Biblioteche pubbliche: un bene di prima necessità.
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Biblioteche pubbliche: un bene di prima necessità.
10 Informatutti Bollettino d’Informazione del Comune di Viggiano Biblioteche pubbliche: un bene di prima necessità. Se l’Auditel delle biblioteche elemina Joyce dagli scaffali* Walter VELTRONI Sindaco di Roma C aro direttore, l’autrice dell’articolo apparso apparso su “Washington Post” e su “La Repubblica” lo ha giustamente ricordato: non è un fatto nuovo che le biblioteche si trovino a sfoltire i loro scaffali di libri vecchi o poco apprezzati per far posto a nuovi titoli. C’è però qualcosa di diverso, e io credo di inquietante, nel sistema che è stato messo a punto dalle rete delle biblioteche della contea americana di Fairfax: un computer centrale registra ogni libro che nessuno ha preso in prestito nei due anni precedenti e lo inserisce in una lista di testi suscettibili di essere eliminati. Certo, a decidere saranno poi i singoli bibliotecari, ma a parte il fatto che queste operazioni di “taglio” da episodiche diventano su grande scala, a colpire, e far a far riflettere, è il fatto che gli autori come Hemingway o la Dickinson, come Joyce o come Orwell, come Dante e Tetrarca, possano semplicemente apparirvi, in quella lista. Eppure accade, e accadrà, se a contare è solo la quantità, solo il numero delle volte che quel libro viene richiesto, e non il suo valore, non la sua bellezza, non la cultura che contiene, non le emozioni che trasmette. Sembra proprio rappresentare, questa notizia, un ulteriore segno dei nostri tempi, di ciò che troppo spesso è diventata la nostra vita. Tutto va consumato velocemente, tutto deve procedere ad un ritmo accelerato, e a contare, ogni giorno, è l’organizzazione, l’efficienza, la visibilità, il calcolo del rapporto tra costi e benefici, l’appetibilità dei prodotti. Anche se quei costi e quei benefici vengono valutati pensando a una biblioteca. Anche se quei prodotti soni libri, per i quali tutto si può fare, tranne lasciare anche qui, come in troppi altri campi della nostra vita che a decidere della loro qualità, della loro ricchezza culturale, del loro restare nel tempo e diventare memoria, siano solo le vendite, meccanismi simili all’auditel , indagini di mercato. La funzione di una biblioteca, e il valore di un libro, non sono dati da questo. Quando Borges scrive dalla sua utopica “Biblioteca di Babele”, la vede << illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile e armata di volumi preziosi>> e la pensa aperta ad ogni “eterno viaggiatore” che vuole entrarvi, pronta a soddisfare il desiderio di ricerca di ogni lettore. Anche il meno colto, anche la persona che non sa in realtà cosa sta cercando, ma che in quel luogo, passando da un anello all’altro di quell’unica catena che tiene insieme tutti i libri, ha la possibilità di aggiungere qualcosa al suo sapere, ai suoi sentimenti, alla sua vita. E’ vero, ci sono motivi di spazio, di fondi, e altro ancora, che impongono concretezza. Ma quell’utopia, quello spirito di universalità di cui parla Borges, ogni biblioteca, di qualunque contea e qualunque città o piccolo paese, deve conservarlo gelosamente, custodirlo come un bene prezioso. Il lettore, il “viaggiatore” che vi entra, deve poter cercare il suo percorso, che può essere fatto di best-seller di oggi, certo, ma non senza che ci sia la possibilità di scegliere capolavori e piccole gemme di ieri. Pensiamo in particolare alle nuove generazioni, ai giovani: sono gia troppo circondati da voci che dicono loro che conta solo che vince o ciò che esiste in quel dato momento. Per ricever lo stesso messaggio da una biblioteca o da una libreria. I libri possono, invece, essere simbolo dell’esatto opposto, di un tempo in cui si possa smettere di pensare solo ad essere “più veloci, più alti, più forti”, e scegliere, come è stato scritto, di procedere * Articolo pubblicato, giovedì 4 gennaio 2007, sul Quotidiano “La Repubblica”. Informatutti Bollettino d’Informazione del Comune di Viggiano “più lentamente, più in profondità, con più dolcezza”. Forse, se vogliamo sperare che la letteratura, la storia, l’arte, la politica, la poesia e tutto ciò che rende unica ogni singola pagina di ogni singolo libro non finirà per essere schiavo del nostro tempo veloce, per essere ridotto a merce, dobbiamo continuare a credere che il cuore e l’animo dell’uomo siano più forti di un software predisposto al controllo, alla razionalizzazione, alla ricerca dei massimi risultati gestionali. Dobbiamo continuare a credere che quel bibliotecario chiamato a valutare la lista dei libri poco richiesti avrà le conoscenze, la saggezza e l’amore necessari a guidarlo. Quell’amore che aveva il piccolo uomo, raccontato da Bohumil Hrabal, cha a Praga lavora da più di trent’anni pressando carta vecchia, da macero, trasformandola in grandi parallelepipedi, nei quali imprigiona, con cura, pagine e frasi di Kant e del Talmud, di Laotze e di Hoelderlin. Con il suo lavorare continuo, appassionato, ha tempo per riflettere, per capire, per diventare colto senza nemmeno accorgersene, e per resistere, finchè riesce, ai nuovi macchinari che considerano quelle pagine come semplice carte straccia. Quando trova un bel libro lo salva dal macero lo porta nella sua piccola casa, che orami ne è stracolma. Lo fa, per salvare l’arte, la cultura, la memoria. Lo fa, pensa tra sé lungo la via del ritorno, “perché in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera, da loro, appenderò da me stesso qualche cosa che ancora non so”. Walter VELTRONI 11