Il BRIGADIERE MARIANO BURATTI, EROE DELLA

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Il BRIGADIERE MARIANO BURATTI, EROE DELLA
“Il BRIGADIERE MARIANO BURATTI,
EROE DELLA RESISTENZA,
MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE”
di Gerardo SEVERINO
1. Premessa.
Ricorre quest’anno (esattamente il 31 di gennaio) il 70° anniversario della morte di uno fra
gli Eroi più puri della Resistenza e della Guerra di Liberazione, il Professor Mariano
Buratti, un insigne studioso di Filosofia, un educatore di rara efficacia, il quale, come molti
esponenti del mondo della Scuola, dopo l’8 settembre 1943, con il grado di Brigadiere
della Guardia di Finanza, decise di brandire le armi per affrancare il suo Paese dalla
1
tracotanza nazista. Durante la sua esistenza, infatti, egli militò, anche se per poco tempo,
nel Corpo, congedandosi con il grado di Sotto brigadiere. Rimise l’uniforme dei finanzieri
altre due volte, nel 1941 e nel 1943, allorquando fu richiamato alle armi, per le esigenze
legate alla mobilitazione militare.
E fu proprio mentre si trovava in forza alla 9^ Legione di Roma che il suo destino trovò
l’epilogo. Esponente di spicco del Partito d’Azione, il brigadiere Buratti si coprirà di gloria
in molte azioni patriottiche organizzate dalla Resistenza romana e viterbese. Sarà quindi
arrestato su delazione, sopporterà le torture del magg. Kappler a via Tasso ed, infine,
vedrà porre fine ai suoi giorni all’alba di un freddissimo 31 gennaio del 1944, sotto i colpi
di mitra del plotone d’esecuzione.
Anche se, per puro caso, nell’albo delle Medaglie d’Oro al Valor Militare, il suo nome
precede quello di un altro Eroe della Guardia di Finanza, il tenente Attilio Corrubia, il
brigadiere Buratti è certamente una figura molto più complessa rispetto agli altri Eroi con
le “Fiamme Gialle”. La sua personalità fu così ricca d’elementi, ma soprattutto dotata di
una forte intensità emotiva, fattori, questi, che ci hanno indotto a tracciarne un percorso
biografico con il quale ricordarlo in occasione del citato anniversario. Il presente scritto, in
ogni modo, non deve ritenersi soltanto un contributo storiografico, ma un percorso
attraverso il quale si cercherà di far conoscere ai giovani una “Fiamma Gialla” di rare virtù.
2. La gioventù ed i primi anni di vita militare.
Figlio primogenito di Benedetto, in atti possidente, e di Maddalena Zucchi, Mariano Buratti
nacque il 15 gennaio 1902 a Bassano di Sutri, l’odierna Bassano Romano, un antico e
ridente centro agricolo in provincia di Viterbo, a circa 36 km dal capoluogo della Tuscia1.
Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo nella stessa Bassano, Mariano fu ammesso
al Seminario di Alatri (FR), ove conseguì la licenza ginnasiale. Il 27 gennaio 1922,
dovendo assolvere gli obblighi di leva, il giovane fu chiamato alle armi ed inviato al
Battaglione Radiotelegrafisti di stanza a Roma. Il 19 maggio fu trasferito al Distretto
Militare della Capitale, mentre il 1° settembre successivo, essendo stato ammesso a
frequentare il Corso Allievi Ufficiali di Complemento dell’Arma di Fanteria, fu inviato
presso la Scuola Ufficiali, sempre a Roma, ove iniziò il corso con il grado di caporale.
1
Posto a circa 360 metri sulle pendici settentrionali dei monti Sabatini, Bassano fu fondato nel sec. XII.
Importante centro d’arte, vi si può ammirare, oltre al borgo medievale, l’importante palazzo Anguillara, ora
Odescalchi, che risale ai secoli XVI-XVII, famoso per il suo loggiato cinquecentesco.
2
Il 1° marzo 1923, con il grado di sergente allievo, fu assegnato al 60° Reggimento
Fanteria, ove avrebbe atteso la nomina a sottotenente di complemento. Il 19 luglio dello
stesso anno, il neo ufficiale Buratti, indossando la sciarpa azzurra e con la sciabola
sguainata, prestò giuramento di fedeltà al Re dinanzi al comandante di Reggimento.
Subito dopo gli fu comunicata l’assegnazione definitiva al 26° Reggimento Fanteria
“Bergamo”, di stanza a Piacenza, comandato da un paterno colonnello di nome Dante
Celorio che di lì a poco accoglierà il giovane ufficiale con grande ospitalità. Qui, il Buratti
vi prestò il cosiddetto “servizio di prima nomina”, assegnato alla 4^ Compagnia
“Mitraglieri” del I Battaglione comandato dal maggiore Ettore Focanti. Il s.ten. fu collocato
in congedo illimitato il 7 novembre 1923, dopo aver prestato “servizio straordinario” nel
presidio della città di Fiume, durante le epiche giornate che precedettero l’annessione
della città all’Italia, il 27 gennaio 1924, e la fine della nota “questione fiumana”2. E’ di quel
periodo, fra l’altro, la conoscenza con la sig.na Cristina Pollak, di Villa del Nevoso, in
provincia di Fiume. Sarà proprio Cristina che Buratti sceglierà in futuro come moglie.
Ritornato a Bassano di Sutri, Mariano Buratti tentò invano di farsi richiamare in servizio,
come conferma un documento del 17 dicembre 1923 del Comando Corpo d’Armata di
Trieste. Con esso, infatti, si comunicava all’interessato che il Ministero della Guerra non
aveva accolto la sua domanda tendente a farsi richiamare per essere destinato al Regio
Corpo delle Truppe Italiane in Libia, ove il suo Reggimento era stato nel frattempo
destinato3. E’ probabile che, da quel preciso momento, l’ex ufficiale decise di riprendere
gli studi, iscrivendosi così all’Università di Roma. La circostanza, tra l’altro, gli sarà
propizia per dedicarsi, a tempo pieno, alla sua grande passione per la poesia e la
letteratura.
3. Mariano Buratti tra le Fiamme Gialle.
2
Questione di Fiume. Dopo la vittoria nel primo conflitto mondiale, Fiume fu occupata da truppe interalleate
sotto comando italiano (novembre 1918), mentre la popolazione manifestava la propria volontà di
annessione all'Italia. Alla Conferenza di Parigi gli Alleati, richiamandosi al Patto di Londra, si opposero a tale
soluzione e proposero la creazione di una “ città libera”. Da ciò il ritiro di Orlando e Sonnino dalla conferenza
(aprile 1919), la deliberazione del Consiglio nazionale della città di unirsi senz'altro all'Italia, incidenti tra le
truppe di occupazione, e il ritiro delle forze italiane deciso da Nitti. In tale situazione confusa, G. D'Annunzio,
con un corpo di volontari, occupò la città (12 settembre 1919) istituendovi la reggenza del Carnaro. Quando
col Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) fu costituito lo Stato indipendente di Fiume, D'Annunzio si trovò a
mal partito e dopo una breve simbolica resistenza (il cosiddetto Natale di sangue) lasciò il campo alle truppe
del generale Caviglia inviate da Giolitti a far rispettare il trattato (29 dicembre 1920). Ne seguì un periodo di
ulteriori trattative diplomatiche e di lotte intestine (nel 1923 B. Mussolini inviò a Fiume il generale G. Giardino
realizzando un'annessione di fatto) fino all'accordo italo-iugoslavo del 27 gennaio 1924.
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Distretto Militare di Viterbo - Centro Documentale, fondo Ufficiali in Congedo – Libretto personale
dell’ufficiale Buratti Mariano.
3
Erano, quelli, pur tuttavia, tempi molto difficili per il Paese, travagliato, come si sa, dai
conflitti politici e dal turbamento dell’ordine pubblico, causati dal processo di
stabilizzazione del fascismo. Il 1924, in particolare, fu un anno davvero triste per l’Italia,
essendo la Nazione sconvolta dal delitto Matteotti. L’evento metterà il fascismo in una
seria crisi causata dalla forte indignazione popolare, ma soprattutto parlamentare, la quale
culminerà con il noto ritiro sull’Aventino da parte degli esponenti dell’opposizione. In una
tale situazione così ingarbugliata, Mariano Buratti decise di rimettersi in uniforme.
Vagliate le varie possibilità che il momento gli offriva, decise di presentare domanda
d’arruolamento nella Regia Guardia di Finanza, un Corpo che aveva conosciuto da vicino,
ammirandone i suoi esponenti durante i mesi di servizio militare prestati a Fiume.
Superate le varie fasi del reclutamento, alle quali fu sottoposto a Maddaloni, in provincia di
Caserta, ove allora aveva sede la Legione Allievi del Corpo, Mariano Buratti fu dichiarato
abile ed ammesso a frequentare il corso per allievi finanzieri. L’addestramento, che
avrebbe avuto la durata di sei mesi, ebbe inizio il 12 giugno 1924, presso lo stesso
Battaglione di Maddaloni. Comandava il reparto il ten. col. Rago, un vero padre di famiglia,
che accolse i giovani arruolati con un toccante discorso di benvenuto. A differenza di molti
dei suoi colleghi che provenivano, come si suole dire, “dalla vita civile”, il nostro Buratti
non ebbe alcuna difficoltà ad inserirsi nel nuovo ambiente, potendo altresì contare sia sulla
pregressa esperienza di ufficiale di complemento, sia sull’ottima cultura della quale era in
possesso. Il suo livello culturale gli consentì, infatti, l’assegnazione al 2° Plotone, che
allora radunava i più preparati fra tutte le reclute. Il Plotone faceva parte della II^
Compagnia, allora retta dal cap. Filippo Crimi, lo stesso che, da generale, come vedremo
in seguito, comanderà i finanzieri romani nelle epiche giornate della Resistenza al
nazifascismo. Dopo qualche giorno dal suo arrivo a Maddaloni, al Buratti fu però chiesto di
rinunciare al grado di ufficiale, cosa che l’allievo a malincuore fece il 28 di giugno. Durante
il corso di formazione, Mariano Buratti seppe dimostrare vivo interesse sia verso le attività
addestrative, volte alla sua preparazione tecnico-professionale e militare, sia verso quelle
culturali e di intrattenimento che venivano organizzate presso la Legione. Non è da
escludere, ricordando che presso la Caserma di Maddaloni esisteva un modesto teatrino,
che l’allievo Buratti, in ragione della sua passione per la letteratura e la poesia, si sia
potuto dedicare alla stesura di testi, ovvero alla realizzazione di opere ed attività culturali.
Ad ogni modo, la sua presenza presso il reparto d’istruzione del Casertano ebbe termine
con qualche mese di anticipo rispetto ai tradizionali sei mesi. Per effetto di quanto stabiliva
4
l’art. 3 del R. decreto 3170 del 31 dicembre 1923, al Buratti furono riconosciuti i benefici
derivategli dal grado di ufficiale e, quindi, la nomina automatica a “Sotto Brigadiere”, grado
equivalente all’odierno “Vice Brigadiere”. Si evitò così di frequentare l’apposito corso
presso la Scuola Sottufficiali di Caserta, che era stata istituita proprio quell’anno. In
conseguenza di tale promozione ne scaturì l’immediata assegnazione ad un reparto
operativo. E fu così che il 1° ottobre dello stesso 1924, probabilmente in accoglimento di
una sua precisa richiesta, il neo sottufficiale delle “Fiamme Gialle” fu destinato alla
Legione Territoriale di Trieste, una terra a lui molto cara come si è capito, ove
naturalmente avrebbe potuto (molto più agevolmente rispetto ad altri luoghi italiani)
frequentare la sua amata fidanzata.
Il massimo della fortuna lo toccò allorquando Buratti raggiunse il capoluogo giuliano,
poiché fu proprio a Trieste che il cap. Cecchetto, aiutante maggiore della Legione, gli
notificò l’assegnazione al Circolo di Postumia ed esattamente alla Compagnia di Bisterza,
un piccolo centro ai piedi del versante occidentale del Monte Nevoso, sulla ferrovia
Lubiana-Fiume, ma soprattutto frazione del comune di Villa del Nevoso, il paese della sua
Cristina. Sette giorni dopo l’arrivo a Bisterza, il cap. Maggio, allora comandante di
Compagnia, trasferì il Buratti al famigerato Distaccamento di “Quota 909”, tristemente noto
per la durezza del clima ma, soprattutto, per le difficoltà del servizio. Il piccolo reparto, che
aveva sede in una baracca di legno e privo di molti confort, era chiamato, infatti, ad
operare in un terreno molto aspro ed accidentato, intervallato da forre4 coperte di
boscaglie che rendevano quasi inattuabile ogni forma di vigilanza.
A tal riguardo, appare molto eloquente la citazione di alcuni passi di un interessante
articolo di tale Gino Piva, dal titolo “Guardie di Frontiera”, pubblicato sul numero del 27
giugno 1926 della rivista “Il Finanziere”. Riferendosi proprio al confine orientale, l’autore
scrive: “Lungo la linea di confine, dove sono piccoli distaccamenti e gruppi isolati, si è
provveduto con padiglioni in legno ed alcuni in muratura, per lo più eretti nel fitto della
boscaglia, padiglioni che possono ricettare un certo numero d’uomini e che sono attrezzati
discretamente per le esigenze di lunghe soste che nei duri inverni non sono certo l’ideale
della villeggiatura. Ai piccoli posti provvedono le baracche, come quelle della guerra,
lontane, disperse, spesso insidiate. Gli uomini non devono mai esseri disattenti, ma
continuamente vigili. Ai padiglioni si monta la guardia ed una sentinella è sempre intorno
ad essi: nelle baracche gli uomini devono portare le armi”.
4
Forre: gole profonde e scoscese, nelle quali scorrono corsi d’acqua.
5
Il servizio di vigilanza politico militare della frontiera veniva eseguito a mezzo di pattuglie,
composte da due o più finanzieri, spesso poste al comando di un sotto brigadiere o di un
graduato. Aspra più che altrove, la lotta al contrabbando che si svolgeva lungo il confine
con la Yugoslavia doveva, molto spesso, fare i conti con l’astuzia e con le armi dei
contrabbandieri. La zona di competenza del Circolo di Postumia fu costellata di
innumerevoli episodi di valore e di alta abnegazione, che i finanzieri compirono a
centinaia, facendo spesso ricorso alle proprie armi, pur d’impedire la frode e per custodire
i sacri confini della Patria. A conferma di quanto la situazione lungo il confine orientale
fosse grave, è opportuno evidenziare che la delicatezza del momento storico aveva
imposto al Parlamento il varo di una legge speciale (il R. d. 28 agosto 1923, n. 1876) con
la quale, ai fini di una più efficace repressione del contrabbando, furono stabilite nuove
norme circa l’uso delle armi da parte dei militari del Corpo in servizio nella zona di
vigilanza. In tale ottica, i finanzieri furono equiparati alle sentinelle in servizio di presidio,
elemento, questo, che fece delle “Fiamme Gialle” soldati in perenne stato di guerra.
“Carichi di pesanti fardelli e del loro inseparabile moschetto, salgono le montagne i nostri
finanzieri silenziosi e notturni; vanno in drapprelli di tre o quattro uomini, talvolta nessuno è
testimone del loro sacrificio lassù, se non la montagna insidiosa, il cielo, la notte; nessuno,
se non il sole, la luna, le stelle; vanno questi militi fortemente animati dalla possente
volontà di compiere fino alla morte il loro arduo quanto sacro dovere”5.
Ma ciò nonostante, la baldanza dei finanzieri non trovò ostacoli nella natura, come si
evince da una rarissima foto d’epoca che ritrae - fra loro vi è anche il Buratti - i membri
della Brigata di “Quota 909” immortalati in un momento di autentico relax.
Dopo la breve esperienza di vita trascorsa in alta montagna, il 2 febbraio 1925, il
sottufficiale fu trasferito alla Brigata volante di Bisterza, ove ebbe modo di frequentare più
assiduamente la sua fidanzata, anche se con le dovute cautele, considerato il divieto che
allora veniva imposto ai militari riguardo ai “rapporti amorosi” nei luoghi di servizio. A
Bisterza, il servizio era meno duro, anche se il compito principale rimaneva quello di
impedire ad ogni costo il deleterio contrabbando che si consumava nella valle del fiume
Timavo.
Sui pericoli derivanti dalle varie forme di contrabbando che interessavano il confine
orientale, il gen. Meccariello, storico del Corpo, scrive: “Lungo la frontiera, oltre al
fenomeno della distillazione clandestina degli spiriti, comune allora a tutte le zone di
5
Tratto dall’articolo “La Difesa dell’Erario”, di Alfonso Talonetti, apparso sulla Rivista “Fiamme Gialle d’Italia”,
numero di gennaio 1926.
6
montagna, prese piede il contrabbando di cavalli (.)”6. Ma la vita del finanziere, a quei
tempi, veniva resa ulteriormente più gravosa anche a causa delle forti tensioni sociali.
Erano, questi, problemi che affliggevano soprattutto la comunità italiana nel difficile
rapporto che la legava a quella slava, non certo soddisfatta di condividere le sorti dell’Italia
fascista, che aveva assoggettati gli slavi ad un processo di “snazionalizzazione” e di
“assimilazione” forzata. Il conflitto si era, poi, ulteriormente accentuato specie dopo la
firma a Nettuno (18 luglio 1925) del trattato “Italia-Yugoslavia” che aveva ridefinito i confini
dei territori dalmati. I turbamenti dell’ordine pubblico, con particolare riferimento alla
frontiera orientale, allarmarono fortemente il governo nazionale, tanto che a partire dal 1°
febbraio 1927, la competenza a giudicare in materia di “guerriglia a sfondo nazionalistico”
fu attribuita all’appena istituito Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.
Su tale tematica, il Meccariello aggiunge: “Nell’estate del 1924, mentre era in corso la
delimitazione del confine da parte di una delegazione italo-yugoslava, fu molto attiva nella
zona di Postumia l’organizzazione nazionalistica slovena “Orjuna”. Nelle notti tra il 25 ed il
26 maggio e tra il 22 ed il 23 giugno furono attaccati i posti della Guardia di Finanza di
Coterdarsizza e di Molini, senza che lo scambio di fucilate provocasse vittime. Più grave fu
l’episodio verificatosi nella notte sul 24 giugno, quando una ventina di armati assalì il corpo
di guardia del valico confinario di Unez, uccidendo il comandante, sottobrigadiere Lorenzo
Greco. Meno di due anni dopo (la domenica di Pasqua del 1926), una banda proveniente
da oltre confine attaccò la stazione di Prestane, presso Piedicolle, provocando un vero e
proprio combattimento durato alcune ore, al termine del quale gli aggressori furono
costretti a riparare in territorio jugoslavo, dopo aver ucciso il finanziere Domenico
Tempesta ed un milite ferroviario”7.
Ma ritorniamo ora al nostro brigadiere. Il 3 novembre 1925, quasi certamente perché il
comando ne aveva scoperto la “tresca amorosa”, giunse il fatidico trasferimento
“d’autorità” alla Brigata di Dolina dei Noccioli, una frazione del comune di Fontana del
Conte, sempre in provincia di Fiume. Qui il Buratti ebbe modo di poter contare sulla
comprensione del comandante del reparto, il maresciallo Vincenzo Del Vecchio, che da
uomo vissuto lo agevolò più di una volta concedendogli dei permessi per Villa del Nevoso.
Che l’ambiente di Dolina dei Noccioli fosse ottimale lo si deduce anche da una bella foto
pubblicata, nel 1926, dalla rivista “Fiamme Gialle d’Italia”, nella quale i sottufficiali della
6
P. Meccariello, “La Guardia di Finanza sul Confine Orientale – 1918-1954”, edizioni del Museo Storico del
Corpo, per i tipi di Gribaudo editore, Roma, 1997.
7
Ibidem.
7
Brigata vengono ritratti in quella che era la modesta mensa del reparto, “un tavolino
all’aperto sotto gli alberi”.
Ma, come spesso accadeva a quei tempi, la “pacchia” durò poco. Il 12 aprile 1926,
sopraggiunse, infatti, il trasferimento alla Brigata di Sezza, in provincia di Pola, un
minuscolo reparto dipendente dalla Compagnia di Pirano. Qui vi rimase veramente poco,
essendo stato avvicendato alla Brigata di Struggano, località del comune di Pirano che
raggiunse il 1° maggio 1926.
Le peregrinazioni lungo la frontiera con la Yugoslavia segneranno molto sia l’animo che il
fisico del brigadiere Buratti. La durezza climatica di quei luoghi, negli anni a venire, influirà
moltissimo, oltre che sul fisico, anche nella produzione letteraria. A tal riguardo, un preciso
riferimento al periodo trascorso lungo la frontiera è riscontrabile nella lirica dal titolo
“Myosotis”8, laddove il Buratti ricorda, molto chiaramente, la sua pregressa attività di
finanziere in servizio di vigilanza in montagna. Nell’immortalare i luoghi, egli non mancò di
citare opportunamente la località di Bisterza, ove aveva vissute giornate davvero felici.
Ad un certo punto, il s.brig. Buratti dovette lasciare quei luoghi, comunque a lui tanto cari,
per far ritorno al punto di partenza, la Legione Allievi di Maddaloni. Sulla base di quanto
emerge dal suo foglio matricolare, il 1° agosto 1926, Mariano Buratti dovette infatti recarsi
a Maddaloni, ove fu trasferito in qualità di istruttore delle reclute. Il 1° dicembre dello
stesso 1926, il sottufficiale ottenne però una revoca del trasferimento, facendo così ritorno
a Trieste. Il suo nuovo reparto fu la Brigata di Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia,
ove ben presto divenne il più stretto collaboratore del comandante del reparto, il
maresciallo Paolo Majone. Durante la permanenza a Ronchi, il s.brig. viterbese ebbe
modo di distinguersi in diverse operazioni di servizio che, in quel territorio, avevano come
obiettivo primario la lotta al contrabbando dei tabacchi. Il 12 giugno 1927, allo scadere
della ferma triennale, il sottobrigadiere Buratti fu posto in congedo illimitato e, quindi,
assegnato al Centro di Mobilitazione della Legione Regia Guardia di Finanza di Roma.
4. Il ritorno alla vita civile e la parentesi africana.
Sulla base delle risultanze del citato foglio matricolare, emerge che il Buratti verosimilmente per motivi di lavoro - abbia dimorato, dal 27 febbraio al dicembre del 1928,
dalle parti di Lecco, al cui Distretto Militare fu iscritto tra la forza in congedo. Agli inizi del
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Specie di pianta polimorfa nota comunemente con il nome di “non ti scordar di me”, coltivata per ornamento
in diverse varietà. Frequente negli alti pascoli alpini, viene denominata Myosotis alpestris.
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1929, Mariano Buratti fece comunque ritorno nella Venezia Giulia, questa volta prendendo
domicilio nella stessa città di Trieste. Il 16 febbraio dello stesso anno, Buratti contrarrà
matrimonio con la sua Cristina9, alloggiando, per qualche periodo, a Villa del Nevoso.
E’ probabile, ma questa è una nostra interpretazione in mancanza di specifici atti
d’archivio, che già in tale contesto storico, egli fosse entrato a far parte del mondo della
scuola, in qualità d’insegnante elementare presso qualche istituto della zona. Il 27 maggio
1930, la famiglia Buratti si trasferì a Marino, in provincia di Roma, verosimilmente a causa
della morte della prima figlioletta, Maddalena (dal nome della madre del Buratti), perdita
che sconvolse sia il maestro che il poeta, come è facile intuire leggendo la sua bellissima
lirica dal titolo “Acerbo Funere”, dove ricorda con dolore la sua piccola “Magda”. Alcuni
giorni prima (il 20 maggio), anche la sua famiglia d’origine, composta dal padre e da cinque
fratelli, aveva lasciato Bassano di Sutri per trasferirsi a Roma, prendendo alloggio in via G.
Sacconi, 19. Il 4 maggio del ’31, i coniugi Buratti si spostarono a Grottaferrata, nuova sede
di servizio di Mariano. La loro felicità durerà veramente poco, poiché due anni dopo, era il
29 maggio 1933, la vita del nostro personaggio viene nuovamente sconvolta dalla morte
(verosimilmente di parto) della giovane moglie Cristina e della bambina che la stessa
aveva in grembo, ovvero partorito da poco10.
Sconvolto dal nuovo e più terribile evento, il maestro Buratti chiese ed ottenne il
trasferimento a Roma. Raggiunta la capitale, ove andò ad abitare a casa del padre, egli
venne assegnato alla scuola elementare “Ferrante Aporti”, in via Serra, n. 91, di cui
parleremo in avanti. Alcuni anni dopo, siamo ormai nel 1935 - ne possiamo immaginare il
perché - il nostro maestro decise di arruolarsi di nuovo. Dopo aver chiesto, invano, al
Ministero della Guerra di essere reintegrato nel grado di ufficiale di complemento del Regio
Esercito e non avendo alcuna possibilità di farsi richiamare dalla Guardia di Finanza, il 30
maggio di quell’anno, Buratti entrò a far parte della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale,
assegnato alla 112^ Legione dell’Urbe. In previsione dello scoppio della guerra italoetiopica, la camicia nera Mariano Buratti chiese di essere destinato in Africa Orientale.
Nominato caposquadra e trasferito al Centro di Mobilitazione della 120 Legione M.V.S.N.,
Buratti s’imbarcò a Napoli il 1°novembre 1935 a bordo del piroscafo “Colombo”, che il
giorno nove seguente lo sbarcherà a Massaua, in Eritrea. Promosso, il 20 di novembre, 1°
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Che nel frattempo aveva dovuto mutare il proprio cognome in Pollali (in luogo di Pollak), così come era
stato deciso dal fascismo ai danni delle comunità snazionalizzate. Documento acquisito presso l’Archivio
Storico – Anagrafico del Comune di Roma.
10
Vi è traccia di queste morti nella lirica “Sprazzi di Buio”, che il Buratti pubblicherà assieme ad altre nel
1934.
9
caposquadra del 115° Battaglione “Camice Nere”, Buratti prese parte a vari combattimenti.
Ben presto, però, la sua presenza in Africa fu resa difficile a causa di una malattia tropicale
che lo costringerà in ospedale per moltissimo tempo. Dal 5 giugno 1936 al 16 aprile 1937,
il legionario fece il giro di numerosi nosocomi, sia in Africa che in Italia, intervallando i
ricoveri con vari mesi di convalescenza. Il 30 aprile seguente sarà, quindi, inviato in
congedo illimitato ed iscritto nuovamente tra la “forza in congedo” della Regia Guardia di
Finanza, a decorrere dal 10 luglio dell’anno dopo.
Ma la campagna di guerra in Africa, con la durezza che la contraddistinse, iniziò ad
intaccare quelle che potrebbero essere state le convinzioni politiche del Buratti. La guerra:
“… aveva scavato un solco nella sua anima, come in tanti della sua generazione,
rivelandogli la vera condizione del nostro paese (.)”11. Furono, questi, i motivi che, ben
presto, lo indussero a riprendere gli studi di storia e politica, ai quali affiancherà la mai
sopita passione verso la poesia.
5. L’uomo di cultura e l’educatore.
Ritornato dunque dall’Africa il 30 settembre 1937, Mariano Buratti contrasse matrimonio
con la sig.na Maria Luisa Bianchini di Viterbo, prendendo dimora inizialmente nel villino
“Sabatini”, di Via Flaminia, 354 e successivamente in Circonvallazione Clodia, 88, sempre
a Roma12. Nel medesimo contesto, il maestro riprese ad insegnare presso la Scuola
Elementare “Ferrante Aporti” di Roma, ove ben presto, grazie alla sua generosità ed al
temperamento gioviale che lo distingueva, si farà voler bene sia dagli alunni che dai
colleghi.
Che Mariano Buratti fosse stato un uomo di cultura fin dalla sua spensierata giovinezza, lo
si scopre anche sfogliando il suo libretto personale, di quando era stato ufficiale di
complemento presso il 26° Reggimento Fanteria. Nelle note caratteristiche che portano la
data del 25 ottobre 1923, i suoi superiori dissero di lui: “Ha una discreta cultura letteraria”,
ma soprattutto che era: “… un ufficiale intelligente, di pronta percezione, energico ed
autorevole”13. Ma oltre alla Filosofia, il Buratti, come abbiamo già visto, amava anche la
poesia, alla quale si dedicava con passione irrefrenabile. Come ricorda Massimo Onofri:
11
12
Da un articolo dedicato al Buratti pubblicato su “La Voce della Scuola”, numero del 15 settembre 1944.
A.M.S.G.F. Raccolta Fogli Matricolari - F.M. Brigadiere Buratti Mariano, matr. 1069.
13
D.M.V. – Centro Documentale, fondo Ufficiali in Congedo – Libretto personale dell’ufficiale Buratti
Mariano.
10
“Precocemente provato dalla morte della moglie e dei due piccoli figli, fu autore di una
raccolta di liriche, <Focolare Spento> (1934), strazianti e delicate, pur se non sempre
felicemente risolte” 14.
Durante gli anni che fecero seguito al suo rientro romano, il Buratti approfondì gli studi
letterari, peraltro pubblicando vari articoli su riviste e giornali15. Di tale attività, così come
della figura del Buratti educatore ed uomo di cultura, è doveroso indirizzare il lettore verso
la pregevole pubblicazione dal titolo “Mariano Buratti: l’uomo, il docente, il filosofo”, edita
dal Liceo Classico “M. Buratti” di Viterbo, in occasione di questo 60° anniversario. Su tale
contributo storiografico si fa riferimento, per la prima volta, alle poesie inedite che il
professore compose negli anni successivi alla pubblicazione di “Focolare Spento”.
Nel giugno del 1941, Mariano Buratti si laureò in Pedagogia presso la Facoltà di Magistero
dell’Università di Roma. Quasi contemporaneamente, prese parte ai concorsi per le
cattedre di lettere e filosofia, concorsi ai quali si preparò con grande determinazione,
desiderando ardentemente di dare a se ed alla sua giovane famiglia un avvenire migliore.
La sua eccelsa formazione gli consentì di vincere i concorsi per le cattedre di Filosofia ed
Italiano presso gli Istituti Nautici ed i Ginnasi. Scelse, naturalmente, quella per
l’insegnamento della Filosofia, assumendo, nell’ottobre dello stesso anno, la cattedra di
Storia e Filosofia nei corsi A e B del Regio Liceo Ginnasio “Umberto I” di Viterbo, lo stesso
che oggi porta con orgoglio il suo nome16. In tale circostanza, egli prese alloggio in Corso
Vittorio Emanuele, 70, presso il suocero, il dott. Bianchini, un noto dentista viterbese.
Nel ricordo vivo dei suoi numerosi allievi, il prof. Buratti apparve come: “… un pedagogo
munifico e liberale, strenuo assertore di una filosofia del dialogo fondata sul <senso degli
altri>, professore sobrio e antieroico, silenzioso e crepuscolare, ma deciso a resistere alla
retorica del regime con una pratica didattica la più aperta possibile alle diverse ideologie,
restia a proporre gerarchie di valore, assolutamente muta di fronte alla pagine di storia più
altisonanti della nazione”17. Non solo, ma il Buratti si rese protagonista della più
emblematiche fra le funzioni che un insegnante può ricoprire, quella cioè di inculcare fra i
suoi allievi quei sentimenti di libertà e di amore verso il proprio Paese, sentimenti
nobilissimi che conferivano al professore un aspetto interiore completamente differente
14
M. Onofri, “Gatti e Tignosi”, editrice Sette Città, 1994, cap.lo “Mariano Buratti”, pag. 26.
15
Da “Risorgimento Liberale” del 16 giugno 1944, articolo dal titolo “Un eroe della Libertà – Mariano Buratti”.
Il Liceo fu ribattezzato in suo onore il 31 gennaio 1964, in occasione del ventennale del sacrificio.
16
17
M. Onofri, op.cit., pagg.25 e 26.
11
rispetto al passato. In quei tristi momenti della storia nazionale, Mariano Buratti fu dunque
un nemico irriducibile della tirannide, non nascondendo ai suoi giovani amici le difficoltà
che il “corpo docenti” avevano avuto ed aveva per colpa delle pressioni esercitate dal
fascismo. Furono, questi, autentici esempi di vita, lezioni irripetibili. Come giustamente
ricorda l’articolo apparso su “Risorgimento Liberale”: “Dalla sua scuola sono usciti giovani
educati alla libertà, e gli allievi rimasero legati al maestro anche dopo terminati gli studi”.
Di formazione liberale, era stato peraltro allievo del prof. Guido De Ruggiero18, Buratti era
uno che, amando la libertà, la giustizia e i discorsi filosofici, conferiva alle sue lezioni un
entusiasmante calore, ricco di fede. Sono, questi, elementi che fecero di lui un educatore
profondamente amato anche dai suoi colleghi. Dai ricordi personali di una di essi, la prof.sa
Carmela Mungo, cogliamo soprattutto un uomo: “… scarnito e tormentato nel viso, che
aveva grandi occhi luminosi, ricchi di pensiero e in fondo, malinconici, e una piega amara
nella bocca volitiva. Tutto ciò contrastava stranamente colla sua parola vivace ed
esuberante. Cominciava la conversazione con argomenti banali; arrivava ben presto ai
grandi problemi che gli ardevano in cuore”.
6. Richiamato alle armi.
Frattanto nel giugno ’41, mese molto impegnativo per il Buratti, visti gli sforzi che stava
dedicando per il conseguimento della laurea in Pedagogia, era giunta anche un’inaspettata
notizia. Il 14 di tale mese, infatti, il Comando della 9^ Legione della Regia Guardia di
Finanza lo aveva richiamato alle armi, in qualità di brigadiere, ai sensi di una disposizione
del Ministero della Guerra del 10 febbraio precedente19. A quel punto è umano
comprendere come il Buratti, che, come abbiamo visto, stava preparandosi per i concorsi a
cattedra, fosse stato costretto a “correre ai ripari”.
Dopo tre giorni di servizio, che il brigadiere prestò in divisa presso la Caserma di Via
dell’Olmata, sede del Comando di Legione, intervenne un provvidenziale ricovero, in
osservazione, presso l’Ospedale Militare del “Celio”. Fu proprio l’Ospedale Militare che, il
26 giugno seguente, riscontrandogli la presenza di una fastidiosissima malattia tropicale (la
colite da amebiasi), gli darà ben 90 giorni di convalescenza, a quel punto utilissimi per la
18
G. De Ruggiero. Filosofo e storico della filosofia italiano (Napoli 1888-Roma 1948). Professore nelle
Università di Messina e di Roma, subì il confino e la prigionia per il suo antifascismo. Nel 1943 partecipò alla
fondazione del Partito d'Azione, mentre nel 1944 fu ministro della Pubblica Istruzione del Governo Bonomi.
Fra le sue opera più importanti vi è la “Storia della Filosofia (1918-48) ”, che rappresenta uno dei documenti
più significativi della cultura filosofica italiana della prima metà del secolo, “Filosofia Contemporanea (1912)”,
“Storia del Liberalismo Europeo (1925)” e “Filosofia del Novecento (1934)”.
12
realizzazione di quei progetti che al Buratti stavano tanto a cuore. Terminata la
convalescenza, avendo altri due fratelli sotto le armi, il brigadiere Mariano Buratti, dopo
appena un giorno di servizio, fu inviato in licenza illimitata a decorrere dal 25 settembre,
sempre del ’41.
Il 12 febbraio dell’anno seguente, il sottufficiale fu inviato nuovamente in congedo illimitato,
anche se comunque a disposizione del Centro di Mobilitazione della R. Guardia di Finanza
di Roma. Il 26 marzo, la moglie Maria Luisa gli regalò il piccolo Enzo Maria, la cui nascita
ridarà al nostro Buratti finalmente la gioia di vivere.
Il 20 luglio 1943, in relazione alla crisi militare e politica venutasi a creare in seguito allo
sbarco degli anglo-americani in Sicilia, il brigadiere in congedo Buratti (come del resto tanti
altri suoi commilitoni) fu nuovamente richiamato in servizio ed assegnato presso la
Compagnia di Viterbo, allora retta dal ten. Francesco Orgera. Due giorni dopo fu inviato a
Roma, per essere sottoposto a visita medica dinanzi alla Commissione Medica
Ospedaliera riunitasi presso l’Ospedale Militare “Celio”. L’ultimo atto nel quale il Buratti fa
precedere la propria firma con l’indicazione del grado di brigadiere è del 1° agosto 1943,
data dell’accettazione del responso della citata Commissione. La medesima Commissione,
riconoscendogli una malattia “non dipendente” da causa di servizio, gli concesse due mesi
di convalescenza, indispensabili al professore anche in vista della ripresa dell’attività
scolastica, prevista per il mese di ottobre20.
Lo stesso giorno, il brigadiere-professore avrebbe redatto il suo testamento politico,
affidato ad un suo allievo, Alessandro Vismara, che lo pubblicherà sul primo numero del
giornale viterbese “Bulicame”, diretto dal liberale Corrado Buzzi e che porta la data del 15
novembre 1944. Il manifesto politico del Buratti, una sorta di piano politico ed ideologico
dedicato all’Italia del futuro, conteneva anche molti riferimenti al mondo della scuola, al
quale, il futuro eroe si sentiva intimamente legato avendogli dedicato la sua vita recente21.
A tal riguardo, l’Onori scrive: “Ciò che più colpisce del manifesto di questo azionista, rara
avis in terra di Tuscia, non è il fondamento contrattualistico, l’ispirazione repubblicana e
19
Il rientro nella Guardia di Finanza da parte dei suoi congedati, ancorché questi avessero prestato servizio
presso altre Forze Armate in epoca successiva, era previsto dalla Legge 26 giugno 1912, n. 600, con la
quale fu disciplinato il richiamo alle armi dei finanzieri.
20
Direzione dell’Ospedale Militare di Roma – Comm. Medica Ospedaliera, Dichiarazione di visita medicocollegiale – n. 2483. In A.M.S.G.F. – fondo Miscellanea, Resistenza e Guerra di Liberazione, fasc. “Mariano
Buratti”.
21
Secondo quanto indicato nella citata biografia dedicata al Buratti, il “Testamento politico” si troverebbe
attualmente conservato presso il Museo di Via Tasso.
13
socialdemocratica, ma il vigore con cui si insisteva, in quegli anni tremendi di terrore e
miseria, su una riforma radicale della scuola”22.
Dal 1° agosto all’8 settembre 1943 il passo fu veramente breve. Buratti, che seguendo il
suo maestro De Ruggero, aveva aderito al Partito d’Azione ed ai Gruppi di Ricostruzione
Liberale, cessava per sempre la sua attività di professore, per riprendere le armi, questa
volta contro un nemico che, invadendo l’amata Patria italiana, aveva occupato Roma,
ipocritamente riconosciuta nello status di “città aperta”. Dopo aver dato vita, a Viterbo, ad
una sezione del Partito d’Azione, Buratti prese spunto proprio da questa esperienza, per
concepire qualcosa di più impegnativo. Ebbe così ad organizzare, in una casa di via
Isonzo, le prime riunioni politiche, alle quali presero parte anche i suoi più giovani allievi. A
partire dal 15 settembre successivo (quando erano ormai chiari gli intenti dei tedeschi), egli
troverà nella sua stesa sezione l’humus necessario per la creazione di una banda
partigiana23.
Trovandosi ancora in convalescenza (e quindi giustificato dal punto di vista del servizio
militare), il brig. Buratti decise, però, di darsi comunque alla macchia, evitando così di
presentarsi in servizio il 1° ottobre ’43, scadenza dei due mesi di esenzione concessi
dall’Ospedale Militare. In tal scelta, egli fu certamente agevolato dalla comprensione del
suo comandante, il ten. Orgera.
A pesare comunque sulla decisione del Buratti fu certamente la consapevolezza che, in
caso contrario, ripresentandosi nuovamente al “Celio”, non avrebbe certo potuto più
contare sugli “appoggi” degli ufficiali medici compromessi con la Resistenza, a quel punto
controllati a vista dalla Gestapo. A suffragare tale ipotesi vi sono numerose testimonianze
anche di ufficiali della stessa R. Guardia di Finanza, che spesso fecero ricorso agli aiuti dei
loro colleghi medici per ottenere convalescenze che potessero far passare inosservate le
loro attività patriottiche. Nella relazione che l’allora cap.no della G.di F. Ernesto Argenziano
(uno degli artefici della Resistenza Romana) sottoscrisse subito dopo la fine della guerra,
proprio a tal proposito si legge: “Mi ricoverai subito nell’ospedale militare del Celio dove,
per interessamento del maggiore medico Mancini, che già conoscevo e al quale palesai
che facevo parte del movimento patriottico, ottenni sei mesi di licenza di convalescenza”.
Nel caso dell’Argenziano, il Comando Generale non credette alla sua malattia e ne ordinò
una visita medica di revisione. In tale situazione, il cap.no aggiunse: “Mi rivolsi allora al
22
M. Onofri, op. cit., pag. 25.
23
In un bando del 14 settembre, a firma del Gen.le Calvi di Bergolo, comandante della “città aperta”, viene
prevista la fucilazione immediata per chiunque venga trovato in possesso di armi dopo le ore 24 del 15
settembre.
14
Centro Militare del Fronte Clandestino, del quale facevo parte, per essere favorito nella
visita di controllo. Mi fu comunicato di rivolgermi al maggiore Rocchi del Comando Bande
Italia Centrale. Col suddetto ufficiale ci recammo in casa del capitano medico Iandolo,
Segretario della Commissione medica e stabilimmo le modalità per ottenere la conferma
della licenza”24.
Dagli atti d’archivio consultati non è emersa alcuna denuncia di diserzione a carico del
Buratti, presentata al Tribunale Militare da parte della R. Guardia di Finanza. E’, questo, un
elemento che, se da un lato può far supporre l’esistenza di una certa copertura che il
brigadiere godeva all’interno del Comando d’appartenenza, confermerebbe, dall’altro, la
concreta compromissione dei finanzieri nel Movimento di Liberazione Nazionale.
6. Il partigiano combattente.
Fu solo nell’ottobre successivo, grazie all’iniziativa personale di alcuni patrioti, che si
formarono i primi nuclei di quelle che, in futuro, diverranno delle vere e proprie “bande
armate”. Quelle operanti nel Lazio furono alquanto numerose e la maggior parte di esse
era composta di soldati allo sbando, renitenti alla leva ed al lavoro obbligatorio, ex
condannati politici, ma anche da prigionieri alleati fuggiti dai campi d’internamento. Sin dai
primi momenti, l’azione di questi organismi, nonostante la debolezza di mezzi e di energie
personali, era finalizzata all’organizzazione di atti di sabotaggio contro la rete ferroviaria e
le linee telegrafiche ed in colpi di mano contro depositi e magazzini.
Fra questi autentici “uomini d’azione” vi fu dunque anche il brigadiere Buratti, il quale, pur
non avendo precedenti politici alle spalle, organizzò a proprie spese a San Martino al
Cimino, ove nel frattempo si era trasferito da Viterbo, una banda armata destinata ad
operare sia in quella zona che in altre aree attraversate dalla grande arteria stradale quale
era appunto la Cassia. Lo seguirono in questa nuova impresa, oltre al fratello Angelo,
anche la moglie Maria Luisa ed il piccolo Enzo, i quali, vagando per casolari sperduti dei
boschi del Cimino, condivideranno con lui tutti i disagi ed i rischi che l’attività partigiana
comportavano. Ne formarono il primo nucleo: suoi ex alunni (alcuni dei quali allievi ufficiali)
quali Sandro Vismara, di cui si è già parlato ricordando il testamento politico del Buratti,
Corrado Buzzi, Aldo Laterza, Armando Franco e Gianluigi Buffetti, la banda “Italia
Indipendente” che faceva capo a Sauro Sorbini, ma anche un gruppo di militari sbandati
24
Relazione sull’attività svolta dal capitano Argenziano Ernesto dall’8 settembre 1943 al 4 giugno 1944. In
A.M.S.G.F. – fondo Miscellanea, Resistenza e Guerra di Liberazione.
15
dopo l’8 settembre (probabilmente anche alcuni finanzieri), riuniti attorno alla figura di un
sergente dei Paracadutisti, il messinese Giuseppe Mazzini Sardo25.
Fra i primi rifugi della banda vi furono ovviamente i folti boschi dei Monti Cimini, ed in
particolare quelli che dominavano l’area compresa tra San Martino al Cimino e le Tre
Croci, la località cosiddetta di “Grotta Amelia”. Qui la banda alloggiò nel casolare del
podere “Capoferri”. Ben presto, però, a causa delle rappresaglie che i tedeschi
effettuarono ai danni della popolazione locale, l’area dovette essere abbandonata. Buratti
scelse di spostarsi inizialmente sulle vette del Monte Fogliano, con punto di riferimento e
di assistenza comunque in S. Martino al Cimino, per poi trasferirsi, verso la fine di
novembre ’43, nei pressi del Lago di Vico, esattamente sotto il Monte Venere.
E fu proprio nei pressi del Lago che la banda del brigadiere-professore portò a
compimento due importanti operazioni. Nella prima metà di ottobre (secondo altre fonti
settembre), fu abbattuto, a colpi di fucile esplosi dallo stesso Buratti, un aereo tedesco, un
Fokker, impegnato in attività di collegamento e ricognizione, che poi sprofondò nel lago
stesso.
Qualche
tempo
dopo,
invece,
un
audace
colpo
di
mano
consentì
all’organizzazione partigiana di mettere le mani su di un deposito di munizioni tedesco,
ospitato negli edifici di una dismessa fabbrica di gas.
La “Banda del Cimino”, che sin dall’inizio si affiancò alla banda del s.ten. medico Manlio
Gelsomini26, entrò poi a far parte del raggruppamento “Monte Soratte”, che aveva sede
centrale a Roma, sotto il comando del ten. col. Siro Bernabò, di fede monarchica, peraltro
molto vicino all’organizzazione partigiana delle “Fiamme Gialle”. Erano, queste,
organizzazioni che comunque rientravano nel cosiddetto “FCMR - Fronte Clandestino
Militare di Resistenza”, il glorioso “Gruppo Montezemolo”, dal nome del suo organizzatore,
il col. Giuseppe Còrdero Lanza di Montezemolo, rappresentante a Roma del Comando
Supremo di Brindisi27.
Il gruppo di partigiani che dava vita alla “Banda del Cimino” era molto efficiente e
soprattutto molto temuto per via degli atti di sabotaggio, delle imboscate e del
25
M. Onofri, op. cit., pag. 26.
L’ufficiale medico Manlio Gelsomini fu uno dei primi che, dopo l’8 settembre, diede vita ad un nucleo di
resistenza operante nella provincia di Viterbo. Il suo comportamento fu di un vero eroe. Catturato dai
tedeschi, fu trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia
d’Oro al Valor Militare.
26
27
G. Còrdero Lanza di Montezemolo. Patriota italiano (Roma 1901-1944). Colonnello di Stato Maggiore del
Regio Esercito durante la II guerra mondiale, dopo l'armistizio dell'8 settembre organizzò a Roma il primo
nucleo militare di resistenza clandestina, seguendo le direttive del Governo di Brindisi. Catturato e torturato
dai Tedeschi, venne fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Alla sua memoria fu concessa la
Medaglia d’Oro al valor Militare.
16
“cecchinaggio” dei quali si rese protagonista. In tale direzione, i militari (fra essi vi era il
prode ten. Catani della “Folgore”28) sfruttarono appieno la loro precedente militanza nelle
Forze Armate e, nel caso del nostro Eroe, anche il servizio svolto nella Guardia di
Finanza, imitati egregiamente dagli altri membri della componente politica. Le armi che
utilizzò lui e la sua organizzazione provenivano inizialmente da acquisti pagati di tasca
propria dallo stesso Buratti, ed in seguito dalle razzie delle quali era abilissimo l’ex
paracadutista Augusto Pasini29, e dai depositi occulti, approntati dopo l’8 settembre, anche
con la complicità dei finanzieri della citata organizzazione partigiana “Fiamme Gialle”,
capeggiata dal gen.le Crimi, la quale ebbe molti contatti con il Partito d’Azione e con il suo
Capo Militare, il prof. Riccardo Bauer30.
Come ricorda Giuseppe Maria Catanzaro nel suo libro dedicato a Montezemolo, questi:
“Approfittò invece largamente delle possibilità offerte nella Guardia di Finanza dai generali
Poli e Crimi attraverso il Capitano Argenziano, in specie per concessione di automezzi
trasportanti armi a bande esterne” 31. Il rifornimento alle bande del Viterbese, ivi compresa
quella del Cimino, e della Sabina fu davvero intenso. Uno dei primi trasporti fu effettuato
dal ten. Giovanni Melzani, con un autocarro targato G.di F. e con la scorta del ten.
Tomaselli. Ne seguirono numerosi altri (circa una diecina), scortati tutti dal ten. Michele
Parlante. Fra i materiali che quest’ultimo ufficiale trasportò nella zona di Viterbo vi furono
soprattutto gli esplosivi, necessari al Buratti ed alle altre bande per eseguire gli atti di
sabotaggio, anche se non mancarono trasporti di armi leggere e materiale di
equipaggiamento. Un forte quantitativo di esplosivo, circa un quintale di dinamite e diversi
chilogrammi di capsule ed innesti necessari per gli atti di sabotaggio, furono trasportati a
Viterbo da un’autovettura condotta dal fin. Glauco Cecconi, il quale, dietro ordine del
tenente Parlante, consegnò il prezioso materiale ad un certo Tonino, uno dei tanti membri
della banda del Cimino.
Fra la azioni che la banda portò a compimento nell’area di Viterbo meritano, altresì,
particolare menzione il recupero di una grossa partita di munizioni da un sottoscala
28
Il Ten. Catani, grazie alla sua appartenenza ai Paracadutisti, era anche un abile sabotatore, come seppe
dimostrare allorquando fece saltare un ponte nei pressi di Civitacastellana.
29
Augusto Pasini, fu un elemento di spicco dell’organizzazione patriottica viterbese. Catturato il 5 marzo
1944, in seguito ad un’azione partigiana consumatasi al Quarticciolo, verrà fucilato anch’esso a Forte
Bravetta il 7 marzo seguente.
30
Per maggiori approfondimenti circa la partecipazione dei finanzieri alla resistenza in generale ed a quella
romana, in particolare, vgs. Giuliano Oliva, “La Guardia di Finanza nella Resistenza e per la Liberazione”,
Comando Scuola Polizia Tributaria G.di F., Roma 1984.
31
G. M. Catanzaro, “Montezemolo”, Editoriale Romana, cap.lo “Organizzazione Clandestina Mutilati”, pag. 121.
17
dell’edificio destinato a sede della Banca d’Italia, nonché il deragliamento, nei pressi di
San Martino – Tre Croci, di un treno diretto a Roma. Molto pericolosi e soprattutto rilevanti
furono, poi, gli atti di sabotaggio che la banda eseguì ai danni delle linee telefoniche che
correvano lungo il tronco ferroviario Viterbo - Capranica, ai quali fecero seguito altrettante
manomissioni delle linee elettriche nelle località di Quartuccio, Masse di San Sisto e San
Martino. A tali operazioni collaborarono spesso anche i partigiani, per lo più militari
sbandati, del cap. Salvatore Scibetta, della G.di F. : un’ulteriore conferma dei legami che il
nostro Buratti mantenne con i suoi vecchi commilitoni32.
In realtà, le azioni preferite dalla “Banda del Cimino” furono gli assalti alle colonne di
automezzi tedeschi, spesso bloccati nelle curve delle vie consolari, mediante l’uso dei
famosi “chiodi a quattro punte” che, forando i pneumatici, obbligavano i nazisti a soste
forzate. Si trattava di chiodi composti di due pezzi di tondino di ferro, con le punte
acuminate, piegati ad elle e saldati al centro, in maniera tale che, gettandoli a terra,
cadevano sempre con una delle punte rivolta verso l’alto33.
Recuperate le armi ed i materiali d’immediato interesse militare, l’opera era poi completata
dagli aerei alleati, che prendevano di mira le colonne con le loro potenti mitragliatrici. Non
si trattava di operazioni isolate, ovvero organizzate sul posto: erano, invece, vere e proprie
azioni di guerriglia delle quali i vertici della Resistenza erano perfettamente informati,
interagendo con le forze armate alleate. Alla banda del prof. Buratti, infatti, come ha
sottolineato anche il Catanzaro: “… venivano inviate notizie a mezzo di telegrammi e
stampati di servizio del Ministero delle Comunicazioni forniti dal collaboratore Pietro De
Angelis, interprete presso il Comando tedesco, al Ministero delle Comunicazioni, sul
movimento delle truppe tedesche operanti nella zona dell’Alto Lazio affinché i movimenti
stessi potessero essere ostacolati da opportuni atti di sabotaggio che il prof. Buratti
s’incaricava di far compiere. I predetti telegrammi consegnati dal De Angelis al Bracci
venivano da questi consegnati al Dr. Pennazzi di Viterbo il quale si incaricava di
consegnarli al Buratti”34.
32
Relazione sul comportamento del capitano Scibetta Salvatore all’atto e dopo l’armistizio. In A.M.S.G.F. –
fondo Miscellanea, Resistenza e Guerra di Liberazione.
33
Ad ideare lo stratagemma fu un fabbro di Trastevere, Enrico Ferola, che fra l’altro aveva bottega nei pressi
del carcere di “Regina Colei”. I chiodi furono in seguito prodotti, su larga scala, anche da altre piccole officine
sparse sia a Roma che in provincia. Essi furono utilizzati, per la prima volta, il 17 ottobre 1943 sulle strade
che portano a Cassino.
34
G. M. Catanzaro, op. cit., pag. 190.
18
Con le stesse tecniche furono, inoltre, distrutte quattro autocisterne cariche di carburante,
nel mentre viaggiavano sulla strada Civitella Cesi – Bieda, nonché due autocarri e due
motocarrozzette, mentre con l’esplosivo recuperato fu fatto saltare un magazzino
contenenti strumenti per l’aviazione. Non meno rilevante fu, poi, l’immobilizzazione di due
carri armati tedeschi, avvenuta rispettivamente in località Santa Maria in Gradi e sulla
strada Sammartinese.
Per le importanti azioni compiute in campo aperto, ma anche in relazione al fatto che il
Buratti era anche un informatore dell’OSS americano (che faceva capo al noto agente
Peter Tompkins), la banda fu più volte elogiata dal Comandante in Capo delle Forze
Alleate operanti in Italia, il generale Alexander, il quale ne riconobbe l’estrema valenza
operativa, indispensabile per scompaginare gli schieramenti tedeschi35. Una delle azioni
più strepitose delle quali si rese protagonista la banda, fu certamente quella messa a
segno il 26 ottobre ’43 a San Giovanni di Bieda (l’odierna Villa San Giovanni in Tuscia),
sulla via Cassia, allorquando Buratti in persona, ottimo conoscitore di quei luoghi, guidò un
assalto a fuoco contro un’intera e soprattutto numerosa colonna germanica. L’esito fu
certamente negativo per i nazisti, che a quel punto, però, si scatenarono in un feroce
rastrellamento, sia nel bosco ove la banda si era rifugiata, che nell’intera area dei monti
Cimini.
Durante uno scontro, la banda subì molte perdite, anche se la spavalda convinzione dei
tedeschi di aver messo le mani sui “banditi del viterbese” fu subito smentita dai fatti. A
quel punto, gli invasori ordinarono una rappresaglia contro la popolazione locale,
colpevole di aver dato manforte ai partigiani. Il bilancio fu, come sempre, crudele, poiché a
San Giovanni di Bieda persero la vita 14 persone, mentre altre tre furono ferite ed
altrettante 30 catturate. La situazione venutasi così a creare, se da lato umano distruggerà
il Buratti, non l’allarmò più di tanto dal un punto di vista strettamente operativo. Essendo
un militare a tutti gli effetti (anche se in convalescenza), egli fu sempre conscio dell’alto
rischio che stava correndo e dell’inevitabile pena alla quale sarebbe stato condannato. Egli
continuò nella sua opera di patriota convinto e risoluto, fino all’epilogo, che egli stesso non
sfuggì, “forse perché incauto, per esuberanza di passione”, come ricorda la prof.sa
Mungo.
Vista l’impossibilità di far fronte alla preponderante forza nemica, Mariano Buratti fu
costretto a sciogliere la banda, disponendone la frammentazione in piccoli gruppi di tre o
35
Il nome di Buratti compare anche nella lista degli informatori e sabotatori dell’OSS fucilati dai tedeschi,
redatta il 31 luglio 1944 dal 2677° Regiment OSS – APO 777, U.S. Army, Headquarters/Detacment,
pubblicato in allegato al libro “Una Spia a Roma”, di Peter TompKins, edizione Il Saggiatore, Roma
19
quattro persone, che si sparpagliarono nell’immenso territorio della Tuscia. Con loro fu
comunque portata avanti l’azione di sabotaggio, che ebbe come obiettivi principali ancora
le vie di comunicazione percorse dalle truppe d’occupazione germaniche.
7. L’estremo sacrificio.
All’alba del 12 dicembre 1943, un’autovettura stava attraversando il piazzale di Ponte
Milvio, allorquando un reparto di SS la bloccò con i mitra spianati. A bordo del mezzo
viaggiavano il brig. Buratti, un avvocato (il probabile delatore) ed il tenente dei
Paracadutisti Ernesto Catani, membro di una banda interna del FCMR36, i quali, al
termine di una missione segreta (ed una probabile riunione a casa della prof.sa Maria
Anselmi) si apprestavano a far ritorno a Viterbo. Come gli sventurati ebbero modo di
capire subito, non si trattava di un normale controllo di polizia, ma sfortunatamente di una
vera e propria cattura, scaturita, pare, dalla delazione di una persona molto vicina al
Buratti.
Addosso al capo partigiano, i tedeschi rinvennero una forte somma di denaro che serviva
per l’organizzazione della banda, mentre sulla macchina, le SS rinvennero una rivoltella.
Inizialmente tradotti nelle carceri di “Regina Coeli”, con l’accusa di detenzione abusiva di
armi, dopo alcuni giorni, i malcapitati furono invece portati nella famigerata “Casa degli
Orrori” di via Tasso 155, vecchia sede degli uffici della rappresentanza culturale
dell’Ambasciata Tedesca in Italia. Nella sede dell’SD, la brutale polizia politica del magg.
Herbert Kappler, Buratti fu torturato e seviziato allo scopo di estorcergli i nomi dei suoi
complici e dei luoghi ove essi si nascondevano.
Nonostante ciò, il nostro brigadiere non negò le proprie responsabilità di fronte agli atti di
guerra dei quali si era resa responsabile la banda. Né, tanto meno, coinvolse i compagni
catturati assieme a lui e, a maggior ragione quelli scampati, i quali ebbero così modo di
continuare nella loro nobile missione. Durante la permanenza a via Tasso, Buratti cercò di
prendere contatti con gli altri detenuti, con i quali, con molta probabilità, avrebbe studiato
la possibilità di una fuga. Secondo quanto ha evidenziato il ricercatore Augusto Pompeo,
Mariano Buratti, assieme a Franco Sardone ed Ernesto Catani, sarebbe stato realmente
protagonista di un tentativo di fuga da via Tasso: tentativo concordato fra loro attraverso
36
Almeno secondo quanto viene evidenziato alla pag. 22 dell’importantissima opera di Alfonso Bartolini ed
Alfredo Terrone dal titolo “I Militari nella Guerra Partigiana in Italia”, edito nel 1998 dall’Ufficio Storico dello
SME.
20
messaggi nascosti nel cibo e nel vestiario37. Furono, queste, attività rischiosissime,
soprattutto perché i tre Patrioti venivano considerati elementi particolarmente pericolosi
per le forze armate germaniche e, quindi, da sorvegliare con ogni rigore38.
Ma all’interno della “casa degli orrori”, il brigadiere-professore fu soprattutto una guida
spirituale ed un affettuoso compagno di viaggio per molte altre vittime della ferocia nazifascista. In una toccante testimonianza resa dal dottor Oscar Caggegi, il quale, arrestato
dalle SS il 18 gennaio 1944 fu detenuto a via Tasso nella stessa cella del Buratti (la n. 13),
si legge a riguardo: “Conobbi molti e molti autentici eroi: il prof. Mariano Buratti che,
vedendomi un po’ ammaccato per l’interrogatorio, mi disse in prefetto romanesco <cce
semo – fatti animo – qui le botte se sprecano>39. In un’altra testimonianza, resa il 13
dicembre 1945 ed allegata alla citata proposta di concessione della ricompensa al Valor
Militare, il dott. Caggegi, nell’approfondire il tema della fortissima personalità dell’Eroe,
scrisse: “I compagni di cella mi raccontarono poi che il Buratti, dopo ogni interrogatorio, (e
furono molti) ritornava in cella cantando inni patriottici. In cella il Buratti trovava modo di
tenersi alto il morale, cercando con la sua eloquente parola di alleviare il peso delle nostre
disavventure”.
Il Caggegi, che con il nome di battaglia di “Marcello” aveva capeggiato la formazione
partigiana “I Vespri” costituita in gran parte da siciliani, uscito vivo da via Tasso alla vigilia
della liberazione di Roma, fu, tra l’altro, colui che, da Cancelliere della II Sezione Penale
della Corte di Cassazione, scoprì casualmente, denunciandolo, il probabile delatore che
aveva fatto arrestare il Buratti ed il Sardone40. Egli ne ricordava il nome per averglielo, a
suo tempo, confidato gli stessi partigiani durante la comune detenzione a via Tasso.
Secondo una ricostruzione giornalistica, Gaggegi attribuì alle due vittime la seguente
frase: “Oscar, ricordati di vendicarci, chi ci ha denunciato è stato A.P.”, frase che gli
consentì di confrontare la circostanza con altri elementi evidenziati nel fascicolo
37
Augusto Pompeo, “Forte Bravetta 1932 – 1945 – Storie, Memorie, Territorio”, edito dall’ANPI della
provincia di Roma e dalla XVI Circoscrizione del Comune di Roma nel 2000;
38
Il dato è confermato anche da una lettera, inviata al Comando di via Tasso dal capitano delle SS. Schutz,
il cui originale è esposto in una delle sale dello stesso Museo di via Tasso.
39
La testimonianza fu raccolta nell’articolo “Ricordi di Via Tasso – Cella n. 13 e la Brigata Vespri”, apparso
sul numero del 5 ottobre 1944 del quotidiano romano “Ricostruzione”.
40
Il dottor Caggegi viene considerato veterano di via Tasso, ove sopportò una durissima prigionia che durò
ben 155 giorni.
21
processuale di un altro A.P., detenuto a Bologna perché accusato di collaborazionismo col
nemico41.
Ovviamente il tentativo di fuga (confermato anche dal dottor Caggegi nella richiamata
testimonianza del 13 dicembre 1945) che si sarebbe dovuto concretare nella seconda
metà del gennaio ’44 e probabilmente prima della cattura dello stesso Montezemolo42, non
andò a buon fine, come confermerebbe la morte, sotto tortura, del povero Sardone, che
Kappler farà poi includere fra l’elenco ufficiale dei condannati del 31 gennaio. Compagno
di cella dell’avv. Battaglia, che di lui diede un’altra bellissima testimonianza, il nostro Eroe
rimase a via Tasso fino all’alba del 31 gennaio 1944, allorquando, assieme ad altri tre
sventurati, montò su di una camionetta militare che prese la direzione di “Regina Coeli”.
A tal riguardo, il Caggegi ricorda: “Vidi Buratti, attraverso lo spioncino della porta,
scendere le scale, con le mani legate dietro la schiena, col volto sereno come se andasse
incontro alla liberazione”43.
Non era, purtroppo, un trasferimento verso un luogo di detenzione “meno violento”, come
quei patrioti speravano. La verità venne a galla appena la camionetta giunse al carcere.
Sul mezzo, infatti, salirono altri cinque detenuti ed il cappellano di “Regina Coeli”, Don
Antonio Surano, del Collegio dei Centro Preti. A quel punto la destinazione finale era il
Forte di Bravetta, luogo tristemente noto perché vi si eseguivano le condanne capitali. Fu
così che in quella fredda mattina del 31 gennaio, 146° giorno dell’occupazione tedesca,
ma soprattutto nove giorni dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, il professore Buratti - il
nostro brigadiere Buratti - assieme ad altri otto sventurati, fu fucilato da un plotone
d’esecuzione della P.A.I. (Polizia Africa Italiana), secondo un copione che conosciamo
tutti, avendo memorizzato le tristi sequenze del film di Roberto Rossellini, “Roma Città
Aperta”44.
La motivazione della condanna è ovviamente identica alle altre: “perché preparavano atti
di sabotaggio contro le forze armate germaniche e capeggiavano altri attentati contro
l’ordine pubblico della città di Roma”. In realtà si trattò di una vera e propria rappresaglia,
voluta dai tedeschi per rispondere ai continui assalti ed alle notevoli perdite subite con
41
Cfr. l’articolo “Ricordati di vendicarci”, apparso sul numero del 25 aprile 1945 del quotidiano “Risorgimento
Liberale”.
42
Il Col. Montezemolo fu catturato a Roma il 25 gennaio 1944 e subito tradotto a via Tasso. Morirà, dopo
indicibili torture, il 24 marzo successivo nelle cave Ardeatine.
43
Testimonianza redatta in data 13 dicembre 1945.
Assieme al Buratti furono fucilati i patrioti Giovanni Andreozzi, Enrico De Simone, Augusto Latini, Vittorio
Mallozzi, Paolo Renzi, Raffaele Riva, Renato Traversi e Mario Capozzi.
44
22
l’intensificarsi della lotta partigiana. Dalle testimonianze del cappellano Don Antonio
Surano, che aveva assistito i condannati fino al loro ultimo respiro, Mariano Buratti chiese
di colloquiare con lui, trattenendosi circa mezz’ora, nel corso della quale ebbe modo di
parlare di sé, della sua vita, del suo Enzo, ma anche di Filosofia, la sua grande passione.
Ma Don Surano fu anche testimone del suo comportamento eroico, dimostrato animando
con parole e con l’esempio i suoi compagni. Prima che i “MAB” della PAI si facessero
sentire, Buratti, seduto su di una sedia e con le mani legate dietro il dorso, gridò per
primo, ed invitò gli altri compagni a fare altrettanto, la nobilissima frase: “Viva l’Italia”,
l’ultima di una vita terrena così ricca e travagliata come la sua. Uno dei condannati, che
era rimasto impallidito di fronte alla morte, fu dallo stesso Buratti incoraggiato a morire da
vero italiano. A quel punto il “Viva l’Italia” fu davvero unanime, mentre quello del timoroso
fu il più squillante fra tutti. La povera famiglia, che aveva riposto molte speranze verso
un’ipotetica liberazione, giacché addosso al proprio congiunto non erano stati trovati
documenti compromettenti, apprese l’amara realtà dal giornale radio della stessa fatidica
giornata45.
Come viene ricordato nella relazione aggiuntiva, redatta dal Comando Raggruppamenti
Bande Patrioti Italia Centrale, in funzione della concessione della massima ricompensa al
Valor Militare: “Gettarono i cadaveri su un furgoncino; gocce di sangue segnarono il fatale
cammino e la notte custodì quei morti nel suo freddo di tenebre, nella solitudine
dell’abbandono umano, avanti ai cancelli del Cimitero. Il mattino poi l’adagiarono nelle
povere casse di legno e qualche animoso, sfidando la vita, li mostrò ai famigliari che
erano riusciti ad arrivare fin là. L’ordine dei tedeschi era severissimo; quei corpi nessuno
avrebbe dovuto sapere dove fossero”46.
Il suo corpo fu recuperato molti mesi dopo la liberazione di Roma dalla stessa famiglia,
grazie all’aiuto di alcuni becchini del cimitero monumentale del Verano, ove le vittime di
Forte Bravetta erano state sepolte in una fossa comune. Secondo Giovanni Battista
Sguardo: “I famigliari poterono successivamente riconoscere la salma solo attraverso
alcuni brandelli del vestiario ed una protesi dentaria: il volto, infatti, era tumefatto ed
irriconoscibile per le sevizie subite”47. Sulla tempia dell’Eroe, i suoi cari vi notarono
45
L’esecuzione fu anche pubblicizzata attraverso “Il Messaggero” del 1° febbraio 1944, il quale riportò la
notizia in un articolo dal titolo: “10 condanne a morte di sabotatori e attentatori”.
46
Ministero della Difesa – D.G.P.M. – III Reparto – 8^ Divisione Ricompense e Onorificenze – Fascicolo
Medaglia d’Oro Mariano Buratti.
47
G. B. Sguario, “Mariano Buratti e la Banda del Cimino”, in Biblioteca e Società – Viterbo”, numero del 31
dicembre 1993.
23
comunque un punto nero: era quello del fatidico “colpo di grazia”, infertogli dal
comandante del plotone d’esecuzione o, con molta probabilità, dallo stesso Kappler,
come viene evidenziato nella già citata relazione del Comando Raggruppamenti Bande
Patrioti. I gloriosi resti del brigadiere Buratti riposano oggi nel sepolcro monumentale,
eretto, nei pressi della camera mortuaria dello stesso Verano, in ricordo di tutti i martiri
fucilati nelle varie località romane durante i nove mesi d’occupazione tedesca. Dopo la
morte del suo fondatore, i resti di quella che era stata la “Banda del Cimino”, o forse
meglio, la “Banda Buratti”, si ricompattarono, continuando, con la stessa intensità di
prima, l’attività militare contro la ferocia nazista. A capeggiare i partigiani del viterbese
assurse Angelo Zucchi, che era stato il braccio destro del Buratti, ma soprattutto l’eroico
sergente Giusepe Mazzini Sardo, di cui si è già parlato.
9. Conclusione.
L’esempio di virtù e di coraggio offerto dal brigadiere Mariano Buratti, il quale riuscì ad
essere forte dinanzi alle barbarie dei suoi torturatori, ma anche il suo estremo e
trascendente sacrificio, non furono dimenticati né dai suoi compagni di lotta, né tanto
meno dalle Istituzioni della nuova Italia. Il 10 dicembre 1944, una delle prime
commemorazioni pubbliche in ricordo del Buratti ebbe luogo nella piazza del Municipio e
presso le Scuole del suo stesso paese d’origine, Bassano di Sutri. Alla presenza della
cittadinanza bassanese, della vedova dell’eroe, degli ex colleghi di scuola e di alte
personalità, quali l’avv. Oronzo Reale, dell’esecutivo del Partito d’Azione, e del compagno
di lotta avv. Achille Battaglia, i quali ne tracciarono la figura, il suo luogo natio dedicò al
capo partigiano la strada principale del paese, ricordando l’evento con una apposita stele
marmorea.
Altra importante manifestazione pubblica si ebbe, sul finire dello stesso mese di dicembre
’44, presso il Cinema “Corso” di Viterbo. Alla presenza delle più alte autorità italiane ed
alleate, la gloriosa morte del Buratti fu ricordata dall’avv. Achille Battaglia, il quale ne
ricostruì le vicende più significative dinanzi ad un vastissimo pubblico, fra i quali
primeggiavano la stessa vedova e molti degli studenti del compianto professore.
Nel 1946, sulla base di una proposta avanzata il 25 aprile 1945 dal ten.col. Siro Bernabò,
comandante del Raggruppamento “Monte Soratte”, il Principe ereditario Umberto di
Savoia conferì (con decreto luogotenenziale in data 25 febbraio) “motu proprio” alla
memoria del nostro Eroe la Medaglia d’Oro al Valor Militare, che riporta la seguente
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motivazione: “Nobilissima tempra di patriota, valente ed appassionato educatore di spiriti
e di intelletti. Raccoglieva intorno a sé, tra i monti del Viterbese, un primo nucleo di
combattenti dal quale dovevano sorgere poi valorose formazioni partigiane. Primo fra i
primi nelle imprese più rischiose, animando con l’esempio e la parola i suoi compagni di
lotta, infliggeva perdite al nemico e riusciva ad abbattere un aereo avversario. Arrestato in
seguito a vile delazione, dopo aver sopportato, con la fierezza dei forti e col silenzio dei
martiri, indicibili torture, veniva barbaramente trucidato dai suoi aguzzini. Esempio
purissimo di sublime amor di Patria. Monti del Viterbese / Roma, 13 settembre 1943 – 31
gennaio 1944”.
Con la citazione della splendida motivazione della massima decorazione al Valor Militare
terminiamo queste brevi note, le quali hanno ripercorso solo alcuni fra i più importanti
momenti dell’esistenza terrena di Mariano Buratti, una figura di vita complessa - come si è
detto - la quale, d’ora innanzi, dovrebbe essere esaltata maggiormente dalle “Fiamme
Gialle” per portarla ad esempio delle future generazioni di italiani. Essa, come ricordò la
prof.sa Mungo: “… fu tutta un’ascesa: e si concluse in un punto luminoso, culminante, la
morte, nel quale tutta la sua grandezza si concentrò come nella nota più alta di una
sinfonia meravigliosa. Sinfonia, la sua vita, ricca di sentimento, di dolore, di fede, di
generosità, di genio”.
Per gentile concessione dell’autore
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