La luna - Diesse Firenze
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La luna - Diesse Firenze
La luna Dario Accolla, Emiliano Aliberti, Eleonora Brinieri, Leonardo Righini, Camilla Zocchi, della classe IIA della Scuola Secondaria di Primo Grado “Madonna delle Grazie” Grosseto Come ogni sera mi risvegliai nella penombra e cominciai ad osservare quello che succedeva intorno a me; vivere la notte non è semplice: mentre il resto del mondo si riposa, io sono attenta, vigile, sempre presente, sono testimone di avvenimenti di vario tipo, alcuni piacevoli ed altri sgradevoli. Mi piace credere che le persone mi amino perché sono circondata dal mistero delle tenebre. Mentre attendiamo nel cielo, racconto spesso storie alle mie stelle, soprattutto quando sta per arrivare l'alba e loro non vorrebbero mai addormentarsi. Eppure devono farlo, perché altrimenti un nuovo giorno non verrebbe mai. Dicevo, le storie. Non racconto loro storie inventate, ma storie vere, le storie di quei tanti uomini che di notte non dormono, come poeti e scrittori o semplici comuni mortali che prima di addormentarsi fanno giuramenti e promesse che già il mattino dopo sono stati dimenticati e seppelliti nella memoria. Certo, anche le mie stelle li vedono, quegli uomini, ma sono più preoccupate della propria bellezza e del proprio splendore, mentre io, beh, io splendo di luce riflessa, ho poco di cui compiacermi: non è merito mio la mia luce. Spesso racconto alle mie stelle la storia commovente di un usignolo. La storia è molto lunga ed a volte mi attardo più del dovuto, mentre l'alba attende anche lei stupita e curiosa. “La storia parla di un giovane uomo che cercava in ogni cespuglio una rosa rossa da regalare alla sua amata che gli aveva promesso un ballo, se lui le avesse portato quel fiore; ma il giovane non ne trovava e un usignolo decise di sacrificare segretamente la sua esistenza per dar vita alla rosa dal colore più acceso e dal profumo più intenso di quanto se ne fossero viste fino ad allora. Il giovane trovò la rosa, la recise e la portò in dono alla sua amata, la quale però cercava molto di più in un uomo; ella voleva denaro e potere, non un misero fiore: altri pretendenti avevano ormai alzato la posta. Con rabbia l'innamorato gettò la rosa nella strada, dove essa venne pestata dalla ruota di un carro”. “E allora?- chiedono le mie stelle- come finisce la tua storia?” Ed io continuo: “Il meccanismo del mondo è troppo complicato per la semplicità di una ruota, eppure essa non si dava pace: era passata sopra una rosa bellissima, qualcosa le suggeriva che essa non fosse una rosa normale, troppo rosso il suo colore per essere stata tinta dal caldo del sole. Non sapeva la ruota, non poteva sapere del sacrificio, ma qualcosa in lei si ribellava e Dio le parlò e le spiegò la storia del sangue che aveva tinto quel fiore. La ruota si sentì soffocare per la colpa, ma Dio la rincuorò dicendole che le avrebbe dato una nuova vita, un posto nuovo nella trama di quella storia. La mattina dopo un falegname la prese, la staccò dal carro, le aggiunse delle assi e ne fece dono ad un convento: essa diventò la ruota degli innocenti, destinata ad accoglier i fanciulli abbandonati”. “E del giovane? Cosa ne è stato?” incalzano le mie stelle. “Il giovane uomo non voleva però rinunciare alla donna, ci pensava giorno e notte, non però come un amato doveva pensare alla sua amata, no!, come un cacciatore ad una preda che gli dà filo da torcere, senza struggersi per lei, ma biasimandola e preoccupandosi solo per sé. La giovane donna era diventata per lui solo un'impresa. Così quel giovane si procurò dei gioielli in modo disonesto e meschino e, grazie a questi regali da valore, l'amata accettò le attenzioni del giovane e da questa unione nacque una bambina. La giovane madre ambiziosa decise di abbandonare la bimba alla porta del convento delle suore. La vecchia porta l'accolse e seppe chi era. Insieme alle suore, anche la ruota vedeva giorno dopo giorno la piccola creatura crescere e, quando fu grande, decise di raccontarle la vera storia dei suoi genitori e del grande dono dell'usignolo. Dopo il colloquio con la ruota, la ragazza quella notte non riuscì a dormire e, affacciandosi alla finestra, guardò il cielo e mi si rivolse. Mai parole furono più cariche di odio: la meschinità dei suoi genitori la stava avvelenando. Le parlai silenziosamente dell'usignolo, di quella notte in cui anch'io mi attardai nel cielo, in cui anch'io piansi di dolore e risi di gioia. Quella notte molti avevano udito il canto dell'usignolo, il suo ultimo grido - nessuno l'ha potuto ancora dimenticare, dubito che qualcuno potrà mai farlo – fu così straziante che ancora se ne sente la eco. E allora, le spiegai, chi davvero aveva inaridito la sua esistenza, se non suo padre e sua madre? Non si può augurare il male a colui che vi si è già condannato! Mentre parlavo il viso della ragazza si riempiva di lacrime, ma stavolta non di rabbia, di risentimento, bensì di commozione perché nulla smuove di più l'uomo, e il cielo, di un sacrificio non richiesto, di un dono non atteso. Ed ella mi stupì: chiamandomi a testimone, pregò Dio di trasformarla in un cespuglio di rose rosse che nascesse nel giardino di fronte alla casa di suo padre, cosicché egli, affacciandosi alla finestra e vedendone il rosso scarlatto, potesse finalmente scoprire la dolcezza del dolore. Dio esaudì il suo desiderio. “Non capiamo perché anche la ragazza si è voluta sacrificare per suo padre. L'aveva già fatto l'usignolo e non era servito a nulla!” chiedono le mie stelle. “Quel sacrificio glielo aveva suggerito l'eco del canto della bestiola”, rispondo loro. “Perché? Che cosa le diceva quel canto?” insistono. Le mie stelle sono antiche, dovrebbero essere esperte delle cose, ne hanno viste tante accadere, ma vedere, forse, non basta. “La eco le diceva che gli uomini vanno amati prima che diventino amabili” concludo. Terminato il racconto, le stelle mi chiedono: “E la storia, come finisce?”. Ed io a loro: “Ogni anno, lo stesso giorno in cui la rosa si tinse del sangue dell'usignolo sullo stelo, il cespuglio fiorisce sotto la finestra, nel giardino di suo padre”. “Che ne è stato dunque di quell'uomo? Egli ha finalmente capito?” Rispondo: “Non ancora, ci vuole molta pazienza. La pazienza di Dio”. Le addormentai in fretta. Già nasceva una nuova aurora.