CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” “Abbiamo

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CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” “Abbiamo
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON”
Brugherio
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Mercoledì 17, giovedì 18 e venerdì 19 febbraio 2016
Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15
“Abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa per vivere, che sia la fede, l’amore o le
illusioni. Marguerite alla fine forse non muore. Da cristiano, preferisco pensare che
diventi eterna, come i grandi personaggi che sognava di interpretare”.
Xavier Giannoli
Marguerite
di Xavier Giannoli con Catherine Frot, Christa Theret, André Marcon, Michel Fau
Francia, 2015, 126’
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Marguerite, baronessa francese e melomane,
ha sposato per amore Georges Dumont,
aristocratico che ha venduto il titolo e scordato
la nobiltà. Diviso tra motori e amanti, Georges
sopporta Marguerite e si nega al suo amore. Un
amore cieco e ostinato che sublima nel canto e
davanti a un pubblico di aristocratici ipocriti, che
raccolgono fondi per gli orfani di guerra e ridono
della sua ‘discordanza’. Perché Marguerite non
ha voce, non ha attitudine, non ha umiltà, non
ha limiti, soltanto illusioni alimentate dal fedele
maggiordomo, dall’entourage domestico e da
un marito troppo vigliacco per disilluderla e tanto crudele da illuderla. Al riparo dalla Parigi degli anni Venti, che ribolle di eccitazione
e cultura, Marguerite consuma le sue giornate in un ‘castello’ bucolico, sorda alla verità. A espugnare il suo ritiro ‘artistico’
penseranno Lucien Beaumont, giornalista e scrittore promettente, e Kyrill von Priest, poeta dadaista e anarchico. Nella baronessa
‘stonata’ i due giovani individuano una voce di ‘rottura’ da traslocare nei café parigini per demolire il sistema dell’arte e per sovvertire
le aspettative del pubblico borghese. Fuori dalle sue stanze traboccanti di costumi, spartiti e desideri infranti, Marguerite trova
sfrontatezza e coraggio. Salirà in palcoscenico e canterà questa volta per un pubblico vero. Un salto senza rete che si schianterà
contro un acuto.
Ha il nome dell’eroina di Alexandre Dumas, la baronessa francese di Xavier Giannoli, incarnazione di una passione senza ‘voce’.
Della ‘signora delle camelie’, Marguerite condivide il destino tragico, quello grottesco lo ricava invece da Florence Foster Jenkins,
‘soprano’ americano senza colori che nell’America degli anni Trenta mise a dura prova il suo pubblico.(…) Traslocata nella Parigi
cosmopolita, mondana e liberale degli anni Venti, Marguerite non potrà mai compensare la mancanza di capacità o attitudini di base,
eppure questo non sembra fermarla. La percezione della propria efficacia, sostenuta e accresciuta da consorti e amici, fa di
Marguerite una creatura insieme tragica e patetica. Con Marguerite e dopo Superstar, Xavier Giannoli torna a parlare di ‘falso
successo’ senza dare risposte ma sollevando al contrario questioni. La menzogna (la nostra e quella degli altri) ci uccide? Ci tiene in
vita? Ci rende folli? In linea col ‘tempo’ eletto e alla maniera di Marcel Duchamp, il regista francese ‘preleva’ un (s)oggetto comune
dal suo contesto e lo inserisce in uno spazio artistico cambiandone il segno. Ma Giannoli, meno interessato alla valenza provocatoria
del gesto, solleva oggi come allora alcune domande fondamentali riguardo ai meccanismi che stanno alla base di un evento estetico
o di uno show (teatrale o televisivo che sia). Il punto di vista assunto è ancora una volta quello di un personaggio ingenuo e naïf, di
cui l’autore, come uno dei suoi anarchici artisti, intende la natura ‘irriverente’. Precipitata in costumi aristocratici nel fervore
dell’avanguardia francese, Marguerite è ammirata e accolta come una rivoluzionaria da un giovane dadaista che intuisce in lei lo
scandalo, il momento di pura negazione, l’annientamento gridato di un’aura poetica dentro i teatri e i music hall parigini, palcoscenici
delle più imprevedibili e radicali provocazioni artistiche del Novecento. Eroina perturbante e onirica, prima che ridicola e mesta, la
Marguerite di Catherine Frot è la magnifica incarnazione di uno spirito (suo malgrado) ribelle e iconoclasta, una sorta di creazione
dadaista lanciata contro le convenzioni morali e culturali della società borghese (matrimonio compreso). Marguerite è il sogno di un
mondo migliore, una ‘voce di rottura’ che vince ogni inibizione e risveglia il desiderio e l’immaginazione. Ma qualche volta il risveglio
può essere fatale se alla demolizione del vecchio sistema non subentra una nuova normativa estetica o peggio non ci abiti la
vocazione, lo stile e l’autentica sensibilità che gli corrisponde. A corrispondere la persuasione esaltata e irriducibile di Marguerite è
soltanto la menzogna, la crudeltà, l’opportunismo e la pietà. Interpretato ‘liricamente’ da Catherine Frot, declinata in
melodramma, Marguerite perde troppo presto l’urgenza di una storia e di una riflessione, sospendendo lo sviluppo per limitarsi alla
collezione di ‘fotografie’. Un film scordato che tuttavia rispolvera il maggiordomo zelante di Billy Wilder (Viale del tramonto) e la
grazia e l’implacabilità classista di Max Ophüls.
Marzia Gandolfi – Mymovies
Ci sono tanti film diversi in Marguerite. E questo è in parte il motivo del suo fascino ma anche di una sua fragilità. Il
punto di partenza è raccontare con la raffinatezza formale della commedia in costume, la follia dell’impulso artistico e il
confine tra ossessione, immaginazione, realtà, fallimento e successo.(…) Il cineasta francese prova aprirsi ad alcuni
squilibri, che proiettano il film in una dimensione onirica e decadente a suo modo affascinante. Ci sono soprattutto un
paio di intuizioni molto interessanti. La prima è usare Marguerite come vertice da cui partire per tracciare tutta una serie
di personaggi secondari che danno un’anima viva al film e un colore romantico e nostalgico all’epoca
raccontata(…)Giannoli costruisce una fauna umana e freak che dialoga con la follia della protagonista creando
relazioni, illuminazioni e coni d’ombra. Da questo punto di vista la parte maggiormente riuscita è proprio il prologo, in
cui la cantante sembra relegata costantemente in fuori
campo, proiezione allucinata di un salotto di uomini in
maschera. La seconda intuizione – in larga misura legata
alla prima – è quella di inserire la parabola della sua
eroina in un contesto storico-artistico preciso: quello
delle avanguardie a cavallo tra le due guerre. La
negligenza canora di Marguerite viene così all’inizio
usata come potente arma sovversiva con cui demolire la
cultura aristocratica a cui la protagonista stessa vorrebbe
ambire. Quasi inconsapevolmente la mancanza di
talento diventa stile, reazione a un equilibrio sociale ed
estetico da mettere in discussione. Poi a un certo punto
Giannoli decide di cambiare strada e di mettere al centro
del palcoscenico la sua protagonista, con la sua infelicità sentimentale causata dal marito infedele che diventa il
controcanto alla passione della musica. Il film si ingolfa nelle lezioni canore a cui Marguerite prova a sottoporsi per
diventare una vera cantante lirica, gli spazi claustrofobicamente si chiudono e alcuni personaggi spariscono per poi
ricomparire nel finale in cui alla donna attraverso un grammofono viene finalmente fatta ascoltare la sua voce. La
rivelazione del fallimento artistico diventa a sua volta performance, rappresentazione drammatica da immortalare con
uno scatto in bianco e nero, quasi a definire una volta per sempre un (im)possibile punto comune tra vita e arte.
Carlo Valeri – Sentieri Selvaggi
Della bellezza, come aspirazione a crearla e frustrazione quando non ci si riesce, tratta Marguerite di Xavier Giannoli, un film che
inizia come commedia, finisce in tragedia e nel mezzo racconta un’ossessione meno rara di quel che si pensa: l’opera. (…)È ispirato
a una storia vera, quella di Florence Foster Jenkins, il soprano peggiore della storia. Ma lei era convintissima di essere piena di
talento e disgraziatamente, visto che era pieno anche il portafogli, poteva pagarsi concerti e registrazioni.(…) Marguerite non è la
sua biografia (quella la sta girando Stephen Frears con Meryl Streep) e infatti la storia è trasferita dagli Stati Uniti alla Francia e dagli
Anni Quaranta ai folli Venti. Jenkins diventa così Marguerite (Catherine Frot, davvero bravissima), una «baronne» molto ricca e
altrettanto stonata, appassionata d’opera fino alla follia. (…)Giannoli aveva un papà corso che cantava alla mamma «Ridi,
pagliaccio» in piedi su una sedia in cucina e rimase folgorato da Toro scatenato anche perché la colonna sonora è l’Intermezzo di
Cavalleria rusticana. Parla del cinema come di «un’opera d’arte totale wagneriana», racconta che fu «sconvolto» dalla lettura dei
celebri articoli di Baudelaire su Wagner, conosce pose e costumi delle dive fin-de-siècle e, insomma, per una volta abbiamo un
regista che all’opera sa dove mettere le mani e la macchina da presa.
Alberto Mattioli – La Stampa
Quella fama che si era sempre immaginata, immortalandola persino in un fotoritocco ante litteram in cui appare
agghindata con costumi di scena è una cosa patetica ma non ridicola. Suscita compassione. Soprattutto quando
poi arriva l’inevitabile resa dei conti. La scoperta di essersi – ed essere stata – sempre ingannata.
Non è difficile scorgere in Marguerite, (…) un’allegoria tutta francese, di grandeur a lungo vantate e smarrite in
un solo momento. Facendo proprio quella faccia lì, tra l’ottuso e l’attonito. Smorfia di dolorosa, abissale
incredulità. Povera Francia.
E’ il graffio che da uno come Xavier Giannoli ci si aspetta. Uno che ama il suo Paese a tal punto da trattarlo
male. Come quando affida all’inascoltabile chanteuse l’esecuzione di una Marsigliese mai così terrificante. (…)La
sensazione è che questa grande commedia in costume, umana più che musicale, a tratti esilarante, sempre
intimamente partecipe, spesso e volentieri cattiva, perfetta nelle battute e nei tempi e negli allestimenti scenici,
nasconda altro. Tanto altro. Che sia sempre più intelligente e raffinata di quanto non appaia.
E avvertiamo l’ inno autentico e gioioso al potere trasfigurante dell’arte, che non dimentica (anzi) le meschinità,
gli equivoci e la mediocrità dei suoi interpreti. Sentiamo il tenero e commosso abbraccio al candore della
protagonista, la magnifica Catherine Frot (ma che dire di tutti gli altri? Splendidi, ecco), lei che è la felicissima
nota stonata di una società perbenista, l’involontaria eroina dada del ribellismo antiborghese, l’idiota della lirica
con un cuore che è un capolavoro d’amore. La donna che tra il sognare la propria vita e realizzarla scelse – non
potendo fare altro – la prima. Una moglie innamorata immensamente del marito, che morirebbe per un po’
delle sue attenzioni. La protagonista di uno splendido melo, che volge ogni sorriso in lacrima e viceversa. La
mancanza fatta pienezza. Ad avercene di talenti così.
Gianluca Arnone – Cinematografo.it
(…)Giannoli opta per l’esasperazione, a tal punto che la sua storia
è surreale, malgrado stavolta sia vera. Scelta che a qualcuno
potrebbe far storcere il naso, poiché effettivamente inverosimile;
tuttavia mi pare che questo tipo di eccesso sia parte integrante della
cifra stilistica di Giannoli, a cui piace giocare su questi risvolti
improbabili che si protraggono a lungo. Tutti sanno che Marguerite
è un disastro, ma nessuno glielo fa notare; chi per mancanza di
coraggio, chi per delicatezza, altri perché ne approfittano per farsi
beffe di lei. )(…)Ma il film di Giannoli è anzitutto pervaso da una
tristezza ed una malinconia profonde. La protagonista crede
davvero di essere in grado, difatti le sue reazioni ai finti complimenti
o alle frecciatine sarcastiche denotano un’ingenuità mista a purezza
che non possono che toccarci. In fondo Marguerite è una brava
persona, e che male c’è se si ostina a corrispondere ad una missione per cui non è stata chiamata? Si capirà più avanti che il motivo
è in realtà un altro. Attraverso il canto, che comunque adora, lei intende riconquistare il marito.(…) Marguerite però non vira mai al
dramma, essendo piuttosto una tragedia. A tratti comica, ma pur sempre tragedia.(…) Nel film si ride e si sorride, talvolta
risentendone, proprio perché ci si rende conto che lo si fa riguardo a disgrazie. Una “cattiveria” a cui forse Giannoli non riesce a dare
del tutto ragione, ma che in funzione del discorso ha senso senz’altro. Certo, l’epilogo è tremendamente cinico, pure un po’ forzato
probabilmente. Ma già il solo fatto che per tutto il film non si faccia altro che chiedersi se e a che punto Marguerite prenderà
consapevolezza della realtà dei fatti, è qualcosa che depone decisamente a favore.
Antonio Maria Abate – Cineblog