che N.S. GesuÁ
Cristo soffrõÁ sulla croce;
3. offrirle a Dio per la venuta del
suo regno...
Questa eÁ un'opera veramente cristiana, perche il fratello ammalato
sente di non essere inutile, comprende che puoÁ fare piuÁ lui, immobile in
un letto, che non altri nella loro vita
attiva e febbrile e che i suoi dolori,
sofferti in unione ai dolori di GesuÁ
Cristo sulla Croce, sono quelli che
salvano il mondo. Non v'ha merito
senza dolore: eÁ la legge sancita sul
Calvario... Ecco dunque l'Apostolato
dei malati che diventa il primo fra
tutti gli apostolati.
Divenuto sacerdote, il suo apostolato per gli ammalati non conobbe limiti. Ogni giorno dedicava alcune
ore per visitare gli ammalati sia in famiglia sia nell'ospedale.
Quando dovette rinunciare alla
Rettoria di San Benedetto per dirigere l'opera dei ``Buoni Fanciulli'', le visite fuori San Zeno in Monte furono
quasi esclusivamente per portare conforto ai sofferenti.
Missione di GesuÁ fu quella di sanare le malattie dell'anima e del corpo.
E quando invioÁ i suoi discepoli a predicare nei villaggi di Galilea, per spianare la strada alla predicazione del
Regno, raccomandoÁ loro: «Curate gli
infermi e dite loro: EÁ vicino a voi il
Regno di Dio».
Questo comando di GesuÁ non era
rivolto solo agli Apostoli, ma a tutti i
cristiani. Alcuni santi, peroÁ, si sentirono interpellati in maniera particolare. Tra questi possiamo annoverare
don Calabria.
Egli volle inserire nelle Costituzioni dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, opera da lui fondata, questa
finalitaÁ: «Evangelizzare pauperibus
(portare la buona novella ai poveri).
Le creature abbandonate, i poveri, i
vecchi, gli ammalati, ecco le nostre
gemme, le gemme dell'Opera. Anime, anime, miei cari! Tutto il resto
non eÁ niente... La Congregazione
ospita e cura vecchi e ammalati poveri e bisognosi, procurando, attraverso
la piuÁ amorevole e delicata assistenza
corporale e materiale, il loro maggior
bene temporale ed eterno... Nei fratelli piuÁ emarginati e abbandonati, il
Povero Servo vede GesuÁ; percioÁ la
sua assistenza e il suo donarsi devono
essere pieni d'amore umano ed evangelico».
«L'Opera deve preferire vecchi e
ammalati, poveri e bisognosi», insisteva don Calabria. Naturalmente il
malato, a prescindere dal suo censo,
eÁ sempre un bisognoso e sarebbe ingiusto fare discriminazioni tra le persone. Ma il ``malato povero'' si trova
in una condizione di maggiore abbandono ed eÁ l'immagine piuÁ nitida
di ``GesuÁ sofferente''.
GesuÁ dice: «Quello che avete fatto
54
SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili)
ad uno di questi miei `fratelli piuÁ poveri' l'avete fatto a me». PercioÁ bisogna trattare l'ammalato con squisita
caritaÁ, aiutarlo con personale professionalmente preparato, accoglierlo in
ambienti confortevoli e rispettarlo
nella sua dignitaÁ personale.
EÁ degno di nota un desiderio
espresso da don Calabria, che ai suoi
tempi appariva rivoluzionario e scandaloso. Nel progetto della costruzione del grande Geriatrico di Negrar,
volle che le stanzette per gli anziani
avessero l'aspetto di mini-appartamento, perche gli anziani coniugi potessero vivere insieme. Niente separazioni. «Proprio nel momento della
vecchiaia, ± diceva, ± c'eÁ bisogno di
prestarsi quell'aiuto reciproco, promesso e giurato nel giorno del matrimonio». Delicatezze di santi: austeri
con se stessi, benevoli con gli altri.
Ma tutte queste attenzioni materiali e psicologiche non bastano. Chi
agisce per fede eÁ preoccupato anche
dell'assistenza morale e spirituale,
perche il fratello sofferente possa capire e valorizzare le immense ricchezze soprannaturali che sono racchiuse
nel dolore cristianamente accettato e
sopportato.
Scriveva don Calabria: «Mai come
in questo tempo di grande sofferenza
ho meditato sulla preziositaÁ del dolore, quando lo si accetti dalle mani del
Padre celeste con serena fiducia che
proprio cosõÁ, va bene. In quella materiale inazione a cui costringe la malattia, oh quanto lavoro proficuo si puoÁ
fare nella vigna del Signore, per l'incremento del santo Regno di Dio nelle anime!
Con la pazienza, con la rassegna-
zione, con la preghiera, il malato
esercita un'influenza efficacissima, un
apostolato operoso a vantaggio della
Chiesa e delle anime: il Signore lo
mette vicino, invisibilmente, a quel
sacerdote, a quel missionario, a quel
Maestro, a quella ComunitaÁ affincheÂ
le sue sofferenze rendano benedetto
e fecondo il suo lavoro».
Qualcuno definõÁ Don Giovanni
Calabria ``l'uomo esperto nel dolore''. Avendolo sperimentato e assaporato personalmente, riusciva a trovare
le parole adatte per consolare e toccare l'animo di chi soffriva.
Iniziando l'Opera dei Buoni Fanciulli, aveva scritto al suo amico don
Pio Visentini: «Prega perche possa
amare il patire».
Non disse ``sopportare'' oppure
``accettare ``, ma ``amare ``. E non sono parole vuote, prive di significato
reale, che vengono proclamate da chi
eÁ sano e ben pasciuto.
Ripeteva spesso: «Sono una pianta
sensitiva», cioeÁ un'anima troppo sensibile, fatta per soffrire. La sua particolare sensibilitaÁ d'animo lo metteva
subito in fibrillazione all'annuncio di
qualsiasi sciagura e calamitaÁ che colpisse il prossimo: guerre, lotte politiche, persecuzioni religiose o razziali,
decadenza dei costumi, disastri ecologici, ecc.
Non era un masochista, ne un
asceta in cerca di volontario dolore o
amante delle macerazioni del corpo:
«Dono di Dio eÁ la salute e bisogna
custodirla». Non voleva che i suoi religiosi facessero grandi penitenze, neÂ
mortificazioni dannose alla salute:
«La vita comunitaria, lietamente vissuta, e il lavoro e l'impegno quotidia55
TESTIMONI CONTEMPORANEI
no sono mortificazioni sufficienti ed
efficaci contro le inclinazioni al male».
Personalmente non ricusava di
consultare il medico e di seguire con
semplicitaÁ i consigli e le cure prescritte, anche quelle piuÁ ripugnati ed umilianti.
Nell'ultima lettera ai suoi religiosi,
scritta due mesi prima della sua morte, diceva: «Pregate, pregate tanto
per questo vostro vecchio Padre, cosõÁ
vicino alla grande chiamata, percheÂ
possa capire il grande dono della sofferenza e farne tesoro, prima per la
mia povera anima e poi per quest'umile e grande Opera, suscitata proprio dal Signore. Pregate perche possa capire il dono della sofferenza».
Le frasi piuÁ comuni che si incontrano nelle lettere e nel diario di don
Calabria, sono queste:
- Pregate perche possa capire il dono
della sofferenza.
- GesuÁ, fatemi conoscere la ricchezza della sofferenza.
- La sofferenza eÁ moneta di Dio.
ni, dovette subire un lungo calvario,
una lunga agonia, culminata con la
notte dello spirito. Anche Cristo sentõÁ
tutta l'angoscia dell'abbandono, del
silenzio, dell'impotenza: «Dio mio,
Dio mio, perche mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). «Si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33).
Don Calabria soffrõÁ indicibilmente,
sperimentoÁ questo abbandono e solitudine.
Si sentiva abbandonato da Dio,
dannato per sempre, reietto, separato
dalla luce della fede e della speranza
da un muro invalicabile. Ma, poi, aggrappandosi alla sua fede granitica,
tenacemente e disperatamente, gridava: «GesuÁ, GesuÁ, siatemi GesuÁ!»,
(ossia salvatore).
Ho raccolto un piccolo florilegio
d'espressioni di don Calabria a riguardo della sofferenza e dei sofferenti. Se fossero state dette da un
uomo sano, giovane, forte, potremmo sorridere di compassione. Sono
dette da un uomo che sapeva cosa
fosse il dolore, lo aveva assaporato
fino all'ultima goccia. Ma aveva scoperto quale moneta preziosa fosse la
sofferenza per la salvezza e per la redenzione.
La croce e la sofferenza del singolo
o dell'umanitaÁ, non trovano nessuna
spiegazione umanamente esauriente.
Rimane un mistero e uno scandalo
senza Cristo GesuÁ.
Egli, fattosi uomo, accettoÁ fino alla
``consumazione estrema, fino all'ultima goccia di sangue'', la volontaÁ del
Padre. Non scese dalla croce, non ricusoÁ il calice amaro, pur potendolo
evitare, per farsi solidale con l'uomo
che soffre.
Don Calabria entroÁ in questa lunghezza d'onda di Cristo. Per tutta la
vita, ma specialmente negli ultimi an-
- La sofferenza eÁ un mistero di fede e
d'amore.
- Fortunati quelli che hanno lo spirito
di fede, perche possono santificare le
prove della vita.
- La sofferenza e la malattia non sono
castighi inflitti da un Fato crudele,
ma un mezzo d'apostolato operoso
a vantaggio della Chiesa e delle anime.
- Le anime e le Opere di Dio costano.
56
SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili)
- Oh, la sofferenza! Solamente la nostra santa religione sa rispondere al
perche della sofferenza. Essa sola
sa rischiarare e mettere nella vera luce, nella luce della sofferenza di GesuÁ Redentore, le nostre pene, i nostri
dolori. Quanto siamo fortunati noi
di avere lo spirito di fede, di poter
santificare le prove di tutta la vita.
Capiremo in paradiso quanto eÁ preziosa la sofferenza, accettata e vissuta in unione al Crocifisso e all'Addolorata.
- Che conforto e che pace, anche nelle
prove, sapere che tutto eÁ voluto e permesso dal nostro Padre celeste, e che
da tutto possiamo trarre motivo, anche nelle prove, di stare di buon animo, perche il Padre buono ci ama e
ci predilige, ci sostiene e ci prepara il
premio nella sua beatitudine eterna.
- Il sacrificio, quando eÁ benedetto dal
Signore ed eÁ unito con la preghiera e
con lo spirito di caritaÁ, eÁ l'energia piuÁ
preziosa che il cristiano possa mettere a disposizione di Dio e della Chiesa. Che importa se siamo poveri e
deboli esseri. Il Signore non agisce
alla maniera degli uomini. Gli uomini cercano di servirsi di mezzi potenti, Egli invece si serve, tante volte, di
cioÁ che il mondo disprezza e rifiuta.
- La sofferenza, se accettata con spirito
di fede, eÁ una preziosa moneta con la
quale possiamo comperare grazie per
noi stessi e per gli altri. Un cristiano
che soffre con serenitaÁ, rassegnato alle
disposizioni della Provvidenza, eÁ un
parafulmine che tiene lontani i flagelli dall'umanitaÁ. Egli eÁ una calamita di
grazie per tutti. EÁ un tesoro di celesti
ricchezze, un angelo che canta la gloria della misericordia di Dio. Oh, po-
-
-
-
57
tessimo anche noi, illuminati dalla fede, capire, non solo in teoria, ma in
pratica, la preziositaÁ e il merito della
sofferenza! Potessimo capire quanto
grandi benefattori sono tutti coloro
che soffrono con Cristo!
La sofferenza ci rende somiglianti a
GesuÁ crocifisso. Le prove e le sofferenze, unite alle sofferenze di GesuÁ,
arricchiscono le nostre anime e fanno vivere le opere di Dio.
La croce eÁ il sigillo delle opere di Dio.
Le anime e le opere di Dio costano
tanto e spesso fanno grondare sangue.
Nelle prove, nelle sofferenze, nelle pene interne ed esterne, dire sempre: ``EÁ
il Signore''. Dobbiamo coordinare la
vita presente con la vita futura ed essa,
allora, saraÁ come una lieta vigilia di
una grande festa. Nei momenti difficili, nelle varie contingenze della vita,
nelle inevitabili croci e sofferenze,
guardiamo GesuÁ crocifisso e diciamo:
Quello che eÁ buono per GesuÁ eÁ buono
anche per me. Dobbiamo dimostrare
generositaÁ nelle prove. Questa disposizione onora molto il Signore e lo costringe a venirci in aiuto. Che GesuÁ
compia sempre e in tutto la sua divina
volontaÁ in noi tutti, vivendo come
vuole lui, disposti a tutto, ad essere
anche stritolati dal torchio del suo
amore che eÁ la croce, la sofferenza,
pur di fare la sua volontaÁ.
Fidiamoci del Signore, ve lo ripeto:
crediamo al Signore, con fede ferma,
incrollabile, semplice. Mi viene in
mente un caro episodio letto anni
fa. Una nave eÁ in preda alla tempesta. Tutti i passeggeri sono in ansia
e trepidazione per l'imminente pericolo di naufragare. Eppure fra tutti,
TESTIMONI CONTEMPORANEI
terrorizzati, c'eÁ un bambino che, in
una angolo della nave, sta giocando
senza nessuna paura. ``Come? Tu
giochi? Non hai paura?''. ``C'eÁ mio
padre che guida la nave! Perche dovrei temere?''.
- Cari e amati fratelli, al timone della
nave c'eÁ il nostro Padre celeste. Di
che temere? Verranno le tempeste,
le difficoltaÁ: niente paura! Il timoniere non falliraÁ il suo compito e noi
giungeremo sicuri al porto dell'eterna
salute.
Disse un'ostrica a una vicina: «Ho veramente un gran dolore dentro di me.
EÁ qualcosa di pesante e di tondo, e sono stremata».
Rispose l'altra con borioso compiacimento: «Sia lode ai cieli e al mare,
io non ho dolori in me. Sto bene e sono sana sia dentro che fuori».
Passava in quel momento un granchio e udõÁ le due ostriche,
e disse a quella che stava bene ed era sana sia dentro che fuori:
«SõÁ, tu stai bene e sei sana; ma il dolore che la tua vicina porta dentro di seÂ
eÁ una perla di straordinaria bellezza».
E la grazia piuÁ grande, quella dell'ostrica.
Quando le entra dentro un granello di sabbia, una pietruzza che la ferisce,
non si mette a piangere, non strepita non si dispera.
Giorno dopo giorno trasforma il suo dolore in una perla:
il capolavoro della natura.
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D
O C
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M E
N
T I
ECCLESIA IN EUROPA
Esortazione apostolica post-sinodale su GesuÁ Cristo,
vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa
Il documento consta di sei capitoli,
preceduti da un'introduzione e conclusi con un affidamento alle Vergine
Maria. Questo l'ordine dei capitoli:
della vita, ``in una societaÁ della prosperitaÁ e dell'efficienza, in una cultura caratterizzata dall'idolatria del corpo, dalla rimozione della sofferenza e
del dolore e dal mito della perenne
giovinezza'', la cura per i malati deve
essere considerata come una delle
prioritaÁ. A tale scopo, vanno promossi, da una parte, una adeguata presenza pastorale nei diversi luoghi della sofferenza, ad esempio attraverso
l'impegno di cappellani ospedalieri,
di membri di associazioni di volontariato, di istituzioni sanitarie ecclesiastiche, e, dall'altra, un sostegno alle
famiglie dei malati. OccorreraÁ inoltre
essere accanto al personale medico e
paramedico con mezzi pastorali adeguati, per sostenerlo nell'impegnativa
vocazione a servizio dei malati. Nella
loro attivitaÁ, infatti, gli operatori sanitari rendono ogni giorno un nobile
servizio alla vita. A loro eÁ richiesto di
offrire ai pazienti anche quello speciale sostegno spirituale che suppone
il calore di un autentico contatto
umano».
0. GesuÁ Cristo eÁ nostra speranza
1. Il vangelo della speranza affidato alla Chiesa del nuovo millennio
2. Annunciare il vangelo della speranza
3. Celebrare il vangelo della speranza
4. Servire il vangelo della speranza
5. Il vangelo della speranza per
un'Europa nuova.
Se tutto il documento riveste interesse per quanti operano nel mondo
della salute, il capitolo quinto li riguarda piuÁ da vicino. Di detto capitolo il paragrafo 88 parla della pastorale
dei malati:
«Si dia adeguato rilievo anche alla
pastorale dei malati. Considerando
che la malattia eÁ una situazione che
pone interrogativi essenziali sul senso
59
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
A
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M
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V
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I TANTI DILEMMI DELLA BIOETICA
Ornella Scaramuzzi
Leone S., La prospettiva teologica in
bioetica, Ed. Istituto Italiano di Bioetica, Acireale 2002
ogni atto manipolativo sugli esseri viventi uccide non solo il dono ma Dio
stesso fattosi uomo.
L'affermazione della vita ruota
dunque intorno al quinto comandamento «non uccidere», ma ancor piuÁ
intorno alla radicalizzazione della legge riproposta da GesuÁ nel discorso della montagna, ove egli ribadisce l'interiorizzazione e l'estensione del precetto. GesuÁ si schiera per la vita sempre
(molti episodi ce lo dicono: l'opposizione alla lapidazione dell'adultera,
l'intervento riparatore sull'orecchio
del milite tagliato da Pietro) e illumina
la metanoia necessaria al cristiano paradossalmente ridimensionando il valore assoluto della vita, a cui antepone
il bene spirituale dell'uomo e il bene
del prossimo, premettendo l'ordine
della caritaÁ all'ordine del culto in un
messaggio di liberazione integrale e di
salute-salvezza.
In questa ottica sono compresi e
trattati con acutezza teologicamente
fondata e lungimirante apertura normativa, la salvaguardia bioetica della
vita dal concepimento alla conclusione naturale della vita, i trapianti d'organo, la rianimazione, le speranze offerte dalle biotecnologie e il pericolo
Come guardare alla bioetica oggi e
ai tanti dilemmi che essa affronta? La
ricerca dell'autore, Salvino Leone,
medico, teologo e cofondatore dell'Istituto Siciliano di Bioetica, si propone di sceverare le basi della Sacra
Scrittura, della patristica, del Magistero della Chiesa, alla ricerca di una
sorgente incontestabile e unificante
che superi il dualismo bioetica cattolica bioetica laica.
Attraverso un lavoro di enorme valore culturale, storico e teologico,
Leone approfondisce i temi a partire
dalla spiegazione semantica delle parole, partendo dall'assunto che l'assegnazione di significato deve spolverare i concetti dalla stratificazione delle
successive interpretazioni greche, ellenistiche, latine, riformulando il
messaggio primitivo.
Fondamento del pensiero ebraico
eÁ la vita, come corporeitaÁ psicofisica
e come pienezza espressiva dell'uomo
in quanto dono del Vivente. Anzi,
l'Incarnazione ha introdotto tangibilmente Dio nella vita umana, per cui
60
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
ABBIAMO LETTO PER VOI
della manipolazione genetica, il problema morale della commercializzazione degli organi e quello della assistenza umanistica a soggetti con handicap o con malattie mentali, nei quali l'ottundimento cerebrale non nasconde la presenza del trascendente,
anzi la esalta nella debolezza.
Non manca il discorso su sacralitaÁ
e qualitaÁ della vita che tanto divide il
mondo etico e il richiamo all'uomo
custode del creato (Gn 2,15) che getta
nuova luce sull'ecologia, al di laÁ di un
panteismo orientaleggiante o di tipo
new age.
L'ultima parte del libro sviluppa i
temi cosiddetti di bioetica speciale
con costanti riferimenti alle ragioni
teologiche delle norme. Interessante
il percorso dalla clandestinitaÁ sociale
dell'aborto precoce di ieri alla clandestinitaÁ biologica di oggi, con riferimento alla eliminazione di feti sovrannumerari, alla riduzione embrionale, alla contragestazione con la pillola del giorno dopo e la spirale, al
vero e proprio aborto in pillola con il
farmaco RU 486.
Tutto questo tende a rendere impercettibile a livello di coscienza l'atto abortivo stesso banalizzandolo e
cioÁ che eÁ peggio normalizzandolo. La
diagnosi prenatale dunque non va reclamizzata nei suoi aspetti diagnostici
e terapeutici come fosse soltanto una
novitaÁ scientifica opportuna e sempre
praticabile, «non puoÁ essere semplicemente prescritta al pari di una glicemia
o di un esame di urine,» dice Leone,
ma va fortemente accompagnata da
un discorso fra medico e genitori che
possa indirizzarli ad una scelta responsabile nella piena coscienza del-
l'atto che stanno per compiere, facendo luce piena sulla prioritaÁ della vita
che rimane un mistero di ricchezza
donata anche dentro le spoglie dell'imperfezione. Quello della diagnosi
prenatale puoÁ essere dunque non
uno scontato mezzo per uccidere ma
un momento forte per accogliere la
vita e per amare.
A proposito dei trapianti d'organo,
quale migliore incentivazione a sostenerli che il realismo dell'Incarnazione, in cui GesuÁ si dona, o la sua oblazione fino alla morte di croce per la
salvezza dell'umanitaÁ, e la comunione
eucaristica in cui siamo chiamati a
condividere il pane divino che eÁ Cristo stesso? «Anche l'essere umano, alter Christus, che dona parte di se nel
trapianto, entra in comunione fisica
con l'altro, condividendo non un'esperienza esistenziale ma la stessa organicitaÁ corporea. Il suo corpo si fa corpo
dell'altro» (p. 431).
La bioetica che si affaccia alle soglie del terzo millennio dovraÁ avere
un respiro ecumenico nel rispetto
delle tradizioni religiose dei popoli e
dunque presupporraÁ la preparazione
in tal senso di sacerdoti e operatori
pastorali che saranno chiamati a farsi
mediatori di scelte nei vari tempi della vita, lõÁ dove la sofferenza si affaccia
a mettere in discussione il consueto
benessere e ci coinvolge in orizzonti
di crescita.
Al lettore viene offerto dunque,
nel testo, un percorso denso e talvolta complesso nel quale la razionalitaÁ
della ricerca si coniuga continuamente con una teologia incarnata e lucida
e con una profonda sensibilitaÁ umanistica che catturano l'attenzione e
61
ABBIAMO LETTO PER VOI
La vita danza
nelle placide acque
di laghi che irrorano
il cuore spossato
del pellegrino
assetato di luce.
spesso muovono poeticamente il cuore all'amor di Dio.
Per questo mi sembra appropriato
concludere la mia riflessione cosõÁ come Salvino Leone l'aveva iniziata invitando alla vita con la poesia di Salvatore Privitera, in quanto sintesi immaginifica di tutto il discorso:
La vita danza
sui morbidi prati
che il cielo disseta
con piogge
colorate dal sole.
LA VITA DANZA
fra le torri appuntite
da sogni mai sbocciati
in un frenetico girotondo
di verdi colline
al grigio confine
di rocce senza futuro.
La vita danza sempre
anche al di laÁ
dei confini
piuÁ anneriti del tempo.
II
MENO PRETI, QUALE CHIESA?
Per non abbandonare chiese e ospedali
Leonardo Di Taranto
Della Zanna G., Ronzoni G., Cammini di Chiesa, EDB, Bologna, 2003
Avuto tra le mani, lo leggi con attenzione dalla prima all'ultima pagina e
con una biro in mano, e ti accorgi alla
fine che molti sono i brani sottolineati in rosso, con qualche interrogativo
o freccetta a lato che significano necessitaÁ di ritornare su quei punti per
approfondire la riflessione personale
e la ricerca su altri testi.
EÁ quanto eÁ successo per il libretto
di piccole dimensioni e di 151 paginette, pubblicato dalle Edizioni De-
Ci sono libri che ti colpiscono subito per il loro titolo provocatorio.
Ma lo lasci andare perche «hai altro a
cui pensare». Poi lo incontri nuovamente, per caso, recensito in una rivista, ed emerge subito una curiositaÁ
che si trasforma in interesse ed in acquisto immediato del testo per potervi sfogliare l'indice e la bibliografia.
62
ABBIAMO LETTO PER VOI
16 regioni ecclesiastiche italiane. Infine, sulla scorta dei risultati di queste
analisi, formulano qualche ipotesi sul
futuro, prevedendo la consistenza e
la struttura per etaÁ dei sacerdoti diocesani italiani fino al 2024.
Ne scaturisce una radiografia della
situazione pastorale in Italia alla luce
della diminuzione lenta e progressiva
del clero diocesano (e religioso). Attraverso tabelle e figure, si vengono a
conoscere dati interessanti e scientifici: alcuni dati sul clero e i religiosi italiani nel periodo 1969-1998, e specifici dati sulle vocazioni al sacerdozio
nei maggiori paesi europei e nei continenti fra il 1976 e il 1996.
Ma soprattutto le valutazioni degli
autori, colorate di sano ottimismo,
sono «sorprendenti»:
- La posizione dell'Italia per quanto riguarda le vocazioni al sacerdozio
eÁ oltremodo «privilegiata»: eÁ il paese
occidentale con maggior numero di
vocazioni. Le vocazioni italiane sono
il triplo rispetto a Francia, Belgio e
Olanda; il doppio rispetto alla Svizzera; molto superiori rispetto a Portogallo, Spagna, Austria e Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. In Europa
l'Italia eÁ superata solo da alcune nazioni dell'Est (p.19).
- Un altro segnale di vitalitaÁ del ministero ordinato eÁ il rapido incremento dei diaconi permanenti, che superano le 2.000 unitaÁ all'inizio del nuovo secolo (idem).
- Le vocazioni al sacerdozio non
scarseggiano: solo che i giovani sacerdoti, sia pure in aumento, non sono
in grado di sostituire quanti si ritirano per motivi di etaÁ e questa situazione si eÁ venuta a determinare assai ra-
honiane di Bologna, nella collana:
«Cammini di Chiesa», scritto a quattro mani da due giovani autori:
Giampiero Della Zuanna, professore
di Demografia all'UniversitaÁ di Padova e collaboratore della Fondazione
Nord Est, e Giorgio Ronzoni, presbitero della diocesi di Padova dal 1986,
insegnante di catechetica presso la
FacoltaÁ teologica dell'Italia settentrionale e direttore dell'Ufficio catechistico diocesano della stessa cittaÁ. EÁ
arricchito dalla presentazione di don
Domenico Sigalini, puntando la sua
riflessione su «Una comunitaÁ cristiana che si sa riprogettare».
Quattro sono i capitoli che sviluppano la tematica affrontata: La consistenza del clero italiano tra passato e
futuro; Un approfondimento: la diocesi di Padova; Scelte pastorali all'estero e in Italia; Meno preti, non meno Chiesa. Tutti e quattro sono preziosi per gli orizzonti che aprono al
lettore sia guardando indietro che
guardando in avanti. Ma il primo e
l'ultimo risultano a piuÁ ampio respiro
e sono correlati l'uno all'altro per le
proposte di cambiamento dell'azione
pastorale e dei suoi operatori classici
e nuovi.
Una radiografia della situazione pastorale alla luce della diminuzione dei preti
Nel primo capitolo i due autori
prima analizzano la consistenza quantitativa del personale ecclesiastico italiano nel tempo, soffermandosi sui
flussi di ingresso (ordinazioni) e di
uscita (abbandoni e decessi). In un
secondo momento conducono un'analisi territoriale, distinguendo fra le
63
ABBIAMO LETTO PER VOI
pidamente (p. 21).
- La carenza di vocazioni eÁ un concetto dinamico piuttosto che statico,
relativo piuttosto che assoluto. Le
preoccupazioni attuali sono dovute,
sostanzialmente, all'impossibilitaÁ di
sostituire metaÁ dei sacerdoti che lasciano la vita attiva (p. 22).
- L'impossibilitaÁ di sostituire gran
parte dei sacerdoti anziani ha posto
quasi improvvisamente la Chiesa italiana di fronte a un bivio: ridimensionare la sua presenza nella societaÁ
mantenendo una struttura clericocentrica, oppure mantenere una presenza capillare e articolata, ma modificando linee di comando secolarmente
consolidate (idem).
nel giro di qualche anno il declino
rallenteraÁ e poi si arresteraÁ; e l'etaÁ
media dovrebbe iniziare a diminuire
giaÁ nei prossimi anni.
Tuttavia la vita pastorale e il ruolo
dei sacerdoti vanno ripensati e ridefiniti per tre ragioni: il declino quantitativo del clero, sia pure meno accentuato che altrove, saraÁ rilevante; se si
vuole che le vocazioni accrescano, eÁ
importante che i giovani abbiano davanti a se modelli di vita sacerdotali
ben definiti e percepiti come significativi; l'emergenza eÁ giaÁ un dato di
fatto e il modello tradizionale sintetizzato nello slogan «almeno un prete
per parrocchia» eÁ ormai un lontano
ricordo.
Quindi sta alla sapienza della Chiesa intera e dei pastori in particolare
saper leggere la diminuzione dei sacerdoti come «segno dei tempi», come kairoÁs dello Spirito che invita la
comunitaÁ cristiana a vivere un'altra
stagione ricca di frutti come la precedente, magari con nuovi modelli
d'impostazione della pastorale e nuove figure di operatori. E giaÁ un frutto
eÁ maturato: la diminuzione o la persistente scarsitaÁ del numero dei sacerdoti ha permesso la fioritura di una
ministerialitaÁ che, con tutta probabilitaÁ, in caso contrario non si sarebbe
realizzata (p. 114).
Da crisi preoccupante ad evento dello
Spirito
Dopo il secondo capitolo riservato
ai dati derivati ad una indagine riservata alla diocesi di Padova e dopo il
terzo capitolo che daÁ uno sguardo
sommario a come le altre nazioni
hanno sopperito alla diminuzione numerica dei preti, con scelte magari
adatte al contesto particolare di esse,
e che fa conoscere le esperienze in atto in alcune diocesi italiane con la
proposta e la sperimentazione delle
UnitaÁ Pastorali (Milano, Piacenza,
Udine e Bolzano, Vicenza), i due
autori giustamente nell'ultima parte
del loro lavoro diventano propositivi.
Le loro convinzioni si possono sintetizzare nel seguente ragionamento:
nel prossimo futuro in tutte le diocesi
italiane ci saranno meno preti, ma se
le ordinazioni sacerdotali si manterranno sul ritmo del decennio passato,
Che fare?
A questo punto della riflessione
Dalla Zuanna e Ronzoni si chiedono:
«Quali indicazioni possono scaturire
dalla storia della nostra Chiesa, dall'analisi dei dati fin qui presentati, dal
dibattito in corso e dalle esperienze
64
ABBIAMO LETTO PER VOI
della Chiesa nelle corsie ospedaliere,
ove si vivono le medesime difficoltaÁ
delle comunitaÁ territoriali: quanto
viene suggerito per il rinnovamento
del servizio pastorale parrocchiale, risulta valido anche per le comunitaÁ
ospedaliere.
Come per le parrocchie si sta riflettendo e sperimentando sulle «UnitaÁ
Pastorali», cosõÁ per il servizio di assistenza religiosa nelle istituzioni sanitarie provvidenzialmente, anche se faticosamente, si sta enucleando la fisionomia delle «Cappellanie ospedaliere miste».
A dire la veritaÁ nel testo spesso si
fa riferimento al servizio dei malati e
delle loro famiglie, da collocare tra gli
ambiti pastorali da non trascurare o
abbandonare (p. 126.133.134). Anzi
non mancano accenni alla pastorale
sanitaria e si ricorda che «negli ospedali di Padova i religiosi Camilliani
sono affiancati da alcuni operatori di
pastorale sanitaria volontari specificamente preparati al dialogo con i malati. I corsi di formazione per questo
tipo di operatori esistono giaÁ in Italia
e sembra possibile che le aziende
ospedaliere possano prevedere di stipendiare alcune di queste persone,
constatando il loro benefico influsso
sui degenti e forse non solo su di essi» (p.142-143).
Il futuro della pastorale della salute nelle istituzioni sanitarie passa ± a
me sembra ± necessariamente dalla
nascita e dalla sperimentazione della
Cappellania ospedaliera mista: i primi germogli ci sono, ma sono indispensabili l'aiuto dello Spirito e il coraggio dei Pastori per percorrere i
canali per la moltiplicazione delle
delle Chiese sorelle?» (p.115).
Seguono le pagine piuÁ interessanti
sia perche propositive sia perche le
suggestioni sono fondate teologicamente, sia pure in abbozzo. Tutto il
discorso del prossimo futuro ruota
intorno a quattro interrogativi: Che
tipo di servizio vuole garantire la nostra Chiesa al territorio in cui vive?;
Quale organizzazione territoriale ottimale ne consegue?; Nello svolgimento di questo servizio quali compiti sono da affidare ai sacerdoti?; Quali invece da affidare ad altri operatori pastorali?
Il susseguirsi del discorso si fa
stringente, concretissimo, sottolineando i benefici e non sottacendo le
difficoltaÁ inerenti le scelte coraggiose
da compiere. Non possiamo rendere
conto dei numerosissimi elementi che
sono presi in considerazione per
ognuno dei quattro succitati interrogativi, delle prioritaÁ pastorali che attendono risposte profetiche, della necessaria capillaritaÁ territoriale e della
specializzazione, dei «coordinatori
delle comunitaÁ». Ma non posso non
accennare ad un nodo ritenuto giustamente strategico dai due autori: la
necessitaÁ prioritaria della formazione
permanente dei presbiteri e dei nuovi
operatori pastorali per imparare a lavorare in eÂquipe, perche cioÁ costituisce il punto di partenza di ogni ulteriore passo in avanti.
La grazia della Cappellania ospedaliera
Il libro mi eÁ sembrato valido, perche ha rafforzato alcune convinzioni
personali ed ha fatto maturare in me
alcune considerazioni circa il futuro
65
ABBIAMO LETTO PER VOI
spressione del card. Martini» (p. 131).
PercioÁ possiamo concludere sottoscrivendo quanto affermano i due
autori nell'ultima pagina del loro stimolante lavoro: la nuova pastorale
non consiste nel «sostituire i preti
con i laici, ne di rivoluzionare la presenza della Chiesa nel territorio. Tuttavia ogni diocesi italiana dovrebbe
iniziare un cammino riformatore. EÁ
un cammino difficile, ma pieno di
possibilitaÁ. Ogni diocesi puoÁ partire
dalla sua storia, dalla sua situazione
vocazionale (religiosa e laicale) e dalle
esperienze maturate nelle chiese sorelle per mantenere o meglio intensificare una presenza ecclesiale di popolo, richiesta e desiderata dai cristiani praticanti e dalla grande maggioranza degli italiani. Per rendere piuÁ
umana e vivibile la societaÁ italiana»
(p. 147).
esperienze pastorali specifiche: la
formazione di base e permanente dei
Cappellani (da ricordare: il Camillianum di Roma ed i Centri diocesani
di pastorale sanitaria); la scelta di
diaconi, religiose, laici e laiche che
debitamente preparati come i presbiteri possano operare con un lavoro
progettuale ed in eÂquipe; la distribuzione dei compiti con le responsabilitaÁ anche giuridiche di ciascuno;
l'inquadramento economico per chi
viene impegnato a tempo pieno; la
professionalitaÁ e la specializzazione
di alcuni settori pastorali.
In sintesi, con le UnitaÁ Pastorali
nelle parrocchie e con le Cappellanie
ospedaliere miste nella SanitaÁ si tratta
di «restituire ai laici, ai religiosi e ai
diaconi quegli incarichi e ministeri
che i presbiteri hanno esercitato al loro posto come supplenti secondo l'e-
EÁ certamente piuÁ ecclesiale portare l'aiuto dell'evangelizzazione,
della grazia sacramentale, della caritaÁ cristiana,
del fatto redentivo ai pazienti attraverso sacerdoti, diaconi,
religiosi/e, laici che non attraverso il solo cappellano...
Al punto che, se anche i sacerdoti non mancassero,
noi dovremmo preferire questa formula a quella
che vede solo i cappellani operare nell'ospedale.
66
N
O
T
I
Z
I
E
I
Convegno Nazionale dei Direttori
degli Uffici Diocesani
per la Pastorale della SanitaÁ
Don Roberto Vesentini
Amici da tutta Italia, uniti dalla
passione del Regno di Dio aperto ai
malati e ai sofferenti, si sono ritrovati
a Chianciano per l'annuale Convegno
dei Direttori degli Uffici Diocesani
per la Pastorale della Salute, organizzato dall'Ufficio Nazionale per la Pastorale della SanitaÁ della CEI che aveva come tema: «Parrocchia, comunitaÁ
sanante»
diritto e la giusta destinazione (figlio
amato da Dio) ad ogni persona».
Una sfida lanciata dal nuovo presidente alla parrocchia eÁ di «ritrovare il
suo compito: essere la mano di Cristo
vicino al sofferente».
Conversione comunitaria: una pastorale attraversata dalla caritaÁ
A Mons. Alessandro Plotti, Arcivescovo di Pisa e Vicepresidente della
CEI, eÁ stato richiesto di introdurre
l'assemblea nel tema: «Parrocchia,
comunitaÁ sanante» e ha entusiasmato
per la sua chiarezza e concretezza.
Tre i punti della sua relazione. Il
primo: eÁ partito da un'analisi della
comunitaÁ cristiana: «La parrocchia
non eÁ piuÁ in grado di rispondere ai
bisogni, non si puoÁ solo idealizzarla,
occorre vederla nella sua realtaÁ, tenendo conto che non si coniugano
piuÁ territorio e comunitarietaÁ. Ci sono allora tentativi di rispondere alla
crisi e si sente parlare di unitaÁ pastorali o di interparrocchialitaÁ. Ma la
parrocchia resta un'agenzia sacramentale e non eÁ missionaria. Ci vo-
Accogliere il malato eÁ un assoluto
Al Direttore dell'Ufficio Nazionale
per la Pastorale della SanitaÁ, Mons.
Sergio Pintor, ideatore e anima del
Convegno, eÁ toccato il compito di
aprire i lavori ponendo subito i termini su cui confrontarsi: parrocchia,
ospedale, territorio con il malato al
centro. Ha poi dato uno speciale benvenuto al nuovo Presidente della
Commissione per il servizio della caritaÁ e della salute Mons. Francesco
Montenegro, il quale ha illuminato
l'assemblea con forti e incisive affermazioni: «Per la Chiesa accogliere il
malato eÁ un assoluto e l'accoglienza
ha un punto d'arrivo: ridare dignitaÁ,
67
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
NOTIZIE
gliono modelli nuovi di comunitaÁ,
nuove forme di presenza: comunitaÁ
che sanano, salvano, aggregano, educano, stimolano, si fanno carico dei
bisogni, camminano nella fede e nell'amore.
Occorre quindi una conversione
pastorale, oltre che culturale e strutturale, occorre aprirsi, non piuÁ ripiegarsi e rinchiudersi in se stessi. La
parrocchia eÁ il luogo dell'incontro e
della comunione».
Mons. Plotti ha continuato il suo
intervento con una seconda riflessione: la parrocchia tra parzialitaÁ e globalitaÁ. Si vive molta parzialitaÁ. In una
parrocchia ci sono 100 bambini che
frequentano l'incontro di catechesi,
solo 20 partecipano all'Eucarestia domenicale e magari nessuno eÁ educato
a visitare i malati o ad aprirsi ai poveri. Bisogna ricuperare la globalitaÁ nel
senso che la caritaÁ abbia una lettura
trasversale di tutta la pastorale, sia il
cuore della pastorale. I malati allora
diventano il banco di prova di un
cammino di fede.
L'ultimo punto: la parrocchia eÁ fatta di persone che vivono in un territorio. Conoscono i problemi del territorio? Se ci si ferma a dei servizi, la
comunitaÁ muore, viene sempre meno
gente; se si prendono a cuore i bisogni e ce se ne fa carico, la comunitaÁ
vive. L'Arcivescovo di Pisa ha concluso cosõÁ: «Troviamo il modo di
esprimere questa vicinanza».
Si sono poi succeduti molti relatori, medici, infermieri, amministratori,
cappellani, parroci che portando idee
ed esperienze hanno aiutato a comprendere a fondo le problematiche
legate al malato che vive (poco) in
ospedale e quasi sempre a domicilio,
ma anche a riscoprire le risorse e le
speranze che in un lavoro d'insieme
possono portare frutti nel mondo
della salute e della malattia.
«Andate, annunciate, prendetevi cura»
In questa panoramica chi ha meglio concretizzato il tema del convegno eÁ stata Rosabianca Carpene, una
volontaria in parrocchia.
Ella ha sostenuto che la comunitaÁ
cristiana diventa sanante se prima si
accorge delle persone che vivono al
suo interno: malati gravi, cronici, persone anziane in situazione di bisogno,
di malattia, di solitudine, talvolta non
autosufficienti, persone con malattie
psichiche, persone con disabilitaÁ,
persone provenienti da altri Paesi, e
poi legge i loro bisogni, i disagi, le carenze dei servizi, le difficoltaÁ.
In questa situazione concreta risuona l'invito di GesuÁ: «Andate, annunciate il vangelo, prendetevi cura
dei malati» (cfr Mt 10, 6-8). Ai fedeli
che animano la parrocchia giunge la
chiamata di incarnare e testimoniare
la Parola che diventa visita e prossimitaÁ, ascolto e amicizia, condivisione,
servizio, preghiera; di sensibilizzare le
persone di tutta la comunitaÁ verso
chi soffre; di proporre iniziative di
formazione, di accogliere i malati per
riscoprire il loro posto e il loro `magistero'; di esprimere nel quotidiano lo
stile della relazione, come segno della
comunione, di porre gesti concreti
che annunciano e realizzano. CosõÁ la
comunitaÁ testimonia l'amore e la salvezza che continua a ricevere dal suo
Signore.
68
NOTIZIE
Interessanti le relazioni sui Ministri
straordinari della Comunione Eucaristica che oltre a prospettare una stretta collaborazione tra gli Uffici Liturgici e della Pastorale della Salute,
hanno sottolineato che la visita dei
Ministri, ben preparati, risulta una
presenza viva e continua della Chiesa
presso i malati.
Si eÁ fatto un cenno alla comunitaÁ
cristiana nel rapporto con i malati
mentali presentando lo strumento di
lavoro «Un dolore disabitato», preparato da un gruppo congiunto della
Caritas e dell'Ufficio Nazionale per la
Pastorale della SanitaÁ.
fisica, psicologica, sociale, spirituale e
trascendente ed eÁ importante saper
integrare l'azione pastorale con quella
sanitaria e familiare.
Una pastorale organica, rinnovata, programmata
Al centro della pastorale c'eÁ GesuÁ
Cristo, ha sostenuto Mons. Monticelli, con il suo esempio e il suo comando. I cristiani sono chiamati ad annunciare, con la vita e con la Parola,
il Regno e la sua salvezza, prendendosi cura dei malati. L'azione evangelizzatrice eÁ sempre collegata con l'azione terapeutica. Visitare i malati deve
diventare un vero impegno per chi
vuole seguire Cristo. Nella visita sono
attuabili i verbi della parabola del
buon samaritano, vedere, avvicinarsi,
aver compassione, prendersi cura,
condividere. (Cfr Lc 10,25-37). Ecco
alcuni orientamenti utili.
Attuare il passaggio da un atteggiamento ascetico di fronte alla malattia
(una pia rassegnazione) all'atteggiamento di caritaÁ pasquale, come anche
di lotta contro la malattia, e d'altra
parte giungere fino al superamento di
considerare il malato sono una passivitaÁ.
Il sofferente va inserito nella comunitaÁ per vivere in piena comunione.
L'accoglienza della comunitaÁ saraÁ di
una costante presenza, di amicizia, di
proposta della Parola di Dio, di preghiera e di offerta dei sacramenti.
Lo stile pastorale deve passare dall'assistenzialismo alla promozione
della persona sofferente, nello stile
dei dare (tempo, servizio, cura) e del
ricevere perche la malattia eÁ pedago-
Orientamenti e prospettive
Mons. Italo Monticelli, di Milano,
ci ha proposto una pagina stupenda
di pastorale della salute che ha avuto
una premessa e alcuni punti fondamentali.
Nella premessa ha precisato che in
un clima di rinnovamento c'eÁ da
prendere coscienza che la comunitaÁ
cristiana eÁ il soggetto primario della
pastorale sanitaria, tutti i membri ne
sono coinvolti. La pastorale della salute va immessa percioÁ sempre piuÁ
nella pastorale ordinaria in modo che
accanto all'aspetto diurno della comunitaÁ (bambini, giovani, adulti, oratorio, scuola, lavoro, famiglia) si sviluppi l'aspetto notturno (malati, disabili). Il fatto nuovo, che si allargheraÁ
sempre piuÁ, eÁ che aumenteranno i
malati nel territorio e quindi nelle nostre parrocchie ci saranno malati oncologici, terminali, mentali, non-autosufficienti. EÁ ormai acquisita che la
cura del malato deve essere globale:
69
NOTIZIE
piuÁ solo dalla cattedra, ma da un letto, hanno parlato non della sofferenza, ma del loro dolore, perche stanno
vivendo il travaglio quotidiano di imparare a fare la volontaÁ di Dio, lottando con la malattia per non subirla e
nello stesso tempo scoprendola come
luogo dove si manifesta la redenzione. Avvertono la vicinanza di Dio, soprattutto quando sanno mettere il
dolore nella preghiera, e nel trovare il
significato profondo della sofferenza
la vivono come una vocazione che
trasforma la vita. Commovente il sentir dire quanto sono importanti gli
amici e le persone che vogliono loro
bene nei momenti di buio.
gia per tutti.
La formazione, la progettualitaÁ
(con le finalitaÁ evangeliche), la comunione, la territorialitaÁ, la domiciliaritaÁ
e la collaborazione sono gli orizzonti
di una pastorale che vuole rendere attuale l'azione di GesuÁ.
In ogni diocesi ci sia l'Ufficio di
pastorale della salute o un organismo
simile, e una Consulta che possono
attuare le linee di sensibilizzare le comunitaÁ, di formare gli operatori, di
stare accanto ai malati. In ogni parrocchia, oltre il prendersi cura, si formino, attraverso dei progetti di catechesi, le varie categorie di persone. In
ogni ospedale si senta il soffio della
missionarietaÁ fatta di vicinanza, di relazione, di ascolto, di rispetto, non riducendo l'azione pastorale ai sacramenti, che dovrebbero diventare la
meta finale dell'evangelizzazione.
Molto eÁ facilitato dalla valorizzazione della Giornata Mondiale del
Malato, cercando di attuare le indicazioni offerteci dal Papa per celebrarla
degnamente non solo nell'aspetto
cultuale, ma anche culturale e sociale.
Mons. Monticelli ha concluso indicando nei piccoli ma significativi passi il cambiamento della pastorale sanitaria, soprattutto nella direzione
della condivisione e dell'amore ai sofferenti.
Conclusione
La conclusione eÁ di Mons. Sergio
Pintor che possiamo riassumere cosõÁ:
Siamo comunitaÁ sanante quando
riscopriamo continuamente di essere
sanata.
Siamo comunitaÁ sanante quando
cogliamo l'essenziale, in un atteggiamento di umiltaÁ, fatta di dialogo, di
ascolto e di collaborazione. Chi eÁ
umile sa amare e si fa amare.
Siamo comunitaÁ sanante se non ci
isoliamo e se ci incarniamo nella realtaÁ.
Siamo comunitaÁ sanante se la missione di GesuÁ diventa per noi compito di andare, annunciare e guarire.
Mons. Sergio, facendosi poi eco di
una figura straordinaria di Vescovo,
Ugo Donato Bianchi, presidente della
Consulta nazionale per la pastorale
della sanitaÁ, morto cinque anni fa,
che ha percorso la via della santitaÁ
con una grande passione per i malati,
lui stesso malato per tanti anni, ha
Una perla del Convegno
EÁ stato vissuto un momento straordinario quando si sono ascoltate le testimonianze di due vescovi malati,
Alberto Abbondi, vescovo emerito di
Livorno e Vincenzo Savio vescovo di
Belluno-Feltre. Maestri e pastori non
70
NOTIZIE
lanciato una sfida: Svegliati Chiesa,
perche il grido dei poveri non puoÁ attendere. Il Convegno ci ha svegliati
per narrare l'amore di Dio a tutti i
sofferenti con i mille linguaggi della
caritaÁ.
II
Iniziativa di un Consiglio Pastorale Ospedaliero (CPO)
Tra i compiti piuÁ importanti di un CPO c'eÁ certamente quello di discernere
comunitariamente la realtaÁ alla luce del Vangelo e di progettare passi per l'umanizzazione e l'evangelizzazione.
Il CPO dell'Ospedale di Borgo Trento a Verona in quest'anno sociale (20022003) ha colto nella sua analisi un profondo disagio vissuto dagli operatoti sanitari e ha cercato di muoversi per portarlo all'attenzione dei responsabili.
Il risultato piuÁ evidente di questo impegno eÁ stata una lettera mandata ai Direttori (generale, sanitario e amministrativo) dell'Azienda Ospedaliera. E' stato
un risultato faticoso e lento, che ha messo in luce le diverse prospettive e mentalitaÁ delle persone del CPO e la necessitaÁ della mediazione.
La lettera eÁ stata spedita nel mese di Luglio e le prime risonanze che ci sono
giunte sono state positive: i Direttori hanno colto il messaggio e ci hanno fatto
capire che eÁ un problema che sta a cuore anche a loro. Non sappiamo, peroÁ, con
certezza i futuri sbocchi e le eventuali collaborazioni.
Presentiamo ai lettori di «Insieme per servire» questa lettera per mostrare un
piccolo ma importante frutto del lavoro del CPO e per richiedere altre iniziative
dei vari CPO sul tema del disagio o su altre questioni.
Verona, 1 luglio 2003
Azienda Ospedaliera Borgo Trento
Al Direttore Generale
Al Direttore Sanitario
Al Direttore Amministrativo
le che, composto da piuÁ di una ventina di persone, rappresenta la comunitaÁ cristiana dell'ospedale di Borgo
Trento. Ci incontriamo regolarmente
per discutere delle situazioni che vivono i malati, i familiari e gli operatori sanitari in questo nostro ambiente
nella prospettiva della comprensione
e della responsabilitaÁ che ci viene dal
Oggetto: nota informativa del
Consiglio Pastorale Ospedaliero
EÁ da vari anni che eÁ presente in
questa Azienda un Consiglio Pastora71
NOTIZIE
nostro Signore GesuÁ.
In questi ultimi mesi nei nostri incontri abbiamo affrontato un problema che ci sta particolarmente a cuore
e che portiamo alla Sua attenzione
animati esclusivamente da spirito costruttivo. Siamo preoccupati e vogliamo esprimere vicinanza a tutti quelli
che cercano di mettere mani e cuore
nel miglioramento dei servizi alla persona: per questo avraÁ il nostro appoggio incondizionato. Sappiamo che
quello che diremo l'avraÁ giaÁ sentito
altre volte e da piuÁ voci, ma crediamo
che anche il nostro parere e la nostra
preoccupazione possano aiutarla a fare luce sulla realtaÁ.
Avvertiamo da piuÁ parti e da piuÁ
persone un profondo disagio negli
operatori sanitari, soprattutto tra gli
infermieri (ma non solo). EÁ il disagio
di non riuscire a fare bene il proprio
lavoro, di dover sempre correre senza
la necessaria serenitaÁ nel seguire i malati come si dovrebbe. Non sono solo
gli infermieri a dircelo, ma lo avvertono anche i medici, i cappellani e persino i volontari. EÁ un disagio che ha
accentuazioni diverse da reparto a reparto, ma che si respira dappertutto
e che priva l'ambiente di quella serenitaÁ necessaria al paziente ed al personale, a qualsiasi livello.
Il motivo di questa situazione per
noi eÁ da cercarsi soprattutto nell'insufficienza numerica del personale,
che in questi anni, con i vari blocchi
delle assunzioni, ha portato ad evidenti squilibri e ad un'assistenza di
minor qualitaÁ professionale e umana
verso i malati. Il clima eÁ aggravato anche dalle incertezze sui progetti di
riorganizzazione.
Siamo consapevoli che sono problemi che coinvolgono tanti aspetti,
tra cui le politiche sanitarie nazionali
e regionali, la disponibilitaÁ delle risorse economiche, i percorsi formativi
degli operatori sanitari, la loro valorizzazione, le comunicazioni tra
Azienda e personale, l'odierna cultura della salute.
EÁ un problema che dipende anche
dall'organizzazione del lavoro e dei
reparti. A questo proposito abbiamo
discusso insieme sulle varie esperienze dei nostri reparti, e ci siamo accorti che dove c'eÁ maggior dialogo tra
medici ed infermieri si vive minor disagio e l'assistenza al malato eÁ piuÁ attenta. Questa sottolineatura non toglie il problema dei carichi di lavoro
individuali, ma ci aiuta a comprendere come le soluzioni devono andare
ad abbracciare vari aspetti.
Siamo preoccupati, ma anche
pronti e disponibili a collaborare. Ci
sentiamo liberi di esprimere queste
idee, anche perche non abbiamo altri
scopi se non il bene degli operatori
sanitari, dei malati e dell'Azienda
Ospedaliera stessa. Siamo pronti a
sostenere, per quanto ci compete, la
Sua amministrazione per cercare concrete e possibili soluzioni.
E a Lei personalmente l'augurio di
un buon lavoro in questa Azienda
Ospedaliera cosõÁ complessa ed impegnativa, ma ricca di professionalitaÁ e
di spirito di servizio.
Per il Consiglio Pastorale
p. Giacomo Bonaventura
(responsabile della cappellania)
72
NOTIZIE
III
Funerali a Parma non in ospedale, ma solo nelle parrocchie
Quinto Cappelli
(Da «Avvenire», agosto 2003)
Inoltre il funerale eÁ un momento di
grande importanza umana e cristiana
da celebrare comunitariamente e in
pubblico, non in fretta e furia e nel
modo piuÁ nascosto possibile per nascondere la morte, caratteristica tipica
della nostra attuale cultura».
Qualcuno aveva giustificato il funerale nella chiesa dell'ospedale per
motivi pratici, fra cui le difficoltaÁ dei
cortei di macchine ad entrare nel centro storico, la scarsitaÁ di parcheggi
nei pressi delle parrocchie del centro
o la scarsitaÁ dei vigili per dirigere il
traffico. Allora la Curia ha firmato un
protocollo d'intesa col Comune di
Parma, sottoscritto pure dalle pompe
funebri.
Tale accordo prevede: «Il rifiuto di
ricorrere agli oratori dei cimiteri per
celebrarvi i funerali, l'impegno di reperibilitaÁ da parte dei parroci, l'abbattimento delle barriere architettoniche
nelle chiese per la sicurezza dei lavoratori, la necessitaÁ di concordare gli orari coi famigliari e con i parroci, la collaborazione con la polizia municipale
per lo svolgimento dei cortei, il mantenimento delle stesse tariffe e l'individuazione di aree per la sosta del carro
funebre e per il parcheggio».
Nel 2002 si sono svolti nella chiesa
dell'ospedale civile di Parma oltre 500
funerali, una media di quasi due esequie il giorno. CosõÁ i Padri Cappuccini
hanno scritto al vescovo, facendo notare che sono «i cappellani dei malati,
non dei morti». Il problema era giaÁ
stato esaminato dai parroci cittadini
una decina d'anni fa, concordando di
destinare l'uso della cappella dell'ospedale «solo in casi particolari».
La situazione eÁ stata affrontata dai
consigli pastorali di zona delle parrocchie cittadine (formate da 130mila
abitanti) e poi dall'assemblea dei parroci. Quindi il vescovo diocesano,
Cesare Bonicelli, ha emanato alcune
disposizioni, comunicate ai parroci
da una lettera del vicario generale,
don Giulio Ranieri.
In sostanza, il vescovo chiede ai
parroci che i funerali nella chiesa dell'ospedale (come anche nella cappella
del cimitero) tornino a essere un'eccezione, «riportando la comunitaÁ parrocchiale al centro d'ogni momento
della vita». Spiega il vicario generale:
«Per qualsiasi defunto, le esequie, come dice il Codice di diritto canonico,
devono essere celebrate di norma nella chiesa della propria parrocchia.
73
NOTIZIE
IV
Notizie interessanti, utili, curiose
* Una laurea per educatori alla salute
Alla facoltaÁ di scienze della formazione dell'UniversitaÁ dell'Aquila sono
state attivate due nuove lauree in
Educatori Scienze della religione ed
Educatori alla salute. Per ulteriori informazioni: e-mail: [email protected], tel. 0862-432169, fax 062432170 (cfr. Vita pastorale, mensile
per operatori pastorali, n. 8-9/2003,
pag. 20).
monsignor Gabriele Mana (cfr. Idem,
pag. 21).
* Dieci buone notizie sullo stato sanitario in Italia
Il Ministro della Salute, Girolamo
Sirchia nella «Relazione sullo stato sanitario del paese 2001-2002» ha evidenziato alcune buone notizie e ne ha
elencato le dieci piuÁ importanti:
- Viviamo piuÁ a lungo
- Anziani piuÁ attivi e in buone condizioni
- Sempre piuÁ bambini nascono sani e si
mantengono in salute
- Le donne italiane fruiscono di un
buon livello di assistenza in gravidanza
- Aumenta la sopravvivenza in caso di
tumori
- Raddoppiato negli ultimi dieci anni il
numero dei donatori di organi e di tessuti
- Anche nelle donazioni di sangue si regista un aumento
- Numerose malattie infettive sono sotto controllo grazie ai vaccini
- C'eÁ piuÁ sicurezza sulla tavola degli italiani
- Tutti gli operatori sanitari hanno
l'obbligo della formazione permanente.
* Dopo la palestra si prega
A West Palm Beach (Florida,
USA) eÁ stata aperta in luglio una
«Lord's Gym», una palestra del Signore. Dopo gli allenamenti ci si raduna per pregare: «Il nostro corpo eÁ
tempio di Cristo. Dio ci vuole fisicamente in forma», ha spiegato un'impiegata, «inoltre qui posso portare
mia figlia sedicenne senza che diventi
oggetto di troppe attenzioni» (cfr.
Idem, pag. 21).
* Aperitivo dopo la messa
Lo avevamo giaÁ visto nella Svizzera
tedesca e in qualche parrocchia nostrana: dopo la messa domenicale ci
si ferma a prendere «Un aperitivo dal
Don», come dice un poster fatto affiggere da don Luigi Bellotti a Valdengo (Bi). Si fraternizza, si brinda e
si ascolta anche qualche invitato: il
primo eÁ stato il vescovo di Biella,
(cfr. PANORAMA della SANITAÁ, settimanale
di informazione e documentazione sanitaria, n.
30 agosto 2003, pag. 5).
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NOTIZIE
Incontro suore assistenti religiose
L'incontro, data l'attualitaÁ del tema, eÁ aperto anche a religiose interessate che svolgono altri servizi o ministeri, in particolare nel mondo della
salute.
L'A.I.Pa.S. (associazione italiana di
pastorale sanitaria) in collaborazione
con l'Istituto delle Suore di CaritaÁ
delle Sante Bartolomea Capitanio e
Vincenza Gerosa (suore di Maria
Bambina), come da consuetudine, ha
programmato il VII incontro per le
suore che svolgono il servizio come
assistenti religiose nelle strutture sanitarie.
Per informazioni e l'invio del deÂpliant, mettersi in contatto con:
* Nardin suor Adriana
Via Quadronno, 7 - 20122 MILANO
Tel.. 02.58389662 (ore serali)
E-mail [email protected]
[email protected]
Il tema trattato in quest'incontro,
che si svolgeraÁ il 9-11 marzo 2004, a
Verona, saraÁ:
Sede dell'incontro
Centro Monsignor Carraro
Lungadige Attiraglio, 45 VERONA
Tel.045.915877
La vita consacrata
e «ministero di consolazione».
(2 Cor. 1. 3 - 5)
Il relatore, padre Giuseppe CinaÁ,
camilliano e preside dell'Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria «Camillianum», svolgeraÁ il tema in quattro punti:
1. Salute, malattia, guarigione nella Sacra Scrittura.
2. L'attuale contesto della societaÁ secolarizzata nel mondo della salute: limiti e opportunitaÁ per la fede cristiana.
3. «Rapporto tra il «ministero di consolazione» e la «consacrazione».
4. La «vita consacrata» e la sua missione nel mondo della salute: «comunitaÁ sanata» e «comunitaÁ sanante».
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A cura di Ornella Scaramuzzi
re, dalle nostre imperfezioni, opportunitaÁ di crescita e di cammino verso la Sua
armonia e la Sua Pace, disarmandoci interiormente e restituendoci la libertaÁ.
Le vie di conversione, analizzate per
ogni tipo, attraverso l'applicazione della
teoria della frecce e di quella delle ali,
chiariscono che ogni persona ha bisogno
per crescere in se stessa di quell'energia
che in un'altra personalitaÁ ha espressione
piuÁ ampia, sottolineando la reciprocitaÁ e
l'interdipendenza che esiste fra uomini
piccoli e parziali.
Segnalo questo libro dunque, come
strumento per far luce su se stessi e
muoversi con comprensione attiva e
compassione fraterna in una umanitaÁ
che ci completa e ci arricchisce continuamente.
1. ROHR R. ERBERT A., Scoprire l'enneagramma. Alla ricerca dei nove
volti dell'anima, San Paolo, Cinisello B. (MI), 1993.
Conoscere se stesso eÁ l'interrogativo
che l'uomo si pone dal momento in cui
viene al mondo. Spesso peroÁ nel vivere
sociale attuale questa ricerca eÁ offuscata
dall'abitudine di massa di «fare», «agire», «prendere».
Prima o poi ci si invischia in situazioni
difficili e incomprensibili a se stessi, in
disagi esistenziali, in conflitti con gli altri
a volte quotidiani, quando non intervengono invece malattie del corpo a significarci la malattia dell'anima.
Rohr, francescano, ed Ebert, pastore
luterano, scrivono un libro a due voci,
presentando l'enneagramma, antico strumento per la ricerca dell'armonia interiore e per la guida spirituale come insegna la tradizione dei maestri orientali sufi.
L'applicazione di tale strumento in
ambito cristiano permette al lettore di
conoscere le passioni di ogni tipo enneagrammatico che corrispondono ai 7 vizi
capitali, a cui si aggiungono la paura e
l'inganno. Di qui partono gli autori per
far breccia nelle maschere cristallizzate
dell'umanitaÁ e scoprire i meccanismi di
difesa, le trappole, i doni o frutti dello
Spirito.
In ogni tipologia ci sono tessere del
volto intero di Cristo, ed ecco che ciascuno puoÁ approfondire i lati psicologicamente e spiritualmente oscuri di se
stesso e fare l'esperienza dell'amore incondizionato di Dio che eÁ capace di trar-
O.S.
2. NERI F., Una bussola e tre pietre
bianche, Ed. Insieme, Terlizzi (Ba)
2003
L'autore, frate cappuccino di S. Fara
a Bari, che ha giaÁ approfondito in altro
testo la spiritualitaÁ di don Tonino Bello,
ci offre in questo libro una correlazione
intensa tra il cammino interiore del Vescovo di Molfetta e quello del padre della fraternitaÁ cappuccina.
Tonino Bello infatti, figlio di madre
terziaria francescana, aveva emesso la
professione nell'ordine francescano secolare di Alessano il 1 gennaio 1962; ma il
suo legame era soprattutto esistenziale,
perche fondato su quattro pilastri di libertaÁ vissuti dal Santo di Assisi: 1) pover76
Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
taÁ, come libertaÁ dalla manipolazione
massmediatica e informatica da cui invece l'uomo moderno eÁ sempre piuÁ controllato; 2) minoritaÁ intesa come libertaÁ
di servire e libertaÁ dalla pretesa di dominare gli altri e quindi dall'ideologia del
potere. («Non sappiamo lavare i piedi.
Sappiamo solo lucidare le scarpe per raggiungere il potere»); 3) itineranza come
libertaÁ di comunione con tutti, rinunciando alle programmazioni statiche,
con la convinzione piena della nostra infinita precarietaÁ; 4) annuncio del Vangelo
come libertaÁ di ricercare il contatto con
Dio nella vita, sfuggendo al materialismo
imperante. Al centro della bussola di
don Tonino c'eÁ Cristo come ogni innamorato ha al centro della propria esistenza la persona amata e Cristo, uomo
in senso radicale, eÁ modello per i sacerdoti perche «il corpo eÁ il cardine della
salvezza, la feritoia attraverso cui l'opera
salvifica di Dio entra nelle arterie della
storia». La bussola ha poi a nord il grembiule, a sud l'arte di chiamare per nome
rispettando e amando l'identitaÁ di ciascuno, ad ovest il cuore puro che rende
puri i nostri sensi e la mente, ad est il
dialogo nella cortesia che apre alla pace
nel mondo. Infatti il dialogo di GesuÁ
con la samaritana travalica i limiti del
sesso, della diversitaÁ di culto e di costumi.
Infine le tre pietre bianche sono la
benzina nel cammino umano: 1) la gioia
che nasce dalla risurrezione e genera
speranza cristiana; 2) la bellezza di Dio,
vera luce, della quale la natura e gli uomini sono il riflesso tangibile; 3) l'accettazione del proprio limite, come capacitaÁ
di integrare il negativo, di saper chiedere
aiuto agli altri e continuare a irradiare fiducia e coraggio anche nella sofferenza
personale piuÁ grave.
In questo, io vedo la morte cristiana
non come sacrificio ma come attesa della
mano di Cristo che viene a prenderci
sulla soglia della vita terrena. Perche leggere dunque questo libro? Perche la bussola e le tre pietre bianche di S. Francesco e di don Tonino Bello possono realmente farci gustare la vita e unificare in
noi senso e azione in tutti i campi professionali.
O.S.
3. NOUWEN H., Muta il mio dolore in
danza. Vivere con speranza i tempi
della prova, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2003
Come si vive della speranza che non
muore? L'autore olandese de Il guaritore
ferito, sacerdote e scrittore, guida spirituale di comunitaÁ che assistono disabili fisici e psichici, prova a spiegarsi la frase
evangelica: «Beati gli afflitti, perche saranno consolati», giungendo a suggerire:
«Lascia che Dio ti conduca per mano attraverso la sofferenza, qualunque essa sia, e ti
introduca nella gioia della danza attimo
per attimo, nel vortice della sua grazia».
Nouwen analizza i cinque movimenti
che ci aiutano a superare i tempi della
prova:
a. Dal nostro piccolo Io a un mondo
piuÁ vasto, imparando a vivere il confronto con le nostre debolezze e gli ostacoli
quotidiani come mezzo per operare delle
scelte. CosõÁ le barriere, le perdite sono
opportunitaÁ che la Grazia ci offre per oltre-passare le difficoltaÁ e crescere.
b. Dall'aggrapparsi al lasciare la presa.
L'armonia di un salto nasce spesso dalla
necessitaÁ di lasciare il contatto con alcune precedenti certezze.
c. Dal fatalismo alla speranza. Quando
consideriamo che tutto nella nostra esistenza eÁ effimero e puoÁ morire, dobbiamo puntare gli occhi in Cristo che ci daÁ
77
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
ne, che eÁ sempre anche contraffazione,
farsa». E ancora: «Non riesco a immaginare due volti insieme nel dolore. Il dolore eÁ solitudine ».
Nella negazione del valore della condivisione del dolore (che invece puoÁ sanare le ferite), si sente quasi un piacere
estetico e lucido di una sofferenza cosmica e insolvibile che nega la speranza.
Una razionalitaÁ disincantata pervade
tutto il saggio, ammirevole, quando non
si chiude in certi luoghi comuni e in vicoli senza sbocchi, perche parte da una
aprioristica, consolidata negazione della
esistenza di Dio.
A volte si fa quasi fatica a leggere il
testo, peraltro molto scorrevole e logico,
per la sua enfasi realistico-pessimistica e
tuttavia proprio per questo stimolerebbe
l'incontro faccia a faccia con l'autore
quasi per scambiarsi per un po' gli occhiali di lettura della vita.
A me sembra che gli operatori pastorali debbano impegnarsi in questa lettura che chiarisce come a volte l'ipertrofia
della mente non basti a soddisfare la ricerca del cuore.
Nell'ultimo capitolo si fa poi un cenno razionale alla gioia, classificandola in
due tipologie: quella dei sensi e quella
della mente. Mi piace quando dice: «La
gioia va letta al positivo, come raggiungimento di modalitaÁ d'esistere, di esserci
avendo senso, senso per qualcuno». E ancora: «La gioia eÁ una costruzione che si
compie momento per momento nel coraggio della coerenza, che significa magari
perdere per il pubblico, ma vincere per la
propria coscienza, che eÁ la memoria continua del proprio esserci».
Ma c'eÁ una felicitaÁ profonda che nasce anche nel dolore, perche radicata in
un cuore semplice che sa amare, sa essere paziente e nello stesso tempo forte e
sa apprezzare con umiltaÁ anche le piccole cose. Solo cosõÁ eÁ possibile anche per-
la vita eterna per uscire dal vicolo cieco
del fatalismo e affrontare le avversitaÁ
con volontaÁ di guarigione.
d. Dalla manipolazione all'amore. La
relazione interpersonale vissuta bene eÁ
rappresentata da due mani giunte, in atto di preghiera. Esse sono a contatto ma
additano altro da seÂ, amando e rispettando l'alteritaÁ. CosõÁ la compassione di GesuÁ guariva perche non subiva la tentazione dell'Io ma si rapportava a Dio nella
solitudine della preghiera.
e. Da una morte angosciata a una vita
gioiosa. «La fede ci chiede di abbandonarci
e credere che in qualche luogo, in qualche
modo Qualcuno ci afferreraÁ e ci porteraÁ a
casa». «In questa liberazione che nasce dalla resa, impariamo a tramutare le nostre
ansie in speranza e la nostra morte in esodo».
La vita benedicente puoÁ allora essere
una danza di lode, ricapitolazione di tanti passi non messi per caso, ma in armonia con la musica di Dio.
O.S.
4. ANDREOLI V., Capire il dolore, Rizzoli editore, Milano 2003
«Il sogno di un uomo senza dolore eÁ
un'utopia: l'uomo eÁ dentro il dolore; c'eÁ
un dolore inutile ed evitabile c'eÁ un dolore osceno che non eÁ possibile accettare».
«Il dolore lascia traccia dentro la memoria».
L'autore, psichiatra di fama, che ha
dato tanti contributi importanti allo studio della psiche umana, in questo ultimo
libro guarda tante situazioni esistenziali
di dolore tristemente attraverso la lente
del pessimismo e dice: «Il dolore non va
capito ma solo partecipato nel silenzio. Lo
si sente meglio. Il dolore eÁ parte del mistero, non del mercato della comprensio78
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
co per le Associazioni di volontariato e
per tutti coloro che a vario titolo si interessano di solidarietaÁ e di servizio ai malati.
Le credenziali dell'autore sono di tutto rispetto: eÁ stato prete operaio per sedici anni, attualmente guida una comunitaÁ parrocchiale ed eÁ direttore della Caritas e dell'Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia della diocesi di Rimini. A livello di studi ha preso la licenza in teologia e ha frequentato corsi di
specializzazione presso l'Istituto Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.
Il libro si compone di tre parti: nella
prima si illustra il volto della solidarietaÁ
di Dio nel cammino della rivelazione e
quindi della storia salvifica, indicandone
le varie modalitaÁ di realizzazione: la creazione, l'alleanza, l'incarnazione, la redenzione, la liberazione. Quindi si mostrano
le varie modalitaÁ con cui la solidarietaÁ si
fa legge nella vita di Israele: la difesa del
povero identificato soprattutto nello
straniero, nell'orfano e nella vedova, l'amore del prossimo come se stesso (Lev
19, 1-18), l'anno sabbatico e giubilare, il
culto fondato sulla giustizia e sulla misericordia. In questo contesto trovano un
posto particolare i profeti (Amos, Michea, Isaia), definiti «sentinelle della solidarietaÁ», perche dalla conoscenza della
realtaÁ storica del tempo in cui vivevano e
dalla profonda conoscenza della legge e
dell'alleanza «erano in grado di criticare
cioÁ che nei capi religiosi e politici e nel
popolo non era secondo la parola di Dio
e potevano indicare le scelte da fare e i
sentieri da percorrere» (pag. 33).
La seconda parte della pubblicazione,
la piuÁ corposa, contiene una carrellata
delle icone bibliche della solidarietaÁ:
MoseÁ, definito «amico di Dio e guida
del popolo»; Geremia, «fedele anche
nelle difficoltaÁ»; il samaritano, «buono
perche solidale»; la guarigione del para-
dere nella vita, vivere disillusioni, malattie e morte ma avere occhi capaci di vedere con i colori della speranza, recuperando il significato gioioso della vita. Chi
soffre ha bisogno attorno a se non di
analisti disincantati ma di persone che
sappiano offrire intelligente e calda umanitaÁ.
O.S.
5. GRADARA Enzo, «Va' e anche tu fa'
lo stesso». Icone bibliche della solidarietaÁ, EDB, Bologna 2003, p.
150, euro 10,00. Presentazione di
mons. Benito Cocchi
Oggi in molteplici ambiti della societaÁ
civile si parla spesso di volontariato di
varia natura e nei settori operativi piuÁ diversi. Non mancano le inchieste, le riviste di settore, le indagini qualificate per
quantificare nei numeri e nelle percentuali tale fenomeno. Anche la Chiesa da
anni ha mostrato particolare interesse al
volontariato, definendolo «via privilegiata per incarnare la caritaÁ ai nostri tempi». Gli interventi di tipo magisteriale,
sia del papa che dei vescovi, non si contano. La Chiesa italiana da parte sua ha
dedicato una delle Giornate mondiali
del malato (1996) al volontariato sanitario, preparando un sussidio con gli
«Orientamenti per il volontariato pastorale nel mondo della salute».
Inoltre si vanno moltiplicando gli operatori pastorali del mondo sanitario, come i ministri straordinari della Comunione eucaristica, i componenti delle cappellanie ospedaliere che sono diaconi, religiose e laici, gli aderenti alle associazioni
di e per i malati.
PercioÁ sono stato subito colpito dal titolo del presente libro di don Renzo
Gradara e l'ho letto con interesse, pensando immediatamente all'utilizzo prati79
SEZIONE BIBLIOGRAFICA
L'invito di GesuÁ che conclude la parabola del buon samaritano e che eÁ stato
scelto come titolo del libro non eÁ rivolto
solo al dottore della legge, ma ad ogni
discepolo di Cristo rappresentati nelle
persone di Marta e di Maria, che accolgono il Maestro nella loro casa, subito
dopo il racconto della suddetta parabola. Questa eÁ invitata a incarnare la Parola
ascoltata per farla diventare diaconia,
quella a sostanziare di Parole di vita le
«tante cose» che preoccupano le sue
giornate ordinarie. Felicissima l'intuizione del compianto vescovo di Molfetta,
don Tonino Bello, che seppe coniare il
neologismo «contempl-attivi» per sintetizzare l'impegno di azione e di contemplazione di ogni cristiano.
Credo che non siano molti i sussidi
formativi seri del mondo del volontariato pastorale: per questo diamo il benvenuto a questo lavoro che potraÁ risultare
prezioso per tutti coloro che desiderano
dare fondamento biblico e teologico al
loro agire a favore dell'altro. Lo vedrei
volentieri nelle mani degli assistenti spirituali sanitari, dei responsabili di Associazioni di volontariato di ispirazione cristiana, degli operatori pastorali delle
cappellanie ospedaliere, dei collaboratori
pastorali delle parrocchie.
EÁ proprio vero come afferma mons.
Benito Cocchi nella Presentazione che
«le riflessioni che (don Renzo) ci propone sono orientate a sottolineare che l'amore di Do eÁ un amore solidale e che la
nostra risposta a Dio deve esprimersi anche attraverso precise e concrete forme
di solidarietaÁ» (pag. 7).
litico, frutto di «fede e amore»; l'ultima
cena, sintesi del «servizio» e del «pane
spezzato»; il giudizio finale, che saraÁ
fondato sull'amore ai fratelli; la Chiesa
delle origini, «segno e strumento di unitaÁ»; i discepoli di Emmaus, che incarnano la comunitaÁ del «camminare insieme»; la samaritana, che si qualifica come
donna dell'accoglienza e del dialogo; il
ricco Epulone, l'icona dell'egoismo che
rende ciechi; Zaccheo, la cui conversione
si fa condivisione; la visitazione di Maria
alla parente Elisabetta che illustra come
«la caritaÁ eÁ donna».
Il volumetto si arricchisce di una breve
terza parte che raccoglie materiale per la
preghiera personale e comunitaria: alcuni
salmi appropriati illustrati da un'introduzione essenziale e da stimolanti interrogativi per la vita e diverse orazioni prese dalla liturgia.
Le pagine del libro scorrono veloci
perche scritte con stile lineare, il contenuto eÁ profondo ma di facile comprensione. Preparazione biblica, attenzione ai
bisogni sociali dell'umanitaÁ, conoscenza
dei documenti della Chiesa dei nostri
tempi sono le tre fedeltaÁ dell'autore che
danno credito e carisma al suo scritto.
Attraverso i vari momenti della sua riflessione segnata da profonda passione
per Dio e per l'Uomo contemporaneo si
legge in traslucido la sua vita impegnata
nel campo sociale ed ecclesiale. Le citazioni di brani stimolanti della Novo millennio ineunte e gli Orientamenti dell'episcopato italiano contenuti nel documento programmatico Comunicare il
vangelo in un mondo che cambia servono
a ricordare e a mostrare le vie che la comunitaÁ cristiana eÁ chiamata a percorrere
oggi per realizzare il comandamento dell'amore di Dio e del prossimo.
Leonardo N. Di Taranto
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