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104 La responsabilità precontrattuale danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo della procedura e alle spese aggiuntive sofferte. Il risarcimento per equivalente della perdita di chance viene quantificato con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara o concorso». Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2002, n. 2485, in Foro amm. CDS, 2002, 1290 (s.m.). 6. Nozione e contenuto del lucro cessante negativo Si è già visto che, secondo l’impostazione tradizionale, il lucro cessante negativo consiste nelle perdite sofferte dalla parte per non avere usufruito di altre occasioni presentatesi durante il corso delle trattative e cioè per non avere concluso un altro contratto identico o simile a quello per cui furono intavolate le trattative (cfr., per tutte, Cass., S.U., 11 gennaio 1977, n. 93, in Giur. it., 1977, I, 1, 1961). La giurisprudenza successiva ha peraltro esteso il contenuto del lucro cessante in materia di responsabilità precontrattuale, includendo in esso il pregiudizio economico derivante dalla rinunzia a stipulare un contratto di contenuto diverso rispetto a quello per cui sia stata intavolata la trattativa. È noto il caso che si riferisce ad una trattativa intercorsa tra due società per la stipula di un contratto di noleggio di motonave, sfumata a causa dell’offerta di altra società, che si dichiarò disponibile all’acquisto della stessa; la Cassazione ha concluso per la rilevanza della mancata conclusione del contratto di tipo diverso rispetto a quello concluso, atteso che il danno consiste nella rinunzia alla conclusione di altri contratti, indipendentemente dalla loro tipologia; ciò a condizione che venga accertata la sussistenza di un nesso di causalità diretta tra la violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative e la mancata conclusione degli ulteriori affari da parte dell’altro contraente. La massima è la seguente: Giurisprudenza «La responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalla rinuncia a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette Il danno nella responsabilità precontrattuale 105 trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamen11 to nella conclusione positiva di esse» . Cass., sez. III, 12 marzo 1993, n. 2973, in Giust. civ. mass., 1993, 483 (s.m.). Sul piano probatorio con riferimento al lucro cessante negativo, si distinguono due orientamenti giurisprudenziali: da un lato l’affermazione, contenuta nella sentenza appena citata (Cass. 12 marzo 1993, n. 2973), per cui è necessaria la prova effettiva dell’esistenza di un altro contratto che la parte avrebbe potuto stipulare, ma che ha rifiutato confidando nella trattativa non andata a buon fine; in altri casi, si è ritenuta sufficiente una valutazione in termini probabilistici di altre possibilità vantaggiose, non intraprese per avere inutilmente confidato nella trattativa sfumata. La generale possibilità di valutare il lucro cessante in via equitativa è affermata dalla seguente massima, in una fattispecie di recesso avente ad oggetto un contratto di appalto: Giurisprudenza «A norma dell’art. 1671 c.c. il committente che recede dal contratto è tenuto ad indennizzare l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno. Pertanto, nella liquidazione di tale indennizzo, il giudice del merito ha facoltà di applicare il criterio equitativo che, se costituisce il metodo normale per la valutazione del lucro cessante (ex art. 2056 c.c.), può essere utilizzato per qualsiasi danno ed, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali, costi di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano d’opera, ecc., quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la prova precisa dell’entità del pregiudizio sofferto». Cass., sez. II, 14 aprile 1983, n. 2608, in Giust. civ. mass., 1983, f. 4. Un’interessante fattispecie di lucro cessante, attinente ad un caso di recesso dalle trattative relative ad un contratto di locazione, è oggetto della sent. Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632, in Giur. it., 2000, I, 1, 2250, con nota di MUSY. Segnatamente, gli attori lamentavano che i convenuti, rompendo ingiustificatamente le trattative, si erano rifiutati di stipulare un contratto di locazione relativo all’immobile in cui essi esercitavano la loro attività commerciale, dopo avere acquistato l’azienda dalla precedente conduttrice. I giudici di merito avevano accolto la domanda, attribuendo agli attori una som11 Tuttavia, nel senso che il lucro cessante includa solo la mancata conclusione di un contratto a contenuto identico rispetto a quello non concluso, sembra pronunciarsi la successiva Cass. 26 ottobre 1994, n. 8778, in Giust. civ. mass., 1994, 1283. 106 La responsabilità precontrattuale ma a titolo di indennità di occupazione dell’immobile, ed un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno da perdita di avviamento commerciale. Avverso la sentenza di appello, veniva proposto ricorso per Cassazione, in conseguenza del quale la sentenza impugnata era annullata con rinvio, sul presupposto che il risarcimento del danno determinato in relazione alla perdita di avviamento non rientrasse nei limiti dell’interesse negativo. Sul punto, i giudici di legittimità hanno così argomentato: Giurisprudenza «… La norma dell’art. 1337 c.c. non può pertanto essere invocata per il risarcimento dei danni che si sarebbero evitati o dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione ed esecuzione del contratto (Cass. 20 agosto 1980, n. 4942). Orbene il giudice di appello non soltanto ha motivato con astratte enunciazioni la necessità del ricorso alla liquidazione equitativa del danno (art. 1226 c.c.), subordinata, come è noto, all’impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell’esatta quantificazione di un pregiudizio ontologicamente certo nella sua sussistenza, presupposto quest’ultimo di cui non è stata data sufficiente contezza; ma altresì ai ricordati principi non si è attenuto nell’individuazione di una voce di danno, avendo incongruamente rapportato il danno risarcibile per l’accertata culpa in contrahendo del Ferrero al “valore di acquisto della componente avviamento dell’azienda, pari a lire 94.500.000” (inteso come “totalmente svalutato” per una sorta di presunzione, anche se risarcibile nel minor importo chiesto dal Giordano), senza che sia dato comprendere dalla motivazione se e perché tale pregiudizio possa rientrare in una delle tassative tipologie di cui si compone l’interesse negativo e segnatamente se e perché possa considerarsi in un qualsiasi rapporto con altre favorevoli occasioni contrattuali venute meno …». Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632, in Giur. it., 2000, I, 2250. In materia di assicurazione, appare interessante la seguente massima, che in una fattispecie di coassicurazione riconosce il lucro cessante nella sola ipotesi in cui il contraente abbia perduto la possibilità di trattare con un terzo; essa inoltre argomenta a contrario dall’art. 1890 c.c., norma derogatoria rispetto all’art. 1398 c.c. e dunque di stretta applicazione, per delimitare l’ambito dell’interesse negativo: Giurisprudenza Nel contratto di coassicurazione la stipulazione di una clausola guida conferisce ad uno dei coassicuratori solo il potere di rappresentanza nella gestione della polizza, ma non crea alcun vincolo di solidarietà per il pagamento dell’indennizzo all’assicurato. Di conseguenza in mancanza di regolare procura o ratifica il coassicuratore risponde a titolo di responsabilità contrattuale nei limiti della sua quota e per le somme restanti nei soli limiti dell’interesse negativo. Cass., sez. I, 14 giugno 1982, n. 3613, in Giust. civ., 1983, I, 222; Foro it., 1983, I, 136. Il danno nella responsabilità precontrattuale 107 Un’ulteriore ipotesi di determinazione in via equitativa del lucro cessante si rinviene nella seguente massima di merito, in tema di responsabilità da prospetto (cfr. infra, Cap. 6), in cui l’interesse negativo viene identificato, oltre che nel capitale perduto, anche nelle utilità che l’investitore avrebbe tratto da impieghi alternativi del danaro, individuabili anche in via presuntiva: Giurisprudenza «La responsabilità derivante dalla messa in circolazione di prospetti informativi falsi, in occasione del collocamento di obbligazioni di società, è da qualificare come responsabilità precontrattuale; essa grava anche su soggetti diversi dall’emittente o sottoscrittore del prospetto, che in virtù della loro particolare qualifica professionale suscitino negli investitori uno speciale affidamento. Posto che la responsabilità in contrahendo ha natura contrattuale, nella responsabilità da prospetto l’onere della prova è allocato secondo i criteri propri della responsabilità per inadempimento; nell’applicazione di questi criteri deve tenersi conto che gli obblighi di informazione, che gravano su chi sollecita il pubblico risparmio, danno corpo ad obbligazioni di risultato. Incorre in responsabilità da prospetto la banca che, partecipando ad un consorzio di collocamento di titoli obbligazionari e svolgendo tra i propri clienti una campagna promozionale nell’ambito della quale viene raccomandata la sottoscrizione dei titoli stessi, susciti nei sottoscrittori una speciale affidamento circa la veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, che risultino poi inveritiere. Una volta che l’investitore abbia provato la falsità di dati influenti, contenuti in un prospetto informativo, spetta alla banca, che abbia curato il collocamento delle obbligazioni oggetto dell’investimento, di provare che neppure una revisione attenta e professionale dei dati forniti dall’emittente le avrebbe consentito di scoprire le inesattezze lamentate dall’investitore. Nella responsabilità (precontrattuale) da prospetto il danno risarcibile, pur essendo limitato all’interesse negativo, include sia il danno emergente, rappresentato dalla perdita del capitale investito, sia il lucro cessante, rappresentato dalle utilità che l’investitore avrebbe tratto da investimenti alternativi». Trib. Milano, 11 gennaio 1988, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, II, 532; Giur. comm., 1988, II, 585 (nota); Giur. comm., 1988, II, 585 (nota). Dall’esame di questi casi, risulta comunque evidente la difficoltà di pervenire ad una concreta determinazione del lucro cessante, particolarmente nella materia della culpa in contrahendo, attesa la mancanza di un parametro di riferimento certo, qual è il bene leso, e dovendosi fare riferimento ad allegazioni e deduzioni di natura ipotetica. Più semplicemente, in assenza di traccia documentale di un negozio alternativo, soccorre il criterio equitativo, che consente di valutare il lucro cessante negativo, con riferimento ad un negozio giuridico analogo, che la parte avrebbe stipulato, se non si fosse impegnata nella trattativa non andata a termine. 108 La responsabilità precontrattuale 7. La perdita di chance in ambito precontrattuale Una categoria particolare del danno è costituita dalla perdita di chance, che rappresenta un danno autonomo, consistente nella vanificazione della possibilità di conseguire un risultato utile, effettivamente presente nel momento in cui si verifica l’evento lesivo. La perdita di chance non individua, dunque, un danno futuro, ma un’entità economica già presente nel patrimonio del danneggiato, attinente alla perdita della possibilità attuale di conseguire un vantaggio futuro, 12 e dunque qualsiasi situazione cui è collegato un reddito probabile . A livello giurisprudenziale, una definizione esaustiva del danno da perdita di chance in materia di illecito extracontrattuale è contenuta nella seguente massima: Giurisprudenza «In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto priva di motivazione oltre che viziata da extrapetizione la liquidazione del danno relativa alla perdita di chances lavorative subite da una infortunata in un sinistro stradale)». Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, in Giust. civ. mass., 2005, f. 1. Da tale pronuncia si desume che il danno da perdita di chance costituisce non già un lucro cessante futuro, ma un danno emergente da perdita di una possibilità attuale, suscettibile di valutazione economica, che sul piano processuale va allegata e provata dalla parte danneggiata, sia sotto il profilo dell’an e del quantum, ma soprattutto dal punto di vista del nesso eziologico tra il fatto dannoso che si lamenta e il risultato svantaggioso. La connessione, sul piano processuale, tra danno da perdita di chance e principio della domanda, è ben esemplificata nella seguente massima del Consiglio di Stato, in un caso di illegittima esclusione del concorrente da una gara: 12 Cfr. BIGLIAZZI GERI, Istituzioni di diritto civile, vol. III, Obbligazioni e contratti, Utet, Torino, 1989, 715 ss. 109 Il danno nella responsabilità precontrattuale Giurisprudenza «In presenza di una domanda di parte concernente il (solo) danno da mancata aggiudicazione, non è dato al giudice operare una “modificazione” (quasi a realizzare una mutatio, o, quanto meno, una emendatio libelli d’ufficio) dell’originaria pretesa, ammettendo a delibazione (e, nel caso di dimostrata fondatezza della domanda, a risarcimento) l’inammissibile tipologia di illecito riveniente dalla perdita di chance. Infatti, la pretesa dedotta, presupponendo la certezza dell’esito favorevole della procedura, non è in alcun modo assimilabile alla diversa domanda con la quale, in relazione alla mera probabilità di esito favorevole della selezione, venga invocato il risarcimento del pregiudizio da perdita di chance. Le medesime considerazioni precludono la delibabilità della proposta pretesa risarcitoria sotto profilo – pur astrattamente ipotizzabile – del risarcimento per culpa in contrahendo (c.d. responsabilità precontrattuale), costituito dalle spese inutilmente effettuate in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni contrattuali, ugualmente o maggiormente vantaggiose». T.A.R. Toscana, 13 aprile 2000, n. 660, in TAR Toscana, 2000. Inoltre, nella seguente massima del Consiglio di Stato, sempre in materia di illegittima esclusione da una gara, viene individuato un criterio equitativo di valutazione della possibilità attuale di conseguire un vantaggio futuro, che viene commisurata al numero dei partecipanti alla gara: Giurisprudenza «Il risarcimento in forma specifica della chance consiste nella riammissione in gara del concorrente escluso, ovvero nella ripetizione della procedura; nel caso di illegittimo affidamento di appalto mediante trattativa privata, il risarcimento in forma specifica consiste nella indizione di pubblica gara per l’appalto in questione; in tal modo, la chance di successo viene tutelata in forma reale, sicché risultano esclusi danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo della procedura e alle spese aggiuntive sofferte. Il risarcimento per equivalente della perdita di chance viene quantificato con la tecnica della determinazione dell’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara o concorso». Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2002, n. 2485, in Foro amm. CDS, 2002, 1290 (s.m.). Per quanto, dunque, la perdita di chance costituisca un danno attuale, la sua quantificazione generalmente avviene sulla base di un giudizio probabilistico di tipo equitativo, consentito dall’art. 2056 c.c. Ora, attesa la già rilevata non estensibilità del criterio di prevedibilità del danno – previsto in materia contrattuale dall’art. 1225 c.c. – nel campo dell’illecito aquiliano, in cui si colloca la culpa in contrahendo, la perdita di chance in materia precontrattuale è risarci- 110 La responsabilità precontrattuale bile anche se riferita ad utilità che non siano direttamente prevedibili al momento dell’inizio della trattativa. Naturalmente, la giurisprudenza delimita le utilità alternative risarcibili attraverso l’applicazione del principio di normalità causale, come esplicitato nella seguente massima: Giurisprudenza «La cosiddetta perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro. Come tale, essa è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza d’un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno». Cass., sez. III, 25 settembre 1998, n. 9598, in Giust. civ. mass., 1998, 1944. Naturalmente, l’adozione di un criterio equitativo secondo un principio di regolarità causale significa che la determinazione del danno da perdita di chance si fonda sulla realtà concreta del singolo negozio e non può estendersi ad un impiego negoziale alternativo del tutto dissimile da quello non concluso, anche se individuato in via presuntiva, in assenza di riscontro documentale, ma sempre sulla base di una domanda e allegazione provenienti dalla parte interessata. L’applicazione del principio di causalità, così interpretato, consente di contemperare l’esigenza di sanzionare comportamenti scorretti nella fase delle trattative, reintegrando la controparte nelle aspettative lese, con l’altra esigenza, di carattere inverso, di evitare indebiti arricchimenti. Tale equilibrio viene correttamente raggiunto nella più volte citata sentenza della Cass. n. 2973/1993, che afferma la risarcibilità di tutti i danni economici derivanti dall’ingiustificata rinunzia a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, se la sua mancata conclusione sia conseguenza immediata e diretta del comportamento scorretto della controparte. Un caso di perdita di chance precontrattuale è stato affrontato dalla giurisprudenza lavoristica, che, in un caso di mancata assunzione del lavoratore avviato dall’ufficio di collocamento a seguito di richiesta numerica, ha ritenuto risarcibili in base a criterio equitativo i danni consistiti nella perdita della possibilità di concludere il contratto di lavoro, a seguito di eventuale positivo espletamento delle prove di guida e accertamenti preliminari; la Cassazione ha annoverato questa fattispecie nell’ambito della lesione del principio di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., come viene statuito nella seguente massima: Il danno nella responsabilità precontrattuale 111 Giurisprudenza «I lavoratori avviati al lavoro dall’ufficio di collocamento a seguito di richiesta numerica, ove superino le prove e gli esami che il potenziale datore di lavoro sia legittimato a disporre (nella specie, ex art. 15, comma 5, legge n. 264/1949, trattandosi di assunzione alle dipendenze di azienda esercente il pubblico servizio di trasporti in concessione), acquistano un diritto soggettivo all’assunzione e, pertanto, qualora questa venga rifiutata senza che agli interessati sia stato consentito di sottoporsi a tali accertamenti, il datore di lavoro (autore della richiesta) incorre in responsabilità per culpa in contrahendo, poiché il frapposto impedimento al regolare compimento della procedura di assunzione costituisce violazione dell’obbligo ex art. 1337 c.c. di comportamento secondo buona fede nello svolgimento dell’attività prodromica alla conclusione del contratto e genera un danno risarcibile consistente nella compromissione della possibilità di conseguire un risultato favorevole a seguito di dette prove od esami ovvero nella perdita della possibilità di concludere con terzi il contratto arbitrariamente rifiutato senza il preventivo espletamento delle prove stesse: danno che nell’eventualità di una difficile dimostrazione resta affidato all’apprezzamento con criteri equitativi ex art. 1226 c.c.». Cass., sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906, in Giust. civ. mass., 1983, f. 10. Il medesimo criterio equitativo viene più di recente applicato dalla Cassazione per la determinazione del danno da perdita di chance, in un caso di inosservanza del principio di buona fede nelle procedure concorsuali di promozione (cfr. per esteso in rassegna): Giurisprudenza «Ove il lavoratore agisca per il risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di osservare, nell’espletamento di procedure concorsuali di promozione, criteri di correttezza e buona fede, e costituito dalla privazione della possibilità di vincere il concorso, la dedotta perdita di una chance configura un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; alla mancanza di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile, ed è diretta a sopperire all’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno». Cass., sez. lav., 24 gennaio 1992, n. 781, in Giust. civ. mass., 1992, f. 1. L’utilizzo del criterio equitativo nelle fattispecie testé prospettate sopperisce alle difficoltà su piano probatorio di dimostrare l’an e il quantum del danno da perdita di chance. 112 La responsabilità precontrattuale 8. Il risarcimento del danno negativo nelle ipotesi di conclusione del contratto a condizioni diverse L’art. 1338 c.c. – come si è visto in precedenza – disciplina la responsabilità precontrattuale per l’ipotesi in cui sia stato concluso un contratto invalido (o inefficace). Non viene tuttavia disciplinato – salva la previsione di cui all’art. 1440 c.c. in tema di dolo incidente – il problema dell’eventuale configurazione della responsabilità precontrattuale nella diversa ipotesi in cui sia stato validamente concluso il contratto, ma a condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite qualora, nel periodo antecedente alla sua conclusione, fosse stato tenuto un comportamento conforme a buona fede; qualora cioè fosse stato rispettato l’obbligo di informazione – non già delle cause d’invalidità del contratto, nel caso di specie insussistenti, ma – delle circostanze e degli elementi che abbiano inciso sulla rappresentazione del contenuto del contratto. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che la conclusione del contratto escluda, di per se stessa, la possibilità di una responsabilità precontrattuale, essendo essa limitata all’ipotesi di mancata conclusione del contratto per causa imputabile ad una delle parti, ovvero alla stipulazione di un contratto invalido. Tale posizione è stata ribadita dalla seguente massima, che ha escluso la configurabilità della responsabilità precontrattuale nell’ipotesi in cui il contratto sia stato validamente concluso, pur se l’iter formativo sia stato inficiato dalla violazione del principio di buona fede: Giurisprudenza «La stipulazione del contratto preclude la configurabilità di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., non rilevando ai fini dell’applicazione della predetta norma il danno concretantesi nella conclusione di un negozio a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se una delle parti avesse tenuto un comportamento conforme a buona fede». Cass., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3621, in Resp. civ. e prev., 1994, 1085, con nota di AMATO; Giur. it., 1995, I,1, 880. La dottrina, per contro, ha contestato siffatta conclusione, affermando che l’ampia formulazione di cui all’art. 1337 c.c. consente di allargare l’ambito della responsabilità precontrattuale ai casi in cui la violazione del principio di buona fede non abbia inciso sulla validità Il danno nella responsabilità precontrattuale 113 13 o sull’efficacia del contratto . La ratio della norma è infatti quella di estendere la responsabilità precontrattuale ad ogni ipotesi di trasgressione della regola che impone di tenere un comportamento leale nel corso delle trattative. Il problema si pone soprattutto nell’ipotesi di errore incidente, atteso che appare teorica la fattispecie di violenza incidente – normalmente, tale grave vizio del consenso determina sempre l’invalidità del contratto – e che, quanto al dolo incidente, l’art. 1440 c.c., in applicazione dell’art. 1337 c.c., prevede espressamente il risarcimento del danno in caso di dolo incidente. Si ritiene che rientri nell’ambito dell’art. 1337 c.c. non già l’errore motivo, che è errore vizio cui si applica l’art. 1338 c.c., ma l’errore sul motivo (ossia l’ipotesi di responsabilità della parte che, a conoscenza dell’erroneità del motivo che abbia spinto la controparte a concludere il contratto, non l’abbia avvertita di detto errore) e più in generale l’errore sulle circostanze di 14 rilievo relative all’affare . Va peraltro determinata l’estensione dell’obbligo d’informazione, che è variabile in relazione alle circostanze del caso concreto, e va individuato in relazione al soddisfacimento degli interessi che siano alla base del regolamento contrattuale in itinere, se la controparte non sia in grado di conoscerle usando la normale diligenza. In tali casi, e segnatamente nel caso di dolo incidente, la migliore dottrina ha affermato che il danno risarcibile dovrà essere rapportato alle migliori condizioni che la parte avrebbe realizzato senza l’inter15 vento doloso . In altri termini, essendoci un contratto valido, il danno non andrà commisurato all’interesse negativo, ma secondo le regole generali in tema di inadempimento contrattuale, atteso che la parte non lamenta l’invalidità del contratto, ma la mancata realizzazione del miglior risultato economico che avrebbe potuto ottenere, se l’altra parte si fosse comportata secondo buona fede durante le trattative. La suddetta impostazione cozza tuttavia con l’asserita riconducibilità del dolo incidente, concretante una lesione della libertà negoziale, nell’alveo della responsabilità precontrattuale, che si attesta nei limiti dell’interesse negativo. 13 Cfr. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1963, 13 e DI MAJO, Istituzioni di diritto privato, a cura di BESSONE, 1994, 525. 14 Cfr. Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di CENDON, La responsabilità civile, vol. II, Utet, Torino, 2000, 181. 15 Cfr. BIANCA, op. cit., 178 e 628. 114 La responsabilità precontrattuale Vi è chi, in aderenza alla valutazione concreta delle fattispecie, ritiene inadeguata la logica astratta e preconcetta secondo cui non sarebbe ipotizzabile nel dolo incidente un risarcimento, commisurato all’interesse positivo, maggiore rispetto a quello riveniente dal dolo determinante, in cui, ai sensi dell’art. 1338 c.c., il risarcimento del 16 danno si configura nell’ambito dell’interesse negativo . In realtà, con il dolo incidente non può concretamente parlarsi di interesse negativo, inteso quale interesse che la parte aveva a non stipulare il contratto, in quanto per la parte sussiste l’interesse a mantenere valido il contratto, che non è stato posto nel nulla dall’altrui azione dolosa. Il contratto, infatti, a differenza che nel dolo determinante, mantiene la sua validità ed efficacia, essendo unicamente previsto il rimedio risarcitorio. L’anzidetto rimedio è sicuramente meno grave rispetto a quello dell’annullamento del contratto, previsto nella diversa ipotesi del dolo determinante. A siffatta conclusione è pervenuta, in aderenza alla logica del caso concreto, la stessa giurisprudenza di merito, come si evince dalla seguente massima: Giurisprudenza «Il danno risarcibile nell’ipotesi di dolo incidente, prevista dall’art. 1440 c.c., non si esaurisce nella mera considerazione del c.d. interesse negativo, bensì deve estendersi ad ogni conseguenza pregiudizievole – danno emergente e lucro cessante – nei limiti in cui sia ravvisabile un rapporto di diretta consequenzialità tra la condotta del deceptor e gli effetti pregiudizievoli». App. Venezia, 31 maggio 2001, in Corr. giur., 2001, 1199, osservazione di DALLA MASSARA. Si ritorna dunque all’affermazione per cui l’interesse negativo non rappresenta un elemento che da solo identifichi la responsabilità precontrattuale, costituendo invece una figura generale nell’ambito della responsabilità civile. Cosicché vi sono fattispecie relative alla formazione del contratto, quale è quella di cui all’art. 1440 c.c., in 17 cui emerge l’interesse positivo . Conseguentemente, all’infuori dell’ipotesi della responsabilità per recesso dalle trattative o della conclusione di un contratto invalido, la violazione della regola della 16 Cfr. SAGNA, op. cit., 271. In ordine alla negazione della necessaria coincidenza tra lesione dell’interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cfr. GRISI, L’obbligo precontrattuale d’informazione, Jovene, Napoli, 1990. 17 Il danno nella responsabilità precontrattuale 115 buona fede comporterà una normale azione risarcitoria, svincolata 18 dal riferimento ad un interesse contrattuale positivo o negativo . Peraltro, la giurisprudenza ha negato che la violazione del dovere di buona fede nella fase delle trattative possa assumere rilevanza, nel caso in cui il contratto sia stato validamente concluso, se sia stata proposta l’azione di risoluzione del contratto, atteso che l’ordinamento appresta specifici strumenti di tutela per la violazione del dovere di buona fede, sia in caso di mancata conclusione del contratto (art. 1337 c.c.), sia nell’ipotesi in cui il contratto si sia invalidamente 19 perfezionato (artt. 1338 e 1427 c.c.) . Nell’ipotesi in cui operi la garanzia per evizione, la giurisprudenza ha stabilito che va risarcito il danno integrale, costituito non solo dall’interesse negativo (spese della vendita e frutti), ma anche, in caso di dolo o colpa del vendito20 re, dall’interesse positivo comprensivo del lucro cessante . 18 Cfr. RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, Giuffrè, Milano, 1974, 217. 19 20 5. Cfr. Cass. 19 novembre 1984, n. 9802, in Giust. civ. mass., 1994. Cfr. Cass. 10 marzo 1979, n. 1511, in Giust. civ. mass., 1979, f. 3.