Cecilia Prete. I dipinti di Guercino nella collezione fanese del
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Cecilia Prete. I dipinti di Guercino nella collezione fanese del
Cecilia Prete I DIPINTI DI GUERCINO NELLA COLLEZIONE FANESE DEL GESUITA GIOVANNI RAYN Le predilezioni del patriziato fanese espresse sin dagli inizi del ‘600 nei confronti della coeva pittura di ambito bolognese, come le ben note committenze a pittori quali Ludovico Carracci, Guido Reni, Domenichino, Guercino, Simone Cantarini attestano, non sembrano subire significativi cambiamenti di rotta nel corso del tempo, stando alle testimonianze documentarie riferibili al collezionismo fiorito localmente tra Sette e Ottocento, sebbene allo stato attuale degli studi poche e vaghe siano di fatto le fonti settecentesche a proposito. Fra queste, gli appunti disordinati dell’erudito bolognese Marcello Oretti, di passaggio per Fano nel 1777, che tuttavia non lasciano traccia di quadrerie cittadine, mentre non manca di annotare la presenza delle opere dei maestri bolognesi e dei loro allievi, ancora presenti nelle chiese fanesi e nel Collegio Nolfi, proprio alla vigilia dei profondi sovvertimenti che le soppressioni napoleoniche causeranno al patrimonio artistico della regione1. Diversamente, l’abate Luigi Lanzi, che nel suo viaggio per l’Italia centrale compiuto di lì a poco non trascurerà di visitare le Marche, riporta nei suoi taccuini di viaggio brevi note riguardanti antichità e dipinti in possesso di alcune famiglie fanesi. Tra queste gli Uffreducci, dove vede un quadro raffigurante una Samaritana al pozzo che riferisce al Domenichino, anche se non ne riconosce la piena autografia, parendogli alcune parti meno belle “delle usate comunemente da lui”, mentre non lesina parole di elogio per il David con la testa di Golia del collegio Nolfi2. Anche le tre guide settecentesche che, all’altezza di quelle date, illustrano le opere pittoriche presenti a Fano poco aggiungono alla conoscenza del patrimonio collezionistico privato della città, fatta esclusione per le scarne informazioni contenute nella guida più tarda, compilata alla fine del secolo, dove si ricordano, oltre al “Ritratto di un Guerriero di Famiglia del Tiziano” presso i Montevecchio e alla Natività di Gesù del Barocci di proprietà dei Marcolini, un San Francesco attribuito al Guercino in casa Marcolinina, già residenza della famiglia Uffreducci3. Tuttavia, nel Catalogo delle migliori pitture sculture architetture della Città di Fano redatto nell’Ottocento da Amico Ricci, il dipinto in questione viene attribuito ad Annibale Carracci, precisazione, quest’ultima, che non permette comunque di rintracciare l’opera citata di cui non si hanno altre notizie, pur confermando il particolare interesse nei confronti della scuola bolognese espresso dalla famiglia4. In questo panorama, è chiara l’importanza del recupero di fonti documentarie quali lasciti e testamenti, un lavoro che attende e merita una sistematica ricognizione degli archivi, sebbene non di rado gli stessi inventari dei beni risultino privi delle indicazioni necessarie per riconoscere e rintracciare le opere citate, quali la descrizione dettagliata dei soggetti, l’attribuzione ad un autore o alla scuola di appartenenza, le misure, ecc. Dato il contesto, particolare rilevanza assume l’inventario della cospicua raccolta di dipinti appartenuta nella prima metà dell’Ottocento all’abate gesuita Giovanni Rayn, a buon diritto da ritenersi la più ricca collezione fanese a queste date, dove figurano numerose opere riferite ai maestri bolognesi del Seicento fra cui non mancano opere del Guercino. Nato a Fano il 2 agosto del 1800 dal pittore e commerciante d’arte Giuseppe Rayn, di lontane origini tedesche5, Giovanni viene ricordato in qualità di conoscitore e collezionista nella Guida manoscritta di Stefano Tomani Amiani che, come è noto, rappresenta una fonte di estrema importanza per la ricostruzione della storia artistica della città. Proprio nell’introduzione rivolta “a chi si compiacerà di leggere l’autore”, Tomani Amiani ringrazia per primo “l’egregio sacerdote Don Giovanni Rayn solerte e valente cultore delle arti belle” fra i “concittadini ed amici desiderosi del comun bene, gelosi della gloria comune” che lo hanno incoraggiato e aiutato Simone Cantarini, La Vergine con il Bambino appare a San Tommaso da Villanova, Fano, Pinacoteca civica 49 nell’impresa data alle stampe oltre un secolo dopo6. Sempre nelle pagine di Tomani Amiani troviamo la prima descrizione della raccolta Rayn, conservata presso l’abitazione della famiglia Della Santa dove l’abate risiedeva7, al cui interno vengono sommariamente ricordate opere di scuola fiorentina, senese, romana, napoletana e veneta di altissima qualità, destinate ad appagare “tutti coloro che prediligono il sentimento del Bello rivelato col talismano di un abile pennello” 8. Sicuramente Amiani conosceva bene la collezione dell’abate al quale era legato da un rapporto di stima e gratitudine, e il contributo che Rayn diede alla compilazione della guida fanese in materia artistica non fu certo trascurabile. Un fascicolo manoscritto autografo di Rayn, conservato presso la Biblioteca Federiciana, testimonia il puntuale lavoro di revisione compiuto da questi su di una prima stesura del manoscritto che in più punti viene corretto, ampliato, aggiornato. Considerazioni in merito alla più appropriata collocazione di un’opera per consentirne la migliore fruizione e conservazione, o in merito alla necessità di evitarne la vendita e la conseguente dispersione ricorrono più volte nelle pagine scritte da Rayn e dimostrano la sua sensibilità e preparazione in ambito artistico - come i frequenti rimandi alle più accreditate fonti della letteratura artistica attestano - il suo fine intuito attribuzionistico, una moderna mentalità in materia di restauro e di tutela del patrimonio ecclesiastico locale9. È significativo a questo proposito che tra le opere della sua collezione figuri il San Tommaso da Villanova di Simone Cantarini, un tempo collocato nella chiesa di Sant’Agostino, che Rayn acquistò dalla famiglia Corbelli accompagnato da un rescritto che ne vietava l’esportazione in virtù del quale la tela non ha subito le sorti di quasi tutta la collezione ed è oggi conservata nella Pinacoteca civica di Fano10, e che il quadro raffigurante San Paolo rapito al terzo cielo, già nella chiesa di San Paterniano e riconosciuto da Rayn come originale del veronese Claudio Ridolfi, sia prima appartenuto all’abate e quindi da questi ceduto “con legger compenso alla Chiesa a maggior decoro della medesima”, stando alle parole che lui stesso afferma e riportate da Tomani Amiani11. Che la sua fama di conoscitore abbia varcato i confini della città e che la sua consulenza sia stata più volte richiesta per valutare il prezzo delle opere d’arte custodite all’interno dei palazzi nobiliari sono attestati, tra le altre cose, dalla notizia riguardante la presenza di Rayn, “intelligentissimo di pittura”, a Jesi nel 1840 “per far la stima della quadreria della fu Sig. M.a Carolina Honorati”, erede universale 50 della nobile famiglia jesina che vantava una ricca collezione di dipinti oggi dispersa12. Colto da morte improvvisa il 29 agosto 185513, a causa dell’epidemia di colera che in quell’anno aveva spopolato la città di Fano, Rayn lasciava nelle stanze che abitava in casa Della Santa una ricca raccolta di dipinti, compresi alcuni disegni, unitamente ad una folta biblioteca di testi soprattutto religiosi, di cui resta una dettagliata testimonianza nell’inventario dei beni, stilato alla sua morte, che questi destinava nella pressoché totalità alle Missioni Estere della Compagnia di Gesù14. Una vertenza giudiziaria depositata presso la Sacra Congregazione romana dei Vescovi e Regolari tra Sante Lombardi, canonico teologo della cattedrale di Fano, e la Compagnia di Gesù, rappresentata dal padre gesuita Angelo Chimenti procuratore del Collegio di Fano e da Giuseppe Betti, procuratore generale dell’ordine, offre qualche delucidazione in merito alle tormentate vicende dell’importante lascito. Tale vertenza, di cui dovette occuparsi anche il neo eletto Vescovo di Fano, monsignor Filippo Vespignani, riguardava la volontà espressa in punto di morte dal testatore di ritirare dall’eredità la cospicua somma di 1000 scudi per consegnarli ad una persona la cui identità, da mantenersi segreta, veniva rivelata per iscritto al rettore della Compagnia di Gesù di Fano15. A conferma della veridicità del tardivo legato, messa in discussione dai destinatari del lascito che non intendono rinunciare a una somma così consistente, viene invitato a rilasciare una dichiarazione scritta un altro illustre concittadino, il canonico Celestino Masetti, che nel ricordare “la più intima e cara amicizia” stretta con Giovanni Rayn, uso a confidargli “senza eccezione i suoi più gelosi e importanti segreti”, testimonia l’intenzione dell’abate di lasciare “un legato in denaro a favore di una persona, il cui nome avrebbe indicato ai suoi esecutori testamentari”16. Purtroppo, non sono noti gli esiti della vertenza, le cui tracce si fermano al 1857 dopo essere stata sottoposta al parere dello stesso Pontefice, probabilmente messa a tacere e risolta in modo da accontentare entrambe le parti17. Il già citato inventario dei beni lasciati alla Compagnia fu stilato pochi giorni dopo il decesso dell’abate, a partire dal 7 settembre 1855, dal notaio fanese Alessandro Giovannelli, alla presenza del padre gesuita Luigi Grispigni, di due testimoni e del rigattiere Grisante Tommassoni, in più sessioni che si conclusero con la stima fatta da Giuseppe Castellani e I DIPINTI DI GUERCINO NELLA COLLEZIONE FANESE DEL GESUITA GIOVANNI RAYN Giambattista Sangiorgi, professori di pittura l’uno a Fano e l’altro a Pesaro18. I singoli pezzi, riposti mano a mano all’interno di bauli momentaneamente depositati in Palazzo Marcolini, all’epoca possedimento del Collegio Nolfi dei padri gesuiti, per lasciare libero l’appartamento di Caterina Della Santa, proprietaria degli ambienti abitati da Rayn, sono enumerati secondo l’originaria collocazione all’interno di poche stanze, tenute “in sommo disordine […] per esservi una quantità di quadri posti alla rinfusa che si ritengono di qualche pregio e valore”19. Questi, preceduti da una doppia numerazione, vengono descritti con una certa accuratezza, quasi sempre accompagnati dal nome dell’autore, vero o presunto che sia, cui si aggiunge non di rado un commento critico sulla qualità dell’opera, sicuramente ripreso e trascritto da un elenco precedente di mano dello stesso proprietario20. Non può sfuggire, anche ad una sommaria scorsa del lungo elenco, la significativa presenza di dipinti seicenteschi riconducibili all’area bolognese, compresi disegni, studi, abbozzi e copie, fra cui spiccano i nomi di Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino, Simone Cantarini, Carlo Cignani, Guido Cagnacci e non solo. Non è facile ricostruire le origini di questa collezione che a metà del secolo scorso Riccardo Paolucci21 - cogliendo quanto già prospettato da Adolfo Mabellini22, senza tuttavia fornire ulteriori elementi probanti - ipotizzava derivasse da quella seicentesca del nobiluomo fanese Francesco Sperandio, così ricca e famosa da meritare la visita di Cristina di Svezia quando passò per Fano nel 1657, come ricordava l’Amiani nelle sue Memorie 23. Tuttavia nulla si conosce della sorte della “bella e rara Galeria di Pitture”24, probabilmente confluita, intorno al 1680, nel fondo ereditato dai padri della Compagnia di Gesù di Fano insieme con il resto dei beni della famiglia, secondo la volontà testamentaria del canonico Gian Francesco Sperandio25. L’appartenenza di Giovanni Rayn allo stesso ordine potrebbe giustificare l’ipotesi avanzata da Mabellini e da Paolucci ma è probabile che buona parte dei dipinti sia frutto della sua attività di compravendita agevolata dalle conoscenze che la fama di perito d’arte poté assicuragli. Anche la già citata vertenza relativa ai 1000 scudi pare motivata dal desiderio di ricompensare una “persona molto altolocata, ma affatto ignorante di roba d’arte”, da cui l’abate aveva acquistato “alcuni quadri per 80 scudi, mentre egli, buon intenditore, reputava che valessero 8 mila” 26. È certo altresì che alcune acquisizioni furono indotte dal desiderio di preservare le opere dalla sicura di- spersione, mentre un certo numero di pezzi, che al momento della morte si trovava in casa, vi era stato solo depositato, come si deduce da una clausola del testamento dove si richiede la restituzione ai legittimi proprietari di alcuni quadri27. Tra questi “un piccolo quadretto in rame rappresentante S. Carlo” e un altro con San Filippo Neri, entrambi acquistati dal rigattiere Tomassoni e consegnati da tempo a Rayn perché questi li ripulisse28. Del resto, la presenza tra gli oggetti inventariati di “numero sette attrezzi per accomodare i quadri, di acciaio con manici di legno” 29, di “vari involti di carte con […] gomme per vernici da quadri”, di “una pietra per macinare colori” e di “un cavalletto per quadri” 30 non lasciano dubbi in merito al fatto che Rayn si occupasse di restaurare anche opere di proprietà altrui. A questo proposito giova ricordare un “piccolo quadretto di forma quasi quadrilatera […] rappresentante un S. Girolamo in mezza figura, in atto di meditare. Disegno su carta, fatto a matita rossa, in ottime condizioni ed originale del Guercino da Cento”, citato nell’inventario31. La sanguigna, collocata nella camera da letto e valutata 3 scudi, era stata segnalata da Rayn al notaio affinché venisse ritirata dalla quadreria, trattandosi di un’opera “di proprietà del conte Onorati Trionfi abitante vicino al duomo di Jesi”32 al quale evidentemente andava restituita. Dedicato ad un soggetto più volte trattato dal Guercino, il disegno non è rintracciabile nel lungo elenco di opere inventariate alla morte di Carolina Honorati Trionfi e stimate dallo stesso Rayn, che forse lo trasse con sé per venderlo, e che in punto di morte intende riconsegnare ai proprietari dove tuttavia non pare sia mai giunto, visto il silenzio delle successive testimonianze in merito33. Dalle poche informazioni di cui siamo in possesso ci è lecito solamente ipotizzare che si tratti di uno studio preparatorio per uno dei molti San Girolamo dipinti a mezza figura citati nel Libro dei Conti del pittore, sul genere della tela, di analogo soggetto ma di dimensioni ridotte, oggi nella collezione Mr. e Mrs. Morton B. Harris di New York34. Continuando a scorrere l’inventario della collezione Rayn, troviamo altri e significativi dipinti riferiti con sicurezza al maestro di Cento come la tela raffigurante “S. Maria Maddalena nel deserto con due Angeli, uno dei quali le mostra un chiodo di nostro Signore, e l’altro col sinistro braccio le mostra il cielo”. Riprendendo il commento critico dello stesso Rayn, l’estensore dell’inventario scrive: “studio bellissimo e originale del Guercino da Cento della famosa Maddalena, che stava alle convertite 51 di Roma, ora esistente nella Galleria Vaticana”35. Si tratta della pala collocata sull’altare maggiore della chiesetta romana nel 1622, lodata da Salerno perché dimostra la “leggera ma sostanziale svolta in direzione dell’ideale classico” compiuta a quelle date dal Guercino36. Se la pala viene ampiamente ricordata tanto da Malvasia quanto dalle fonti successive, viene invece taciuta l’esistenza del presunto studio che faceva parte della collezione Rayn, e che veniva stimato 4 scudi, di cui non si conosce il destino. Non è da escludere tuttavia che possa trattarsi di una copia di buona mano che riproduceva parte dell’originale guercinesco, come nel caso delle tele conservate a Brera e in South Carolina, presso la Bob Jones University di Greenville37. Stessa sorte per un altro “originale del Guercino da Cento della seconda e più bella maniera, in cui non ha eguale”. Si tratta di un “quadro in tela senza cornice, piuttosto grandicello di forma quadrata, rappresentante una pittura finitissima, sebbene fatta alla prima e non terminata. Vi mancano i piedi di Agar giacché rappresenta Abramo che caccia di casa Agar col figlio Ismaele. Ad Ismaele manca il corpo e tutto il fondo del quadro, non essendovi Guercino, La Maddalena e due angeli, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana A lato: Guercino, Abramo ripudia Agar e Ismaele, Milano, Pinacoteca di Brera Guercino, Abramo ripudia Agar e Ismaele, Inghilterra, Collezione di Sua Maestà la Regina Elisabetta II 52 che la tinta dell’imprimitura”38. La descrizione del quadro, benché piuttosto dettagliata, non aiuta comunque ad individuarne l’attuale collocazione ma permette di desumere che il taglio compositivo si discosta da quello del dipinto di analogo soggetto conservato presso la Pinacoteca di Brera, dove sono presenti i quattro protagonisti della storia biblica a mezza figura. Tuttavia, sulla base di un disegno riconosciuto come preparatorio per questa tela39, commissionata nel 1657 dalla Comunità di Cento I DIPINTI DI GUERCINO NELLA COLLEZIONE FANESE DEL GESUITA GIOVANNI RAYN per essere donata al cardinal legato di Ferrara Lorenzo Imperiali, è lecito ipotizzare che inizialmente il pittore avesse pensato ad una composizione in verticale con tre figure intere, poi ridimensionata sulla base della disponibilità finanziaria dei committenti. Dunque è assai probabile che il dipinto di proprietà Rayn fosse una prima versione dell’opera in questione - con Abramo, Agar e Ismaele, come il disegno testimonia - lasciata allo stato di abbozzo proprio perché si optò per una composizione a mezze figure con l’aggiunta di Sara rappresentata lateralmente e di profilo40. Un altro dipinto della collezione merita particolare riguardo: si tratta di “un quadro con cornice dorata, rappresentante S. Luca con una carta in mano, ove legge il suo Vangelo. Bellissimo originale del Guercino da Cento della sua più forte maniera, cioè la seconda unita alla terza”41. La descrizione riportata nell’inventario prosegue aggiungendo un fonda- mentale indizio ai fini dell’identificazione del quadro: “Dietro nella tela si legge un’antica iscrizione che dice così: del Guercino da Cento donato dal detto pittore all’Eminentissimo Sacchetti l’anno 1641”42. È questo particolare (benché l’anno sia in realtà il 1631, come chiaramente distinguibile dall’esame diretto della scritta) che permette di riconoscere la tela posseduta da Rayn nel San Luca Evangelista che oggi fa parte della collezione Richard L. Feigen di New York, dove per altro un’ulteriore e più tarda iscrizione riportata su di un cartellino incollato al telaio dice “eredità Rayn, n. 81/95. Un Vecchio che legge di Guercino”43. Il San Luca, apparso alla fine degli anni Ottanta in un’asta Sotheby’s44, è stato identificato in quello commissionato dal cardinale Bernardino Spada insieme con il suo ritratto, entrambi citati da Malvasia e pagati 80 scudi, come ricordato nel Libro dei conti, l’8 luglio del 163145. Stone ipotizza che Sacchetti abbia ricevuto il dipinto come dono da parte dello Spada, legato del papa a Bologna in quegli anni, e che Guercino abbia personalmente consegnato il dipinto al Sacchetti, legato pontificio a Ferrara e Cento46. Non è però da trascurare il fatto che Giulio Sacchetti rivestì la carica di Vescovo di Fano dal 1626 al 1635, anni in cui non sono ancora documentati rapporti tra Guercino e la città ma che coincidono con la data di esecuzione del dipinto47. Non si conclude qui la lista delle opere attribuite a Guercino un tempo di proprietà Rayn, a riprova Dall’alto, in senso orario: Guercino, San Luca Evangelista, New York, collezione Richard L. Feigen; particolare dell’iscrizione sul retro del telaio; particolare dell’iscrizione sul retro della tela 53 di un interesse non casuale nutrito dall’abate per il maestro di Cento, la cui parabola artistica, come si deduce dai brevi ma acuti commenti sicuramente tratti dall’inventario redatto di suo pugno, conosce nei dettagli. Ricordiamo ancora una “Maria Vergine - mezza figura - e il Bambino intero, assiso su un tavolino ambedue della grandezza al vero. Pittura di gran merito, perché originale di Guercino da Cento. È da osservarsi la testa del putto, come la parte più accarezzata dal pittore di tutto il dipinto”48. Dalle pur generiche indicazioni si può ipotizzare che la tela fosse simile alla Madonna con il Bambino benedicente conservata nella Pinacoteca civica di Cento49, allo stesso modo in cui è lecito desumere che il “piccolo quadretto […] rappresentante S. Giovanni Battista, che attinge l’acqua da una fontana. Originale del Guercino da Cento”50, sempre citato tra i quadri della collezione, ricalcasse il modello del San Giovanni Battista alla fonte della Galleria Doria Pamphili o di quello appartenente alla collezione di Richard L. Feigen di New York51. Consegnati al destinatario del lascito, i dipinti appartenuti a Giovanni Rayn vengono presumibilmente inviati a Roma e lì venduti e dispersi, vanificando gli auspici di Stefano Tomani Amiani, di certo condivisi dai più sensibili abitanti di Fano, affinché “si fatto artistico tesoro non sia preda giammai o dell’ingordigia degli stranieri, o della rapacità degli speculatori” e “possa fare splendidamente ornato” il salone di un qualche palazzo cittadino52. Desidero ringraziare per la generosa disponibilità e per l’aiuto prestatomi nelle ricerche il personale dell’Archivio Diocesano di Fano, dell’Archivio di Stato Sezione di Fano, dell’Archivio di Stato di Pesaro, dell’Archivio Segreto Vaticano, della Biblioteca Federiciana di Fano, della Biblioteca Planettiana di Jesi, della Biblioteca Gambalunga di Rimini. Un ringraziamento inoltre ad Ann Guite della collezione Richard L. Feigen di New York per le immagini del dipinto di Guercino raffigurante San Luca. Note 1 Bologna, Archivio Comunale dell’Archiginnasio, ms. Oretti, B 165 II, fasc. G, cc. 1-15. 2 Il quadro della Samaritana al pozzo citato in casa Uffreducci non è mai stato identificato. Cfr. Lanzi, a cura di C. Costanzi, 2003, pp. 51-52. 3 Battistelli 1995, pp. 58-59. 4 Ivi, pp. 77-78. Oltre a ricordare il dipinto del Barocci presso i Marcolini e il ritratto di Tiziano presso il conte Ermanno Montevecchio, Ricci ricorda “una Pudicizia di Simone” in casa Montevecchio, “otto immagini di filosofi” in casa Gasperoli, “una testa di Redentore di Guido e un S. Francesco dello Spagnoletto” in casa Carrara e infine “appresso Monsignor Jesion vari piccoli quadretti fiamminghi”. Copia di Alipio Alippi del ms di Ricci, conservata presso la Bibl. Comunale Federiciana di Fano, raccolta Manoscritti, sez. XII, 308, fondo Castellani. 5 Giuseppe Rayn, in più occasioni ricordato come ‘tedesco’, in realtà era nato a San Germano di Napoli ed aveva sposato Maria Francesca Damiani da cui nacque, a Fano, Giovanni. Devo la notizia a Giuseppina Boiani Tombari, responsabile dell’Archivio Diocesano di Fano, che ringrazio. 6 Tomani Amiani, ed. 1981, p. 22. 7 Già proprietà dell’antica famiglia Arnolfi, il palazzetto è collocato ad angolo tra la piazzetta del duomo e via Arco d’Augusto. Cfr. Selvelli 1924, p. 81. 8 Tomani Amiani 1981, p. 134. 9 Fano, Biblioteca Federiciana, ms. fondo Amiani, 125/7. Sul Capitolare contenente le osservazioni sui singoli quadri descritti nella guida storica artistica di Famo emessa dalla b. m. del Abb. D. Giovanni Ray sulla prima copia presentata al medesimo per le opportune correzioni, siccome vennero eseguite nella seconda copia da S. T. Amiani , è in corso un lavoro di trascrizione critica del manoscritto. 10 Si veda Ambrosini Massari 1993, pp. 56-57, e ead. 1997, pp. 145-146. 11 Ms. fondo Amiani, 125/7, p. n.n., e Tomani Amiani, 1981, p. 152. Sul dipinto non più rintracciabile si veda Baldelli 1977, pp. 102-103. 12 La notizia è riportata in Annibaldi 1905, p. 34. La Descrizione e stima dei quadri di Palazzo Honorati a Jesi in contrada Posterma, fatte in occasione della stesura dell’inventario dei beni ereditari di Carolina Honorati Trionfi (6-13 ottobre 1840), conservata a Jesi presso la Biblioteca Comunale, A.H.T., busta 59, è stata pubblicata da Conversazioni 2002, Jesi, pp. 304-311. Negli stessi anni Don Giovanni Rayn figura anche come perito nella stima dei quadri della famiglia fanese Uffreducci, come cortesemente riferitomi da Giuseppina Boiani Tombari, al cui saggio, pubblicato in questo catalogo, si rimanda. 13 Fano, Archivio diocesano, vol. XXX, cattedrale, morti 18381866. SIGLE E ABBREVIAZIONI ASP, ANP Archivio di Stato di Pesaro, fondo Archivio Notarile di Pesaro ASV Archivio Segreto Vaticano 54 14 L’inventario dei beni appartenuti a Rayn fu pubblicato dal fanese monsignor Riccardo Paolucci che tentò una puntuale ricostruzione delle vicende relative al lascito. Si veda Paolucci 1946a, pp. 29-72 e 1946b. 15 Il fascicolo riguardante la vertenza è conservato presso l’Archi- I DIPINTI DI GUERCINO NELLA COLLEZIONE FANESE DEL GESUITA GIOVANNI RAYN vio Segreto Vaticano, Congr. Vescovi e Regolari, Positiones Regul. Maggio 1857, cc. 1-19. 16 Ivi, c. 5. 17 Ivi, cc. 3; 7-8. In una supplica datata 12 dicembre 1855, presentata dalla famiglia Falcioni di Fano per aver parte all’eredità del defunto Giovanni Rayn come parenti prossimi, si fa riferimento alla quadreria che i Falcioni intenderebbero vendere. La supplica, sulla base del parere negativo motivato anche dai propositi di vendita e inviato dal padre Luigi Grispigni al Vescovo, non verrà accolta. Il documento è conservato presso l’Archivio diocesano di Fano, cartella Mons. Luigi Carsidoni, Informazioni suppliche facoltà, 1855-56, foglio sciolto. 18 Pesaro, Archivio di Stato, fondo Archivio Notarile di Pesaro, notaio A. Giovannelli, vol 222, 1855. di Andrea Honorati, 1988, pp. 151-152 e 1990. 34 Si veda Salerno 1988, n. 251, p. 324 e Stone Firenze 1991, n. 234, p. 245, con bibl. 35 ASP, ANP, Inventario Giovannelli, 1855, c. 32, n. 161, n. 175. 36 Salerno 1988, n. 88, p. 171, con bibl. 37 Cfr. Spada 1991, pp. 219-220. 38 ASP, ANP, Inventario Giovannelli, 1855, cc. 35-36. 39 Il disegno a sanguigna (Inghilterra, Sua Maestà la Regina Elisabetta II, inv. 2381), è pubblicato in Giovanni Francesco Barbieri. Il Guercino 1591-1666. Disegni, catalogo della mostra a cura di D. Mahon, Bologna-Cento, 6 settembre-10 novembre 1991, Bologna 1991, n. 150, pp. 237-238, con bibl. 19 Ivi, c. 5. 20 Come si legge a c. 31 dell’inventario stilato dal notaio Giovannelli , “gli autori dei quadri furono così battezzati da Ray (sic) nel richiamato inventario”, alludendo ad un documento stilato dallo stesso testatore che doveva avere sotto mano. 21 Paolucci 1946a, p. 29. 22 Mabellini 1937, XV, p. 48, n. 2. 23 Amiani 1751, vol. II, p. 292. 24 Ivi, p. 292. 25 Fano, Biblioteca Federiciana, ms. Bertozzi, protoc. K, vol. 5, cc. 28-29. 40 Cfr. Giovanni Francesco Barbieri. Il Guercino 1591-1666, catalogo della mostra a cura di D. Mahon 1991 n. 174, pp. 378-381, con bibl. 41 ASP, ANP, Inventario Giovannelli, 1855, cc. 47-48, n. 60/215. 42 Ivi. L’estensore dell’inventario si confonde scrivendo la data 1641 mentre l’anno indicato nell’iscrizione è il 1631. La tela veniva stimata 60 scudi. 43 L’iscrizione sino ad oggi è stata letta erroneamente confondendo il nome “Rayn” con “Mayn”. Il dipinto è stato pubblicato per la prima volta da Stone 1991, n. 125, pp. 146-47 con bibl. 44 Asta Sotheby’s, Londra 8 dicembre 1989, lotto 127. 45 Il libro dei conti …, ed. 1997, p. 61. 26 Purtroppo non è stato possibile recuperare l’originale del Memoriale, un tempo conservato nell’Archivio Vescovile di Fano, da cui Riccardo Paolucci trasse le sue informazioni, pubblicate nell’articolo del 1946, p. 71. 27 Cfr. ASV, Congr. Vescovi e Regolari, Positiones Regul., 1857, c. 15. 28 Il dipinto raffigurante San Carlo risulta essere di proprietà del sacerdote Carlo Piccoli e il San Filippo Neri di proprietà del padre Francesco Froncini dell’oratorio di San Filippo Neri. Cfr. Inventario Giovannelli 1855, c. 25. 46 Stone 1991, n. 125, pp. 146-47. Non meraviglia ritrovare il cardinale Sacchetti come destinatario, nel 1638, di un altro dipinto di Guercino raffigurante una Lucrezia romana, oggi perduto, donatogli dal nobile tolentinate Benadduce Benadducci, legato papale a Ferrara e a Bologna. Cfr. M. Polverari 1991, pp. 11-12. Si veda inoltre il saggio di A.M. Ambrosini Massari pubblicato in questo stesso catalogo. 47 Cfr. P. M. Amiani 1751, t. II, pp. 269-273. 48 ASP, ANP, Inventario Giovannelli, 1855, cc. 59-60, n. 65/220. 29 Ivi, c. 11. 49 Stone 1991, n. 118, p.141, con bibl. 30 Ivi, cc. 26-27. 31 Ivi, c. 49, n. 63. 32 Ivi, c. 6 e ASV, Congreg. Vescovi e Regolarari, Positiones Regul., 1857, c. 15. Per ordine del defunto andavano anche restituiti e ritirati dalla sua quadreria: un “quadro della tendina posto nella sua camera da letto, e quello di S. Antonio da Padova posto in sala di proprietà ambedue del monastero di S. Filippo e Giacomo di Fano” come pure “tre quadri cioè la Tempesta, un Duello, e un Paese spettanti al Collegio Nolfi di Fano”. ASP, ANP, Inventario Giovannelli, 1855, cc. 6-7. 33 Non è chiaro a quale personaggio della famiglia Honorati Trionfi alluda Rayn, ma si tratta con buona probabilità del ramo di Carolina Honorati che, andata sposa al marchese Trionfi di Ancona, eredita, oltre al patrimonio fondiario, il palazzo di Jesi in via della Posterma, proprio vicino al duomo, con le sue collezioni. Cfr. M. Massa 2002, pp. 37-51, in partic. p. 46. Si vedano inoltre i testi 50 ASP, ANP, Inventario Giovannelli 1855, c. 81, n. 15. In realtà questo dipinto è ricordato nell’inventario notarile tra i quadri mancanti dalla collezione al momento della stesura, evidentemente sulla base del confronto con l’inventario redatto da Rayn. 51 Stone 1991, n. 278, p. 286 e n. 280, p. 288. Nell’inventario della collezione Rayn sono elencati ancora una tela “rappresentante in mezza figura al vero S. Giovanni Evangelista in atto ispirato, che scrive l’Apocalisse. Opera piaciuta da tutti gli intelligenti, da chi attibuita al Guercino, da chi al Domenichino” (ASP, ANP, Inventario Giovannelli 1855, c. 53, n. 79/237) e “Un quadro grande da altare rappresentante il martirio di Santa Caterina. Originale del più bravo dei germani del Guercino” (Ivi, c. 64, n. 112/270). 52 Tomani Amiani 1981, p. 134. 55