CorriereVinicolo INTERIVISTA A IAMES
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E N O L O G I il corriere vinicolo n. 29 O G G I 19 Settembre 2016 7 La Rampata, una delle quattro tenute della Medici Ermete in provincia di Modena. La quinta è in Romagna giorgio medici - Medici ermete Non ci si deve dimenticare della vigna, viticoltura di precisione e ragionata. Quindi, massimo rispetto della materia prima, del territorio e del binomio territorio-vitigni autoctoni. L’enologia? Una scienza interdisciplinare La regola è sempre quella: grandi uve per grandi vini Concerto è un Lambrusco pluripremiato nel mondo, icona dell’azienda reggiana di BRUNO DONATI G aida (Re). La Medici Ermete, nata nel 1890, si articola in quattro tenute per 75 ettari complessivi nella zona di Reggio Emilia: Rampata, Gaida, Quercioli, Favorita. Nei vigneti di proprietà si producono 900 mila bottiglie, mentre la produzione annua complessiva è di 10 milioni di bottiglie, il 70% delle quali destinato all’estero. Ne è presidente l’enologo Giorgio Medici, che nel 2014 ha firmato la partnership con il Gruppo Cevico per essere più forte sul mercato mondiale. Un bilancio di questa operazione: è soddisfatto? È stata una scelta perfetta come dimostra il trend di vendita delle due aziende, altamente positivo. Veniamo al tema dell’intervista. Il ruolo dell’enologo oggi: il suo contributo è solo tecnico? O viene coinvolto anche in una fase di marketing prima e vendita poi? Il curriculum di studio dell’enologo è molto ampio, dovrà scegliere in quale campo andare, continuando con studi mirati per una migliore specializzazione. Voglio dire che quando c’erano le vecchie scuole di viticoltura ed enologia – Giorgio Medici s’è diplomato a Conegliano nel 1958, ndr – l’enologo aveva effettivamente competenze di viticoltura ed enologia.Andava in vigna e in cantina non con uno stage ma perché era previsto nel suo percorso di studi. Quindi, se ad esempio sceglie il marketing, oggi dovrà frequentare ulteriori corsi di specializzazione. Lei è presidente ma lavora ancora come enologo in azienda. Ora collaborano con me altri due tecnici. Ho diversi impegni per potermi dedicare esclusivamente all’enologia. In questi ultimi anni si sta dando molto risalto alla viticoltura, dopo una sbornia di enologia negli anni ’90. Il vino buono si fa nel vigneto, quasi che l’enologo debba toccare il meno possibile il prodotto. Si sta passando all’eccesso opposto? Guardi, il più importante enologo del secolo scorso, il professor Émile Peynaud della scuola di Bordeaux – i cui insegnamenti sono ancora attuali – nei suoi libri, che sono i fondamenti dell’enologia moderna, affermava: “datemi delle grandi uve, vi farò dei grandi vini”. Adesso scopriamo l’acqua calda, ognuno ha competenze specifiche, casomai all’enologo si chiede di scarpinare per le vigne con l’agronomo nei casi particolari dove avesse bisogno di un ulteriore contributo specialistico molto mirato… Come le dicevo, nel suo curriculum scolastico l’enologo ha le competenze per seguire un vigneto. Certo, ci sono enologi che si specializzano in cantina e pochi in vigna, ma l’enologia è una scienza interdisciplinare e a volte servono veramente specialisti di settore a cui rivolgersi per la soluzione dei problemi. Come si adegua l’enologia ai grandi cambiamenti: clima, tendenze di consumi, nuovi prodotti (meno alcol per esempio)? Il vino non deve avere difetti e deve piacere al consumatore, quindi siamo molto attenti ai cambiamenti climatici gestendo i vigneti in modo differente (irrigazione, gestione della chioma, selezione di vitigni con maturazioni precoci...). Per quanto riguarda l’alcol esistono sistemi tecnologici già utilizzati da tempo in altri Paesi. Ultimamente sono allo studio lieviti che hanno una resa minore nella trasformazione dello zucchero in alcol. È interessante sapere che nell’emisfero Nord dati scientifici hanno confermato che, negli ultimi trent’anni, ogni dieci la gradazione zuccherina delle uve è aumentata pari ad un grado di alcol. Sono i risultati di un convegno a Bordeaux. Sperimentazione: quali sono gli indirizzi più importanti? Viti resistenti alle malattie, inquinamento in costante riduzione in entrata e in uscita dalla filiera. Quali cose cambierebbe nelle regole per produrre vino in Italia oggi (dalla cantina al packaging)? Non ci si deve dimenticare della vigna,viticoltura di precisione e ragionata. Quindi, massimo rispetto della materia prima e del territorio, usi e costumi leali. Grande attenzione al binomio territorio–vitigni autoctoni. Per il packaging, per fare un esempio, in Champagne hanno ridotto il peso delle bottiglie: è sostenibilità. di confusione? Ognuno è libero di scegliere il vino fatto come vuole. L’enologia è una scienza interdisciplinare, come ho detto, e se qualcuno vuole tornare indietro è libero di farlo. Stiamo però attenti a non far passare i difetti del vino come terroir. Sarebbe forse importante educare il consumatore a riconoscere questi difetti: poi, quando saprà distinguerli, potrà decidere liberamente. Mi sembrano correnti di pensiero intellettuali che stanno diventando di moda, ma per quanto tempo dureranno? Una battuta: meglio la scuola modenese (Lambrusco monovitigno) o reggiana (blend di vitigni)? I suoi Granconcerto (Salamino) e il rosato Unique (Marani) sono monovitigno e metodo classico. Non si può definire se sia meglio la scuola modenese o la reggiana: nel tempo Modena aveva creato una realtà di monovitigni, mentre a Reggio per ogni campanile c’era una varietà. Per rispettare il territorio le abbiamo inserite nei disciplinari. Per il Granconcerto e l’Unique abbiamo scelto determinati appezzamenti nelle nostre aziende agricole e monovitigni: rispetto alle prove iniziali abbiamo sempre avuto risultati migliori. Parliamo allora di sostenibilità. Che cosa intende con questa parola e che cosa fa in questa direzione? È una strada lunga, sicuramente, ma diminuire l’impatto dell’inquinamento sul pianeta deve essere per ognuno di noi una priorità. Certamente le aziende devono tendere a un’immissione zero di CO2 e su questi punti bisogna fare delle riflessioni sulla logistica perfetta delle nostre aziende agricole. Una tipologia o una Doc delle vostre zone che meriterebbe maggior successo? Oltre alle denominazioni che da anni nella nostra provincia hanno una buona affermazione, c’è ora la riscoperta del Pignoletto, tipico delle colline di Bologna sino a Imola e anche nel versante modenese, prodotto nella versione ferma e in quella spumante e frizzante. Le versioni frizzanti e spumanti potrebbero ora rivelarsi una buona alternativa al Prosecco. Vino naturale, senza solfiti, biologico, biodinamico, vegano: cosa pensa di queste nuove tendenze? Opportunità o c’è rischio Il peggior difetto in un vino tecnicamente perfetto? Non saper evocare un’emozione. Associato all'Unione Stampa Periodica Italiana direttore editoriale ANTONIO RALLO direttore responsabile carlo flamini [email protected] redazione Anna Volonterio [email protected] hanno collaborato: Paolo Ferrante, Bruno Donati, Giulio Somma, Laura Zamprogno, Maurizio Taglioni, Clementina Palese, Allan Bay grafica alessandra bacigalupi, alessandra farina segreteria di redazione Laura Longoni, [email protected] promozione & sviluppo Bruna Zaccagnini, tel. 02 72 22 28 41 [email protected] - [email protected] Grafica pubblicitaria: tel. 02 72 22 28 57 [email protected] Abbonamenti Noemi Riccò, tel. 02 72 22 28 48 [email protected] aderisce al progetto europeo