Handout 2 Storia romana_Viglietti

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Handout 2 Storia romana_Viglietti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Anno accademico 2015/2016
Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale
Insegnamento di Storia romana A
Handout n. 2
f. LIVIO E GLI STORICI DI ETÀ AUGUSTEA
1. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 43.13.3
A me, che scrivo la storia dei tempi antichi, si è formato non so come anche un animo antico, e un
certo scrupolo religioso mi impedisce di giudicare indegni di esser riportati nei miei annales quei
prodigi che gli uomini di quei tempi, ricchi di saggezza, hanno ritenuto di riconoscere come fatti di
pubblico interesse. Da Anagni furono annunciati quell’anno due prodigi: si vide in cielo una torcia,
e parlò una vacca che era nutrita a spese della comunità.
2. Marziale, Epigrammi 14.190
In piccoli libretti (pellibus exiguis) è compresso il grande Livio, che la mia biblioteca non riuscirebbe
a contenere.
3. Quintiliano, Istituzione oratoria 8.1.3
In Tito Livio, uomo di mirabile eloquenza, Asinio Pollione ritiene vi sia una certa Patavinitas.
Perciò, se possibile, è importante che l’intero lessico e la pronuncia dell’oratore diano l’impressione
che l’oratore è stato educato nell’Urbe.
4. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione Praef. 1-12
Non so bene se farò un’opera degna di pregio narrando compiutamente, fin dai primordi dell’Urbe,
la storia del popolo romano […] perché vedo che si tratta di un uso antico e comune. […] Si tratta
inoltre di un’opera assai impegnativa, perché questa storia deve rifarsi a più di settecento anni
addietro e perché, dopo aver preso le mosse da modesti inizi, si è sviluppata a tal punto da
soccombere ormai sotto il peso della sua mole; e non dubito che le prime origini e i primi
avvenimenti che immediatamente le seguono offriranno scarso diletto alla maggior parte dei lettori,
i quali si affrettano a giungere a quelli recenti in cui le forze del popolo da lungo tempo dominante
vanno da se stesse esaurendosi. Io invece anche questo premio cercherò di ottenere alla mia fatica,
di distogliermi dalla vista dei mali di cui per tanti anni la nostra età è stata spettatrice. […] I racconti
tradizionali che si riferiscono ai tempi precedenti alla fondazione, o la futura fondazione dell’Urbe,
conformi più alle favole poetiche (fabulae) che a una rigorosa documentazione storica (incorrupta
rerum gestarum monumenta), io non intendo né confermarli né respingerli. Si può ben accordare
agli antichi questa licenza di nobilitare le origini della città mescolando l’umano col divino. […] Ma
a me preme innanzitutto che ciascuno per parte sua rifletta attentamente su questi fenomeni: quali
siano state le condizioni di vita (vita), quali i costumi (mores), in virtù di quali uomini e quali mezzi
si sia formato e accresciuto (auctus), in pace e in guerra, l’impero; che consideri come poi,
rilassandosi a poco a poco la disciplina (labante disciplina), i costumi si siano dapprima corrotti e
quindi si siano anch’essi sempre più rilassati, per rovinare poi a precipizio finché si è giunti a questi
tempi, in cui non possiamo sopportare né i nostri vizi né i loro rimedi. Questo soprattutto vi è di
salutare e di utile (salubre ac frugiferum) nella conoscenza della storia (in cognitione rerum), che tu
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hai sotto gli occhi modelli (exempla) di ogni genere che sono riposti nelle illustri memorie, e puoi
prenderne ciò che sia da imitare per te e per il tuo stato, ciò che sia da evitare perché turpe nel
principio e nel fine. Del resto, o mi inganna l’amore per l’opera che ho intrapreso, o nessuno Stato
fu mai più grande, più pio e più ricco di buoni esempi, né ve ne fu alcuno in cui così tardi
penetrassero l’avidità e il lusso e dove così tanto fossero onorate la frugalità e la parsimonia. Così
quanto meno si aveva tanto meno si desiderava: recentemente, invece, le ricchezze hanno portato
con sé la cupidigia e l’abbondanza di piaceri la smania di rovinarsi e di mandar tutto in rovina con
gli sperperi e gli eccessi.
5. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 6.1.1
Ho esposto nei primi cinque libri le cose […] che avvennero dalla fondazione della città alla sua
presa [da parte dei Galli] […]: fatti oscuri sia per la troppa antichità […] sia perché in quei tempi
scarni e rari erano i documenti scritti (rarae … litterae fuere), unici sicuri testimoni della memoria
(una custodia fidelis memoriae rerum gestarum), e per di più anche le notizie che erano contenute
negli annali dei pontefici e in altri documenti pubblici e privati per la maggior parte andarono
perdute nell’incendio della città.
6. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 33.10.7-10
Quel giorno furono uccisi 8.000 nemici, catturati 5.000. Se si volesse credere a Valerio Anziate, che
amplifica a dismisura i numeri in ogni accadimento, quel giorno sarebbero stati uccisi 40.000
nemici, catturati – qui la falsificazione è un po’ più contenuta – 5.700, prese 249 insegne militari. E
anche Claudio Quadrigario scrive che furono uccisi 32.000 nemici e fatti prigionieri 4.300. Non
abbiamo scelto il numero che abbiamo indicato perché è il più basso, ma perché abbiamo voluto
seguire Polibio, autore affidabile sugli avvenimenti romani, e tanto più per quelli greci.
7. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 4.23.1-3
Trovo scritto presso Licinio Macro che l’anno seguente [= 434 a.C.] furono rieletti gli stessi consoli,
Giulio per la terza volta e Virginio per la seconda; Valerio Anziate e Quinto Tuberone danno invece
come consoli per lo stesso anno Marco Manlio e Quinto Sulpicio. Peraltro, benché diano versioni
così diverse, sia Tuberone che Macro si servono come fonte dei libri lintei. […] Anche questo deve
dunque essere annoverato come incerto, come altri fatti sepolti dal tempo.
8. Tacito, Annali 4.34.3
Tito Livio, illustre sopra tutti per doti di eloquenza e di attendibilità (eloquentia ac fides), esaltò
Gneo Pompeo con lodi così sperticate che Augusto lo chiamava “Pompeiano”, ma questo non
nocque alla loro amicizia. Ed egli nomina ripetutamente come uomini eminenti (insignes) [Q.
Cecilio] Scipione, Afranio, Cassio e Bruto, e non come ladroni o assassini, titoli con i quali ora sono
spesso qualificati.
9. Dionigi di Alicarnasso, Le antichità romane 1.1.2, 1.4.1, 1.5.1-3
Sono persuaso del fatto che chi intende lasciare nella memoria dei posteri tracce del proprio
ingegno che il tempo non cancelli assieme alle sue spoglie mortali (dato che nella storia, secondo la
nostra concezione, è profondamente insita la verità [alétheia], che è base della conoscenza
[phronésis] e della saggezza [sophía]) deve scegliere argomenti di alto contenuto e che richiedano
grande impegno stilistico.
[…] Voglio brevemente premettere che non mi sono rivolto alla parte più antica della storia romana
senza alcuna logica e senza una profonda consapevolezza, ma ho buone ragioni per giustificare i
motivi della scelta, in modo che coloro che criticano sempre tutto non mi rimproverino […] di
essermi abbassato a trattare antichità per niente illustri. […] Secondo costoro, infatti, Roma soltanto
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ai giorni nostri sarebbe divenuta una città degna di essere celebrata, ma avrebbe origini ingloriose e
del tutto miserabili, indegne di una descrizione storica.
[…] Allo scopo di rimuovere queste opinioni molto diffuse […] e di ristabilire la verità […]
mostrerò con la mia opera che i Romani erano Greci e per di più provenivano da stirpi greche che
non erano tra le più infime e rispettabili. […] Dalla storia si potrà apprendere che Roma,
immediatamente a partire dalle origini, dopo la fondazione, ha offerto migliaia di esempi di virtù
civili e militari che nessuna città, né greca né barbara […] ha mai superato in pietà religiosa,
giustizia, saggezza o virtù militare.
10. Diodoro Siculo, Biblioteca storica 1-2
È giusto che tutti gli uomini tributino grandi ringraziamenti agli autori di storie universali, perché
con le loro personali fatiche costoro aspirarono a giovare alla vita della società; infatti, proponendo
un insegnamento di ciò che è vantaggioso, privo di rischi, con tale genere di opera assicurano ai
lettori la migliore delle esperienze. […] In generale, a causa del ricordo delle opere buone che la
storia garantisce, alcuni uomini furono stimolati a divenire fondatori di città, altri a promulgare
leggi a garanzia della sicurezza delle vita sociale, molti infine aspirarono a ritrovare scienze e arti per
beneficio del genere umano. E poiché la felicità è piena solo con il concorso di tutte queste attività, si
deve assegnare il primo posto, nelle lodi, a quella che più di ogni altra ne è la causa, cioè la storia.
Bisogna infatti considerare che essa è custode delle qualità degli uomini importanti, testimone della
cattiveria di quelli ignobili, benefattrice dell’intero genere umano.
g. FORME DELLA STORIOGRAFIA IN ETÀ GIULIO-CLAUDIA
1. Velleio Patercolo, Storia di Roma dedicata a Marco Vinicio 2.1.1
Come il primo Scipione aveva aperto la strada alla potenza dei Romani, così il secondo l’aprì alla
corruzione. Venuta meno la paura di Cartagine, infatti, e tolta di mezzo la competitrice dell’impero
ci si staccò – e non gradualmente, ma in corsa precipitosa – dalla virtù e ci si gettò nel vizio.
2. Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili 1.Praef
I fatti e, insieme, i detti memorabili dei Romani e dei popoli stranieri, che altri scrittori trattarono in
maniera troppo estesa perché potessero essere rapidamente (breviter) conosciuti, volli trascegliere
dagli autori illustri e disporre ordinatamente, per evitare, a chi volesse compulsare tali fonti, la fatica
(labor) di una lunga ricerca. Né mi sono fatto prendere dalla bramosia di abbracciare tutti i fatti: in
realtà chi potrebbe mai condensare in pochi rotoli (volumina) le imprese di ogni tempo? […] Te,
dunque, o Cesare, nelle cui mani il consenso degli uomini e degli dei volle che fosse riposta la
suprema direzione del mare e della terra […] chiamo a sostegno della mia opera; te dalla cui divina
preveggenza sono incoraggiate le virtù (virtutes) che saranno materia del mio libro e ben
severamente puniti i vizi (vitia).
3. Seneca Padre, in Lattanzio, Istituzioni Divine 7.15.14-16
Non senza saggezza Seneca Padre divise la storia della città di Roma in età. La prima, l’infanzia,
disse che era stata sotto il regno di Romolo da cui Roma fu generata e, per così dire, educata; poi, la
puerizia, sotto gli altri re, da cui fu accresciuta e formata in molte delle discipline e nelle sue
istituzioni; ma poi sotto il regno di Tarquinio il Superbo, quando si stava quasi affacciando all’età
adulta, non sopportò la sottomissione e, respinto il giogo di quell’arrogante tirannide, preferì
ubbidire alle leggi che ai re (legibus quam regibus); terminata la sua adolescenza alla fine del
conflitto punico, finalmente, ormai rafforzata, entrò nella fase della gioventù; ma venuta meno
Cartagine, che tanto a lungo era stata la sua rivale per il dominio, allungò le sue mani su tutto l’orbe
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terracqueo finché, ridotti in suo potere tutti i re e tutti i popoli, quando già veniva meno la materia
stessa della guerra, fece cattivo uso delle proprie forze, con cui logorò se stessa. Questo fu l’inizio
della sua vecchiaia allorché, lacerata dalle guerre civili e oppressa da mali interni, ricadde
nuovamente nel potere di un singolo, come ricaduta in una seconda infanzia. Persa infatti la libertà,
che aveva difeso per iniziativa di Bruto, invecchiò tanto da non essere più in grado di stare in piedi
senza appoggiarsi al bastone dei re.
h. TACITO
1. Tacito, Agricola 30.6
Ladri del mondo, dopo che hanno esaurito la terra per averla saccheggiata tutta, si volgono al mare;
se il nemico è ricco sono avidi; se è povero, ambiziosi. Non li sazia né l’Oriente né l’Occidente; solo
loro desiderano con pari brama ricchezza e povertà. Rapinare, trucidare, rubare, tutte cose che
coprono con un falso nome: Impero. Fanno il deserto, e lo chiamano pace.
2. Tacito, Germania 15.1/16.1/19.2/23.1
Quando non fanno guerra, trascorrono molto tempo a cacciare e ancora più a oziare; i più forti e
bellicosi non fanno nulla, perché la cura della casa, dei penati e dei campi è lasciata alle donne e ai
vecchi e ai meno validi della famiglia. Essi intanto poltriscono: strana contraddizione della natura,
che i medesimi uomini abbiano caro l’ozio e detestino la pace.
[…] È noto che i popoli germanici non abitano alcuna città e non sopportano nemmeno case riunite
tra loro, Vivono in dimore isolate e sparse qua e là, a seconda che ina fonte, una pianura o un bosco
li attiri.
[…] Rarissimi, tra gente così numerosa, gli adulterii, dei quali il castigo è immediato. […] Più sagge
sono ancora quelle tribù dove vanno a nozze soltanto le vergini. […] Esse prendono un solo marito,
così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero e il loro desiderio non vadano
oltre e perché non il marito, ma il matrimonio, sia da loro amato. […] Lì valgono i buoni costumi,
più che altrove le leggi.
[…] Come bevanda usano un liquido ricavato dall’orzo e dal frumento che, fermentato, ha qualche
somiglianza col vino. […] I cibi sono semplici: frutta selvatica, cacciagione fresca e latte rappreso:
scacciano la fame senza apparato d’imbandigioni né raffinatezze culinarie. Contro la sete non vi è
altrettanta temperanza e se asseconderai la loro tendenza all’inebriarsi. […] Essi saranno vinti dai
vizi non meno facilmente che dalle armi.
3. Tacito, Germania 38.1/40.1/46.6
Gli Suebi non sono un unico popolo come i Catti o i Tenteri; occupano infatti la parte maggiore
della Germania, distinti in parecchie tribù (gentes) con nomi diversi […]. Usanza caratteristica di
questo popolo è quella di raccogliere all’indietro i capelli, stringendoli in un nodo. […]
I Longobardi sono nobilitati dal loro numero esiguo. Circondati da molti popoli fortissimi, trovano
sicurezza non nella sottomissione, ma nel combattere e nel rischiare. […]
I Fenni sono straordinariamente selvaggi e di una miseria spaventosa; non posseggono armi, cavalli,
focolari; hanno erba come nutrimento, pelli per vestito e per letto il terreno; unica ricchezza le
frecce che, in mancanza di ferro, rendo aguzze con punte d’osso. […] I bambini non hanno altra
difesa contro le belve e le intemperie che certi ripari di rami intrecciati. […] Ma preferiscono questa
condizione al penare sui campi, alla fatica di costruire le case; allo scambiare i beni propri con gli
altrui, fra speranze e timori; al sicuro contro gli uomini, al sicuro contro gli dèi, hanno ottenuto la
cosa più difficile: non aver nemmeno da dover formulare desideri. Il resto che si racconta ha una
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forte componente favolosa. Si dice infatti che gli Ellusi e gli Ossioni abbiano volto di uomini, corpo
e arti di animali: sono cose non verificate su cui non mi pronuncio.
5. Tacito, Annali 1.1
Le vicende, liete o tristi, del popolo romano antico sono state tramandate alla memoria da chiari
scrittori; e non sono mancati alti ingegni per narrare avvenimenti del tempo di Augusto, finché da
ciò non li distolse il crescere della adulazione. I fatti di Tiberio e di Gaio [Caligola], di Claudio e di
Nerone furono falsati per paura, quando essi erano vivi e forti, dopo la loro scomparsa furono scritti
sotto l’influenza degli odi recenti. Di qui il mio proposito di riferire nei riguardi di Augusto soltanto
poche vicende, le ultime della sua vita; per trattare poi l’impero di Tiberio e di quelli che seguirono,
senza rabbia e senza favoritismo (sine ira et studio), perché i motivi di entrambe le cose sono
lontane da me.
6. Tacito, Annali 3.27
Ormai le disposizioni pubbliche non erano più prese soltanto per i cittadini in generale (in
commune), ma presero di mira singole persone: e quanto più si aggravava la corruzione dello Stato,
tanto più numerose diventavano le leggi.
7. Tacito, Annali 13.16
Si versò allora il veleno, celato nell’acqua fredda, che subito pervase l’intero suo corpo, tanto che
quasi al contempo la facoltà di parola e la vita di Britannico vennero meno. Chi stava intorno si
terrorizza, chi non sapeva nulla scappa via. Ma chi ha capito si ferma, e guarda Nerone. Egli se ne
stava sdraiato facendo finta di nulla, dicendo che era il solito attacco di epilessia da cui Britannico
era afflitto sin da quando era bambino, e che avrebbe presto recuperato la vista e i sensi. Ma in
Agrippina la costernazione e la paura, per quanto li reprimesse in volto, furono manifesti, cosicché
fu chiaro che era all’oscuro di tutto come la sorella di Britannico, Ottavia. Essa vedeva che le veniva
strappato l’ultimo alleato, e vi scorgeva il presagio del matricidio. […] Così, dopo un breve silenzio,
si riprese la letizia del banchetto.
i. SVETONIO E LE BIOGRAFIE IN ETÀ IMPERIALE
1. Svetonio, Il divo Augusto 9.1
Dopo avere esposto sommariamente i fatti della sua vita, ne esporrò i singoli tratti analiticamente,
non in ordine cronologico ma per categorie (per species), in modo che si possano comprendere e
osservare con maggiore chiarezza.
2. Svetonio, Il divo Claudio 10
[Claudio] a quarantanove anni compiuti divenne imperatore per un caso quanto mai straordinario.
Quando era stato fatto allontanare insieme a tutti gli altri dagli attentatori alla vita di Gaio [Caligola],
allorché ordinavano alla folla di far largo, fingendo che Gaio desiderasse rimanere solo, egli
[Claudio] si era ritirato nell’appartamento detto “Ermeo” e non molto tempo dopo, atterrito dalla
notizia dell’assassinio, sgattaiolò su una terrazza vicina e si nascose in mezzo ai tendaggi tesi davanti
alla porta. Per caso un soldato, correndo qua e là, ne vide spuntare i piedi da sotto la tenda e,
desideroso di appurare di chi mai si trattasse, lo riconobbe, lo tirò fuori e lo salutò imperatore,
mentre lui per la paura si gettava ai suoi piedi quando è proclamato imperatore!
3. Svetonio, Il divo Claudio 33
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A mangiare e a bere era sempre prontissimo, in qualunque posto e a qualunque ora: una volta,
mentre teneva un processo nel Foro di Augusto, colpito dal buon profumo del pranzo che stavano
preparando per i Salii nel vicino tempio di Marte, piantò in asso il tribunale e salì dai sacerdoti,
sdraiandosi poi a mangiare con loro. E non era facile che lasciasse il triclinio se non quando era
pieno zeppo di cibo e di vino: e subito si metteva a dormire a pancia in su con la bocca aperta,
cosicché potevano introdurgli in gola una penna per fargli liberare lo stomaco.
4. Svetonio, Vite dei dodici cesari, Nerone 52.2
Portato per la poesia, Nerone compose carmi volentieri e con facilità, e non pubblicò scritti altrui a
suo nome, come alcuni ritengono. Ho potuto infatti consultare le tavolette (pugillares) e i quaderni
con scritti, di mano sua, alcuni suoi notissimi versi, da cui appare evidente che non sono stati
copiati o trascritti sotto dettatura altrui, ma scritti da qualcuno che stava pensando e creando:
contengono infatti molte cancellazioni, aggiunte e glosse.
5. Plutarco, Vita di Alessandro Magno 1.1-3
Nell’accingermi a scrivere in questo libro la vita di Alessandro il Grande e di Cesare, il vincitore di
Pompeo […] null’altro dirò a mo’ di prefazione se non questo: i lettori non mi diano addosso se non
riferisco tutti i fatti né narro in modo esaustivo quelli presi in esame tra i più celebrati, ma per lo più
in forma riassunta. Io non scrivo storia (historía) ma biografia (bíoi); e non è che nei fatti più
celebrati ci sia sempre una manifestazione di virtù o di vizio, mentre spesso un breve episodio, una
parola, un motto di spirito, danno un’idea del carattere (éthos) molto meglio che non battaglie con
migliaia di morti, grandi schieramenti di eserciti, assedi di città. Come dunque i pittori colgono le
somigliane dei soggetti dal volto e dall’espressione degli occhi, nei quali si avverte il carattere, e
pochissimo si curano delle altre parti, cosi mi si conceda di interessarmi di più a quelli che sono i
segni dell’anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri la trattazione
delle grandi contese.
6. Plutarco, Questioni romane 82
I bastoni dei pretori sono portati legati in fasci con attaccate le scuri. Perché?
Forse perché è simbolo che lo sfogo della collera del magistrato non deve essere portata in mano o
lasciato libero da impacci. Oppure lo sciogliere con calma i bastoni, producendo indugio e ritardo
allo sfogo della collera, spesso induce a cambiare idea sulla punizione. E poiché la cattiveria è in
parte sanabile, in parte senza rimedio, i bastoni correggono ciò che può essere modificato, le scuri
troncano ciò che è incorreggibile.
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