Stralcio volume

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Stralcio volume
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La responsabilità precontrattuale
danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo della procedura e alle spese aggiuntive sofferte. Il risarcimento per equivalente della
perdita di chance viene quantificato con la tecnica della determinazione dell’utile
conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei
partecipanti alla gara o concorso».
Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2002, n. 2485, in Foro amm. CDS, 2002, 1290 (s.m.).
6. Nozione e contenuto del lucro cessante negativo
Si è già visto che, secondo l’impostazione tradizionale, il lucro
cessante negativo consiste nelle perdite sofferte dalla parte per non
avere usufruito di altre occasioni presentatesi durante il corso delle
trattative e cioè per non avere concluso un altro contratto identico o
simile a quello per cui furono intavolate le trattative (cfr., per tutte,
Cass., S.U., 11 gennaio 1977, n. 93, in Giur. it., 1977, I, 1, 1961).
La giurisprudenza successiva ha peraltro esteso il contenuto del
lucro cessante in materia di responsabilità precontrattuale, includendo in esso il pregiudizio economico derivante dalla rinunzia a stipulare un contratto di contenuto diverso rispetto a quello per cui sia
stata intavolata la trattativa. È noto il caso che si riferisce ad una trattativa intercorsa tra due società per la stipula di un contratto di noleggio di motonave, sfumata a causa dell’offerta di altra società, che
si dichiarò disponibile all’acquisto della stessa; la Cassazione ha concluso per la rilevanza della mancata conclusione del contratto di tipo
diverso rispetto a quello concluso, atteso che il danno consiste nella
rinunzia alla conclusione di altri contratti, indipendentemente dalla
loro tipologia; ciò a condizione che venga accertata la sussistenza di
un nesso di causalità diretta tra la violazione dell’obbligo di buona
fede nelle trattative e la mancata conclusione degli ulteriori affari da
parte dell’altro contraente. La massima è la seguente:
Giurisprudenza
«La responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c., coprendo nei limiti
del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della
violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria
del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al
danno per il pregiudizio economico derivante dalla rinuncia a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le
trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette
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trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamen11
to nella conclusione positiva di esse» .
Cass., sez. III, 12 marzo 1993, n. 2973, in Giust. civ. mass., 1993, 483 (s.m.).
Sul piano probatorio con riferimento al lucro cessante negativo, si
distinguono due orientamenti giurisprudenziali: da un lato l’affermazione, contenuta nella sentenza appena citata (Cass. 12 marzo 1993,
n. 2973), per cui è necessaria la prova effettiva dell’esistenza di un
altro contratto che la parte avrebbe potuto stipulare, ma che ha rifiutato confidando nella trattativa non andata a buon fine; in altri casi,
si è ritenuta sufficiente una valutazione in termini probabilistici di altre possibilità vantaggiose, non intraprese per avere inutilmente confidato nella trattativa sfumata. La generale possibilità di valutare il lucro cessante in via equitativa è affermata dalla seguente massima, in
una fattispecie di recesso avente ad oggetto un contratto di appalto:
Giurisprudenza
«A norma dell’art. 1671 c.c. il committente che recede dal contratto è tenuto ad
indennizzare l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato
guadagno. Pertanto, nella liquidazione di tale indennizzo, il giudice del merito ha
facoltà di applicare il criterio equitativo che, se costituisce il metodo normale per la
valutazione del lucro cessante (ex art. 2056 c.c.), può essere utilizzato per qualsiasi danno ed, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali,
costi di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano d’opera, ecc.,
quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la prova precisa dell’entità del pregiudizio sofferto».
Cass., sez. II, 14 aprile 1983, n. 2608, in Giust. civ. mass., 1983, f. 4.
Un’interessante fattispecie di lucro cessante, attinente ad un caso
di recesso dalle trattative relative ad un contratto di locazione, è oggetto della sent. Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632, in Giur. it.,
2000, I, 1, 2250, con nota di MUSY. Segnatamente, gli attori lamentavano che i convenuti, rompendo ingiustificatamente le trattative, si
erano rifiutati di stipulare un contratto di locazione relativo all’immobile in cui essi esercitavano la loro attività commerciale, dopo avere acquistato l’azienda dalla precedente conduttrice. I giudici di
merito avevano accolto la domanda, attribuendo agli attori una som11
Tuttavia, nel senso che il lucro cessante includa solo la mancata conclusione di un contratto a contenuto identico rispetto a quello non concluso, sembra pronunciarsi la successiva Cass. 26 ottobre 1994, n. 8778, in Giust. civ.
mass., 1994, 1283.
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ma a titolo di indennità di occupazione dell’immobile, ed un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno da perdita di avviamento commerciale. Avverso la sentenza di appello, veniva proposto ricorso per Cassazione, in conseguenza del quale la sentenza impugnata era annullata con rinvio, sul presupposto che il risarcimento del
danno determinato in relazione alla perdita di avviamento non rientrasse nei limiti dell’interesse negativo. Sul punto, i giudici di legittimità hanno così argomentato:
Giurisprudenza
«… La norma dell’art. 1337 c.c. non può pertanto essere invocata per il risarcimento dei danni che si sarebbero evitati o dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con
la stipulazione ed esecuzione del contratto (Cass. 20 agosto 1980, n. 4942). Orbene il giudice di appello non soltanto ha motivato con astratte enunciazioni la necessità del ricorso alla liquidazione equitativa del danno (art. 1226 c.c.), subordinata, come è noto, all’impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell’esatta
quantificazione di un pregiudizio ontologicamente certo nella sua sussistenza, presupposto quest’ultimo di cui non è stata data sufficiente contezza; ma altresì ai
ricordati principi non si è attenuto nell’individuazione di una voce di danno, avendo
incongruamente rapportato il danno risarcibile per l’accertata culpa in contrahendo
del Ferrero al “valore di acquisto della componente avviamento dell’azienda, pari a
lire 94.500.000” (inteso come “totalmente svalutato” per una sorta di presunzione,
anche se risarcibile nel minor importo chiesto dal Giordano), senza che sia dato
comprendere dalla motivazione se e perché tale pregiudizio possa rientrare in una
delle tassative tipologie di cui si compone l’interesse negativo e segnatamente se
e perché possa considerarsi in un qualsiasi rapporto con altre favorevoli occasioni
contrattuali venute meno …».
Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632, in Giur. it., 2000, I, 2250.
In materia di assicurazione, appare interessante la seguente massima, che in una fattispecie di coassicurazione riconosce il lucro cessante nella sola ipotesi in cui il contraente abbia perduto la possibilità di trattare con un terzo; essa inoltre argomenta a contrario dall’art.
1890 c.c., norma derogatoria rispetto all’art. 1398 c.c. e dunque di
stretta applicazione, per delimitare l’ambito dell’interesse negativo:
Giurisprudenza
Nel contratto di coassicurazione la stipulazione di una clausola guida conferisce ad
uno dei coassicuratori solo il potere di rappresentanza nella gestione della polizza,
ma non crea alcun vincolo di solidarietà per il pagamento dell’indennizzo
all’assicurato. Di conseguenza in mancanza di regolare procura o ratifica il coassicuratore risponde a titolo di responsabilità contrattuale nei limiti della sua quota e
per le somme restanti nei soli limiti dell’interesse negativo.
Cass., sez. I, 14 giugno 1982, n. 3613, in Giust. civ., 1983, I, 222; Foro it., 1983, I, 136.
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Un’ulteriore ipotesi di determinazione in via equitativa del lucro
cessante si rinviene nella seguente massima di merito, in tema di responsabilità da prospetto (cfr. infra, Cap. 6), in cui l’interesse negativo viene identificato, oltre che nel capitale perduto, anche nelle utilità che l’investitore avrebbe tratto da impieghi alternativi del danaro,
individuabili anche in via presuntiva:
Giurisprudenza
«La responsabilità derivante dalla messa in circolazione di prospetti informativi falsi, in occasione del collocamento di obbligazioni di società, è da qualificare come
responsabilità precontrattuale; essa grava anche su soggetti diversi dall’emittente
o sottoscrittore del prospetto, che in virtù della loro particolare qualifica professionale suscitino negli investitori uno speciale affidamento. Posto che la responsabilità
in contrahendo ha natura contrattuale, nella responsabilità da prospetto l’onere della
prova è allocato secondo i criteri propri della responsabilità per inadempimento;
nell’applicazione di questi criteri deve tenersi conto che gli obblighi di informazione, che gravano su chi sollecita il pubblico risparmio, danno corpo ad obbligazioni
di risultato. Incorre in responsabilità da prospetto la banca che, partecipando ad un
consorzio di collocamento di titoli obbligazionari e svolgendo tra i propri clienti una
campagna promozionale nell’ambito della quale viene raccomandata la sottoscrizione dei titoli stessi, susciti nei sottoscrittori una speciale affidamento circa la veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, che risultino poi inveritiere. Una
volta che l’investitore abbia provato la falsità di dati influenti, contenuti in un prospetto informativo, spetta alla banca, che abbia curato il collocamento delle obbligazioni oggetto dell’investimento, di provare che neppure una revisione attenta e
professionale dei dati forniti dall’emittente le avrebbe consentito di scoprire le inesattezze lamentate dall’investitore. Nella responsabilità (precontrattuale) da prospetto il danno risarcibile, pur essendo limitato all’interesse negativo, include sia il
danno emergente, rappresentato dalla perdita del capitale investito, sia il lucro
cessante, rappresentato dalle utilità che l’investitore avrebbe tratto da investimenti
alternativi».
Trib. Milano, 11 gennaio 1988, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, II, 532; Giur. comm., 1988, II, 585
(nota); Giur. comm., 1988, II, 585 (nota).
Dall’esame di questi casi, risulta comunque evidente la difficoltà
di pervenire ad una concreta determinazione del lucro cessante, particolarmente nella materia della culpa in contrahendo, attesa la mancanza di un parametro di riferimento certo, qual è il bene leso, e dovendosi fare riferimento ad allegazioni e deduzioni di natura ipotetica. Più semplicemente, in assenza di traccia documentale di un negozio alternativo, soccorre il criterio equitativo, che consente di valutare il lucro cessante negativo, con riferimento ad un negozio giuridico analogo, che la parte avrebbe stipulato, se non si fosse impegnata nella trattativa non andata a termine.
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La responsabilità precontrattuale
7. La perdita di chance in ambito precontrattuale
Una categoria particolare del danno è costituita dalla perdita di
chance, che rappresenta un danno autonomo, consistente nella vanificazione della possibilità di conseguire un risultato utile, effettivamente presente nel momento in cui si verifica l’evento lesivo. La perdita di chance non individua, dunque, un danno futuro, ma un’entità
economica già presente nel patrimonio del danneggiato, attinente alla perdita della possibilità attuale di conseguire un vantaggio futuro,
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e dunque qualsiasi situazione cui è collegato un reddito probabile .
A livello giurisprudenziale, una definizione esaustiva del danno
da perdita di chance in materia di illecito extracontrattuale è contenuta nella seguente massima:
Giurisprudenza
«In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso
delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance – che, come
concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è
una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed
economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se
solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito
dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto priva di motivazione oltre che viziata da extrapetizione la liquidazione del danno relativa alla perdita
di chances lavorative subite da una infortunata in un sinistro stradale)».
Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, in Giust. civ. mass., 2005, f. 1.
Da tale pronuncia si desume che il danno da perdita di chance costituisce non già un lucro cessante futuro, ma un danno emergente
da perdita di una possibilità attuale, suscettibile di valutazione economica, che sul piano processuale va allegata e provata dalla parte
danneggiata, sia sotto il profilo dell’an e del quantum, ma soprattutto
dal punto di vista del nesso eziologico tra il fatto dannoso che si lamenta e il risultato svantaggioso. La connessione, sul piano processuale, tra danno da perdita di chance e principio della domanda, è
ben esemplificata nella seguente massima del Consiglio di Stato, in
un caso di illegittima esclusione del concorrente da una gara:
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Cfr. BIGLIAZZI GERI, Istituzioni di diritto civile, vol. III, Obbligazioni e
contratti, Utet, Torino, 1989, 715 ss.
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Il danno nella responsabilità precontrattuale
Giurisprudenza
«In presenza di una domanda di parte concernente il (solo) danno da mancata aggiudicazione, non è dato al giudice operare una “modificazione” (quasi a realizzare
una mutatio, o, quanto meno, una emendatio libelli d’ufficio) dell’originaria pretesa,
ammettendo a delibazione (e, nel caso di dimostrata fondatezza della domanda, a
risarcimento) l’inammissibile tipologia di illecito riveniente dalla perdita di chance.
Infatti, la pretesa dedotta, presupponendo la certezza dell’esito favorevole della
procedura, non è in alcun modo assimilabile alla diversa domanda con la quale, in
relazione alla mera probabilità di esito favorevole della selezione, venga invocato il
risarcimento del pregiudizio da perdita di chance. Le medesime considerazioni
precludono la delibabilità della proposta pretesa risarcitoria sotto profilo – pur
astrattamente ipotizzabile – del risarcimento per culpa in contrahendo (c.d. responsabilità precontrattuale), costituito dalle spese inutilmente effettuate in vista
della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni contrattuali,
ugualmente o maggiormente vantaggiose».
T.A.R. Toscana, 13 aprile 2000, n. 660, in TAR Toscana, 2000.
Inoltre, nella seguente massima del Consiglio di Stato, sempre in
materia di illegittima esclusione da una gara, viene individuato un
criterio equitativo di valutazione della possibilità attuale di conseguire un vantaggio futuro, che viene commisurata al numero dei partecipanti alla gara:
Giurisprudenza
«Il risarcimento in forma specifica della chance consiste nella riammissione in gara
del concorrente escluso, ovvero nella ripetizione della procedura; nel caso di illegittimo affidamento di appalto mediante trattativa privata, il risarcimento in forma
specifica consiste nella indizione di pubblica gara per l’appalto in questione; in tal
modo, la chance di successo viene tutelata in forma reale, sicché risultano esclusi
danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo della procedura e alle spese aggiuntive sofferte. Il risarcimento per equivalente della
perdita di chance viene quantificato con la tecnica della determinazione dell’utile
conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei
partecipanti alla gara o concorso».
Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2002, n. 2485, in Foro amm. CDS, 2002, 1290 (s.m.).
Per quanto, dunque, la perdita di chance costituisca un danno attuale, la sua quantificazione generalmente avviene sulla base di un
giudizio probabilistico di tipo equitativo, consentito dall’art. 2056
c.c. Ora, attesa la già rilevata non estensibilità del criterio di prevedibilità del danno – previsto in materia contrattuale dall’art. 1225
c.c. – nel campo dell’illecito aquiliano, in cui si colloca la culpa in
contrahendo, la perdita di chance in materia precontrattuale è risarci-
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La responsabilità precontrattuale
bile anche se riferita ad utilità che non siano direttamente prevedibili
al momento dell’inizio della trattativa. Naturalmente, la giurisprudenza delimita le utilità alternative risarcibili attraverso l’applicazione del principio di normalità causale, come esplicitato nella seguente
massima:
Giurisprudenza
«La cosiddetta perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro. Come tale, essa è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche
in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza d’un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno».
Cass., sez. III, 25 settembre 1998, n. 9598, in Giust. civ. mass., 1998, 1944.
Naturalmente, l’adozione di un criterio equitativo secondo un principio di regolarità causale significa che la determinazione del danno
da perdita di chance si fonda sulla realtà concreta del singolo negozio
e non può estendersi ad un impiego negoziale alternativo del tutto
dissimile da quello non concluso, anche se individuato in via presuntiva, in assenza di riscontro documentale, ma sempre sulla base di una
domanda e allegazione provenienti dalla parte interessata. L’applicazione del principio di causalità, così interpretato, consente di contemperare l’esigenza di sanzionare comportamenti scorretti nella fase
delle trattative, reintegrando la controparte nelle aspettative lese, con
l’altra esigenza, di carattere inverso, di evitare indebiti arricchimenti.
Tale equilibrio viene correttamente raggiunto nella più volte citata
sentenza della Cass. n. 2973/1993, che afferma la risarcibilità di tutti
i danni economici derivanti dall’ingiustificata rinunzia a stipulare un
contratto, ancorché avente contenuto diverso, se la sua mancata conclusione sia conseguenza immediata e diretta del comportamento
scorretto della controparte.
Un caso di perdita di chance precontrattuale è stato affrontato
dalla giurisprudenza lavoristica, che, in un caso di mancata assunzione del lavoratore avviato dall’ufficio di collocamento a seguito di richiesta numerica, ha ritenuto risarcibili in base a criterio equitativo i
danni consistiti nella perdita della possibilità di concludere il contratto di lavoro, a seguito di eventuale positivo espletamento delle
prove di guida e accertamenti preliminari; la Cassazione ha annoverato questa fattispecie nell’ambito della lesione del principio di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., come viene statuito nella seguente
massima:
Il danno nella responsabilità precontrattuale
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Giurisprudenza
«I lavoratori avviati al lavoro dall’ufficio di collocamento a seguito di richiesta numerica, ove superino le prove e gli esami che il potenziale datore di lavoro sia legittimato a disporre (nella specie, ex art. 15, comma 5, legge n. 264/1949, trattandosi di assunzione alle dipendenze di azienda esercente il pubblico servizio di trasporti in concessione), acquistano un diritto soggettivo all’assunzione e, pertanto,
qualora questa venga rifiutata senza che agli interessati sia stato consentito di sottoporsi a tali accertamenti, il datore di lavoro (autore della richiesta) incorre in responsabilità per culpa in contrahendo, poiché il frapposto impedimento al regolare
compimento della procedura di assunzione costituisce violazione dell’obbligo ex
art. 1337 c.c. di comportamento secondo buona fede nello svolgimento dell’attività
prodromica alla conclusione del contratto e genera un danno risarcibile consistente
nella compromissione della possibilità di conseguire un risultato favorevole a seguito di dette prove od esami ovvero nella perdita della possibilità di concludere
con terzi il contratto arbitrariamente rifiutato senza il preventivo espletamento delle
prove stesse: danno che nell’eventualità di una difficile dimostrazione resta affidato
all’apprezzamento con criteri equitativi ex art. 1226 c.c.».
Cass., sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906, in Giust. civ. mass., 1983, f. 10.
Il medesimo criterio equitativo viene più di recente applicato dalla Cassazione per la determinazione del danno da perdita di chance,
in un caso di inosservanza del principio di buona fede nelle procedure concorsuali di promozione (cfr. per esteso in rassegna):
Giurisprudenza
«Ove il lavoratore agisca per il risarcimento del danno derivante dalla violazione,
da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di osservare, nell’espletamento di procedure concorsuali di promozione, criteri di correttezza e buona fede, e costituito dalla privazione della possibilità di vincere il concorso, la dedotta perdita di una
chance configura un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; alla mancanza
di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi
dell’art. 1226 c.c., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile, ed è diretta a sopperire all’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno».
Cass., sez. lav., 24 gennaio 1992, n. 781, in Giust. civ. mass., 1992, f. 1.
L’utilizzo del criterio equitativo nelle fattispecie testé prospettate
sopperisce alle difficoltà su piano probatorio di dimostrare l’an e il
quantum del danno da perdita di chance.
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La responsabilità precontrattuale
8. Il risarcimento del danno negativo nelle ipotesi di conclusione
del contratto a condizioni diverse
L’art. 1338 c.c. – come si è visto in precedenza – disciplina la responsabilità precontrattuale per l’ipotesi in cui sia stato concluso un
contratto invalido (o inefficace).
Non viene tuttavia disciplinato – salva la previsione di cui all’art. 1440 c.c. in tema di dolo incidente – il problema dell’eventuale configurazione della responsabilità precontrattuale nella diversa ipotesi in cui sia stato validamente concluso il contratto, ma a
condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite qualora,
nel periodo antecedente alla sua conclusione, fosse stato tenuto un
comportamento conforme a buona fede; qualora cioè fosse stato
rispettato l’obbligo di informazione – non già delle cause d’invalidità del contratto, nel caso di specie insussistenti, ma – delle circostanze e degli elementi che abbiano inciso sulla rappresentazione
del contenuto del contratto.
La giurisprudenza è ferma nel ritenere che la conclusione del contratto escluda, di per se stessa, la possibilità di una responsabilità
precontrattuale, essendo essa limitata all’ipotesi di mancata conclusione del contratto per causa imputabile ad una delle parti, ovvero
alla stipulazione di un contratto invalido. Tale posizione è stata ribadita dalla seguente massima, che ha escluso la configurabilità della
responsabilità precontrattuale nell’ipotesi in cui il contratto sia stato
validamente concluso, pur se l’iter formativo sia stato inficiato dalla
violazione del principio di buona fede:
Giurisprudenza
«La stipulazione del contratto preclude la configurabilità di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., non rilevando ai fini dell’applicazione della predetta
norma il danno concretantesi nella conclusione di un negozio a condizioni diverse
da quelle che si sarebbero avute se una delle parti avesse tenuto un comportamento conforme a buona fede».
Cass., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3621, in Resp. civ. e prev., 1994, 1085, con nota di AMATO; Giur. it.,
1995, I,1, 880.
La dottrina, per contro, ha contestato siffatta conclusione, affermando che l’ampia formulazione di cui all’art. 1337 c.c. consente di
allargare l’ambito della responsabilità precontrattuale ai casi in cui la
violazione del principio di buona fede non abbia inciso sulla validità
Il danno nella responsabilità precontrattuale
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o sull’efficacia del contratto . La ratio della norma è infatti quella di
estendere la responsabilità precontrattuale ad ogni ipotesi di trasgressione della regola che impone di tenere un comportamento leale
nel corso delle trattative.
Il problema si pone soprattutto nell’ipotesi di errore incidente, atteso che appare teorica la fattispecie di violenza incidente – normalmente, tale grave vizio del consenso determina sempre l’invalidità
del contratto – e che, quanto al dolo incidente, l’art. 1440 c.c., in applicazione dell’art. 1337 c.c., prevede espressamente il risarcimento
del danno in caso di dolo incidente. Si ritiene che rientri nell’ambito
dell’art. 1337 c.c. non già l’errore motivo, che è errore vizio cui si
applica l’art. 1338 c.c., ma l’errore sul motivo (ossia l’ipotesi di responsabilità della parte che, a conoscenza dell’erroneità del motivo
che abbia spinto la controparte a concludere il contratto, non l’abbia
avvertita di detto errore) e più in generale l’errore sulle circostanze di
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rilievo relative all’affare . Va peraltro determinata l’estensione dell’obbligo d’informazione, che è variabile in relazione alle circostanze
del caso concreto, e va individuato in relazione al soddisfacimento degli interessi che siano alla base del regolamento contrattuale in itinere,
se la controparte non sia in grado di conoscerle usando la normale diligenza.
In tali casi, e segnatamente nel caso di dolo incidente, la migliore
dottrina ha affermato che il danno risarcibile dovrà essere rapportato
alle migliori condizioni che la parte avrebbe realizzato senza l’inter15
vento doloso . In altri termini, essendoci un contratto valido, il danno
non andrà commisurato all’interesse negativo, ma secondo le regole
generali in tema di inadempimento contrattuale, atteso che la parte
non lamenta l’invalidità del contratto, ma la mancata realizzazione del
miglior risultato economico che avrebbe potuto ottenere, se l’altra
parte si fosse comportata secondo buona fede durante le trattative.
La suddetta impostazione cozza tuttavia con l’asserita riconducibilità del dolo incidente, concretante una lesione della libertà negoziale, nell’alveo della responsabilità precontrattuale, che si attesta nei
limiti dell’interesse negativo.
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Cfr. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1963, 13
e DI MAJO, Istituzioni di diritto privato, a cura di BESSONE, 1994, 525.
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Cfr. Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di CENDON, La responsabilità civile, vol. II, Utet, Torino, 2000, 181.
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Cfr. BIANCA, op. cit., 178 e 628.
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La responsabilità precontrattuale
Vi è chi, in aderenza alla valutazione concreta delle fattispecie, ritiene inadeguata la logica astratta e preconcetta secondo cui non sarebbe ipotizzabile nel dolo incidente un risarcimento, commisurato
all’interesse positivo, maggiore rispetto a quello riveniente dal dolo
determinante, in cui, ai sensi dell’art. 1338 c.c., il risarcimento del
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danno si configura nell’ambito dell’interesse negativo . In realtà,
con il dolo incidente non può concretamente parlarsi di interesse negativo, inteso quale interesse che la parte aveva a non stipulare il
contratto, in quanto per la parte sussiste l’interesse a mantenere valido il contratto, che non è stato posto nel nulla dall’altrui azione dolosa. Il contratto, infatti, a differenza che nel dolo determinante, mantiene la sua validità ed efficacia, essendo unicamente previsto il rimedio risarcitorio. L’anzidetto rimedio è sicuramente meno grave rispetto a quello dell’annullamento del contratto, previsto nella diversa
ipotesi del dolo determinante.
A siffatta conclusione è pervenuta, in aderenza alla logica del caso
concreto, la stessa giurisprudenza di merito, come si evince dalla seguente massima:
Giurisprudenza
«Il danno risarcibile nell’ipotesi di dolo incidente, prevista dall’art. 1440 c.c., non si
esaurisce nella mera considerazione del c.d. interesse negativo, bensì deve estendersi ad ogni conseguenza pregiudizievole – danno emergente e lucro cessante –
nei limiti in cui sia ravvisabile un rapporto di diretta consequenzialità tra la condotta
del deceptor e gli effetti pregiudizievoli».
App. Venezia, 31 maggio 2001, in Corr. giur., 2001, 1199, osservazione di DALLA MASSARA.
Si ritorna dunque all’affermazione per cui l’interesse negativo non
rappresenta un elemento che da solo identifichi la responsabilità
precontrattuale, costituendo invece una figura generale nell’ambito
della responsabilità civile. Cosicché vi sono fattispecie relative alla
formazione del contratto, quale è quella di cui all’art. 1440 c.c., in
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cui emerge l’interesse positivo . Conseguentemente, all’infuori dell’ipotesi della responsabilità per recesso dalle trattative o della conclusione di un contratto invalido, la violazione della regola della
16
Cfr. SAGNA, op. cit., 271.
In ordine alla negazione della necessaria coincidenza tra lesione dell’interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cfr. GRISI, L’obbligo precontrattuale d’informazione, Jovene, Napoli, 1990.
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Il danno nella responsabilità precontrattuale
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buona fede comporterà una normale azione risarcitoria, svincolata
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dal riferimento ad un interesse contrattuale positivo o negativo .
Peraltro, la giurisprudenza ha negato che la violazione del dovere
di buona fede nella fase delle trattative possa assumere rilevanza, nel
caso in cui il contratto sia stato validamente concluso, se sia stata
proposta l’azione di risoluzione del contratto, atteso che l’ordinamento appresta specifici strumenti di tutela per la violazione del dovere di buona fede, sia in caso di mancata conclusione del contratto
(art. 1337 c.c.), sia nell’ipotesi in cui il contratto si sia invalidamente
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perfezionato (artt. 1338 e 1427 c.c.) . Nell’ipotesi in cui operi la garanzia per evizione, la giurisprudenza ha stabilito che va risarcito il
danno integrale, costituito non solo dall’interesse negativo (spese
della vendita e frutti), ma anche, in caso di dolo o colpa del vendito20
re, dall’interesse positivo comprensivo del lucro cessante .
18
Cfr. RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, Giuffrè, Milano, 1974,
217.
19
20
5.
Cfr. Cass. 19 novembre 1984, n. 9802, in Giust. civ. mass., 1994.
Cfr. Cass. 10 marzo 1979, n. 1511, in Giust. civ. mass., 1979, f. 3.