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n° 320 - maggio 2005
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Dipingere istorie
tra Rinascimento e Neoclassicismo
Il “pittore di storie” ovvero l’artista che rappresenta avvenimenti storici,
religiosi e mitologici è da
sempre innalzato al massimo gradino dell’arte e la
sua opera - il quadro storico -è considerata al posto più alto nella gerarchia
accademica, specialmente
tra il XVII e XIX secolo.
Tale riconoscimento si delinea già nel corso del Rinascimento sulla scorta
della definizione di “historia” formulata da Leon Battista Alberti, il quale affermava che «la storia è
summa opera del pittore»:
una valutazione grazie alla
quale riscattava l’arte dalla
schiera delle “arti meccaniche” di stampo medievale per innalzarla a quella
delle “arti liberali”. La precisazione albertiana di “historia” comprendeva ogni
figura narrativa in cui agiscono diverse persone, giustificando così l’inclusione
sotto il nome di “pittura
di storia”, oltre che della
raffigurazione di fatti realmente accaduti, anche
di quella di soggetti mitologici e religiosi. Agli
inizi del Rinascimento,
grazie al contributo teorico e artistico di Leonardo,
si sviluppano le premesse
svolte dall’Alberti. Nel
1503 la repubblica fiorentina incarica Leonardo di
eseguire un monumentale
affresco, oggi perduto, per
la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio.
L’opera doveva rappresentare un soggetto storico,
la Battaglia di Anghiari con
la vittoria riportata nel
1440 dai fiorentini e dall’esercito pontificio sui milanesi, un affresco pensato
all’interno di un più vasto
progetto decorativo finalizzato all’esaltazione della
grandeur toscana. Leonardo
attese a questo lavoro fino
al 1505-06, arrivando a
realizzare oltre al cartone
una parte del dipinto oggi
noto solo attraverso una
copia parziale di Rubens
e alcuni bozzetti e disegni
leonardeschi che raffigurano gruppi di cavalieri
con particolari dei volti dei
combattenti. La copia di
Rubens (disegno a matita,
1615 ca. conservato a Parigi, Gabinetto delle stampe
e dei disegni) rappresenta
il momento centrale dello
scontro dove un groviglio
di uomini e cavalli si contendono l’asta del gonfalone, simbolo della città:
una scelta simbolica che
incitava alla difesa della libertà di Firenze. Sappiamo
inoltre come Leonardo
avrebbe voluto raffigurare
il tema grazie a un brano
scritto di suo pugno nel
1490: una sorta di prontuario destinato a un pittore che voglia raffigurare
un combattimento, in cui
si insegna a dipingere il
fumo e la polvere, le pose
dei cavalli e dei cavalieri,
le espressioni dei vinti e
dei vincitori. Del resto Leonardo, anche a livello teorico, riconosce piena importanza alla pittura di storia e nel suo Trattato della
pittura fornisce chiari precetti su come comporre le
istorie (Del diversificare le
arie de’ volti nelle istorie,
Convenienze delle parti
delle istorie) affinché possano emergere al massimo
le espressioni psicologiche
dei personaggi, i moti nel
senso più ampio, il linguaggio dei gesti e le fisionomie. Nella Battaglia
di Anghiari Leonardo raggiunge vertici di incredibile drammaticità e tensione emotiva, allargando
le possibilità dello stile
eroico cinquecentesco. L’enfasi sulla dimensione psicologica ed espressiva non
corrisponde però ad alcun
proposito di illustrazione
oggettiva del fatto storico
rappresentato: il tema della
battaglia ha suggerito a
Leonardo una raffigurazione della bestialità umana,
della ferocia di certi istinti
primordiali. La sua capacità di introspezione psicologica e analisi della realtà è tanto più evidente
se confrontata con altre
opere quattrocentesche,
come ad esempio la celebre Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, op-
Leonardo: Studio di testa di guerriero
per la Battaglia di Anghiari - Firenze, Uffizi
Paolo Uccello: Battaglia di S. Romano - Firenze, Uffizi
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pure la Battaglia di Eraclio
e Cosroe di Piero della Francesca, che appaiono vuoti
assemblaggi di manichini
senza vita e decontestualizzati dall’ambientazione
paesistica. In particolare
Paolo Uccello nella sua
Battaglia di S. Romano, potenziando il contorno lineare dello spazio prospettico e dei volumi, che sono
assimilati quasi a forme
geometriche, tende a bloccare l’azione rappresentata;
il risultato è l’annullamento
di ogni carica drammatica
con l’effetto di un racconto
dal sapore favolistico e onirico, molto lontano dalla
realtà del fatto storico.
Restando in epoca umanistico-rinascimentale si deve
ricordare uno dei principali protagonisti della pittura narrativa, Vittore Carpaccio, che si colloca nel
solco di un’antica tradizione lagunare rinnovata
nel XV secolo da Jacopo e
Gentile Bellini. Carpaccio
è un autentico narratore,
capace di raffigurare nei
minimi dettagli storie complesse, un pittore estremamente attento alla realtà
che lo circonda, come nel
ciclo di teleri per la Scuola
di Sant’Orsola, in cui racconta la vicenda della principessa bretone promessa
al principe inglese e uccisa
a Colonia dagli Unni con
tutto il suo vasto seguito.
Seguendo il racconto di Jacopo da Varagine, Carpaccio realizzò tra il 1490 e
1495 la gran parte dei teleri, salvo poi aggiungere
negli anni successivi il prologo con la rappresentazione del momento in cui
gli ambasciatori vanno a
chiedere la mano di Orsola
cristiana per il pagano figlio del re d’Inghilterra.
Qui l’artista non solo utilizza tutta la sua competenza prospettica nella resa
degli spazi e delle architetture, ma dimostra anche la conoscenza dei cerimoniali di corte e dei costumi che identificano e
qualificano i personaggi.
La pittura di storia conosce poi un decisivo sviluppo
nel Seicento, attraverso
l’opera di artisti come Velazquez, Poussin, Rubens,
ed è proprio nell’età barocca che si isolano, definendosi, i diversi generi:
il ritratto, la natura morta,
il paesaggio, la scena di
vita quotidiana o di costume, a cui corrispondono
diverse categorie di specialisti (pittori di prospettive e di rovine, di fiori, di
pesci, di strumenti musicali, di battaglie o di scene
di costume). Capolavoro
assoluto dell’epoca è La
resa di Breda, dipinto da
Velazquez che commemora
un episodio della guerra
tra Spagna e Olanda nel
1625 in cui Giustino di
Nassau consegna simbolicamente le chiavi della
fortezza di Breda ad Ambrogio Spinola. Sullo sfondo
di un paesaggio desolato,
segnato dalle devastazioni
della guerra, i due generali scesi da cavallo si incontrano. L’opera si segnala
per aver colto l’aspetto
umano della storia, senza
retorica o gesti memorabili, dove tra le due schiere
di soldati risulta difficile
distinguere il trionfatore
dal vinto. Nella successiva
opera di Poussin si ha
un’importante definizione
del genere poiché la rappresentazione della storia appare sorretta da una
riflessione estetica sul problema: nella Morte di Germanico, dipinto ispirato dagli Annali di Tacito, la solenne dignità dei personaggi si coniuga con la rigorosa ricerca e con lo studio del periodo rappresen-
Vittore Carpaccio: Partenza e Congedo degli ambasciatori dalla corte d’Inghilterra,
episodio dalle Storie di Sant’Orsola - Venezia, Gallerie dell’Accademia
Diego Velazquez: La resa di Breda - Madrid, Museo del Prado
tato. Divenuto un modello
per molti giovani pittori
francesi, Poussin contribuì alla diffusione del genere insieme a Lorrain e Le
Brun.
Nel sec. XVIII, dopo che
il Rococò sembrava aver
indebolito la severità del
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dettato storico in favore di
una pittura decorativa e
poco interessata al soggetto, in Francia, Inghilterra e Italia si vanno elaborando i nuovi modelli
della pittura di storia, complice anche la trattazione
di Winckelmann. I successivi protagonisti della
trasformazione di questo
genere furono Batoni,
Mengs, Hamilton e David. Capofila del rinnovamento è Benjamin West,
destinato a succedere a Reynolds nella direzione della
prestigiosa accademia londinese. A lui spetta il merito di aver creato un nuovo
tipo di pittura storica in
cui irrompevano in scena
tutti gli eventi di scottante
attualità, dalle guerre per
l’indipendenza americana
agli avvenimenti di cronaca: una grande opera
epica in abiti moderni.
Nella Morte del generale Wolfe
l’artista racconta la tragica
fine di un eroe inglese durante una battaglia per la
conquista del Quebec, adottando lo schema iconografico delle deposizioni e lamentazioni tipiche del Seicento italiano: Wolfe appare come Cristo deposto
dalla croce. Sul versante
francese, Il Giuramento degli Orazi di David – manifesto della pittura neoclassica - innova ulteriormente
il genere attraverso uno
stile incisivo e solenne, modellato sulla tradizione classica: un nuovo modo di comunicare elevati contenuti
morali unitamente ad
Jacques-Louis David: Il giuramento degli Orazi - Parigi, Louvre
esempi edificanti di virtù
da additare ai contemporanei. In David l’arte di
rappresentare le storie diventa uno strumento di
propaganda negli anni della
rivoluzione e poi di celebrazione in quelli dell’impero napoleonico.
L’evoluzione di questo genere continua nel secolo
XIX con le riflessioni di
Goya sugli orrori della
guerra (Le fucilazioni del 3
maggio 1808, 1814, Madrid, Prado), nei fatti di
cronaca denunciati dalla
pittura di Géricault e infine nell’accostamento di
cronaca e allegoria in De-
lacroix (La libertà che guida
il popolo, 1831, Parigi, Louvre). Un genere che in Italia si arricchisce nel periodo risorgimentale con
Fattori, Pellizza da Volpedo e Hayez e che continua fino all’epoca contemporanea nelle opere dei
muralisti messicani, in particolare Rivera, fino a Picasso che con Guernica
(1937, Madrid, Centro de
Arte Reina Sofía) rappresenta uno degli ultimi
grandi affreschi storici, capace di esprimere la memoria collettiva di un drammatico evento storico.
federico poletti