66 - La Masnada

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66 - La Masnada
anno 8
numero 66
settembre
2006
CALDERONE
g
-
DI INTRUGLI ARTISTICO-CULTURALI
nuovi propositi
-
iusto il tempo di rifiatare per la calura estiva, e rieccoci in gioco!
il 3° festivaletteratura incomincia a farsi più nebuloso nei nostri ricordi, e con esso quel dolce
retrogusto di soddisfazione che lo accompagna.
l’edizione appena trascorsa ha segnato un’ulteriore crescita, una crescita che si è palesata sia nell’aspetto “contenuto” che in quello “forma”. le relazioni ad esempio, pubblicate tra l’altro sulla rivista
letteraria “prospektiva”, hanno evidenziato qualità e varietà di tutto rispetto; lo stesso dicasi per le
poesie presentate nel corso del duello poetico. l’aspetto organizzativo, dal canto suo, ha accompagnato questa evoluzione cercando di non lasciare nulla al caso.
ora però, senza dilungarci in inutili auto-sviolinate, si pone una riflessione, che ho già portato in seno alla masnada: la conquista di un livello ulteriore presuppone uno sforzo ulteriore!
l’attivismo all’interno di una dimensione limitata reca con se, per forza di cose, una soglia di appagamento bassa; in un ambiente di questo genere, l’aver concepito e realizzato una qualsiasi iniziativa, ad
esempio, è già motivo di soddisfazione. ma se si procede a una fase progettuale, con relazioni umane,
sociali e artistiche che presuppongono conoscenza, tenacia, passione, sacrificio, allora la necessità di
rigenerarsi ad un livello superiore risulta ineludibile.
un impegno supplementare viene perciò espressamente chiesto ad
ognuno di noi masnadieri (e indirettamente a quanti ci seguono più da
SOMMARIO
vicino); noi tenteremo di attuarlo approfondendo quanto possibile le
nostre competenze, allargando i confini del nostro periodico, che da
- I violini tristi
questo numero dovrebbe poter contare su una presenza costante di
collaborazioni esterne, e con nuove iniziative. nella seconda parte di
ottobre, infatti, è quasi certa la presenza a cropani di mario capanna!
- H2Odio
sì, proprio il leader del movimento studentesco del ’68, segretario di
democrazia proletaria, europarlamentare e deputato nazionale, scrit- l’autopoetica
tore e attuale presidente del consiglio dei diritti genetici.
sarà un onore per noi promuovere un incontro di tale portata! (per
maggiori ragguagli vi rimando al prossimo numero e ovviamente al sito).
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armati di tanti buoni proposti, non mi resta dunque che farmi portavoce dell’intera tribù masnadiera e dichiarare aperta una nuova stagione!
buona lettura!
gianluca pitari
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anno 8
I violini tristi
L
a sera umida scivola sulla campagna. Presagi d’oscurità notturna. Il tempo si estende fuori dei confini
del conosciuto, la terra cede all’acqua il suo regno. Gli orologi saltano. Il tempo è immobile, doloroso. Cammino per il giardino profumato dal tiglio, solitario, con il bastone di faggio ereditato da zia Ada. Una farfalla
vola libera. Forse esiste solo nella mia testa.
Abbandonarsi al vuoto.
E se fossi morto, forse la morte è questo stato liquido assente di dolore, forse il mio cervello stanco di
essere racchiuso in questo corpo sente il bisogno di espandersi e navigare senza confini da un punto all’altro
del cosmo.
L’erba è alta, ma mi piace così, un po’ selvaggia. L’esagerato ordine mi angoscia, invece le rose crescono
spontanee e le margherite di prato sono così belle che mi dispiace estirparle.
Cerco di cancellare la memoria, ad ogni attimo sono una cosa diversa: sono un albero, sono una farfalla,
sono il lago, sono la pianta di marijuana che cresce rigogliosa in vaso.
La pioggerella sottile mi rigenera. Il tempo si annulla e rimangono attimi non più collegati fra loro. Il cane di
zia, King, si gode la frescura e mi osserva, mentre vago come uno spettro
tra le piante del giardino. Forse da qualche parte nello spazio i morti vagano in un giardino simile a questo senza più conflitti, paure, convulsioni e
deliri d’onnipotenza. Zia Matilde è in cucina, sta preparando la cena. Da
quando zia Ada è morta si è fatta più ombrosa. Eppure con sua sorella
non si parlavano da anni, ma penso che fossero un punto di riferimento l’una per l’altra. Anche se lontane fisicamente, percepivano la presenza dell’altra. Ora una parte è venuta a mancare. Il vuoto. Zia Matilde si sente sola e vive nel passato in una dimensione fatta di momenti vissuti che le ritornano alla mente e le riscaldano il cuore. Ed io incomincio a capirla. Il passato non si manifesta più in un susseguirsi cronologico d’avvenimenti, ma essi affiorano laddove ne abbiamo bisogno portando con se le stesse
gioie, sofferenze e paure di quando li abbiamo vissuti. Insomma il tempo non esiste. Questa notte non è il
susseguirsi del giorno ma la dimensione notte, come tante dimensioni parallele esiste la dimensione notte, la
dimensione giorno e la dimensione sogno. E se fossimo in un sogno? Penso mentre mi avvio verso l’uscio di
casa attraversando il prato. Ammettiamo che la megamacchina sia l’incubo ricorrente di una società più evoluta. Perché non ci svegliamo? Il profumo di minestra mi riporta alla realtà, o forse anche quest’estensione
d’odori, casseruole e calore domestico è un altro mondo parallelo? Zia m’invita a mangiare.
La stanza dalle pareti color argilla è, da quando la abito, in un disordine caldo ed accogliente. Questo mi
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disse il mio amico pittore venuto a trovarmi improvvisamente una mattina, mi trovai imbarazzato nel doverlo ospitare in un bazar simile. E così mentre cercavo affannosamente di liberargli la poltrona dai giornali per farlo
accomodare, mi chiese di non toccare nulla perché tra tutte quelle cianfrusaglie si sentiva a suo agio come nel
suo atelier.
I muri sono coperti dai quadri che amici artisti mi hanno regalato e che nella mia casa in città non trovano
spazio. Poi c’è la libreria con tutti i libri di studio dello zio: vecchie enciclopedie geografiche, romanzi russi,
grammatiche logorate tra i banchi di scuola e classici della letteratura. Sulla scrivania con il piano in velluto
rosso oramai consunto dimora un abat-jour verde appartenuto a nonna ed il mio PC portatile dove lavoro.
Poi contro la parete di destra c’è il letto: il letto dello zio, morto oramai da diversi anni, anche lui scapolo. Ogni tanto guardo quel letto ad una piazza, con la sua spalliera in castano pesante tipica del gusto contadino,
e provo un po’ di malinconia al pensiero che i miei amici sono quasi tutti sposati e con figli, e penso che se avessi scelto anch’io quella vita probabilmente ora dormirei in un gran letto matrimoniale coccolato da una donna e svegliato il mattino da bambini gioiosi, invece mi addormento solo e mi risveglio solo. Queste nostalgie
svaniscono quando di notte mi desto e mi sento libero di muovermi come un gatto notturno: posso mettermi a
lavorare, posso scendere in cucina e fare uno spuntino, posso ascoltare musica o leggere un libro senza nessuno a cui dover rendere conto. Posso aspettare l’alba e poi mettermi a dormire, oppure andare a fare colazione al bar. Insomma sono padrone della mia vita.
Per esempio posso permettermi di passare ore sdraiato sul letto a pensare finché i pensieri non perdono
d’intensità e poi ritornare, quando più m’aggrada. Da mesi un verso mi ruota in testa: “Ritornare al corpo in
cui siamo nati.”. Ma cosa intende il poeta che ha scritto questi versi con “nati”? Nati biologicamente o quando abbiamo preso coscienza di noi stessi? In quale momento ho incominciato a capire d’essere io? Queste
riflessioni riempiono le mie giornate oziose estive. Mentre dal paese arriva una musica di violini tristi. Sdraiato sul letto mi godo la frescura della sera e sono incantato dallo schermo del PC. Lo screen sever rappresenta il cosmo ed io mi ci perdo dentro percorrendo intere galassie ed ammassi stellari. Ora attraverso uno sciame di meteore, un buco nero e nuove stelle e pianeti sconosciuti fino a quando il PC non si blocca ed appare
una finestra con scritto: “Nessuna contaminazione da virus”. Allora penso che sono salvo, posso continuare
a navigare senza pericolo di contagio. L’antivirus mi protegge contro le meteore o contro il calore dei soli che
imbatto nella mia esplorazione. Riprendo così il viaggio, lo screen sever riparte, ed eccomi catapultato nell’infinito. Ma in quest’universo artificiale, prodotto della macchina, scoprirò la verità, oppure anche i microprocessori sono un’illusione. E nulla placherà la mia sete di conoscenza. Troverò l’equilibrio giusto per affrontare le tempeste psico-cosmiche oppure sono destinato a fluttuare per sempre nel nulla alla ricerca di spettri.
Spettri, spettri, spettri...
Stati d’allucinazione prodotte dalla Marijuana.
Spettri di case notturne, deliri d’eternità, il passato avanza impadronendosi di questo luogo: dalla finestra
di camera mia scorgo la piazza agorafobica, il centro del paese. Dal borgo funereo arriva una musica di violini
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tristi. Le finestre delle case sembrano occhi senza pupille, emanano buio. Il centro con la sua piazza, la chiesa
e le case potrebbe essere un’astronave atterrata su questo pianeta centinaia d’anni fa. Tutto intorno si estende la campagna. Ogni tanto il rumore di un camion irrompe ed i violini smettono di suonare.
A forza di annullarmi ho capito che la dimensione spazio-temporale è formata da punti invisibili, noi identifichiamo solo la materia presente in essa. Per tale motivo questa stanza con la finestra aperta sul cortile, ed
oltre la piazza del paese desidererei fosse una capsula a-temporale come un fotogramma cinematografico.
Fermare il tempo per fermare l’amore che fugge.
La fine di un amore è come l’esplosione di una stella. Essa aumenta di luminosità fino a diventare la più
sfolgorante della galassia a cui appartiene, poi collassa trasformandosi in una nuova entità energetica.
Cosa mi rimane se non percorrere sentieri ignoti all’interno dello spazio-tempo dando vita a nuove configurazioni possibili come questa:
Perché dovrei rinunciare alla tempesta psicosomatica di una dose di Radial?
Come se
ciò potesse annientare le mie ossessioni notturne.
Dagli alieni abbiamo appreso il linguaggio segreto della musica.
Una civiltà bisessuale emigrata sulla terra perchè attratta dal sapore della pioggia della nostra atmosfera.
Il paradiso è stato congelato e conservato in una cella frigorifera in un punto top-secret della galassia.
Specie sconosciute all’uomo d’animali e piante giacciono sospese nel tempo dentro questo giardino primordiale.
Enormi astronavi aliene trasportano passeggeri sul nostro pianeta. Impossibile arginare l’esodo. Le nazioni unite hanno lanciato un messaggio alla popolazione mondiale:
-bisogna imparare a convivere con queste varietà d’umanoidi, per quanto i loro costumi sono diversi dai
nostri. Il futuro è nell’integrazione!Conobbi Joele Shiva,
un bellissimo extraterrestre dalla pelle di luna. Vagava sperduto per la stazione di Bologna sotto effetto
di Radial: droga aliena. Si prostituiva per sopravvivere, anche se il governo ha stanziato un sussidio per gli
stranieri arrivati dal cosmo. Ma poiché il sussidio è insufficiente, Joele Shiva si vende. Mi venne incontro
mentre prendevo un caffé al volo al buffet della stazione, mi chiese se potevo offrirgli qualcosa da mangiare,
io gli proposi kebab e birra. Lui divorò quello che doveva essere il suo unico pasto della giornata e poi mi domandò se volevo compagnia. Siccome dovevo ritornare a Torino, per sdebitarsi mi regalò l’unica cosa che
aveva: una dose di Radial che consumai durante l’interminabile viaggio sotto effetto di un’allucinazione sonora, in altre parole una musica di violini tristi...
Alessandro Dattola
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H2Odio
regia Alex Infascelli - Italia 2005
I l cinema italiano alterna risultati più o meno incoraggianti ma non riesce, ormai da
anni, a raggiungere uno standard di qualità tale da poter essere esportato all’estero
con successo e continuità.
Il malessere è dunque, probabilmente, radicato nella produzione, troppo piccola e
povera per sfornare “blockbuster” competitivi con quelli americani, troppo snob per
investire nel cinema indipendente e in autori giovani.
In questo panorama, ammirevole è la scelta del bravo Alex Infascelli.
Autore particolare, dalla forte personalità stilistica, aveva già dimostrato nei precedenti lavori (Almost
blue, Il siero delle vanità) di possedere tecnica e sensibilità cinematografica.
Oggi, scrive e dirige un film anomalo, che non prevede un uscita in sala ma una distribuzione mirata direttamente in dvd, legata ad un gruppo editoriale.
Un film slegato da una politica produttiva classica e ormai obsoleta, che permette al suo autore una totale
libertà esecutiva.
Visionario, a tratti delirante, H2Odio cresce e si articola attorno ad una vicenda scura e morbosa, immerso in una follia disperata e una continua rincorsa al non sense a metà tra il cinema di Chronenberg e quello di
Lynch.
Infascelli risparmia sui dialoghi per dedicarsi da buon pittore di cinema alle allegorie come uniche fonti di
comunicazione/comprensione.
La vivacità stilistica e le suggestive musiche di Steve Von Till, contribuiscono a delineare un clima di malessere sapientemente dilatato per tutta la pellicola che, dopo i primi cinque minuti si dipana nella rappresentazione di un incubo, affascinante e morboso.
Probabilmente imperfetto, il film gioca con immagini a volte eccessive, alcuni riferimenti evidenti ed un finale
intriso di filosofia che si raccorda in modo non troppo originale al tema fulcro di tanto cinema di genere (da
Psyco in avanti) scardinando negli ultimi minuti la prospettiva narrativa fino a quel momento accettata come
reale sostituendola con una nuova struttura, giustificata dall’inserimento di una duplice personalità psicologica del personaggio.
Un escamotage dialettico sempre funzionale, ma non certo nuovo, che in linea di massima permette di folleggiare per tutto il film senza preoccuparsi di alcuna coerenza, sventolando nel finale come punto di forza la
spiegazione psicologica razionale.
Ma proprio questo ultimo limite permette ad Infascelli (che evidentemente non è interessato ad approfondire l’aspetto logico) di affrontare, sperimentare e raggiungere una poetica totalmente inedita per il nostro
modo di vivere il cinema: la celebrazione dell’immagine.
L’attenzione dello spettatore è cosi immersa nell’esperienza visiva svincolata dal contenuto e dall’invadente preoccupazione di dover comprendere il significato letterale più di quello filmico.
Cullarsi nelle immagini come piacere supremo.
Per questo, senza troppe domande, si è sedotti dal film.
Per questo bisogna essere grati ad Infascelli.
Enrico Bonino
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l’autopoetica
saranno le parole
stratificatesi in me nel corso degli anni
impregnate dagli aromi di questo antico lastricato
ma lungo le pareti interne delle mie vene
si giocano quest’oggi pulsioni autarchiche.
ne sento le striature dilatarsi
in un gioco di tessuti elastici.
umidi flussi corpuscolari
si propongono di espellere in tutta autonomia
il germe estetico
della mia nuova poetica.
ed io...
lascerò che il sole essicchi
e il vento disperda
questi germogli d’eternità.
un giorno
da qualche parte
ne reclamerò uno scettro posticcio.
gianluca pitari
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Robespierre
OFFLAGA DISCO PAX
Ho fatto l’esame di seconda elementare nel 1975.
Il socialismo era come l’universo: in espansione.
La maestra mi chiese di Massimiliano Robespierre.
Le risposi che i Giacobini avevano ragione e che, terrore o no,
la Rivoluzione Francese era stata una cosa giusta. La maestra non ritenne di fare altre domande.
Ma abbiamo anche molti ricordi di quel piccolo mondo antico: Fogazzaro.
L’astronave da trecento punti di Space Invaders.
Enrico Berlinguer alla tv.
Le vittorie olimpiche di Alberto Juantorena,
in nome della Rivoluzione Cubana.
I Sandinisti al potere in Nicaragua.
Il catechista che votava Pannella.
Gli amici del campetto passati dalle Marlboro direttamente all’eroina,
alla faccia delle droghe leggere.
I fumetti di Zora la vampira porno e la Prinz senza ritorno.
Il referendum sul divorzio e non capivamo perché se vinceva il No il divorzio c’era,
e se vinceva il Si non c’era.
Anna Oxa a Sanremo conciata come una punk londinese.
I Van Halen.
La prima sega.
La vicina di casa, un travestito ai più noto come Lola,
che mia madre chiamava Antonio con nostro sommo sbigottimento.
Jarmila Kratochvilova.
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Il Toblerone... qualcuno sa perchè.
Una scritta degli ultras della Reggiana dopo il raid aereo americano su Tripoli negli anni 80,
diceva: “grazie Reagan, bombardaci Parma”.
E poi la nostra meravigliosa toponomastica:
via Carlo Marx
via Ho Chi Minh
via Che Guevara
via Dolores Ibarruri
via Stalingrado
via Maresciallo Tito
piazza Lenin a Cavriago
e la grande banca non più locale con sede in
via Rivoluzione d’Ottobre.
E infine il mio quartiere, dove il Partito Comunista prendeva il 74%
e la Democrazia Cristiana il 6%
(tratto dal primo articolo
del primo numero de
la masnada, giugno ‘99)
“… nell’aspirazione di
scrivere e condividere un progetto,
si è giunti a riunire più giovani,
ognuno coi suoi limiti,
la sua precarietà
ll’insopprimibile fotta
que
ma con
(leggi voglia)
di esprimere un concetto.
speranzosi di non ledere troppo
la suscettibilità altrui,
nasce un disegno atto a sostenere
la libertà di espressione,
emblema di una coscienza
non più soffocata e inquinata
dalla morale spicciola:
la masnada”.
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cropani marina (cz)
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A.S.C.
il sondaggio del mese è:
Ambizione:
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