Sommario 1..2 - spazioweb.it
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57 Anno XVII n. 3 Luglio-Settembre 2003 Sommario EDITORIALE A. BRUSCO, Riflessioni sulla pastorale sanitaria nel territorio. I gruppi di auto mutuo aiuto ............................................................................ pag. 3 IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE ........................................................................ pag. 5 STUDI L. SANDRIN, L'esperienza del dolore umano. Riflessioni teologico-pastorali.......... pag. 6 M. BIZZOTTO, Le regole della nascita ..............................................................pag. 20 PASTORALE Malattia... terra d'esilio. Un dialogo pastorale ...................................................pag. 29 FORMAZIONE G. CERVELLERA, Il piacere di formarsi ............................................................pag. 34 V. MARCATO, Formazione all'accompagnamento spirituale del morente nelle Cure Palliative .......................................................................................pag. 44 VARIAZIONI .................................................................................................. pag. 50 TESTIMONI CONTEMPORANEI M. GADILI, San Giovanni Calabria .................................................................pag. 51 DOCUMENTI Ecclesia in Europa ..........................................................................................pag. 59 1 ABBIAMO LETTO PER VOI O. SCARAMUZZI, I tanti dilemmi della bioetica.................................................pag. 60 L. DI TARANTO, Meno preti, quale Chiesa? .....................................................pag. 62 NOTIZIE ....................................................................................................... pag. 67 SEZIONE BIBLIOGRAFICA ............................................................................... pag. 76 2 EDITORIALE E D I T O R I A L E RIFLESSIONI SULLA PASTORALE DELLA SALUTE NEL TERRITORIO I gruppi di auto mutuo aiuto Angelo Brusco Recentemente ho partecipato ad una tre-giorni di studio sull'auto mutuo aiuto. Durante questo interessante momento informativo e formativo mi eÁ accaduto piuÁ volte di associare la risorsa sociale dell'auto mutuo aiuto alla pastorale della salute nel territorio. L'O.M.S. definisce l'auto mutuo aiuto come l'insieme di tutte «le misure adottate dai non professionisti per promuovere, mantenere o ricuperare la salute di una determinata comunitaÁ». Si tratta di affrontare determinate patologie o stati personali di disagio (malattie, separazioni, dipendenze, lutti, disturbi alimentari) dal basso, facendo leva sulle motivazioni, l'interesse e le esperienze delle persone direttamente interessate piuttosto che sull'esclusiva presa in carico di professionisti e istituzioni. CioÁ avviene soprattutto attraverso la costituzione di gruppi in cui i partecipanti, che condividono problematiche simili, pongono a servizio gli uni degli altri le proprie risorse per fare fronte alle situazioni che impediscono il loro processo di crescita.1 Il principio che sta alla base di questa iniziativa poggia sulla constatazione che le persone bisognose di aiuto non hanno solo problemi ma anche del potenziale positivo, dei saperi e delle esperienze che possono mettere a servizio di se e degli altri. Il risultato eÁ l'empowerment, cioeÁ la trasmissione e l'acquisizione di forze che contribuiscono al cambiamento, cioeÁ all'apprendimento di nuovi modi di comportarsi piuÁ positivi e gratificanti. I gruppi di auto mutuo aiuto sono nati negli Stati Uniti, verso la fine del 1800. EÁ solo verso la metaÁ del secolo XX che appaiono in Europa e in Italia. Da allora, hanno conosciuto un promettente sviluppo soprattutto nel Nord e nel Centro della nostra Penisola. Fa riflettere positivamente il fatto che nel Trentino, su una popolazione di 460.000 abitanti, 9600 (2%) siano coinvolti in tali iniziative. Tanti di questi gruppi operano all'interno di istituzioni o sono in stretta relazione con i servizi sanitari locali che offrono varie competenze, altri invece sono dovuti all'iniziativa di singoli individui o si muovono sotto l'egida di particolari organismi, anche 1 Sull'auto mutuo aiuto si possono consultare i seguenti volumi: STEINBERG D.M., L'auto/mutuo aiuto Guida per facilitatori di gruppo, Erickon, Trento; Bertoldi S. e Vanzetta M., (a cura di), I gruppi di auto mutuo aiuto e l'esperienza dell'Associazione A.M.A. di Trento, Trento, 2002; PANGRAZZI A., Aiutami a dire addio, Erickson, Trennto, 2003. 3 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 EDITORIALE ecclesiali. Non sempre risulta facile la collaborazione tra le istituzioni sanitarie e i gruppi di auto mutuo aiuto, perche i professionisti del mondo della salute fanno fatica a credere all'efficacia delle risorse presenti negli individui. Come eÁ giaÁ stato reso noto da questa rivista, vi sono membri dell'A.I.Pa.S. impegnati nella promozione di gruppi di auto mutuo aiuto finalizzati all'elaborazione del lutto.2 Persone che soffrono per la perdita di una persona cara si riuniscono e, con l'accompagnamento di un facilitatore (questa figura puoÁ anche non esserci o progressivamente scomparire), fanno un cammino di crescita, aiutandosi reciprocamente, condividendo le proprie esperienze, imparando gli uni dagli altri, cercando modalitaÁ concrete di uscire dal tunnel della sofferenza, stabilendo legami nuovi, ritornando a guardare alla vita con serenitaÁ e ottimismo. EÁ proprio questo coinvolgimento giaÁ in atto di operatori pastorali che mi ha fatto associare pastorale della salute nel territorio e gruppi di auto mutuo aiuto. Rileggo quanto scritto nella Nota della CEI sulla pastorale della salute in Italia: «Il raggio d'azione della pastorale sanitaria non puoÁ esaurirsi nell'area delle strutture di ricovero, ma deve estendersi a tutto il territorio nel quale si svolge la vita del cittadino, riscoprendo il rapporto naturale tra ammalato e famiglia, famiglia e comunitaÁ civile ed ecclesiale. L'ospedale infatti si configura ormai come servizio integrato con altre strutture sanitarie e aperte alla partecipazione dei cittadini e non piuÁ l'unico punto di riferimento per essere curati e guariti. Le concrete implicazioni pastorali di questo spostamento d'accento dall'ospedale al territorio sono numerose e investono di nuove responsabilitaÁ sia gli operatori pastorali impegnati nelle strutture di ricovero che quelle operanti nelle comunitaÁ parrocchiali. EÁ esigito un modo nuovo di impostare la pastorale sanitaria che domanda un rinnovamento tempestivo e creativo» (n. 21). Tutti sappiamo quanto sia lenta la realizzazione del dettato della Nota. Si tratta di passare da una mentalitaÁ che concepisce l'attivitaÁ pastorale in termini istituzionali ad un modo di vedere le cose in termini di comunitaÁ, dove la voglia di vivere meglio fa appello a tutte le risorse presenti nelle persone. I gruppi di auto mutuo aiuto si collocano, con una loro identitaÁ specifica, tra le tante possibili iniziative per un positivo passaggio dall'ospedale al territorio, accanto alle associazione di categorie di malati, di operatori sanitari e pastorali, e volontari. Il costituirli spinge a osservare attentamente l'ambiente in cui la gente vive, a cogliere i bisogni, a collaborare con gli organismi pubblici, offrendo l'apporto che viene dalla nostra tradizione e la ricchezza dei valori evangelici. Non solo, ma offre anche l'occasione per creare solidarietaÁ, amicizia, comunitaÁ e comunione. Quale meravigliosa occasione di collaborare alla promozione della salute integrale avrebbe la comunitaÁ ecclesiale se fosse presente, direttamente o indirettamente, nei 410 gruppi attualmente attivati da un'associazione di auto mutuo aiuto, e rivolti a ben 33 ambiti di disagio! 2 Cfr. SCARAMUZZI O., Secondo Convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto per l'elaborazione del lutto, in «Insieme per servire», 52 (2002), pp. 85-86; Id., III Convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto per il lutto: «Condividere per vivere, risorse del mutuo aiuto nel cordoglio», in «Insieme per servire», 55 (2003), pp. 65-69. 4 Il Messaggio del trimestre All'inizio del nuovo anno sociale, questa preghiera, che chiede a Dio il dono di una calda umanitaÁ, riflesso del suo amore misericordioso, aiuti ogni operatore pastorale a raggiungere, nell'esercizio del proprio ministero, la capacitaÁ di dare con gioiosa gratuitaÁ e di ricevere con gratitudine. Molti sono i Tuoi doni, o Dio, quante sono le stelle del cielo, e tutti preziosi. Ma nella nostra piccola vita nulla eÁ piuÁ prezioso dell'amore che sappiamo donarci. In un cuore tenero incontriamo il volto della Tua misericordia; in un cuore capace di emozioni e in occhi splendenti di calde lacrime possiamo incontrare il Tuo sguardo amorevole. Un cuore allegro, che sa donare il sorriso, puoÁ mostrarci il Tuo volto gioioso. Un cuore compassionevole che sa perdonare, che a tutto partecipa, capace di condividere le pene e gli affanni, sa donarci l'esperienza del Tuo caldo abbraccio. Un cuore curioso e appassionato, pronto a meravigliarsi ad ogni istante di fronte al miracolo della vita in tutte le sue forme ed espressioni ci rende la bellezza del Tuo volto. Dio, Padre e Madre di ogni essere vivente, che non emargini nessuno dal Tuo amore, aiutaci a costruire pace, giustizia,e comprensione tra popoli culture e religioni diverse uscendo dai pregiudizi, dalle prepotenze e dalle pigrizie. 5 S T U D I L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO Riflessione teologico-pastorale Luciano Sandrin * nostra malattia il suo stesso dolore e le sue stesse fragilitaÁ, e non lo sa accettare. Forse perche ha semplicemente paura. Forse perche vorrebbe capire e aiutarci ma non lo sa fare.1 Per aiutare eÁ importante saper ascoltare. E ascoltare colui che soffre vuol dire decifrare non solo le sue parole ma anche i suoi silenzi, tutte le sue comunicazioni per arrivare a sintonizzarci (anche se mai completamente) con i suoi pensieri e il suo mondo emotivo. Talvolta una parola o un gesto sono una specie di grido soffocato che proviene dal profondo della psiche, un messaggio che ci introduce nel suo mondo misterioso e privato, ci narra una storia non solo personale ma anche familiare. Ma puoÁ capitare che non riusciamo a udire l'altra persona solo perche la nostra mente eÁ «pre-occupata», giaÁ occupata d'altro, o crediamo di sapere tutto in anticipo e non sentiamo il bisogno di ascoltare. Nel parlare del dolore si rischia di dire belle frasi e di fare discorsi lontani dall'esperienza di chi lo vive. Chi soffre ci rinfaccia di non poter capire la sua esperienza. E noi, impauriti, possiamo rinunciare a restargli accanto. Eppure il dolore eÁ esperienza che tutti facciamo, differente ma anche 1. Interpretare il dolore Ognuno di noi ha sofferto qualche dolore fin da bambino: il dolore fisico legato a qualche disturbo, alla malattia, all'handicap, a incidenti o a violenze in famiglia; scatenato dalla morte di un genitore, dal divorzio, dall'abuso o dall'abbandono, dalle perdite subite o anche solo immaginate. Qualcuno ha sofferto anche prima di nascere: e le ferite di un rifiuto fanno fatica a guarire. Dolore e sofferenza accompagnano la nostra vita, evocano paura ed angoscia, sono esperienze di smarrimento e di solitudine, ci fanno sentire improvvisamente aggrediti dentro la casa del nostro corpo e della nostra mente, isolati dal mondo e insicuri. Nel dolore che accompagna la malattia, la presenza di coloro che ci amano o di chi ci assiste e ci cura puoÁ essere il segno di un'appartenenza che credevamo smarrita, di una relazione che riannoda i frammenti del nostro corpo e della nostra vita, di un sostegno alla nostra speranza. A volte, peroÁ, chi dovrebbe starci accanto si allontana e chi si avvicina crea nel rapporto con noi una grande distanza. Forse percheÂ, come in uno specchio, vede nel nostro dolore e nella 6 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) simile. Ha un suo linguaggio: parole e segni che, almeno in parte, possiamo interpretare e attraverso i quali comunicare. Il dolore del corpo eÁ un messaggio che eÁ importante saper interpretare. E dietro al lamento e al pianto si possono intravedere i segni della paura, di un desiderio frustrato o di un amore tradito, dell'insicurezza e della solitudine, della tristezza e della disperazione, dell'abbandono e dell'inganno, del rimorso e della colpa, delle tante perdite subite o previste, dell'angoscia per l'ultima e definitiva separazione. Il dolore del corpo puoÁ incanalare e comunicare la sofferenza di tutta la persona. A volte il dolore prende strade aggressive che allontanano dal malato chi lo vuole aiutare. EÁ insieme il tentativo di scaricare altrove un peso emotivo troppo grande da sopportare e un grido di aiuto. A volte l'aggressivitaÁ ritorna sul malato, veste i panni della depressione, del sospetto, della gelosia, dell'impazienza, della disperazione, della passivitaÁ o del suicidio: espressione estrema di un dolore insostenibile, di una vita che ha perso il suo senso, e insieme richiesta di un aiuto e atto finale di accusa. Dolore e sofferenza sono parole che possono riferirsi, in modo diversificato, al corpo o alla mente. EÁ possibile distinguerle ma eÁ impossibile separarle completamente. Anche nel dolore del corpo la psiche gioca la sua parte. Dobbiamo decodificarne i segni e rispondere in modo adeguato a cioÁ che esso ci vuol dire. Il dolore eÁ spesso un simbolo: il suo significato puoÁ non essere in cioÁ che appare.2 Troppo spesso, invece di cogliere cioÁ che il dolore cerca di comunicarci, e cercarne i veri «perche», noi lo addormentiamo con qualche analgesico, mettiamo un cerotto al dolore, una sordina alla sua voce. O lo rimuoviamo distraendo, in vari modi, la nostra attenzione. Non ascoltiamo cioÁ che la persona che soffre, attraverso il suo stesso dolore, ci vuole comunicare. A volte c'eÁ solo silenzio. Ma i malati che stanno in silenzio, sono quelli che forse soffrono di piuÁ; non esprimendo, peroÁ, il loro dolore piuÁ difficilmente troveranno un aiuto per attenuarlo. La mente umana ha una grande capacitaÁ di difendersi da dolori troppo grandi. La nostra psiche usa, spesso senza saperlo, un insieme di «trucchi» per dimenticare, ignorare ed evitare cioÁ che rischia di farci troppo soffrire: meccanismi di difesa da un'angoscia e da una tristezza troppo forti da controllare e gestire. Il silenzio puoÁ esprimere rifiuto e negazione, ma anche sfiducia che qualcuno sappia veramente ascoltare. Il dolore eÁ un'esperienza profondamente personale e mai pienamente condivisibile. Ma qualcosa trapela. Il dolore ha mille strade per farsi sentire. Esso entra spesso in risonanza con i nostri presenti o antichi dolori. Nel dialogo con chi soffre, noi scopriamo le nostre ferite e le barriere che sono dentro di noi, che abbiamo man mano costruito fin dalla nostra infanzia, per salvarci dalle nostre ferite e dal nostro profondo dolore: corazze che ci impediscono di essere veramente presenti agli altri e in comunione con loro, ma anche con noi stessi. Per 7 STUDI finisce per avere per lui all'interno delle relazioni. Dal significato che l'uomo daÁ all'esperienza del dolore dipende in gran parte la sua capacitaÁ di sopportarlo e di accettarlo. Anche i significati culturali e religiosi giocano in questo caso un ruolo importante. «Il dolore ± scrive von Engelhardt, filosofo e storico della medicina ± non puoÁ essere ridotto soltanto alla biologia, il dolore eÁ un tema della psicologia, della sociologia, della filosofia e anche della teologia. Una medicina che non voglia esaurirsi in una tecnica di guarigione, ma voglia essere una cultura della guarigione dovraÁ sempre prendere in considerazione anche queste altre dimensioni del dolore».3 Il dolore puoÁ essere uguale (universale) come «danno» ma non lo eÁ come «senso». Diverso eÁ il senso che al dolore viene dato dalla persona nei vari momenti della vita e dalle varie persone, anche a seconda della loro cultura, del loro credere o non credere. Diverso quindi eÁ il modo in cui il dolore viene «vissuto». L'esperienza effettiva del soffrire eÁ data quindi dalla circolaritaÁ (e reciproca influenza) tra danno (cioÁ che succede nel corpo) e senso (l'elaborazione che la mente ne fa). Esso produce interrogazioni radicali e profonde su se stessi e sullo stesso vivere, sul senso dello stare al mondo e sul senso del morire. Il dolore isola, separa, impedisce di partecipare alla vita degli altri, esclude. Nel dolore, il corpo (apertura al mondo) eÁ vissuto come ostacolo, come barriera, nei confronti del mondo. Il dolore chiude possibilitaÁ ritenute scontate e dovute, modifica le ascoltare il grido del malato, e decifrare le sue emozioni, dobbiamo imparare a non far tacere il dolore delle ferite che abitano dentro di noi e accettare i rischi dell'empatia. Studiando a fondo il dolore del corpo, per capirlo ma soprattutto per arrivare ad una sua adeguata terapia, gli specialisti del settore si sono resi conto che anche il dolore del corpo eÁ un fenomeno complesso, il risultato di un «lavoro», di una elaborazione, spesso non cosciente, di tutta la persona. Anche il dolore del corpo eÁ una complicata esperienza influenzata dalla personalitaÁ dell'individuo, dalla sua storia passata, dallo stato d'animo del momento e, in modo particolare, dal significato che egli daÁ alla situazione in riferimento non solo al presente ma anche al futuro. La capacitaÁ o meno di controllare il dolore (e la fiducia che qualcuno abbia la competenza per farlo) svolge un ruolo non indifferente nella sua attenuazione e nella sua cura. Del resto di che cosa ci parla l'effetto placebo se non di questo rapporto nella persona malata tra psiche e soma, del valore terapeutico della relazione, della speranza nel farmaco e dell'affidamento del malato a chi lo cura? 2. La circolaritaÁ tra danno e senso L'intensitaÁ con la quale viene sentito il dolore, ed il tipo di emozioni che scatena, dipendono da tanti fattori. L'elemento psicologico centrale eÁ, peroÁ, il senso che quel dolore ha per l'individuo che lo vive, il significato (e l'importanza) che esso man mano 8 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) condizioni d'esperienza. Proprio per questo da impedimento puoÁ trasformarsi, anche, in occasione per individuare nuovi sentieri, far intravedere nuove possibilitaÁ, stimolare, far crescere. «Ma davvero il dolore fa crescere, rende migliori? ± si domanda Salvatore Natoli ± Forse. Bisogna peroÁ stare attenti, la frase puoÁ essere consolatoria. Il dolore innanzitutto devasta. Poi puoÁ anche far crescere, ma a condizione che al di laÁ della lacerazione diventi ancora possibile sperimentare legami. Restiamo legati alla vita oltre il dolore perche la vita eÁ legame. Cos'eÁ infatti il morire se non uno sciogliere il legame che lega il se con seÂ, il se con gli altri? Nel dolore appare piuÁ che mai l'alteritaÁ. Il sofferente riesce a tollerare meglio il suo dolore se si sente obbligato nei confronti di qualcuno. Ma chi soffre si sente in obbligo di vivere se eÁ ragione di vita per qualcuno, se il suo venire meno eÁ da qualcuno vissuto davvero come perdita». Il dolore interroga e mette alla prova non solo l'individuo che ne eÁ implicato, la sua forza e i suoi valori, ma anche i legami familiari e sociali, la loro forza reale o solo apparente. Nei legami si cerca un senso o per lo meno una condivisione che ne attutisca la violenza. «Esistono legami che fanno da ponte verso la vita. Le credenze aiutano a ricostruire il senso, non tanto perche riescono a giustificare la sofferenza, ma perche permettono di attraversarla. Giobbe contende con Dio; Dio non risponde alle sue domande, ma nonostante questo eÁ sempre un tu a cui Giobbe si puoÁ rivolge- re, con cui contendere. Giobbe non resta solo: ha qualcuno con cui parlare e percioÁ possiede una buona ragione per vivere. Il colloquio, poco importa se tra Dio e l'uomo o se tra gli uomini tra loro, eÁ luce nella notte, evita il baratro del non senso. Potersi rivolgere a Dio ± fosse anche inesistente ± o all'altro che ci sta accanto, pur tacendo ± un eloquente silenzio ± non annulla affatto la sofferenza, la rende peroÁ vivibile».4 La medicina ha i mezzi per lenire il dolore del corpo ma rischia di aumentarlo (oltre che aumentare la sofferenza) se non prende in considerazione l'interezza della «persona». Anche nei migliori ospedali si puoÁ creare il paradosso che il dolore non solo sia presente nel corso di una malattia ma sia «il risultato del suo trattamento», che siano cioeÁ i vari professionisti della salute a causare sofferenza proprio mentre cercano di lenirla o risolverla. La sofferenza (anche nelle sue accezioni di dolore) eÁ esperienza della persona nella sua interezza e nelle sue varie dimensioni. Fintantoche prevale una concezione dicotomica del rapporto mente-corpo, la sofferenza saraÁ vista sempre come soggettiva e quindi non del tutto reale, non di dominio della medicina o identificata col dolore del corpo (curabile con in mezzi di cui la medicina dispone). E tutto cioÁ depersonalizza il malato ed eÁ fonte di ulteriore sofferenza. Solo «una medicina che si prende carico della persona che soffre» nella sua interezza ± tenendo in considerazione il suo carattere e la sua personalitaÁ, la sua storia passata, i significati che daÁ alla 9 STUDI malattia e al trattamento, la sua famiglia, la cultura, i ruoli che svolge nella vita, la varietaÁ delle sue relazioni, il suo corpo e il modo di viverlo, ma anche la sua mente e le esperienze di vita che essa custodisce, il suo mondo inconscio, il suo modo di guardare al futuro, il trascendente nel quale crede e al quale si affida ± puoÁ curare o almeno lenire il dolore.5 Il dolore non eÁ la sofferenza, ma nel vissuto della persona gli slittamenti dall'uno all'altra e il reciproco influenzarsi eÁ continuo, e forte eÁ il loro richiamare la morte ed esserne come un'anticipazione. Ed eÁ questo che piuÁ fa soffrire ma pone anche gli interrogativi piuÁ forti sul «senso» e «fonda la serietaÁ e la gravitaÁ della vita».6 Se c'eÁ un dolore che puoÁ e deve essere curato c'eÁ una sofferenza che fa parte della vita, della condizione umana, e non puoÁ essere rimossa. Il dolore dell'anima eÁ come quello del corpo: non possiamo eliminarlo dalla nostra vita. Fa parte della nostra umanitaÁ «mortale» e della nostra conseguente fragilitaÁ e vulnerabilitaÁ, del nostro essere uomini e donne di questo mondo. stri, le nostre vite sono nostre, il nostro destino eÁ nostro. La natura eÁ sotto il nostro controllo ed abbiamo un autonomo diritto di trovare la nostra propria via individuale nel controllare la nostra vita e la nostra morte. La tendenza verso l'eutanasia ne eÁ il decisivo punto ultimo. Una risposta all'eutanasia comincia con il ri-conoscere il nostro «Se mortale» (facendo lutto da un se onnipotente e illusorio) ri-comprendendo il dolore, la sofferenza e la morte (senza rimuoverli) ripensando il come vogliamo vivere in compagnia degli altri (accettando le forme di dipendenza che fanno parte dell'essere umani, fragili e vulnerabili), e ri-pensando le implicazioni morali e terapeutiche che tutto cioÁ comporta, anche a proposito del dolore.7 La domanda di eutanasia eÁ piuÁ ampia di cioÁ che «esplicitamente» dice. Il dolore che spinge colui che muore a richiederla ha un «implicito» piuÁ ricco che va decodificato. «La domanda che sgorga dal cuore dell'uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte, specialmente quando eÁ tentato di ripiegarsi nella disperazione e quasi di annientarsi in essa, ± ci ricorda Giovanni Paolo II nell'Evangelium vitae ± eÁ soprattutto domanda di compagnia, di solidarietaÁ e di sostegno nella prova. EÁ richiesta di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno».8 La domanda di chi muore eÁ carica di un'attesa relazionale piuÁ ampia della semplice prestazione tecnica, eÁ ricerca della propria identitaÁ, del senso del proprio vivere, del soffrire e del morire. La domanda di eutanasia 3. Oltre il dolorismo Essere umani eÁ essere mortali. A questo si ribella il nostro inconscio ma anche una cultura sociale e sanitaria confidente piuttosto sui frutti attuali e su quelli sperati della scienza e della tecnica. Siamo immersi in una cultura che vede nell'autodeterminazione il punto finale e caratteristico della libertaÁ. I nostri corpi sono no10 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) chiede, innanzitutto, una risposta che prenda sul serio il dolore (e la sofferenza) da cui essa nasce e che coinvolge l'interezza della persona. Il dolore non attiene solo alla sfera fisiologica, ma anche a quella psicologica, sociale e spirituale: eÁ sempre un'esperienza della persona. E sono varie oggi le possibilitaÁ per una sua attenuazione e una sua cura. Ma c'eÁ una sofferenza, dentro al morire, che non puoÁ essere tolta, perche eÁ la piuÁ vivida manifestazione del nostro Se mortale. «Possiamo alleviare la fame di un altro o il dolore fisico. Ma la sofferenza puoÁ essere alleviata solo in parte, precisamente perche la sofferenza piuÁ profonda proviene dal convivere con la nostra mortalitaÁ, con il pericolo finale dell'annientamento. Nessun altro essere umano puoÁ toglierci questo rischio. Tentare di rimuovere questo senso di minaccia una volta per tutte, intimare a qualcuno che questa sofferenza non si deve sopportarla, eÁ tagliar via la vera anima dalla vita umana».9 C'eÁ un dolore che puoÁ (e deve) essere curato. Ma c'eÁ un dolore che fa parte del nostro vivere e diventa piuÁ forte nell'esperienza del morire. Fuggire da questo dolore significa impedirsi di vivere. Il dolore eÁ la traccia fisiologica della nostra creaturale finitudine, ma proprio perche siamo esseri finiti, contingenti, mortali, siamo esseri relazionali, bisognosi cioeÁ, per conquistare la nostra piena identitaÁ, dell'essere-con-l'altro, convinti che la nostra eÁ sempre vita accanto a vite, fonte e donatrice di significati, anche quando non li percepiamo. «Qui si colloca scrive Francesco D'Agostino ± l'immenso valore bioetico delle cure palliative, in particolare di quelle prestate ai malati terminali: alleviare i dolori di chi soffre, anche senza per questo potergli garantire la guarigione, veicola un significato che va oltre quello ± giaÁ di per se immenso ± rappresentato dalla diminuzione del dolore: diviene un simbolo tangibile dell'essere accanto, di cioÁ che in altre parole un malato desidera piuÁ di ogni altra cosa».10 Nella presenza dell'altro, nella sua solidarietaÁ ed amicizia il malato che muore coglie se vale la pena continuare a vivere, pur dentro ai dolori e alla sofferenza del morire.11 Nella persona umana il dolore coinvolge l'interezza della persona. Parlare di etica del dolore significa parlare dell'uomo, del suo limite e del suo tendere, del suo essere radicato qui, ma anche del suo saper trascendere, del suo essere debitore e del suo dare. Se questa etica del dolore trova ancoraggio nel cristianesimo, diventa etica che si fonda sull'agire di un Dio che, donando se stesso, rende l'uomo capace di vivere dall'interno una nuova esistenza che si irradia in tutti i rapporti. Ma questo non puoÁ essere espresso da un singolo specialista, riguarda i vari soggetti morali. Solo insieme (pur da varie prospettive professionali) si puoÁ comprendere la multifattorialitaÁ del dolore, affrontarne la cura e sostenerne la condivisione.12 Ma «trattandosi della sua sofferenza, il malato eÁ il primo che ha competenza a rispondere».13 Nella relazione di cura, trattandosi della sua sofferenza, il malato (e la sua esperienza) 11 STUDI deve restare al centro, punto d'incrocio dei vari «sguardi» professionali e di verifica della cura. Anche quando l'intervento antidolorifico puoÁ togliere al malato la coscienza, tutto cioÁ deve essere fatto nel rispetto della sua dignitaÁ e della sua libertaÁ, del «suo bene» (non frettolosamente definito ma dialogicamente interpretato) all'interno di una strategia terapeutica globale: non deve essere, in alcun modo, una fuga «autorizzata» dalla relazione e un modo «non detto» di scomunicare una voce difficile da ascoltare, perche implica una dolorosa presa di coscienza del nostro essere mortali, del senso del nostro vivere, del nostro soffrire e del nostro morire. La relazione con chi soffre eÁ una relazione difficile perche mette in causa sia il malato che i curanti nella loro interezza esperienziale e nell'incontrarsi, scontrarsi e armonizzarsi, continuo dei loro sguardi parziali e dei loro dolori. EÁ una relazione capace di affrontare i fluttuanti vissuti di chi soffre e gestire quelli di chi lo cura (di fronte al dolore, al limite, all'impotenza e al morire) assicurando una presenza «autentica», che accetti di rimanere vulnerabile e che autorizzi peroÁ nel malato una speranza (se non altro di non essere abbandonato). Se pesa in molti teologi «una tradizione ingombrante, quella rappresentata da una letteratura ascetica e devota che ha celebrato in molti modi le magiche capacitaÁ elevanti della sofferenza, e soprattutto della pazienza»14, pesa peroÁ anche in molti professionisti sanitari una ignoranza «religiosa» abbastanza diffusa, come pe- sa anche il loro difendersi da vissuti psicologici che, proprio perche «non detti», condizionano e impoveriscono la loro relazione di cura. Se esistono ancora forti reticenze da parte di molti medici ad usare la morfina cioÁ non puoÁ essere semplicemente attribuito ad una educazione «doloristica» cattolica. Alcune proposte teologiche trovano terreno fertile in dinamiche motivazionali che abitano nel profondo piuÁ o meno inconscio della psiche, non solo del malato ma anche di chi lo cura.15 La visione cattolica nei confronti del dolore eÁ spesso identificata con il «dolorismo» inteso come accettazione «paziente» (e offerta passiva) del dolore nella propria vita. La proposta cristiana, anche nelle sue sottolineature cattoliche, eÁ in realtaÁ molto piuÁ ricca e non identificabile con questa prospettiva. Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica sul Vangelo della vita, cosõÁ scrive: «Nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le cosiddette «cure palliative», destinate a rendere piuÁ sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e ad assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano. In questo contesto sorge, tra gli altri, il problema della liceitaÁ del ricorso ai diversi tipi di analgesici e sedativi per sollevare il malato dal dolore, quando cioÁ comporta il rischio di abbreviargli la vita. Se, infatti, puoÁ essere considerato degno di lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando a interventi antidolorifici per conservare la piena luciditaÁ e partecipare, se credente, in 12 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) maniera consapevole alla passione del Signore, tale comportamento «eroico» non puoÁ essere ritenuto doveroso per tutti. GiaÁ Pio XII aveva affermato che eÁ lecito sopprimere il dolore per mezzo di narcotici, pur con la conseguenza di limitare la coscienza e di abbreviare la vita, «se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, cioÁ non impedisce l'adempimento di altri doveri religiosi e morali»», con l'attenzione peroÁ a non privare il moribondo della coscienza di se senza gravi motivi (Evangelium vitae, 65). Il dolore non eÁ «un oggetto» che ha valore in se stesso ma un'esperienza della persona. Sopportazione e cambiamento sono due parole-chiave per quanto riguarda l'etica del dolore: la sopportazione non eÁ peroÁ semplice rassegnazione o mistificazione del dolore, ma la ricerca attiva di quelle risorse interiori che sono necessarie per vivere il dolore e aiutano a non dipendere unicamente da farmaci o droghe e il cambiamento non eÁ realizzazione di un sogno impossibile di felicitaÁ totale, assoluta, ma si esprime attraverso la diagnosi, la cura e la prevenzione del dolore.16 In questo senso, l'impegno cristiano diventa anche «critico» rispetto a una cultura che rimuove il dolore dalla vita. Una visione del mondo che non puoÁ dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso fallisce proprio laÁ dove fanno la loro comparsa le domande fondamentali e decisive dell'esistenza. «Coloro che sul dolore non hanno nient'altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non esiste, e chi non eÁ capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventare maturi».17 4. Dio chiamato in causa A volte, nella nostra vita, il dolore prende il sopravvento e il controllo su di noi. E la domanda del «percheÂ?» si trasforma in domanda sul «perche proprio a me?». Ne cerchiamo una causa, un'attribuzione, una colpa: Dio, gli altri, noi stessi o un peccato che fin dall'origine ci accompagna e trova materializzazioni sempre nuove nei nostri stessi peccati. Risposte religiose diverse vengono proposte per rispondere al perche del nostro soffrire, cercandone il «senso» in cui Dio eÁ implicato, sottolineando, di volta in volta, la sua onnipotenza di Dio o impotenza, la sua distanza o il suo amore.18 Anche a riguardo della sofferenza, per cercarne una risposta, non possiamo non tenere fisso il nostro sguardo sul volto del Signore (Novo Millennio Ineunte n. 16). Dovremmo continuamente ripartire da Lui. La risposta al perche della sofferenza ed al grido di chi soffre non puoÁ che essere Lui stesso, Parola definitiva e «accreditata» del Padre. GesuÁ Cristo ci rivela l'agire o il non agire di Dio anche in rapporto all'umana sofferenza. «CioÁ che GesuÁ non fa e non puoÁ fare, Dio non fa e non puoÁ fare in rapporto alla sofferenza dell'uomo».19 E GesuÁ, sul dolore, eÁ stato molto «discreto». Non l'ha spiegato. Ha fat13 STUDI to un discorso teologico, se cosõÁ si puoÁ dire, semplice ma diretto, solo per difendere il malato, a proposito del rapporto malattia-colpa. La colpa e i sentimenti che la esprimono eÁ frequente nelle espressioni di chi soffre, del malato e dei suoi familiari. GesuÁ, Parola definitiva del Padre, ha dichiarato, a proposito del cieco, che della sua cecitaÁ non ne avevano colpa ne lui ne i suoi genitori (Gv 9,3).20 Per un cristiano il senso ultimo del dolore e del morire non puoÁ essere pienamente spiegato ma «vissuto» dentro all'esperienza di fede. Lo stesso GesuÁ non lo ha predicato ma ne ha «narrato» il senso nella risposta che concretamente dava ai sofferenti che lo cercavano, e soprattutto nella sua passione e nella sua morte: abbandonandosi obbediente e fiducioso nelle braccia del Padre, credendo alla relazione d'amore con lui (contro ogni evidenza), il suo soffrire e morire eÁ diventato luogo di redenzione e di profonda guarigione.21 E GesuÁ non propone atteggiamenti di rassegnazione. Anzi, egli si adoperoÁ con la parola e le opere perche fossero vinte le cause del male. Neppure cercoÁ mai, per se stesso, la sofferenza. Quando tuttavia non pote evitarla perche conseguenza della fedeltaÁ alla volontaÁ salvifica del Padre, vi si sottomise, la prese su di se (Mt 8, 17): la sofferenza acquistoÁ un senso e divenne via d'accesso alla pienezza di vita non solo per Lui, ma per noi tutti. Il «percheÂ?» del dolore dell'uomo eÁ diventato la domanda di Dio stesso, e ora risuona all'interno della vita divina: nulla ormai di quanto accade all'uomo eÁ estraneo a Dio. Nel Cristo sofferente ci viene svelato fino a che punto Dio sia amore, e amore per noi.22 Ciascuno si chiede il senso della sofferenza e cerca una risposta a questa domanda. E pone piuÁ volte questa domanda a Dio. Ma «egli non puoÁ non notare che colui, al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla Croce, dal centro della sua propria sofferenza» (Salvifici Doloris 26). Il Dio compassionevole dice la sua Parola di partecipazione alla sofferenza dell'uomo e nel Figlio incarnato la fa propria. «Il Dio cristiano non eÁ fuori della sofferenza del mondo, spettatore impassibile di essa dall'alto della sua immutabile perfezione: egli la assume e la vive nel modo piuÁ intenso, come sofferenza attiva, come dono e offerta da cui sgorga la vita nuova del mondo. Da quel venerdõÁ santo noi sappiamo che la storia delle sofferenze umane eÁ anche la storia del Dio cristiano: egli eÁ presente in essa, a soffrire con l'uomo e a contagiarli il valore immenso della sofferenza offerta per amore».23 Il significato definitivo della sofferenza di GesuÁ appare peroÁ in maniera compiuta solo nell'evento della risurrezione. La contemplazione del volto di Cristo non puoÁ fermarsi al Volto dolente. Egli eÁ il Risorto! Se cosi non fosse, vana sarebbe la nostra predicazione e vana la nostra fede (cfr 1 Cor 15,14). EÁ a Cristo risorto che ormai la Chiesa guarda (NMI n. 28). La risurrezione del suo Cristo eÁ la «risposta» ultima del Padre al grido del suo Figlio, che daÁ senso e compimento al suo atteggiamento di filiale fiducia e obbedienza. Il Padre ri-consegna lo 14 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) Spirito d'amore a chi, nella croce a Lui l'aveva consegnato. Le piaghe del Crocifisso rimarranno impresse sul suo corpo al di laÁ della risurrezione quale sigillo espressivo d'un amore che ha segnato la sua vita, le sue relazioni sananti con i malati che incontrava e si eÁ espresso in modo drammatico, ma fedele, sulla croce. Come GesuÁ non ha dato una spiegazione alla sofferenza, cosõÁ neppure l'ha eliminata. L'ha piuttosto svuotata della sua assurditaÁ, del suo non-senso. «Nella croce di Cristo non solo si eÁ compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana eÁ stata redenta (Salvifici Doloris 19)». Guardando a Cristo si capisce come la sofferenza e la morte non hanno un valore in se stesse: il loro valore proviene dalla fedeltaÁ all'amore obbediente. Il suo dolore eÁ diventato luogo di fedeltaÁ al Padre e della realizzazione del suo progetto d'amore. Il grido del Cristo in croce ricapitola tutto il dolore del mondo ed esprime nello stesso tempo l'atroce sofferenza di Dio. Nel nostro vivere in Cristo, la sofferenza eÁ vinta dall'interno e il suo senso di assurditaÁ viene superato attraversandola insieme con Lui, perche di fatto eÁ Lui che la vive in noi trasformandola in amore che redime. «La croce eÁ rivelazione dell'amore compassionevole di un Dio che soffre e fa compagnia al dolore umano».24 E dalla croce invita tutti noi alla collaborazione. «Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, puoÁ diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo» (Salvifici Doloris 19). La risurrezione promessa non ne banalizza, peroÁ, la drammaticitaÁ. La domenica di Risurrezione non annulla il VenerdõÁ di passione. La tensione tra croce e risurrezione continua a segnare la vita dei credenti. Nella risurrezione di Cristo Dio rivela la sua volontaÁ di distruggere, nel dolore del Figlio, il dolore che pure continua a segnare la vita degli uomini. «I cristiani sono chiamati a vivere questo mistero, paradossalmente, tra due atteggiamenti diversi: da un lato, la sofferta ricerca di un senso per il dolore ineluttabile che accomuna tutti gli uomini, «non ancora» eliminato per sempre, perche esso possa essere accolto come un segno della partecipazione alla passione del Cristo; dall'altro, la consapevolezza che la potenza scaturita dalla risurrezione del Figlio di Dio eÁ «giaÁ» efficace nel tempo della Chiesa, perche sia compiuta la guarigione e la liberazione dell'uomo da ogni male».25 5. ComunitaÁ sanante EÁ possibile entrare nell'esperienza dell'altro, nel suo dolore, ma per farlo dobbiamo levarci i sandali, perche eÁ come entrare nella terra del mistero, nel mondo del limite e della finitudine, in quelle esperienze che, mentre si svelano alla nostra conoscenza, continuamente sfuggono ai nostri schemi e continuamente si velano. EÁ legittimo anche inoltrarsi «teologicamente» dentro al mistero di Dio (anche a proposito del dolore) 15 STUDI ma senza dimenticare che eÁ sempre forte il rischio di non dire «cose rette» di Lui (come gli amici di Giobbe) e di non rispettare, in chi soffre, la ricerca appassionata e del tutto personale della presenza di Lui. Anche se non riceve spiegazioni e consolazioni, Giobbe «sente vicino il suo Signore ed esce, cosõÁ, dalla solitudine che rende insopportabile qualsiasi dolore».26 E si sente confortato e piuÁ forte nella sua fede di cui ne fa professione. «Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42,5). Ed eÁ questa la sua guarigione. «E in realtaÁ Giobbe, piuÁ che il simbolo di una ricerca e di una soluzione del mistero del dolore innocente, eÁ la scoperta del vero volto di Dio attraverso la strada piuÁ erta, quella dell'apparente assurdo, del silenzio divino e dello scandalo. EÁ, quindi, una celebrazione della vera fede contro le definizioni di seconda mano, le facili teodicee e le scorciatoie apologetiche. Non per nulla le ultime sue parole sono rivolte a Dio: «Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42, 5). EÁ, dunque, la storia di un uomo posto nel crocevia del dolore che tenta di orientarsi verso il vero volto e la vera parola di Dio, ricusando le false piste delle facili spiegazioni e dei simulacri di Dio».27 Le domande che nascono dal dolore e dalla sofferenza del morire sono le domande vere che non possiamo eludere perche sono domande di relazione e solidarietaÁ, un cercare l'incontro, la comunione, il conforto della vicinanza e della «com-passione». Nella relazione con il malato che soffre e che muore (nella sua capacitaÁ di ri- spondere al desiderio di relazione che, anche nella domanda di eutanasia, viene drammaticamente espressa) la comunitaÁ terapeutica puoÁ riscoprire la sua missione sanante, e cioeÁ il senso profondo e autentico della cura.28 Se Cristo ha redento la persona umana, e l'ha chiamata a collaborare alla redenzione, per cioÁ stesso ha anche redento la relazione tra le persone. EÁ quindi evidente che la relazione con chi soffre puoÁ essere uno dei luoghi privilegiati in cui il desiderio di Dio oggi si incarna, e diventare profondamente sanante e reciprocamente redentiva. Se vuole essere discepola del suo Signore, la comunitaÁ cristiana, comunitaÁ sanata dall'amore e riconciliata nel Cristo Crocifisso e Risorto con le proprie sofferenze, deve esprimersi come comunitaÁ sanante dicendo la pienezza della Parola che le eÁ stata affidata attraverso un «amore impegnato» verso chi soffre, in modo particolare nella presenza che non viene meno e nel gesto di cura.29 Una chiesa non attenta ai piccoli, ai poveri, ai malati, ai sofferenti non eÁ la comunitaÁ di Cristo. «La chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella croce di Cristo, eÁ tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo «diventa la via della chiesa», ed eÁ, questa, una delle vie piuÁ importanti (Salvifici Doloris 3)». Il compito piuÁ importante per la comunitaÁ cristiana (la sua missione) eÁ quello di presentare, al malato e a chi soffre, non tanto risposte facili e in apparenza «risolutorie» sul dolore ma la tenerezza di un Dio compassionevole che in GesuÁ ha fatto del soffri16 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) re e del morire (che per l'uomo eÁ spesso tentazione di allontanarsi da Dio) strade faticose ma «possibili» per abbandonarsi al Padre e salvare nell'Amore l'umanitaÁ intera. La comunitaÁ cristiana ha il compito sanante di calare nei suoi gesti di vicinanza, di cura, di consolazione e di speranza il Dio compassionevole che annuncia nel vangelo. «Nell'isolamento della sofferenza, la presenza della compassione divina come compagna nel dolore trasforma la sofferenza, non mitigando il suo male ma portando inesplicabilmente consolazione e conforto».30 Per colui che soffre, l'amore di Dio «passa» il piuÁ delle volte attraverso il nostro amore. La sofferenza dell'altro eÁ «pro-vocazione» al servizio e alla compagnia. Il cammino della ricerca di un senso del dolore puoÁ essere visto come un viaggio che noi facciamo insieme con chi soffre. E in questo viaggio Dio cammina con noi e ci salva, ma anche noi possiamo «salvare» Lui rispettandone il nome, anche senza capire.31 Torna a farsi sentire, ± anche a proposito della malattia, della sofferenza e della colpa, ± il comandamento «non nominare il nome di Dio invano». Non sempre eÁ possibile guarire il dolore. A volte si eÁ impotenti e si resta in silenzio. Proprio il silenzio eÁ spesso il piuÁ grande servizio perche permette a chi soffre di «con-dividere» con noi il suo dolore. Rimanendo con le persone e lottando con loro, ma allo stesso tempo rifiutando di coltivare le loro impossibili «illusioni», noi possiamo ristabilire in loro il coraggio a chiamare per nome le loro profonde paure, ad esprimere ma anche a vivere «da soggetti» il loro dolore. Il nostro compito principale eÁ di stare lõÁ e di vegliare con coloro che soffrono, di fare cioeÁ quel semplice servizio che GesuÁ chiese invano ai suoi discepoli nell'orto degli ulivi e che Maria ha saputo esprimere ai piedi della croce: presenza discreta, silenziosa, eppure profondamente partecipe, «parola d'amore» significativa di una madre accanto al suo figlio che soffre e che muore. E proprio un amore che condivide il dolore puoÁ rivelarsi anche «luogo» che purifica e arricchisce il nostro stesso teo-logare. Dio non vuole la sofferenza degli uomini. EÁ questo il titolo lapidario di un libro di Jean-Claude Larchet. Essa eÁ estranea al disegno di Dio sull'uomo e sul mondo. In Cristo Dio ci mostra il suo disegno: che la sofferenza sia abolita. Ma questo per noi arriveraÁ, nella sua completezza, alla fine dei tempi. Egli ha dato dei segni anticipatori di questa vittoria sulla sofferenza, alleviando la sofferenza di quelli che accorrevano a Lui. Non ha mai giustificato la sofferenza ma anzi, ha indicato a noi tutti, che alleviare la sofferenza eÁ una dimensione essenziale della caritaÁ verso il prossimo. Con Cristo la sofferenza ha assunto un nuovo statuto: da «tentazione» in «occasione» di crescita spirituale. Ma questo non significa che essa debba essere peroÁ ricercata in alcun modo per se stessa. «Il cristianesimo non fa della sofferenza un fine della vita spirituale, ne un mezzo obbligato di questa. I beni spirituali acquisiti nella 17 STUDI 1 Cfr SANDRIN L., Compagni di viaggio. Il malato e chi lo cura, Paoline, Milano 2000. 2 Cfr SANDRIN L., Come affrontare il dolore. Capire, accettare, interpretare la sofferenza, Paoline Milano 19953. 3 von ENGELHARDT D., Antropologia del dolore,http:www.emsf.rai.it/interviste.asp?d =329. Cfr anche BIZZOTTO M., Il grido di Giobbe. L'uomo, la malattia, il dolore nella cultura contemporanea, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995. 4 NATOLI S., Il dolore tra danno e senso, in NATOLI S., Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 133-139; NATOLI S., L'esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano 1988. 5 CASSEL E.J., The nature of suffering and the goals of medicine, Oxford University, New York-Oxford 1991, pp. 30-47. 6 Cfr BORGNA E., Sottrarre il dolore alla sua solitudine, in BORGNA E., L'arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 128-144. 7 CALLAHAN D., The troubled dream of life. In search of a peaceful death, Georgetown University, Washington D.C. 2000, pp. 120155. 8 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae. Lettera enciclica sul valore e l'inviolabilitaÁ della vita umana, 1995, n. 67. Cfr anche SANDRIN L., Una domanda che nasce dal dolore. Riflessioni sull'eutanasia da una prospettiva cattolica, in MORANDINI S., PEGORARO R. (a cura di), Alla fine della vita: religioni e bioetica, Fondazione Lanza Gregoriana, Padova 2003, pp. 57-79. 9 CALLAHAN D., The troubled dream of life. In search of a peaceful death, Georgetown University, Washington D.C. 2000, p. 143. 10 D'AGOSTINO F., Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1998, pp. 213-214. Cfr. anche O'ROURKE K. (edited by), A primer health care ethics. Essays for a pluralistic society, Georgetown University, Washington D.C. 20002, pp. 203-236. 11 Cfr GALZAIN C., Quand les jours sont compteÂs, Saint-Paul, Versailles 1997. sofferenza non sono ricevuti da essa, ma in occasione di essa. Ed essi dipendono meno dalla sofferenza stessa che dall'atteggiamento che l'uomo adotta nei suoi riguardi. E in tanto che beni, sono sempre un dono di Dio».32 Sono un dono del suo Spirito. La sofferenza puoÁ essere luogo di incontro tra lo Spirito di Dio, la fede dell'uomo che soffre e di coloro che se ne prendono cura: e «l'incontro eÁ il luogo privilegiato dell'esperienza spirituale». La sofferenza, per la debolezza in cui getta il malato, puoÁ diventare anche lo spazio che attira l'aiuto dello Spirito santo: Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8, 26), a quella del malato ma anche a quella di chi lo cura.33 Se eÁ fuori dubbio l'efficacia dell'azione dello Spirito eÁ altrettanto vero che Dio, fin dagli inizi, ha voluto aver bisogno di noi. Dobbiamo essere capaci di «con-laborare» con Lui nel migliore dei modi: la relazione con chi soffre eÁ troppo delicata per essere lasciata al buon senso terapeutico e all'improvvisazione teologico-pastorale. Con l'aiuto dello Spirito santo che eÁ Spirito dell'amore, dell'intelligenza e del coraggio, ± la nostra competenza nel servire chi soffre puoÁ esprimere meglio quei segni che anticipano il Regno. Note * Docente di Psicologia della salute e della malattia e di Teologia pastorale sanitaria al Camillianum di Roma. 18 L'ESPERIENZA DEL DOLORE UMANO (L. Sandrin) 12 Cfr SANDRIN L., Educare alla relazione tra tutti i soggetti della cura, Atti della 16a Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute su «Salute e potere», CittaÁ del Vaticano 17.11.2001, in «Dolentium Hominum», 49(2002), pp. 109-115. 13 MATRAY B., Traitement de la douleur et relation avec la personne en souffrance: approche eÂtique, in «Laennec» 3-4 1997 ± NumeÂro speÂcial «Le traitement des douleurs. Vers de voies nouvelles?», pp. 22-26. 14 ANGELINI G., La malattia, un tempo per volere. Saggio di filosofia morale, Vita e Pensiero, Milano 2000, p. 8. 15 Cfr., come esempio, PERRY S., Il bisogno di dolore, in «Psicoterapia e scienze umane» 3 (1984), pp. 63-84. 16 TRENTIN G., Dolore, in LEONE S., PRIVITERA S., Dizionario di Bioetica, EDB-ISB, Acireale (CT)-Bologna 1994, p. 290. 17 RATZINGER J., La Chiesa. Una comunitaÁ sempre in cammino, Paoline, Cinisello B. (MI), 1992, p. 111. Cfr. anche van der POEL C., La sofferenza come ben.-essere. Una sfida che si puoÁ vincere, Paoline, Milano 1998 (a cura di L. Sandrin). 18 van der VEN J. A., VOSSEN E., Suffering: Why for God's sake?, Verlag, Kampen 1995, pp. 16-19. 19 SEQUERI P., Il senso del discorso teologico sull'agire di Dio e le difficoltaÁ irrisolte della sua «giustificazione» in rapporto alla sofferenza dell'uomo, in FACOLTAÁ TEOLOGICA DELL'ITALIA SETTENTRIONALE, Il significato cristiano della sofferenza, La Scuola, Brescia 1982, p. 109. 20 MORICONI B., «Ne lui ha peccato, ne i suoi genitori» (Gv 9,3). Malattia e colpa nella Bibbia in SANDRIN L. (a cura di), «Che cosa ho fatto di male?» Malattia e senso di colpa, Camilliane, Torino 1999. 21 Cfr. SANDRIN L., Parlare oggi di GesuÁ Cristo nella sofferenza, in DE MARCHI S. (a cura di), GesuÁ Cristo pienezza del tempo, Messaggero, Padova 2001, pp. 133-143. 22 Cfr. CINAÁ G., Sofferenza. Approccio teologico, in CINAÁ G., LOCCI E., ROCCHETTA C., SANDRIN L. (a cura di), Dizionario di teologia pastorale sanitaria, Camilliane, Torino 1997, pp. 1178-1197 e il documento dell'Ufficio Nazionale CEI per la Pastorale della sanitaÁ, «LA SOFFERENZA EÁ STATA REDENTA». Dallo scandalo al mistero, Camilliane, Torino 1999. 23 FORTE B., Apologia del dolore innocente, in AA. VV., Il dolore innocente, AÁncora, Milano 1999, p. 96. 24 FORTE B., in FORTE B., NATOLI S., Delle cose ultime e penultime. Un dialogo, Mondadori, Milano 1997, p. 10. 25 LANGELLA A., La funzione terapeutica della salvezza nell'esperienza della Chiesa: sguardo diacronico e riflessione sistematica, in AA.VV., Liturgia e terapia. La sacramentalitaÁ a servizio dell'uomo nella sua interezza, a cura di A.N. TERRIN, Messaggero, Padova 1994, p. 86. 26 MORICONI B., Giobbe. Il peso della sofferenza. La forza della fede, Camilliane, Torino 2001, p. 92. 27 RAVASI G., La sofferenza nella Bibbia: tra tenebra e luce, in AA.VV., Il dolore innocente, AÁncora, Milano 1999, 115. 28 Cfr FORTE B., La Chiesa della TrinitaÁ. Saggio sul mistero della Chiesa comunione e missione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19952, pp. 9-10. 29 Su questo tema cfr. SANDRIN L., Chiesa, comunitaÁ sanante, Paoline, Milano 2000. 30 JOHNSON E.A., Colei che eÁ. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista (trad. it.), Queriniana, Brescia 1999, p. 516. 31 BLUMENTHAL D., Teodicea: una dissonanza tra teoria e pratica, in «Concilium» 1 (1998), pp. 144-145. 32 LARCHET J.C., Dieu ne veut pas la souffrance des hommes, Cerf, Paris 1999, p. 121. 33 BIANCHI E., Di fronte alla malattia, in BIANCHI E., MANICARDI L., Accanto al malato, Qiqajon, Magnano (BI) 2000, p. 25. 19 LE REGOLE DELLA NASCITA Mario Bizzotto «I vostri figli non sono i vostri figli; essi non vengono da voi, ma attraverso di voi.» (Gibran) Il documento pontificio Donum vitae parla della vita e percioÁ anche della nascita, qualificandole come un dono. L'affermazione non suona ovvia in un tempo dove si parla della comparsa dell'uomo all'esistenza come d'un «essere gettati nel mondo». Forse si vuole qui sottolineare che non si sceglie di nascere, ma proprio perche non si tratta di scelta, si eÁ anche giustificati a parlare d'un dono. Esso infatti eÁ qualcosa di non meritato, ne conquistato a prezzo di proprie fatiche. L'uomo eÁ certo chiamato a cooperare all'evento della nascita, non peroÁ a decidere, quasi si trattasse d'un'opera esclusivamente sua. Per quanto egli faccia non potraÁ mai eliminare la sorpresa e percioÁ la gioia per la nascita d'una creatura. Essa suscita stupore. Si compie in ambito sacro e dove s'incontra il sacro, s'incontra l'avvertimento: fai attenzione, qui devi riconoscere il mistero, qui non puoi interferire, bloccando il processo della vita o avocando a te ogni potere. Sei piuttosto chiamato ad inchi- narti in atteggiamento di timore e tremore, di riconoscenza e gioia. Dire che la vita eÁ dono equivale dire che non puoÁ essere abbassata ad un artificio, come tenta di fare la tecnica quando ne decide la nascita, si oppone al suo compimento o ne anticipa la fine. Tutto questo eÁ un comportamento definito immorale. Lo eÁ per delle ragioni facilmente comprensibili precisamente perche alla nascita sono inerenti delle regole. Si tratta ora di chiarirle. La dignitaÁ dell'uomo La nascita eÁ un evento sacro perche tale eÁ anche la dignitaÁ dell'uomo.1 CioÁ significa che essa sorpassa l'iniziativa umana, eÁ inviolabile, esclude qualsiasi manomissione o interferenza che ne offenda il suo compimento, va rispettata in modo incondizionato. La prima regola eÁ data dal suo stesso carattere sacro. Esso interdice qualsiasi intromissione: sia essa ordinata 20 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto) mani del proprietario cosõÁ come rileva Kafka nella sua Lettera al padre, accusato di dispotismo. Non eÁ accolto come persona, per esserlo si dovrebbero osservare delle regole che pongono limiti all'intervento umano. O la vita eÁ riconosciuta come realtaÁ gratuita o decade a rango infraumano, eÁ trattata alla stregua d'un prodotto. Si costringe una persona a nascere, frutto d'un proprio comando. Il disordine implicito in questo atteggiamento diventa comprensibile una volta che affrontiamo la possibile domanda del figlio: perche mi avete messo al mondo? Chi ha preso in mano il potere della vita in modo arbitrario eÁ tenuto ad una risposta. ``Ti abbiamo messo al mondo per vincere la nostra solitudine, per avere un sostegno nella nostra vecchiaia, per affidarti la nostra ereditaÁ.'' In tutte queste risposte manca l'attenzione alla persona come fine a se stessa. I motivi della nascita sono tutti rivolti al di fuori, verso interessi di tipo economico e psicologico. L'individuo non eÁ voluto in se stesso, ma perche appaga determinate esigenze egoistiche. In fondo il motivo predominante eÁ di natura interessata: la comoditaÁ o il puro desiderio. Non si puoÁ giustificare la generazione d'un figlio come una medicina per risolvere una propria esigenza psicologica oppure come un erede d'un patrimonio. Supponiamo che la stessa domanda sia rivolta ai genitori, che hanno avuto il figlio attraverso il processo naturale e percioÁ come un dono. La loro risposta puoÁ essere articolata senza imbarazzo. ``Tu sei frutto del nostro amore, non d'un nostro calco- ad impedire la partenza della vita, sia essa intenta ad assoggettarla al proprio dominio, per servirsene a proprio arbitrio. Il tentativo di fare la fabbrica della vita con la manipolazione del gene, con la fecondazione in vitro, con la clonazione o con la presa in prestito dell'utero e altro costituisce un'aperta violazione delle regole preposte alla vita. GiaÁ i termini fabbrica o ingegneria genetica applicate all'uomo sono fuori luogo. Si possono riferire alla riproduzione di piante o di animali, non certo all'uomo dotato di dignitaÁ inviolabile. Il figlio voluto a tutti i costi utilizzando l'artificio di laboratorio fa pensare alla falegnameria di Geppetto che servendosi di legno, martello e pialla costruisce Pinocchio. In questo caso non si riconosce piuÁ la persona, l'individuo come soggetto, ci si trova davanti ad un essere trattato come un oggetto o una cosa di mio possesso, il cui esistere eÁ avocato interamente al mio arbitrio. La persona eÁ abbassata a giocattolo. Tale eÁ il figlio su commissione, eÁ ordinato cosõÁ come si ordina un mobile. La nascita allora eÁ offesa nella sua caratteristica piuÁ propria: non eÁ piuÁ dono ma frutto dell'artificio, articolo di fabbrica.2 I termini `genitori e figli' sono alterati nella loro sostanza, gli uni figurano come imprenditori che si costruiscono il figlio cosõÁ come si costruisce una casa, gli altri diventano una proprietaÁ. L'autosufficienza e la boria escludono l'esperienza del dono e percioÁ anche il sentimento della riconoscenza. Finche poi il figlio eÁ considerato come un possesso, non gode il diritto di essere se stesso, eÁ tutto nelle 21 STUDI lo. Noi ci siamo amati senza pensare a te. Se poi sei venuto tu, ti abbiamo accolto con gioia come un dono. Non siamo noi a dover giustificare la tua presenza, ma colui dal quale sei stato donato''. In questo caso la dignitaÁ della persona eÁ chiaramente salvaguardata fin dall'istante del suo concepimento, dato che il suo dischiudersi alla vita non eÁ fatto dipendere esclusivamente dall'iniziativa dei genitori. Questi sono appunto genitori, non creatori, sono collaboratori non padroni della vita. Da qui si ricava un'ulteriore regola della nascita: la vita eÁ messa nelle mani dei genitori, cui spetta l'obbligo di amministrarla. Una volta peroÁ che si arrogano il compito di essere padroni, tutto sconfina nell'arbitrio, tutto si fa volubile, essendo l'ultimo verdetto se esistere o no rimesso alla loro volontaÁ. Il centro dei valori si sposta dall'essere cosõÁ delle cose, al disporre cosõÁ della volontaÁ. In fondo a questa eÁ lasciato decidere la linea di demarcazione che divide il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, il vero dal falso. Niente di piuÁ paradossale quanto sostenere che la regola della vita eÁ quella che decido io e dipende dal mio parere. Non si accetta niente che si ponga al di sopra della mia decisione. Sarebbe come dire: l'operazione 2+2=4 non eÁ riposta nell'ordine delle cose, ma nella decisione del mio giudizio. Ancora. La giustizia non eÁ un valore in seÂ, al quale mi devo adeguare, piaccia o non piaccia, ma eÁ quello che un gruppo convenzionalmente stabilisce. Oppure. La vita non eÁ sacra in seÂ, ma solo perche cosõÁ ci si eÁ accordati. L'uomo allora assurge a padrone assoluto. Tutto eÁ riposto nella sua volontaÁ: nascita e morte, diritto e non diritto.3 Contro questa mentalitaÁ che sfocia nell'anarchia e nel disordine morale va riconosciuta la presenza della legge posta a difesa della vita e della dignitaÁ della persona indipendentemente dalla decisione d'un singolo o d'una collettivitaÁ. L'uomo non crea la legge ma la scopre e se la scopre eÁ segno che era giaÁ presente. La legge della gravitaÁ e ogni altra legge non eÁ creata dall'uomo, ma solo da lui riconosciuta. Come le leggi della natura: astronomia, chimica, biologia e altro, cosõÁ quelle di ordine morale sono giaÁ date, all'uomo spetta l'onestaÁ di riconoscerle e l'impegno di osservarle. La dignitaÁ dell'uomo non eÁ un valore inventato, ma costitutivo della natura umana. Supponiamo il caso che i valori morali non siano dati dall'essere dell'uomo, ma dalla sua volontaÁ e valutazione. Se cosõÁ fosse, tutto l'ordine morale sarebbe fatto dipendere dall'arbitrio e si avrebbe il caos. Non ci sarebbe azione detestabile. Tutto si potrebbe giustificare: qualsiasi orrore e bassezza, aborto, eutanasia, eliminazione di malformati, minorati, invalidi, malati mentali. Segue l'impossibilitaÁ di trovare un criterio solido in base al quale riconoscere il bene e il male. Quanto eÁ avvenuto nelle feroci dittature del secolo scorso, che hanno inflitto la morte in modo sistematico a coloro che erano considerati di peso alla comunitaÁ, non sarebbe condannabile. In forza di quale principio i crimini di guerra possono essere condannati, se ogni valore o disvalore 22 LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto) eÁ deciso dall'uomo? Per sfuggire a queste conseguenze non resta che una via: riconoscere che le regole morali sono date indipendentemente dalla volontaÁ umana. Il valore della vita eÁ sacro e tale resta anche se, per tragica fatalitaÁ, non dovesse essere riconosciuto. che l'embrione non ha un'identitaÁ sua propria. C'eÁ peroÁ un'altra ragione da addurre. Non eÁ vero che del proprio corpo si puoÁ fare quello che si vuole: mutilarlo o addirittura sopprimerlo. Se si dice che il nascituro appartiene alla madre, va precisato il senso di questa appartenenza; si intende dire che quello eÁ ad essa affidato, non certo che eÁ una sua proprietaÁ sulla quale puoÁ disporre a piacere.5 Al di laÁ delle molte disquisizioni piuÁ o meno sottili resta un dato di fatto di elementare evidenza: questa incipiente forma di vita, per quanto biologicamente ridotta, alla distanza di pochi mesi diventa un essere con un volto, con proprie reazioni di riso o pianto, un essere capace di vedere, sentire e reagire a determinati stimoli. Non occorre chiedere aiuto a difficili argomentazioni di ragione per capire che un breve lasso di tempo non puoÁ decidere la natura d'un essere. Per capirlo eÁ sufficiente il richiamo ad un sano buon senso. Non eÁ accettabile che un essere allo stato fetale non sia persona e lo divenga poi con la nascita. Se eÁ persona una volta che apre gli occhi alla luce, non si capisce come non lo possa essere fin dal primo istante dello stesso concepimento. Non appena parte la vita, parte con tutto il corredo di facoltaÁ di cui essa eÁ costituita, ossia come persona. Sospenderne l'esistenza eÁ una chiara offesa perpetrata contro l'uomo, eÁ un omicidio.6 Il diritto alla nascita non eÁ dato dal fatto che eÁ in gioco un essere vivente, quanto piuttosto dal fatto che questo essere eÁ un uomo e come tale non va abbassato a questione di etaÁ. Esso rimane con tutta la sua di- Il diritto di nascere Il diritto inviolabile alla nascita si presenta non appena si forma l'embrione. Questo eÁ costituito da caratteri precisi che lo identificano come individuo e come persona. Porta infatti con se un programma suo proprio, una struttura che lo distingue dalla madre anche se a questa eÁ strettamente unito. Con il primo passo della vita inizia lo sviluppo della persona. Da una forma germinale sale a caratteri sempre piuÁ marcati. Dallo stato embrionale a quello completo, che ha luogo dopo la nascita, si ha sempre lo stesso soggetto. Quanto eÁ acquisito nello sviluppo non eÁ altro che una esplicitazione di connotati giaÁ presenti fin dal primo istante della vita. L'embrione, visto nel percorso del suo divenire manifesta una continuitaÁ. Come da un chicco sorge una spiga e da una ghianda una quercia e tra i due momenti di crescita si riconosce un nesso inscindibile, cosõÁ tra l'etaÁ embrionale e quella della maturitaÁ.4 Si obietta che la comparsa della vita nascente fa un tutt'uno con il corpo della madre, per cui va ad essa riconosciuto il diritto di intervenire per decidere il destino della sua creatura. L'osservazione parte dal presupposto 23 STUDI gnitaÁ sia quando non eÁ ancora arrivato all'uso della ragione sia quando vi eÁ arrivato,come d'altra parte quando ne perde l'uso. L'essere allo stato fetale eÁ dotato d'un'anima ossia d'un principio organizzatore, ha giaÁ il programma della sua crescita. Certo nello sviluppo completo di se stesso acquista coscienza, eÁ capace di scelte e responsabilitaÁ, con questo non cambia quel suo carattere di umanitaÁ che possiede fin dal primo istante del concepimento. L'inviolabilitaÁ del diritto d'un bambino nato ad essere riconosciuto come uomo eÁ la stessa che va riconosciuta al bambino non ancora nato. Il riconoscimento di questo diritto non dipende dai genitori, eÁ dato dall'essere stesso del concepito, eÁ percioÁ anteriore a qualsiasi volontaÁ.7 me che il progresso tecnico non riesce a risparmiare dalla morte. Nel suo congedo dalla vita si eÁ contraddistinta lasciando un messaggio di grande nobiltaÁ. EÁ morta infatti rifiutando le cure farmaceutiche per non nuocere alla creatura che doveva nascere. Si eÁ sottoposta a pesanti rinunce nutrendo la speranza che qualcosa di lei sarebbe sopravvissuto nel bambino. Ma qualcosa di lei sopravvive anche in noi e precisamente la lezione che la vita merita un assenso incondizionato e non solo la propria, anche l'altrui. In un'epoca in cui la morte non eÁ piuÁ solo una necessitaÁ di natura, spesso anzi un obiettivo freddamente perseguito, abbiamo bisogno di esempi che ci ricordino l'atteggiamento riconoscente con il quale va accolta la vita, in ogni caso anche quando la stessa legge le rifiuta la propria difesa. Lo sapevamo che la vita eÁ intoccabile. L'abbiamo sentito ripetere dalla cattedra di professori indignati contro regimi criminali, l'avevamo letto su libri e riviste, eÁ bene peroÁ che ci venga ripetuto da esempi che toccano l'eroismo. L'esempio di Carla oltre essere un atto di alto significato religioso e morale, nel clima della nostra cultura assume un senso provocatorio. Lo testimoniano le proteste di chi difendendo una cultura di morte si eÁ sentito punto sul vivo. Quando poi, undici giorni dopo la morte della madre, moriva anche il bambino, non eÁ mancata l'esclamazione: tutto eÁ stato inutile. Non eÁ vero. L'insegnamento della signora Carla resta ugualmente valido, continua a dirci che nel mondo AmbiguitaÁ nella cultura contemporanea Quale concezione eÁ seguita nella cultura contemporanea? Non eÁ facile rispondere a questo interrogativo, essendo il quadro delle diverse concezioni morali molto complesso. Si parla ad es., della morale laica e della morale cristiana cui fa seguito una serie di molte altre distinzioni. Affronto la domanda con un esempio che potrebbe far pensare ad una semplificazione del problema, tuttavia ha il vantaggio d'una chiarificazione dei principi qui accennati. Il 23 gennaio 1993 muore a Bergamo una giovane mamma, Carla Levati Ardenghi. Il male che l'ha colpita l'annovera nella folta schiera di vitti24 LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto) ci sono valori cosõÁ preziosi da non commisurarsi con il criterio dell'utilitaÁ o del successo, poveri ideali questi cui la nostra cultura eÁ meschinamente asservita. Un ambiente che riconosce come unica norma il proprio tornaconto non capiraÁ mai la lezione di chi si vota per la salvezza altrui. Si eÁ detto che la vita umana eÁ sacra, eÁ dono intangibile. Giustamente e lo eÁ anche laÁ dove non c'eÁ coscienza o addirittura dove questa resteraÁ spenta per sempre. Perfino le figure deformi, confinate in un ricovero al di fuori del mondo, esprimono un valore assoluto nonostante non siano in grado di dire il loro dolore. Sento l'obiezione ventilata da piuÁ parti. Non sarebbe meglio per la dignitaÁ dello stesso handicappato il colpo di grazia, risparmiandogli cosõÁ l'umiliazione alla quale la sventura lo condanna? L'eliminazione del sofferente eÁ mistificata come atto di pietaÁ. Ma se guardiamo le cose come stanno siamo costretti per onestaÁ a pensare che potrebbe trattarsi proprio del contrario. Si infligge la morte ad un disgraziato, perche lo si sente come un peso. Liberandosi di lui ci si libera d'un destino di dolore che non ci si sente di condividere. O se si vuole, la pietaÁ eÁ sõÁ presente, eÁ rivolta peroÁ non tanto alla sofferenza altrui, come si vuole far intendere quanto piuttosto alla propria. EÁ di se stessi che si ha compassione, non dell'altro, eÁ il proprio dolore che fa paura, non quello di chi eÁ affidato alle proprie cure. Certe decisioni sono spiegabili soltanto con una mancanza di amore. Chi ama dice alla persona amata: eÁ bene che tu sia. Una societaÁ che di fronte a dei minorati non sa trovare altro rimedio se non quello della loro eliminazione, coprendola con la maschera d'un sentimento di compassione, ha smarrito il senso piuÁ elementare di umanitaÁ e finisce per esaltare come ideale scelte di cui dovrebbe sentire il disgusto. Fa parte delle contraddizioni del nostro tempo proclamare il diritto alla vita e nel frattempo non avvertire il disordine presente nella soppressione d'un embrione o d'un minorato. Chi tollera interventi diretti a procurare la morte non puoÁ piuÁ affermare, senza contraddirsi, che la vita umana eÁ sacra. Se eÁ vero che eÁ tale, lo deve essere per tutti, senza distinzione tra chi vive nel grembo della madre e chi nel grembo della societaÁ, tra chi ha la fortuna di essere sano ed efficiente e chi invece ha la disgrazia di essere menomato.8 La lezione dell'umiltaÁ L'atteggiamento adeguato per la salvaguardia della vita eÁ l'umiltaÁ. EÁ questa un'altra regola preposta all'evento della nascita. Essa trova un particolare risalto soprattutto nel cristianesimo. In essa viene a galla qualcosa di fondamentale dell'essere umano. Dice anzitutto l'onestaÁ di riconoscersi per quello che si eÁ con i propri limiti. Quando si parla di umiltaÁ si pensa ad una disposizione psicologica e ascetica. Non eÁ peroÁ questo il senso qui inteso. Si riferisce infatti all'essere stesso dell'uomo, alla sua natura finita e al posto che occupa nel mondo, 25 STUDI dove eÁ chiamato a comportarsi da amministratore e non da padrone. Il suggerimento della parabola evangelica, che mette in scena il padrone e i servi cui eÁ affidata l'amministrazione della casa, esprime saggezza e realismo. Esprime la vera condizione umana, di cui parla Pascal nel frammento 176, riferendosi alla sorte del Cromwell, padrone di enormi distese di spiagge. Purtroppo un granello di sabbia si eÁ conficcato nel suo uretere e il padrone delle molte spiagge eÁ morto. Che padrone eÁ mai questo? Pascal ha certamente appreso la lezione dell'umiltaÁ dalla Bibbia, che fin dalle prime battute fa dipendere il destino dell'uomo da un atto di superbia. La comparsa del serpente presenta la promessa lusinghiera: sarete come Dio. Si tenta di gettare l'uomo al di fuori della sua orbita naturale, per elevarlo ad un rango che non gli compete. Qui eÁ tesa la trappola della sventura. Quanto eÁ detto nel libro della Genesi non eÁ una realtaÁ episodica ne un valore accessorio, eÁ anzi un paradigma. Al di fuori del contesto biblico perfino i miti dell'antica Grecia mettono in guardia dai rischi cui si espone l'uomo non appena si arroga imprese che sono superiori alla sua natura (es. Dedalo e Icaro). In fondo tutti i disastri che si sono abbattuti sulla storia umana riportano al mito dell'onnipotenza: tirannidi, guerre, stermini, genocidi. La stessa presunzione che sta alla base dello sviluppo tecnico, irriverente d'ogni remora morale, eÁ un'aggressione alla condizione umana. Oggi si avverte come l'avventura della tecnica, se non eÁ regolata da uno statuto morale, costituisce una minaccia per la stessa sopravvivenza dell'uomo.9 Il richiamo alla propria condizione eÁ ribadito nella rivelazione e acutizzato fino allo sconcerto nell'evento dell'incarnazione, dove Dio assume le sembianze di servo e si umilia. L'umiltaÁ eÁ eretta a ideale di vita, misura le proprie scelte, propone la modestia, insegna la docilitaÁ. L'arroganza dei progenitori viene rovesciata. Mentre questi pretendevano di farsi come Dio, nel caso di Cristo si compie il gesto inverso: Dio si fa uomo, si fa obbediente ai confini della natura, alla precarietaÁ della esistenza umana, stretta nella morsa della morte. Nell'uomo, irriverente nei confronti delle leggi della nascita, spunta l'antico orgoglio, la volontaÁ di potenza, la sete di dominio e la padronanza su gli stessi eventi elementari della vita. Non c'eÁ niente di sacro e inviolabile, non sono ammesse restrizioni nell'esercizio del potere, caduto nelle mani dell'uomo. La ricetta che rimette l'uomo al suo posto, per quanto possa apparire di natura ascetico-religiosa, eÁ l'umiltaÁ. Nel caso essa passi, porta ad effetti che non possono passare inosservati: brutalitaÁ, indifferenza nei confronti dei valori, arroganza e sprezzo della vita. Non si accetta alcun rapporto tra potere tecnico e legge morale. Quello che eÁ fattibile tecnicamente, va fatto, senza preclusioni di carattere morale. Viene su in maniera sempre piuÁ rilevante un'immagine di uomo padrone di tutto, si libera della soggezione morale, pensando di guadagnare in libertaÁ. In questo contesto si capisce come venga messo in discus26 LE REGOLE DELLA NASCITA (M. Bizzotto) sione l'obbedienza alle regole della nascita. La tentazione biblica: sarete come Dio, si ripresenta in una forma inedita. L'uomo avanza sullo stesso terreno della vita senza scrupoli. Non prova alcun rimorso. Rimane imperterrito. EÁ venuto meno la sensibilitaÁ dei valori. Si lascia guidare solo dalla sua aviditaÁ di conquiste. Non si ignora che nel nostro tempo emergono tendenze in aperto contrasto tra loro: da una parte l'esaltazione delle spinte istintive e dall'altra la fredda funzionalitaÁ della ragione. Questa separazione che spacca l'uomo in due parti: in ragione e cuore, un nuovo devastante dualismo, prepara disastri. Se si opta per le tendenze capricciose e volubili della sensazione si cade vittime d'un gioco di emozioni scomposte e contraddittorie. Se d'altra parte si privilegia la pura ragione con le sue formule e processi si cade nell'indifferenza morale. La ragione infatti non sente i valori; ad essa spetta collegare, dedurre, riflettere. Il suo punto nevralgico eÁ l'esattezza dei ragionamenti, non la loro veritaÁ. Non ha importanza se cioÁ a cui essa si applica eÁ un contenuto buono o cattivo. Decisivo eÁ che il ragionamento funzioni secondo le regole della logica. Non eÁ la veritaÁ, ma l'esattezza, l'obiettivo su cui punta. La caduta della sensibilitaÁ in ambito morale non puoÁ che generare mostri: industrie della morte, sopraffazioni, ingiustizie e ogni genere di scelleratezze. La cosa piuÁ grave peroÁ eÁ l'ottusitaÁ e insensibilitaÁ morale, per cui il male compiuto non suscita alcun disagio e tanto meno rimorso di coscienza. Maestro in proposito eÁ Sade, il quale ha giustificato il delitto. Nelle sue riflessioni stacca la ragione dal cuore, facendola funzionare come un mulino. Macina soltanto, non importa se buon grano o zizzania o altro materiale di scarto. Suo compito eÁ solo macinare, non interessa cosa. Qui eÁ il tracollo morale. Alla ragione si ri- La crisi del sentimento Associata alla spasmodica aspirazione di dominio in ogni ambito eÁ la svalutazione del sentimento. Si guarda alle cose solo dal punto di vista tecnico. Al cuore e alle sue emozioni non eÁ accordato alcun peso. La tecnica dispone d'un potere narcotizzante. Atrofizza la sensibilitaÁ e fa dell'uomo un essere apatico, freddo, meccanico. L'unica preoccupazione nell'operare una scelta eÁ la sua riuscita tecnica. Il nerbo che collega l'uomo al cuore eÁ tranciato. Cessano le emozioni: pentimenti, rimorsi, dubbi, conflitti di coscienza. Ogni azione procede in modo neutrale. Chi agisce si comporta secondo il modello esibito dalla macchina. Non ha senso chiedersi cosa l'uomo prova, se pietaÁ o stupore, ammirazione o compassione, titubanza o timore. Allo spegnimento del cuore eÁ subito pronto come surrogato la sensazione ossia ``l'eccitazione violenta, ma superficiale, che afferra sull'istante e rapidamente svanisce e non ha ne feconditaÁ ne durata''.10 L'immagine di uomo che si fa avanti richiama quella morta e meccanica del robot. 27 STUDI porta tutto come ad un tribunale la cui sentenza eÁ definitiva, ad essa eÁ riconosciuto il compito dell'avvocato che si presta alla difesa di qualsiasi causa. Per essa si pone sullo stesso piano l'amore e l'odio, la bontaÁ e la malvagitaÁ. Non ci sono distinzioni tra bene e male. Niente percioÁ va condannato: ne aborto, ne eutanasia, ne l'eliminazione fisica della persona, ne l'incesto, ne altro disordine morale. Dalla volontaÁ di dominio si precipita ancora piuÁ in basso verso l'indifferenza o apatia morale. La ragione eÁ pronta a trovare argomenti a favore di qualsiasi nequizia. Senza sensibilitaÁ morale e senza una dose di umiltaÁ o onestaÁ le regole della nascita sono ignorate. L'anarchia morale eÁ l'avventura piuÁ tragica nella quale va sempre piuÁ coinvolgendosi il nostro tempo.11 Non c'eÁ da meravigliarsi se in questo contesto vanno smarrendosi il senso della nascita e lo stupore per il miracolo della vita. Giustamente osserva con parole ispirate Hannah Arendt: «Il miracolo che preserva il mondo [...] dalla sua normale, `naturale' rovina eÁ in definitiva il fatto della natalitaÁ. [...] EÁ, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sono capaci in virtuÁ dell'esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltaÁ puoÁ conferire alle cose umane fede e speranza [...]. EÁ questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua piuÁ gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo annuncioÁ la `lieta novella' dell'avvento: `Un bambino eÁ nato fra noi'».12 Note 1 ROTTER H., Die WuÈrde des Lebens, Tyrolia, Innsbruck 1989, 21-31 2 MIETH D., La dittatura dei geni. La bioetica tra fattibilitaÁ e dignitaÁ, tr.it., Queriniana, Brescia 2003,19ss 3 Cf. SPAEMANN R., Die AktualitaÈt des Naturrechtes, in ID., Philosophische Essays, Reclam, Stuttgart 1983, 74-78 4 Cf. COTTIER G., Scritti di etica, Piemme, Milano 1994, 207-248 e FUCHS J., Il Verbo si fa carne, tr.it., Piemme, Milano 1989, 279ss 5 Cf. GUARDINI R., ResponsabilitaÁ, tr.it., Corsia dei Servi, Milano 1954, 45ss 6 Cf. MARAINI D., Avvenire, 11 aprile 1996, dove riconosce la presenza d'un omicidio nella pratica dell'aborto, ma nel contempo ne approva la legge. La presa di posizione in ALBERTI B., con il significativo titoletto in Corriere 7, L'aborto eÁ un assassinio, ma io difendo questa tremenda libertaÁ. Si veda pure POPPI A., La presenza dell'etica nei quotidiani italiani, in Aa.Vv., Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, Gregoriana, Padova 1989, 237-252 7 Cf. COTTIER G., Scritti di etica, o.c., 157ss e 208ss e soprattutto PALAZZANI L., Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino 1996, 211ss 8 Sull'argomento la letteratura eÁ piuÁ che abbondante. A titolo di esempio di veda COTTIER G., Scritti di etica, o.c., 369-401 e SANTEUSANIO F., Il medico di fronte alla morte, in Alici L.- D'AGOSTINO F. SANTEUSANIO F., La dignitaÁ degli ultimi giorni, S. Paolo, Milano 1998, 9-47 9 Cf. GUARDINI R., La fine dell'epoca moderna. Il potere, tr. it., Morcelliana, Brescia 1999, specie 137ss sull'umiltaÁ e 145ss sul potere. 10 Ivi, 155 11 cf. HORKHEIMER M. ADORNO W.Th., Dialettica dell'illuminismo, tr.it., Einaudi, Torino 1971, 90ss 12 ARENDT A., Vita activa, tr.it., Bompiani, Milano 1996, 182. Si veda anche le osservazioni molto precise di BELARDINELLI S., Il gioco delle parti, AVE, Roma 1996, specie 67-85 28 P A S T O R A L E MALATTIA... TERRA D'ESILIO Un dialogo pastorale INTRODUZIONE Un giovane studente di teologia, durante un corso di educazione pastorale clinica, incontra una signora di 61 anni, ricoverata in un ospedale del Veneto a causa di un blocco intestinale. Nell'introduzione al `verbatim' scrive: «Avevo visitato la signora L. giaÁ due volte, ma la nostra relazione non era stata per nulla profonda. C'era sempre molta gente in stanza e aveva potuto comunicare poco di seÂ; mi aveva parlato della sua origine friulana, dei suoi disturbi intestinali e aveva accennato al disagio per la distanza da casa. Il testo riportato eÁ stato elaborato dopo la terza visita. CioÁ che merita di essere sottolineato in questo lavoro eÁ l'analisi che l'operatore compie ritornando sul dialogo. Essa dimostra onestaÁ, acutezza, notevole capacitaÁ di riflessione, dimostrando quanto si possa imparare anche da un incontro pastorale di per se non esaltante. Piano pastorale tornare sul tema della solitudine e cosõÁ diventarle maggiormente `confidente', `persona amica' e, se occorre, `valvola di sfogo'. La signora Luigia aveva espresso il desiderio di vedermi ed ho avuto, pertanto, l'opportunitaÁ di prepararmi un po': volevo conoscere meglio i suoi sentimenti. Avevo giaÁ intuito una delle difficoltaÁ maggiori: la solitudine e la nostalgia dei parenti. Volevo pertanto che esplicitasse meglio questo sentimento. Mi proponevo anche di far emergere la dimensione religiosa per vedere se potevo far leva su di essa. Durante il colloquio ho capito la sua solitudine ed ho cercato di fargli capire che `avevo capito'. Ho esitato ad insistere ulteriormente sulla problematica religiosa: non mi eÁ parsa di molto aiuto per approfondire la relazione di aiuto. Ho preferito Osservazioni La signora Luigia ha un aspetto giovanile, eÁ magra, esile, di media statura. Mi hanno colpito i capelli, ben tenuti e nerissimi: mi eÁ venuto il sospetto che li tinga. Quando ho avuto il colloquio era a letto con una flebo al braccio, la testa su un alto cuscino; l'abbigliamento era curato ed elegante. Non si eÁ mai mossa durante tutto il colloquio. 29 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 PASTORALE COLLOQUIO Á difficile restare in ospedale in atA.7 E A.1 Buonasera, signora. a.1 Buonasera, la aspettavo percheÁ tesa dell'operazione... a.7 SõÁ e poi sono lontana da casa; qui non ho nessuno...il tempo non passa mai... A.8 Soffre di nostalgia? a.8 SõÁ, molto: penso sempre a casa, ai nipoti e non vedo l'ora di tornarci... loro vengono a trovarmi: sono stati qui ieri e volevano tornare domani, ma ho detto che non c'eÁ bisogno. La strada eÁ lunga ed il viaggio costa molto, non voglio che si disturbino troppo; non c'eÁ bisogno adesso, finche non saroÁ operata. A.9 Non vuole creare disturbo... a.9 No, non ce n'eÁ bisogno! A.10 PeroÁ, da sola, il tempo eÁ lungo da passare e sente nostalgia... a.10 GiaÁ, non passa mai. I giornali non posso leggerli: faccio fatica con gli occhi e mi stanco subito... non ho niente da fare. CosõÁ penso a casa ed ai miei malanni... Penso anche al Signore: qui prego molto; ne ho di tempo... A.11 Ed il pregare la aiuta? a.11 SõÁ, ho sempre pregato ed anche adesso; prego perche sia operata in fretta e possa tornare a casa. A.12 Sento che le pesa molto la lontananza da casa e la solitudine... a.12 SõÁ, la mia vita eÁ laÁ... qui sono sola... speriamo che finisca presto... A.13 Glielo auguro di cuore, signora... (attimo di silenzio) verroÁ ancora a trovarla prima dell'operazione che le auguro venga fatta al piuÁ presto. volevo parlare un po'. A.2 Bene, forse eÁ meglio che mi sieda a.2 A.3 a.3 A.4 a.4 A:5 a.5 A.6 a.6 (annuisce); (mi siedo accanto al letto) come sta oggi? Un po' meglio, il male eÁ quasi scomparso anche se non riesco a scaricarmi... Non possono farmi il clistere per paura che mi gonfi maggiormente ed intanto non succede niente... La sento un po' giuÁ... SõÁ, sono demoralizzata percheÁ va per le lunghe: non possono farmi niente di particolare finche non sanno il responso di tutti gli esami... E dire che li avevo giaÁ fatti quando ero a S. DonaÁ ... li ho portati qua , ma li stanno ripetendo tutti ...chissaÁ cosa c'eÁ... La sento preoccupata... SõÁ, io non sento niente, ma il blocco c'eÁ... magari avessi male, non so, per reumatismi, male anche forte, ma sapendo cosa c'eÁ ..... Il non sapere di cosa si tratta la tiene in uno stato di ansia? GiaÁ... se almeno sapessi quando mi opereranno .... intanto non si pronunciano; speriamo sia la settimana prossima... L'operazione non sembra preoccuparla troppo! No, ne ho subite di peggio e poi almeno risolverebbe la situazione. Sono venuta qui da S. DonaÁ proprio percheÁ me la facessero; speravo che la facessero subito, invece stanno facendo tutti gli esami... 30 MALATTIA... TERRA D'ESILIO a.13 SõÁ, venga, cosõÁ potroÁ sfogarmi un A.14 Va bene, arrivederci (Mi alzo e le po', se no devo tenermi dentro tutto... stringo la mano). a.14 Arrivederci. ANALISI 1. La situazione verso i medici che ripetono gli esami clinici, ma non la informano piuÁ di tanto. Nei confronti della malattia non mostra aggressivitaÁ, ne rassegnazione, ma forse una certa `noncuranza': eÁ vista probabilmente come un incidente provvisorio, per cui non eÁ molto `integrata' nell'esistenza; in compenso suscita una forte motivazione a reagire positivamente. La fiducia in Dio eÁ un'attitudine positiva: la aiuta a vivere con coraggio e forza la situazione di malattia; nel medesimo tempo non sembra un sentimento centrale tra quelli espressi dalla signora: emerge tardi nel colloquio ed in una connotazione `strumentale' (sembra essere valido solo se ottiene dei risultati); cioÁ nonostante rimane positivo e valorizzante. Io durante tutto il colloquio ho provato sentimenti positivi: ho ascoltato con attenzione e partecipazione i sentimenti della signora Luigia. Mi sono proposto come presenza amica ed ascoltatore attento. Al termine del colloquio ho provato un po' di disagio nel chiudere il discorso: avevo l'impressione di non essere stato molto utile e di non avere piuÁ risorse da utilizzare; me ne sono pertanto andato via con un certo grado di frustrazione. Questo eÁ il motivo per cui ho trascritto il verbale: l'aver combinato poco In chirurgia eÁ ricoverata la signora Luigia per un blocco intestinale che dovraÁ essere operato. EÁ friulana, sposata, madre e nonna. Sente forte il distacco da casa e dai familiari. Il ricovero piuÁ prolungato del previsto e il dover ripetere gli esami clinici la preoccupano e la demoralizzano. La signora accenna ad un'abitudine alla preghiera che viene intensificata in ospedale. Ella incontra l'aiuto cappellano e confida la sua situazione e i suoi sentimenti: il parlare sembra essere di utilitaÁ per superare il momento di sconforto e solitudine. Non ho capito bene la gravitaÁ del male della signora: lei sembra non esser ne eccessivamente preoccupata; altri pensieri la turbano. 2. Dimensione emotiva I sentimenti che la signora ha evidenziato sono quelli di tristezza, preoccupazione, noia (per il non sapere cosa fare), ansia, nostalgia, solitudine, preoccupazione di non creare disturbo e di non essere di peso, fiducia nel Signore, soddisfazione per essersi sfogata un po'. Probabilmente la signora Luigia prova una certa aggressivitaÁ 31 PASTORALE (pur essendoci in me tutte le disposizioni positive) mi reca una certa frustrazione. Mi nascono degli interrogativi sulla mia identitaÁ di pastore; penso infatti non sia estranea al mio modo di funzionare una ricerca (destinata ad essere frustrata) di successo, di gratificazione e della piacevole sensazione di essere utile o indispensabile. 4. La dimensione teologica La tematica biblica che mi eÁ venuta subito in mente rileggendo il colloquio eÁ quella dell'esilio. La signora eÁ in una situazione simile a quella di Giuseppe in Egitto, a quella del popolo schiavo del Faraone, simile a quella del popolo in Babilonia: ``...sedevamo piangendo al ricordo di Sion''. La preghiera della signora non mi pare ottimale ma questo eÁ spiegabile e comprensibile: ``...come cantare i canti del Signore in terra straniera...''. Ripensando all'AT scorgo come sia da non dimenticare un'altra attenzione: eÁ l'attenzione al forestiero. Siamo forse portati a far coincidere la persona `forestiera' con persona `nemica', da cui difenderci. Questo puoÁ avvenire sia da parte degli ammalati, considerando come `nemico' (e tal volta puoÁ esserlo) l'ambiente ospedaliero o il personale sanitario, sia da parte dell'operatore, come `insensibilitaÁ' a cogliere l'esigenza di `ospitalitaÁ' dell'ammalato/forestiero. La riscoperta di questa tematica biblica penso sia importante per capire l'ammalato ed offrirgli un ambiente accogliente ed ospitale. Un ultimo punto riguarda l'atteggiamento verso la sofferenza. Cristo eÁ il prototipo di un soffrire `volontario' e non subõÁto; con questo non voglio dire che GesuÁ sia andato in cerca dei suoi crocifissori, voglio dire che di fronte alla sofferenza (di certo immeritata) ha preso posizione: eÁ divenuta per lui una prestazione, un modo per crescere; questo eÁ stato possibile percheÁ ha dato un senso al suo soffrire e morire; non lo ha considerato come 3. Contesto culturale La cultura dominante ha una concezione della malattia per molti versi simile a quella della signora Luigia: eÁ un incidente nel cammino dell'esistenza, non viene integrata nella concezione di vita. Esclusa la ricerca di un significato della sofferenza, essa non puoÁ che rivelarsi `inutile' e senza senso. Sorge in me, pertanto, un certo rammarico nel costatare come tanta sofferenza rimanga `sterile' e non conduca alla crescita e ad un arricchimento della persona che soffre, ma solo a `fuga' di fronte al negativo della vita. Ho la sensazione che anche la signora Luigia corra questo rischio. Anche l'ospedale eÁ diventato un luogo di emarginazione dalla vita reale. Da luogo `ospitale' diventa luogo `inospitale', in cui ci si va solo quando non se ne puoÁ fare a meno: non deve sorprendere se solitudine e nostalgia divengono, assieme alla preoccupazione per lo stato di malattia, i sentimenti predominanti dei ricoverati/emarginati. La signora Luigia evidenzia anche altri atteggiamenti abbastanza apprezzati dalla mentalitaÁ odierna: l'attaccamento alla famiglia, alla propria casa ed ambiente. 32 MALATTIA... TERRA D'ESILIO 5. OpportunitaÁ pastorali una ingiustizia da subire, ma come un modo per esprimere il suo amore per noi; ha cosõÁ trasformato il dolore e la morte in sacrificio per amore. In tal modo il soffrire e la morte sono state `vinte', nel senso che dopo la morte c'eÁ la resurrezione; forse peroÁ eÁ piuÁ giusto dire che a causa della morte c'eÁ la resurrezione: questa sboccia dalla sofferenza/morte. La sofferenza daÁ origine ad una vita piuÁ piena (vedi anche la parabola del chicco di frumento). La sofferenza in questa prospettiva acquista una sua dignitaÁ: non resta piuÁ un incidente, nemmeno uno scalino per salire nelle virtuÁ cristiane o una prova che il Signore manda, ma la realtaÁ (forse l'unica) che ci fa entrare in una nuova e piuÁ ricca dimensione di vita. Il colloquio che ho avuto con la signora Luigia penso non sia stato di grande utilitaÁ per permettere questa valorizzazione della sofferenza. A questo punto emerge chiaro un netto contrasto tra la cultura e la Tradizione nel modo di capire e vivere la malattia e la signora Luigia eÁ piuÁ vicina al modo di intenderla della cultura: c'eÁ pertanto il rischio che non riesca a dotarla di significato e a valorizzarla. Il negativo eÁ colto solo nella sua dimensione distruttiva e non nel suo aspetto di opportunitaÁ per la crescita. Sorgono a questo punto alcuni suggerimenti per la prossima visita pastorale. Poiche la signora sente forte un sentimento di solitudine e di estraneitaÁ alla vita dell'ospedale, il mio primo compito penso sia quello di propormi come persona `ospitale' che le stia vicino, testimoniando in tal modo anche la capacitaÁ di accoglienza del Signore ed il suo impegno nel `far tornare dall'esilio. Un altro punto che mi prefiggo eÁ quello di approfondire e di far emergere il significato che lei daÁ alla sofferenza; spero di poterla aiutare a rendere il suo soffrire meno subõÁto, piuÁ attivo ed arricchente. Per far questo penso sia necessaria una certa `evangelizzazione' (che eÁ mancata in questo colloquio): anche se non trovo spontaneo il passaggio all'evangelizzazione, penso che sia indispensabile per il proseguimento di una reale relazione di aiuto. Resta aperto il problema della formazione di un'identitaÁ pastorale piuÁ precisa ed al riparo dagli insuccessi, inevitabili, del ministero. 33 F O R M A Z I O N E IL PIACERE DI FORMARSI 1 Giovanni Cervellera 2 subdolo che finiraÁ per divorare il padrone. Basta... Il mio corpo mi eÁ caro; mi ha servito bene, e in tutti i modi, e non staroÁ a lesinargli le cure necessarie. Ma, ormai, non credo piuÁ, come finge ancora Ermogene, nelle virtuÁ prodigiose delle piante, nella dosatura precisa di quei sali minerali che eÁ andato a procurarsi in Oriente. EÁ un uomo fine; eppure, m'ha propinato formule vaghe di conforto, troppo ovvie per poterci credere; sa bene quanto detesto questo genere d'imposture, ma non si esercita impunemente piuÁ di trent'anni la medicina. Perdono a questo mio fedele il suo tentativo di nascondermi la mia morte. Ermogene eÁ dotto; eÁ persino saggio; la sua probitaÁ eÁ di gran lunga superiore a quella d'un qualunque medico di corte. AvroÁ in sorte d'essere il piuÁ curato dei malati. Ma nessuno puoÁ oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le gambe gonfie non mi sostengono piuÁ nelle lunghe cerimonie di Roma; mi sento soffocare; e ho sessant'anni».3 Introduzione «Mio caro Marco, Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d'accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d'un uomo che s'inoltra negli anni ed eÁ vicino a morire di un'idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapiditaÁ dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m'ha curato in sua assenza. EÁ difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l'occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m'eÁ venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto piuÁ dell'anima, eÁ solo un mostro Il brano riferito varca la soglia dell'intimitaÁ di un grande personaggio, un imperatore, a contatto con la ma34 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera) lattia. Che cosa impara quest'uomo? E cosa possono imparare gli altri che lo circondano? E, infine, cosa dice, al nostro mondo tecnologicamente evoluto? Adriano si sente privato della propria dignitaÁ e ritiene che il medico lo veda solo come corpo e quel corpo finiraÁ per divorarlo: lui si sente piuÁ del corpo che il medico osserva e al tempo stesso sa bene che solo quel corpo puoÁ servirlo fedelmente ed essere la via di comunicazione col mondo esterno. Ermogene, dichiarato «medico fine», di fronte alla grandezza del personaggio e ancora di piuÁ di fronte all'ineluttabilitaÁ della morte si sente impotente e sconfina in «formule vaghe di conforto e troppo ovvie per poterci credere». Il medico ricorre al falso e il malato vuole la veritaÁ. Il paradosso sta nel fatto che eÁ il malato che si educa a comprendere e perdonare il suo medico. E il medico? E tutti coloro che operano in sanitaÁ cosa apprendono dal malato? Il tema della formazione in campo sanitario e piuÁ specificamente di pastorale della salute si presenta ampio, mentre sopra eÁ stata descritta una delle possibili situazioni formative: quella del quotidiano operativo. Non si tratta in questo caso di situazione formale di formazione e, nonostante cioÁ, appare in tutta la sua grandezza plasmante molto piuÁ di tanti contesti accademici. Il malato diventa l'universitaÁ dove apprendere il dolore. Quello che avviene in un ospedale, cioeÁ la percezione di messaggi di dolore, oggi eÁ in vario modo rappresentato sui mass-media. «Che cosa ne facciamo della nostra conoscenza del dolore degli altri e che cosa opera in noi questa conoscenza? Sono gli interrogativi che sorgono quando «persone, organizzazioni, governi o intere societaÁ ricevono informazioni troppo inquietanti, minacciose o anomale per poter essere assorbite del tutto o apertamente riconosciute». L'informazione viene, quindi, in qualche modo repressa, rinnegata, accantonata o reinterpretata. Privati dei loro abbellimenti, tutti gli argomenti rivelano l'uno o l'altro dei seguenti modelli «Non sapevo» oppure «Non ho potuto fare nulla».4 Come leggere i messaggi di dolore? Due vie si aprono nella direzione della soluzione biografica e della soluzione sistemica, cioeÁ eÁ possibile trovare nell'esperienza personale indicatori di soluzione oppure impegnarsi a risolvere questioni sociali di fondo. 1. La semplicitaÁ: chiave di interpretazione di un sistema complesso Chi opera in sanitaÁ si ritrova immerso in un contesto che si articola in misura sempre maggiore. Le istituzioni sanitarie si ampliano, aggiungono nuovo personale in qualitaÁ e quantitaÁ, crescono le specializzazioni, aumentano le cose da fare e diminuisce il tempo per farle e i sistemi di pagamento stringono a prezzi molto contenuti. La sanitaÁ si espande sul territorio e nascono nuove forme di assistenza. 35 FORMAZIONE In questo mondo complessificato si agitano coloro che inseguono il cammino di una pastorale della salute che, oltre ad avere problemi di crescita interna, deve confrontarsi con questo mondo esterno che costituisce il campo di azione. EÁ cresciuta la sensibilitaÁ ad accogliere e assistere il malato come essere integrale, ma restano ampi margini di consolidamento. La pastorale della salute ha il pregio di avere un riferimento concettuale ed esperienziale che semplifica l'approccio al concreto: la persona eÁ al centro di ogni operazione e in specie la persona malata. Questo riferimento culturale le viene naturalmente dal credo in quel Dio che, incarnandosi in GesuÁ di Nazaret, ha posto l'uomo al centro delle sue attenzioni, portando un messaggio che eÁ e-vangelo di salvezza e di salute.5 Mettere al centro il malato in formazione sanitaria significa ascoltare il racconto della sua vita. La persona si narra in diversi modi: dal racconto verbale, alla sua cartella clinica, ai segni inscritti nel suo corpo e nei suoi comportamenti. Ascoltarlo eÁ giaÁ la prima fase (forse l'unica necessaria e indispensabile) della terapia sanante. La formazione sviluppa l'essere in ascolto e le tecniche che necessitano affinche questo ascolto sia efficace. Per evitare la deriva tecnicistica e forse illusoria, eÁ necessaria la presenza di un'anima profonda, altrimenti si corre il rischio di generare finzioni e frasi fatte, proprio come accade ad Ermogene nel racconto iniziale. Anzi, in quel testo saraÁ proprio la disposizione del medico a permettere l'opera di riconciliazione interiore, che il malato coglie al di laÁ delle inutili frasi adoperate. L'operatore sanitario che cura con la sua presenza eÁ la persona autentica che si adopera affinche i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti producano salute. Non si tratta di una formazione libresca e formale ma di una formazione che mette di fronte ai propri vissuti, che entra nelle radici della incomunicabilitaÁ, riduce a nulla la presunzione, rompe con la routine e le abitudini e opera la conversione continua dell'essere. Non c'eÁ vera formazione se non attraverso una frattura che incide il nuovo nella vita e fa crescere un germoglio di salute. Il tralcio nasce da un taglio sul vivo, il seme genera se marcisce, se si rompe, si frantuma. 2. Il ritorno a se stessi Un albero sviluppa i suoi rami nella direzione verso cui si espandono le sue radici. Se il terreno eÁ poco profondo l'albero non cresceraÁ in altezza, se da un lato c'eÁ roccia o cemento impenetrabile, l'albero non svilupperaÁ rami su quel lato . L'uomo che non eÁ radicato nel suo intimo non produrraÁ frutti o ne faraÁ di piccoli e acerbi. La radice della persona eÁ un concentrato di spiritualitaÁ che spinge l'agire. La formazione non puoÁ evitare questo nodo: eÁ un passaggio che mette a fuoco l'anima della persona, la sua vitalitaÁ. EÁ nel cuore dell'uomo che tutto viene deciso. Ma come fare a conoscere questo cuore? Il Vangelo su questo eÁ chiaro: 36 IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera) solo Dio conosce il cuore dell'uomo. Ma noi che siamo in cammino come ci regoliamo? Formazione eÁ ritornare al centro del nostro essere persona e personain-relazione, diventa un viaggio nell'intimo di se stessi e nei rapporti con gli altri. Si tratta di dare forma all'azione e di agire per dare una forma visibile e comunicabile. In tutto non deve mancare la sostanza per non ritrovarsi con una forma vuota e un agire inutile. persona e centralitaÁ di Cristo apre una chiara prospettiva antropologica. In formazione la domanda sull'uomo eÁ necessaria: quale tipo di uomo si vuole formare? In quale societaÁ inserirlo? Come aiutarlo a diventare cioÁ che eÁ in potenza? Se eÁ vero che la formazione autentica eÁ quella che aiuta l'individuo a diventare persona, ad estrarre da se stesso le proprie energie e risorse eÁ anche vero che il formatore deve sapere dove andare, avere una chiara visione dell'ideale da tradurre in concreto. «Le forme della cultura riflessa del nostro tempo segnalano con insistenza addirittura esasperante la necessitaÁ di provvedere alla formazione del soggetto.»8 La ricerca dell'uomo perfetto converge su GesuÁ di Nazaret: ogni altro tentativo risulta parziale. Ma come tradurre quella visione in un modello raggiungibile? La formazione non puoÁ che partire da quei valori che, incarnandosi in GesuÁ, appartengono innanzitutto all'essenza umana piuÁ vera. Sono i valori dell'onestaÁ, della lealtaÁ, della dignitaÁ, della generositaÁ e disponibilitaÁ, del bene e del bene comune, dello spirito di fratellanza e della libertaÁ del cuore Come far diventare questi valori un percorso formativo? Al centro dell'uomo eÁ possibile ritrovare l'unica figura capace di recepire ogni dimensione: GesuÁ Cristo, l'uomo totalmente interiore e l'uomo totalmente in relazione con gli altri.6 Il ritorno a se stessi non vuol dire egocentrismo ma cristocentrismo; solo Dio pone la domanda giusta, capace di collocare l'uomo nell'attimo presente della sua vita. «Esiste una domanda demoniaca, una falsa domanda che scimmiotta la domanda di Dio, la domanda della veritaÁ. La si riconosce dal fatto che non si ferma al «Dove sei?» ma prosegue: «Nessun cammino puoÁ farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito». Esiste un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l'uomo al ravvedimento e metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno e cosõÁ lo inchioda in una realtaÁ in cui ravvedersi appare assolutamente impossibile e in cui l'uomo riesce a continuare a vivere solo in virtuÁ dell'orgoglio demoniaco, dell'orgoglio e della perversione».7 3. L'autoformazione L'assunzione dei valori umani non puoÁ avvenire per una sorta di imposizione piuÁ o meno latente. «Nell'opera formativa alcune convinzioni si rivelano particolarmente La connessione tra centralitaÁ della 37 FORMAZIONE necessarie e feconde. La convinzione, anzitutto, che non si daÁ formazione vera ed efficace se ciascuno non si assume e non sviluppa da se stesso la responsabilitaÁ della formazione: questa, infatti si configura essenzialmente come autoformazione».9 Che cosa eÁ dunque «autoformazione»? EÁ un moto della coscienza? Un impegno personale? E poi trova riscontro in percorsi possibili e attuabili? Questa dimensione appartiene al saper essere della persona, ma i percorsi formativi, che sono ottimi circa il sapere e il saper fare, risultano carenti sull'essere, e spesso rinunciano a cercare forme concrete a causa della difficoltaÁ di verifica degli atteggiamenti e delle motivazioni. Non eÁ un caso che molte tecniche educative siano di impianto comportamentista. Ma si puoÁ rinunciare a costruire l'essere di una persona? Una strada possibile vuole una comunicazione laterale che incida sulle risorse personali, ottimizzandole e portando il soggetto a credere fortemente nelle sue capacitaÁ e a sprigionare una volontaÁ decisa. L'uso della volontaÁ eÁ un rimedio efficace a sconfiggere le paure che sono il vero e proprio ostacolo del nostro agire, infatti la differenza tra chi conosce le cose e chi le fa sta proprio nell'uso della volontaÁ. Stufi di essere nutriti di formazione imposta e di indottrinamenti, l'unica strada percorribile in un contesto plurale, multiforme e complesso come quello odierno eÁ il livello metodologico e l'autoformazione eÁ quella «molla» interiore che spinge a conoscere gli aspetti specifici e ad appro- fondire i campi degli interessi professionali e personali. «Il conoscere non eÁ identificato col vedere, col venire in contatto con qualcosa al di fuori di noi, ma eÁ un processo soprattutto interiore, perche la veritaÁ sta nell'intimo. E la veritaÁ emerge al termine di un processo di autotrascendenza che comprende lo sperimentare, il capire, il valutare e il giudicare e puoÁ assumere come criterio anche il credere.»10 L'autoformazione, come del resto tutta la formazione, si nutre di comunicazione. Proprio questo eÁ il nodo da sciogliere per giungere ad una formazione che renda giustizia della persona e che, costruendo l'individuo (cioeÁ l'identitaÁ del soggetto), lo collochi in relazione agli altri, proprio come postula l'essere persona. 4. I saperi dell'etaÁ post-moderna Un recente libro di Edgar Morin riflette sui saperi necessari all'educazione del futuro. Tra i sette capitoli, tutti degni di apprezzamento, vi eÁ un passaggio che indica nell'insegnare la comprensione un tratto fondamentale che per altro attraversa gli altri capitoli, rappresenta la congiunzione ideale tra tutti i saperi. Comprensione che supera l'errore e l'illusione della conoscenza e la rende pertinente, comprensione che insegna molto della condizione umana e contribuisce a costruire una identitaÁ terrestre, rendendo la persona capace di affrontare le incertezze e che costituisce la base della democrazia e del vivere etico. 38 IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera) Comprensione, dunque come la forma piuÁ autentica di comunicazione. La comprensione non si ferma all'intelligibilitaÁ del messaggio ma coinvolge tutta la persona, se «la comprensione intellettuale passa attraverso l'intelligibilitaÁ e la spiegazione la comprensione umana va oltre la spiegazione. Comprendere comporta necessariamente un processo di empatia, di identificazione e di proiezione. Sempre intersoggettiva, la comprensione richiede apertura, simpatia, generositaÁ».11 Proseguendo nella riflessione l'autore identifica gli ostacoli della comprensione che sono riconducibili agli intralci della comunicazione. Alla nostra riflessione interessano quelli che Morin chiama «ostacoli interni» e cioeÁ «l'indifferenza, l'egocentrismo, l'etnocentrismo, il sociocentrismo, che hanno come tratto comune il fatto di situarsi al centro del mondo e di considerare come secondario, insignificante o ostile tutto cioÁ che eÁ straniero o lontano».12 Quasi niente di nuovo, sono gli stessi ostacoli che giaÁ i padri della Chiesa avevano individuato e che chiamavano: ira, superbia, lussuria, accidia, avarizia re speranza all'agire, insieme ad una cultura del dare che con la comprensione orientino al bene comune. Una formazione che movendo la volontaÁ, eluda l'imperativo del vietato vietare, per accedere ad un processo etico in cui rispetto e sviluppo procedano all'unisono. Il nostro tempo invoca a gran voce l'urgenza di mettersi insieme, di costruire per e con gli altri, di agire in funzione del bene altrui, rispettando se stessi. Ma in definitiva chi si ritrova nella condizione di aver ricevuto di piuÁ e di possedere di piuÁ eÁ colui che deve compiere il primo passo nella direzione giusta. Il cielo eÁ troppo alto e vasto perche risuoni di questi solitari sospiri. Tempo eÁ di unire le voci, di fonderle insieme e lasciare che la grazia canti e ci salvi la Bellezza. 13 5. Pedagogia divina La bellezza muove da un'anima profondamente serena. La formazione pastorale mira a promuovere persone sane e salvate, capaci di redimere perche redente. La persona in formazione somiglia al giardiniere che cura le sue piante e l'insieme in un tutto armonico. Come ci sono vari modi di coltivare un giardino, cosõÁ ci sono vari modi ricoltivare la propria persona e la rappresentazione del nostro giardino interiore dice qualcosa Come uscire quindi da una formazione che accede con difficoltaÁ al livello dell'essere? La riflessione fin qui condotta fa emergere la prospettiva di una formazione che alla base ha un pensiero positivo e una parola positiva che, senza nascondere la problematicitaÁ dell'era post-moderna, sappiano rida39 FORMAZIONE di noi e di cosa stiamo formando. «Il giardino non eÁ pieno solo di metafore, eÁ pieno di alberi e piante. O, forse, diciamo meglio: le piante e gli alberi sono anche loro metafore, cioÁ che eÁ botanico eÁ anche psicologico. Tutto cioÁ che accade nel giardino suggerisce metafore della nostra vita psichica. Che si tratti di un ponte, o di un sentiero tortuoso, o di foglie cadute. La caduta delle foglie, la paralisi della vita durante l'inverno, lo schiudersi dei germogli, il movimento dell'acqua fra le rocce. Sono tutte esperienze che anche l'individuo umano fa, solo che le esprime con i concetti complessi della psicologia, mentre il giardino le esprime con il linguaggio della natura».14 Il giardino eÁ l'incontro tra natura e cultura, delimita e separa, eÁ quasi uno spazio sacro come pure diventa accettazione di un limite.15 Anche la nostra vicenda umana eÁ iniziata in un giardino, come narra la Scrittura, e tutto cioÁ che lõÁ eÁ accaduto dice della nostra condizione e della direzione da perseguire in formazione. Dai giardini descritti nella Bibbia cogliamo alcune immagini che ci indicano il percorso valoriale della nostra formazione.16 finito quando Dio decide di affiancare la donna all'uomo: «Non eÁ bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».17 La dualitaÁ dell'essere umano eÁ l'apertura reciproca, la necessitaÁ ontologica dell'essere insieme viene inscritta nella carne e si fonda la radice dell'autotrascendenza. L'uomo eÁ fatto per vivere con gli altri. Il secondo aspetto eÁ espresso dal comando divino: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, percheÂ, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti''.18 L'uomo apprende una norma di comportamento esterno che ha una profonda rilevanza interiore, la mancanza alla regola provocheraÁ una disarmonia interiore con riflesso esterno. Non sono forse queste le prime esperienze formative che il bambino compie? Apre gli occhi sulla madre e da questa relazione impareraÁ a rapportarsi con gli altri e poi deve fare i conti con le prime regole e i primi controlli che sono anzitutto interiori prima che esterni. Ogni formazione deve quindi contemplare la dimensione relazionale e la dimensione etica. b. Hortus conclusus Il Cantico dei Cantici narra di uno splendido giardino che eÁ immagine della cura dell'anima multiforme e bella: a. Eden Due elementi ci vengono particolarmente indicati: la dimensione dell'apertura all'altro e la normativa come legge da interiorizzare. Il primo aspetto eÁ chiaramente de- «Giardino chiuso tu sei, sorella mia sposa, giardino chiuso e fonte sigillata. 40 IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera) I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti piuÁ squisiti, alberi di cipro e di nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo con ogni specie d'alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi»19. eÁ l'immagine della meta da raggiungere, l'ideale da perseguire, la visione da incarnare. «Mi mostroÁ poi un fiume d'acqua limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della cittaÁ e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che daÁ dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni. c. Getsemani Il giardino in cui GesuÁ si ferma a meditare eÁ l'incontro con la propria sofferenza e la necessitaÁ, per chi accompagna il sofferente, di vegliare. Il rischio tipico dell'operatore sanitario: cedere le armi di fronte alla sofferenza, cadere nell'abitudine, fuggire a motivo dell'intensitaÁ del dolore. «Disse loro: La mia anima eÁ triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me»20. «Naturalmente GesuÁ ha saputo compiere questo itinerario pedagogico, questo andirivieni tra l'abbandono e la TrinitaÁ, e nella sua esperienza terrena, ha vissuto con intensitaÁ eccelsa la relazione interpersonale con gli altri, praticando l'empatia, l'accettazione, la speranza, la lotta educativa, la vita di unitaÁ col Padre e «con i suoi»: Lui eÁ il testimone piuÁ autentico e piuÁ esigente di cosa significhi essere educatori.»21 E non vi saraÁ piuÁ maledizione. Il trono di Dio e dell'Agnello saraÁ in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi saraÁ piuÁ notte e non avranno piuÁ bisogno di luce di lampada, ne di luce di sole, perche il Signore Dio li illumineraÁ e regneranno nei secoli dei secoli»22. Immagini e valori per definire plasticamente cioÁ che serve alla nostra formazione: alteritaÁ e reciprocitaÁ, etica, interioritaÁ, vigilanza, visione. Elementi che devono trovare posto in ogni itinerario formativo, ma per delineare un percorso eÁ necessario un altro tempo e un'altra riflessione: qui abbiamo aperto un varco per ripensare la nostra formazione. Per concludere con l'immagine del giardino evochiamo una grande maestra di vita e di preghiera e siccome la vita del cristiano eÁ preghiera, l'esem- d. Gerusalemme celeste Infine, l'ultima immagine non eÁ direttamente un giardino ma eÁ la cittaÁ celeste in cui vi sono elementi naturali: l'albero, i frutti, le foglie, il fiume: 41 FORMAZIONE vanni (CS), il 22 novembre 2002. 2 Gianni Cervellera, licenza in teologia pastorale, coordinatore pastorale in istituto di riabilitazione psichiatrica, consulente di formazione in ambito umanistico 3 M. YOURCENAR, Memorie di Adriano, Torino, Einaudi, 1988, pag. 1-2. 4 Z. BAUMAN, «Parlare insieme o morire insieme: dilemma di tutto il pianeta», relazione al convegno «Parabole Mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione», Roma 7 novembre 2002. 5 C'eÁ un terzo approccio, un terzo sapere, una terza pratica professionale oltre la psichiatria e la psicoterapia ed eÁ quella che chiamerei la pratica pastorale un terzo ambito molto importante di persone che si occupano dei disagi e dei malesseri riconducibili alla psichiatria o la malattia mentale, da un angolo visuale che invece valorizza al massimo la persona.. in particolare aderenti al movimento transpersonale che cercano di individuare in certi comportamenti «etichettabili» come psichiatrici dei segnali o delle domande e degli indici della crescita personale. (S. SPINSANTI, Pregiudizi, giudizi e decisioni etiche nell'orizzonte della psichiatria, Convegno su «Sofferenza mentale: famiglie, servizi, comunitaÁ,» Milano 15 novembre 2001). 6 cfr. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti Pastorali dell'Episcopato Italiano per il primo decennio del 2000, cap. II. 7 M. BUBER, Il cammino dell'uomo, Magnano,Qiqajon, 1990, pag. 24. 8 G. ANGELINI, Primato della formazione ragioni e problemi di un assioma della pastorale recente, in AAVV, Il Primato della Formazione, Milano, Glossa, 1997, pag. 16. 9 CL, 63. 10 C.M. MARTINI, Lezione in UniversitaÁ Cattolica in occasione del conferimento della laurea Honoris causa in scienze dell'educazione, Milano 11 aprile 2002. 11 E. MORIN, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001, pag. 98-99. 12 MORIN, op. cit., pag. 100. 13 D.M. TUROLDO, EÁ tempo amico, in Nel segno del Tau, Milano, Scheiwiller, 1988. pio che lei porta per far comprendere l'orazione eÁ utile anche a far comprendere la vita. «A me sembra, dice la santa, che un giardino si possa innaffiare in quattro modi: o con l'attingere acqua da un pozzo, il che comporta per noi una gran fatica; o con noria e tubi tirandola fuori mediante una ruota, il che eÁ di minor fatica del primo e fa estrarre piuÁ acqua; oppure derivandola da un fiume o da un ruscello: con questo sistema si irriga molto meglio, perche la terra resta piuÁ impregnata d'acqua, non occorre innaffiarla tanto spesso, e il giardiniere ha molto meno da faticare; infine a causa di un'abbondante pioggia, in cui eÁ il Signore ad innaffiarla senza alcuna nostra fatica, sistema senza confronto migliore di tutti quelli che ho detto.»23 E se la formazione iniziasse dal farsi innaffiare da una pioggia abbondante dall'alto? Note 1 Relazione tenuta all'Incontro di formazione regionale della Conferenza Episcopale Calabra «Annunciare il Vangelo oggi nel mondo della salute», presso il Centro congressi «La Principessa» di Campora S. Gio42 IL PIACERE DI FORMARSI (G. Cervellera) 14 J. HILLMAN, Il piacere di pensare, Milano, Rizzoli, 2001, pag. 9. 15 cfr. D. DEMETRIO, Di che giardino sei?, Roma, Meltemi, 2001, pag. 15. 16 Un antico proverbio indiano dice che la vita dell'uomo si compone di quattro stadi: nel primo si impara, nel secondo si insegna, nel terzo si va nel bosco a meditare e nel quarto si va a mendicare. In questo passaggio eÁ come se si andasse nel bosco a meditare: una condizione tipica della formazione in etaÁ adulta che eÁ il substrato culturale della formazione in pastorale della salute. Cfr. C.M. MARTINI, I quattro stadi della vita dell'uomo, Intervento alla Fondazione Ambrosianeum, 17-05-2002. 17 Gen 2, 18. 18 Gen 2,16. 19 Ct 4, 12-14. 20 Mt 26, 39. 21 C. LUBICH, Il carisma dell'unitaÁ e i suoi effetti nella pedagogia, Discorso in occasione della consegna della Laurea Honoris Causa assegnatale dall'UniversitaÁ cattolica di Washington, 10-11-2001. 22 Ap 22, 1-5. 23 S. TERESA D'AVILA, Il libro della mia vita, cap. 11,7, Milano, EP, 1988, pag. 142. La nostra formazione eÁ valida quando cioÁ che impariamo ci aiuta a cambiare, e il cambiamento fa crescere il nostro sapere ed incide nell'ambiente in cui lavoriamo. Se la nostra formazione non arriva a trasformare noi e contemporaneamente l'ambiente in cui lavoriamo, i nostri cambiamenti rischiano di avere la durata di un mattino: il primo sole li faraÁ seccare, alle prime difficoltaÁ soffocheranno. 43 LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE DEL MALATO MORENTE NELLE `CURE PALLIATIVE' Un progetto pastorale Valentino Marcato Introduzione Il contesto del progetto L'accompagnamento spirituale del morente eÁ un compito delicato e impegnativo; fa appello all'intelligenza e al cuore; esige quindi preparazione a livello di essere, di sapere e anche di saper fare. Il progetto di accompagnare il proprio simile fino al termine della vita, rimette ciascuno nella veritaÁ della sua condizione. Nell'accompagnamento spirituale, infatti, l'uomo eÁ ricondotto verso l'autenticitaÁ della propria esistenza e viene confrontato con la propria fine: si pone una domanda di senso. Nasce cosõÁ la necessitaÁ, da parte degli operatori, di interrogarsi sulla propria spiritualitaÁ, sul sistema di valori che guida la loro esistenza, sulle risposte che nascono nel loro cuore agli interrogativi concernenti il significato della sofferenza e della morte.1 Il presente progetto intende dare un contributo a tutti coloro che affrontano questa avventura. Il contesto dove si realizza il progetto eÁ rappresentato dalla UnitaÁ Operativa di Cure Palliative (U.O.C. P.), riconosciuta a livello istituzionale e nazionale quale struttura organizzativa per l'erogazione delle Cure Palliative (nel nostro caso, chiamate anche «cure di fine vita») alle persone affette da una malattia evolutiva irreversibile attraverso la copertura globale dei problemi sanitari, sociali, psicologici e spirituali del malato in fase terminale e dei suoi familiari, sia a livello domiciliare che in strutture «a degenza piena», quali l'hospice.2 «Le Cure Palliative sono la cura totale prestata alla persona affetta da una malattia non piuÁ responsiva alle terapie aventi come scopo la guarigione. Il controllo del dolore, degli altri sintomi e delle problematiche psicologiche, sociali e spirituali eÁ di enorme importanza. Lo scopo delle Cure Palliative eÁ quello di ottenere la 44 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato) massima qualitaÁ della vita possibile per il paziente e per i suoi familiari. Esse: - affermano il valore della vita, considerando la morte come un evento naturale; - non prolungano ne abbreviano l'esistenza dell'ammalato; - provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi; - integrano gli aspetti clinici, umani, psicologici e spirituali dell'assistenza; - offrono un sistema di supporto per aiutare il paziente a vivere il piuÁ attivamente possibile sino alla morte; - offrono un sistema di supporto per aiutare la famiglia dell'ammalato a convivere con la malattia e poi con il lutto».3 zioni e delle convinzioni che organizzano in un progetto unitario la vita dell'uomo, da una parte e, dall'altra, l'insieme delle reazioni e delle espressioni personali in cui si concretizza quel progetto di vita».5 La spiritualitaÁ comprende la religiositaÁ, ma non coincide con questa. EÁ un concetto piuÁ ampio, non necessariamente connesso con una particolare fede religiosa, anche se tende ad essere vista come tale. La spiritualitaÁ eÁ una dimensione umana universale che si esprime attraverso le relazioni interpersonali, la creativitaÁ, l'affettivitaÁ, i valori, i comportamenti, le convinzioni religiose.6 I moderni modelli di cura non prevedono specifiche linee-guida per un'assistenza spirituale; infatti il modello biomedico dominante omette ogni preoccupazione di diagnosi per la valutazione e la cura delle problematiche spirituali. CosõÁ, seppure nella teoria alcune scuole infermieristiche e alcuni modelli diagnostici comprendano una preoccupazione per gli aspetti spirituali della persona, nella pratica questi bisogni sono considerati di competenza del sacerdote, del cappellano e di altri «esperti» spirituali, o classificati e sottovalutati tra gli aspetti psicosociali. Inoltre il sacerdote, o comunque l'operatore pastorale, raramente sono considerati parte integrante dello staff di cura.7 Questa separazione diminuisce le potenzialitaÁ, sia per il malato che per l'operatore professionale, di farsi pienamente presenti l'uno all'altro nella relazione terapeutica. La dimensione spirituale, connota sia la persona dell'operatore professionale La dimensione spirituale e religiosa nelle Cure Palliative L'incontro con la situazione di vita di una persona che soffre evidenzia una dimensione particolare al di laÁ delle dimensioni fisiche e psicologiche, nella quale i parametri di benessere e di sofferenza non si correlano soltanto alla mente o al corpo. Questa dimensione eÁ quella dello spirito umano, che trascende la vita quotidiana ed eÁ correlato con qualcosa di piuÁ grande: Dio, l'universo, la natura.4 La dimensione spirituale puoÁ essere delineata come il bisogno di significato, di scopo, di realizzazione che connota la vita umana, la speranza e la volontaÁ di vita, le convinzioni, la fede. Ancora, si puoÁ definire la spiritualitaÁ come «l'insieme delle aspira45 FORMAZIONE che quella del malato, e quindi si puoÁ affermare che un'assistenza spirituale comincia da un'attenzione dell'operatore nei confronti della propria vita spirituale. Caretta F. e Petrini M. evidenziano gli ostacoli piuÁ comuni che interferiscono nell'individuazione e accompagnamento dei bisogni spirituali del malato con: - la difficoltaÁ dell'operatore ad integrare la spiritualitaÁ nel proprio lavoro; - la convinzione che tale condivisione richieda di essere esperti nella religione e nella spiritualitaÁ; - il presupposto che la professionalitaÁ richieda un distacco emotivo. sul tema della «Dimensione Spirituale» per gli operatori. Scopo: crescere nel metodo della interdisciplinarietaÁ; migliorare il proprio rapporto empatico con l'ammalato, nel quadro piuÁ generale di un approccio olistico alla persona; prendere coscienza o riscoprire la «dimensione spirituale»; favorire il dialogo ecumenico e interreligioso nel rispetto di una societaÁ sempre piuÁ multietnica. b. Accompagnare gli operatori nelle loro esperienze individuali con i malati, con la condivisione nel gruppo e la presenza e il confronto con l'Assistente spirituale. Scopo:: favorire la crescita del gruppo di lavoro; sostenere e incoraggiare gli operatori nei momenti di crisi; valorizzare al meglio le esperienze personali; promuovere un rapporto di apertura e collaborazione con l'Assistente Spirituale. Il problema riguarda innanzitutto gli operatori sanitari e la loro capacitaÁ di elaborare angosce e vissuti collegati con la morte, il dolore, la frustrazione e la colpa. Le paure sono molte, e sono presenti nel malato che muore e in coloro che l'accompagnano.8 c. Formare alla elaborazione di una «diagnosi spirituale» del malato per offrire un servizio piuÁ integrato. Scopo:: per «diagnosi spirituale» si intende: «cogliere la dimensione «sacra» presente in ogni umana avventura; entrare nel modo interiore dell'altro e identificare le sue fonti produttrici di senso; scoprire il posto che Dio occupa nella vicenda di questa particolare persona; valutare il ruolo della fede nella gestione dell'esperienza umana».9 Si tratta quindi di imparare a mettere in luce quegli elementi che ci permettono di delineare un profilo spirituale della persona. Obiettivi del progetto Obiettivo generale:: «Favorire e promuovere la conoscenza della ``dimensione spirituale'' della persona umana, come risorsa per il malato e l'operatore, nella sofferenza e nelle «cure di fine vita». Tempo di attuazione: 6 mesi, dall'inizio dell'attuazione del progetto. Questo obiettivo saraÁ realizzato perseguendo alcuni obiettivi specifici, quali: a. Avviare un Corso di Formazione 46 LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato) d. Individuare un piccolo gruppo (34 persone), tra gli operatori maggiormente sensibili al tema, come collaboratori dell'Assistente spirituale. Scopo:: assicurare la continuitaÁ del servizio spirituale; promuovere incontri di carattere spirituale con questi collaboratori; liberare la creativitaÁ e l'espressione dei diversi carismi personali. - Le diverse espressioni della religiositaÁ nella sofferenza: cristiana, ebraica, islamica, buddhista, induista, tradizionale africana (eventualavola rotonda). Metodo: I contenuti saranno sviluppati in 4 incontri, di 3 ore ciascuno, a cadenza settimanale, svolti attraverso lezioni teoriche e con il coinvolgimento degli operatori. In particolare all'inizio del corso il responsabile sottopone un test di ingresso ai partecipanti che saraÁ confrontato con il test finale di valutazione dell'apprendimento. Tenuto conto che non tutti gli operatori dell'U. O. C. P. potranno parteciparvi, per ovvi motivi, eÁ assicurata la video-registrazione. Fase operativa In questa fase vengono delineate le iniziative, i tempi indicativi e le risorse per concretizzare gli obiettivi specifici. Obiettivo A: Avviare un Corso di Formazione sul tema della «Dimensione Spirituale» per gli operatori. L'Assistente spirituale, previo accordo con l'eÂquipe della struttura e con l'Amministrazione, stabilisce il luogo degli incontri, delinea i contenuti, contatta i relatori, definisce il metodo e i tempi del corso con apposita locandina. I contenuti e il metodo del corso possono includere: - Il processo di autoconoscenza e autoaccettazione - La comunicazione verbale e non verbale della spiritualitaÁ: saper cogliere la domanda - Le paure e le speranze dinanzi alla morte - Il processo di riconciliazione (con se stessi, con gli altri e con Dio) - I bisogni e le risorse spirituali dinanzi alla morte nella cultura occidentale Obiettivo B: Accompagnare gli operatori nelle loro esperienze individuali con i malati, con la condivisione nel gruppo e la presenza e il confronto con l'Assistente spirituale. Si sviluppa dopo la partecipazione al Corso con due attivitaÁ: 1. DisponibilitaÁ dell'Assistente spirituale a incontri personali con gli operatori, con frequenza e tempi da accordare. 2. Organizzazione di «Focus Group», a cadenza mensile (iniziando 15 giorni dopo la fine del Corso) della durata massima di 90'. EÁ una tecnica di intervista di gruppo che permette di produrre riflessioni riguardo un tema preordinato; eÁ particolarmente adatta, in campo sanitario, a studiare atteggiamenti ed esperienze di persone che 47 FORMAZIONE hanno difficoltaÁ a riferire le proprie opinioni, incoraggiandone la partecipazione alla discussione collettiva e alla condivisione. Fase valutativa L'eÂquipe dell'U. O. C. P. e l'Assistente spirituale sono i soggetti che oltre a seguire lo svolgimento delle varie fasi di attuazione, hanno il compito di valutare e verificare il raggiungimento degli obiettivi: Obiettivo C: Formare alla «Diagnosi Spirituale» del malato per offrire un servizio piuÁ integrato. L'obiettivo si raggiunge attraverso la presentazione, discussione, eventuale rielaborazione, e applicazione di un «Protocollo di valutazione dei bisogni spirituali/religiosi». EÁ uno strumento didattico che serve da linea-guida e griglia di lettura comune per la raccolta di informazioni rispetto al concetto di Dio, al significato della malattia, l'approccio alla speranza e le relazioni significative del malato. Obiettivo A:: avviamento e realizzazione del Corso. I test a cui si accennava nella metodologia, permettono di valutare l'indice di gradimento, l'efficacia della metodologia e l'effettivo apprendimento dei contenuti. In particolare va sottolineato che il vero obiettivo della formazione in generale eÁ «la modificazione degli atteggiamenti e dei comportamenti», che in questo caso risulta essere una maggiore attenzione e valorizzazione della dimensione spirituale da parte dell'operatore. Obiettivo D: Individuare un piccolo gruppo (3-4 persone), tra gli operatori maggiormente sensibili al tema, come appoggio all'Assistente Spirituale. EÁ un obiettivo che dipende in parte dalla buona riuscita di A e B; si realizza attraverso un lavoro di discernimento dei singoli operatori in collaborazione con l'Assistente spirituale. Il Corso frequentato e i lavori di gruppo metteranno in luce sensibilitaÁ, livello di interesse, capacitaÁ e disponibilitaÁ, quali elementi per identificare soggetti promotori di iniziative e per riconoscere e rispondere meglio agli stimoli che vengono dalla «base». EÁ un metodo di auto-formazione che tiene in considerazione la flessibilitaÁ della risposta e favorisce la creativitaÁ. Obiettivo B: aumento della sensibilitaÁ alla dimensione spirituale, valutabile dal numero delle richieste di incontri personali con l'assistente spirituale, riguardo a difficoltaÁ incontrate dagli operatori in tema di soddisfacimento dei bisogni spirituali dei malati; partecipazione e grado di coinvolgimento ai «Focus Group». Entro i 6 mesi dall'inizio del Corso devono essere stati effettuati 4 incontri. Obiettivo C: Confronto e verifica con l'Assistente Spirituale sulla «Diagnosi spirituale» scritta, secondo il protocollo proposto, che viene inserita tra la documentazione clinica del malato. 48 LA FORMAZIONE ALL'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE (V. Marcato) Obiettivo D:: costituzione del piccolo gruppo di appoggio all'Assistente spirituale, entro i 6 mesi dall'inizio del Corso. Note 1 BRUSCO A., L'accompagnamento spirituale del morente», in «Camillianum», VII, 13, 1996, pag. 45. 2 CORLI O., (a cura di), Realizzare le Cure Palliative in Italia, Consensus Conference, S.I.C.P., 1997, pag. 30. 3 VENTAFRIDDA V., Cure Palliative, in CinaÁ G. Locci E. Rocchetta C. Sandrin L. (a cura di), Dizionario di Teologia Pastorale Sanitaria, Camilliane, Torino, 1997, p. 325. 4 CARRETTA F. - PETRINI M., Ai confini del dolore, CittaÁ Nuova Editrice, Roma, 1999, pag. 49-50. 5 SORAVITON L., Educare alla spiritualitaÁ, in «Credere Oggi», 22 (1984), p. 91. 6 PANGRAZZI A., Sii un girasole accanto ai salici piangenti, Edizioni Camilliane, Torino, 1999, pag. 169. 7 CARRETTA F. PETRINI M., op. cit., pag. 51. 8 SANDRIN L., (a cura di), Malati in fase terminale, Edizioni Piemme, Casale M. (AL), 1997, pag. 62. 9 BRUSCO A., La relazione pastorale d'aiuto. Camminare insieme, Camilliane, Torino, 1993, pag. 109-110. Conclusione EÁ importante sottolineare la necessitaÁ per coloro che osano il rischio di questa avventura, di aver fatto esperienza personale dentro la propria dimensione spirituale, di averla identificata, e di aver scoperto le risorse particolari con cui superare le inevitabili piccole o grandi crisi esistenziali. Questa consapevolezza aiuta a raggiungere l'obiettivo di suscitare e valorizzare le capacitaÁ spirituali della persona malata grave e/o morente. 49 Variazioni La favola di Noia, di Meraviglia, di Gioia Racconta una vecchia fiaba, non so piuÁ di quale Paese del mondo, che un giorno la Noia sfidoÁ l'Ombra a chi riuscisse di restare il piuÁ a lungo possibile attaccata agli uomini, senza che gli uomini se ne potessero liberare. «Tu hai bisogno di una fonte luminosa per esistere. Io non ho bisogno di nulla, io sono con loro nel buio e nella luce», si vantoÁ la Noia. Da quel giorno, per quanto furbi si facessero gli uomini per sfuggirla, la Noia non li lasciava mai, tanto che gli uomini cominciarono a pensare che la Noia fosse la loro irrinunciabile compagna quotidiana e che la vita non fosse altro che una cosa estremamente noiosa. Allora, in aiuto dell'umanitaÁ annoiata, venne la Meraviglia. CosõÁ capitava che ogni tanto qualcuno degli uomini, forse particolarmente stanco, stremato, si fermasse, si guardasse attorno e, improvvisamente, come dicono che capiti soltanto ai bambini, provasse una sconcertante meraviglia. Eppure nulla attorno a lui era cambiato. Di cosa mai si meravigliava quell'uomo? Di tutto e di nulla, forse soltanto del fatto di essere vivo e domani, magari, di dover morire. Senza alcuna particolare ragione entrava in lui, in quel momento, una strana, insensata, felicitaÁ. Ma quell'uomo non era il solo al quale capitasse una cosa tanto inaspettata. Altri, vecchi e giovani, uomini e donne, cominciarono a provare istanti di una luminosa Meraviglia che scacciava i grigiori della Noia. Purtroppo la maggior parte di essi, vedendo attorno a se gli altri uomini e donne che continuavano a essere annoiati e tristi, non dicevano nulla nel timore di venire scherniti. Ma quando qualcuno trovava il coraggio di dividere con altri la propria felicitaÁ, allora la Gioia, della quale da tempo si era persa ogni traccia, tornava a vivere tra gli uomini, passando randagia dall'uno all'altro fino a trovare qualcuno disposto ad ospitarla. (Ferruccio Parazzoli) 50 T E S T I M O N I C O N T E M P O R A N E I SAN GIOVANNI CALABRIA L'uomo che conobbe il dolore Mario Gadili * Profilo biografico San Giovanni Calabria, nacque a Verona 1'8 ottobre 1973. A 12 anni rimase orfano del padre. L'unica risorsa per la famiglia proveniva dal lavoro di lavandaia della mamma. Per portare un suo contributo economico in casa, il ragazzo abbandonoÁ gli studi primari, mettendosi a servizio come garzone di bottega. Ma il suo grande desiderio era il sacerdozio. Un vecchio insegnante del Seminario, don Pietro Scapini, lo aiutoÁ privatamente a passare in liceo. Tre anni di una scuola un po' rabberciata ma fatta con tenacia e buona volontaÁ. Fu accolto in Seminario ma, per la mancanza di solide basi culturali e di un'alimentazione insufficiente subõÁ grandi delusioni scolastiche e amare umiliazioni. Durante il secondo anno di liceo, fu chiamato sotto le armi. Se avesse sborsato una tassa di £ 1500, avrebbe potuto usufruire di uno sconto di an- ni di naia. Non era in grado di pagare e percioÁ passoÁ due anni di servizio militare presso l'ospedale militare di Verona. ``Furono gli anni piuÁ fruttuosi e belli della mia vita!'' diraÁ un giorno ai suoi religiosi. Eppure, qualcuno dei suoi Superiori sperava che, a contatto con un mondo un po' scanzonato, gli sarebbe passata la voglia di continuare gli studi ecclesiastici. Si sa, tra i soldati si possono fare tante esperienze. E, invece, quei due anni divennero fecondi di bene. Dopo i primi sorrisetti di scherno per quel soldatino tanto buono e devoto, subentroÁ la stima e il rispetto. Molti suoi commilitoni e anche alcuni ufficiali furono attratti dalla sincera fede senza bigottismo e dalla caritaÁ servizievole del soldato Calabria. Ritornato agli studi arrancoÁ per altri cinque anni, giungendo finalmente al sacerdozio. Il suo vescovo lo mandoÁ a fare la sua esperienza pastorale in una parrocchia povera della suburra di Verona. Nei sette anni di permanenza, incontroÁ tanta miseria e * Mario Gadili eÁ autore di: San Giovanni Calabria, San Paolo, Cinisello B. (Mi), 2002, brillante biografia del santo. 51 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 TESTIMONI CONTEMPORANEI litare. E non certamente per aver potuto sfoggiare la divisa o per amore delle esercitazioni, che risultarono noiose, inconcludenti e umilianti, ma per aver avuto la possibilitaÁ di dedicare il suo tempo nell'assistenza ai malati, che lui chiamava ``le vive immagini di GesuÁ sofferente''. Padre FerruccioValente, in un articolo apparso sul Bollettino dei Camilliani, attesta che don Calabria desiderava farsi religioso camilliano. Il superiore generale, padre Giuseppe Sommavilla, gli consiglioÁ di attendere perche la mamma, anziana e sola, aveva bisogno della sua assistenza. Tuttavia, anche quando il Signore gli indicoÁ una nuova strada di apostolato, don Calabria mantenne sempre buoni rapporti con i Camilliani della Casa di San Giuliano di Verona. Andava a confessare i giovani aspiranti religiosi e spesso si fermava a pranzo da loro. Conversava affabilmente e confidava intenzioni e preoccupazioni, sentendosi completamente a suo agio. Si puoÁ dire che in mezzo a loro respirava aria di casa. Alle suore infermiere dell'Ospedale di Negrar, le Piccole Sorelle della Sacra Famiglia, don Calabria diceva: ``Chi va a fare servizio all'ospedale non ha bisogno che vada in chiesa; all'ospedale, nel letto dell'ammalato, si trova GesuÁ sofferente''. ``I sani celebrano l'Eucaristia stando attorno all'altare. I malati sono sopra l'altare''. E cosõÁ si rivolgeva ai medici e agli infermieri dell'ospedale di Negrar (Verona): ``Non dubito affermare che, dopo la missione divina del sacerdote, quella del medico sia la professione piuÁ nobile che il Creatore tanti ragazzi abbandonati. ComincioÁ ad interessarsi di loro. Con l'aiuto di un giovane seminarista, di un ardente sacerdote e di un conte, inizioÁ la sua opera a favore dei ragazzi poveri e abbandonati, mettendo come base economica solo la fiducia e l'abbandono nella divina Provvidenza. Con una fede illimitata nelle parole di GesuÁ: ``Cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia... e tutto il resto vi verraÁ dato in sovrappiuÁ'' ... ``Guardate gli uccelli del cielo... guardate i fiori dei campi... Se Dio mantiene loro... quanto piuÁ avraÁ cura di voi''. Don Giovanni prese alla lettera queste parole, le mise alla base dell'Opera, che egli chiamava ``Opera di GesuÁ'', ± e della quale si considerava il semplice ``casante'', il custode ± e s'incamminoÁ verso una strada che umanamente sembrava semplicistica e poetica. Lui credette, mise alla prova la parola di Dio e camminoÁ, in mezzo a tante tribolazioni e contrarietaÁ, ma con tanta fiducia e serenitaÁ. MorõÁ il 4 dicembre 1954. Giovanni Paolo II lo beatificoÁ, a Verona, il 17 aprile del 1988. Venne dichiarato santo il 17 aprile del 1999. L'anima `camilliana' di san Giovanni Calabria L'attivitaÁ svolta nell'ospedale militare aveva rivelato in Giovanni Calabria una congeniale propensione per l'apostolato tra gli ammalati. ``Fu il tempo piuÁ bello della mia vita!'', ripeteva spesso quando parlava dei due anni di servizio nell'ospedale mi52 SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili) possa affidare ad un uomo sulla terra. Il medico eÁ un collaboratore di Dio, autore e conservatore della vita... eÁ chiamato da Dio a curare le infermitaÁ, o almeno a lenire i dolori, renderne meno sensibile la sofferenza, e procurarne sereno il tramonto... Salvare una vita, prolungare un'esistenza! Un uomo che vive, non fosse altro che per pochi minuti in piuÁ, puoÁ fare del bene; e, col bene, daÁ piuÁ gloria a Dio che non tutte le creature insensate nel giro dei secoli. Pensiamo quale merito per il medico quando riesce a prolungare e moltiplicare le vite umane. ``Venite benedetti, perche ero infermo e mi siete venuti a visitare''; disse GesuÁ. Queste parole sono proprio per voi, e saranno la degna ricompensa della vostra carriera mortale». Ebbe sempre un'attenzione particolare anche per gli ammalati psichici, che soffrono piuÁ degli altri per l'abbandono e l'isolamento. Per questi egli prestava cure e finezze speciali. Nelle lettere indirizzate a loro troviamo espressioni che manifestano amore, compassione, predilezione. Le parole sono sempre ispirate dalla fede e dalla convinzione che la loro esistenza eÁ un mistero insondabile. Solo in Dio potremmo un giorno capire e valutare, nella sua giusta collocazione nel mistero della Redenzione, l'utilitaÁ e preziositaÁ della loro sofferenza. Andava a visitarli nelle case di cura, nonostante i disagi che doveva sopportare per la sua salute precaria. E sempre li avvicinava con delicatezza e discrezione, per non umiliare i malati stessi. I miei cari ammalati ``Fin dalla mia gioventuÁ i malati sono sempre stati la pupilla dei miei occhi e la bella provvidenziale opera dell'Apostolato degli Infermi ha occupato sempre un posto di privilegio nel mio cuore''. Don Giovanni Calabria coltivoÁ sempre questa vocazione speciale per l'apostolato tra gli infermi. Un suo vicino di casa e suo benefattore, il signor Antonio Fabbro, affermoÁ che ``fin dalla fanciullezza, dimostroÁ questa inclinazione speciale per gli ammalati. Soprattutto per la salvezza delle loro anime. Quando non poteva visitarli, pregava e faceva pregare, perche si disponessero a ricevere i santi sacramenti''. Da giovane studente liceale continuoÁ questo apostolato, specialmente se gli ammalati erano i ragazzi dell'oratorio. Qualche professore del Seminario gli rimproverava questo zelo e caritaÁ verso gli ammalati come distrazione nociva allo studio. Da chierico fondoÁ la ``Pia Unione per l'Assistenza agli Ammalati Poveri''. Un giorno del 1925 gli capitoÁ di leggere un trafiletto su l'Osservatore Romano che attiroÁ la sua attenzione. Si parlava di un Centro Internazionale per l'Apostolato degli Infermi, sorto da poco in Olanda, per opera del parroco di Bloemendaal, diocesi di Haarlem. Gli parve un'iniziativa bella e utile. Si mise in contatto epistolare col Centro olandese e ottenne le debite autorizzazioni ecclesiastiche per farne propaganda in Italia. CosõÁ, il 24 maggio 1930, presso il Santuario del53 TESTIMONI CONTEMPORANEI la Madonna di Campagna, istituõÁ la sezione italiana dell'Apostolato infermi. Il giornale cattolico, L'Avvenire d'Italia, ne dava notizia con un articolo: ``Una nuova iniziativa: l'Apostolato dei malati''. E spiegava la modalitaÁ e la finalitaÁ dell'iniziativa: ``Non occorrono denari, ne titoli, ma solo tre cose che valgono piuÁ di tutto l'oro del mondo: 1. accettare dalla mano di Dio le sofferenze della malattia; 2. sopportarle con spirito cristiano in unione alle pene che N.S. GesuÁ Cristo soffrõÁ sulla croce; 3. offrirle a Dio per la venuta del suo regno... Questa eÁ un'opera veramente cristiana, perche il fratello ammalato sente di non essere inutile, comprende che puoÁ fare piuÁ lui, immobile in un letto, che non altri nella loro vita attiva e febbrile e che i suoi dolori, sofferti in unione ai dolori di GesuÁ Cristo sulla Croce, sono quelli che salvano il mondo. Non v'ha merito senza dolore: eÁ la legge sancita sul Calvario... Ecco dunque l'Apostolato dei malati che diventa il primo fra tutti gli apostolati. Divenuto sacerdote, il suo apostolato per gli ammalati non conobbe limiti. Ogni giorno dedicava alcune ore per visitare gli ammalati sia in famiglia sia nell'ospedale. Quando dovette rinunciare alla Rettoria di San Benedetto per dirigere l'opera dei ``Buoni Fanciulli'', le visite fuori San Zeno in Monte furono quasi esclusivamente per portare conforto ai sofferenti. Missione di GesuÁ fu quella di sanare le malattie dell'anima e del corpo. E quando invioÁ i suoi discepoli a predicare nei villaggi di Galilea, per spianare la strada alla predicazione del Regno, raccomandoÁ loro: «Curate gli infermi e dite loro: EÁ vicino a voi il Regno di Dio». Questo comando di GesuÁ non era rivolto solo agli Apostoli, ma a tutti i cristiani. Alcuni santi, peroÁ, si sentirono interpellati in maniera particolare. Tra questi possiamo annoverare don Calabria. Egli volle inserire nelle Costituzioni dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, opera da lui fondata, questa finalitaÁ: «Evangelizzare pauperibus (portare la buona novella ai poveri). Le creature abbandonate, i poveri, i vecchi, gli ammalati, ecco le nostre gemme, le gemme dell'Opera. Anime, anime, miei cari! Tutto il resto non eÁ niente... La Congregazione ospita e cura vecchi e ammalati poveri e bisognosi, procurando, attraverso la piuÁ amorevole e delicata assistenza corporale e materiale, il loro maggior bene temporale ed eterno... Nei fratelli piuÁ emarginati e abbandonati, il Povero Servo vede GesuÁ; percioÁ la sua assistenza e il suo donarsi devono essere pieni d'amore umano ed evangelico». «L'Opera deve preferire vecchi e ammalati, poveri e bisognosi», insisteva don Calabria. Naturalmente il malato, a prescindere dal suo censo, eÁ sempre un bisognoso e sarebbe ingiusto fare discriminazioni tra le persone. Ma il ``malato povero'' si trova in una condizione di maggiore abbandono ed eÁ l'immagine piuÁ nitida di ``GesuÁ sofferente''. GesuÁ dice: «Quello che avete fatto 54 SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili) ad uno di questi miei `fratelli piuÁ poveri' l'avete fatto a me». PercioÁ bisogna trattare l'ammalato con squisita caritaÁ, aiutarlo con personale professionalmente preparato, accoglierlo in ambienti confortevoli e rispettarlo nella sua dignitaÁ personale. EÁ degno di nota un desiderio espresso da don Calabria, che ai suoi tempi appariva rivoluzionario e scandaloso. Nel progetto della costruzione del grande Geriatrico di Negrar, volle che le stanzette per gli anziani avessero l'aspetto di mini-appartamento, perche gli anziani coniugi potessero vivere insieme. Niente separazioni. «Proprio nel momento della vecchiaia, ± diceva, ± c'eÁ bisogno di prestarsi quell'aiuto reciproco, promesso e giurato nel giorno del matrimonio». Delicatezze di santi: austeri con se stessi, benevoli con gli altri. Ma tutte queste attenzioni materiali e psicologiche non bastano. Chi agisce per fede eÁ preoccupato anche dell'assistenza morale e spirituale, perche il fratello sofferente possa capire e valorizzare le immense ricchezze soprannaturali che sono racchiuse nel dolore cristianamente accettato e sopportato. Scriveva don Calabria: «Mai come in questo tempo di grande sofferenza ho meditato sulla preziositaÁ del dolore, quando lo si accetti dalle mani del Padre celeste con serena fiducia che proprio cosõÁ, va bene. In quella materiale inazione a cui costringe la malattia, oh quanto lavoro proficuo si puoÁ fare nella vigna del Signore, per l'incremento del santo Regno di Dio nelle anime! Con la pazienza, con la rassegna- zione, con la preghiera, il malato esercita un'influenza efficacissima, un apostolato operoso a vantaggio della Chiesa e delle anime: il Signore lo mette vicino, invisibilmente, a quel sacerdote, a quel missionario, a quel Maestro, a quella ComunitaÁ affinche le sue sofferenze rendano benedetto e fecondo il suo lavoro». Qualcuno definõÁ Don Giovanni Calabria ``l'uomo esperto nel dolore''. Avendolo sperimentato e assaporato personalmente, riusciva a trovare le parole adatte per consolare e toccare l'animo di chi soffriva. Iniziando l'Opera dei Buoni Fanciulli, aveva scritto al suo amico don Pio Visentini: «Prega perche possa amare il patire». Non disse ``sopportare'' oppure ``accettare ``, ma ``amare ``. E non sono parole vuote, prive di significato reale, che vengono proclamate da chi eÁ sano e ben pasciuto. Ripeteva spesso: «Sono una pianta sensitiva», cioeÁ un'anima troppo sensibile, fatta per soffrire. La sua particolare sensibilitaÁ d'animo lo metteva subito in fibrillazione all'annuncio di qualsiasi sciagura e calamitaÁ che colpisse il prossimo: guerre, lotte politiche, persecuzioni religiose o razziali, decadenza dei costumi, disastri ecologici, ecc. Non era un masochista, ne un asceta in cerca di volontario dolore o amante delle macerazioni del corpo: «Dono di Dio eÁ la salute e bisogna custodirla». Non voleva che i suoi religiosi facessero grandi penitenze, ne mortificazioni dannose alla salute: «La vita comunitaria, lietamente vissuta, e il lavoro e l'impegno quotidia55 TESTIMONI CONTEMPORANEI no sono mortificazioni sufficienti ed efficaci contro le inclinazioni al male». Personalmente non ricusava di consultare il medico e di seguire con semplicitaÁ i consigli e le cure prescritte, anche quelle piuÁ ripugnati ed umilianti. Nell'ultima lettera ai suoi religiosi, scritta due mesi prima della sua morte, diceva: «Pregate, pregate tanto per questo vostro vecchio Padre, cosõÁ vicino alla grande chiamata, perche possa capire il grande dono della sofferenza e farne tesoro, prima per la mia povera anima e poi per quest'umile e grande Opera, suscitata proprio dal Signore. Pregate perche possa capire il dono della sofferenza». Le frasi piuÁ comuni che si incontrano nelle lettere e nel diario di don Calabria, sono queste: - Pregate perche possa capire il dono della sofferenza. - GesuÁ, fatemi conoscere la ricchezza della sofferenza. - La sofferenza eÁ moneta di Dio. ni, dovette subire un lungo calvario, una lunga agonia, culminata con la notte dello spirito. Anche Cristo sentõÁ tutta l'angoscia dell'abbandono, del silenzio, dell'impotenza: «Dio mio, Dio mio, perche mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). «Si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33). Don Calabria soffrõÁ indicibilmente, sperimentoÁ questo abbandono e solitudine. Si sentiva abbandonato da Dio, dannato per sempre, reietto, separato dalla luce della fede e della speranza da un muro invalicabile. Ma, poi, aggrappandosi alla sua fede granitica, tenacemente e disperatamente, gridava: «GesuÁ, GesuÁ, siatemi GesuÁ!», (ossia salvatore). Ho raccolto un piccolo florilegio d'espressioni di don Calabria a riguardo della sofferenza e dei sofferenti. Se fossero state dette da un uomo sano, giovane, forte, potremmo sorridere di compassione. Sono dette da un uomo che sapeva cosa fosse il dolore, lo aveva assaporato fino all'ultima goccia. Ma aveva scoperto quale moneta preziosa fosse la sofferenza per la salvezza e per la redenzione. La croce e la sofferenza del singolo o dell'umanitaÁ, non trovano nessuna spiegazione umanamente esauriente. Rimane un mistero e uno scandalo senza Cristo GesuÁ. Egli, fattosi uomo, accettoÁ fino alla ``consumazione estrema, fino all'ultima goccia di sangue'', la volontaÁ del Padre. Non scese dalla croce, non ricusoÁ il calice amaro, pur potendolo evitare, per farsi solidale con l'uomo che soffre. Don Calabria entroÁ in questa lunghezza d'onda di Cristo. Per tutta la vita, ma specialmente negli ultimi an- - La sofferenza eÁ un mistero di fede e d'amore. - Fortunati quelli che hanno lo spirito di fede, perche possono santificare le prove della vita. - La sofferenza e la malattia non sono castighi inflitti da un Fato crudele, ma un mezzo d'apostolato operoso a vantaggio della Chiesa e delle anime. - Le anime e le Opere di Dio costano. 56 SAN GIOVANNI CALABRIA (M. Gadili) - Oh, la sofferenza! Solamente la nostra santa religione sa rispondere al perche della sofferenza. Essa sola sa rischiarare e mettere nella vera luce, nella luce della sofferenza di GesuÁ Redentore, le nostre pene, i nostri dolori. Quanto siamo fortunati noi di avere lo spirito di fede, di poter santificare le prove di tutta la vita. Capiremo in paradiso quanto eÁ preziosa la sofferenza, accettata e vissuta in unione al Crocifisso e all'Addolorata. - Che conforto e che pace, anche nelle prove, sapere che tutto eÁ voluto e permesso dal nostro Padre celeste, e che da tutto possiamo trarre motivo, anche nelle prove, di stare di buon animo, perche il Padre buono ci ama e ci predilige, ci sostiene e ci prepara il premio nella sua beatitudine eterna. - Il sacrificio, quando eÁ benedetto dal Signore ed eÁ unito con la preghiera e con lo spirito di caritaÁ, eÁ l'energia piuÁ preziosa che il cristiano possa mettere a disposizione di Dio e della Chiesa. Che importa se siamo poveri e deboli esseri. Il Signore non agisce alla maniera degli uomini. Gli uomini cercano di servirsi di mezzi potenti, Egli invece si serve, tante volte, di cioÁ che il mondo disprezza e rifiuta. - La sofferenza, se accettata con spirito di fede, eÁ una preziosa moneta con la quale possiamo comperare grazie per noi stessi e per gli altri. Un cristiano che soffre con serenitaÁ, rassegnato alle disposizioni della Provvidenza, eÁ un parafulmine che tiene lontani i flagelli dall'umanitaÁ. Egli eÁ una calamita di grazie per tutti. EÁ un tesoro di celesti ricchezze, un angelo che canta la gloria della misericordia di Dio. Oh, po- - - - 57 tessimo anche noi, illuminati dalla fede, capire, non solo in teoria, ma in pratica, la preziositaÁ e il merito della sofferenza! Potessimo capire quanto grandi benefattori sono tutti coloro che soffrono con Cristo! La sofferenza ci rende somiglianti a GesuÁ crocifisso. Le prove e le sofferenze, unite alle sofferenze di GesuÁ, arricchiscono le nostre anime e fanno vivere le opere di Dio. La croce eÁ il sigillo delle opere di Dio. Le anime e le opere di Dio costano tanto e spesso fanno grondare sangue. Nelle prove, nelle sofferenze, nelle pene interne ed esterne, dire sempre: ``EÁ il Signore''. Dobbiamo coordinare la vita presente con la vita futura ed essa, allora, saraÁ come una lieta vigilia di una grande festa. Nei momenti difficili, nelle varie contingenze della vita, nelle inevitabili croci e sofferenze, guardiamo GesuÁ crocifisso e diciamo: Quello che eÁ buono per GesuÁ eÁ buono anche per me. Dobbiamo dimostrare generositaÁ nelle prove. Questa disposizione onora molto il Signore e lo costringe a venirci in aiuto. Che GesuÁ compia sempre e in tutto la sua divina volontaÁ in noi tutti, vivendo come vuole lui, disposti a tutto, ad essere anche stritolati dal torchio del suo amore che eÁ la croce, la sofferenza, pur di fare la sua volontaÁ. Fidiamoci del Signore, ve lo ripeto: crediamo al Signore, con fede ferma, incrollabile, semplice. Mi viene in mente un caro episodio letto anni fa. Una nave eÁ in preda alla tempesta. Tutti i passeggeri sono in ansia e trepidazione per l'imminente pericolo di naufragare. Eppure fra tutti, TESTIMONI CONTEMPORANEI terrorizzati, c'eÁ un bambino che, in una angolo della nave, sta giocando senza nessuna paura. ``Come? Tu giochi? Non hai paura?''. ``C'eÁ mio padre che guida la nave! Perche dovrei temere?''. - Cari e amati fratelli, al timone della nave c'eÁ il nostro Padre celeste. Di che temere? Verranno le tempeste, le difficoltaÁ: niente paura! Il timoniere non falliraÁ il suo compito e noi giungeremo sicuri al porto dell'eterna salute. Disse un'ostrica a una vicina: «Ho veramente un gran dolore dentro di me. EÁ qualcosa di pesante e di tondo, e sono stremata». Rispose l'altra con borioso compiacimento: «Sia lode ai cieli e al mare, io non ho dolori in me. Sto bene e sono sana sia dentro che fuori». Passava in quel momento un granchio e udõÁ le due ostriche, e disse a quella che stava bene ed era sana sia dentro che fuori: «SõÁ, tu stai bene e sei sana; ma il dolore che la tua vicina porta dentro di se eÁ una perla di straordinaria bellezza». E la grazia piuÁ grande, quella dell'ostrica. Quando le entra dentro un granello di sabbia, una pietruzza che la ferisce, non si mette a piangere, non strepita non si dispera. Giorno dopo giorno trasforma il suo dolore in una perla: il capolavoro della natura. 58 D O C U M E N T I ECCLESIA IN EUROPA Esortazione apostolica post-sinodale su GesuÁ Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa Il documento consta di sei capitoli, preceduti da un'introduzione e conclusi con un affidamento alle Vergine Maria. Questo l'ordine dei capitoli: della vita, ``in una societaÁ della prosperitaÁ e dell'efficienza, in una cultura caratterizzata dall'idolatria del corpo, dalla rimozione della sofferenza e del dolore e dal mito della perenne giovinezza'', la cura per i malati deve essere considerata come una delle prioritaÁ. A tale scopo, vanno promossi, da una parte, una adeguata presenza pastorale nei diversi luoghi della sofferenza, ad esempio attraverso l'impegno di cappellani ospedalieri, di membri di associazioni di volontariato, di istituzioni sanitarie ecclesiastiche, e, dall'altra, un sostegno alle famiglie dei malati. OccorreraÁ inoltre essere accanto al personale medico e paramedico con mezzi pastorali adeguati, per sostenerlo nell'impegnativa vocazione a servizio dei malati. Nella loro attivitaÁ, infatti, gli operatori sanitari rendono ogni giorno un nobile servizio alla vita. A loro eÁ richiesto di offrire ai pazienti anche quello speciale sostegno spirituale che suppone il calore di un autentico contatto umano». 0. GesuÁ Cristo eÁ nostra speranza 1. Il vangelo della speranza affidato alla Chiesa del nuovo millennio 2. Annunciare il vangelo della speranza 3. Celebrare il vangelo della speranza 4. Servire il vangelo della speranza 5. Il vangelo della speranza per un'Europa nuova. Se tutto il documento riveste interesse per quanti operano nel mondo della salute, il capitolo quinto li riguarda piuÁ da vicino. Di detto capitolo il paragrafo 88 parla della pastorale dei malati: «Si dia adeguato rilievo anche alla pastorale dei malati. Considerando che la malattia eÁ una situazione che pone interrogativi essenziali sul senso 59 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 A B B I A M O L E T T O P E R V O I I I TANTI DILEMMI DELLA BIOETICA Ornella Scaramuzzi Leone S., La prospettiva teologica in bioetica, Ed. Istituto Italiano di Bioetica, Acireale 2002 ogni atto manipolativo sugli esseri viventi uccide non solo il dono ma Dio stesso fattosi uomo. L'affermazione della vita ruota dunque intorno al quinto comandamento «non uccidere», ma ancor piuÁ intorno alla radicalizzazione della legge riproposta da GesuÁ nel discorso della montagna, ove egli ribadisce l'interiorizzazione e l'estensione del precetto. GesuÁ si schiera per la vita sempre (molti episodi ce lo dicono: l'opposizione alla lapidazione dell'adultera, l'intervento riparatore sull'orecchio del milite tagliato da Pietro) e illumina la metanoia necessaria al cristiano paradossalmente ridimensionando il valore assoluto della vita, a cui antepone il bene spirituale dell'uomo e il bene del prossimo, premettendo l'ordine della caritaÁ all'ordine del culto in un messaggio di liberazione integrale e di salute-salvezza. In questa ottica sono compresi e trattati con acutezza teologicamente fondata e lungimirante apertura normativa, la salvaguardia bioetica della vita dal concepimento alla conclusione naturale della vita, i trapianti d'organo, la rianimazione, le speranze offerte dalle biotecnologie e il pericolo Come guardare alla bioetica oggi e ai tanti dilemmi che essa affronta? La ricerca dell'autore, Salvino Leone, medico, teologo e cofondatore dell'Istituto Siciliano di Bioetica, si propone di sceverare le basi della Sacra Scrittura, della patristica, del Magistero della Chiesa, alla ricerca di una sorgente incontestabile e unificante che superi il dualismo bioetica cattolica bioetica laica. Attraverso un lavoro di enorme valore culturale, storico e teologico, Leone approfondisce i temi a partire dalla spiegazione semantica delle parole, partendo dall'assunto che l'assegnazione di significato deve spolverare i concetti dalla stratificazione delle successive interpretazioni greche, ellenistiche, latine, riformulando il messaggio primitivo. Fondamento del pensiero ebraico eÁ la vita, come corporeitaÁ psicofisica e come pienezza espressiva dell'uomo in quanto dono del Vivente. Anzi, l'Incarnazione ha introdotto tangibilmente Dio nella vita umana, per cui 60 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 ABBIAMO LETTO PER VOI della manipolazione genetica, il problema morale della commercializzazione degli organi e quello della assistenza umanistica a soggetti con handicap o con malattie mentali, nei quali l'ottundimento cerebrale non nasconde la presenza del trascendente, anzi la esalta nella debolezza. Non manca il discorso su sacralitaÁ e qualitaÁ della vita che tanto divide il mondo etico e il richiamo all'uomo custode del creato (Gn 2,15) che getta nuova luce sull'ecologia, al di laÁ di un panteismo orientaleggiante o di tipo new age. L'ultima parte del libro sviluppa i temi cosiddetti di bioetica speciale con costanti riferimenti alle ragioni teologiche delle norme. Interessante il percorso dalla clandestinitaÁ sociale dell'aborto precoce di ieri alla clandestinitaÁ biologica di oggi, con riferimento alla eliminazione di feti sovrannumerari, alla riduzione embrionale, alla contragestazione con la pillola del giorno dopo e la spirale, al vero e proprio aborto in pillola con il farmaco RU 486. Tutto questo tende a rendere impercettibile a livello di coscienza l'atto abortivo stesso banalizzandolo e cioÁ che eÁ peggio normalizzandolo. La diagnosi prenatale dunque non va reclamizzata nei suoi aspetti diagnostici e terapeutici come fosse soltanto una novitaÁ scientifica opportuna e sempre praticabile, «non puoÁ essere semplicemente prescritta al pari di una glicemia o di un esame di urine,» dice Leone, ma va fortemente accompagnata da un discorso fra medico e genitori che possa indirizzarli ad una scelta responsabile nella piena coscienza del- l'atto che stanno per compiere, facendo luce piena sulla prioritaÁ della vita che rimane un mistero di ricchezza donata anche dentro le spoglie dell'imperfezione. Quello della diagnosi prenatale puoÁ essere dunque non uno scontato mezzo per uccidere ma un momento forte per accogliere la vita e per amare. A proposito dei trapianti d'organo, quale migliore incentivazione a sostenerli che il realismo dell'Incarnazione, in cui GesuÁ si dona, o la sua oblazione fino alla morte di croce per la salvezza dell'umanitaÁ, e la comunione eucaristica in cui siamo chiamati a condividere il pane divino che eÁ Cristo stesso? «Anche l'essere umano, alter Christus, che dona parte di se nel trapianto, entra in comunione fisica con l'altro, condividendo non un'esperienza esistenziale ma la stessa organicitaÁ corporea. Il suo corpo si fa corpo dell'altro» (p. 431). La bioetica che si affaccia alle soglie del terzo millennio dovraÁ avere un respiro ecumenico nel rispetto delle tradizioni religiose dei popoli e dunque presupporraÁ la preparazione in tal senso di sacerdoti e operatori pastorali che saranno chiamati a farsi mediatori di scelte nei vari tempi della vita, lõÁ dove la sofferenza si affaccia a mettere in discussione il consueto benessere e ci coinvolge in orizzonti di crescita. Al lettore viene offerto dunque, nel testo, un percorso denso e talvolta complesso nel quale la razionalitaÁ della ricerca si coniuga continuamente con una teologia incarnata e lucida e con una profonda sensibilitaÁ umanistica che catturano l'attenzione e 61 ABBIAMO LETTO PER VOI La vita danza nelle placide acque di laghi che irrorano il cuore spossato del pellegrino assetato di luce. spesso muovono poeticamente il cuore all'amor di Dio. Per questo mi sembra appropriato concludere la mia riflessione cosõÁ come Salvino Leone l'aveva iniziata invitando alla vita con la poesia di Salvatore Privitera, in quanto sintesi immaginifica di tutto il discorso: La vita danza sui morbidi prati che il cielo disseta con piogge colorate dal sole. LA VITA DANZA fra le torri appuntite da sogni mai sbocciati in un frenetico girotondo di verdi colline al grigio confine di rocce senza futuro. La vita danza sempre anche al di laÁ dei confini piuÁ anneriti del tempo. II MENO PRETI, QUALE CHIESA? Per non abbandonare chiese e ospedali Leonardo Di Taranto Della Zanna G., Ronzoni G., Cammini di Chiesa, EDB, Bologna, 2003 Avuto tra le mani, lo leggi con attenzione dalla prima all'ultima pagina e con una biro in mano, e ti accorgi alla fine che molti sono i brani sottolineati in rosso, con qualche interrogativo o freccetta a lato che significano necessitaÁ di ritornare su quei punti per approfondire la riflessione personale e la ricerca su altri testi. EÁ quanto eÁ successo per il libretto di piccole dimensioni e di 151 paginette, pubblicato dalle Edizioni De- Ci sono libri che ti colpiscono subito per il loro titolo provocatorio. Ma lo lasci andare perche «hai altro a cui pensare». Poi lo incontri nuovamente, per caso, recensito in una rivista, ed emerge subito una curiositaÁ che si trasforma in interesse ed in acquisto immediato del testo per potervi sfogliare l'indice e la bibliografia. 62 ABBIAMO LETTO PER VOI 16 regioni ecclesiastiche italiane. Infine, sulla scorta dei risultati di queste analisi, formulano qualche ipotesi sul futuro, prevedendo la consistenza e la struttura per etaÁ dei sacerdoti diocesani italiani fino al 2024. Ne scaturisce una radiografia della situazione pastorale in Italia alla luce della diminuzione lenta e progressiva del clero diocesano (e religioso). Attraverso tabelle e figure, si vengono a conoscere dati interessanti e scientifici: alcuni dati sul clero e i religiosi italiani nel periodo 1969-1998, e specifici dati sulle vocazioni al sacerdozio nei maggiori paesi europei e nei continenti fra il 1976 e il 1996. Ma soprattutto le valutazioni degli autori, colorate di sano ottimismo, sono «sorprendenti»: - La posizione dell'Italia per quanto riguarda le vocazioni al sacerdozio eÁ oltremodo «privilegiata»: eÁ il paese occidentale con maggior numero di vocazioni. Le vocazioni italiane sono il triplo rispetto a Francia, Belgio e Olanda; il doppio rispetto alla Svizzera; molto superiori rispetto a Portogallo, Spagna, Austria e Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. In Europa l'Italia eÁ superata solo da alcune nazioni dell'Est (p.19). - Un altro segnale di vitalitaÁ del ministero ordinato eÁ il rapido incremento dei diaconi permanenti, che superano le 2.000 unitaÁ all'inizio del nuovo secolo (idem). - Le vocazioni al sacerdozio non scarseggiano: solo che i giovani sacerdoti, sia pure in aumento, non sono in grado di sostituire quanti si ritirano per motivi di etaÁ e questa situazione si eÁ venuta a determinare assai ra- honiane di Bologna, nella collana: «Cammini di Chiesa», scritto a quattro mani da due giovani autori: Giampiero Della Zuanna, professore di Demografia all'UniversitaÁ di Padova e collaboratore della Fondazione Nord Est, e Giorgio Ronzoni, presbitero della diocesi di Padova dal 1986, insegnante di catechetica presso la FacoltaÁ teologica dell'Italia settentrionale e direttore dell'Ufficio catechistico diocesano della stessa cittaÁ. EÁ arricchito dalla presentazione di don Domenico Sigalini, puntando la sua riflessione su «Una comunitaÁ cristiana che si sa riprogettare». Quattro sono i capitoli che sviluppano la tematica affrontata: La consistenza del clero italiano tra passato e futuro; Un approfondimento: la diocesi di Padova; Scelte pastorali all'estero e in Italia; Meno preti, non meno Chiesa. Tutti e quattro sono preziosi per gli orizzonti che aprono al lettore sia guardando indietro che guardando in avanti. Ma il primo e l'ultimo risultano a piuÁ ampio respiro e sono correlati l'uno all'altro per le proposte di cambiamento dell'azione pastorale e dei suoi operatori classici e nuovi. Una radiografia della situazione pastorale alla luce della diminuzione dei preti Nel primo capitolo i due autori prima analizzano la consistenza quantitativa del personale ecclesiastico italiano nel tempo, soffermandosi sui flussi di ingresso (ordinazioni) e di uscita (abbandoni e decessi). In un secondo momento conducono un'analisi territoriale, distinguendo fra le 63 ABBIAMO LETTO PER VOI pidamente (p. 21). - La carenza di vocazioni eÁ un concetto dinamico piuttosto che statico, relativo piuttosto che assoluto. Le preoccupazioni attuali sono dovute, sostanzialmente, all'impossibilitaÁ di sostituire metaÁ dei sacerdoti che lasciano la vita attiva (p. 22). - L'impossibilitaÁ di sostituire gran parte dei sacerdoti anziani ha posto quasi improvvisamente la Chiesa italiana di fronte a un bivio: ridimensionare la sua presenza nella societaÁ mantenendo una struttura clericocentrica, oppure mantenere una presenza capillare e articolata, ma modificando linee di comando secolarmente consolidate (idem). nel giro di qualche anno il declino rallenteraÁ e poi si arresteraÁ; e l'etaÁ media dovrebbe iniziare a diminuire giaÁ nei prossimi anni. Tuttavia la vita pastorale e il ruolo dei sacerdoti vanno ripensati e ridefiniti per tre ragioni: il declino quantitativo del clero, sia pure meno accentuato che altrove, saraÁ rilevante; se si vuole che le vocazioni accrescano, eÁ importante che i giovani abbiano davanti a se modelli di vita sacerdotali ben definiti e percepiti come significativi; l'emergenza eÁ giaÁ un dato di fatto e il modello tradizionale sintetizzato nello slogan «almeno un prete per parrocchia» eÁ ormai un lontano ricordo. Quindi sta alla sapienza della Chiesa intera e dei pastori in particolare saper leggere la diminuzione dei sacerdoti come «segno dei tempi», come kairoÁs dello Spirito che invita la comunitaÁ cristiana a vivere un'altra stagione ricca di frutti come la precedente, magari con nuovi modelli d'impostazione della pastorale e nuove figure di operatori. E giaÁ un frutto eÁ maturato: la diminuzione o la persistente scarsitaÁ del numero dei sacerdoti ha permesso la fioritura di una ministerialitaÁ che, con tutta probabilitaÁ, in caso contrario non si sarebbe realizzata (p. 114). Da crisi preoccupante ad evento dello Spirito Dopo il secondo capitolo riservato ai dati derivati ad una indagine riservata alla diocesi di Padova e dopo il terzo capitolo che daÁ uno sguardo sommario a come le altre nazioni hanno sopperito alla diminuzione numerica dei preti, con scelte magari adatte al contesto particolare di esse, e che fa conoscere le esperienze in atto in alcune diocesi italiane con la proposta e la sperimentazione delle UnitaÁ Pastorali (Milano, Piacenza, Udine e Bolzano, Vicenza), i due autori giustamente nell'ultima parte del loro lavoro diventano propositivi. Le loro convinzioni si possono sintetizzare nel seguente ragionamento: nel prossimo futuro in tutte le diocesi italiane ci saranno meno preti, ma se le ordinazioni sacerdotali si manterranno sul ritmo del decennio passato, Che fare? A questo punto della riflessione Dalla Zuanna e Ronzoni si chiedono: «Quali indicazioni possono scaturire dalla storia della nostra Chiesa, dall'analisi dei dati fin qui presentati, dal dibattito in corso e dalle esperienze 64 ABBIAMO LETTO PER VOI della Chiesa nelle corsie ospedaliere, ove si vivono le medesime difficoltaÁ delle comunitaÁ territoriali: quanto viene suggerito per il rinnovamento del servizio pastorale parrocchiale, risulta valido anche per le comunitaÁ ospedaliere. Come per le parrocchie si sta riflettendo e sperimentando sulle «UnitaÁ Pastorali», cosõÁ per il servizio di assistenza religiosa nelle istituzioni sanitarie provvidenzialmente, anche se faticosamente, si sta enucleando la fisionomia delle «Cappellanie ospedaliere miste». A dire la veritaÁ nel testo spesso si fa riferimento al servizio dei malati e delle loro famiglie, da collocare tra gli ambiti pastorali da non trascurare o abbandonare (p. 126.133.134). Anzi non mancano accenni alla pastorale sanitaria e si ricorda che «negli ospedali di Padova i religiosi Camilliani sono affiancati da alcuni operatori di pastorale sanitaria volontari specificamente preparati al dialogo con i malati. I corsi di formazione per questo tipo di operatori esistono giaÁ in Italia e sembra possibile che le aziende ospedaliere possano prevedere di stipendiare alcune di queste persone, constatando il loro benefico influsso sui degenti e forse non solo su di essi» (p.142-143). Il futuro della pastorale della salute nelle istituzioni sanitarie passa ± a me sembra ± necessariamente dalla nascita e dalla sperimentazione della Cappellania ospedaliera mista: i primi germogli ci sono, ma sono indispensabili l'aiuto dello Spirito e il coraggio dei Pastori per percorrere i canali per la moltiplicazione delle delle Chiese sorelle?» (p.115). Seguono le pagine piuÁ interessanti sia perche propositive sia perche le suggestioni sono fondate teologicamente, sia pure in abbozzo. Tutto il discorso del prossimo futuro ruota intorno a quattro interrogativi: Che tipo di servizio vuole garantire la nostra Chiesa al territorio in cui vive?; Quale organizzazione territoriale ottimale ne consegue?; Nello svolgimento di questo servizio quali compiti sono da affidare ai sacerdoti?; Quali invece da affidare ad altri operatori pastorali? Il susseguirsi del discorso si fa stringente, concretissimo, sottolineando i benefici e non sottacendo le difficoltaÁ inerenti le scelte coraggiose da compiere. Non possiamo rendere conto dei numerosissimi elementi che sono presi in considerazione per ognuno dei quattro succitati interrogativi, delle prioritaÁ pastorali che attendono risposte profetiche, della necessaria capillaritaÁ territoriale e della specializzazione, dei «coordinatori delle comunitaÁ». Ma non posso non accennare ad un nodo ritenuto giustamente strategico dai due autori: la necessitaÁ prioritaria della formazione permanente dei presbiteri e dei nuovi operatori pastorali per imparare a lavorare in eÂquipe, perche cioÁ costituisce il punto di partenza di ogni ulteriore passo in avanti. La grazia della Cappellania ospedaliera Il libro mi eÁ sembrato valido, perche ha rafforzato alcune convinzioni personali ed ha fatto maturare in me alcune considerazioni circa il futuro 65 ABBIAMO LETTO PER VOI spressione del card. Martini» (p. 131). PercioÁ possiamo concludere sottoscrivendo quanto affermano i due autori nell'ultima pagina del loro stimolante lavoro: la nuova pastorale non consiste nel «sostituire i preti con i laici, ne di rivoluzionare la presenza della Chiesa nel territorio. Tuttavia ogni diocesi italiana dovrebbe iniziare un cammino riformatore. EÁ un cammino difficile, ma pieno di possibilitaÁ. Ogni diocesi puoÁ partire dalla sua storia, dalla sua situazione vocazionale (religiosa e laicale) e dalle esperienze maturate nelle chiese sorelle per mantenere o meglio intensificare una presenza ecclesiale di popolo, richiesta e desiderata dai cristiani praticanti e dalla grande maggioranza degli italiani. Per rendere piuÁ umana e vivibile la societaÁ italiana» (p. 147). esperienze pastorali specifiche: la formazione di base e permanente dei Cappellani (da ricordare: il Camillianum di Roma ed i Centri diocesani di pastorale sanitaria); la scelta di diaconi, religiose, laici e laiche che debitamente preparati come i presbiteri possano operare con un lavoro progettuale ed in eÂquipe; la distribuzione dei compiti con le responsabilitaÁ anche giuridiche di ciascuno; l'inquadramento economico per chi viene impegnato a tempo pieno; la professionalitaÁ e la specializzazione di alcuni settori pastorali. In sintesi, con le UnitaÁ Pastorali nelle parrocchie e con le Cappellanie ospedaliere miste nella SanitaÁ si tratta di «restituire ai laici, ai religiosi e ai diaconi quegli incarichi e ministeri che i presbiteri hanno esercitato al loro posto come supplenti secondo l'e- EÁ certamente piuÁ ecclesiale portare l'aiuto dell'evangelizzazione, della grazia sacramentale, della caritaÁ cristiana, del fatto redentivo ai pazienti attraverso sacerdoti, diaconi, religiosi/e, laici che non attraverso il solo cappellano... Al punto che, se anche i sacerdoti non mancassero, noi dovremmo preferire questa formula a quella che vede solo i cappellani operare nell'ospedale. 66 N O T I Z I E I Convegno Nazionale dei Direttori degli Uffici Diocesani per la Pastorale della SanitaÁ Don Roberto Vesentini Amici da tutta Italia, uniti dalla passione del Regno di Dio aperto ai malati e ai sofferenti, si sono ritrovati a Chianciano per l'annuale Convegno dei Direttori degli Uffici Diocesani per la Pastorale della Salute, organizzato dall'Ufficio Nazionale per la Pastorale della SanitaÁ della CEI che aveva come tema: «Parrocchia, comunitaÁ sanante» diritto e la giusta destinazione (figlio amato da Dio) ad ogni persona». Una sfida lanciata dal nuovo presidente alla parrocchia eÁ di «ritrovare il suo compito: essere la mano di Cristo vicino al sofferente». Conversione comunitaria: una pastorale attraversata dalla caritaÁ A Mons. Alessandro Plotti, Arcivescovo di Pisa e Vicepresidente della CEI, eÁ stato richiesto di introdurre l'assemblea nel tema: «Parrocchia, comunitaÁ sanante» e ha entusiasmato per la sua chiarezza e concretezza. Tre i punti della sua relazione. Il primo: eÁ partito da un'analisi della comunitaÁ cristiana: «La parrocchia non eÁ piuÁ in grado di rispondere ai bisogni, non si puoÁ solo idealizzarla, occorre vederla nella sua realtaÁ, tenendo conto che non si coniugano piuÁ territorio e comunitarietaÁ. Ci sono allora tentativi di rispondere alla crisi e si sente parlare di unitaÁ pastorali o di interparrocchialitaÁ. Ma la parrocchia resta un'agenzia sacramentale e non eÁ missionaria. Ci vo- Accogliere il malato eÁ un assoluto Al Direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale della SanitaÁ, Mons. Sergio Pintor, ideatore e anima del Convegno, eÁ toccato il compito di aprire i lavori ponendo subito i termini su cui confrontarsi: parrocchia, ospedale, territorio con il malato al centro. Ha poi dato uno speciale benvenuto al nuovo Presidente della Commissione per il servizio della caritaÁ e della salute Mons. Francesco Montenegro, il quale ha illuminato l'assemblea con forti e incisive affermazioni: «Per la Chiesa accogliere il malato eÁ un assoluto e l'accoglienza ha un punto d'arrivo: ridare dignitaÁ, 67 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 NOTIZIE gliono modelli nuovi di comunitaÁ, nuove forme di presenza: comunitaÁ che sanano, salvano, aggregano, educano, stimolano, si fanno carico dei bisogni, camminano nella fede e nell'amore. Occorre quindi una conversione pastorale, oltre che culturale e strutturale, occorre aprirsi, non piuÁ ripiegarsi e rinchiudersi in se stessi. La parrocchia eÁ il luogo dell'incontro e della comunione». Mons. Plotti ha continuato il suo intervento con una seconda riflessione: la parrocchia tra parzialitaÁ e globalitaÁ. Si vive molta parzialitaÁ. In una parrocchia ci sono 100 bambini che frequentano l'incontro di catechesi, solo 20 partecipano all'Eucarestia domenicale e magari nessuno eÁ educato a visitare i malati o ad aprirsi ai poveri. Bisogna ricuperare la globalitaÁ nel senso che la caritaÁ abbia una lettura trasversale di tutta la pastorale, sia il cuore della pastorale. I malati allora diventano il banco di prova di un cammino di fede. L'ultimo punto: la parrocchia eÁ fatta di persone che vivono in un territorio. Conoscono i problemi del territorio? Se ci si ferma a dei servizi, la comunitaÁ muore, viene sempre meno gente; se si prendono a cuore i bisogni e ce se ne fa carico, la comunitaÁ vive. L'Arcivescovo di Pisa ha concluso cosõÁ: «Troviamo il modo di esprimere questa vicinanza». Si sono poi succeduti molti relatori, medici, infermieri, amministratori, cappellani, parroci che portando idee ed esperienze hanno aiutato a comprendere a fondo le problematiche legate al malato che vive (poco) in ospedale e quasi sempre a domicilio, ma anche a riscoprire le risorse e le speranze che in un lavoro d'insieme possono portare frutti nel mondo della salute e della malattia. «Andate, annunciate, prendetevi cura» In questa panoramica chi ha meglio concretizzato il tema del convegno eÁ stata Rosabianca Carpene, una volontaria in parrocchia. Ella ha sostenuto che la comunitaÁ cristiana diventa sanante se prima si accorge delle persone che vivono al suo interno: malati gravi, cronici, persone anziane in situazione di bisogno, di malattia, di solitudine, talvolta non autosufficienti, persone con malattie psichiche, persone con disabilitaÁ, persone provenienti da altri Paesi, e poi legge i loro bisogni, i disagi, le carenze dei servizi, le difficoltaÁ. In questa situazione concreta risuona l'invito di GesuÁ: «Andate, annunciate il vangelo, prendetevi cura dei malati» (cfr Mt 10, 6-8). Ai fedeli che animano la parrocchia giunge la chiamata di incarnare e testimoniare la Parola che diventa visita e prossimitaÁ, ascolto e amicizia, condivisione, servizio, preghiera; di sensibilizzare le persone di tutta la comunitaÁ verso chi soffre; di proporre iniziative di formazione, di accogliere i malati per riscoprire il loro posto e il loro `magistero'; di esprimere nel quotidiano lo stile della relazione, come segno della comunione, di porre gesti concreti che annunciano e realizzano. CosõÁ la comunitaÁ testimonia l'amore e la salvezza che continua a ricevere dal suo Signore. 68 NOTIZIE Interessanti le relazioni sui Ministri straordinari della Comunione Eucaristica che oltre a prospettare una stretta collaborazione tra gli Uffici Liturgici e della Pastorale della Salute, hanno sottolineato che la visita dei Ministri, ben preparati, risulta una presenza viva e continua della Chiesa presso i malati. Si eÁ fatto un cenno alla comunitaÁ cristiana nel rapporto con i malati mentali presentando lo strumento di lavoro «Un dolore disabitato», preparato da un gruppo congiunto della Caritas e dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale della SanitaÁ. fisica, psicologica, sociale, spirituale e trascendente ed eÁ importante saper integrare l'azione pastorale con quella sanitaria e familiare. Una pastorale organica, rinnovata, programmata Al centro della pastorale c'eÁ GesuÁ Cristo, ha sostenuto Mons. Monticelli, con il suo esempio e il suo comando. I cristiani sono chiamati ad annunciare, con la vita e con la Parola, il Regno e la sua salvezza, prendendosi cura dei malati. L'azione evangelizzatrice eÁ sempre collegata con l'azione terapeutica. Visitare i malati deve diventare un vero impegno per chi vuole seguire Cristo. Nella visita sono attuabili i verbi della parabola del buon samaritano, vedere, avvicinarsi, aver compassione, prendersi cura, condividere. (Cfr Lc 10,25-37). Ecco alcuni orientamenti utili. Attuare il passaggio da un atteggiamento ascetico di fronte alla malattia (una pia rassegnazione) all'atteggiamento di caritaÁ pasquale, come anche di lotta contro la malattia, e d'altra parte giungere fino al superamento di considerare il malato sono una passivitaÁ. Il sofferente va inserito nella comunitaÁ per vivere in piena comunione. L'accoglienza della comunitaÁ saraÁ di una costante presenza, di amicizia, di proposta della Parola di Dio, di preghiera e di offerta dei sacramenti. Lo stile pastorale deve passare dall'assistenzialismo alla promozione della persona sofferente, nello stile dei dare (tempo, servizio, cura) e del ricevere perche la malattia eÁ pedago- Orientamenti e prospettive Mons. Italo Monticelli, di Milano, ci ha proposto una pagina stupenda di pastorale della salute che ha avuto una premessa e alcuni punti fondamentali. Nella premessa ha precisato che in un clima di rinnovamento c'eÁ da prendere coscienza che la comunitaÁ cristiana eÁ il soggetto primario della pastorale sanitaria, tutti i membri ne sono coinvolti. La pastorale della salute va immessa percioÁ sempre piuÁ nella pastorale ordinaria in modo che accanto all'aspetto diurno della comunitaÁ (bambini, giovani, adulti, oratorio, scuola, lavoro, famiglia) si sviluppi l'aspetto notturno (malati, disabili). Il fatto nuovo, che si allargheraÁ sempre piuÁ, eÁ che aumenteranno i malati nel territorio e quindi nelle nostre parrocchie ci saranno malati oncologici, terminali, mentali, non-autosufficienti. EÁ ormai acquisita che la cura del malato deve essere globale: 69 NOTIZIE piuÁ solo dalla cattedra, ma da un letto, hanno parlato non della sofferenza, ma del loro dolore, perche stanno vivendo il travaglio quotidiano di imparare a fare la volontaÁ di Dio, lottando con la malattia per non subirla e nello stesso tempo scoprendola come luogo dove si manifesta la redenzione. Avvertono la vicinanza di Dio, soprattutto quando sanno mettere il dolore nella preghiera, e nel trovare il significato profondo della sofferenza la vivono come una vocazione che trasforma la vita. Commovente il sentir dire quanto sono importanti gli amici e le persone che vogliono loro bene nei momenti di buio. gia per tutti. La formazione, la progettualitaÁ (con le finalitaÁ evangeliche), la comunione, la territorialitaÁ, la domiciliaritaÁ e la collaborazione sono gli orizzonti di una pastorale che vuole rendere attuale l'azione di GesuÁ. In ogni diocesi ci sia l'Ufficio di pastorale della salute o un organismo simile, e una Consulta che possono attuare le linee di sensibilizzare le comunitaÁ, di formare gli operatori, di stare accanto ai malati. In ogni parrocchia, oltre il prendersi cura, si formino, attraverso dei progetti di catechesi, le varie categorie di persone. In ogni ospedale si senta il soffio della missionarietaÁ fatta di vicinanza, di relazione, di ascolto, di rispetto, non riducendo l'azione pastorale ai sacramenti, che dovrebbero diventare la meta finale dell'evangelizzazione. Molto eÁ facilitato dalla valorizzazione della Giornata Mondiale del Malato, cercando di attuare le indicazioni offerteci dal Papa per celebrarla degnamente non solo nell'aspetto cultuale, ma anche culturale e sociale. Mons. Monticelli ha concluso indicando nei piccoli ma significativi passi il cambiamento della pastorale sanitaria, soprattutto nella direzione della condivisione e dell'amore ai sofferenti. Conclusione La conclusione eÁ di Mons. Sergio Pintor che possiamo riassumere cosõÁ: Siamo comunitaÁ sanante quando riscopriamo continuamente di essere sanata. Siamo comunitaÁ sanante quando cogliamo l'essenziale, in un atteggiamento di umiltaÁ, fatta di dialogo, di ascolto e di collaborazione. Chi eÁ umile sa amare e si fa amare. Siamo comunitaÁ sanante se non ci isoliamo e se ci incarniamo nella realtaÁ. Siamo comunitaÁ sanante se la missione di GesuÁ diventa per noi compito di andare, annunciare e guarire. Mons. Sergio, facendosi poi eco di una figura straordinaria di Vescovo, Ugo Donato Bianchi, presidente della Consulta nazionale per la pastorale della sanitaÁ, morto cinque anni fa, che ha percorso la via della santitaÁ con una grande passione per i malati, lui stesso malato per tanti anni, ha Una perla del Convegno EÁ stato vissuto un momento straordinario quando si sono ascoltate le testimonianze di due vescovi malati, Alberto Abbondi, vescovo emerito di Livorno e Vincenzo Savio vescovo di Belluno-Feltre. Maestri e pastori non 70 NOTIZIE lanciato una sfida: Svegliati Chiesa, perche il grido dei poveri non puoÁ attendere. Il Convegno ci ha svegliati per narrare l'amore di Dio a tutti i sofferenti con i mille linguaggi della caritaÁ. II Iniziativa di un Consiglio Pastorale Ospedaliero (CPO) Tra i compiti piuÁ importanti di un CPO c'eÁ certamente quello di discernere comunitariamente la realtaÁ alla luce del Vangelo e di progettare passi per l'umanizzazione e l'evangelizzazione. Il CPO dell'Ospedale di Borgo Trento a Verona in quest'anno sociale (20022003) ha colto nella sua analisi un profondo disagio vissuto dagli operatoti sanitari e ha cercato di muoversi per portarlo all'attenzione dei responsabili. Il risultato piuÁ evidente di questo impegno eÁ stata una lettera mandata ai Direttori (generale, sanitario e amministrativo) dell'Azienda Ospedaliera. E' stato un risultato faticoso e lento, che ha messo in luce le diverse prospettive e mentalitaÁ delle persone del CPO e la necessitaÁ della mediazione. La lettera eÁ stata spedita nel mese di Luglio e le prime risonanze che ci sono giunte sono state positive: i Direttori hanno colto il messaggio e ci hanno fatto capire che eÁ un problema che sta a cuore anche a loro. Non sappiamo, peroÁ, con certezza i futuri sbocchi e le eventuali collaborazioni. Presentiamo ai lettori di «Insieme per servire» questa lettera per mostrare un piccolo ma importante frutto del lavoro del CPO e per richiedere altre iniziative dei vari CPO sul tema del disagio o su altre questioni. Verona, 1 luglio 2003 Azienda Ospedaliera Borgo Trento Al Direttore Generale Al Direttore Sanitario Al Direttore Amministrativo le che, composto da piuÁ di una ventina di persone, rappresenta la comunitaÁ cristiana dell'ospedale di Borgo Trento. Ci incontriamo regolarmente per discutere delle situazioni che vivono i malati, i familiari e gli operatori sanitari in questo nostro ambiente nella prospettiva della comprensione e della responsabilitaÁ che ci viene dal Oggetto: nota informativa del Consiglio Pastorale Ospedaliero EÁ da vari anni che eÁ presente in questa Azienda un Consiglio Pastora71 NOTIZIE nostro Signore GesuÁ. In questi ultimi mesi nei nostri incontri abbiamo affrontato un problema che ci sta particolarmente a cuore e che portiamo alla Sua attenzione animati esclusivamente da spirito costruttivo. Siamo preoccupati e vogliamo esprimere vicinanza a tutti quelli che cercano di mettere mani e cuore nel miglioramento dei servizi alla persona: per questo avraÁ il nostro appoggio incondizionato. Sappiamo che quello che diremo l'avraÁ giaÁ sentito altre volte e da piuÁ voci, ma crediamo che anche il nostro parere e la nostra preoccupazione possano aiutarla a fare luce sulla realtaÁ. Avvertiamo da piuÁ parti e da piuÁ persone un profondo disagio negli operatori sanitari, soprattutto tra gli infermieri (ma non solo). EÁ il disagio di non riuscire a fare bene il proprio lavoro, di dover sempre correre senza la necessaria serenitaÁ nel seguire i malati come si dovrebbe. Non sono solo gli infermieri a dircelo, ma lo avvertono anche i medici, i cappellani e persino i volontari. EÁ un disagio che ha accentuazioni diverse da reparto a reparto, ma che si respira dappertutto e che priva l'ambiente di quella serenitaÁ necessaria al paziente ed al personale, a qualsiasi livello. Il motivo di questa situazione per noi eÁ da cercarsi soprattutto nell'insufficienza numerica del personale, che in questi anni, con i vari blocchi delle assunzioni, ha portato ad evidenti squilibri e ad un'assistenza di minor qualitaÁ professionale e umana verso i malati. Il clima eÁ aggravato anche dalle incertezze sui progetti di riorganizzazione. Siamo consapevoli che sono problemi che coinvolgono tanti aspetti, tra cui le politiche sanitarie nazionali e regionali, la disponibilitaÁ delle risorse economiche, i percorsi formativi degli operatori sanitari, la loro valorizzazione, le comunicazioni tra Azienda e personale, l'odierna cultura della salute. EÁ un problema che dipende anche dall'organizzazione del lavoro e dei reparti. A questo proposito abbiamo discusso insieme sulle varie esperienze dei nostri reparti, e ci siamo accorti che dove c'eÁ maggior dialogo tra medici ed infermieri si vive minor disagio e l'assistenza al malato eÁ piuÁ attenta. Questa sottolineatura non toglie il problema dei carichi di lavoro individuali, ma ci aiuta a comprendere come le soluzioni devono andare ad abbracciare vari aspetti. Siamo preoccupati, ma anche pronti e disponibili a collaborare. Ci sentiamo liberi di esprimere queste idee, anche perche non abbiamo altri scopi se non il bene degli operatori sanitari, dei malati e dell'Azienda Ospedaliera stessa. Siamo pronti a sostenere, per quanto ci compete, la Sua amministrazione per cercare concrete e possibili soluzioni. E a Lei personalmente l'augurio di un buon lavoro in questa Azienda Ospedaliera cosõÁ complessa ed impegnativa, ma ricca di professionalitaÁ e di spirito di servizio. Per il Consiglio Pastorale p. Giacomo Bonaventura (responsabile della cappellania) 72 NOTIZIE III Funerali a Parma non in ospedale, ma solo nelle parrocchie Quinto Cappelli (Da «Avvenire», agosto 2003) Inoltre il funerale eÁ un momento di grande importanza umana e cristiana da celebrare comunitariamente e in pubblico, non in fretta e furia e nel modo piuÁ nascosto possibile per nascondere la morte, caratteristica tipica della nostra attuale cultura». Qualcuno aveva giustificato il funerale nella chiesa dell'ospedale per motivi pratici, fra cui le difficoltaÁ dei cortei di macchine ad entrare nel centro storico, la scarsitaÁ di parcheggi nei pressi delle parrocchie del centro o la scarsitaÁ dei vigili per dirigere il traffico. Allora la Curia ha firmato un protocollo d'intesa col Comune di Parma, sottoscritto pure dalle pompe funebri. Tale accordo prevede: «Il rifiuto di ricorrere agli oratori dei cimiteri per celebrarvi i funerali, l'impegno di reperibilitaÁ da parte dei parroci, l'abbattimento delle barriere architettoniche nelle chiese per la sicurezza dei lavoratori, la necessitaÁ di concordare gli orari coi famigliari e con i parroci, la collaborazione con la polizia municipale per lo svolgimento dei cortei, il mantenimento delle stesse tariffe e l'individuazione di aree per la sosta del carro funebre e per il parcheggio». Nel 2002 si sono svolti nella chiesa dell'ospedale civile di Parma oltre 500 funerali, una media di quasi due esequie il giorno. CosõÁ i Padri Cappuccini hanno scritto al vescovo, facendo notare che sono «i cappellani dei malati, non dei morti». Il problema era giaÁ stato esaminato dai parroci cittadini una decina d'anni fa, concordando di destinare l'uso della cappella dell'ospedale «solo in casi particolari». La situazione eÁ stata affrontata dai consigli pastorali di zona delle parrocchie cittadine (formate da 130mila abitanti) e poi dall'assemblea dei parroci. Quindi il vescovo diocesano, Cesare Bonicelli, ha emanato alcune disposizioni, comunicate ai parroci da una lettera del vicario generale, don Giulio Ranieri. In sostanza, il vescovo chiede ai parroci che i funerali nella chiesa dell'ospedale (come anche nella cappella del cimitero) tornino a essere un'eccezione, «riportando la comunitaÁ parrocchiale al centro d'ogni momento della vita». Spiega il vicario generale: «Per qualsiasi defunto, le esequie, come dice il Codice di diritto canonico, devono essere celebrate di norma nella chiesa della propria parrocchia. 73 NOTIZIE IV Notizie interessanti, utili, curiose * Una laurea per educatori alla salute Alla facoltaÁ di scienze della formazione dell'UniversitaÁ dell'Aquila sono state attivate due nuove lauree in Educatori Scienze della religione ed Educatori alla salute. Per ulteriori informazioni: e-mail: [email protected], tel. 0862-432169, fax 062432170 (cfr. Vita pastorale, mensile per operatori pastorali, n. 8-9/2003, pag. 20). monsignor Gabriele Mana (cfr. Idem, pag. 21). * Dieci buone notizie sullo stato sanitario in Italia Il Ministro della Salute, Girolamo Sirchia nella «Relazione sullo stato sanitario del paese 2001-2002» ha evidenziato alcune buone notizie e ne ha elencato le dieci piuÁ importanti: - Viviamo piuÁ a lungo - Anziani piuÁ attivi e in buone condizioni - Sempre piuÁ bambini nascono sani e si mantengono in salute - Le donne italiane fruiscono di un buon livello di assistenza in gravidanza - Aumenta la sopravvivenza in caso di tumori - Raddoppiato negli ultimi dieci anni il numero dei donatori di organi e di tessuti - Anche nelle donazioni di sangue si regista un aumento - Numerose malattie infettive sono sotto controllo grazie ai vaccini - C'eÁ piuÁ sicurezza sulla tavola degli italiani - Tutti gli operatori sanitari hanno l'obbligo della formazione permanente. * Dopo la palestra si prega A West Palm Beach (Florida, USA) eÁ stata aperta in luglio una «Lord's Gym», una palestra del Signore. Dopo gli allenamenti ci si raduna per pregare: «Il nostro corpo eÁ tempio di Cristo. Dio ci vuole fisicamente in forma», ha spiegato un'impiegata, «inoltre qui posso portare mia figlia sedicenne senza che diventi oggetto di troppe attenzioni» (cfr. Idem, pag. 21). * Aperitivo dopo la messa Lo avevamo giaÁ visto nella Svizzera tedesca e in qualche parrocchia nostrana: dopo la messa domenicale ci si ferma a prendere «Un aperitivo dal Don», come dice un poster fatto affiggere da don Luigi Bellotti a Valdengo (Bi). Si fraternizza, si brinda e si ascolta anche qualche invitato: il primo eÁ stato il vescovo di Biella, (cfr. PANORAMA della SANITAÁ, settimanale di informazione e documentazione sanitaria, n. 30 agosto 2003, pag. 5). 74 NOTIZIE Incontro suore assistenti religiose L'incontro, data l'attualitaÁ del tema, eÁ aperto anche a religiose interessate che svolgono altri servizi o ministeri, in particolare nel mondo della salute. L'A.I.Pa.S. (associazione italiana di pastorale sanitaria) in collaborazione con l'Istituto delle Suore di CaritaÁ delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa (suore di Maria Bambina), come da consuetudine, ha programmato il VII incontro per le suore che svolgono il servizio come assistenti religiose nelle strutture sanitarie. Per informazioni e l'invio del deÂpliant, mettersi in contatto con: * Nardin suor Adriana Via Quadronno, 7 - 20122 MILANO Tel.. 02.58389662 (ore serali) E-mail [email protected] [email protected] Il tema trattato in quest'incontro, che si svolgeraÁ il 9-11 marzo 2004, a Verona, saraÁ: Sede dell'incontro Centro Monsignor Carraro Lungadige Attiraglio, 45 VERONA Tel.045.915877 La vita consacrata e «ministero di consolazione». (2 Cor. 1. 3 - 5) Il relatore, padre Giuseppe CinaÁ, camilliano e preside dell'Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria «Camillianum», svolgeraÁ il tema in quattro punti: 1. Salute, malattia, guarigione nella Sacra Scrittura. 2. L'attuale contesto della societaÁ secolarizzata nel mondo della salute: limiti e opportunitaÁ per la fede cristiana. 3. «Rapporto tra il «ministero di consolazione» e la «consacrazione». 4. La «vita consacrata» e la sua missione nel mondo della salute: «comunitaÁ sanata» e «comunitaÁ sanante». 75 S E Z I O N E B I B L I O G R A F I C A A cura di Ornella Scaramuzzi re, dalle nostre imperfezioni, opportunitaÁ di crescita e di cammino verso la Sua armonia e la Sua Pace, disarmandoci interiormente e restituendoci la libertaÁ. Le vie di conversione, analizzate per ogni tipo, attraverso l'applicazione della teoria della frecce e di quella delle ali, chiariscono che ogni persona ha bisogno per crescere in se stessa di quell'energia che in un'altra personalitaÁ ha espressione piuÁ ampia, sottolineando la reciprocitaÁ e l'interdipendenza che esiste fra uomini piccoli e parziali. Segnalo questo libro dunque, come strumento per far luce su se stessi e muoversi con comprensione attiva e compassione fraterna in una umanitaÁ che ci completa e ci arricchisce continuamente. 1. ROHR R. ERBERT A., Scoprire l'enneagramma. Alla ricerca dei nove volti dell'anima, San Paolo, Cinisello B. (MI), 1993. Conoscere se stesso eÁ l'interrogativo che l'uomo si pone dal momento in cui viene al mondo. Spesso peroÁ nel vivere sociale attuale questa ricerca eÁ offuscata dall'abitudine di massa di «fare», «agire», «prendere». Prima o poi ci si invischia in situazioni difficili e incomprensibili a se stessi, in disagi esistenziali, in conflitti con gli altri a volte quotidiani, quando non intervengono invece malattie del corpo a significarci la malattia dell'anima. Rohr, francescano, ed Ebert, pastore luterano, scrivono un libro a due voci, presentando l'enneagramma, antico strumento per la ricerca dell'armonia interiore e per la guida spirituale come insegna la tradizione dei maestri orientali sufi. L'applicazione di tale strumento in ambito cristiano permette al lettore di conoscere le passioni di ogni tipo enneagrammatico che corrispondono ai 7 vizi capitali, a cui si aggiungono la paura e l'inganno. Di qui partono gli autori per far breccia nelle maschere cristallizzate dell'umanitaÁ e scoprire i meccanismi di difesa, le trappole, i doni o frutti dello Spirito. In ogni tipologia ci sono tessere del volto intero di Cristo, ed ecco che ciascuno puoÁ approfondire i lati psicologicamente e spiritualmente oscuri di se stesso e fare l'esperienza dell'amore incondizionato di Dio che eÁ capace di trar- O.S. 2. NERI F., Una bussola e tre pietre bianche, Ed. Insieme, Terlizzi (Ba) 2003 L'autore, frate cappuccino di S. Fara a Bari, che ha giaÁ approfondito in altro testo la spiritualitaÁ di don Tonino Bello, ci offre in questo libro una correlazione intensa tra il cammino interiore del Vescovo di Molfetta e quello del padre della fraternitaÁ cappuccina. Tonino Bello infatti, figlio di madre terziaria francescana, aveva emesso la professione nell'ordine francescano secolare di Alessano il 1 gennaio 1962; ma il suo legame era soprattutto esistenziale, perche fondato su quattro pilastri di libertaÁ vissuti dal Santo di Assisi: 1) pover76 Insieme per Servire n. 57 - Anno XVII n. 3 - Luglio-Settembre 2003 SEZIONE BIBLIOGRAFICA taÁ, come libertaÁ dalla manipolazione massmediatica e informatica da cui invece l'uomo moderno eÁ sempre piuÁ controllato; 2) minoritaÁ intesa come libertaÁ di servire e libertaÁ dalla pretesa di dominare gli altri e quindi dall'ideologia del potere. («Non sappiamo lavare i piedi. Sappiamo solo lucidare le scarpe per raggiungere il potere»); 3) itineranza come libertaÁ di comunione con tutti, rinunciando alle programmazioni statiche, con la convinzione piena della nostra infinita precarietaÁ; 4) annuncio del Vangelo come libertaÁ di ricercare il contatto con Dio nella vita, sfuggendo al materialismo imperante. Al centro della bussola di don Tonino c'eÁ Cristo come ogni innamorato ha al centro della propria esistenza la persona amata e Cristo, uomo in senso radicale, eÁ modello per i sacerdoti perche «il corpo eÁ il cardine della salvezza, la feritoia attraverso cui l'opera salvifica di Dio entra nelle arterie della storia». La bussola ha poi a nord il grembiule, a sud l'arte di chiamare per nome rispettando e amando l'identitaÁ di ciascuno, ad ovest il cuore puro che rende puri i nostri sensi e la mente, ad est il dialogo nella cortesia che apre alla pace nel mondo. Infatti il dialogo di GesuÁ con la samaritana travalica i limiti del sesso, della diversitaÁ di culto e di costumi. Infine le tre pietre bianche sono la benzina nel cammino umano: 1) la gioia che nasce dalla risurrezione e genera speranza cristiana; 2) la bellezza di Dio, vera luce, della quale la natura e gli uomini sono il riflesso tangibile; 3) l'accettazione del proprio limite, come capacitaÁ di integrare il negativo, di saper chiedere aiuto agli altri e continuare a irradiare fiducia e coraggio anche nella sofferenza personale piuÁ grave. In questo, io vedo la morte cristiana non come sacrificio ma come attesa della mano di Cristo che viene a prenderci sulla soglia della vita terrena. Perche leggere dunque questo libro? Perche la bussola e le tre pietre bianche di S. Francesco e di don Tonino Bello possono realmente farci gustare la vita e unificare in noi senso e azione in tutti i campi professionali. O.S. 3. NOUWEN H., Muta il mio dolore in danza. Vivere con speranza i tempi della prova, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2003 Come si vive della speranza che non muore? L'autore olandese de Il guaritore ferito, sacerdote e scrittore, guida spirituale di comunitaÁ che assistono disabili fisici e psichici, prova a spiegarsi la frase evangelica: «Beati gli afflitti, perche saranno consolati», giungendo a suggerire: «Lascia che Dio ti conduca per mano attraverso la sofferenza, qualunque essa sia, e ti introduca nella gioia della danza attimo per attimo, nel vortice della sua grazia». Nouwen analizza i cinque movimenti che ci aiutano a superare i tempi della prova: a. Dal nostro piccolo Io a un mondo piuÁ vasto, imparando a vivere il confronto con le nostre debolezze e gli ostacoli quotidiani come mezzo per operare delle scelte. CosõÁ le barriere, le perdite sono opportunitaÁ che la Grazia ci offre per oltre-passare le difficoltaÁ e crescere. b. Dall'aggrapparsi al lasciare la presa. L'armonia di un salto nasce spesso dalla necessitaÁ di lasciare il contatto con alcune precedenti certezze. c. Dal fatalismo alla speranza. Quando consideriamo che tutto nella nostra esistenza eÁ effimero e puoÁ morire, dobbiamo puntare gli occhi in Cristo che ci daÁ 77 SEZIONE BIBLIOGRAFICA ne, che eÁ sempre anche contraffazione, farsa». E ancora: «Non riesco a immaginare due volti insieme nel dolore. Il dolore eÁ solitudine ». Nella negazione del valore della condivisione del dolore (che invece puoÁ sanare le ferite), si sente quasi un piacere estetico e lucido di una sofferenza cosmica e insolvibile che nega la speranza. Una razionalitaÁ disincantata pervade tutto il saggio, ammirevole, quando non si chiude in certi luoghi comuni e in vicoli senza sbocchi, perche parte da una aprioristica, consolidata negazione della esistenza di Dio. A volte si fa quasi fatica a leggere il testo, peraltro molto scorrevole e logico, per la sua enfasi realistico-pessimistica e tuttavia proprio per questo stimolerebbe l'incontro faccia a faccia con l'autore quasi per scambiarsi per un po' gli occhiali di lettura della vita. A me sembra che gli operatori pastorali debbano impegnarsi in questa lettura che chiarisce come a volte l'ipertrofia della mente non basti a soddisfare la ricerca del cuore. Nell'ultimo capitolo si fa poi un cenno razionale alla gioia, classificandola in due tipologie: quella dei sensi e quella della mente. Mi piace quando dice: «La gioia va letta al positivo, come raggiungimento di modalitaÁ d'esistere, di esserci avendo senso, senso per qualcuno». E ancora: «La gioia eÁ una costruzione che si compie momento per momento nel coraggio della coerenza, che significa magari perdere per il pubblico, ma vincere per la propria coscienza, che eÁ la memoria continua del proprio esserci». Ma c'eÁ una felicitaÁ profonda che nasce anche nel dolore, perche radicata in un cuore semplice che sa amare, sa essere paziente e nello stesso tempo forte e sa apprezzare con umiltaÁ anche le piccole cose. Solo cosõÁ eÁ possibile anche per- la vita eterna per uscire dal vicolo cieco del fatalismo e affrontare le avversitaÁ con volontaÁ di guarigione. d. Dalla manipolazione all'amore. La relazione interpersonale vissuta bene eÁ rappresentata da due mani giunte, in atto di preghiera. Esse sono a contatto ma additano altro da seÂ, amando e rispettando l'alteritaÁ. CosõÁ la compassione di GesuÁ guariva perche non subiva la tentazione dell'Io ma si rapportava a Dio nella solitudine della preghiera. e. Da una morte angosciata a una vita gioiosa. «La fede ci chiede di abbandonarci e credere che in qualche luogo, in qualche modo Qualcuno ci afferreraÁ e ci porteraÁ a casa». «In questa liberazione che nasce dalla resa, impariamo a tramutare le nostre ansie in speranza e la nostra morte in esodo». La vita benedicente puoÁ allora essere una danza di lode, ricapitolazione di tanti passi non messi per caso, ma in armonia con la musica di Dio. O.S. 4. ANDREOLI V., Capire il dolore, Rizzoli editore, Milano 2003 «Il sogno di un uomo senza dolore eÁ un'utopia: l'uomo eÁ dentro il dolore; c'eÁ un dolore inutile ed evitabile c'eÁ un dolore osceno che non eÁ possibile accettare». «Il dolore lascia traccia dentro la memoria». L'autore, psichiatra di fama, che ha dato tanti contributi importanti allo studio della psiche umana, in questo ultimo libro guarda tante situazioni esistenziali di dolore tristemente attraverso la lente del pessimismo e dice: «Il dolore non va capito ma solo partecipato nel silenzio. Lo si sente meglio. Il dolore eÁ parte del mistero, non del mercato della comprensio78 SEZIONE BIBLIOGRAFICA co per le Associazioni di volontariato e per tutti coloro che a vario titolo si interessano di solidarietaÁ e di servizio ai malati. Le credenziali dell'autore sono di tutto rispetto: eÁ stato prete operaio per sedici anni, attualmente guida una comunitaÁ parrocchiale ed eÁ direttore della Caritas e dell'Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia della diocesi di Rimini. A livello di studi ha preso la licenza in teologia e ha frequentato corsi di specializzazione presso l'Istituto Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Il libro si compone di tre parti: nella prima si illustra il volto della solidarietaÁ di Dio nel cammino della rivelazione e quindi della storia salvifica, indicandone le varie modalitaÁ di realizzazione: la creazione, l'alleanza, l'incarnazione, la redenzione, la liberazione. Quindi si mostrano le varie modalitaÁ con cui la solidarietaÁ si fa legge nella vita di Israele: la difesa del povero identificato soprattutto nello straniero, nell'orfano e nella vedova, l'amore del prossimo come se stesso (Lev 19, 1-18), l'anno sabbatico e giubilare, il culto fondato sulla giustizia e sulla misericordia. In questo contesto trovano un posto particolare i profeti (Amos, Michea, Isaia), definiti «sentinelle della solidarietaÁ», perche dalla conoscenza della realtaÁ storica del tempo in cui vivevano e dalla profonda conoscenza della legge e dell'alleanza «erano in grado di criticare cioÁ che nei capi religiosi e politici e nel popolo non era secondo la parola di Dio e potevano indicare le scelte da fare e i sentieri da percorrere» (pag. 33). La seconda parte della pubblicazione, la piuÁ corposa, contiene una carrellata delle icone bibliche della solidarietaÁ: MoseÁ, definito «amico di Dio e guida del popolo»; Geremia, «fedele anche nelle difficoltaÁ»; il samaritano, «buono perche solidale»; la guarigione del para- dere nella vita, vivere disillusioni, malattie e morte ma avere occhi capaci di vedere con i colori della speranza, recuperando il significato gioioso della vita. Chi soffre ha bisogno attorno a se non di analisti disincantati ma di persone che sappiano offrire intelligente e calda umanitaÁ. O.S. 5. GRADARA Enzo, «Va' e anche tu fa' lo stesso». Icone bibliche della solidarietaÁ, EDB, Bologna 2003, p. 150, euro 10,00. Presentazione di mons. Benito Cocchi Oggi in molteplici ambiti della societaÁ civile si parla spesso di volontariato di varia natura e nei settori operativi piuÁ diversi. Non mancano le inchieste, le riviste di settore, le indagini qualificate per quantificare nei numeri e nelle percentuali tale fenomeno. Anche la Chiesa da anni ha mostrato particolare interesse al volontariato, definendolo «via privilegiata per incarnare la caritaÁ ai nostri tempi». Gli interventi di tipo magisteriale, sia del papa che dei vescovi, non si contano. La Chiesa italiana da parte sua ha dedicato una delle Giornate mondiali del malato (1996) al volontariato sanitario, preparando un sussidio con gli «Orientamenti per il volontariato pastorale nel mondo della salute». Inoltre si vanno moltiplicando gli operatori pastorali del mondo sanitario, come i ministri straordinari della Comunione eucaristica, i componenti delle cappellanie ospedaliere che sono diaconi, religiose e laici, gli aderenti alle associazioni di e per i malati. PercioÁ sono stato subito colpito dal titolo del presente libro di don Renzo Gradara e l'ho letto con interesse, pensando immediatamente all'utilizzo prati79 SEZIONE BIBLIOGRAFICA L'invito di GesuÁ che conclude la parabola del buon samaritano e che eÁ stato scelto come titolo del libro non eÁ rivolto solo al dottore della legge, ma ad ogni discepolo di Cristo rappresentati nelle persone di Marta e di Maria, che accolgono il Maestro nella loro casa, subito dopo il racconto della suddetta parabola. Questa eÁ invitata a incarnare la Parola ascoltata per farla diventare diaconia, quella a sostanziare di Parole di vita le «tante cose» che preoccupano le sue giornate ordinarie. Felicissima l'intuizione del compianto vescovo di Molfetta, don Tonino Bello, che seppe coniare il neologismo «contempl-attivi» per sintetizzare l'impegno di azione e di contemplazione di ogni cristiano. Credo che non siano molti i sussidi formativi seri del mondo del volontariato pastorale: per questo diamo il benvenuto a questo lavoro che potraÁ risultare prezioso per tutti coloro che desiderano dare fondamento biblico e teologico al loro agire a favore dell'altro. Lo vedrei volentieri nelle mani degli assistenti spirituali sanitari, dei responsabili di Associazioni di volontariato di ispirazione cristiana, degli operatori pastorali delle cappellanie ospedaliere, dei collaboratori pastorali delle parrocchie. EÁ proprio vero come afferma mons. Benito Cocchi nella Presentazione che «le riflessioni che (don Renzo) ci propone sono orientate a sottolineare che l'amore di Do eÁ un amore solidale e che la nostra risposta a Dio deve esprimersi anche attraverso precise e concrete forme di solidarietaÁ» (pag. 7). litico, frutto di «fede e amore»; l'ultima cena, sintesi del «servizio» e del «pane spezzato»; il giudizio finale, che saraÁ fondato sull'amore ai fratelli; la Chiesa delle origini, «segno e strumento di unitaÁ»; i discepoli di Emmaus, che incarnano la comunitaÁ del «camminare insieme»; la samaritana, che si qualifica come donna dell'accoglienza e del dialogo; il ricco Epulone, l'icona dell'egoismo che rende ciechi; Zaccheo, la cui conversione si fa condivisione; la visitazione di Maria alla parente Elisabetta che illustra come «la caritaÁ eÁ donna». Il volumetto si arricchisce di una breve terza parte che raccoglie materiale per la preghiera personale e comunitaria: alcuni salmi appropriati illustrati da un'introduzione essenziale e da stimolanti interrogativi per la vita e diverse orazioni prese dalla liturgia. Le pagine del libro scorrono veloci perche scritte con stile lineare, il contenuto eÁ profondo ma di facile comprensione. Preparazione biblica, attenzione ai bisogni sociali dell'umanitaÁ, conoscenza dei documenti della Chiesa dei nostri tempi sono le tre fedeltaÁ dell'autore che danno credito e carisma al suo scritto. Attraverso i vari momenti della sua riflessione segnata da profonda passione per Dio e per l'Uomo contemporaneo si legge in traslucido la sua vita impegnata nel campo sociale ed ecclesiale. Le citazioni di brani stimolanti della Novo millennio ineunte e gli Orientamenti dell'episcopato italiano contenuti nel documento programmatico Comunicare il vangelo in un mondo che cambia servono a ricordare e a mostrare le vie che la comunitaÁ cristiana eÁ chiamata a percorrere oggi per realizzare il comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Leonardo N. Di Taranto 80