15. Donne migranti – Tutele e accoglienza
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15. Donne migranti – Tutele e accoglienza
PROGETTO LAMPEDUSA Parere del 10 agosto 2014 a cura del Gruppo di studio del Progetto Lampedusa DONNE MIGRANTI: TUTELE E ACCOGLIENZA “Bisogna Bisogna costruire un percorso dell’accoglienza che parta dalla dignità. Quello che deve essere al centro del sistema di accoglienza da Lampedusa in su è il principio del rispetto della dignità umana di queste persone”. Giusi Nicolini, Sindaca indaca di Lampedusa Lampedu e Linosa1 Preambolo Il presente elaborato intende dare risalto ad alcuni aspetti afferenti alla condizione delle migranti, appartenenti alla categoria dei soggetti vulnerabili che per definizione hanno bisogni particolari e necessitano di tutele dedica dedicate. Nel dettaglio, i punti toccati sono sono:: diritti e tutele delle migranti; prime fasi di soccorso e assistenza dei migranti che giungono via mare, criticità emerse in relazione alle donne soccorse; accoglienza delle migranti e nuove forme di interazione con la comunità locale. Punto di osservazione privilegiato, che fa da sfondo al presente elaborato, è l’isola di Lampedusa, motivo per cui lo stesso tiene conto delle riflessioni e delle proposte di coloro che hanno incrociato le esistenze di donne, uomini e bambini che non conoscono pace, giustizia e, più semplicemente, una vita normale. I. Il sistema delle tutele delle migranti 1 Intervista del 1 febbraio 2014 realizzata da Valerio Cataldi dell’associazione http://www.articolo21.org/2014/02/accoglienza http://www.articolo21.org/2014/02/accoglienza-e-inclusione-il-modello-lampedusa-secondo-giusi-nicolini/ nicolini/ PRESIDIO AVVOCATURA – LAMPEDUSA Tel. (h. 24) +39 334.8202183 – Tel. +39 331.2304819 Email: [email protected] Art. 21 La migrazione femminile è fenomeno che sta gradualmente consolidandosi a livello mondiale, coinvolgendo sempre più paesi di origine, transito e destinazione e pertanto richiede di essere affrontata in base alle sue specificità. Nel corso degli ultimi anni sono transitate a Lampedusa migliaia di donne, alcune accompagnate dai propri familiari, ma tantissime altre sole o con uno o più figli. Numerose sono le donne che, al momento del primo soccorso, risultano in gravidanza, spesso anche avanzata. E poi si perde il conto delle migranti che hanno subito violenze, torture, trattamenti inumani e degradanti, e ancora, donne che portano sul proprio corpo il segno di pratiche lesive della loro dignità, quali sono senza dubbio le mutilazioni genitali femminili (MGF). Tra queste donne, infine, un cospicuo numero è destinato alla rete della tratta. Le donne migranti che giungono a Lampedusa provengono da Paesi economicamente, socialmente e politicamente distrutti, quali Somalia, Eritrea, Siria e Nigeria. Le donne che si imbarcano sulle carrette del mare dirette in Italia sono, nella quasi totalità dei casi, persone costrette ad abbandonare le proprie case per sfuggire a guerre o a regimi brutali che rendono impossibile una vita dignitosa; sono persone che nel viaggio verso l’Europa, rischiano la vita attraversando il deserto e sostando forzatamente nei campi al confine con il Sahara, dove le condizioni sono al limite della sopravvivenza e le malattie si diffondono in maniera incontrollata; qui le malcapitate subiscono ulteriori violenze da parte degli uomini delle organizzazioni criminali che gestiscono il pietoso traffico di esseri umani. Le gravidanze delle migranti sono spesso il risultato di tali brutalità, motivo per il quale molte di esse chiedono, in segreto, di abortire: sono state violate, picchiate, torturate da uno o più uomini e quel figlio che portano in grembo è il frutto di una violenza che vogliono rimuovere. I viaggi della speranza partono principalmente dalla Libia ed anche qui, in attesa delle partenze programmate, le donne sono bersaglio di violenze che continuano durante la traversata del Mediterraneo; altrettanto odiosa è la strumentalizzazione delle donne in gravidanza per garantire l’intervento di salvataggio delle navi di Mare Nostrum. Alla luce dei suddetti tragici fatti, ben si può immaginare la condizione in cui versano le migranti che approdano a Lampedusa: sono impaurite, disorientate, totalmente prive di riferimenti e strumenti per comunicare con gli operatori che le soccorrono e per poter liberamente esprimere i propri bisogni, che, durante la fase di primo soccorso, sono tanti e tutti essenziali. Senza ombra di dubbio, le migranti rientrano tra quei soggetti vulnerabili che, per definizione, hanno bisogni particolari e pertanto necessitano di tutele dedicate; per categorie 2 vulnerabili si devono intendere, infatti, “i minori non accompagnati, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone per le quali è stato accertato che abbiano subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale". Le donne migranti sono, a parere di chi scrive, soggetti doppiamente vulnerabili, in quanto da un lato si trovano in condizioni di eccezionale fragilità (perché in gravidanza o perché vittime di violenze e torture); dall’altro, proprio perché migranti. Gli strumenti predisposti a tutela delle donne che vengono a trovarsi nelle condizioni poc’anzi descritte sono molteplici, sia in ambito internazionale che regionale, oltre che a livello nazionale. Si cercherà di indicarne alcuni tra quelli che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo delle tutele e all’affermazione dei diritti delle migranti. In ambito ONU, assumono rilevanza la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) del 19792 e il suo Protocollo opzionale (1999), che obbligano i Paesi contraenti a condannare qualsiasi forma di discriminazione e a promuoverne l’eliminazione con tutti i mezzi adeguati. Pur non contemplando alcuna forma specifica di problematica sulla violenza femminile, la CEDAW impone agli Stati firmatari una serie di obblighi finalizzati a lottare anche contro questo fenomeno, quali ad esempio il divieto della tratta delle donne (art. 6), l’obbligo di garantire il diritto alle cure sanitarie (art.12), nonché l’impegno di ogni Stato al fine di modificare gli schemi di comportamento socio-culturale degli uomini e delle donne e giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie che siano basate sulla convinzione della inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne (art.5, lett. a)3. Le donne migranti possono inoltre accedere alla tutela disposta dallo strumento giuridico internazionale di riferimento per la protezione dei rifugiati: la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati4. Elemento chiave della Convenzione è la definizione del concetto di rifugiato, contenuta all'art.1 A (2), il cui carattere generale ne garantisce una portata universale. Lo status di rifugiato va concesso a "chiunque, nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue 2 Adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 18 dicembre 1979. Il compito di vigilare sul rispetto della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna spetta al Comitato CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination against Women), che sinora ha compiuto sforzi notevoli per la lotta e la prevenzione delle violenze verso le donne, con l’emanazione di raccomandazioni generali e la formulazione di osservazioni nell’ambito di procedure di ricorso individuali nelle quali definisce come discriminazione la violenza di genere, ossia quella violenza che ostacola o preclude alle donne la possibilità di esercitare i diritti umani e le libertà fondamentali iscritte nel diritto internazionale. 4 Adottata dalla Conferenza dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei Rifugiati e degli Apolidi il 28 luglio 1951. 3 3 opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi". Il concetto di "fondato timore" contiene due elementi: uno soggettivo, legato alla situazione individuale e specifica del singolo che chiede di essere riconosciuto come rifugiato sulla base della paura di essere perseguitato; timore che deve essere tuttavia supportato imprescindibilmente dalla presenza dell'elemento oggettivo, riconducibile ad una situazione di fatto, oggettivamente identificabile. Per quanto attiene invece ai motivi della persecuzione (razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, opinioni politiche), con l'evoluzione del diritto internazionale dei diritti umani, essi sono stati interpretati in maniera progressivamente più elastica, con l'estensione della definizione di persecuzione anche a serie e ripetute violazioni dei diritti umani. Di fatto, quindi, la valutazione dell'elemento soggettivo può portare a considerare persecutorie anche azioni che di per sé non verrebbero reputate tali secondo una rigida interpretazione della Convenzione, ma che lo sono alla luce dell'esame del singolo caso. All'art. 33, la Convenzione sancisce il principio di non-refoulement, prevedendo che "nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche". Il divieto di respingimento è applicabile a ogni forma di trasferimento forzato, compresi deportazione, espulsione, estradizione, trasferimento informale e non ammissione alla frontiera. È possibile derogare a tale principio solo nel caso in cui, sulla base di seri motivi, un rifugiato venga considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede o una minaccia per la collettività. Tale principio costituisce parte integrante del diritto internazionale dei diritti umani ed è un principio di diritto internazionale consuetudinario. Le donne migranti, si è già detto, portano talvolta sul proprio corpo i segni di pratiche odiose ed umilianti cui devono sottoporsi nel paese di origine. Le mutilazioni genitali femminili (MGF) ne sono un tipologica tristemente nota e, benché non siano mai menzionate esplicitamente, violano diverse disposizioni dei principali accordi internazionali sui diritti umani, in particolare il divieto di praticare trattamenti disumani (art. 7 del Patto ONU II e artt. 19 e 37 Convenzione sui Diritti del Fanciullo), ossia trattamenti che procurano alle vittime grandi sofferenze psichiche o fisiche. Gli 4 accordi sui diritti umani obbligano gli Stati a bandire usi, costumi e tradizioni che danneggiano la salute e violano i diritti umani5. Il fenomeno della tratta di giovani donne e di minori costituisce un’altra forma particolarmente grave e denigrante di violenza. I primi tentativi di prevederne una tutela, in ambito ONU, sono state la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui (1949) e il Protocollo addizionale della Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini. Questo Protocollo è il primo trattato internazionale a considerare la situazione oltremodo difficile e vulnerabile delle vittime della tratta di persone, imponendo agli Stati parte di adottare misure volte a proteggerle (artt. 6-8) e a prevenire questo fenomeno. In ambito regionale, ha una forte rilevanza il dettato della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU)6 e la giurisprudenza in materia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In particolare, la CEDU afferma con forza all’art. 3 che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Il divieto così affermato costituisce una delle affermazioni giuridiche, culturali e morali di maggiore importanza sia negli ordinamenti interni che nell’ordinamento internazionale. Come ripetutamente dichiarato dalla Corte EDU, il divieto contenuto nell’art. 3 CEDU, con carattere fondamentale, assoluto ed inderogabile, rappresenta uno dei valori fondamentali delle società democratiche7. È da qualificare come inumano un trattamento premeditato, applicato per ore e che causa lesioni corporali e sofferenza intense sotto il profilo fisico e mentale, mentre va considerato degradante un trattamento tale da creare nella vittima un senso di paura, angoscia ed inferiorità tale da umiliarla e piegare la sua resistenza fisica o morale così da indurla ad agire contro la sua volontà e coscienza8. Sugli Stati Membri gravano due tipologie di obblighi: obblighi negativi e obblighi positivi, che si ricavano dall’art. 3 CEDU. Quanto all’obbligo negativo dello Stato a non sottoporre un individuo a tortura e a trattamenti inumani e degradanti, la giurisprudenza della Corte ha dato 5 Confederazione Svizzera, Dipartimento federale dell’interno DFI, “Tutela Internazionale dei diritti della donna con particolare riferimento alla protezione della violenza nell’ambito ONU”, p.8. 6 Firmata a Roma il 4 novembre 1950 sotto l'egida del Consiglio d'Europa ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953. 7 BARTOLE, DE SENA, ZAGREBELSKY, Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Cedam, 2012, pp. 63 ss. 8 Corte Edu, Jalloh c. Germania, 11.07.2006. 5 un’interpretazione estensiva di tale disposizione, comprendendo tra tali obblighi negativi quello di astenersi dall’adottare provvedimenti di espulsione nei confronti di individui che rischiano, nel Paese di origine, di essere sottoposti a violazioni dell’art.3. Quanto agli obblighi positivi, assumono particolare rilievo ai fini della tutela delle donne migranti gli obblighi positivi di protezione di soggetti vulnerabili. La giurisprudenza della Corte EDU ha stabilito che lo Stato deve rispettare obblighi positivi particolari al fine di prevenire violazioni dell’art. 3 nei confronti di determinate categorie ritenute particolarmente vulnerabili, quali ad esempio le donne, i minori, i detenuti, gli appartenenti a minoranze, i richiedenti asilo, etc9, tanto nel caso che le violazioni siano commesse da organi statali, quanto se i responsabili siano privati10. Il contenuto specifico dell’obbligo positivo di prevenzione varia sia sulla base del livello di vulnerabilità dell’individuo preso in esame, sia in relazione alla natura ed alla gravità delle offese già subite o di quelle minacciate dal responsabile della violazione. Lo Stato Membro ha, infine, un ulteriore obbligo positivo di assistenza nei confronti dei suddetti individui in stato di particolare vulnerabilità dal momento in cui essi sono sottoposti al controllo delle autorità nazionali, in modo da proteggerli ed evitare l’eventuale aggravamento delle loro condizioni di salute11. In ambito europeo, tra i molteplici strumenti normativi a disposizione, assume particolare importanza il dettato della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea12, nella quale si afferma innanzitutto che la dignità umana è inviolabile e pertanto deve essere rispettata e tutelata (art.1). La sottoposizione delle donne migranti a trattamenti inumani e degradanti, se non addirittura a tortura, oltre che pericolosi per la loro incolumità, costituisce a tutti gli effetti una gravissima lesione della dignità umana. Inoltre, le violenze perpetrate nei confronti delle migranti, oltre a ledere il diritto alla propria integrità fisica e psichica (art. 3), violano il divieto, sancito all’art.4, di sottoposizione di chiunque a tortura e a pene o trattamenti inumani o degradanti, rimandando indirettamente al dettato e all’interpretazione dell’art. 3 CEDU poc’anzi analizzato. Agli strumenti nomativi posti a tutela delle donne migranti, se ne è recentemente aggiunto uno importantissimo per la tutela delle donne da qualsiasi tipo di violenza basata sul genere: la 9 Corte EDU, Rahimi c. Grecia, 5.4.2011. Corte EDU, Opuzc.Turchia, 9.6.2009. 11 Corte EDU,Denis Vasilyev c. Russia. 12 La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, detta anche Carta di Nizza, è stata proclamata una prima volta il 7dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri. 10 6 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul)13. Entrata in vigore il 1° agosto 2014, essa prevede al suo interno anche indicazioni specifiche indirizzate alle donne migranti e richiedenti asilo, resi particolarmente vulnerabili dal loro status. Il Capitolo VII è infatti espressamente dedicato a “Migrazione e asilo” e comprende tre articoli: l’art. 59 sullo status di residente; l’art. 60 circa le richieste di asilo basate sul genere e infine l’art. 61, dedicato al diritto di non-respingimento. L’articolo 59 sullo status di residente prevede che : 1. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le vittime, il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, conformemente al loro diritto interno, possano ottenere, su richiesta, in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno, indipendentemente dalla durata del matrimonio o della relazione. Le condizioni per il rilascio e la durata del titolo autonomo di soggiorno sono stabilite conformemente al diritto nazionale. 2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime possano ottenere la sospensione delle procedure di espulsione avviate perché il loro status di residente dipendeva da quello del coniuge o del partner, conformemente al loro diritto interno, al fine di consentire loro di chiedere un titolo autonomo di soggiorno. 3. Le Parti rilasciano un titolo di soggiorno rinnovabile alle vittime, in una o in entrambe le seguenti situazioni: a) quando l'autorità competente ritiene che il loro soggiorno sia necessario in considerazione della loro situazione personale; b) quando l'autorità competente ritiene che il loro soggiorno sia necessario per la loro collaborazione con le autorità competenti nell’ambito di un’indagine o di procedimenti penali. 4. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime di un matrimonio forzato condotte in un altro paese al fine di contrarre 13 Approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l'11 maggio 2011 a Istanbul, è entrata in vigore l’1.8.2014. 7 matrimonio, e che abbiano perso di conseguenza il loro status di residente del paese in cui risiedono normalmente, possano recuperare tale status”. L’articolo 60 – richieste di asilo basate sul genere - recita: 1. “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell'articolo 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare / sussidiaria. 2. Le Parti si accertano che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi della Convenzione, e che nei casi in cui sia stabilito che il timore di persecuzione è basato su uno o più di tali motivi, sia concesso ai richiedenti asilo lo status di rifugiato, in funzione degli strumenti pertinenti applicabili. 3. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per sviluppare procedure di accoglienza sensibili al genere e servizi di supporto per i richiedenti asilo, nonché linee guida basate sul genere e procedure di asilo sensibili alle questioni di genere, compreso in materia di concessione dello status di rifugiato e di richiesta di protezione internazionale”. L’art. 61 stabilisce invece il diritto di non-respingimento: 1. “Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per il rispetto del principio di non-respingimento, conformemente agli obblighi esistenti derivanti dal diritto internazionale. 2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime della violenza contro le donne bisognose di una protezione, indipendentemente dal loro status o dal loro luogo di residenza, non possano in nessun caso essere espulse verso un paese dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte al rischio di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti”. La Convenzione di Istanbul rappresenta, dunque, un passo importante per la tutela delle donne migranti, per le quali è previsto espressamente il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato o, in alternativa, protezione sussidiaria) a fronte di violenze basate sul genere; 8 queste tipologie di violenza, infatti, devono considerarsi a tutti gli effetti quali “forme di persecuzione ai sensi dell'articolo 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare / sussidiaria”. Il dettato in esame vieta agli Stati firmatari l’espulsione delle donne migranti vittime di violenza verso un paese dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte al rischio di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti; queste ultime anzi devono essere protette e accolte, mediante la predisposizione di procedure di accoglienza sensibili al genere e servizi di supporto per i richiedenti asilo, nonché linee guida basate sul genere e procedure di asilo sensibili alle questioni di genere, compreso in materia di concessione dello status di rifugiato e di richiesta di protezione internazionale. A livello nazionale, le donne migranti che giungono in Italia hanno a disposizione diversi strumenti normativi che consentono loro una tutela dedicata, tra i quali si evidenziano : Strumenti di protezione internazionale: con l’attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE mediante i d.lgs. n.251 del 2007 e n.25 del 2008, si è configurato un sistema pluralistico che prevede due figure tipiche, il rifugio politico e la protezione sussidiaria (in parte riproduttiva del divieto ex art. 3 Cedu), e che conserva, escludendo definitivamente il potere discrezionale del Questore a riguardo, il permesso umanitario del d.lgs.n.286/199814. Tra le situazioni meritevoli di protezione rientrano, come si è già avuto modo di accennare, le MGF; diverse pronunce dei giudici nazionali15 hanno riconosciuto alle mutilazioni genitali femminili la natura di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale16. La gravità di tale forma di violenza è stata, inoltre, ampiamente documentata dalla OMS17 e dall’ACNUR18; Rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche ai sensi dell’art. 19, co.2, lett. d) del d.lgs. 286/1998 (T.U.I.): l’articolo 19 T.U. sull’immigrazione disciplina i casi di inespellibilità e divieto di respingimento. Il comma 2 alla lettera d) del presente articolo 14 Esso va inteso come figura atipica, temporanea, applicabile nel caso in cui non sussistano le condizioni per le misure tipiche. Nella recente sentenza del 27.11.2012, la Corte d’Appello di Catania ha definito la MGF “una forma di violenza, morale e materiale, discriminatoria di genere, legata cioè alla appartenenza al genere femminile”, e, come tale, riconducibile ai motivi di persecuzione rilevanti ai sensi del D.Lvo 251/07. Si veda l’articolo di B. CATTELAN, “Mutilazioni genitali femminili rilevanti per status di rifugiato”, disponibile su: http://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/stampa.php?id=135. 16 MARIA ACIERNO, “Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive future” in P .MOROZZO DELLA ROCCA, Manuale breve di diritto all’immigrazione, Maggioli editore, 2013. 17 Female Genital Mutilation, Trends, Department of Gender, Women and Health Report of a WHO Technical Consultation Geneva, 15-17 October 1997. 18 L’ACNUR ha pubblicato nel maggio 2009 delle linee guida sulle domande d’asilo relative alle MGF, disponibili su: http://www.refworl.org/docid/4d70cff82. 15 9 dispone il divieto di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. È previsto dunque che le donne in stato di gravidanza possano richiedere un permesso di soggiorno per cure mediche dal momento in cui esso viene e per il periodo dei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Il permesso viene revocato in caso di interruzione volontaria di gravidanza, mentre viene rinnovato fino ai sei mesi dalla data presunta di nascita del figlio anche in caso di morte del nascituro al momento del parto. Rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale ai sensi dell’art. 18 d.lgs. 286/1998: l’articolo 18 del T.U.I.19 prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale alle vittime di tratta al fine di “consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale” (art. 18, comma 1). La misura introduce un forte elemento innovativo attraverso un doppio percorso, quello giudiziario e quello sociale, senza che uno influenzi l’altro. Infatti il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale non è in alcun modo subordinato all’obbligo di denuncia da parte della vittima consentendo, quindi, la possibilità di un recupero sociale e psicologico che porti successivamente a un clima di fiducia per la successiva ed eventuale collaborazione giudiziaria. La domanda di rilascio del permesso di soggiorno può essere effettuata, oltre che dal procuratore della Repubblica nei casi in cui sia iniziato un procedimento, anche dai servizi sociali degli enti locali o dalle associazioni, enti ed altri organismi titolari dei progetti di protezione sociale20. Successivamente, il Questore provvede al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il titolo di soggiorno per protezione sociale ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno. 19 Art. 18, comma 1: “Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”. 20 Art. 27 comma 1 lett. a) D.P.R. 394/99. 10 II. Fasi di primo soccorso e assistenza sanitaria dei migranti irregolari. Criticità rilevate in relazione alle donne soccorse Dopo l’analisi delle tutele dei soggetti vulnerabili, si vuole ora focalizzare l’attenzione sulle fasi di primo soccorso e assistenza sanitaria dei e delle migranti, momenti nei quali emergono per la prima volta i bisogni e le fragilità di queste ultime, che necessitano di una risposta immediata ed efficace. Le suddette attività di primo soccorso ed assistenza sanitaria di coloro che percorrono le vie del mare, riveste o, meglio, dovrebbe rivestire carattere di assoluta priorità rispetto a ogni intervento attuato nei confronti degli stessi. Tale attività fondamentale si svolge in due momenti: durante le operazioni in mare e in quella successiva del soccorso sulla banchina del porto di approdo. Durante le operazioni SAR ( search and rescue – ricerca e soccorso) di Mare Nostrum, si trovano ad operare a bordo delle navi della Marina Militare, della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera medici ed infermieri che effettuano le prime visite mediche dei migranti; qualora si ravvisino tra questi ultimi casi clinici gravi, il medico di turno sulla nave dispone il trasporto urgente all’ospedale più vicino tramite elicottero (normalmente presente sulle navi militari). Da alcuni anni, il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta), collabora con le unità navali della Guardia di Finanza, Guardia Costiera e Marina Militare nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, in base a protocolli d’intesa già collaudati nel 200921. Il CISOM garantisce un equipaggio composto da un medico ed un infermiere su ogni imbarcazione che esce per operazioni di soccorso; detto equipaggio ha il compito di effettuare, dopo le operazioni di trasbordo, un rapido screening sanitario e prestare i primi soccorsi22; dopo l’arrivo sulla terraferma, il personale CISOM rimane a disposizione per ogni intervento necessario. In linea generale, a seconda che i migranti soccorsi in mare siano o meno bisognosi di cure mediche urgenti, si prospettano diversi possibili scenari. Nell’ipotesi in cui non emergano situazioni di criticità, le navi di Mare Nostrum sono tenute a dirigersi verso i più vicini Centri di Primo Soccorso ed Accoglienza (CPSA) dislocati in Sicilia. Nel caso in cui sia necessario un intervento sanitario immediato (stato avanzato di gravidanza, ipotermia, malattie infettive), viene disposto il trasferimento dei soggetti a rischio al porto più 21 Per ulteriori informazioni, si rimanda al sito ufficiale del CISOM: www.cisom.org 22 Le patologie o il malesseri di sovente riscontrati tra i migranti a seguito di disidratazione, ustioni da contatto e ipotermia. 11 un lungo viaggio sono la conseguenza di vicino, ossia quello di Lampedusa; sul molo i medici dell’ASP procedono ad effettuare un rapido triage medico, al fine di assicurare un intervento tempestivo ed efficace. I soggetti con patologie gravi e le donne in gravidanza sono condotti al Pronto Soccorso di Lampedusa, mentre i casi gravissimi o comunque non trattabili al Poliambulatorio dell’isola sono trasferiti, mediante elisoccorso, presso gli ospedali della Sicilia (Palermo, Catania, Caltanisetta) che hanno sottoscritto un’apposita convenzione e non possono rifiutare i ricoveri, nemmeno nell’ipotesi di overbooking. Il cd. “Modello Lampedusa” prevede (rectius prevedeva) che i migranti rimasti al molo, dopo la primissima fase di triage sanitario, siano condotti quanto prima al CPSA, dove li attendono un pasto caldo e indumenti asciutti; inoltre, qualora nel corso della permanenza presso il centro emergano patologie comuni o croniche (diabete, cardiopatie ecc.), il “protocollo Lampedusa” contempla un contatto diretto e immediato con il Poliambulatorio dell’isola, struttura ospedaliera ben organizzata dove sono presenti gli specialisti di varie branche mediche; al riguardo si rammenta che, pur facendo parte le isole di Lampedusa e Linosa della provincia di Agrigento, nelle stesse l’organizzazione, le strutture ed i servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale sono coordinati dall’ASP di Palermo. Il Poliambulatorio di Lampedusa rilascia a tutti i migranti che accedono alla medesima struttura ospedaliera, il codice identificativo STP (Straniero Temporaneamente Presente) che attribuisce agli stessi il diritto di accedere gratuitamente a servizi sanitari, visite specialistiche e farmaci 23. A tal proposito si riportano di seguito i dati della tabella relativa agli accessi dei migranti nella struttura ospedaliera del suddetto Poliambulatorio, dai quali risulta che, nel corso dell’anno 2013, 23 Gli stranieri irregolari hanno diritto (art. 35 T.U.I. Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale) “alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali, ancorché continuative, per malattia o infortunio” e sono inoltre garantiti: la tutela della gravidanza e della maternità, la salute del minore, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale e la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive. Per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti). Agli stranieri irregolari sono anche garantiti la prevenzione, cura e riabilitazione dalle tossicodipendenze (SERT), dalle malattie psichiatriche (presso i Dipartimenti di salute mentale – DSM.) e, in generale, tutti gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi. L’erogazione delle prestazioni menzionate è subordinata al rilascio, da parte della ASL di appartenenza, di un codice identificativo a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente), riconosciuto su tutto il territorio nazionale. Tale codice, non costituisce in alcun modo documento utile ai fini del soggiorno e dell’identificazione dello straniero, ma funge unicamente da “strumento” per l’accesso ai servizi sanitari, per la rendicontazione e il rimborso delle prestazione effettuate e la prescrizione, su ricettario regionale, delle visite specialistiche e dei farmaci; ha validità di sei mesi ed è sempre rinnovabile fino all’eventuale ottenimento del permesso di soggiorno. Il tesserino STP può essere rilasciato nell’ambito delle strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutturati in forma poliambulatoriale o ospedaliera, “eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi esperienza specifica”. 12 hanno usufruito dei servizi medico-sanitari della medesima struttura 14.818 migranti, di cui 2.063 minori, 2.013 donne e 10.742 uomini, per lo più provenienti da Eritrea, Nigeria, Siria e Somalia24. Accesso ai servizi sanitari : Poliambulatorio di Lampedusa, sbarchi 2013 Nazionalità uomini donne Minori totale Algeria Angola Bangladesh Benin Burkina Faso 84 1 46 7 11 3 0 0 0 0 29 0 5 2 0 116 1 51 9 11 C. d’Avorio Camerun Ciad Congo Costa d’Avorio 47 9 4 1 2 1 3 2 0 0 3 0 1 0 0 51 12 7 1 2 0 829 173 0 0 0 507 18 0 127 27 4518 512 1 1068 Egitto Eritrea Etiopia Gabon Gambia 27 3182 321 1 941 Ghana Guinea Guinea por Guinea spa India 247 118 10 14 1 2 0 0 0 0 30 8 3 2 0 279 126 13 16 1 Iraq Libano Liberia Mali Marocco 0 0 11 665 163 2 1 0 2 1 0 0 0 47 4 2 1 11 714 168 Mauritania Nepal Nigeria Pakistan Palestina R.C. Africa sconoscesi Senegal 3 2 1185 385 210 2 282 557 0 0 270 1 88 0 105 0 0 0 76 4 174 0 15 48 3 2 1531 390 472 2 42 605 24 I dati della tabella sono stati forniti dalla Direzione Sanitaria del Poliambulatorio di Lampedusa. nell’anno 2013. 13 Sierra Leone Siria Somalia Somalia Sudan 23 696 1131 0 147 Togo Tunisia Uganda Zimbawe 24 161 2 2 Totale 10742 0 202 321 0 0 3 402 523 1 1 26 1300 1975 1 148 1 4 0 0 1 28 0 0 26 193 2 2 2013 2063 14818 Come è noto, l’attuazione di tale modello ha subito un arresto con la chiusura del CPSA per interventi di ristrutturazione. Tuttavia, in occasione degli ultimi arrivi di migranti nei mesi di luglio e agosto del 2014, il CPSA di Lampedusa è stato parzialmente reso accessibile: a fronte di precedenti episodi che hanno visto centinaia di migranti trascorrere un giorno e una notte sul molo Favarolo, il centro di Contrada Imbriacola è stato eccezionalmente utilizzato per la parte non interessata dai lavori di ricostruzione, previa autorizzazione prefettizia. Con la chiusura provvisoria del CPSA e la conseguente sospensione del “Modello Lampedusa”, il molo Favarolo, famoso per avere accolto il Santo Padre l'8 luglio del 2013 e qualche mese dopo, il 3 ottobre 2013, i corpi delle vittime della tragedia in cui morirono circa 366 persone, è l’unico spazio dove è possibile effettuare il primo soccorso e la prima accoglienza di quanti dovessero giungervi. In questo spazio ristretto, i sopravvissuti ai viaggi della speranza che, “nonostante” la schermatura di Mare Nostrum, riescono a raggiungere autonomamente il porto lampedusano oppure sono ivi condotti dopo le operazione SAR, trovano ad accoglierli, oltre agli uomini della Guardia Costiera, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, il Coordinatore sanitario per la salute dei migranti a Lampedusa, spesso coadiuvato da altri medici e da infermieri del Poliambulatorio dell’isola25. 25 Se le circostanze lo richiedono, ossia in presenza di un numero consistente di migranti, sopraggiungono sul luogo anche operatori del Comune, operatori locali della Caritas diocesana di Agrigento, il parroco di Lampedusa, le Suore dei Poveri di S.Vincenzo De’ Paoli di Agrigento nonché, negli ultimi mesi, i referenti locali di Mediterranean Hope, il progetto promosso dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, che consiste sostanzialmente nella costituzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa e nell’apertura di un centro di accoglienza a Scicli (RG). 14 Durante l’operatività del CPSA di Lampedusa, un ruolo fondamentale hanno avuto gli uomini e le donne del Progetto Praesidium, giunto ormai alla sua VIII edizione, attraverso il quale vengono potenziate le capacità di accoglienza e dei servizi per coloro che arrivavano via mare, secondo un approccio multi-agenzia, che vede cooperare Croce Rossa Italiana, UNHCR, OIM e Save the Children, sul territorio nazionale, con particolare riguardo nei confronti delle regioni della Sicilia, Calabria e Puglia. Naturalmente, con la chiusura del CPSA, essendo teoricamente escluso l’arrivo sull’isola di massicci flussi migratori, allo stato attuale, non sono stabilmente presenti a Lampedusa gli operatori delle ONG facenti parte del suddetto progetto. Orbene, dato atto di quanto sopra, allo stato attuale emerge la condizione di notevole disagio dei migranti che approdano sul molo Favarolo e in questo luogo sostano in attesa di essere trasferiti nei CPSA. Tale condizione di disagio risulta amplificata nei confronti delle donne immigrate, come evidenziato altresì dal Coordinatore Sanitario per la salute dei migranti a Lampedusa: quest’ultimo ha sottolineato che la permanenza in banchina, anche per poche ore, aggrava le condizioni di salute delle persone già ampiamente provate dalla spaventosa traversata e penalizza maggiormente le donne che, pur in assenza di condizioni fisiche particolari (gravidanza, allattamento, malattie), necessitano comunque di un’attenzione mirata. Nella maggioranza o, per meglio dire, nella quasi totalità dei casi come evidenziato nel primo paragrafo del presente elaborato, si tratta di donne che hanno subito violenze psicofisiche di vario tipo nel Paese di provenienza (tratta degli esseri umani, mutilazioni genitali, stupri nei centri di permanenza temporanei) ma anche durante il “viaggio della speranza”: donne in stato di gravidanza, spesso a seguito delle violenze subite, o contagiate da malattie veneree (motivo per cui nel CPSA di Lampedusa è o, meglio, era prevista la presenza stabile di un ginecologo); donne comunque oppresse ed emarginate da un sistema politico-culturale che le considera persone di rango inferiore agli uomini. Cariche del fardello di violenze e soprusi, stremate da un viaggio in condizioni disumane, le migranti sono costrette a condividere uno spazio esiguo con i loro “compagni di viaggio”, possibilmente autori delle violenze subite; condivisione dello spazio che include ogni aspetto del vivere quotidiano, incluso l’espletamento dei bisogni primari. Ecco allora che, a prescindere dal successivo e più o meno tempestivo trasferimento nei vari centri di accoglienza, quella del primo soccorso in banchina costituisce una fase cruciale e molto delicata, che necessiterebbe di un intervento differenziato nei confronti delle migranti. 15 III. Spunti di riflessione sull’accoglienza delle migranti. Le donne di Lampedusa Il panorama dei principi di diritto e delle tutele giuridiche a favore delle migranti in quanto soggetti vulnerabili, impone di sviluppare procedure di accoglienza sensibili al genere (art. 60 comma 3 della Convenzione di Istanbul), ovvero una accoglienza qualificata delle stesse che possa anche evolvere verso l’interazione con i membri della comunità locale e che, sin dalla prima fase di soccorso e assistenza, preveda uno spazio protetto in cui sia mitigato o quantomeno non acuito lo stato di grande disagio e angoscia; uno spazio all’interno del quale le migranti possano esprimere esigenze e timori sino a quel momento soffocati. La creazione di uno spazio protetto, anche nella prima fase di assistenza, consentirebbe di instaurare con le donne soccorse una prima forma di rapporto fiduciario, permettendo loro di esternare i timori legati soprattutto allo stato di gravidanza e alle conseguenze di una possibile interruzione della stessa. L’adattamento ad un contesto nuovo, ad nuovo stile di vita, è un processo travagliato che si presenta ancora più arduo per le migranti proprio per il background socio-culturale che fino ad allora le ha relegate ai margini delle comunità d’origine. Ragione per cui al fine di rendere effettiva la prima accoglienza delle migranti all’interno delle comunità locali può risultare anche utile il contributo di nuove figure professionali, come quella del counselor interculturale e, successivamente, l’implementazione di progetti che favoriscano la creazione di una rete solidale tra le prime e le persone del luogo di arrivo. A tal proposito, ritornando al nostro punto di osservazione privilegiato, ossia Lampedusa, meritano attenzione alcune iniziative progettuali che aprono spiragli importanti su una nuova visione dell’accoglienza dei migranti, laddove l’interazione tra culture diverse arricchisce la stessa comunità locale, e mettono in evidenza lo spirito di grande generosità, coraggio e innovazione delle donne di Lampedusa. Citiamo, al riguardo, un progetto che, iniziato nel gennaio 2014, persegue la logica dell’interazione sociale e mira, in ultima analisi, a promuovere una solidarietà al femminile: Laboratorio Spazio Donna. Obiettivo del suddetto progetto26 è consentire alle donne residenti ed alle migranti l’apprendimento e la condivisione di abilità imprenditoriali, sviluppando le proprie 26 Il progetto è sviluppato dalla Caritas di Agrigento con il finanziamento della Fondazione Enel Cuore in collaborazione con il Comune di Lampedusa e Linosa e la Fondazione Charlemagne (che al Comune ha fornito la risorsa per il coordinamento del progetto). 16 potenzialità creative; avviare altresì un percorso formativo su come fare impresa e promuovere la costituzione di forme di cooperazione27. Ed ancora un altro progetto denso di significati è il Filo narrante: progetto interculturale rivolto alle donne di tutto il mondo che ogni giorno subiscono persecuzioni, maltrattamenti e violazioni dei diritti e alle donne di Lampedusa e Linosa, simbolo di accoglienza e grande risorsa del Mediterraneo. Si è configurato come uno spazio aggregativo, creativo, narrativo ed espressivo con la finalità di condividere idee, emozioni, sentimenti, stati d’animo, storie di vita. Le donne isolane, attive sono riuscite a coinvolgere nel laboratorio diverse donne straniere che vivono sull’isola, realizzando, insieme a loro, bambole di stoffa che rappresentano le donne di tutto il mondo, in particolare quelle sbarcate a Lampedusa e quelle che appartengono a paesi nei quali i diritti vengono ancora violati. Sono stati coinvolti anche i bambini, figli delle donne partecipanti al laboratorio, che hanno elaborato disegni, favole illustrate e cartelloni legati alle varie culture di appartenenza delle bambole realizzate28. E come non tener conto del prezioso contributo offerto da una rappresentanza delle donne lampedusane alla elaborazione e stesura della Carta di Lampedusa il cui testo, approvato il 1 febbraio 2014, da rappresentanti di associazioni, giuristi, avvocati, operatori umanitari di diverse nazionalità (Canada, Tunisia, Israele, Nigeria, Turchia, Belgio, Chad, Francia, Austria, Senegal, Germania, Australia, Italia), dovrebbe essere sottoposto al Governo italiano, al fine di promuovere i diritti dei migranti che entrano nel suolo europeo attraversando la Porta di Lampedusa, ovvero la Porta d’Europa come è il titolo della scultura di Mimmo Paladino allocata sull’isola e dedicata ai migranti deceduti e dispersi in mare. In definitiva, ancora una volta, Lampedusa si presenta come laboratorio sperimentale in cui coltivare una nuova visione del fenomeno migratorio e nel quale le cittadine lampedusane sono parte attiva nel processo di accoglienza e integrazione dei migranti e delle migranti in particolare: i fatti dimostrano che le medesime, nonostante le difficoltà e i disagi di una realtà isolana povera di risorse e di opportunità lavorative, non hanno lesinato generosità e sostegno a donne e uomini arrivati dall’altra parte del mare, consapevoli del fatto che esse stesse o i loro cari potrebbero esser costretti a lasciare l’isola, in via provvisoria o definitiva, per il perseguimento di un futuro migliore. 27 Secondo quanto riferito dalla coordinatrice del progetto, nel corso della prima metà dell’anno si sono svolti diversi incontri di gruppo: alcuni focalizzati sulla presentazione del laboratorio e dei suoi obiettivi nonché sui concetti di team building e di lavoro di gruppo, sulle dinamiche di cooperazione, sull’abbattimento dei pregiudizi, sulla storia dell’isola e sulla tradizione della rete dei pescatori. La rete è infatti il tema centrale del progetto proprio per il suo significato storico, sociale e simbolico 28 Si rimanda al sito http://www.articolo21.org/2014/01/un-filo-narrante-per-le-donne-di-lampedusa-e-le-donne-del-mondo-vittimedi-soprusi/ per ulteriori approfondimenti. 17