04. Extraterritorialità nelle operazioni di soccorso in mare
Transcript
04. Extraterritorialità nelle operazioni di soccorso in mare
PROGETTO LAMPEDUSA Parere del 23 maggio 201 2014 a cura del Gruppo di studio del Progetto Lampedusa EXTRATERRITORIALITÀ XTRATERRITORIALITÀ NELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO IN MARE: COMPETENZA E GARANZIE IN RELAZIONE AL ALLA LA TUTELA DEI RICHIEDENTI ASILO L'operazione di soccorso in mare del 12 maggio 20141, in cui sono state impegnate le navi della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, ci offre lo spunto per approfondire appro il modus operandi dell'operazione Mare Nostrum,, nata su iniziativa del governo italiano a seguito del drammatico naufragio occorso sulle coste lampedusane nell'ottobre 20132. L'operazione Mare Nostrum costituisce al contempo uno strumento militare ed umanitario, teso a fronteggiare loo stato di emergenza umanitaria dovuto all’eccezionale ccezionale afflusso di migranti nel Mar Mediterraneo meridionale. L’operazione ha, dunque, il duplice scopo di garantire la salvaguardia della vita in mare e di assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti. L’UNHCR stima che, da quando il governo italiano ha istituito l’operazione, oltre 20.000 persone sono state soccorse in mare e che, in generale, nell’anno 2013 le richieste di asilo sono aume aumentate del 28%3. Nello svolgimento della detta operazione, le flotte italiane si spingono ad operare anche in acque internazionali e nella zona SAR di compete competenza maltese. Proprio l’estensione della zona SAR di Malta è motivo da anni di discordia tra i due Paesi:: Malta, infatti, ha istituito unilateralmente una zona SAR di quasi 250.000 chilometri quadrati (a fronte di un’estensione territoriale pari a circa 1 Il 12 maggio 2014 si è verificato l’ennesimo naufragio di un’imbarcazione carica di immigrati diretta verso le coste italiane. italiane L’avvistamento della nave in difficoltà è avvenuto in acque internazionali, a circa 50 m.n. dalle coste della Libia e a circa 100 m.n. dalle coste di Lampedusa. Secondo quanto riportato dalla stampa, la Guardia Costiera è intervenuta su segnalazione dell’equipaggio dell’equip di un rimorchiatore al servizio di alcune piattaforme petrolifere, congiuntamente a mezzi della Marina Militare, della Guardia di Finanza e a due mercantili battenti rispettivamente bandiera delle Isole Vanuatu e francese. 2 Il 3 ottobre 2013 un’imbarcazione proveniente dalle coste libiche e carica di circa 500 immigrati, giunta a circa mezzo miglio migli dalle coste di Lampedusa sa si è ribaltata, con il tragico esito di 366 morti e circa 20 dispersi presunti. I superstiti salvati sono stati 155. 3 UNHCR Asylum Trends 2013, Levels and Trends in Industrialized Countries. PRESIDIO AVVOCATURA – LAMPEDUSA Tel. (h. 24) +39 334.8202183 – Tel. +39 331.2304819 Email: [email protected] 315 chilometri quadrati), che include persino le acque territoriali italiane delle Isole Pelagie, Lampedusa compresa. Proprio Lampedusa costituisce una delle ragioni centrali della disputa: Malta sostiene che il luogo sicuro dove devono essere trasportati i migranti salvati nella sua zona SAR sia l’Italia, nel caso in cui questa sia l’approdo più vicino per i mezzi di salvataggio. Al contrario, gli emendamenti apportati nel 2004 alle Convenzioni SOLAS e SAR individuano il posto sicuro in cui sbarcare i migranti nel Paese titolare della zona SAR interessata. Nonostante le descritte tensioni, anche in virtù dei consolidati rapporti politici venutisi a creare tra i due Stati sin dall’accordo del 1980, con cui l’Italia si fece carico di garantire la neutralità maltese, il nostro Paese continua a collaborare de facto con Malta ogni volta che le autorità maltesi, nell’impossibilità di svolgere operazioni SAR all’interno della loro zona per scarsità della propria flotta, richiedono l’intervento di mezzi aeronavali italiani. Anche il 12 maggio u.s., quindi, le navi italiane hanno operato il loro intervento in acque internazionali in una zona SAR di competenza di un altro Stato, nella fattispecie Malta. In tali situazioni, si pone in particolare la questione giuridica di quale Stato sia competente a garantire il rispetto dei diritti umani degli eventuali e potenziali richiedenti asilo presenti a bordo delle imbarcazioni di immigrati. La risposta a tale questione si rinviene sia nella normativa interna che in quella internazionale. Ai sensi dell’articolo 4 del Codice della Navigazione del 30 marzo 1942, come modificato nel 2002, «Le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano». La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare («Convenzione di Montego Bay») del 1982 statuisce, nelle parti che qui rilevano, che nell’alto mare le navi sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva ed al controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale dello Stato di cui battono la bandiera (artt. 92 e 94). In virtù delle disposizioni citate, è chiaro quindi che una nave che navighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui batte bandiera. Questo principio di diritto internazionale ha portato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a riconoscere, nelle cause riguardanti azioni compiute a bordo di navi battenti bandiera di uno Stato, come anche degli aeromobili registrati, ipotesi di esercizio extraterritoriale della giurisdizione di quello Stato4. 4 Al-Skeini ed altri c. Regno Unito, n. 55721/07 del 7 luglio 2011; Medvedyev ed altri c. Francia, n. 3394/03, 29 marzo 2010. 2 La giurisprudenza della Corte5 ha, quindi, affermato che in questi casi si profila un controllo de jure et de facto su altri, esercitato dallo Stato in questione sugli individui interessati, a cui consegue la responsabilità dello Stato stesso. Nel caso oggetto del presente contributo, può concludersi senza dubbio che la competenza a garantire i diritti umani si è radicata in capo all'Italia, posto che, secondo il diritto internazionale in materia di rifugiati, il criterio decisivo di cui tenere conto per stabilire la responsabilità di uno Stato non è se la persona interessata dal respingimento si trovi nel territorio dello Stato, bensì se essa si trovi sottoposta al controllo effettivo e all’autorità di esso. Come statuito dalla CEDU nella citata sentenza Hirsi, “Sin dal momento in cui uno Stato esercita tramite i propri agenti operanti fuori del proprio territorio controllo ed autorità su un individuo, quindi giurisdizione, esso è tenuto in virtù dell’art. 1 a riconoscere a quell’individuo i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della Convenzione pertinenti al caso di quell’individuo”. Tra le garanzie che lo Stato competente deve assicurare, vi è innanzitutto il principio di non respingimento sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Detto principio trova applicazione anche in alto mare, in cui gli Stati non sono esenti dai loro obblighi giuridici, compresi gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei rifugiati. Nella sua nota sulla protezione internazionale del 13 settembre 20016, l’UNHCR, che ha il compito di vigilare sul modo in cui gli Stati parte applicano la Convenzione di Ginevra, ha indicato che l’obbligo di non respingere è applicabile anche ai rifugiati indipendentemente dal loro riconoscimento ufficiale, il che comprende evidentemente i richiedenti asilo il cui status non è stato ancora determinato, come nel caso di coloro che, soccorsi a bordo di imbarcazioni in difficoltà, non abbiano ancora presentato la richiesta di asilo. 5 Hirsi Jamaa e altri c. Italia, n. 27765/09 del 23 febbraio 2012. Il 6 maggio 2009 navi della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera italiane intercettarono a 35 miglia marine a sud di Lampedusa all’interno della zona SAR di Malta, imbarcazioni con a bordo 200 persone di nazionalità somala ed eritrea, provenienti dalla Libia. Gli occupanti delle imbarcazioni furono trasferiti sulle navi italiane e poi ricondotti a Tripoli. I ricorrenti lamentavano, tra l’altro, di essere stati esposti, in conseguenza del respingimento, al rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti in Libia, nonché nei rispettivi Paesi di origine, invocando l’art. 3 CEDU. Il Governo, invece, si difese sostenendo che si trattò di un’operazione di soccorso in mare e che l’obbligo di salvare la vita umana in alto mare, come prescritto dalla Convenzione di Montego Bay, non comporta di per sé la creazione di un legame tra lo Stato e le persone interessate, suscettibile di stabilire la giurisdizione di questo. 6 (A/AC.96/951, § 16). 3