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DIRITTO PROCESSUALE
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Antonio Briguglio
Pluralità di riti e variazioni del rito innanzi alla Corte di Cassazione
IMPUGNAZIONI
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Antonio Briguglio
Pluralità di riti e variazioni del rito innanzi alla Corte di Cassazione
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ANTONIO BRIGUGLIO
PLURALITÀ DI RITI E VARIAZIONI DEL RITO INNANZI
ALLA CORTE DI CASSAZIONE
SOMMARIO: 1. I riti speciali extra codice. – 2. (Segue): l’uniformazione del catalogo dei motivi di
ricorso a seguito dell’ultima novella del c.p.c. – 3. (Segue): il ricorso per cassazione in materia
di responsabilità dei magistrati. – 4. A margine dei riti speciali: misteriose mutazioni delle funzioni di pura legittimità: a) nei giudizi di responsabilità dei magistrati; b) nei giudizi avverso le
decisioni disciplinari degli Ordini professionali. – 5. Il modello tendenzialmente unico del codice (a margine del modello unico: portata non necessariamente omnicomprensiva di alcune
disposizioni a vocazione generale, ad esempio quella sul «quesito»). – 6. La alternativa fra
«pubblica udienza» e «camera di consiglio»; la benemerita «Struttura» e le novità introdotte
dall’ultima riforma. – 7. Variazioni del rito: a) rivitalizzazione della revisio per saltum; b) ... del
«ricorso nell’interesse della legge»; c) ... e della pronuncia a Sezioni Unite. – 8. Elasticizzazione e adeguamento del rito fra prassi della Suprema Corte e puntualizzazioni del legislatore
(autosufficienza, tutela del contraddittorio, rimessione sul ruolo per contemporanea pendenza
della medesima questione innanzi alle Sezioni Unite, ed altro).
1. – Un discorso sulla «pluralità di riti» relativamente al giudizio civile di cassazione è – per forza di cose e per ragioni intuibili – ben meno denso e ben meno drammatico che non in relazione al processo di cognizione nei gradi di merito.
Del tutto lontano, ad esempio, da quella che è stata per molti anni l’esperienza
normativa spagnola (nella Ley de enjuiciamiento civil convivevano due separati e distinti procedimenti di cassazione, eredi l’uno, quello per vizi in procedendo, della
querela nullitatis di diritto comune, l’altro, quello per vizi in iudicando, della trasmigrazione in Spagna del modello di Cassazione francese), il nostro giudizio di cassazione si presenta nel c.p.c., almeno apparentemente e salvo quanto dirò più oltre,
come un blocco monolitico e lineare.
1.1. – I riti «alternativi» quanto alla Cassazione civile vanno semmai cercati fuori
dal codice. Prescindendo qui dal contenzioso elettorale, in relazione al quale la funzione della Corte di cassazione risulta da un lato totalmente estranea a quella di un
giudice «civile», d’altro lato davvero sui generis rispetto al comune denominatore
delle altre ad essa conferite, mi riferisco ad alcune leggi speciali che – precedenti o
successive alla entrata in vigore dell’attuale codice processuale civile – istituiscono
apposito grado di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione e lo disciplinano in modo in apprezzabile misura autonomo e con differenze almeno quantitativamente
sensibili rispetto al modello del codice.
Se si pone mente a quest’ultima caratteristica restano ai margini del discorso le
disposizioni del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 in materia di ricorso alle Sezioni Unite avverso le pronunce del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, le quali –
salvo il generale dimezzamento dei termini (art. 202, ult. comma) e la previsione
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(sulla quale dovrà tornarsi) di un apposito catalogo di motivi di ricorso (art. 200) –
contengono (art. 202, comma 1°) un integrale rinvio alla disciplina processuale del
codice di rito (letteralmente a quello del 1865 ed ora, secondo quanto pacificamente
si ritiene, a quello attuale).
Viceversa, vengono in campo essenzialmente le disposizioni di legge speciale in
materia di impugnazione dei provvedimenti disciplinari resi dal C.N.F. e da analoghi organismi di altri Ordini professionali, nonché le disposizioni della l. n. 117/1988
sulla c.d. responsabilità civile dei magistrati.
Vi è però che l’analisi dei caratteri differenziali di questi riti è analisi più che altro minuta, relativamente semplice e poco interessante sul piano sistematico. In due
parole, questi caratteri differenziali sono pressoché tutti riconducibili o al fatto che
la normativa speciale che li prevede è stata emanata nella vigenza del precedente e
non dell’attuale c.p.c. (siamo insomma di fronte a retaggi storici sopravvissuti per
ragioni contingenti e non alla consapevole determinazione del legislatore di differenziare il rito), o ad esigenze di accelerazione e contenimento dei tempi del grado
di cassazione, ovvero ancora alla portata sostanzialmente para-amministrativa del
provvedimento impugnato (il che vale in relazione al ricorso avverso le decisioni degli organismi – pur estranei alla p.a. – di «autogoverno» degli Ordini professionali
ed all’inerente catalogo differenziato dei motivi di ricorso rispetto a quello dell’art.
360 c.p.c.; differenziazione questa che – come dirò – dovrebbe considerarsi ormai
venuta meno a seguito della introduzione del nuovo ultimo comma di tale articolo
ad opera del noto d.lgs. n. 40/2006).
1.2. – Esemplificando si consideri anzitutto l’art. 56 del r.d.l. 27 novembre 1933,
n. 1578 («Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore»). Al comma 3°
si prevede in 30 giorni dalla obbligatoria notificazione del provvedimento del Consiglio Nazionale Forense il termine unico per il ricorso alle Sezioni Unite, e si limitano i vizi deducibili alla incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Al
comma 4° del medesimo articolo – come sostituito dalla l. n. 738/1973 – si precisa
che il ricorso non ha effetto sospensivo del provvedimento; però, su istanza dell’interessato, la sospensione può essere accordata dalle stesse Sezioni Unite; la regola
dell’art. 373 c.p.c. cede perché non poteva non cedere: vi sono solo le Sezioni Unite
e nessun altro giudice cui in ipotesi affidare la incombenza. Al comma 5° – come
sostituito dalla l. n. 738/1973 – viene prefissato il termine entro il quale la decisione
delle Sezioni Unite deve essere assunta (90 giorni). Al comma 6° la competenza a
decidere a seguito di annullamento con rinvio è stabilita – non essendovi evidentemente alternative – in capo allo stesso C.N.F., senza che nulla cambi invece quanto
alla immediata vincolatività del «punto di diritto». Piuttosto, conviene notare la locuzione utilizzata dalla norma (come pure dall’art. 200, ult. comma, r.d. n. 1775/1933
a proposito del rinvio dalle Sezioni Unite al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche): non vi si allude al «principio», ma al «punto» di diritto, segno evidente della elaborazione del testo nella vigenza del passato codice, che questa e non quella
espressione utilizzava.
Sempre riguardo al ricorso alle Sezioni Unite avverso le decisioni del C.N.F. dispongono anche – completando la disciplina speciale – gli artt. 66-68 del r.d. 22 gen-
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naio 1934, n. 37 (recante «norme integrative e di attuazione del r.d.l. 27 novembre
1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore»).
Si segnalano, fra altre e telegraficamente, le seguenti peculiarità:
– l’art. 66, comma 1° contempla come destinatari della notificazione del ricorso
le «parti interessate», vale a dire, oltre al Consiglio dell’ordine o al professionista o
ad entrambi – a seconda che il ricorso provenga dall’uno a dall’altro o dal P.G.
presso la Cassazione –, anche e necessariamente quest’ultimo le quante volte egli sia
stato parte del procedimento innanzi al C.N.F. ai sensi degli art. 59 ss.;
– l’art. 66, comma 2° prevede in 15 giorni (piuttosto che nei 20 di cui all’art. 369,
comma 1°, c.p.c.) il termine per il deposito del ricorso e la costituzione del ricorrente, ma a differenza della corrispondente disposizione codicistica non commina alcuna improcedibilità per il mancato rispetto di tale termine;
– ai sensi dell’art. 66, ult. comma le altre parti debbono far pervenire le loro deduzioni «entro il termine di 20 giorni successivi alle notificazioni di cui al comma primo
…» (vedi invece l’art. 370 c.p.c. ai sensi del quale lo stesso termine per il controricorso prende data dalla «scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso»);
– l’art. 67 assegna alla Cancelleria della Suprema Corte, piuttosto che alla parte ricorrente, il compito di sollecitare al C.N.F. la trasmissione degli atti del procedimento;
– a norma dell’art. 67, comma 3° «l’interessato nell’udienza stabilita è ammesso
ad esporre le sue difese personalmente …»;
– l’art. 68 prevede la possibilità del ricorso del P.G. della Cassazione anche
quando le altre parti abbiano prestato acquiescenza alla decisione o sulla base di
motivi diversi da quelli prospettati dalle altre parti, e senza che si stabilisca (come
invece a proposito del ricorso «nell’interesse della legge» codicistico) la intangibilità
fra le parti della decisione impugnata, per il caso di accoglimento del ricorso.
1.3. – Caratteristiche simili, ma con una disciplina differenziale meno articolata e
completa, si riscontrano nella legge sul notariato (n. 89 del 16 febbraio 1913), ove
per altro il ricorso per cassazione – proponibile solo «per incompetenza» o «per
violazione o falsa applicazione di legge» – ha ad oggetto non la decisione disciplinare del Consiglio notarile, bensì la sentenza della Corte d’Appello che a sua volta
pronuncia sul ricorso avverso quella del Tribunale, adito con l’impugnazione del
provvedimento del Consiglio notarile.
Il recente d.lgs. n. 249/2006 (recante «norme in materia di procedimento disciplinare a carico di notai»), che ha novellato la legge del 1913, ha mantenuto, all’art.
158 ter, la ricorribilità in cassazione, prevedendo espressamente la possibilità dell’inibitoria riguardo alla sentenza impugnata, con richiamo esplicito (visto che si
tratta di sentenza della Corte d’Appello e non dell’organo di autodisciplina, oggi
Commissione regionale) all’art. 373 c.p.c., ed ancorando ulteriormente il giudizio di
cassazione all’alveo di quello ordinario disciplinato dal codice. Vi è per esempio, al
comma 2° dell’art. 158 ter, la previsione dei medesimi termini di impugnazione,
breve e lungo, stabiliti dal codice, ed al comma 1° il richiamo al nuovo art. 366 bis
c.p.c. (quello dei famigerati quesiti). Il che potrebbe far sorgere il dubbio che qualche altra disposizione codicistica non si applichi; ma è sospetto probabilmente infondato perché l’impostazione della nuova normativa speciale sembra fin troppo
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palesemente essere quella del riferimento al ricorso per cassazione per come disciplinato dal diritto comune, salve le previsioni di dettaglio integrativo-derogatorie:
tutt’al contrario della precedente legge del 1913 che palesava, rispetto al codice del
1865, vocazione almeno in apparenza autonoma (v. l’art. 156 nella vecchia formulazione: «il ricorso deve essere fatto nei modi e nel termine prescritto dall’articolo
precedente» – quello relativo al giudizio d’appello –, ed ancora: «... Quanto al procedimento si osservano le regole nel detto articolo stabilite»).
1.4. – Per altri Ordini professionali la situazione è più semplice per certi versi, e
d’altro lato più confusa. Ad esempio, relativamente agli ingegneri ed architetti il r.d.
23 ottobre 1925, n. 2537, contenente il regolamento attuativo della l. 24 giugno 1923,
n. 1395, richiama tout court, senza prevedere disposizioni speciali di rito, il ricorso per
cassazione alle Sezioni Unite, per incompetenza o eccesso di potere, quale unico e solo mezzo di impugnazione avverso le decisioni dell’organo centrale di autogoverno
professionale in materia di iscrizione all’albo, ma non sembra più richiamarlo in relazione ai giudizi disciplinari regolati dagli art. 43 ss. È ciò – oltre che la espunzione del
motivo della violazione di legge nella normativa speciale – che ha probabilmente spinto la Cassazione attuale ad ammettere il ricorso in materia disciplinare (innanzi alla
sezione semplice però) facendo espressamente leva sull’art. 111 Cost. (v. ad es. Cass.
23 dicembre 1996, n. 11488 e Cass. 26 aprile 1999, n. 4153).
2. – Per la verità la Cassazione si riferisce all’art. 111 Cost. anche a proposito del
ricorso alle Sezioni Unite avverso la decisione disciplinare del C.N.F. (v. Cass., Sez.
un., 23 marzo 2004, n. 5776). Si tratta però di riferimento che poteva giustificarsi e
ritenersi operativamente significativo semmai e solo con riguardo alla ormai lontana
fase temporale in cui le Sezioni Unite predicavano la proponibilità del c.d. ricorso
straordinario per tutti i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., compreso il vizio di motivazione. Perché allora il riferimento all’art. 111 Cost. ed al ricorso straordinario valeva
appunto – in ossequio alla Costituzione – a superare la limitazione dei motivi prevista dalla legge speciale (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge). Da
quando però le Sezioni Unite hanno mutato orientamento, eliminando il motivo ex
art. 360, n. 5 dal sindacato possibile mediante il «ricorso straordinario», il riferimento a quest’ultimo a proposito della impugnazione delle decisioni del C.N.F. è divenuto ultroneo, perché già a termini della legge speciale, che quella impugnazione
prevede, essa non è proponibile per vizio di motivazione. Ed è comunque divenuto
un riferimento formalmente errato, visto che la ricorribilità per cassazione di quelle
decisioni è già prevista dalla legge speciale e non vi è bisogno dell’art. 111 Cost. per
ampliare in senso costituzionale la possibilità di ricorso quanto ai motivi (anzi
l’orientamento restrittivo delle Sezioni Unite riguardo al ricorso straordinario sarebbe stato in teoria idoneo – e si sarebbe trattato di un esito ancor più grave ed erroneo – a restringere quella possibilità con riguardo all’«eccesso di potere»).
Oggi tuttavia, e dopo la riforma della Cassazione attuata con il d.lgs. n. 40/2006,
ogni questione di tal genere dovrebbe dirsi superata, atteso che il nuovo art. 360,
ult. comma, c.p.c. – prevedendo che ove il ricorso per cassazione sia proponibile per
violazione di legge ciò debba intendersi sempre in senso comprensivo di tutti e cinque