Il private placement obbligazionario: l

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Il private placement obbligazionario: l
(Aprile 2014)
Il private placement obbligazionario:
l’esperienza di Amplifon S.p.A.
Stefano Bonomi
Abstract
Come è stato affermato, “fra gli studiosi e gli operatori è ormai da tempo ampiamente
diffusa la consapevolezza che, nell’ambito delle grandi sfide che l’Italia deve
necessariamente superare ai fini della difesa della propria competitività, quelle sul fronte
dell’innovazione e dell’internazionalizzazione abbiano rilievo essenziale”1. In tal senso,
queste ultime costituiscono due componenti irrinunciabili per i soggetti che hanno il compito
di definire le strategie aziendali.
Un problema emerso con prepotenza a seguito della crisi dei debiti sovrani, che in Italia
ha avuto il proprio culmine nel novembre del 2011, è rappresentato dalla rilevante
contrazione del credito alle imprese non finanziarie italiane, le cui conseguenze sono
accentuate dalla scarsa diversificazione delle loro fonti di finanziamento e dai limitati
investimenti degli investitori istituzionali in titoli corporate. Anche in tal senso, un
riferimento al già citato tema dell’internazionalizzazione sembra essere appropriato. Infatti,
l’internazionalizzazione
internazionalizzazione
finanziaria,
più
che
comunemente
si
aggiunge
adottate
dalle
alle
altre
imprese
forme
italiane
di
(degli
approvvigionamenti, della produzione, della ricerca e sviluppo, commerciale), può essere
una soluzione idonea per le aziende che cercano fonti di finanziamento diverse dal canale
bancario.
In quest’ambito, i prestiti obbligazionari da collocare privatamente presso gli investitori
istituzionali stranieri possono costituire un’alternativa interessante. Il principale obiettivo
della tesi di laurea è stato quindi quello di inquadrare e analizzare in maniera organica tale
strumento di finanziamento, proponendo al contempo molteplici spunti di approfondimento,
nonché la discussione di un caso aziendale con riferimento al contesto italiano.
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G. Bertoli, E. Valdani, Mercati internazionali e marketing, Egea, Milano, 2010, p. XI.
1
Il private placement obbligazionario può essere definito come un collocamento di titoli
di debito, riservato ad un singolo investitore ovvero ad un selezionato e ristretto numero di
investitori istituzionali internazionali (ad esempio banche, assicurazioni, fondi comuni,
intermediari finanziari di vario tipo, società fiduciarie e privati di elevato standing), che
avviene in esenzione dalle normative in materia di offerta al pubblico e sollecitazione
all’investimento e dai relativi obblighi di registrazione presso le autorità di sorveglianza
competenti.
I vantaggi realizzabili mediante un private placement sono numerosi. Tra i più
importanti si ricordano il costo procedurale competitivo, la maggiore flessibilità con
riferimento all’ammontare erogato e al tipo di finanziamento, le scadenze medio-lunghe, il
maggiore controllo sull’intero processo di finanziamento, la possibilità di scelta dei
potenziali investitori, il totale collocamento dei titoli offerti ed il rapido tempo di
realizzazione in caso di preventivo accordo con i soggetti finanziatori.
Naturalmente, non mancano alcuni aspetti critici, sia per i potenziali sottoscrittori dei
titoli obbligazionari che per i soggetti emittenti. Con riferimento ai primi, basti pensare alla
costosa e complessa attività di due diligence e di valutazione dei fattori di rischio, alla
limitata liquidità dei bond, all’eventuale inalienabilità delle obbligazioni per un prestabilito
periodo di tempo. Per quanto concerne le emittenti, invece, è stato illustrato come esse
debbano rispettare taluni requisiti, tra i quali si annoverano: un’importante presenza sui
mercati esteri e una reputazione internazionale consolidata, un marchio noto e “spendibile”
anche all’estero, un buon merito di credito (dovuto alle positive prospettive economicofinanziarie della medesima impresa o del gruppo a cui appartiene), un’elevata trasparenza e
un forte grado di apertura nei confronti della comunità finanziaria. Il simultaneo rispetto di
tali (implicite) condizioni è comprensibilmente difficoltoso; inoltre, i sottoscrittori sono
particolarmente interessati agli obiettivi di sviluppo dell’impresa, nonché alle strategie
finalizzate alla loro realizzazione.
In Europa tale tipologia di operazioni non ha ancora riscontrato grande successo. Nel
Regno Unito, nonostante i numerosi tentativi, un mercato dei collocamenti privati di un certo
rilievo stenta a svilupparsi. In Germania ha avuto buon esito una versione alternativa, adatta
alle piccole e medie imprese: il mercato dei cosiddetti Schuldschein, crediti negoziabili sui
mercati istituzionali. In Italia esiste un mercato dei private placements, ancorché raggiunga
dimensioni poco significative: ciò è in gran parte funzione delle scelte di investimento dei
soggetti istituzionali (assicurazioni e fondi pensione in primis), i quali generalmente
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preferiscono acquistare titoli di Stato piuttosto che obbligazioni societarie (salvo che i titoli
siano emessi da imprese dotate di rating).
La situazione è decisamente diversa oltreoceano. Infatti, il contesto nel quale i private
placements sono maggiormente sviluppati è senza ombra di dubbio quello statunitense. Da
qui deriva l’espressione “U.S. private placement (USPP) market”, che definisce un mercato
statunitense dei corporate bond disponibile sia per le imprese nazionali che per le imprese
straniere (nel 2012 il mercato ha raggiunto in termini di volumi i 53 miliardi di dollari).
Durante gli ultimi anni, il ricorso al mercato degli USPPs da parte di talune grandi
società italiane si è accentuato, a maggior ragione con l’avvento della crisi economicofinanziaria del 2007 e della successiva fase di credit crunch. Nel periodo 2006-2013, le
imprese non finanziarie italiane che hanno emesso e collocato privatamente i propri titoli
obbligazionari sul mercato statunitense sono state le seguenti: Amplifon, Autogrill,
Luxottica, Campari, Barilla, Piaggio & C., Buzzi Unicem, Illycaffè, Sol, De’Longhi, Pirelli
& C., Ima, Sogefi, Recordati, Marr, Ariston Thermo. Si osservi come le società ora
enumerate siano accomunate dalle medio-grandi dimensioni, dalla consolidata presenza sui
mercati esteri, nonché dalla buona reputazione a livello internazionale; inoltre, nella maggior
parte dei casi si tratta di imprese quotate, quindi aperte al mercato e caratterizzate da un forte
grado di trasparenza.
Le evidenze di cui sopra sono emerse in modo particolare durante l’analisi
dell’esperienza di Amplifon S.p.A., caso paradigmatico nel panorama italiano di impresa che
si è avvalsa di un U.S. private placement. Il Gruppo Amplifon ha deciso di realizzare un
private placement negli Stati Uniti all’inizio del 2013, anche se un’analoga operazione era
già stata sperimentata nel corso dell’esercizio 2006. Tale scelta è stata effettuata per poter
cogliere al meglio le opportunità offerte dal contesto competitivo in cui opera l’impresa.
Nello specifico, è stato evidenziato come la società sia particolarmente interessata ad entrare
in alcuni mercati emergenti, oltre che a rafforzarsi mediante un aumento della massa critica
nei paesi dove è già presente. Storicamente, Amplifon ha fatto ingresso nei mercati
internazionali mediante l’acquisizione dei principali competitors e l’intendimento per il
prossimo futuro, desumibile dai documenti societari pubblicati periodicamente sul sito
internet del gruppo e dalle dichiarazioni del management, è quello di proseguire con
l’implementazione di tale strategia. Conseguentemente, la disponibilità di risorse finanziarie
a supporto dell’espansione internazionale rappresenta una condicio sine qua non ed il CdA
ha scelto di sfruttare anche le opportunità offerte dal mercato degli U.S. private placements.
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Il private placement 2013-2025 ha permesso alla società di ottenere un finanziamento di
nominali 130 milioni di dollari, a medio-lunga scadenza (durata media di 10,3 anni), con una
remunerazione del capitale vantaggiosa (coupon medio del 3,90%) e dei costi di emissione e
collocamento limitati (pari allo 0,46% sul valore nominale del prestito). Oltre a ciò,
l’emissione di un prestito obbligazionario riservato ad investitori istituzionali statunitensi è
rientrata nell’ottica di una maggiore diversificazione delle proprie fonti di finanziamento. A
tal scopo, sempre nel 2013, Amplifon ha acceso due nuove linee di credito revolving e ha
emesso un prestito obbligazionario senior, unrated e non convertibile sul mercato europeo,
destinandolo esclusivamente ad investitori istituzionali non americani e quotandolo in un
secondo momento presso l’Euro MTF.
In definitiva, è stato dimostrato come il private placement 2013-2025 e le altre
operazioni di finanziamento realizzate nel 2013 abbiano consentito al Gruppo Amplifon di:
rifinanziare parte del proprio debito a condizioni competitive, incrementando al contempo la
duration dell’indebitamento complessivo; ottenere una maggiore autonomia gestionale nel
breve e medio termine (dal II semestre 2013 al I semestre 2016); proseguire con la strategia
di sviluppo del mercato e la diversificazione delle fonti di finanziamento; consolidare i
rapporti con alcuni primari investitori istituzionali statunitensi ed europei.
Ovviamente, non vanno dimenticate le rigidità comportate dalla presenza dei covenants
nei contratti di finanziamento (come quelli che limitano l’indebitamento o le operazioni
straordinarie); ciononostante, si segnala che durante il private placement 2006-2016 tali
vincoli sono stati rispettati senza particolari problemi. Ad ogni modo, Amplifon è riuscita a
collocare con successo i propri titoli di debito presso gli investitori istituzionali stranieri, in
primis perché era già nota al mercato statunitense e in secondo luogo in quanto godeva di
buone prospettive economico-finanziarie.
Tornando al contesto nazionale, le opportunità e le sfide che lo scenario post-crisi pone
agli operatori economici sono del tutto evidenti. Si noti peraltro come le imprese italiane di
maggior successo si contraddistinguano per talune caratteristiche, quali l’attenzione ai
mercati internazionali ed ai cosiddetti “nuovi consumatori”; la trasparenza, l’apertura al
mercato ed il rapporto continuo con gli stakeholders; la relazione con il consumatore; un
sistema di valori aziendali credibile e consolidato. Questi ed altri sono i fattori chiave che
definiscono le cosiddette “eccellenze del made in Italy”.
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Le caratteristiche sopra citate non sono obiettivi conseguibili solamente dalle imprese
maggiori, bensì anche da quelle di piccole e medie dimensioni (il cui peso è ancora
predominante in Italia). L’evoluzione delle PMI italiane si rende necessaria per accrescerne
la competitività in ambito internazionale, condizione indispensabile per superare il ciclo
economico negativo che sta attraversando il nostro Paese. Sul fronte delle fonti di
finanziamento, invece, sarà fondamentale che le piccole e medie imprese si affranchino
parzialmente dalle banche e si aprano al mercato dei capitali. Per farlo, logicamente,
dovranno essere sostenute in questo processo da specifiche politiche pubbliche.
Con riferimento all’emissione di titoli obbligazionari, le iniziative del Governo italiano
volte a favorire tale fonte di finanziamento si sono intensificate a partire dall’emanazione del
Decreto Sviluppo (giugno 2012) e del Decreto Crescita 2.0 (ottobre 2012). Nello specifico,
questi ultimi hanno semplificato e integrato il preesistente ordinamento degli strumenti per il
finanziamento dell’attività d’impresa; rimosso gli ostacoli civilistici e fiscali per l’accesso al
mercato dei capitali da parte delle società italiane non quotate mediante l’emissione di
obbligazioni, cambiali finanziarie, obbligazioni subordinate e partecipative; introdotto a
favore delle imprese non quotate gli stessi benefici legali e fiscali validi per le società
quotate; modificato il comma 5° dell’art. 2412 del codice civile, consentendo la non
applicazione del limite di cui ai commi 1° e 2° del medesimo articolo alle “emissioni di
obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di
negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere
azioni”; allineato le opportunità finanziarie del sistema nazionale a quelle dei più avanzati
sistemi industriali e finanziari europei.
Successivamente, con il Decreto del Fare (2013) è stato potenziato il Fondo Centrale di
Garanzia ed è stata avviata una profonda revisione dei criteri di accesso al fondo stesso. Tali
interventi sono stati concepiti per ampliare il bacino dei beneficiari anche alle imprese che,
nonostante le contingenti e inevitabili difficoltà, restano sane e con reali prospettive di
sviluppo. Inoltre, per mezzo della Nuova Legge Sabatini, è stato attivato un canale di finanza
agevolata per il rinnovo dei processi produttivi delle PMI. In modo particolare, sono stati
resi disponibili finanziamenti a tasso agevolato destinati ad investimenti produttivi (come
l’acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature, incluse le soluzioni hardware e software).
Più recentemente il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio e
dei Ministri degli Affari Esteri e dello Sviluppo Economico, ha approvato il piano
Destinazione Italia, un progetto volto ad attirare investimenti esteri e a favorire la
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competitività delle imprese italiane. Per rispondere alla questione del finanziamento alle
imprese è stata predisposta la misura n. 18 (M18), denominata “Non solo banche. Ampliare
le fonti di finanziamento per le piccole e medie imprese”, che ha preso in considerazione
alcuni temi fondamentali quali il ruolo degli investitori istituzionali a sostegno dell’impresa
e la fiscalità indiretta relativa alle operazioni di finanziamento.
In conclusione, occorre segnalare che si registrano alcuni timidi segnali positivi. Ad
esempio, nel triennio 2010-2012 le emissioni lorde di obbligazioni ad opera di società
italiane sono costantemente aumentate ed il trend positivo è proseguito anche nell’esercizio
2013. Certamente nel confronto internazionale il peso delle obbligazioni sui debiti finanziari
risulta ancora limitato, tuttavia le imprese italiane hanno intrapreso (seppur in modo
“forzato”) l’auspicabile direzione della diversificazione delle proprie fonti di finanziamento.
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