Libro abstract - Associazione Italiana della Tiroide

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Libro abstract - Associazione Italiana della Tiroide
ASSOCIAZIONE ITALIANA DELLA TIROIDE Consiglio Direttivo Presidente A. Pinchera Vice Presidente F. Trimarchi Consiglieri P. Beck-­‐Peccoz A. Belfiore R. Elisei G.F. Fenzi P. Garofalo G. Lombardi E. Martino F. Monaco F. Pacini E. Papini M.E. Pelizzo A. Pontecorvi Segretario-­‐Tesoriere P. Vitti Segreteria Scientifica F. Aghini Lombardi -­‐ R. Rocchi -­‐ M. Tonacchera 4° Congresso ASSOCIAZIONE ITALIANA DELLA TIROIDE XXVIII Giornate Italiane della Tiroide Campobasso, 2-­‐4 dicembre 2010 Presidenti Aldo Pinchera Gaetano Lombardi Maurizio Gasperi Comitato Organizzatore Locale L. Brunese R. Bracale M.R. Cristofaro A. Molinaro INFORMAZIONI GENERALI Sede Congressuale Aula Magna dell’Università del Molise Via F. de Sanctis 86100 Campobasso Segreteria Congressuale Giovedì, 2 dicembre: dalle ore 12.00 alle ore 22.00 Venerdì, 3 dicembre: dalle ore 07.30 alle ore 20.00 Sabato, 4 dicembre: dalle ore 07.30 alle ore 14.00 Iscrizioni Partecipante Socio AIT Specializzando Specializzando Socio AIT € 530,00 € 500,00 € 380,00 € 350,00 La quota comprende: accesso ai lavori, kit congressuale, cocktail di benvenuto, open coffee per i tre giorni, 1 colazione di lavoro, cena sociale, crediti ECM e attestato di partecipazione. Le quote sono comprensive di IVA 20%. Al momento della registrazione verrà consegnato ad ogni partecipante il kit congressuale unitamente al badge che dovrà essere indossato per tutta la durata del congresso. L’attestato di partecipazione potrà essere ritirato presso la Segreteria alla fine del congresso da ogni partecipante regolarmente iscritto. La zona congressuale si divide in tre piani: Piano Terra -­‐ Segreteria, zona espositiva, entrata Aula Magna, guardaroba. Piano -­‐1 -­‐ Area Poster, zona pranzo e Open Coffee, accesso per Aula Genovesi e per Aula Commissioni. Piano +1 -­‐ Internet Point, Centro Slide, accesso Aula Magna INFORMAZIONI GENERALI L’Open Coffee sarà disponibile per tutta la durata del Congresso. Il Cocktail Inaugurale si terrà nella zona pranzo, al piano -­‐1, alla conclusione della prima giornata di lavori. La Cena Sociale si terrà presso l’agriturismo “La Piana dei Mulini”, raggiungibile con le navette messe a disposizione dal Congresso. Per poter partecipare alla cena sarà indispensabile esibire l’invito al personale addetto. Internet Point In sede congressuale sarà presente un Internet Point a disposizione di tutti i congressisti. Poiché il congresso si svolge in un’area universitaria, per poter usufruire di tale servizio dovrà essere richiesta la password personale alla Segreteria Congressuale. ECM Il Ministero della Salute per il congresso ha disposto 14 crediti per Medico Chirurgo con disciplina: Endocrinologia, Chirurgia Generale, Medicina Nucleare, Oncologia. A tutti i partecipanti che richiedono i crediti formativi verrà consegnato il badge con il codice a barre che dovrà essere registrato elettronicamente dal personale di Segreteria sia all’entrata che all’uscita di tutte e tre le giornate del congresso. La modulistica richiesta dal Ministero al fine di ottenere i crediti sarà consegnata al momento della registrazione e dovrà essere restituita, compilata e debitamente firmata in ogni parte (pena il non conseguimento dei crediti) alla fine dei lavori congressuali, sabato 4 dicembre. Votazioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo AIT Venerdì 3 dicembre, per tutta la mattina, si terranno le votazioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana della Tiroide. Potranno votare solamente i Soci in regola con il pagamento della quota sociale. Il seggio elettorale sarà aperto presso la Segreteria dalle ore 9.00 alle ore 13.00 di venerdì 3 dicembre. Il risultato delle elezioni sarà reso pubblico durante l’Assemblea Generale che si terrà alle ore 18.30 dello stesso giorno. INFORMAZIONI SCIENTIFICHE Centro Slide I relatori delle comunicazioni orali, così come i relatori ospiti, sono pregati di consegnare il file della propria presentazione (in Power Point) in CD/DVD o chiavetta USB almeno un’ora prima della propria presentazione al tecnico di regia presente al centro slide per concordare le modalità della loro presentazione. Per evitare qualsiasi disguido non si ammettono computer personali. Poster I poster saranno esposti per tutta la durata del congresso nell'area a loro dedicata (piano -­‐1). I poster dovranno essere affissi dalle ore 14.00 del 2 dicembre e dovranno essere rimossi entro le 13.30 del 4 dicembre. Ricordiamo che se non rimossi, i poster saranno buttati. Le dimensioni dovranno essere 80 cm (base) x 100 cm (altezza). Ogni poster avrà a disposizione un pannello con il suo numero assegnato visibile sul programma finale consegnato dalla Segreteria al momento della registrazione. La discussione sarà in italiano ed ogni autore dovrà essere presente davanti al proprio lavoro durante la visione poster che si terrà durante la colazione di lavoro di venerdì 3 dicembre dalle ore 13.30 alle ore 14.30. Giovedì, 2 Dicembre 2010 h. 13.00 Apertura del Congresso h. 14.30 Inaugurazione e saluto della Autorità h. 15.00 SIMPOSIO CLINICO con associazioni pazienti LA TERAPIA CON ORMONE TIROIDEO RISOLVE COMPLETAMENTE L’IPOTIROIDISMO? Moderatori: Aldo Pinchera, Pisa Enrico Papini, Albano Laziale Introduzione: Daniela Agrimi, Brindisi L’obiettivo della terapia Luca Chiovato, Pavia Terapia sostitutiva e sport Luigi Di Luigi, Roma Terapia sostitutiva e mondo del lavoro Natale Mario di Luca, Roma La comunicazione medico-­‐paziente Dominique Van Doorne, Roma Testimonial: Aula Magna Manuela Di Centa h. 17.15 SIMPOSIO CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE: PROBLEMATICHE SPECIFICHE Moderatori: Furio Pacini, Siena Marco Salvatore, Napoli Antimo Aiello, Campobasso Carcinoma e gravidanza Rossella Elisei, Pisa Carcinoma e morbo di Basedow Antonino Belfiore, Catanzaro Carcinoma ed età infantile Maria Segni, Roma Carcinoma e aree vulcaniche Gabriella Pellegriti, Catania Aula Magna Giovedì, 2 Dicembre 2010 h. 19.15 h. 20:00 Assemblea Generale AIT -­‐ Ratifica statuto -­‐ Presentazione candidature Aula Magna LETTURA MAGISTRALE Aula Magna Ipertiroidismo in gravidanza Aldo Pinchera, Pisa Moderatore: Francesco Trimarchi, Messina Riccardo Giorgino, Bari h. 20:30 Cocktail di benvenuto Venerdì, 3 Dicembre 2010 h. 08.00 INCONTRO CON L’ESPERTO MicroRNA in tiroide Alfredo Fusco, Napoli Aula Magna h. 08.45 Trattamento dell’ipertiroidismo in presenza di oftalmopatia Luigi Bartalena, Varese h. 9.45 Farmaci e tiroide Marco Centanni, Latina Il chirurgo ed il paziente Luciano Pezzullo, Napoli Chirurgia mini-­‐invasiva Piero Berti, Pisa Neuromonitoring intraoperatorio Gianlorenzo Dionigi, Varese Tiroidectomia e oftalmopatia basedowiana Roberto Rocchi, Pisa INCONTRO CON L’ESPERTO Ricerca di mutazioni per la diagnosi dei noduli tiroidei Silvia Cantara, Siena SIMPOSIO CLINICO ENDOCRINO-­‐CHIRURGICO Moderatori: Rocco Bellantone, Roma Maria Rosa Pelizzo, Padova Lucio Zarrilli, Napoli Aula Genovesi Aula Magna Venerdì, 3 Dicembre 2010 h. 11.30 SIMPOSIO MODELLI ANIMALI DI TIREOPATIE Moderatori: Roberto Di Lauro,Napoli Domenico Salvatore, Napoli Introduzione: Maria Stella Zannini, Napoli Modelli di embriogenesi Mario De Felice, Napoli Modelli di autoimmunità Cesidio Giuliani, Chieti Modelli di alterato metabolismo Monica Dentice, Napoli h. 11.15 SIMPOSIO TIROIDE E IPOFISI Moderatori: Anna Maria Colao, Napoli Enio Martino, Pisa GH e tiroide Salvatore Cannavò, Messina Sindromi da inappropriata secrezione di TSH Luca Persani, Milano Ipofisite autoimmune Isabella Lupi, Pisa h. 13.30 LUNCH E VISIONE POSTER guidata da: Marcello Bagnasco, Genova Maria Grazia Castagna, Siena Mauro Cignarelli, Bari Sandro Francavilla, L’Aquila Laura Fugazzola, Milano Claudio Giani, Pisa Rinaldo Guglielmi, Albano Laziale Claudio Marcocci, Pisa Fabio Orlandi, Torino Maria Laura Tanda, Varese Aula Magna Aula Genovesi Venerdì, 3 Dicembre 2010 h. 14.30 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Aula Magna Moderatori: Paolo Beck-­‐Peccoz, Milano Alfredo Pontecorvi, Roma CO.1 NEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) L’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DELLA TG DOSATA CON METODICA ULTRASENSIBILE NON E’ DIFFERENTE TRA PAZIENTI A “BASSO RISCHIO” ED AD “ALTO RISCHIO” DI RECIDIVA/ MORTALITA’ V. Belardini, M.G. Castagna, C. Cipri, F. Maino, A. Theodoroupolou, C. Fioravanti, F. Sestini, L. Pasqui, S. Memmo, F. Pacini (Siena) CO.2 CONFRONTO DELL’EFFICACIA TERAPEUTICA DI ALTE E BASSE ATTIVITA’ DI IODIO RADIOATTIVO NEL TRATTAMENTO DEL RESIDUO TIROIDEO POST-­‐CHIRURGICO IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) C. Cipri, M.G. Castagna, F. Maino, V. Belardini, A. Theodoroupolou, S. Memmo, F. Pacini (Siena) CO.3 PROGNOSI DEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE DIAGNOSTICATO DURANTE LA GRAVIDANZA S. Corvisieri, F. Arecco, E. Saggiorato, B. Puligheddu, F. Orlandi (Torino) CO.4 LA MUTAZIONE V600E DI BRAF IN CARCINOMI PAPILLARI SU AGOASPIRATI PROCESSATI IN FASE LIQUIDA G. Fadda, E.D. Rossi, M. Martini, S.M. Corsello, C.P. Lombardi, A.M. Ferrara, I. Pennacchia, A. Pontecorvi, A.Prete, V. Luotto, M. Raffaelli, G. Rindi (Roma) CO.5 CARATTERIZZAZIONE DELLA VASCOLARIZZAZIONE INTRANODALE DI LESIONI TIROIDEE MEDIANTE ULTRASONOGRAFIA TRIDIMENSIONALE CON ECOAMPLIFICATORI F. Ragazzoni, M. Deandrea, F. Molinari, A. Mantovani, F. Garino, E. Gamarra, A. Mormile, G. Magliona, A. Grassi, R.Garberoglio, P.P. Limone (Torino) CO.6 MICROCARCINOMI PAPILLIFERI DELLA TIROIDE (PTMC) “VERY LOW RISK”: QUALE TRATTAMENTO E FOLLOW-­‐UP? M. Torlontano, M. Attard, C. Durante, M. Massa, U. Crocetti, G. Ronga, T. Montesano, F. Monzani, G. Costante, S. Tumino, D. Meringolo, M. Ferdeghini, R. Bruno, S. Filetti (San Giovanni Rotondo-­‐Fg, Palermo, Roma, Pisa, Catanzaro, Catania, Bologna, Verona, Pisticci-­‐Mt) Venerdì, 3 Dicembre 2010 CO.7 L’IMPIEGO DI UN METODO ULTRASENSIBILE DI DOSAGGIO DELLA TG NEL FOLLOW-­‐UP DI PAZIENTI CON CARCINOMA TIROIDEO NECESSITA UNA RIVISITAZIONE DEL CUT OFF DI NEGATIVITA’ L. Valerio, D. Taddei, C. Nencetti, E. Molinaro, L. Agate, D. Viola, A. Pinchera, L. Grasso, R. Elisei (Pisa) h. 14.30 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Aula Genovesi Moderatori: Piernicola Garofalo, Palermo Francesco Nardi, Roma CO.8 NELLE CELLULE TIROIDEE LA CASCATA DELL’ACIDO ARACHIDONICO/5-­‐LIPOSSIGENASI E’ COINVOLTA NELLA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE DEL GENE NIS DA PARTE DEL RECETTORE PURINERGICO I. Bucci, C. Giuliani, S. Di Santo, G. Napolitano, F. Monaco (Chieti-­‐Pescara) CO.9 IDENTIFICAZIONE E ANALISI FUNZIONALE DI NUOVE MUTAZIONI DEL DUOX2 IN BAMBINI CON IPOTIROIDISMO CONGENITO O IPOTIRODISMO SUBCLINICO, TIROIDE IN SEDE E DIFETTO DI ORGANIFICAZIONE A. Molinaro, G. De Marco, P. Agretti, L. Montanelli, B. Bagattini, M. De Servi, L. Russo, A. Dimida, F. Niccolai, C. Ceccarelli, F. Brozzi, A. Pinchera, P. Vitti, M. Tonacchera (Pisa) CO.10 ESPRESSIONE DELLA INDOLEAMINA 2,3 DIOSSIGENASI NEL CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE: STUDIO DELLA SUA CORRELAZIONE CON LE CARATTERISTICHE CLINICO-­‐PATOLOGICHE E LA GENETICA DEL TUMORE S. Moretti, P. Voce, G. Pucella, S. Romagnoli, M. Sponziello, R. Colella, S. Filetti, N. Avenia, A. Cavaliere, E. Puxeddu (Perugia, Roma) CO.11 L’UTILIZZO DI UN PANNELLO DI MARCATORI GENETICI AIUTA A DISCRIMINARE I NODULI TIROIDEI BENIGNI E MALIGNI CON UNA CITOLOGIA MICROFOLLICOLARE ALL’AGOASPIRATO IN UN’AREA A MODERATA CARENZA IODICA F. Niccolai, T. Rago, P. Agretti, A. Molinaro, M. Scutari, R. Musmanno, G. Di Coscio, F. Basolo, P. Iacconi, P. Miccoli, A. Pinchera, P. Vitti, M. Tonacchera (Pisa) Venerdì, 3 Dicembre 2010 CO.12 IL POLIMORFISMO V109G DI P27 KIP1 COME NUOVO FATTORE PROGNOSTICO NEL CARCINOMA MIDOLLARE SPORADICO DELLA TIROIDE D. Pasquali, L. Circelli, A. Faggiano, M. Pancione, A. Renzullo, R. Elisei, C. Romei, G. Accardo, V. Sacco, F. Grimaldi, P. Ferolla, A . Colao, V. Colantuoni (Napoli, Benevento, Pisa, Perugia, Udine) CO.13 ALTERAZIONI GENETICHE NEL CARCINOMA ANAPLASTICO E SCARSAMENTE DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE A. Tacito, A. Di Pasquale, C. Romei, E. Molinaro, L. Agate, A. Pinchera, R. Elisei (Pisa) CO.14 I NODULI TIROIDEI BENIGNI CHE PRESENTANO L’ONCOGENE RET/PTC CRESCONO PIU’ RAPIDAMENTE M.R. Sapio, A. Guerra, V. Marotta, E. Campanile, R. Formisano, M. Deandrea, M. Motta, P.P. Limone, G. Fenzi, G. Rossi, M. Vitale (Napoli, Torino, Salerno) CO.15 CHIRURGIA PRECOCE E PROFILATTICA NEL CARCINOMA MIDOLLARE EREDITARIO DELLA TIROIDE (CMT) F. Torresan, C. Pagetta, A. Toniato, C. Bernardi, N. Sorgato, C. Mian, M.R. Pelizzo h. 16.00 LETTURA MAGISTRALE Thyroid Hormone Analogues: Promise and Pitfalls Paul William Ladenson, Washington (USA) Moderatori: Gaetano Lombardi, Napoli Aldo Pinchera, Pisa Aula Magna Venerdì, 3 Dicembre 2010 h. 17.00 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Moderatori: Franco Mantero, Padova Fausto Santeusanio, Perugia Aula Magna CO.16 STUDIO CLINICO SPERIMENTALE INTERNAZIONALE DI FASE 2/3 CON FOSBRETABULINA (CA4P) ASSOCIATA A CARBOPLATINO E PACLITAXEL IN PAZIENTI CON CARCINOMA ANAPLASTICO DELLA TIROIDE A. Biagini, E. Molinaro, L. Licitra, L. Pezzullo, H. Koussis, A. Pinchera, R. Elisei (a nome di tutti gli altri centri internazionali partecipanti) (Pisa, Milano, Napoli, Padova) CO.17 LIVELLI SIERICI DI FT3 NELL’IPERPARATIROIDISMO PRIMARIO F. Cesario, M. Pellegrino, C. Baffoni, F. Tassone, L. Gianotti, C.G. Croce, G. Magro, G. Borretta (Cuneo) CO.18 ASSENZA DI FOLLICOLI FUNZIONANTI RESIDUI IN DONNE CON TIREOPATIA AUTOIMMUNE AFFETTE DA INSUFFICIENZA OVARICA PRIMARIA A. Dello Iacovo, E. Pane, C. Colella, E. Lucci, S. Marzotti, G. Bellastella, A.A. Sinisi, A. Bizzarro, A. Bellastella, A. Falorni, A. De Bellis (Napoli, Perugia) CO.19 LA FREQUENZA DEL CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE DIAGNOSTICATO CITOLOGICAMENTE È PIÙ ALTA NEI PAZIENTI CON TIROIDITE DI HASHIMOTO CHE IN QUELLI CON GOZZO NODULARE: RUOLO DEL TSH ED EFFETTI DEL TRATTAMENTO CON L-­‐TIROXINA. E. Fiore, T. Rago, P. Latrofa, M.A. Provenzale, P. Piaggi, A. Delitala, M. Scutari, F. Basolo, G. Di Coscio, L. Grasso, A. Pinchera, P. Vitti (Pisa) CO.20 ANALISI CELLULARE E MOLECOLARE DEGLI EFFETTI ANTIPROLIFERATIVI DI DIVERSI ANALOGHI DEL CAMP SU MODELLI DI CARCINOMI EPITELIALI SCARSAMENTE DIFFERENZIATI E. Stellaria Grassi, S. Lucchi, T. de Filippis, M.O. Borghi, L. Persani (Milano) CO.21 IL SEGNALE DEL cAMP/PKA REGOLA IL METABOLISMO PERIFERICO DEGLI ORMONI TIROIDEI C. Luongo, M. Dentice, F. Ambrosio, L. Trevisani, M.G. Langella, F. Alfano, G. Fenzi, D. Salvatore (Napoli) Venerdì, 3 Dicembre 2010 CO.22 LA STIMOLAZIONE CON Rh-­‐TSH PUO’ MIGLIORARE LA SENSIBILITA’ DIAGNOSTICA DALLA 18FDG-­‐PET/TC NEI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE IN PROGRESSIONE R. Rossi, P. Franceschetti, M.C. Zatelli, L.M. Feggi, S. Lunardon, G. Trasforini, S. Leoni, E.C. degli Uberti (Ferrara) h. 17.00 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Moderatori: Salvatore Benvenga, Messina Raffaele Volpe, Napoli Aula Genovesi CO.23 LA TERMO-­‐ABLAZIONE LASER PER NODULI TIROIDEI BENIGNI DI GROSSE DIMENSIONI G. Amabile, B. Pirali, S. Chytiris, L. Agozzino, M. Lanza, L. Buonanno, B. Di Filippo, R. Fonte, M. Rotondi, L. Chiovato CO.24 DIVERSA DISTRIBUZIONE DELLE CLASSI CITOLOGICHE CON APPROCCIO SELETTIVO O NON SELETTIVO DELL’AGO-­‐ASPIRATO (FNAB) TIROIDEO F. Boi, M.L. Lai, E. Tamponi, G. Faa, P.G. Calò, A. Nicolosi, S. Mariotti (Cagliari) CO.25 IPOTIROIDISMO CONGENITO CAUSATO DA UNA NUOVA MUTAZIONE OMOZIGOTE DEL GENE DELLA TIREOPEROSSIDASI G. De Marco, P. Agretti, M. Chittani, E. Ferrarini, A. Dimida, F. Niccolai, A. Molinaro, M. De Servi, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera (Pisa) CO.26 LA DESIODASI DI TIPO 2 REGOLA I PROCESSI DI MIOGENESI E RIGENERAZIONE MUSCOLARE M. Dentice, R. Ambrosio, C. Luongo, A. Sibilio, V. Damiano, L. Trevisani, A. De Stefano, G. Fenzi, D. Salvatore (Napoli) CO.27 FUNZIONE TIROIDEA IN PAZIENTI CON MALATTIA DI FABRY PRIMA E DOPO LA TERAPIA ENZIMATICA SOSTITUTIVA A. Faggiano, V. Ramundo, R. Severino, F. Milone, A. Pisani, R. Russo, M. Gasperi, G. Lombardi, B. Cianciaruso, A. Colao (Napoli, Campobasso) Venerdì, 3 Dicembre 2010 CO.28 STUDIO MOLECOLARE DI UNA NUOVA MUTAZIONE DI NKX2.1 IDENTIFICATA IN UNA FAMIGLIA CON COREA FAMILIARE BENIGNA, DISTRESS RESPIRATORIO ED IPOTIROIDISMO. I.C. Nettore, A.M. Ferrara, A. Sibilio, V. Pagliara, K.C.S. Kamoi, P.J. Lorenzoni, L.C. Werneck, I. Bruck, L. Coutinho, D. Salvatore, G. Fenzi, R.H. Scola, P.E. Macchia (Napoli, Parana-­‐Brazil) CO.29 ESPRESSIONE DEL GENE DELLA TIREOPEROSSIDASI NEL CARCINOMA DELLA MAMMELLA V. Rosellini, E. Fiore, I. Muller, E.Giustarini, V. Belardi, S. Sabatini, N. Funel, D. Campani, A. Pinchera, C. Giani (Pisa) h. 18.30 Assemblea Generale AIT h. 20.30 Cena Sociale Sabato, 4 Dicembre 2010 h. 08.00 INCONTRO CON L’ESPERTO Tecnologie-­‐Omics e Cancro della Tiroide Libero Santarpia, Messina Aula Magna h. 08.45 La terapia soppressiva nel gozzo nodulare: pro e contro Bernadette Biondi, Napoli Terapia bersaglio nei tumori tiroidei Francesca Carlomagno, Napoli h. 09.30 SIMPOSIO LA IODOPROFILASSI NEL 2010 Moderatori: Fabrizio Monaco, Chieti Giovannangelo Oriani, Campobasso Introduzione: Paolo Vitti, Pisa Iodio e alimentazione Paolo Stacchini, Roma Ottimizzazione dell’assunzione nutrizionale di iodio: metodi alternativi al sale iodato Massimo Tonacchera, Pisa L’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia Antonella Olivieri, Roma TAVOLA ROTONDA La Iodoprofilassi in Italia: dati epidemiologici Moderatori: Antonio Bellastella, Napoli Gianfranco Fenzi, Napoli Coordinatore: Fabrizio Aghini-­‐Lombardi, Pisa Sebastiano Andò, Lucia Antonangeli, Marcello Bagnasco, Pasquale Bellitti, Mauro Cignarelli, Eduardo Consiglio, Mariarosaria Cristofaro, Massimino D’Armiento, Giulio Doveri, Ettore degli Uberti, Fabrizio Franzellin, Franco Mantero, Stefano Mariotti, Mariacarla Moleti, Giorgio Napolitano, Fabio Orlandi, Concetto Regalbuto, Fausto Santeusanio, Augusto Taccaliti, Maria Laura Tanda INCONTRO CON L’ESPERTO Le tireopatie autoimmuni Corrado Betterle, Padova Aula Genovesi Aula Magna Sabato, 4 Dicembre 2010 h. 11.45 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Moderatori: Eduardo Consiglio, Napoli Stefano Mariotti, Cagliari Aula Magna CO.30 PESCOPAGANO 15 ANNI DOPO: E’ CAMBIATA LA FREQUENZA DELLE TIROPATIE A SEGUITO DELLA PROFILASSI IODICA? F. Aghini-­‐Lombardi, M. Frigeri, A. Provenzale, L. Antonangeli, T. Rago, M. Tonacchera, L. Montanelli, E. Fiore, M. Scutari, F. Niccolai, A. Molinaro, B. Bagattini, L. Puleo, A. Dimida, A. Pinchera, P. Vitti (Pisa) CO.31 ASSOCIAZIONE TRA AUTOIMMUNITA’ E CARCINOMA DELLA TIROIDE: RECENTI CONFERME DA UN NUOVO STUDIO PROSPETTICO F. Boi, A. Borghero, M.L. Lai, S. Casula, I. Maurelli, P.G. Calò, A. Nicolosi, S. Mariotti (Cagliari) CO.32 EFFICACIA DELLA TECNICA High Resolution Melting PER L’IDENTIFICAZIONE DI MUTAZIONI SOMATICHE DI RAS in AGOASPIRATI TIROIDEI ECOGUIDATI M. Buratto, G. Trasforini, S. Leoni, F. Tagliati, D. Beccati, R. Rossi, E. degli Uberti, M.C. Zatelli (Ferrara) CO.33 INTERAZIONE COSTIMOLATORIA TRA UNITÀ CONDROITIN 6-­‐
SOLFATO DELLA TIREOGLOBULINA UMANA E CD44 ALLA SUPERFICIE DELLE CELLULE T CD4+ NELLA TIROIDITE AUTOIMMUNE SPERIMENTALE G. Cetrangolo, A. Arcaro, M. Galgani, D. D’Angelo, F. Fulciniti, G. Barrera, S. Formisano, F. Gentile (Campobasso, Napoli, Torino) CO.34 LA PRESENZA DELLA VITILIGINE MODIFICA IL PATTERN CITOCHINICO INTRALINFOCITARIO NEI PAZIENTI CON TIROIDITE CRONICA LINFOCITARIA S.C. Del Duca, M.G. Santaguida, N. Brusca, M. Cellini, C. Virili, L. Gargano, M. Centanni (Roma, Latina) CO.35 CARCINOMA PAPILLIFERO TIROIDEO: CARATTERISTICHE CLINICHE, ISTOPATOLOGICHE ED EVOLUZIONE CLINICA NEI TUMORI T1A VS. T1B G. Pellegriti, P. Malandrino, A. Spadaro, A. Latina, C. Scollo, A. Belfiore (Catania, Catanzaro) Sabato, 4 Dicembre 2010 CO.36 ANALISI IMMUNOISTOCHIMICA DELL’ESPRESSIONE DELL’EPIDERMAL GROWTH FACTOR RECEPTOR (EGFR) E DI HER 2 NEL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE (MTC) R.M. Ruggeri, A. Simone, G. Giuffrè, G. Tuccari, R.R de Krijger, S. Benvenga, F. Trimarchi (Messina, Rotterdam-­‐NL) h. 11.45 COMUNICAZIONI ORALI IN SESSIONI PARALLELE Aula Genovesi Moderatori: Francesco Vermiglio, Messina Ettore degli Uberti, Ferrara CO.37 UTILITA’ DEGLI ANTICORPI STIMOLANTI ANTI-­‐RECETTORE DEL TSH PER LA PROGNOSI DELLA MALATTIA DI GRAVES M. Carpentieri, B. Di Nenno, V. Congedo, A. De Remigis, I. Bucci, F. Monaco, G. Napolitano (Chieti-­‐Pescara) CO.38 LA SINDROME DI PENDRED E’ UNA MALATTIA POLIGENICA? ANALISI MOLECOLARE DI 4 GENI CANDIDATI E CORRELAZIONI GENOTIPO-­‐FENOTIPO V. Cirello, M. Muzza, P. Castorina, A. Maffini, P. Beck-­‐Peccoz, L. Fugazzola (Milano) CO.39 LA RAPIDITA’ DI AZIONE DEL RITUXIMAB NELL’ORBITOPATIA BASEDOWIANA (OB) PUO’ ESSERE MEDIATA DALLA FAGOCITOSI INDOTTA DA MACROFAGI D. Covelli, G. Vannucchi, N. Currò, S. Rossi, J. Golay, P. Bonara, C. Guastella, L. Pignataro, M. Introna, P. Beck-­‐Peccoz, M. Salvi (Milano, Bergamo) CO.40 NORMAL AND CANCER THYROID PROGENITOR CELLS: ROLE OF INSULIN RECEPTOR ISOFORMS AND INSULIN-­‐LIKE GROWTH FACTOR RECEPTOR IN GROWTH AND DIFFERENTIATION R. Malaguarnera, F. Frasca, A. Garozzo, F. Gianì, G. Pandini, V. Vella, R. Vigneri, A. Belfiore (Catanzaro, Catania) CO.41 LOCALIZZAZIONE E FUZIONE DI PKC-­‐bII IN LINEE CELLULARI TIROIDEE D. Molè, F. Tagliati, E. degli Uberti, M.C. Zatelli (Ferrara) Sabato, 4 Dicembre 2010 CO.42 IL SUNITINIB INIBISCE LA PROLIFERAZIONI DI LINEE CELLULARI DI CARCINOMA TIROIDEO BRAF E RAS WILD TYPE A. Piscazzi, A. Fabiano, F. Maddalena, M.I. Natalicchio, R. Antonetti, M. Landriscina, M. Cignarelli (Foggia) CO.43 L'ESPRESSIONE DI LAIR-­‐2 (LEUKOCYTE-­‐ASSOCIATED RECEPTOR-­‐2) È AUMENTATA NEI PAZIENTI CON AUTOIMMUNITÀ TIROIDEA: UN ALTRO POSSIBILE RECETTORE SOLUBILE COINVOLTO NELL'ALTERATA IMMUNOREGOLAZIONE D. Saverino, L. Camerieri, I. Calamia, D. Lanaro, E.M. Ceresola, M. Schiavo, M. Bagnasco (Genova) h. 13.15 Premiazioni poster e chiusura Congresso Comunicazioni Orali CO.1 NEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) L’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DELLA TG DOSATA CON METODICA ULTRASENSIBILE NON E’ DIFFERENTE TRA PAZIENTI A “BASSO RISCHIO” ED AD “ALTO RISCHIO” DI RECIDIVA/ MORTALITA’ V. Belardini, M.G. Castagna, C. Cipri, F. Maino, A. Theodoroupolou, C. Fioravanti, F. Sestini, L. Pasqui, S. Memmo, F. Pacini Dipartimento di Medicina Interna Scienza Endocrino-­‐Metaboliche e Biochimica, Sezione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Siena Le metodiche ultrasensibili per il dosaggio della Tg (US-­‐Tg) hanno significativamente migliorato l’accuratezza diagnostica della Tg in corso di terapia ormonale (LT4-­‐Tg) nei pazienti con CDT. Obiettivo del presente lavoro è stato quello di valutare l’utilità di una nuova metodiche di dosaggio della Tg [Access Tg, SF di 0.11 ng/ml] nel follow-­‐up dei pazienti con CDT ad “alto rischio” e a “basso rischio” di recidiva e/o mortalità. Abbiamo studiato retrospettivamente 215 pazienti con valori indosabili di LT4-­‐Tg (<1.0 ng/ml, Immulite Tg) e AbTg negativi. Centosettantatre/215 (80.4%) erano in remissione, 17/215 (7.9%) presentavano malattia documentata e 25/215 (11.7%) avevano persistenza biochimica di malattia. Nei pazienti a “basso rischio” [111/215 (51.6%)] la LT4-­‐USTg aveva una sensibilità del 75%, una specificità del 91%, un valore predittivo positivo (VPP) del 25% ed un valore predittivo negativo (VPN) del 99%. Nei pazienti ad “alto rischio” [104/215 (48.4%)] la LT4-­‐USTg aveva una sensibilità dell’84.6%, una specificità del 79%, un VPP del 41% ed un VPN del 96.7%. La combinazione della LT4-­‐USTg con l’ecografia del collo aumentava la sensibilità ed il VPN al 100% in entrambi i gruppi. L’accuratezza diagnostica della LT4-­‐USTg non era differente tra pazienti al “alto rischio” e “basso rischio” sia quando si utilizzava la sola LT4-­‐Tg (p=0.06) che quando si usava la combinazione LT4-­‐USTg più ecografia del collo (p=0.08). In considerazione del basso VPP e del significativo numero di falsi positivi abbiamo eseguito il test di stimolo con TSH umano ricombinante (rhTSH) nei pazienti con valori dosabili di LT4-­‐USTg (>0.1 ng/ml e < 1.0 ng/ml). La USTg stimolata era indosabile (<1.0 ng/ml) nel 100% dei pazienti in remissione di malattia e dosabile nell’85.7% dei pazienti con malattia biochimica e nell’78.5% dei pazienti malattia documentata. In conclusione, in presenza di valori indosabili di LT4-­‐USTg (<0.1 ng/ml) e di negatività dell’ecografia del collo il paziente può essere considerato in remissione, indipendentemente da quella che è la classe di rischio iniziale. La determinazione della Tg stimolata resta ancora valida nel gruppo di pazienti con LT4-­‐USTg dosabile (>0.1 ng/ml ed <1.0 ng/ml) nei quali permette di discriminare tra pazienti in remissione e pazienti con persistenza di malattia. CO.2 CONFRONTO DELL’EFFICACIA TERAPEUTICA DI ALTE E BASSE ATTIVITA’ DI IODIO RADIOATTIVO NEL TRATTAMENTO DEL RESIDUO TIROIDEO POST-­‐CHIRURGICO IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) C. Cipri, M.G. Castagna, F. Maino,V. Belardini, A. Theodoroupolou, S. Memmo, F. Pacini Dipartimento di Medicina Interna Scienza Endocrino-­‐Metaboliche e Biochimica, Sezione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Siena Nel trattamento ablativo dei pazienti con CDT le recenti linee di consenso 131
internazionale consigliano la somministrazione basse attività di I nei pazienti a “basso rischio” mentre più alte attività sono raccomandate nei pazienti ad “alto rischio” di mortalità e/o recidiva di malattia Questa ultima indicazione non si basa tuttavia su evidenze scientifiche bensì sul parere di esperti. Abbiamo pertanto valutato l’outcome clinico di pazienti con CDT a 131
“basso” ed “alto rischio” correlandolo con l’attività di I somministrata al momento del trattamento ablativo post-­‐chirurgico [bassa attività (30-­‐50 mCi 131
131
di I) o alta attività (≥100 mCi di I)]. Abbiamo studiato retrospettivamente 540 pazienti trattati con tiroidectomia totale con o senza dissezione linfonodale. In accordo con quanto riportato nella consensus europea del 2006, 244/540 (45.1%) pazienti venivano classificati a “basso rischio” e 296/540 (54.9%) ad “alto rischio”. Al momento del primo controllo post-­‐
trattamento iniziale eseguito a distanza di circa un anno dalla terapia ablativa 131
con I, 213/244 (87.2%) pazienti a “basso rischio” risultavano in remissione senza differenze significative tra pazienti trattati con basse (88.1%) e alte 131
attività di I (86.2%) (p=0.74). Ad un follow-­‐up medio di 5.1±3.6 anni, 5/213 (2.3%) pazienti in remissione sviluppavano una recidiva di malattia, senza significative differenza tra pazienti trattati con basse (2.1%) ed alte attività di 131
I (2.4%) (p>0.99). Nel gruppo dei pazienti ad “alto rischio” 153/296 (51.6%) pazienti risultavano in remissione al momento del primo controllo post-­‐
ablazione senza differenze significative tra pazienti trattati con basse (48.9%) 131
e con alte attività (57.2%) di I (p=0.17). Ad un follow-­‐up medio di 5.3±3.4 anni una recidiva di malattia si osservava in 6/153 (3.9%) pazienti in remissione senza significative differenze tra pazienti trattati con basse (3.3%) 131
ed alte attività di (4.2%) I (p>0.99). I risultati di questo studio dimostrano 131
come in pazienti con CDT basse attività di I siano in grado di garantire una efficacia ablativa e un outcome clinico in corso di follow-­‐up sovrapponibile a 131
quelle osservata con alte attività di I sia in pazienti a “basso rischio” che ad “alto rischio” di recidiva/mortalità suggerendo quindi la possibilità di utilizzare 131
basse attività di I nella terapia ablativa del residuo tiroideo post-­‐chirurgico, indipendentemente dalla classe di rischio iniziale. CO.3 PROGNOSI DEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE DIAGNOSTICATO DURANTE LA GRAVIDANZA S. Corvisieri, F. Arecco, E. Saggiorato, B. Puligheddu, F. Orlandi Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Presidio Sanitario Gradenigo, Università degli Studi di Torino Premesse e obiettivi: La gravidanza è una condizione predisponenente l’incremento dimensionale e la comparsa ex novo dei noduli tiroidei; le cause sono ancora poco chiare e molteplici: il bilancio iodico negativo dovuto ad una maggiore clerance renale dello iodio, l’azione degli estrogeni sui recettori α (ERα) espressi dalle cellule tiroidee, l’ azione TSH simile della HCG e infine lo stimolo da parte di fattori di crescita (IGF-­‐1 e EGF). Il carcinoma differenziato della tiroide (DTC) rappresenta il secondo tumore più frequente diagnosticato durante la gravidanza. In letteratura la maggioranza dei lavori sono concordi nell’affermare che la gravidanza non incide negativamente sulla prognosi del DTC. Al contrario, un recente lavoro (Vannucchi et al. 2010) afferma che il DTC diagnosticato durante la gravidanza è associato ad una prognosi peggiore in termini di persistenza/recidiva di malattia (utilizzando i criteri delineati dalle linee guida Americane ed Europee ATA/ETA), a causa dello stimolo degli estrogeni sui recettori ERα espressi dalle cellule tumorali. Materiali e metodi: al fine di verificare i dati dello studio di Vannucchi et al. abbiamo effettuato uno studio retrospettivo su una casistica poco inferiore a quella dello studio in questione (92 donne con età inferiore a 45 anni al momento della diagnosi di DTC) e utilizzato i loro medesimi criteri di classificazione in 3 gruppi: in particolare, 43 donne appartengono al gruppo 1 (diagnosi di DTC avvenuta dopo almeno 1 anno dal parto), 3 donne sono inserite nel gruppo 2 (diagnosi di tumore avvenuta durante la gravidanza o nel primo anno dal parto) e infine 46 donne appartengono al gruppo 3 (nullipare o trattate per DTC prima della gravidanza). Tutte le pazienti sono state sottoposte a trattamento iniziale (tiroidectomia totale e terapia radiometabolica ablativa). Risultati: i nostri dati non dimostrano una differenza significativa in termini di persistenza o recidiva di malattia (seconda le linee guida ATA/ETA) tra i 3 diversi gruppi. In particolare, il 90.7%, il 100% e l’87% delle pazienti rispettivamente di ogni gruppo va incontro a remissione. Conclusioni: i nostri dati non confermano l’impatto della gravidanza sull’outcome del DTC e non confermano, dunque, i risultati di Vannucchi et al. Sono necessari studi multicentrici su casistiche maggiormente numerose per chiarire l’eventuale impatto prognostico della gravidanza sul DTC. CO.4 LA MUTAZIONE V600E DI BRAF IN CARCINOMI PAPILLARI SU AGOASPIRATI PROCESSATI IN FASE LIQUIDA G. Fadda, E.D.Rossi, M. Martini, S.M. Corsello*, C.P. Lombardi°, A.M. Ferrara, I. Pennacchia, A. Pontecorvi*, A.Prete*, V.Luotto*, M. Raffaelli°, G. Rindi Ist. di Anatomia e Istologia patologica, *Ist. di Endocrinologia ° Div. di Chirurgia Endocrina -­‐ Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione: Le mutazioni attivanti del gene BRAF sono frequenti nei carcinomi papillari tiroidei (PTC). La più frequente di esse coinvolge il locus V600E ed è stata identificata nel 70% dei casi di variante classica e nell’80% delle forme a cellule alte. Il riscontro della mutazione di BRAF in un carcinoma papillare diagnosticato in citologia in fase liquida (LBC) può risultare utile nel pianificare la terapia chirurgica di tali pazienti. Materiali e metodi: In 10 casi diagnosticati come carcinomi papillari tiroidei su agoaspirato allestito in LBC (ThinPrep 2000 Hologic Co, Marlborough MA) è stata ricercata la mutazione del gene BRAF. Il materiale aspirato e risciacquato nella soluzione emolitica e fissativa Cytolit è stato processato secondo le norme della casa produttrice, fissato in etanolo e colorato con Papanicolaou. L’estrazione del DNA è stata eseguita sul materiale residuo dopo LBC utilizzando il kit tissutale QIAamp (Qiagen, Hilden, Germany). Dopo l’amplificazione in PCR, il frammento contenente l’esone 11 e 15 di BRAF, è trattato con EXOSap (UBS, Sial, Roma) e direttamente sequenziato con il kit BigDye Terminato v3.1 (Applied Biosystem, Foster City, California) e i primers della amplificazione in PCR con un analizzatore genetico ABI PRISM 3100 (Applied Biosystems). Risultati: 6 casi su 10 hanno evidenziato la mutazione di BRAF. L’istologia ha definito che 3 sono risultati PTC variante classica e multifocali con metastasi linfonodali, 1 un microPTC intratiroideo e 2 varianti a cellule alte multifocali con metastasi linfonodali. I restanti 4 casi senza mutazione di BRAF, sono risultati 2 varianti follicolari di PTC, 1 carcinoma a cellule colonnari ed un PTC variante classica. Conclusioni: La mutazione del gene BRAF può essere identificata in modo affidabile su preparati citologici in LBC. Tale parametro mutazionale può essere utilizzato per prevedere il comportamento clinico dei carcinomi papillari in citologia e per consentire un corretto approccio chirurgico senza un successivo ulteriore aspirato. Musholt TJ. World J.Surg.2010.Jul 23. Mekel M. Am.J.Surg.2010;200:136-­‐43. CO.5 CARATTERIZZAZIONE DELLA VASCOLARIZZAZIONE INTRANODALE DI LESIONI TIROIDEE MEDIANTE ULTRASONOGRAFIA TRIDIMENSIONALE CON ECOAMPLIFICATORI F. Ragazzoni, M. Deandrea, F. Molinari*, A. Mantovani*, F. Garino, E. Gamarra, A. Mormile, G. Magliona, A. Grassi, R.Garberoglio, P.P. Limone A.O. Ordine Mauriziano di Torino – S.C. Endocrinologia; * Politecnico di Torino Background. La vascolarizzazione dei nodi tiroidei è utilizzata per differenziare la natura dei nodi stessi: quelli benigni tendono ad avere scarsa o assente vascolarizzazione intranodale, mentre i maligni dimostrano per lo più una interna vascolarizzazione intranodale. L’analisi mediante color doppler della vascolarizzazione, comunemente utilizzata, è tuttavia relativamente grossolana ed influenzata da componenti soggettive. L’utilizzo di ecoamplificatori è stato proposto per migliorare la diagnosi differenziale dei nodi tiroidei. Obiettivo: caratterizzare il pattern vascolare intranodale di lesioni tiroidee mediante ultrasonografia con ecoamplificatori, per identificare criteri che consentano una miglior discriminazione tra nodi benigni e maligni. Materiali e Metodi. Si sono analizzate dieci lesioni maligne (8 carcinomi papillari e 2 follicolari) e dieci benigne (5 adenomi follicolari e 5 strumi). La scansione ultrasonografica 3D è stata effettuata con una sonda lineare 7-­‐11 MHz dopo somministrazione di 2.5 ml di SonoVue (Bracco, Milano). I volumi 3D sono stati elaborati mediante una tecnica originale che utilizza algoritmi di segmentazione e scheletrizzazione in grado di: a) ricostruire il pattern vascolare intranodale; b) rappresentare in 3D il pattern ricostruito; c) calcolare 7 parametri descrittivi della vascolarizzazione intranodale: 1) numero di alberi vascolari distinti (NT); 2) numero di diramazioni degli alberi (NB); 3) densità vascolare (VD); 4) raggio medio dei vasi (MR); 5) tortuosità planare dei vasi (DM); 6) tortuosità 3D dei vasi (SOAM); 7) numero di flessi dei vasi (ICM). Risultati: le lesioni maligne sono maggiormente vascolarizzate e caratterizzate da valori significativamente (p<0.05) superiori di NT (76.0±38.8 vs. 33.2±27.4, media±DS), VD (0.03±0.01 vs 0.01±0.01.), NB (1385.0±797.7 vs. 659.0±982.8), SOAM (25.9±13.4 vs. 10.8±7.3). Conclusioni: questo è il primo studio a fornire una valutazione quantitativa della vascolarizzazione intranodale, ottenuta mediante 7 descrittori di numerosità, dimensione, e decorso dei vasi. Le lesioni maligne hanno un pattern vascolare specifico, costituito per lo più da vasi neoformati, con elevato numero di ramificazioni e decorso irregolare. La metodologia 3D ecoamplificata consente l’analisi della vascolarizzazione dei vasi con una sensibilità superiore al tradizionale Color Doppiere, e potrebbe fornire parametri ulteriori per una più accurata classificazione dei noduli sulla base del loro pattern vascolare. CO.6 MICROCARCINOMI PAPILLIFERI DELLA TIROIDE (PTMC) “VERY LOW RISK”: QUALE TRATTAMENTO E FOLLOW-­‐UP? M. Torlontano 1, M. Attard 2, C. Durante 3, M. Massa 1, U. Crocetti 1, G. Ronga 3, T. Montesano 3, F. Monzani 4, G. Costante 5, S. Tumino 6, D. Meringolo 7, M. Ferdeghini 8, R. Bruno 9, S. Filetti 3 U.U.O.O. di Endocrinologia: 1 IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo, 2 Osp. Cervello, Palermo; Dpt. di: 3 Scienze Cliniche, Univ. “Sapienza”, Roma, 4 Medicina Interna, Univ. Pisa, 5 Medicina Clinica e Sperimentale, Univ. Catanzaro, 6 Scienze Biomediche, Univ. Catania; 7 U.O. Endocrinologia, Osp. Bentivoglio, Bologna; 8 Dpt. Scienze Morfologico-­‐
Biomediche, Univ. Verona, 9 U.O. Endocrinologia, Osp. Tinchi-­‐Pisticci, Matera La maggior parte dei PTMC (<1 cm) sono tumori indolenti a basso rischio di recidiva, ma circa il 25% può presentare un fenotipo aggressivo. Il follow-­‐up post-­‐operatorio di questi paz. è tuttora controverso. Scopo dello studio: valutare l’utilizzo di criteri clinici atti ad identificare i paz. PTMC ” a rischio molto basso” di persistenza/recidiva e definire la strategia ottimale di trattamento e follow-­‐up a lungo termine. Pazienti: 312 PTMC unifocali consecutivi, senza familiarità o storia d’irradiazione del capo-­‐collo, pT1N0M0, senza superamento della capsula tiroidea, con un follow-­‐up di almeno 5 aa. Tutti i paz. erano stati sottoposti a tiroidectomia quasi-­‐totale, con successiva ablazione del residuo in 137 (44%, Gruppo RAI) e sottoposti annualmente ad ecografia del collo (ETG) e dosaggi di tireoglobulina (Tg), anti-­‐tireoglobulina e TSH. Risultati: Nel corso del follow-­‐up (5-­‐23 aa, mediana 6.7 aa) nessun paziente è stato sottoposto a re-­‐intervento o è deceduto. L’ETG iniziale (6-­‐12 mesi dopo il trattamento iniziale) e finale sono risultate negative in tutti i casi. I livelli finali di Tg erano <1 ng/ml in tutti i paz. del Gruppo RAI e in 163/175 (93%) del Gruppo non-­‐RAI. I livelli di Tg non erano correlati con quelli di TSH in entrambi i gruppi e nei 12 paz. Tg-­‐positivi sono risultati stabili o in decremento in tutti i casi, senza alcuna evidenza di malattia. Conclusioni: l’utilizzo di criteri clinici è in grado di identificare i paz. PTMC ad altissima probabilità di guarigione definitiva dopo l’intervento iniziale. In questo gruppo di pazienti (circa il 75% di tutti i PTMC) l’ablazione del residuo con radioiodio e la soppressione del TSH non appaiono necessari: anche in assenza di tali procedure, i livelli di Tg diventano indosabili entro 5 anni nella stragrande maggioranza dei casi. L’ecografia del collo si conferma il presidio fondamentale del follow-­‐up: se negativa al primo controllo è fortemente indicativa di guarigione e probabilmente non più necessaria come controllo annuale, almeno dopo i primi 5 anni. Complessivamente, i nostri dati indicano che un’accurata stratificazione del rischio permette l’utilizzazione di un protocollo sicuro e poco aggressivo nella grande maggioranza dei pazienti con PTMC. CO.7 L’ IMPIEGO DI UN METODO ULTRASENSIBILE DI DOSAGGIO DELLA TG NEL FOLLOW UP DI PAZIENTI CON CARCINOMA TIROIDEO NECESSITA UNA RIVISITAZIONE DEL CUT OFF DI NEGATIVITA’ L. Valerio, D. Taddei, C. Nencetti, E. Molinaro, L. Agate, D. Viola, A. Pinchera, L. Grasso, R. Elisei Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa La tireoglobulina sierica (Tg) è l’unico marcatore di persistenza/recidiva di malattia nel follow-­‐up del carcinoma differenziato della tiroide (CDT) dopo il trattamento chirurgico iniziale e la terapia radioablativa del residuo. La sensibilità è ridotta se misurata sotto terapia soppressiva con L-­‐tiroxina e tale problema può essere superato solo mediante stimolazione con TSH e quindi eseguendo una misurazione in ipotiroidismo o dopo stimolazione con TSH umano ricombinante. L’impiego di un metodo di misurazione più sensibile potrebbe evitare la necessità della stimolazione con TSH. E’ noto tuttavia che l’aumento della sensibilità avviene spesso a scapito della specificità. Obiettivo di questo studio è stato quello di comparare due metodi di dosaggio della Tg sierica (Immulite e Beckmann) che hanno sensibilità funzionale rispettivamente di 0,5 ng/ml e 0,1ng/ml. A questo scopo abbiamo confrontato il dosaggio della Tg eseguito con entrambi i metodi in 88 pz affetti da CDT ed in follow up attivo presso il nostro Dipartimento, valutati a distanza di 6-­‐12 mesi. In tutti i pazienti il 1° dosaggio era stato eseguito con Tg Immulite (Tg-­‐I) ed il secondo con Tg Beckmann (Tg-­‐B). In 81/88 (92%) casi la Tg-­‐I era < 0,5 ng/ml. Di questi 81 casi, considerati in remissione clinica di malattia proprio sulla base dei valori di Tg-­‐I e delle altre caratteristiche cliniche e strumentali, 32/81(39,5%) mostravano una Tg-­‐B < 0,1 ng/ml, 47/81 (58%) mostravano una Tg-­‐B compresa tra 0,1 e 0,5 ng/ml e 2/81 (2,4%) mostravano una Tg-­‐B > 0,5 ng/ml (1ng/ml e 1,2 ng/ml rispettivamente). Infine in 7/88 (7,9%) dei casi la Tg-­‐I era >0,5 ng/ml e la Tg-­‐B era rispettivamente di 0,1 ng/ml, 0,2 ng/ml, 0,5 ng/ml; 0,6 ng/ml, 0,7 ng/ml, 1,2 ng/ml e 2 ng/ml, senza alcuna correlazione tra loro. In conclusione, da questo studio si conferma che la maggiore sensibilità di Tg-­‐
B avviene a scapito di una riduzione di specificità dato che 49/81 (60%) casi definiti guariti con Tg-­‐I risultavano “positivi” con Tg-­‐B e quindi teoricamente da sottoporre a ulteriori indagini e/o trattamenti. Pertanto volendo utilizzare il metodo Tg-­‐B ma allo stesso tempo evitare trattamenti inopportuni occorrerà riconsiderare il cut-­‐off di negatività della Tg-­‐B fino almeno a < 0,5 ng/ml: in questo caso solo 2 soggetti degli 81 considerati guariti sarebbero risultati “positivi” e meritevoli di ulteriori indagini. CO.8 NELLE CELLULE TIROIDEE LA CASCATA DELL’ACIDO ARACHIDONICO/5-­‐LIPOSSIGENASI E’ COINVOLTA NELLA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE DEL GENE NIS DA PARTE DEL RECETTORE PURINERGICO I. Bucci, C. Giuliani, S. Di Santo, G. Napolitano, F. Monaco Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina and Scienze dell’Invecchiamento, Università "G. D'Annunzio" Chieti-­‐Pescara e Centro Scienze dell’Invecchiamento (CeSI) Fondazione Università "Gabriele D'Annunzio" 66013 Chieti L’attività e l’espressione del gene per il cotrasportatore Na+/I-­‐ (NIS) nelle cellule tiroidee sono indotte dal sistema TSH/AMPc. La regolazione di NIS da parte del AMPc coinvolge sia processi PKA-­‐dipendenti che PKA-­‐indipendenti. In precedenti studi abbiamo osservato che nelle cellule tiroidee trattate con TSH o forskolin la via dell’acido arachidonico/5 lipossigenasi e’ coinvolta nella regolazione del gene NIS. E’ noto, da molti anni, che il gene NIS puòessere indotto nei tireociti anche da segnali indipendenti dal recettore del TSH quale l’attivazione del recettore purinergico. Non e’ tuttora noto quali meccanismi di trasduzione sono coinvolti in questo processo. A tale scopo abbiamo trattato le cellule FRTL-­‐5, in assenza di TSH, con un agonista del recettore purinergico: la N6-­‐(L-­‐2-­‐fenilisopropil) adenosina (PIA) e abbiamo valutato l’effetto di diversi inibitori della cascata dell’acido arachidonico sull’espressione del gene NIS. Il trattamento delle cellule con ETYA, inibitore della fosfolipasi A2 (PLA2), determina una inibizione dell’espressione del gene NIS. Trattando le cellule con un inibitore specifico per la via della lipoossigenasi, NDGA, si riscontra una riduzione più marcata, analoga all’effetto di uno specifico inibitore della 5-­‐lipoossigenasi l’MK-­‐886. Tali osservazioni suggeriscono un coinvolgimento del sistema acido arachidonico/5-­‐lipoossigenasi nell’induzione di NIS da parte del recettore purinergico. Ulteriori studi sono in corso per confermare il ruolo della cascata dell’acido arachidonico nella regolazione del gene NIS. CO.9 IDENTIFICAZIONE E ANALISI FUNZIONALE DI NUOVE MUTAZIONI DEL DUOX2 IN BAMBINI CON IPOTIROIDISMO CONGENITO O IPOTIRODISMO SUBCLINICO, TIROIDE IN SEDE E DIFETTO DI ORGANIFICAZIONE A. Molinaro, G. De Marco, P. Agretti, L. Montanelli, B. Bagattini, M. De Servi, L. Russo, A. Dimida, F. Niccolai, C. Ceccarelli, F. Brozzi, A. Pinchera, P. Vitti, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Introduzione: L’ipotiroidismo congenito (IC), nel 15% dei pazienti, è associato con la presenza di gozzo o di una ghiandola in sede di normali dimensioni e, in questi casi, si associa a mutazioni nei geni coinvolti nella sintesi degli ormoni tiroidei tra cui il DUOX2 che è necessario per la organificazione dello iodio e le reazioni di perossidazione della TPO. Scopo: Eseguire una analisi dei geni TPO, DUOX2 e DUOXA2 in 11 bambini con difetto di organificazione dello iodio selezionati da un gruppo iniziale di 30 bambini con IC o ipotiroidismo subclinico diagnosticato durante l’infanzia, e tiroide in sede. Pazienti: 11 bambini (5 maschi e 6 femmine) di cui 8 neonati con IC e tiroide in sede di normali dimensioni e 3 bambini con ipotirodismo subclinico scoperto all’età di 3 anni. I bambini sono stati selezionati scegliendo solo quelli con evidenza di difetti di organificazione così come evidenziato dalla scintigrafia con 123I e test al perclorato. In particolare, 10 avevano un difetto di organificazione parziale e 1 un difetto completo. Metodi: In tutti I bambini sono stati sequenziati i geni TPO, DUOX2 e DUOXA2. Inoltre, le varianti del gene DUOX2 identificate sono state sottoposte a studio funzionale dopo espressione in cellule eucariotiche. Risultati: Il sequenziamento diretto del gene DUOX2 ha rivelato una delezione monoallelica di 4 nucleotidi (S965FsX994) in 3 bambini. Un bambino aveva tre mutazioni in eterozigosi H678R, R701Q e P982A sullo stesso allele. Un altro bambino aveva la mutazione P982A isolata. Un bambino aveva la mutazione Y1150C mentre un altro ospitava la mutazione A728T. Lo studio funzionale mostrava che la delezione e la Y1150C e la A728T causavano un difetto di organificazione. Non si osservava, invece, nessuna alterazione nella produzione di H2O2 quando venivano studiate le tre mutazioni H678R, R701Q e P982A. Nell’unico bambino con difetto completo di organificazione non sono state identificate mutazioni della TPO o del DUOX2. Conclusioni: Abbiamo eseguito una analisi genetica in 11 bambini con IC o ipotiroidismo subclinico e tiroide in sede, tutti con un difetto di organificazione. Sono state identificate 6 mutazioni puntiformi eterozigoti e una delezione eterozigote. Delle 5 mutazioni puntiformi, 3 risultavano essere sostanzialmente dei polimorfismi, 2 erano responsabili di un difetto parziale di organificazione mentre la delezione determinava una inibizione completa dell’organificazione. CO.10 ESPRESSIONE DELLA INDOLEAMINA 2,3 DIOSSIGENASI NEL CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE: STUDIO DELLA SUA CORRELAZIONE CON LE CARATTERISTICHE CLINICO-­‐PATOLOGICHE E LA GENETICA DEL TUMORE S. Moretti, P. Voce, G. Pucella, S. Romagnoli, M. Sponziello, R. Colella, S. Filetti, N. Avenia, A. Cavaliere, E. Puxeddu Dip. di Medicina Interna, Dip. di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Dip. Di Chirurgia, Università di Perugia, Perugia; Dip. di Scienze Cliniche, Università di Roma “La Sapienza”, Roma Introduzione: Indoleamina 2,3 diossigenasi (IDO) catalizza la degradazione del triptofano a chinurenina. La sua espressione è aumentata in alcuni tumori e nei linfonodi che li drenano, dove sembra sopprimere la risposta immunitaria anti-­‐tumorale. Scopo: Valutare l’importanza di IDO nella patogenesi dei carcinomi papillari della tiroide (PTC). Metodi: L’espressione di IDO è stata valutata, mediante QPCR, in 105 PTC e i risultati, normalizzati verso un pool di tiroidi normali (TN), sono stati correlati con le caratteristiche clinico-­‐patologiche e genetiche dei tumori. L’analisi IHC è stata condotta utilizzando un Ab anti-­‐IDO umano. Gli studi in vitro hanno previsto l’uso di linee cellulari caratterizzate dalla espressione inducibile di B-­‐
RafV600E (BRAF9.6) e Ret/PTC3 (PTC3-­‐5). Risultati: L’espressione di IDO è risultata significativamente maggiore nei PTC rispetto alle TN (media: 10.32±37.95, P=0.013). Nei PTC con infiltrazionelinfocitaria IDO è risultato significativamente maggiore rispetto a quelli senza infiltrato infiammatorio (mediane: 7.07 [0.88-­‐373.37] vs 1.84 [0.13-­‐45.48], P=0.0001); quest’ultimi hanno però evidenziato un’espressione di IDO ancora significativamente più elevata rispetto alle TN (media: 3.86±7.62, P=0.026). A conferma di ciò l’analisi IHC di IDO in campioni tumorali ha evidenziato che le cellule neoplastiche tiroideerappresentano il compartimento che principalmente esprime l’enzima. La correlazione tra espressione di IDO e le altre caratteristiche clino-­‐patologiche considerate non ha evidenziato invece associazioni consistentemente significative. Nei PTC B-­‐RafWT, l’espressione di IDO è risultata maggiore rispetto a quelli B-­‐RafV600E, con una P vicina alla significatività statistica (mediana: 3.80 [0.18-­‐373.37] vs 2.26 [0.13-­‐25.85], P=0.079). Questa evidenza ci ha indotto a valutare l’espressione di IDO in vitro nelle linee cellulari BRAF9.6 e PTC3-­‐5. Questa analisi ha dimostrato che IDO è fortemente indotto da Ret/PTC3, ma non da B-­‐RafV600E. Discussione: Questi dati dimostrano l’overespressione dell’enzima immunosoppressore IDO nei PTC. Per la prima volta in ambito oncologico viene poi evidenziata una regolazione genetica di questa molecola. Proponiamo un ruolo patogenetico di IDO nello sviluppo dei PTC. CO.11 L’UTILIZZO DI UN PANNELLO DI MARCATORI GENETICI AIUTA A DISCRIMINARE I NODULI TIROIDEI BENIGNI E MALIGNI CON UNA CITOLOGIA MICROFOLLICOLARE ALL’AGOASPIRATO IN UN’AREA A MODERATA CARENZA IODICA F. Niccolai, T. Rago, P. Agretti, A. Molinaro, M. Scutari, R. Musmanno, G. Di Coscio, F. Basolo, P. Iacconi, P. Miccoli, A. Pinchera, P. Vitti, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Introduzione: I noduli tiroidei sono la patologia tiroidea più comune, con un incidenza del 4-­‐7% nelle zone ad adeguato apporto iodico che aumenta marcatamente nelle aree a carenza iodica. La diagnosi citologica risulta indeterminata in circa il 10-­‐40% dei noduli, rendendo difficile la gestione di questi pazienti. Scopo dello studio: Valutare un pannello di 6 geni (TG, LGALS3, ADM3,TFF3, HGD1 e PLAB), e dimostrare il loro potenziale diagnostico nel distinguere i noduli tiroidei a citologia microfollicolare in benigni e maligni. Pazienti e metodi: 153 agoaspirati tiroidei ottenuti da 151 pazienti (112 femmine e 41 maschi) sono stati raccolti ed inclusi nello studio. Di questi sono risultati 56 noduli tiroidei benigni, 43 noduli tiroidei maligni e 54 a citologia microfollicolare. È stato estratto l’RNA totale dai campioni di agoaspirato e sono stati eseguiti studi quantitativi di espressione genica utilizzando TaqMan Gene Expression Assays. Per determinare le differenze di espressione dell’mRNA dei 6 geni nei noduli benigni e nei maligni è stata utilizzata la mediana di espressione di ogni singolo gene. Per effettuare una predizione della malignità dei 54 noduli ad architettura microfollicolare, abbiamo utilizzato un algoritmo PART. Veniva inoltre analizzato il gene BRAF per la mutazione V600E. Risultati: L’espressione dell’mRNA di TG, LGALS3, ADM3, TFF3, HGD1 e PLAB veniva dimostrato in tutti i 153 campioni. Nessuna differenza significativa veniva osservata nell’espressione di TG, LGALS3 e ADM3 tra i noduli benigni e maligni. Veniva invece dimostrata una significativa riduzione nell’espressione di TFF3 e HGD1 nei noduli maligni rispetto a quelli benigni, mentre un aumento dell’espressione di PLAB veniva dimostrata nei noduli tiroidei maligni. I risultati del modello decisionale del profilo di espressione dei tre geni nei 54 noduli ad architettura microfollicolare risultava valido per 37 di 54 casi (68,5%) con un totale di 8 falsi positivi (14,8%) e 9 falsi negativi (16,6%), quindi con una sensibilità del 43,7% ed una specificità del 78,9%. La mutazione V600E di BRAF in eterozigosi veniva dimostrata in 19 dei 43 noduli maligni (44%) in nessuno dei 56 noduli benigni e solamente in 1 dei 54 noduli micro follicolari (1,8%). Conclusioni: I profili di espressione genica di TFF3, HGD1 e PLAB consentono una buona predizione per differenziare i noduli tiroidei benigni dai maligni; tuttavia l’applicazione di questo metodo ha limitazioni quando applicato ai microfollicolari. CO.12 IL POLIMORFISMO V109G DI P27 KIP1 COME NUOVO FATTORE PROGNOSTICO NEL CARCINOMA MIDOLLARE SPORADICO DELLA TIROIDE D. Pasquali 1a, L. Circelli 2a, A. Faggiano 3, M. Pancione 2, A. Renzullo 1, R. Elisei 4, C. Romei 4, G. Accardo 1, V. Sacco 1, F. Grimaldi 5, P. Ferolla 6, A . Colao 7, V. Colantuoni 2 Dip Medico-­‐Chirurgico “F. Magrassi e A. Lanzara”-­‐Seconda Università di Napoli 1; CEINGE-­‐ Biotecnologie Avanzate; Dip di Biochimiche e Biotecnologie Mediche-­‐Università degli Studi di Napoli Federico II; Dip Scienze Biologiche ed Ambientali, Università degli Studi del Sannio, Benevento 2; IRCCS Fondazione SDN Napoli 3; Dip di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa4; Dip di Medicina Interna e Endocrinologia, Università di Perugia 6; Unità di Endocrinologia, "S. Maria della Misericordia" Ospedale di Udine 7; Dip Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli 8 CDKN1B codifica per l’inibitore delle chinasi cicline-­‐dipendenti (Cdk) p27 (Kip1). P27(Kip1) controlla la progressione del ciclo cellulare dalla fase G1 alla fase S, stimolando la degradazione o inibendo i complessi cyclinE/Cdk2 e cyclinD1/Cdk4. Sono stati descritti 21 polimorfismi (pol) a singolo nucleotide di CDKN1B, 11 dei quali con bassa frequenza allelica (5%) e 9 nelle regioni non codificanti del gene. Solo il pol (T/G) causa la sostituzione della glicina per valina al codone 109 della proteina matura. Il pol V109G altera la stabilità di p27 in vivo e sembra essere associato al carcinoma avanzato della prostata, della mammella e del cavo orale, suggerendo un suo ruolo nella progressione tumorale. Inoltre, mutazioni di p27(Kip1) sono state associate con lo sviluppo di un fenotipo simile alla MEN (MENX). Ci siamo proposti di studiare la frequenza del pol CDKN1B V109G nel carcinoma midollare della tiroide sporadico (MTC) in assenza di mutazioni germinali di RET e di associarlo alla progressione e prognosi. Abbiamo esaminato il pol di CDKN1B V109G sul DNA di ottantaquattro pazienti con MTC e novanta controlli mediante amplificazione con PCR e sequenziamento dell’amplificato. I pazienti sono stati seguiti per un periodo di almeno 84 mesi, eseguendo ecografia e TAC e analizzando i livelli di calcitonina post-­‐operatori periodicamente. Il polimorfismo, presente nel 45.2%, fu significativamente correlato a livelli di calcitonina post-­‐operatori nella norma e a remissione biochimica della malattia. Al contrario, l’allele wild-­‐type era associato con livelli di calcitonina al di sopra della norma e un elevato rischio di sviluppare recidiva clinica e metastasi a distanza. Le mutazioni somatiche di RET correlavano con un andamento più aggressivo della malattia, soprattutto nei pazienti portatori dell’allele wild-­‐ype. In conclusione, nel MTC sporadico il pol CDKN1B V109G correla con una prognosi più favorevole rispetto all’allele wild-­‐type e potrebbe essere considerato un nuovo promettente marker prognostico. CO.13 ALTERAZIONI GENETICHE NEL CARCINOMA ANAPLASTICO E SCARSAMENTE DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE A. Tacito, A. Di Pasquale, C. Romei, E. Molinaro, L. Agate, A. Pinchera, R. Elisei Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Il carcinoma anaplastico della tiroide (ATC) è una neoplasia maligna molto aggressiva ma rara e la sua incidenza tra i tumori tiroidei è del 1-­‐2%. L’ATC può nascere come tale o svilupparsi da tumori preesistenti in seguito all’acquisizione di specifiche alterazioni geniche. Entità separata rispetto all’ATC, ma altrettanto severa per la prognosi, è il carcinoma tiroideo scarsamente differenziato (PDTC) la cui incidenza è del 3-­‐5%. I meccanismi molecolari responsabili della formazione dell’ATC non sono ben definiti anche se numerosi geni sono alterati in questo tipo di tumore. In particolare i geni BRAF, RAS, bcatenina, PIK3CA, TP53, AXIN1, PTEN e APC sono quelli più frequentemente coinvolti. Scopo del presente lavoro è stato quello di definire la prevalenza delle alterazioni geniche sopra riportate nell’ATC e nel PDTC. La nostra serie era costituita da 8 casi di ATC, 8 casi di PDTC, 1 linfoma ed 1 adenoma/carcinoma follicolare. Le mutazioni geniche sono state cercate mediante analisi di sequenza diretta del prodotto di PCR. La ricerca delle mutazioni dei suddetti geni ha portato all’identificazione della mutazione V600E nell’esone 15 del gene BRAF (n=1) ed una delezione di una base nel codone 119 del gene PTEN (n=1) nel carcinoma anaplastico. Nel carcinoma scarsamente differenziato abbiamo invece osservato una mutazione nel codone 17 del gene AKT (Q17K) ed una mutazione nel codone 1047 del gene PIK3CA (H1047R). Nel caso con adenoma follicolare abbiamo identificato una mutazione nel codone 13 dell’oncogene N-­‐RAS (G13R). Oltre alle mutazioni con attività trasformante abbiamo anche identificato il polimorfismo (T1493T) del gene APC in 6/8 casi (4 omozigoti e 2 eterozigoti) di carcinoma papillare scarsamente differenziato (75%), in 5/8 casi (3 omozigoti e 2 eterozigoti) di carcinoma anaplastico (62,5%) e in 1/1 casi di adenoma follicolare e di linfoma. Abbiamo inoltre trovato il polimorfismo del gene p53 (R213R) in 1/8 casi (12.5%) di carcinoma anaplastico e nell’adenoma follicolare. I dati ottenuti dimostrano una prevalenza di mutazioni del 25% di oncogeni noti (BRAF, PTEN) nell’ATC ed in particolare l’assenza di mutazioni di p53, considerata ad oggi la mutazione più frequente degli ATC. La stessa prevalenza (25%) di mutazione è stata osservata nei PDTC ma a carico di altri oncogeni (AKT e PIK3CA). Anche in questo caso non si sono osservate mutazioni di p53. Infine da segnalare un’elevata incidenza di polimorfismi in omozigosi del gene APC significativamente più elevata rispetto a quanto riportato in letteratura nella popolazione normale. CO.14 I NODULI TIROIDEI BENIGNI CHE PRESENTANO L’ ONCOGENE RET/PTC CRESCONO PIU’ RAPIDAMENTE M.R. Sapio 1, A. Guerra 1, V. Marotta 1, E. Campanile 1, R. Formisano 1, M. Deandrea 2, M. Motta 3, P.P. Limone 2, G. Fenzi 1, G. Rossi 4, M. Vitale 1-­‐5 1 Dipartimentodi Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Univ. Federico II, Napoli; 2 S.C. di Endocrinologia, P. O. “Umberto I”, A.O. Ordine Mauriziano, Torino; 3S.C. di Anatomia Patologica, P. O. “Umberto I”, A.O. Ordine Mauriziano, Torino; 4 Dipartimentodi Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare, Univ. Federico II, Napoli; 5 Univ. di Salerno, Facoltà di Medicina, Salerno Contesto: I noduli tiroidei benigni presentano una evoluzione clinica estremamente variabile. Il loro volume può rimanere stabile nel tempo o aumentare progressivamente. Non esistono ad oggi fattori genetici o molecolari in grado di prevedere tale evoluzione. La presenza dell’oncogene RET/PTC è stata documentata non solo nei carcinomi papilliferi della tiroide ma anche in noduli tiroidei benigni e nella tiroidite di Hashimoto. E’ ipotizzabile che RET/PTC possa avere ruolo importante nel promuovere la proliferazione cellulare e l’aumento di volume dei noduli tiroidei benigni. Obiettivo: Scopo dello studio è valutare se la presenza di RET/PTC nei noduli tiroidei benigni correli con un maggiore tasso di crescita. Disegno sperimentale: In questo studio prospettico multicentrico, sono stati inclusi 94 pazienti con noduli tiroidei benigni (Thy 2 secondo la classificazione della British Thyroid Association). La ricerca dei riarrangiamenti RET/PTC-­‐1 e -­‐
3 è stata effettuata su campioni citologici (FNAC) mediante Southern Blot su prodotti di PCR. I pazienti sono stati sottoposti ad un accurato follow-­‐up clinico ed ecografico durante tutta la durata dello studio fino a 48 mesi. Risultati: Riarrangiamenti di RET erano presenti in 14 noduli (2 RET/PTC-­‐1 e 12 RET/PTC-­‐3). Il volume medio iniziale dei noduli positivi e dei noduli negativi per l’oncogene era sovrapponibile (3.10±2.73 and 2.86±1.67 ml). Tuttavia dopo un follow-­‐up di 36 mesi i noduli positivi per RET/PTC raggiungevano un volume finale significativamente maggiore (3.69±2.1 vs 2.34±0.9 ml; p=0.003). E’ stato inoltre calcolato l’incremento volumetrico mensile come percentuale rispetto al volume nodulare iniziale: dopo un follow-­‐up medio di 30 mesi l’aumento volumetrico mensile dei noduli positivi per RET/PTC era 4,4 volte quello dei noduli negativi (1.91%±1.4 vs 0.42%±0.9 del volume iniziale; p= 0.0002). Conclusioni: I noduli tiroidei benigni che presentano l’oncogene RET/PTC crescono più rapidamente. La ricerca dei riarrangiamenti di RET nei noduli tiroidei benigni può essere utile ad una migliore gestione clinica dei pazienti con gozzo nodulare benigno. CO.15 CHIRURGIA PRECOCE E PROFILATTICA NEL CARCINOMA MIDOLLARE EREDITARIO DELLA TIROIDE (CMT) F. Torresan, C. Pagetta, A. Toniato, C. Bernardi, N. Sorgato, C. Mian, M.R. Pelizzo Obiettivo dello studio è valutare i risultati a distanza della chirurgia precoce e profilattica nel CMT ereditario, senza evidenza clinica – ecografica di malattia. Sono stati inclusi in questo studio 28 pazienti, di cui 16 femmine, di età media 23 anni (min 5; max 63), affetti da MEN2A / FMTC. 25/28 pazienti sono stati scoperti attraverso lo screening familiare RET; in tali pazienti la bCT risultava nei limiti in 17/25 (pCT responsiva in 6) e lievemente positiva, ma <0,14ng/mL o < 100 ng/L, in 8/25. Nei restanti 3 pazienti, nei quali la mutazione è stata acquisita successivamente in quanto operati in epoca pre – RET, si è attesa la positivizzazione della bCT o pCT prima di intervenire: si tratta di 2 sorelle di 16 e 18 anni, una con bCT negativa e pCT responsiva, l’altra con bCT elevata (0,264 ng/mL), e di una paziente operata all’età di 20 anni con bCT lievemente positiva (<100 ng/L). Tutti i 28 pazienti sono stati sottoposti a tiroidectomia totale (di cui 8 con tecnica MIVAT), associata in 24/28 alla dissezione linfonodale centrale e in 2/28 a surrenectomia monolaterale sincrona per feocromocitoma. All’esame istologico 9 sono risultati portatori di iperplasia delle cellule C (vera chirurgia profilattica) e 19 di CMT, che si presentava unifocale in 12/19 e plurifocale bilaterale in 7/19. I linfonodi asportati risultavano negativi in tutti. In nessun paziente si è verificata ipocalcemia o lesione ricorrenziale. Una sola paziente è stata rioperata per IPT biochimico; 2 pazienti sono stati operati successivamente di surrenectomia bilaterale per feocromcitoma. La CT postoperatoria e a distanza risultava nei limiti in tutti tranne in tre pazienti, di cui 2 operati in epoca pre – RET, nei quali risultava elevata ma <100 ng/mL. Nessun paziente è stato rioperato per persistenza di malattia. Dall’analisi della nostra esperienza emerge che attendere la positivizzazione della bCT o della pCT non garantisce di intervenire prima del viraggio da iperplasia delle cellule C a CMT. La chirurgia profilattica invece consente una stabile e certa guarigione esente da controlli attraverso un intervento meno invasivo senza dissezione linfonodale, procedura che rispetto alla sola tiroidectomia totale si configura di maggiore rischio per paratiroidi e nervi ricorrenti. Bibliografia M.R Pelizzo et al. Natural history, diagnosis, treatment and outcome of medullary thyroid carcinoma: 37 years experience on 157 patients. EJSO 2007;33:493-­‐497. C.Spinelli et al.: Role of RET codonic mutations in the surgical management of medullary thyroid carcioma in pediatric age multiple endocrine neoplasm type 2 syndromes. Journal of Pediatric Surgery 2010;45:1610-­‐1616. CO.16 STUDIO CLINICO SPERIMENTALE INTERNAZIONALE DI FASE 2/3 CON FOSBRETABULINA (CA4P) ASSOCIATA A CARBOPLATINO E PACLITAXEL IN PAZIENTI CON CARCINOMA ANAPLASTICO DELLA TIROIDE A. Biagini 1, E. Molinaro 1, L. Licitra 2, L. Pezzullo 3, H. Koussis 4, A. Pinchera 1, R. Elisei 1 (a nome di tutti gli altri centri internazionali partecipanti) 1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa; 2 Istituto dei Tumori di Milano; 3 Dipartimento di Endocrinologia e Oncologia Federico II Napoli; 4 Policlinico Universitario Padova Il carcinoma anaplastico della tiroide (ATC) rappresenta meno del 2% di tutti i cancri tiroidei con un’incidenza annuale di 1000-­‐4000 casi in Europa e in USA. E' una neoplasia aggressiva con sopravvivenza media di circa 3-­‐6 mesi. Il trattamento chirurgico, la radioterapia esterna e la chemioterapia non migliorano la sopravvivenza. La Combretastatina A4 Phosphate (CA4P) è un “vascular disrupting agent” che inibisce la polimerizzazione dei microtubuli del citoscheletro con un'azione selettiva sulle cellule endoteliali dei vasi tumorali di nuova formazione. E’ stata dimostrata un’azione antitumorale verso linee cellulari di ATC e trial clinici di fase I e II ne hanno evidenziato la sicurezza e l’affidabilità. Questo studio clinico multicentrico di fase 2/3 randomizzato 2:1 per pazienti con ATC ha valutato la sicurezza e l'efficacia della CA4P in associazione con carboplatino (C) e paclitaxel (P) in confronto con la sola chemioterapia (C+P). I criteri di inclusione comprendevano la conferma istologica o citologica di ATC, un'aspettativa di vita superiore a 12 settimane ed un ECOG PS < 2. L'obiettivo primario dello studio è stato quello di valutare la sopravvivenza dei pazienti. Gli obiettivi secondari includevano la sicurezza del farmaco, la sopravvivenza a 1 anno e la sopravvivenza libera da malattia. Sono stati arruolati 80 pazienti di cui 55 nel Braccio 1 (CA4P +C+P) e 25 nel Braccio 2 (C+P). I pazienti nel Braccio 1 potevano continuare a ricevere il trattamento con CA4P fino alla dimostrazione della progressione di malattia. Ogni due cicli di terapia veniva effettuata una TAC di controllo. La sopravvivenza è risultata più lunga nei pazienti trattati con CA4P rispetto ai controlli (mediana di 5,1 mesi vs 4,1). La sopravvivenza a 1 anno risultava del 23% nei pazienti nel Braccio 1 contro solo il 9% nel Braccio 2. Tale dato risultava più significativo nel caso di pazienti con età < a 60 anni (3,1 vs 10,9 mesi) o con uno stadio di malattia più avanzato ( IVc) o una dimensione del tumore >6cm. CA4P è risultato un farmaco ben tollerato con eventi avversi di grado lieve e facilmente gestibili. In conclusione questo studio è il più ampio trial clinico randomizzato in pazienti con ATC. CA4P, in associazione con il C e il P, ha mostrato un miglioramento nella sopravvivenza; in particolare la sopravvivenza è più lunga nei pazienti con età < 60 anni, con uno stadio IVc o con tumore >6cm. Uno studio su un numero più ampio di pazienti è necessario per ottenere l’evidenza statistica dei benefici del farmaco sulla sopravvivenza. CO.17 LIVELLI SIERICI DI FT3 NELL’IPERPARATIROIDISMO PRIMARIO F. Cesario, M. Pellegrino, C. Baffoni, F. Tassone, L. Gianotti, C.G. Croce, G. Magro, G. Borretta S.C. di Endocrinologia e Malattie del Ricambio, Dipartimento di Medicina, A.S.O S.Croce e Carle, Cuneo Molte malattie non tiroidee sono associate a una ridotta concentrazione di T3 senza consensuale incremento del TSH (sindrome da bassa T3). I meccanismi patogenetici sono molteplici e solo in parte chiariti. Uno studio eseguito su una piccola serie di soggetti con iperparatiroidismo primario (IPTP), aveva documentato bassi livelli di T3, che aumentavano dopo intervento chirurgico, e una correlazione negativa di T3 con la calcemia. Questo rilievo venne interpretato dagli autori come una risposta adattativa di ridotto catabolismo con effetto favorevole sulla malattia di base. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare retrospettivamente la prevalenza della sindrome da bassa T3 nell’IPTP e l’eventuale presenza di correlazione tra fT3 e parametri biochimici e clinici della malattia. Abbiamo esaminato 174 pazienti con IPTP senza disfunzione tiroidea subclinica o conclamata (età=18-­‐88 anni; F/M=124/51; sintomatici/asintomatici=80/95; PTH, media±DS=194.69±151 pg/ml; Ca=11.14±1.04 mg/dl). In tutti i pazienti sono stati misurati i livelli sierici di fT3 (fT3=3.53±2.42 ng/ml). Bassi livelli di fT3 sono stati riscontrati in 3/175 (1.71%) pazienti. Non vi era alcuna differenza nei valori di fT3 tra soggetti con IPTP sintomatico o asintomatico (p=0.48) né tra M e F (p=0.2). Nessuna correlazione significativa è emersa tra fT3 e marker di turnover osseo, 25OHD3 e BMD misurata con la DEXA (rachide, femore e radio). In conclusione, in questa ampia serie di pazienti con IPTP, ridotti livelli di fT3 sono raramente osservati e non sono correlati con i parametri biochimici e clinici della malattia. Questi dati suggeriscono che nell’IPTP è improbabile un cambiamento dell’attività deiodasica; inoltre T3 non sembra influenzare l’effetto catabolico di PTH sull’osso. CO.18 ASSENZA DI FOLLICOLI FUNZIONANTI RESIDUI IN DONNE CON TIREOPATIA AUTOIMMUNE AFFETTE DA INSUFFICIENZA OVARICA PRIMARIA A. Dello Iacovo, E. Pane, C. Colella, E. Lucci, S. Marzotti*, G. Bellastella, A.A. Sinisi, A. Bizzarro, A. Bellastella, A. Falorni*, A. De Bellis Dipartimento Medico-­‐Chirurgico di Internistica Clinica e Sperimentale, Sezione di Endocrinologia, Seconda Università di Napoli. *Dipartimento di Medicina Interna e di Scienze Endocrine e Metaboliche, Università di Perugia L’insufficienza ovarica primaria (IOP), non associata ad insufficienza surrenlica ma ad altre malattie autoimmuni, in particolare a tireopatie, è considerata idiopatica. Contrariamente alle forme idiopatiche con bassi livelli di estrogeni, androstenedione ed inibina B, le forme autoimmuni hanno livelli di inbina B normali o aumentati e FSH/LH ratio <1, suggerendo una distruzione selettiva autoimmune delle cellule della teca ma non di quelle della granulosa. Data la relazione tra pool follicolare ovarico ed livelli sierici di fattore anti-­‐mulleriano (AMH) e la diversa patofisiologia delle IOP con autoimmunità delle cellule steroidogeniche rispetto a quelle da altre cause, scopo del lavoro è stato di valutare le concentrazioni sieriche di AMH in donne con IOP autoimmune (IOP-­‐A) ed in donne con IOP associata a tireopatie (IOP-­‐ATD). Pazienti e metodi: sono state studiate 66 donne con IOP-­‐ATD (gruppo 1a), 26 con IOP autoimmune (groppo1b), 40 in post-­‐menopausa (gruppo 2) e 44 donne sane e fertili. I livelli di AMH sono stati valutati con metodo ELISA, quelli di inibina B, FSH, LH, 17-­‐beta-­‐estradiolo, FT3, FT4, TSH ed anticorpi anti-­‐tiroide con kit commerciali. Le pazienti del gruppo 1a erano eutiroidee in trattamento. Risultati: Concentrazioni sieriche di AMH: non dosabili nell’ 89% (59/66) del gruppo 1a; dosabili (range 0-­‐11.34 ng/ml) nel 42% (11/26) del gruppo 1b; assenti nel 90% (36/4) del gruppo 2, dosabili (range 0.5-­‐18.3 ng/ml) nei controlli (p 0.03, IOP-­‐A vs POI-­‐ATD; p 0.018, IOP-­‐A vs donne in post-­‐
menopausa; p 0.0001, IOP-­‐A vs controlli). Le concentrazioni di inibina B erano significativamente più alte nel gruppo 1b rispetto al gruppo 1a (p0.001); la concentrazione di FSH era significativamente più bassa nelle donne con IOP-­‐A che in quelle con IOP-­‐ATD (p0.001); la concentrazione di LH era sovrapponibile nel gruppo 1b e nel gruppo 1a. Conclusioni: 1)Un pool preservato di follicoli funzionanti per vari anni dalla diagnosi nella IOP-­‐A suggerisce studi atti a modulare il processo autoimmune per preservare il tessuto funzionante residuo e/o ritardarne la distruzione. 2) La distruzione delle cellule sia della teca che della granulosa nella IOP-­‐ATD suggerisce una valutazione dell’eventuale ruolo di particolari citochine nei processi infiammatori a carico delle cellule ovariche, mediati da un massivo reclutamento in loco di linfociti TH1, con progressione rapida verso l’insufficienza ovarica. CO.19 LA FREQUENZA DEL CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE DIAGNOSTICATO CITOLOGICAMENTE È PIÙ ALTA NEI PAZIENTI CON TIROIDITE DI HASHIMOTO CHE IN QUELLI CON GOZZO NODULARE: RUOLO DEL TSH ED EFFETTI DEL TRATTAMENTO CON L-­‐TIROXINA. E. Fiore 1, T. Rago 1, P. Latrofa 1, M.A. Provenzale 1, P. Piaggi 2, Delitala, A 2, M. Scutari 1, F. Basolo 3, G. Di Coscio 4, L. Grasso 1, A. Pinchera 1, P. Vitti 1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo 1, di Sistemi Elettrici ed Automazione 2 e di Chirurgia – Sezione di Anatomia Patologica 3 e Sezione di Citopatologia 4 -­‐ Università di Pisa La associazione tra la tiroidite autoimmune di Hashimoto (TH) ed il carcinoma papillare della tiroide (PTC) è stata riportata in numerosi lavori, ma il significato di questa relazione è ancora dibattuto. Recentemente è stata riportato che nei pazienti con gozzo nodulare (GN), la frequenza del PTC è strettamente correlata ai livelli di TSH sierici. In questo lavoro abbiamo valutato la possibile associazione tra PTC e TH e la relazione tra PTC, TSH e anticorpi anti tiroide (TAb) in 13800 pazienti (9886 non trattati e 3914 in terapia con L-­‐tiroxina, L-­‐T4) con una diagnosi clinica di TH nodulare (THN, n=865) o GN (n=12395). Il PTC è risultato più frequente nei pazienti con THN rispetto a quelli con GN (9,1% vs 6,0 %; p<0,001). Nei pazienti senza terapia con L-­‐T4 la frequenza del PTC era direttamente correlata ai livelli di TSH. I pazienti con TAb ad alto titolo presentavano livelli di TSH (mediana 1.16 μU/ml) più alti rispetto a quelli con TAb a basso titolo (mediana 0,75 μU/ml, p<0,001) o assenti (mediana 0,72 μU/ml, p<0,001). Inoltre nei pazienti con TAb ad alto titolo la frequenza del PTC (9,3%) era significativamente più alta rispetto a quelli con TAb a basso titolo (6,85, p<0,001) o assenti (6,4%, p<0,001). Per verificare quale variabile fosse indipendentemente associata ad una maggiore probabilità di PTC abbiamo utilizzato un modello di regressione logistica. In accordo con questo modello, la frequenza del PTC era strettamente associata al TSH (Odds Ratio – OR 1,36 per ogni incremento di TSH di 1μU/mL), lievemente correlata agli anticorpi anti tireoglobulina (OR 1,002 per ogni incremento di 10U/mL), non correlata agli anticorpi anti tireoperossidasi ed inversamente ma debolmente correlata (p = 0,04) alla diagnosi di THN (OR 0,65). Nel gruppo in terapia con L-­‐T4, i pazienti con THN presentavano livelli di TSH e frequenza di PTC più alta rispetto a quelli con GN (6,7 % vs 4,8%; p<0,001), ma quando venivano esaminati solo i pazienti sotto terapia con L-­‐T4 e con un TSH inferiore al valore mediano (0,90 µU/mL) la frequenza di PTC non risultava più significativamente diversa tra i due gruppi. In conclusione nei pazienti con THN è presente una stretta associazione tra livelli di TSH e frequenza di PTC ed il trattamento con L-­‐T4, riducendo i livelli di TSH, riduce la frequenza di PTC rilevabili clinicamente. CO.20 ANALISI CELLULARE E MOLECOLARE DEGLI EFFETTI ANTIPROLIFERATIVI DI DIVERSI ANALOGHI DEL CAMP SU MODELLI DI CARCINOMI EPITELIALI SCARSAMENTE DIFFERENZIATI E. Stellaria Grassi 1, S. Lucchi 1, T. de Filippis 1, M.O. Borghi 3,4, L. Persani 1,2 1 Laboratorio di Endocrinologia Sperimentale, Istituto Auxologico Italiano IRCCS; 2 Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Milano; 3 Laboratorio di Immunologia, Istituto Auxologico Italiano IRCCS; 4 Dipartimento di Medicina Interna, Università degli studi di Milano Il carcinoma della tiroide è la più comune neoplasia maligna del sistema endocrino. Nonostante la maggior parte dei casi sia costituita da cellule ben differenziate ed abbia una buona prognosi, esiste comunque un gruppo di carcinomi tiroidei scarsamente differenziati (CTSD), altamente aggressivi e con scarsa risposta alle terapie oggi disponibili. Gli analoghi del cAMP sito-­‐selettivi per il legame alla subunità regolatoria della PKA sono in grado di inibire la crescita di alcune neoplasie e grazie al loro meccanismo di azione sono interessanti candidati per la terapia di neoplasie tiroidee non responsive ad altri tipi di trattamenti. Lo scopo del nostro studio è valutare gli effetti di una coppia di analoghi selettivi per la PKA I e di un altro analogo (8-­‐Cl-­‐cAMP) su una linea cellulare derivata da un CTSD di origine follicolare (WRO) e su due linee cellulari derivate da carcinomi epiteliali umani scarsamente differenziati (ARO, carcinoma del colon, e NPA, melanoma) portatrici della mutazione BRAFV600E. Poiché il preciso meccanismo di azione degli analoghi del cAMP è oggi molto dibattuto ne abbiamo valutato gli effetti sulle principali vie del segnale coinvolte nella regolazione di proliferazione e morte cellulare: la via del cAMP/PKA, la principale via di regolazione delle cellule tiroidee, e le vie di Ras/Raf/ ERK, p38MAPK, PI3K/Akt e AMPK. I nostri studi dimostrano che entrambi i trattamenti hanno effetto antiproliferativo. In particolare, gli analoghi selettivi per la PKA I hanno effetto citostatico (IC50 di 55.3 mM in ARO e 84.8 mM in NPA) solo sulle linee cellulari portatrici della mutazione BRAFV600E principalmente bloccando l'attivazione di ERK. Differentemente, l'8-­‐Cl-­‐cAMP è in grado di indurre apoptosi cellulare (IC50 tra 2.3-­‐13.6 mM) associandosi all'attivazione di AMPK e quindi di p38 su tute le linee. Tali dati dimostrano che gli analoghi studiati possiedono le caratteristiche come potenziali nuovi trattamenti per il CTSD. L’8-­‐Cl-­‐cAMP appare in grado di indurre apoptosi tramite la via estrinseca p38-­‐dipendente in tutte le linee cellulari esaminate. Mentre, l'azione citostastica della coppia di analoghi selettivi per la PKA I pare specifica per i tumori epiteliali portatori della mutazione BRAFV600E, alterazione genetica particolarmente frequente anche nei tumori papillari della tiroide a scarso grado di differenziamento. CO.21 IL SEGNALE DEL cAMP/PKA REGOLA IL METABOLISMO PERIFERICO DEGLI ORMONI TIROIDEI C. Luongo, M. Dentice, F. Ambrosio, L. Trevisani, M.G. Langella, F. Alfano, G. Fenzi, D. Salvatore Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica. Università di Napoli “Federico II” La tiroxina (T4), il principale ormone secreto dalla tiroide, deve essere convertito nell’ormone metabolicamente attivo, la triiodotironina (T3), per svolgere a livello cellulare la sua funzione. L’azione degli ormoni tiroidei è finemente regolata a livello periferico mediante tre differenti proteine, le desiodasi di tipo1, tipo2 e tipo3 (D1, D2 e D3). Mentre D1 e D2 contribuiscono alla produzione dell’ormone tiroideo metabolicamente attivo, la D3 svolge un ruolo opposto, portando alla formazione di prodotti metabolicamente inattivi. Studi condotti nel nostro laboratorio hanno dimostrato che il pathway di Gli2-­‐
Shh induce l’espressione della D3 in cheratinociti murini e in cellule di basalioma, e che tale regolazione è un evento critico nella tumorigenesi dei basaliomi. Al contrario, un’eccesso di T3 blocca il signaling di Shh, down-­‐
regolando i livelli di Gli2. E’ noto che il fattore trascrizionale Gli2 è regolato a livello post-­‐trascrizionale dal segnale del cAMP/PKA. Ci siamo dunque chiesti se l’effetto della T3 su Gli2 potesse coinvolgere l’attivazione del segnale dell’cAMP. A tale scopo, cellule di basalioma sono state trasfettate con due costrutti responsivi a PKA, 5xCRE-­‐Luc e cJun-­‐Luc e trattate con un eccesso di T3. In tali condizioni, la T3 è in grado di indurre attivazione dei promotori responsivi a PKA, suggerendo che la T3 possa regolare Gli2 inducendo il segnale dell’cAMP/PKA. Per dimostrare tale ipotesi, abbiamo trattato le cellule con T3 in presenza di due noti inibitori di PKA, H89 e PKI. In entrambi i casi, l’azione della T3 su Gli2 risulta ridotta, dimostrando che tale azione richiede la mediazione del signaling di PKA. I nostri dati dati dimostrano un cross talk tra l’azione dell’ormone tiroideo e il signaling dell’cAMP che si dimostra dunque un duplice regolatore del metabolismo periferico degli ormoni tiroidei, mediando sia l’attivazione trascrizionale della D2, si la repressione della D3. CO.22 LA STIMOLAZIONE CON Rh-­‐TSH PUO’ MIGLIORARE LA SENSIBILITA’ DIAGNOSTICA DALLA 18FDG-­‐PET/TC NEI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE IN PROGRESSIONE R. Rossi, P. Franceschetti, M.C. Zatelli, L.M. Feggi 1, S. Lunardon, G. Trasforini, S. Leoni, E.C. degli Uberti Sezione di Endocrinologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate, Università degli Studi di Ferrara; 1Unità Operativa di Medicina Nucleare, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara Nei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide (DTC) sottoposti a tiroidectomia totale e a terapia ablativa con 131I, il riscontro di elevati livelli di tireoglobulina (Tg) e di scintigrafia total body con 131I (STB) negativa, rappresenta la principale indicazione alla PET/TC con 18FDG. Poiché l’esecuzione della PET/TC in presenza di elevati livelli di TSH sembra indurre un aumento della captazione nelle lesioni metastatiche dei carcinomi tiroidei differenziati di origine follicolare, in questo studio abbiamo valutato se la stimolazione con Rh-­‐TSH possa aumentare la sensibilità diagnostica della PET/TC in 8 pazienti con DTC in progressione (7 carcinomi papillari e 1 carcinoma insulare) che presentavano elevati livelli di Tg e negatività alla STB e alla PET/TC eseguite 6 mesi prima. In tutti i pazienti è stato somministrato Rh-­‐TSH, 0.9 mg i.m. per 2 gg. consecutivi con esecuzione di PET/TC 48 ore dopo la seconda iniezione. I livelli di Tg sono stati valutati prima e dopo 24 e 48 ore dalla seconda iniezione di Rh-­‐TSH. I livelli di Tg-­‐TSH-­‐stimolati sono risultati compresi tra 2.1 e 27.6 ng/ml, invariati in tutti i pazienti rispetto a 6 mesi prima. La PET/TC con Rh-­‐TSH è risultata positiva in 4 pazienti (SUVmax 4.9) con livelli di Tg compresi tra 6.4 e 27.6 ng/ml. Di questi, 3 presentavano captazione in sede paratracheale destra in assenza di evidenti segni ecografici e radiografici di recidiva e/o persistenza di malattia. Un paziente con captazione in sede laterocervicale sinistra a livello linfonodale è stato sottoposto a linfoadenectomia. Due pazienti con livelli di Tg pari a 3.4 ng/ml non hanno mostrato captazioni alla PET/TC con Rh-­‐TSH ed sono rimasti in follow up. Altri 2 pazienti negativi alla PET/TC con Rh-­‐TSH e con livelli di Tg pari a 8 e 11.7 ng/ml, sono stati sottoposti ad un ulteriore trattamento con radioiodio in seguito al riscontro ecografico di una recidiva loco regionale. Questi dati suggeriscono che la stimolazione con Rh-­‐TSH può migliorare la sensibilità diagnostica della PET/TC-­‐FDG nei pazienti con DTC in progressione per i quali può determinare una modifica della strategia terapeutica e del follow up. CO.23 LA TERMO-­‐ABLAZIONE LASER PER NODULI TIROIDEI BENIGNI DI GROSSE DIMENSIONI G. Amabile, B. Pirali, S. Chytiris, L. Agozzino, M. Lanza, L. Buonanno, B. Di Filippo, R. Fonte, M. Rotondi, L. Chiovato La termo-­‐ablazione laser (TAL) è una nuova opzione terapeutica che si è rivelata efficace a ridurre il volume di noduli tiroidei sia iperfunzionanti che normofunzionanti. Negli studi precedenti sono stati trattati solo noduli di relativamente piccole dimensioni. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia terapeutica della TAL effettuando un nuovo protocollo di ablazione in un’ampia casistica di pazienti con grossi noduli sia iperfunzionanti che normofunzionanti. Il presente studio è stato condotto in due gruppi di pazienti: 51 pazienti (43 donne e 8 uomini) con noduli normofunzionanti (Gruppo 1) e 26 pazienti (18 donne e 8 uomini) con un singolo nodulo iperfunzionante (Gruppo 2). Entrambi i gruppi avevano una dimensione del nodulo ≥ 40 ml. La tecnica di ablazione è stata modificata principalmente in due aspetti: 1) nello stesso nodulo è stato più volte inserito l’ago per effettuare l’ablazione; 2) sono stati effettuati lievi spostamenti della fibra lungo il diametro maggiore del nodulo mentre si forniva energia. Mediamente, la riduzione dei noduli nel Gruppo 1 è stata 43.7% ± 8.5, 72.4% ± 7.5 e 81.3 ± 2.3 dopo 3, 6 e 9 trattamenti, rispettivamente. Per quanto riguarda il Gruppo 2 è stata 43.5% ± 8.0, 72.8% ± 9.4 e 81.9% ± 5.6 dopo 3, 6 e 9 trattamenti, rispettivamente. Nei pazienti del Gruppo 2, la riduzione di volume del nodulo ha portato ad una progressiva normalizzazione dei parametri di funzionalità tiroidea. La percentuale di pazienti del Gruppo 2 che tornavano in eutiroidismo è aumentata fino a 87% dopo 9 mesi. La percentuale di riduzione del nodulo era il parametro più attendibile nel predire la normalizzazione dei livelli sierici di TSH. Una riduzione del 79.3% è risultata essere un valore attendibile per stimare la percentuale di riduzione del nodulo efficace a garantire la normalizzazione di FT3 e TSH. E’ stata inoltre evidenziata una correlazione significativa tra l’area di necrosi e l’ energia totale erogata in Joule (p<0.0001). In conclusione, il trattamento con TAL in grossi noduli benigni rappresenta una tecnica efficace e sicura, con un buon risultato terapeutico sia in termini di riduzione del volume nodulare che di guarigione dall’ipertiroidismo e che potrebbe pertanto rappresentare una valida alternativa alla chirurgia. CO.24 DIVERSA DISTRIBUZIONE DELLE CLASSI CITOLOGICHE CON APPROCCIO SELETTIVO O NON SELETTIVO DELL’AGO-­‐ASPIRATO (FNAB) TIROIDEO F. Boi, M.L. Lai*, E. Tamponi*, G. Faa*, P.G. Calò**, A. Nicolosi,** S. Mariotti Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Mediche “M. Aresu”, (*)Dipartimento di Citomorfologia Osp. S. Giovanni di Dio, (**) U.O. Chirurgia Generale, Università di Cagliari Introduzione: Il FNAB è il test di screening più accurato (sensibilità e specificità >90%) per la diagnosi dei noduli tiroidei (NT), ma presenta il problema irrisolto della citologia indeterminata (TIR 3). L’inclusione o l’esclusione dei TIR 3 nell’analisi statistica determina ampie variazioni di sensibilità e specificità del FNAB (Lewis et al, Thyroid 19, 2009). Non è invece noto se differenti approcci al FNAB dei NT possano modificare la prevalenza dei TIR 3. Scopo: Valutare l’impatto di differenti approcci al FNAB dei NT sulla distribuzione dei risultati citologici (in particolare dei TIR 3), confrontando un’ampia casistica di FNAB eseguiti in diversi centri. Soggetti e metodi: Negli ultimi 2 anni, un totale di 3070 noduli tiroidei consecutivi (2720 pazienti) erano sottoposti a FNAB ecoguidato presso una Unità di Endocrinologia e da 3 Unità di Chirurgia della stessa area metropolitana. Tutti i campioni venivano analizzati da uno stesso patologo (M.L.L.) e classificati come non diagnostico (TIR 1), benigno (TIR 2), indeterminato (TIR 3), sospetto di malignità (TIR 4) o maligno (TIR 5). I FNAB provenienti da 2 Unità venivano eseguiti con un approccio selettivo in accordo con le recenti linee guida USA ed Europee (gruppo A, n= 2327). I FNAB provenienti dalle altre 2 Unità erano eseguiti da operatori che adottavano un approccio non selettivo, aspirando la maggior parte dei noduli, inclusi quelli senza caratteristiche cliniche ed ecografiche sospette (gruppo B, n= 743). Risultati: Un totale di 2528 campioni erano citologicamente adeguati. Una significativa maggiore prevalenza di TIR 3 (511/2028, 25,2% vs 52/500, 10,4%, p<0,0001) e TIR 4-­‐5 (188/2028, 9,3% vs 11/500, 2%, p<0,0001) e una significativa minore prevalenza di TIR 2 (1329/2028, 65,5% vs 438/500, 87,6%, p<0,0001) venivano trovati nei noduli del gruppo A vs il gruppo B, rispettivamente. Inoltre, la prevalenza dei campioni inadeguati era significativamente (p<0,0001) maggiore nei noduli del gruppo B (243/743, 32.8%) vs il gruppo A (299/2327, 12.8%). Conclusioni: Questo studio conferma che l’approccio selettivo del FNAB ai NT facilita l’identificazione di una maggiore proporzione di NT sospetti o maligni. Peraltro, l’approccio selettivo determina un maggiore tasso di citologie indeterminate che potrebbe avere conseguenze nella gestione clinica dei NT e limitare il confronto dei dati tra diversi centri. CO.25 IPOTIROIDISMO CONGENITO CAUSATO DA UNA NUOVA MUTAZIONE OMOZIGOTE DEL GENE DELLA TIREOPEROSSIDASI G. De Marco, P. Agretti, M. Chittani, E. Ferrarini, A. Dimida, F. Niccolai, A. Molinaro, M. De Servi, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa L’ipotiroidismo congenito con gozzo dovuto a difetti di organificazione dello iodio è ereditato come tratto recessivo ed è spesso dovuto a mutazioni del gene della tireoperossidasi (TPO). Il gene umano della TPO contiene 17 esoni ed è localizzato sul cromosoma 2p25. Il gene codifica per un enzima contenente un gruppo eme di 933 aminoacidi molto simile alla mieloperossidasi umana. Ad oggi sono state descritte più di 50 mutazioni del gene della TPO che determinano una alterata attività funzionale. Lo scopo del nostro studio è stato quello di eseguire l’analisi del gene della TPO in una paziente affetta da ipotiroidismo congenito trattato tardivamente associati a gozzo nodulare. La paziente presentava un alterato sviluppo psicosomatico ed era in terapia con L-­‐T4 dall’età di circa 3 anni. All’esame ecografico era presente una tiroide di dimensioni superiori alla norma con nodulo destro di 5 cm. Gli esami di laboratorio mostravano valori di FT3, FT4 e TG nella norma, TSH inferiore alla norma ed assenza di anticorpi anti tiroide in terapia con L-­‐
T4. A completamento dell’iter diagnostico è stato effettuato test al perclorato dopo somministrazione di TSH ricombinante che si rivelava positivo con dismissione del radioiodio del 91% a 1 ora dalla somministrazione di perclorato di potassio. Il DNA genomico è stato estratto dal sangue della paziente e di 50 soggetti normali di controllo utilizzando un kit commerciale. Tutti i 17 esoni che compongono il gene della TPO sono stati amplificati per PCR, sequenziati con BigDye Terminator Kit e analizzati su 3130xl genetic analyzer. Nel sangue della paziente è stata identificata una nuova mutazione puntiforme omozigote a livello dell’esone 10 del gene della TPO (ACG/ATG) che determina la sostituzione in posizione 561 dell’aminoacido treonina con l’aminoacido metionina (T561M). Erano inoltre presenti varianti alleliche già descritte in letteratura. La mutazione non è stata identificata nel DNA da sangue dei 50 soggetti normali. In conclusione, abbiamo identificato una nuova mutazione omozigote del gene della TPO in una paziente affetta da ipotiroidismo congenito trattato tardivamente. La mutazione è responsabile del difetto di organificazione dello iodio che ha determinato l’ipotiroidismo. CO.26 LA DESIODASI DI TIPO 2 REGOLA I PROCESSI DI MIOGENESI E RIGENERAZIONE MUSCOLARE M. Dentice, R. Ambrosio, C. Luongo, A. Sibilio, V. Damiano, L. Trevisani, A. De Stefano, G. Fenzi, D. Salvatore Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica. Università di Napoli “Federico II” La tiroxina (T4), il principale ormone secreto dalla tiroide, deve essere convertito nell’ormone metabolicamente attivo, la triiodotironina (T3), per svolgere a livello cellulare la sua funzione. L’azione degli ormoni tiroidei è finemente regolata a livello periferico mediante tre differenti proteine, le desiodasi di tipo1, tipo2 e tipo3 (D1, D2 e D3). Mentre D1 e D2 contribuiscono alla produzione dell’ormone tiroideo metabolicamente attivo, la D3 svolge un ruolo opposto, portando alla formazione di prodotti metabolicamente inattivi. Il muscolo è un tessuto target dell’ormone tiroideo che regola l’espressione di svariati geni essenziali per il programma miogenico. Inoltre l’ormone tiroideo controlla lo sviluppo e la composizione delle miofibre determinando le loro caratteristiche contrattili. In questo lavoro abbiamo dimostrato che l’espressione della D2 è essenziale per il differenziamento delle cellule muscolari e delle cellule staminali del muscolo. L’azione della D2 ed il conseguente aumento della concentrazione locale della T3 portano all’espressione di geni muscolo specifici, quali MyoD, MHC e miogenina, richiesti per il differenziamento muscolare. Infine, mediante studi in vivo di rigenerazione muscolare, abbiamo dimostrato che l’up-­‐regolazione della D2 e la conseguente produzione di T3 è evento chiave nel corretto sviluppo di nuove fibre muscolari in seguito a danno indotto dalla cardiotossina. In conclusione, il nostro lavoro dimostra un nuovo, importante ruolo dell’ormone tiroideo nei processi di differenziamento cellulare delle cellule muscolari e in processi di rigenerazione, suggerendo che l’ormone tiroideo potrebbe avere un ruolo chiave nella regolazione di processi di rigenerazione in situazione patologiche quali le distrofie. CO.27 FUNZIONE TIROIDEA IN PAZIENTI CON MALATTIA DI FABRY PRIMA E DOPO LA TERAPIA ENZIMATICA SOSTITUTIVA A. Faggiano 1, V. Ramundo 1, R. Severino 1, F. Milone 1, A. Pisani 2, R. Russo 2, M. Gasperi 3, G. Lombardi 1, B. Cianciaruso 2, A. Colao 1 1 Dipartimenti di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, 2 Nefrologia, Università “Federico II” di Napoli, 3 Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia, Università del Molise, Italia Introduzione & Obiettivi dello studio: La malattia di Fabry (FD) è una patologia sistemica da deficit enzimatico con accumulo sistemico di substrati lipidici e danno in numerosi organi e apparati. I pazienti con FD presentano un’elevata prevalenza di ipotiroidismo subclinico, verosimilmente causato da accumu-­‐lo lipidico intra-­‐tiroideo. In questo studio, la funzione e morfologia tiroidea è stata valutata prima e dopo terapia enzimatica sostitutiva (ERT). Pazienti & Metodi: Lo studio includeva 15 pazienti con FD (8 donne, 7 uomini, età 22-­‐65 anni). Tutti i soggetti sono stati valutati per funzione e morfologia tiroidea alla diagnosi di FD e nel corso di ERT con rh-­‐α-­‐galattosidasi-­‐A (dose di 1 mg/kg/BW ogni 2 settimane) per un periodo di 5 anni. Risultati: I livelli di TSH erano significativamente più elevati nei pazienti con FD che in 15 soggetti di controllo comparabili per età e sesso (2.1±0.2 vs 1.1±0.2 mU/l, p<0.01). I livelli di fT3 e di fT4 erano comparabili tra pazienti e controlli. Il titolo degli anticorpi anti-­‐Tg e anti-­‐TPO era positivo in 2 pazienti e 2 controlli (13%). All’ecografia tiroidea, si riscontrava un gozzo nodulare nel 13% di pazienti e controlli, mentre un pattern ipoecoico si riscontrava nel 73% dei pazienti e 27% dei controlli. Tre pazienti (20%) ed un controllo (7%) avevano una condizione di ipotiroidismo subclinico, associato in tutti ad un pattern e-­‐
cografico ipoecoico ma con positività anticorpale solo nel controllo e non nei pazienti. Dopo ERT, i livel-­‐li di TSH erano significativamente ridotti alla valutazione ad un anno (2.1±0.2 vs 1.4±0.2 mU/l, p<0.01) e persistevano immodificati nei controlli successivi. Un paziente con ipotiroidismo subclinico mostrava li-­‐velli ulteriormente aumentati di TSH nel follow-­‐up e veniva sottoposto pertanto a terapia con levotiroxi-­‐na. Rispetto alla valutazione basale dopo ERT, la percentuale di autoimmunità risultava immodificata e la percentuale di ipoecogenicità all’ecografia tiroidea risultava modicamente ridotta (47% vs 73%). Conclusioni: I pazienti con FD presentano incrementati livelli di TSH e pattern ecografico ipoecogeno non associato a positività degli anticorpi anti-­‐tiroide. L’ERT determina una riduzione dei livelli di TSH e del pattern di ipoecogenicità ecografica, prevenendo l’evoluzione verso l’ipotiroidismo primario concla-­‐
mato. Uno screening della funzione tiroidea è raccomandato in tutti i pazienti con FD. CO.28 STUDIO MOLECOLARE DI UNA NUOVA MUTAZIONE DI NKX2.1 IDENTIFICATA IN UNA FAMIGLIA CON COREA FAMILIARE BENIGNA, DISTRESS RESPIRATORIO ED IPOTIROIDISMO. I.C. Nettore 1, A.M. Ferrara 1, A. Sibilio 1, V. Pagliara 1, K.C.S. Kamoi 2, P.J. Lorenzoni 2, L.C. Werneck 2, I. Bruck 3, L. Coutinho 3, D. Salvatore 1, G. Fenzi 1, R.H. Scola 2, P.E. Macchia 1 1 Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Napoli; 2 Neuromuscolar Division, Clinical Hospital, Parana Federal University, Curitiba, Parana, Brazil; 3 Neurology Pediatrics Division, Clinical Hospital, Parana Federal University, Curitiba, Parana, Brazil TITF1/NKX2.1 è un fattore di trascrizione espresso nella tiroide, nel polmone, e nell’encefalo. Mutazioni in eterozigosi di TITF1/NKX2.1 sono state descritte in pazienti con ipotiroidismo primario, patologia polmonare e corea familiare benigna ( “thyroid-­‐lung-­‐brain syndrome”). Recentemente abbiamo studiato una famiglia in cui vari membri presentavano un quadro clinico compatibile con corea familiare benigna ed ipotiroidismo. La regione codificante del gene NKX2.1/TITF1 è stata sequenziata, evidenziando una delezione in eterozigozi in corrispondenza del nucleotide C665 in tutti i membri affetti della famiglia. La delezione è responsabile di un frameshift che produce una proteina troncata di 196 aminoacidi (TTF1-­‐
del196). La mutazione si verifica nel ultimo aminoacido del segnale di localizzazione nucleare, all'inizio dell’omeodominio. Lo studio in vitro ha dimostrato che la proteina mutata, pur mantenendo la capacità di entrare all’interno del nucleo, non è in grado di transattivare i promotori bersaglio di TTF1 (hTg). Le mutazioni di NKX2.1 fino ad oggi identificate causano perdita di funzione, man non interferiscono con l’attività della proteina normale, quindi si ritiene che il ridotto dosaggio genico sia responsabile della patogenesi della malattia (aploinsufficienza) Cotrasfettando in cellule HeLa la proteina mutata (TTF1-­‐196del) e quella normale (TTF1-­‐WT), contrariamente a quanto riportato sino ad oggi, abbiamo osservato un chiaro effetto dominante negativo. Poiché in condizioni fisiologiche TTF1 coopera con PAX8 nella transattivazione della tireoglobulina, abbiamo pensato di valutare se l’effetto dominante negativo si esplichi anche in questa interazione, ma i nostri dati indicano che dosi crescenti di TTF1 mutato non sono in grado di inibire l’attività di PAX8 sul promotore di tireoglobulina. In conclusione, abbiamo identificato una nuova mutazione di TTF1/NKX2.1. Nonostante l’alterazione del segnale di localizzazione nucleare, la proteina mutata è in grado di entrare nel nucleo, dove determina effetto dominante negativo su TTF1-­‐WT, ma non su PAX8. La caratterizzazione di questa mutazione apre quindi nuovi sviluppi nei meccanismi patogenetici della “thyroid-­‐lung-­‐brain syndorme” e potrebbe fornire un valido supporto nella comprensione delle interazioni molecolari tra proteine (e cofattori) nella modulazione dell’attività trascrizionale tiroidea. CO.29 ESPRESSIONE DEL GENE DELLA TIREOPEROSSIDASI NEL CARCINOMA DELLA MAMMELLA V. Rosellini 1, E. Fiore 1, I. Muller 1, E.Giustarini 1, V.Belardi 1, S. Sabatini 1, N. Funel 2, D. Campani 2, A. Pinchera 1 and C. Giani 1 Dipartimento di Endocrinologia (1) e di Patologia (2), Università di Pisa Introduzione: E’ nota l’associazione tra carcinoma della mammella (CM) e autoimmunità tiroidea. Pazienti con CM, trattato e non, presentano un’alta incidenza di anticorpi anti-­‐Tireoperossidasi (AbTPO) circolanti e recentemente è stato dimostrato il loro ruolo predittivo positivo nei CM aggressivi. Scopo: Valutare la possibile espressione del gene della Tireoperossidasi (TPO) nel CM. Materiali: Campioni di tessuti congelati: 4 CM, 2 tessuti peri-­‐tumorali (PT), 1 displasia mammaria (BD), 3 adenocarcinomi duttali del pancreas (PDA), 3 carcinomi renali (KC), 1 carcinoma del colon (CC), 1 adenocarcinoma gastrico (GA) e 1 carcinoma polmonare (LC). Il tessuto tiroideo normale era utilizzato come controllo positivo. Metodi: L’espressione del gene TPO era valutata tramite Reverse-­‐
Transcriptase PCR dopo isolamento dell’RNA totale dai tessuti congelati, usando specifici primers (prodotti di PCR di 330bp, nucleotidi 447-­‐777 del gene TPO, NCBI accession code M17755). L’espressione della proteina TPO era studiata tramite il metodo di immunofluorescenza indiretta incubando fettine di tessuto con siero contenente AbTPO e successivamente con IgG di pecora fluoresceinate anti-­‐
IgG umane. Come controllo negativo venivano utilizzati tessuti di CM incubati con siero privo di AbTPO. Risultati: L’mRNA della TPO (TPO mRNA) risultava espresso in 4/4 (100%) CM e in 2/3 (66%) PDA, mentre era assente negli altri tessuti tumorali. Il TPO mRNA era altamente espresso nel tessuto tiroideo, utilizzato come controllo positivo. L’espressione della proteina TPO era riscontrata soltanto in tutti i campioni (4/4) di CM (100%). Il segnale era negativo quando il CM era incubato con IgG fluoresceinate in assenza di siero AbTPO positivo. L’immunofluorescenza risultava negativa quando venivano utilizzati i tessuti di PDA, PT, BD, KC, CC, GA e LC. Il tessuto tiroideo esprimeva una netta positività. Conclusioni: Questi risultati indicano che il TPO mRNA è espresso nelle cellule di tutti i CM e nel 66% dei PDA. La proteina TPO è invece espressa solo nel CM ma non nel tessuto peri-­‐tumorale, né negli altri carcinomi analizzati. L’espressione del gene della TPO nel tessuto carcinomatoso mammario può contribuire a spiegare l’associazione tra CM e AbTPO e può anche rappresentare una possibile spiegazione del ruolo prognostico positivo degli AbTPO nel cancro aggressivo della mammella. CO.30 PESCOPAGANO 15 ANNI DOPO: E’ CAMBIATA LA FREQUENZA DELLE TIROPATIE A SEGUITO DELLA PROFILASSI IODICA? F. Aghini-­‐Lombardi, M. Frigeri, A. Provenzale, L. Antonangeli, T. Rago, M. Tonacchera, L. Montanelli, E. Fiore, M. Scutari, F. Niccolai, A. Molinaro, B. Bagattini, L. Puleo, A. Dimida, A. Pinchera, P. Vitti Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa La presente indagine è stata condotta nella comunità di Pescopagano 15 anni dopo la precedente e dopo introduzione della profilassi volontaria con sale iodato. Sono stati esaminati 1194 soggetti: 1102 adulti e 92 bambini (90% e 50% degli effettivi residenti, rispettivamente). Sono stati effettuati ecografia tiroidea, dosaggio di FT4, FT3, TSH, Tg, anticorpi antitiroide (TAb) e ioduria. E’ stato inoltre distribuito un questionario da cui è risultato che il 70% della popolazione usa regolarmente sale iodato. La ioduria mediana era 87 mg/L (55 mg/L nel 1995). Nella popolazione adulta la prevalenza di gozzo era 16,8% (58,8% nel 1995) e quella del gozzo nodulare era 12,3% (17,0% nel 1995). Nessun caso di gozzo è stato osservato nella popolazione infantile e nei giovani adulti. Dei 118 noduli sospetti sottoposti ad agoaspirato la citologia ha deposto per “Ca papillare” in 3 casi e per “nodulo microfollicolare” in 15. Autonomia funzionale tiroidea era presente nel 3,7% della popolazione, compariva dopo i 35 anni ed aumentava progressivamente con l’età raggiungendo il 15,7% dopo i 75 anni, dato corrispondente a quanto osservato nel 1995. Ipertiroidismo franco era presente in 17/1102 (1,5%) soggetti adulti ed era riferibile a morbo di Basedow in 8 casi e a gozzo nodulare tossico o adenoma tossico in 9 casi, con una riduzione di quasi il 50% rispetto al 1995. Ipotiroidismo è stato rilevato in 36/1194 (3%, clinico in 26 2,1%, subclinico in 10 0,8%). Tiroidite autoimmune, definita sulla base di ipoecogenicità diffusa alla ecografia e TAb a concentrazioni medio-­‐elevate era presente in tutti i soggetti ipotiroidei ed in 113/1194 (9,5%) soggetti eutiroidei. Una positività isolata dei TAb in assenza di ipoecogenicità diffusa alla ecografia era riscontrata in 55/1194 (4,6%). Rispetto al 1995 la frequenza di ipotiroidismo è risultata invariata (2,8% vs 3%, p=0,78), mentre sembra aumentata la frequenza di tiroidite con eutiroidismo (9,5% vs 3,1%, p<0,001), anche se questa diagnosi non è del tutto comparabile per la diversità dei metodi di dosaggio dei TAb. In conclusione, rispetto al 1995, abbiamo osservato: 1) aderenza del 70% della popolazione alla profilassi iodica; 2) incremento della ioduria da 55 mg/L a 87 mg/L; 3) scomparsa del gozzo nei bambini e riduzione nella popolazione adulta; 4) riduzione di ipertiroidismo, con prevalenza delle forme autoimmuni rispetto alle non autoimmuni; 5) stazionarietà dei casi di autonomia funzionale tiroidea; 6) stazionarietà dei casi di ipotiroidismo; 7) probabile aumento delle tiroiditi autoimmuni. CO.31 ASSOCIAZIONE TRA AUTOIMMUNITA’ E CARCINOMA DELLA TIROIDE: RECENTI CONFERME DA UN NUOVO STUDIO PROSPETTICO F. Boi, A. Borghero, M.L. Lai*, S. Casula, I. Maurelli, P.G .Calò**, A. Nicolosi**, S. Mariotti Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Mediche “M. Aresu”, (**) U.O. Chirurgia Generale, (*) Dipartimento di Citomorfologia Osp. S. Giovanni di Dio, Università di Cagliari Introduzione: L’associazione tra le tireopatie autoimmuni (AITD) e il carcinoma papillare della tiroide (PTC) è tuttora controversa ed è basata solo su analisi retrospettive. Scopo dello studio: Studio prospettico su pazienti non selezionati affetti da varie tireopatie nodulari, sottoposti ad agoaspirato (FNAB), dosaggio degli anticorpi anti-­‐tiroide (ATA) ed esame istologico nei casi operati. Soggetti e metodi: Un totale di 196 pazienti (252 noduli) suddivisi in due gruppi in base alla positività (ATA+, pz=90; nod=110) o negatività (ATA-­‐, pz=106; nod=142) degli ATA. I casi ATA+ in base alla presenza di ipoecogenicità all’ecografia e/o ipotiroidismo, venivano distinti in un due sottogruppi: AITD (pz=78; nod=93) e sola positività anticorpale (pz=16; nod=17). I risultati citologici venivano classificati in 4 classi crescenti di rischio di malignità: benigno (TIR 2), indeterminato (TIR 3), sospetto e maligno (TIR 4-­‐
5). Finora sono stati operati 61 pz (nod = 75) di cui è disponibile l’esame istologico con la descrizione dell’infiltrato linfocitario parenchimale (IL). Risultati: Come riportato nella tabella, si riscontrava una maggiore prevalenza delle classi citologiche TIR 4-­‐5 e una minore prevalenza dei TIR 2 nei noduli ATA+ e/o AITD vs i noduli ATA-­‐. All’istologia si confermava una aumentata prevalenza di PTC nei noduli ATA+ e/o AITD vs gli ATA–. Infine, si riscontrava una aumentata prevalenza di IL negli istotipi maligni vs i benigni. CITOLOGIA (n=252) TIR 2 (n=155) TIR 3 (n=44) TIR 4-­‐5 (n=36) Gruppo ATA-­‐ (n=142) 90 (63,4%) 65 (59,1%)* 31 (21,8%) 13 (11,8%) 14 (9,8%) Gruppo ATA+ (n=110) Sottogruppo AITD (n=93) 50 (53,8%)*** 13 (14%) ISTOLOGIA BENIGNI MALIGNI 21 (22,6%)*** p ATA+ (AITD) (n=32) ATA– (n=43) n= 10 (31,2%)* n=24 (55,8%) n= 22 (68,8%)* n=19 (44,2%) IL+ (n=47) IL-­‐ (n=28) n= 16 (34%)** n=18 (64,3%) n= 31 (66%)** n=10 (35,7%) 22 (20%)** p<0,05 Maligni vs Benigni *p <0,05; ** p<0,02, *** p<0,01 vs ATA – e IL– Conclusioni: Il presente studio, il primo su casistica prospettica, conferma la associazione significativa, precedentemente dimostrata solo in studi retrospettivi, tra il carcinoma papillare della tiroide e le tireopatie autoimmuni. CO.32 EFFICACIA DELLA TECNICA HIGH RESOLUTION MELTING PER L’IDENTIFICAZIONE DI MUTAZIONI SOMATICHE DI RAS IN AGOASPIRATI TIROIDEI ECOGUIDATI M. Buratto, G. Trasforini, S. Leoni, F. Tagliati, D. Beccati, R. Rossi, E. degli Uberti, M.C. Zatelli 1 Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate; 2 Sezione di Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara Le mutazioni genetiche influenzano profondamente lo sviluppo delle neoplasie tiroidee. Mutazioni somatiche ai codoni 12, 13 e 61 dei geni HRAS, KRAS e NRAS possono avere valore diagnostico e prognostico nelle neoplasie maligne derivanti dall’epitelio follicolare Il sequenziamento diretto rappresenta il gold standard nell’analisi di mutazione, ma ha scarsa sensibilità quando il materiale di partenza sia costituito da ago aspirati tiroidei (FNAB), ove può essere presente contaminazione da DNA wild-­‐type derivante da tessuto normale circostante la lesione. Lo scopo del nostro studio è sviluppare un nuovo metodo diagnostico per valutare la presenza di mutazioni somatiche di RAS basato sulla PCR quantitativa, seguita da analisi High Resolution Melting (HRM) dell’amplicone. Il DNA è stato isolato da material derivante da FNAB material con il Qiagen DNA MicroKit, amplificando le regioni di interesse mediante Real Time PCR. Gli ampliconi sono stati analizzati in HRM con il 7900HT Real-­‐Time PCR System ed i risultati sono stati valutati con il HRM 2.0.1 Software (Applied Biosystems). Tutti i campioni sono stati anche sequenziati con il 3130 Genetic Analyzer. Sia il sequenziamento diretto che l’analisi HRM sono risultati metodi riproducibili e ripetibili, con una sensibilità 10 volte superiore dell’HRM rispetto al sequenziamento. Il metodo è stato poi validato su 170 campioni FNAB provenienti da 126 pazienti (47 maschi e 115 femmine) con noduli tiroidei ipo-­‐isoecogeni. Due campioni hanno mostrato una mutazione eterozigote all’esone 2 del gene NRAS, identificata al sequenziamento come mutazione Gln61Arg. L’analisi citologica risultava compatibile in un caso con neoplasia follicolare e nel secondo caso con nodulo follicolare iperplastico. Le due pazienti sono state tiroidectomizzate con riscontro di un carcinoma follicolare minimamente invasivo. I 168 casi negativi per mutazioni di RAS sono risultati invece compatibili con noduli follicolari iperplastici (117), tiroidite cronica (2), lesioni follicolari indeterminate (15), neoplasie follicolari (11) e sospette per carcinoma papillare della tiroide (PTC, 3). I pazienti appartenenti alle ultime tre categorie sono andati all’intervento con il riscontro di 4 PTC e 25 adenomi follicolari. In conclusione, l’HRM è un metodo valido e riproducibile per determinare le mutazioni del gene RAS gene negli FNAB, risultando più sensibile del sequenziamento diretto. CO.33 INTERAZIONE COSTIMOLATORIA TRA UNITÀ CONDROITIN 6-­‐
SOLFATO DELLA TIREOGLOBULINA UMANA E CD44 ALLA SUPERFICIE DELLE CELLULE T CD4+ NELLA TIROIDITE AUTOIMMUNE SPERIMENTALE G. Cetrangolo 1, A. Arcaro 1, M. Galgani 2, D. D’Angelo 2, F. Fulciniti 3, G. Barrera 4, S. Formisano 2, F. Gentile1 1 Dipartimento Scienze per la Salute, Università del Molise, Campobasso; 2 Dipartimento Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare, Università Federico II, Napoli; 3 Istituto Nazionale dei Tumori Pascale, Napoli; 4 Dipartimento Medicina e Oncologia Sperimentale, Università di Torino Base di partenza: Abbiamo in passato riportato che l’immunizzazione di topi CBA/J(H-­‐
2k) con la frazione di hTg contenente condroitin 6-­‐solfato (hTgCS) induceva tiroidite autoimmune sperimentale (EAT) in forma più grave, rispetto alla hTg priva di C6S (hTgCS0). L’unità C6S stimolava la sensibilizzazione delle cellule T a epitopi comuni di hTgCS e hTgCS0, poiché splenociti di topi immunizzati con hTgCS proliferavano meglio in vitro, in risposta ad entrambe le forme. Scopo: Svelare i meccanismi molecolari della stimolazione, da parte dell’unità C6S della hTg, della sensibilizzazione delle cellule T CD4+ murine agli epitopi peptidici della hTg. Metodi: Topi CBA/J(H-­‐2k) femmina sono stati immunizzati con hTgCS o hTgCS0. Dopo 30 giorni, è stata valutata la proliferazione in vitro delle cellule T CD4+ in risposta a hTgCS, hTgCS0 e al glicopeptide condroitinato purificato hTgCSgp. hTgCSgp biotinilato, aggiunto alle cellule T CD4+, è stato legato al suo recettore(i) mediante two-­‐step cross-­‐
linking con p-­‐azidobenzoyl hydrazide (ABH). In seguito, lisati di cellule T CD4+ sono stati sottoposti a SDS-­‐PAGE e immunoblotting con anticorpi anti-­‐biotina, e cellule T CD4+ sono state analizzate in microscopia confocale con anticorpi anti-­‐biotina e anti-­‐CD44. Risultati: La restimolazione in vitro delle cellule T CD4+ isolate con hTgCS e hTgCSgp, ma non hTgCS0, è stata seguita da proliferazione, ma solo nei topi immunizzati con hTgCS. Tali effetti non sembravano coinvolgere i TCR, giacché la stimolazione con hTgCS o hTgCSgp, uniti ad anticorpi anti-­‐CD3, stimolava la proliferazione più di una dose submassimale di anticorpi anti-­‐CD3 o della stimolazione con hTgCS0, unita ad anticorpi anti-­‐CD3. I più alti indici di stimolazione delle cellule T CD4+ dei topi immunizzati con hTgCS suggeriscono che l’unità C6S, oltre a stimolare la sensibilizzazione delle cellule T naïve hTg-­‐specifiche, possa aver agito anche esaltando la sensibilità delle cellule effettrici alla successiva riesposizione al C6S. La costimolazione da parte di hTgCS e hTgCSgp è risultata additiva con quella degli anticorpi anti-­‐CD28, nei topi immunizzati con hTgCS. L’SDS-­‐PAGE e l’immunoblotting con anticorpi anti-­‐biotina dei lisati di cellule T CD4+ incubate con biotina-­‐hTgCSgp e sottoposte a cross-­‐linking con ABH ha rivelato una banda con massa apparente di 90 kDa, simile al CD44 riconosciuto dall’anticorpo monoclonale DF1485. La microscopia confocale delle cellule T CD4+ ha evidenziato merging completo degli anticorpi anti-­‐biotina e anti-­‐
CD44. CO.34 LA PRESENZA DELLA VITILIGINE MODIFICA IL PATTERN CITOCHINICO INTRALINFOCITARIO NEI PAZIENTI CON TIROIDITE CRONICA LINFOCITARIA S.C. Del Duca 1, M.G. Santaguida 1, N. Brusca 1, M. Cellini 1, C. Virili 1, L. Gargano 2, M. Centanni 1,2 1 Dipartimento Scienze e Biotecnologie Medico-­‐Chirurgiche, “Sapienza” Università di Roma, Polo Pontino, 2 UOC Endocrinologia Universitaria, AUSL Latina, Latina La vitiligine generalizzata è una patologia a probabile genesi autoimmune, della quale è nota l’associazione con la tiroidite di Hashimoto (HT). La caratterizzazione citochinica intralinfocitaria ha permesso di determinare il tipo di risposta T helper (Th1) in alcune autoimmunopatie isolate, incluse l’HT e la vitiligine. Non è invece noto se la simultanea presenza di questi disordini autoimmuni sia associata ad un’analoga polarizzazione T-­‐linfocitaria. Scopo di questo studio è stato pertanto quello di analizzare e comparare i profili citochinici intralinfocitari (Th1: IL-­‐2 e IFN-­‐g; Th2: Il-­‐4) in pazienti con HT isolata, associata con la vitiligine o con altre malattie autoimmuni. Sulla base di criteri inclusivi ed esclusivi, sono stati selezionati 70 pazienti: 33 pazienti con HT isolata (gruppo A), 11 con la vitiligine associata all’HT (gruppo B) e 26 nei quali l’HT era associata ad altri disordini autoimmuni nonendocrini (gruppo C). Le citochine intracellulari sono state analizzate nei linfociti periferici mediante citometria a flusso. La percentuale di linfociti IL-­‐2+ era incrementata rispetto agli standard del laboratorio ma senza differenze tra i gruppi esaminati (%mediana: A=34%; B=32.8%; C=36.3%; p=ns). La percentuale di cellule IFN-­‐g+ era incrementata in maniera differenziata nei pazienti dei tre gruppi (%mediana A=19.0%; B=14.8 %; C=32.2%; ANOVA p=0.0014), mantenendosi comunque superiore rispetto agli standard. Al contrario, la percentuale di linfociti IL-­‐4+ era normale nei pazienti con HT isolata (mediana= 5.0%), mentre era significativamente più alta nei pazienti con HT e vitiligine (20.60%; p=0.0032) e in quelli del gruppo C (16%; p<0,0001). La presenza contemporanea della vitiligine modifica pertanto l’assetto citochinico intralinfocitario proprio dell’HT. Infatti l’incremento di IL-­‐
4 e la mancata riduzione di IFN-­‐g suggeriscono uno shift della polarizzazione Th1 verso una risposta di tipo misto Th1/Th2. CO.35 CARCINOMA PAPILLIFERO TIROIDEO: CARATTERISTICHE CLINICHE, ISTOPATOLOGICHE ED EVOLUZIONE CLINICA NEI TUMORI T1A VS. T1B G. Pellegriti*, P. Malandrino*, A. Spadaro*, A. Latina*, C. Scollo*, A. Belfiore** *Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, Divisione di Endocrinologia, Università di Catania, Ospedale Garibaldi Nesima Catania; **Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Cattedra di Endocrinologia, Università di Catanzaro Introduzione: Nella recente classificazione TNM (7a edizione) del carcinoma tiroideo la categoria T1, che comprende i tumori intratiroidei con diametro ≤2.0 cm, è stata suddivisa in due sotto-­‐categorie: T1a (tumori ≤1.0 cm) e T1b (tumori tra 1.1-­‐2.0 cm). Obiettivo: Paragonare le caratteristiche cliniche ed istopatologiche e l’evoluzione clinica in una serie consecutiva di 435 pazienti con carcinoma papillifero T1a e T1b sottoposti a tiroidectomia nel periodo 2002-­‐2004 ed in follow-­‐up presso la nostra Divisione. Pazienti e Metodi: Tutti i pazienti sono stati sottoposti a tiroidectomia totale ed ablazione con Iodio 131 ad eccezione dei pazienti con tumori unifocali o T1aN0 o T1bN0. La persistenza/recidiva di malattia era definita dal riscontro di: valori dosabili di Tireoglobulina dopo sospensione della terapia con LT4 o dopo stimolo con TSH ricombinante umano e/o positività della scintigrafia totale corporea con Iodio 131 e/o evidenza di metastasi linfonodali all’ecografia del collo confermate alla citologia. Risultati: Tumori T1a sono stati riscontrati in 302/435 pazienti (69.4%) (54 M, 248 F, età media 48.4 anni, range 19-­‐77). Tumori T1b sono stati riscontrati in 133/435 pazienti (30.6%) (17 M, 116 F, età media 45.8 anni, range 21-­‐77). Il tumore era multifocale in 90/302 (29.8%) T1a e in 48/133 (36.1%) T1b (NS). Metastasi linfonodali venivano riscontrate in 26/302 (8.6%) T1a e in 34/133 (25.6%) T1b (P<0.0001). Persistenze/recidive di malattia sono state osservate meno frequentemente nei pazienti con tumore T1a rispetto a quelle osservate nei pazienti con tumore T1b: rispettivamente 12 (4.0%) casi vs. 14 (10.5%) (P=0.01). L’intervallo medio libero da malattia era 92.3 mesi nei pazienti con T1a vs. 85.0 mesi nei pazienti con T1b (P=0.01, log-­‐rank test). Conclusioni: La nuova classificazione TNM fornisce una migliore stratificazione dei tumori tiroidei di diametro ≤2.0 cm, in quanto i tumori T1b (1.1-­‐2.0 cm) mostrano una maggiore frequenza di coinvolgimento linfonodale e di recidive/persistenze rispetto ai T1a (≤1 cm). CO.36 ANALISI IMMUNOISTOCHIMICA DELL’ESPRESSIONE DELL’EPIDERMAL GROWTH FACTOR RECEPTOR (EGFR) E DI HER 2 NEL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE (MTC) R.M. Ruggeri 1, A. Simone 2, G. Giuffrè 2, G. Tuccari 2, R.R de Krijger 3, S. Benvenga 1, F. Trimarchi 1 1 Dipartimento clinico-­‐sperimentale di Medicina e Farmacologia, Sezione di Endocrinologia; 2 Dipartimento di Patologia, Università di Messina, Italy; 3 Department of Pathology, Josephine Nefkens Institute, Erasmus MC, University Medical Center Rotterdam, Rotterdam, The Netherlands I membri della superfamiglia dei recettori a tirosino-­‐chinasi (TK) per l’epidermal-­‐growth-­‐factor (EGF), EGFR, HER2, HER3 e HER4, promuovono la crescita e la trasformazione neoplastica in diversi tessuti. Esistono dati in letteratura sull’espressione del sistema EGFR nel carcinoma papillare e nel carcinoma anaplastico della tiroide, con conseguente possibilità di impiego di inibitori della TK nella terapia dei tumori della tiroide che esprimono tali recettori. Nonostante l’EGFR contribuisca all’attivazione della via di segnale del ret e possa pertanto rappresentare un target terapeutico nelle neoplasie “ret-­‐indotte”, non esistono dati in letteratura sulla espressione dei EGFR e HER2 nel MTC. Questo studio ha valutato l’espressione immunostochimica dell’ EGFR e di HER2 in una casistica preliminare di 20 MTC, di cui 6 sporadici, 12 MEN2A, 2 MEN2B. Il tessuto tiroideo normale peri-­‐nodulare di tutte le lesioni esaminate è stato utilizzato come controllo. L’EGFR non è espresso in alcuno degli MTC testati né nel tessuto tiroideo normale peri-­‐tumorale. HER2 è espresso in 10/20 (50%) MTC (3 sporadici, 6 MEN2A e 1 MEN2B), con un’intensità dell’immunocolorazione variabile da 1+ a 3+ (mediana 1+; media 1.3 ± 0.67). L’intensità della reazione appare 2+ o 3+ solo in 2 MTC sporadici, e mostra una correlazione negativa non significativa con lo stadio clinico della malattia (r =-­‐ 0.39). La positività osservata presenta una distribuzione intra-­‐
tumorale di tipo focale, con localizzazione cellulare intracitoplasmatica di tipo granulare (contrariamente a quanto si osserva nei carcinomi della mammella e dello stomaco, in cui la positività è diffusa, lineare ed intensa in corrispondenza della membrana cellulare). Gli MTC che presentano stroma amiloide (n=4, 1 sporadico e 3 MEN2A) appaiono generalmente non reattivi (3/4). L’’EGFR e HER2 non sono espressi nel tessuto tiroideo normale peri-­‐
tumorale, salvo un caso di MEN2A, in cui si osserva positività focale 1+ per HER2 nel tessuto normale (ma non nel tessuto tumorale). Nessuna espressione dell’EGFR ed espressione di HER2 nel 50% dei casi con modesta intensità sono stati trovati in questa casistica preliminare di MTC, senza significativa correlazione con l’aggressività della malattia. Questi risultati preliminari sembrano escludere un ruolo della superfamiglia dell’EGFR e, di conseguenza, la possibilità di utilizzo di specifici inibitori nell’ istotipo tumorale studiato. CO.37 UTILITA’ DEGLI ANTICORPI STIMOLANTI ANTI-­‐RECETTORE DEL TSH PER LA PROGNOSI DELLA MALATTIA DI GRAVES M. Carpentieri, B. Di Nenno, V. Congedo, A. De Remigis, I. Bucci*, F. Monaco, G. Napolitano Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento e *Dipartimento di Scienze del Movimento Umano, Università “G. D’Annunzio” Chieti-­‐Pescara Il dosaggio degli anticorpi anti-­‐recettore del TSH costituisce il caposaldo della diagnostica della malattia di Graves; tuttavia la patogenesi è dovuta all’attività dei soli anticorpi stimolanti (TSAb) che sono una frazione di tutti gli anticorpi presenti nel siero. Accanto ai metodi di dosaggio che si basano sul “binding”, ovvero sul legame di tutti gli anticorpi senza valutare la loro funzione, esistono dosaggi biologici che misurano l’attivazione del recettore, e quindi la funzione degli anticorpi presenti nel siero. Più recentemente è stato sviluppato un nuovo metodo di dosaggio biologico che riconosce prevalentemente l’azione degli TSAb grazie alla creazione di un recettore chimerico TSH/LH; un kit di dosaggio degli TSAb basato su questo recettore chimerico ha ricevuto da pochi mesi l’approvazione della FDA. La possibilità di dosare solo gli TSAb ha aperto nuove possibilità non solo diagnostiche ma anche nella prognosi della malattia di Graves. Precedenti studi avevano dimostrato che il dosaggio degli anticorpi anti-­‐recettore del TSH, effettuato con metodi di binding al termine della terapia farmacologica, aveva una utilità prognostica limitata. Scopo del nostro studio è stato pertanto quello di verificare se il dosaggio specifico degli TSAb, effettuato al termine del ciclo terapeutico con tionamidi, possa essere di ausilio nel predire la remissione o la recidiva della malattia. 34 pazienti affetti da malattia di Graves sono stati trattati con MMI/PTU per 12-­‐36 mesi, al termine dei quali sono stati dosati gli TSAb utilizzando cellule HEK trasfettate con il recettore chimerico TSH/LH. Il successivo follow-­‐up dei pazienti è stato di 6-­‐83 mesi. 24 pazienti risultano in remissione all’ultimo controllo e fra questi 18 (75%) avevano valori <1AU (negativi) al momento della sospensione della terapia, 4 (16.7%) avevano valori > 1 e <1,4 AU (debolmente positivi) e 2 (8.3%) valori francamente positivi. Tra i 10 pazienti che sono andati incontro a recidiva, 3 (30%) avevano valori <1 AU, 2 (20%) valori > 1 e <1,4 AU e 5 (50%) valori francamente positivi. Escludendo i pazienti con valori debolmente positivi, risulta una sensibilità di poco inferiore al 70% e una specificità del 90% con valore predittivo negativo pari al 85%. I nostri dati, che migliorano quelli presenti in letteratura ottenuti con dosaggi di binding, indicano la possibilità di poter utilizzare un indice predittivo del futuro del paziente con malattia di Graves. Qualora l’utilità del dosaggio venga confermata in studi più ampi, è ipotizzabile il suo impiego per indirizzare il paziente alla scelta terapeutica più idonea. CO.38 LA SINDROME DI PENDRED E’ UNA MALATTIA POLIGENICA? ANALISI MOLECOLARE DI 4 GENI CANDIDATI E CORRELAZIONI GENOTIPO-­‐FENOTIPO V. Cirello 1, M. Muzza 2, P. Castorina 3, A. Maffini 1, P. Beck-­‐Peccoz 1, L. Fugazzola 2 1 Dept. of Medical Sciences, University of Milan; 2 Endocrine Unit; 3 Medical Genetics, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Milan, Italy Mutazioni del gene SLC26A4 si associano a sordità neurosensoriale (SNHL) e a malformazioni dell’orecchio interno. Questo fenotipo può essere non sindromico, configurando il quadro della sindrome dell’acquedotto vestibolare allargato (LVAS), o associarsi a gozzo disormonogenetico nella classica sindrome di Pendred (PS). Recentemente è stato ipotizzato il coinvolgimento di altre alterazioni genetiche nell’etiopatogenesi di queste forme e sono state infatti riportate, in 2 casistiche di pazienti affetti da SNHL, nei quali non veniva però valutata la funzione tiroidea, mutazioni in 2 nuovi geni candidati: FOXI1 che è un attivatore trascrizionale di SLC26A4, e KCNJ10, un canale del K+. Sono state inoltre documentate varianti a carico del dominio di legame di FOXI1 (FOXI1-­‐DBD) nel promotore di SLC26A4. In questo studio riportiamo i primi dati sulla correlazione genotipo/fenotipo in un gruppo di pazienti Caucasici con SNHL e malformazioni dell’orecchio interno con o senza alterazioni di volume e funzione a carico della tiroide e sottoposti all’analisi genetica di SLC26A4, FOXI1, FBS e KJCN10. Tutti i pazienti erano negativi per mutazioni in connessina 26 e 30 e 12S rRNA. In 4/17 pazienti sono state identificate mutazioni di SLC26A4 in omozigosi o eterozigosi composta, due delle quali mai descritte (E29D e R185T). Il fenotipo di questi pazienti includeva SNHL, malformazioni dell’orecchio interno e gozzo con ipotirodismo. In 2/17 pazienti, che presentavano il fenotipo a carico dell’orecchio interno, ma non quello tiroideo, è stata evidenziata una mutazione monoallelica di SLC26A, associata in un caso ad una variante non sinonima di KJCN10 (R271C). Altri 3 pazienti senza fenotipo tiroideo mostravano, in 2 casi, questa variante di KJCN10 come unica alterazione genetica e in 1 caso una nuova mutazione di FOXI1 (P239L). In conclusione, questo è il primo studio che riporta l’analisi genetica dei 4 geni candidati e la correlazione genotipo/fenotipo in pazienti con LVAS/PS. SLC26A4 è il gene più frequentemente mutato in questi pazienti. La PS si associa invariabilmente con mutazioni bialleliche di SLC26A4, mentre la LVAS risulta essere geneticamente eterogenea, essendo associata sia a mutazioni di FOXI1 che a mutazioni monoalleliche di SLC26A4. La caratterizzazione funzionale delle nuove mutazioni di SLC26A4 e di FOXI1 è in corso. Ulteriori studi saranno invece necessari per stabilire la rilevanza clinica di mutazioni di FBS e di KCNJ10, o il possibile coinvolgimento di geni non ancora identificati. CO.39 LA RAPIDITA’ DI AZIONE DEL RITUXIMAB NELL’ORBITOPATIA BASEDOWIANA (OB) PUO’ ESSERE MEDIATA DALLA FAGOCITOSI INDOTTA DA MACROFAGI D. Covelli, G. Vannucchi, N. Currò, S. Rossi, J. Golay, P. Bonara, C. Guastella, L. Pignataro, M. Introna, P. Beck-­‐Peccoz, M. Salvi UO Endocrinologia e Diabetologia Dipartimento di scienze mediche, Oftalmologia, Otorinolaringoiatria, Fondazione Cà Granda IRCCS, Università di Milano, Unità di Patologia Ospedale S. Paolo, Milano, Laboratorio di terapia cellulare Ospedali Riuniti di Bergamo, Italia Abbiamo in precedenza riportato come il trattamento con RTX in pazienti affetti da OB attiva abbia una significativa risposta clinica senza avere effetti nè sugli anticorpi orbitali e tiroidei nè sull’ipertiroidismo. Al momento il meccanismo d’azione di RTX nell’ambito dell’autoimmunità tessuto-­‐specifica, non è noto. Nel presente studio, l’analisi immunoistochimica sul tessuto ottenuto da decompressione orbitaria eseguita dopo terapia con RTX era finalizzata a comprendere un potenziale meccanismo d’azione del farmaco. I campioni di tessuto ottenuti da 3 pazienti affetti da OB attiva recentemente trattati con RTX sono stati confrontati con i campioni di 3 pazienti sottoposti a terapia corticosteroidea ev e di 2 non trattati. L’analisi è stata condotta dallo stesso osservatore in cieco rispetto al trattamento del paziente e il riscontro di <10 cellule immunoreattive per campo (x400) è stato classificato come 1+, >10 come 2+ e >30 come 3+. Mentre i pazienti trattati con corticosteroidi ev e i non trattati hanno mostrato un infiltrato di cellule CD20+ o CD3+ di grado variabile, i soggetti trattati con RTX hanno mostrato deplezione completa di cellule CD20+ e pressoché completa di linfociti CD3+. In questi ultimi soggetti si è osservato un significativo infiltrato di macrofagi infiammatori di tipo 1 (CD68+) e un inaspettato incremento di macrofagi di tipo 2 (CD163+) tipicamente fagocitari. Le cellule CD163+, più abbondanti nel tessuto dei due pazienti sottoposti a terapia con RTX a minore distanza dall’intervento chirurgico, erano solo presenti come infiltrati focali nei tessuti dei pazienti trattati con steroidi o non trattati. Questi dati preliminari suggeriscono che RTX potrebbe lisare le cellule B attraverso il reclutamento di macrofagi fagocitari. Ciò spiegherebbe il rapido effetto terapeutico del farmaco e perché l’efficacia non sia correlata alla riduzione degli autoanticorpi circolanti. CO.40 NORMAL AND CANCER THYROID PROGENITOR CELLS: ROLE OF INSULIN RECEPTOR ISOFORMS AND INSULIN-­‐LIKE GROWTH FACTOR RECEPTOR IN GROWTH AND DIFFERENTIATION R. Malaguarnera, F. Frasca*, A. Garozzo, F. Gianì*, G. Pandini*, V. Vella*, R. Vigneri*, A. Belfiore Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università “Magna Graecia” di Catanzaro, 88100 Catanzaro; *Unità di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, Università degli Studi di Catania, 95100 Catania Introduzione: Recenti studi hanno identificato le cellule staminali tumorali come le cellule di origine delle neoplasie e di conseguenza come bersaglio terapeutico ideale per l’eradicazione del tumore. Ad oggi, i fattori coinvolti nella biologia delle cellule staminali/progenitrici della tiroide rimangono sconosciuti. Le cellule tumorali tiroidee sono responsive all’insulina e ai fattori insulinosimili (IGF-­‐I e IGF-­‐II) e spesso iperesprimono i recettori dell’insulina (IR) e dell’IGF-­‐I (IGF-­‐IR). Obiettivo: Studiare il ruolo delle isoforme di IR (IR-­‐A e IR-­‐B), di IGF-­‐IR e dei loro ligandi nella crescita e differenziazione di cellule progenitrici tiroidee normali e neoplastiche. Materiali e Metodi: Cellule progenitrici tiroidee (CPT) sono state ottenute a partire da tessuto umano tiroideo normale e neoplastico. Le CPT sono state isolate secondo il protocollo definito di “arricchimento” e cresciute sotto forma di sferoidi in sospensione (tireosfere). La differenziazione delle CPT è stata effettuata in condizioni di coltura in adesione ed in presenza di siero e TSH. L’espressione genica e proteica di IR, delle sue due isoforme (IR-­‐A ed IR-­‐
B), di IGF-­‐IR e dei ligandi IGF-­‐I ed IGF-­‐II è stata valutata mediante Real Time PCR e Western Blot, sia nelle CPT che nelle cellule differenziate. Sono stati valutati, inoltre, gli effetti dell’insulina e di IGFs sulla crescita e sulla capacità di self-­‐renewal delle CPT. Risultati: I livelli di espressione di IGF-­‐IR, IGF-­‐I, IGF-­‐II e delle due isoforme di IR sono risultati maggiormente elevati nelle CPT sia normali che tumorali rispetto alle cellule tiroidee differenziate. L’isoforma IR-­‐A è prevalente nelle CPT tumorali rispetto alle corrispettive normali. La crescita e la proliferazione delle CPT è parzialmente dipendente dalla via di trasduzione del segnale attivata dal recettore insulinico. La capacità di self-­‐renewal delle CPT tumorali è stimolata dall’IGF-­‐II. Conclusione: il bilancio tra IR-­‐A ed IR-­‐B ed IGF-­‐IR svolge un ruolo importante nella biologia delle CPT, in particolare nel loro processo differenziativo. Pertanto, questi recettori potrebbero rappresentare un innovativo bersaglio molecolare per future terapie differenziative nel carcinoma tiroideo. CO.41 LOCALIZZAZIONE E FUZIONE DI PKC-­‐bII IN LINEE CELLULARI TIROIDEE D. Molè, F. Tagliati, E. degli Uberti, M.C. Zatelli Sezione di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Terapie Avanzate, Università degli Studi di Ferrara Le proteine chinasi C (PKC) costituiscono una famiglia di proteine ad attività fosfotrasferasica su residui serinici e treoninici ed hanno un ruolo regolatorio fondamentale in molti processi cellulari che includono proliferazione, differenziamento, tumorigenesi ed apoptosi. Ad oggi sono state identificate 12 isoforme di PKC il cui ruolo nella tumorigenesi è complesso e dipende largamente dal tipo di cellule/tessuto e dall’isoforma enzimatica coinvolta. L’attività di PKC, in particolare dell’isoforma –βII, è frequentemente implicata in tumori umani ed è iper-­‐espressa in neoplasie tiroidee. Lo scopo dello studio è valutare il coinvolgimento di PKC-­‐βII nella regolazione della proliferazione di linee cellulari tiroidee di derivazione follicolare e parafollicolare utilizzando un inibitore selettivo. A tale scopo, l’inibizione dell’attività di PKC-­‐βII da parte dell’inibitore selettivo è stata dimostrata mediante valutazione dello stato di fosforilazione di GSK3β, una proteina pro-­‐apoptotica a valle di PKC-­‐βII, in cellule N-­‐thy-­‐ori (cellule follicolari normali), FTC133 (cellule follicolari neoplastiche) e in cellule TT (cellule parafollicolari neoplastiche). In cellule N-­‐
thy-­‐ori, l’inibizione dell’attività di PKC-­‐βII determina una riduzione della proliferazione cellulare mediata dall’apoptosi dopo 72 h di trattamento. Con l’immunofluorescenza abbiamo osservato che, in presenza di siero, PKC-­‐βII trasloca dagli organelli citoplasmatici al nucleo dopo 72 h di trattamento con inibitore selettivo, mentre in assenza di siero si ha una riduzione dello staining sia a livello citoplasmatico che nucleare. In cellule FTC133 l’inibizione selettiva di PKC-­‐βII ha un effetto anti-­‐proliferativo con induzione dell’apoptosi caspasi-­‐
mediata dopo 72 h di trattamento. Inoltre, sia in presenza che in assenza di siero, dopo 72 h di trattamento con inibitore selettivo, PKC-­‐βII diffonde dagli organelli al citoplasma. Infine, anche in cellule TT l’inibizione dell’attività di PKC-­‐βII riduce la proliferazione cellulare stimolando l’apoptosi dopo 72 h di trattamento. Inoltre, in presenza di siero, dopo 72 h di trattamento PKC-­‐βII si localizza principalmente a livello citoplasmatico rispetto al controllo in cui è presente anche a livello nucleare. In assenza di siero, al contrario, PKC-­‐βII in seguito a trattamento con inibitore selettivo si localizza sia a livello nucleare che citoplasmatico rispetto al controllo in cui è localizzato principalmente a livello citoplasmatico. I risultati di questo studio forniscono le basi per ulteriori valutazioni del ruolo delle PKCs nella patogenesi di neoplasie tiroidee ed il ruolo di un suo inibitore selettivo nel trattamento di tali neoplasie. CO.42 IL SUNITINIB INIBISCE LA PROLIFERAZIONI DI LINEE CELLULARI DI CARCINOMA TIROIDEO BRAF E RAS WILD TYPE A. Piscazzi 2, A. Fabiano 1, F. Maddalena 2, M.I. Natalicchio 3, R. Antonetti 3, M. Landriscina, M. Cignarelli 1 1 Sez. di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Foggia; 2 Sez. di Oncologia Medica, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Foggia; 3 Laboratorio di Biologia Molecolare, Az. Osp.-­‐
Universitaria Ospedali Riuniti, Foggia Premesse: Il carcinoma tiroideo si associa spesso ad alterazioni oncogeniche dei recettori tirosin-­‐chinasici e del loro signaling intracellulare. Queste alterazioni geniche fra cui i le mutazioni puntiformi dei geni BRAF e KRAS, attivano la cascata di MAPK ed inducono un fenotipo a prognosi più sfavorevole. Recenti osservazioni cliniche suggeriscono che il sorafenib, un inibitore multichinasico, è un farmaco attivo nel carcinoma tiroideo. Al contrario, dati pre-­‐clinici suggeriscono che il sunitinib, un inibitore tirosin-­‐
chinasico i cui target molecolari includono VEGFR-­‐2, PDGFR e RET, ha un’attività citostatica in cellule di carcinoma tiroideo portatrici del riarrangiamento RET/PTC1. Obiettivi: Abbiamo valutato il potenziale effetto antiproliferativo del sunitinib in una serie di linee cellulari di carcinoma tiroideo a diverso grado di differenziazione: le cellule WRO e ML-­‐1 di carcinoma follicolare differenziato, le cellule TPC-­‐1 di carcinoma papillare differenziato (con il riarrangiamento RET/PTC1) e le cellule FRO, BHT-­‐101 e CAL-­‐62 di carcinoma tiroideo indifferenziato. Abbiamo studiato l’espressione basale di PDGFR e VEGFR-­‐2, due target molecolari del sunitinib e la presenza di mutazioni attivanti a carico degli esoni 11 e 15 di BRAF e 12, 13, 61 e 146 di KRAS. Abbiamo testato inoltre il potenziale effetto del sunitinib sull’induzione di morte cellulare, sulla distribuzione delle cellule nelle fasi S e G0-­‐G1 del ciclo e sull’inibizione di MAPK. Risultati: Le linee di carcinoma tiroideo BRAF e KRAS wild-­‐type (TPC-­‐1, ML-­‐1 e WRO) sono risultate più sensibili all’effetto antiproliferativo del sunitinib rispetto alle linee di carcinoma tiroideo con la mutazione V600E di BRAF (FRO e BHT) o con la mutazione G12R di K-­‐RAS (CAL-­‐
62). Tale effetto antiproliferativo i) non si associa ad un significativo incremento della percentuale di necrosi e/o apoptosi, ii) correla con un aumento della percentuale di cellule in fase G0-­‐G1 e con una parallela riduzione della frazione di cellule in fase S, iii) non correla con il profilo di espressione di PDGFR e VEGFR-­‐2 e con la presenza del riarrangiamento del gene RET/PTC. Inoltre, il trattamento con il sunitib determina la riduzione della fosforilazione di MAPK nelle linee cellulari TPC1 e WRO. Conclusioni: I nostri dati suggeriscono che: i) il sunitinib ha un’attività antiproliferativa su cellule di carcinoma tiroideo indipendentemente dalla presenza del riarrangiamento RET/PTC1; ii) la resistenza al Sunitinib nel tumore tiroideo potrebbe essere causata dalla presenza delle mutazioni attivanti a carico dei geni BRAF e KRAS. CO.43 L'ESPRESSIONE DI LAIR-­‐2 (LEUKOCYTE-­‐ASSOCIATED RECEPTOR-­‐2) È AUMENTATA NEI PAZIENTI CON AUTOIMMUNITÀ TIROIDEA: UN ALTRO POSSIBILE RECETTORE SOLUBILE COINVOLTO NELL'ALTERATA IMMUNOREGOLAZIONE D. Saverino°, L. Camerieri*, I. Calamia*, D. Lanaro*, E.M. Ceresola*, M. Schiavo*, M. Bagnasco* ° Sezione di Anatomia Umana Dipartimento di Medicina Sperimentale Università degli Studi di Genova * Terapia Medica e Radiometabolica DiMI Università degli Studi di Genova LAIR-­‐1 (Leukocyte-­‐associated receptor-­‐1) è una proteina transmembrana, appartenente alla superfamiglia delle immunoglobuline, espressa sulla maggioranza delle cellule immunocompetenti, inclusi i timociti, dotata di capacità legante per diverse specie di collagene. Ha capacità di trasdurre segnali inibitori per i linfociti T, le cellule Natural Killer e i monociti. LAIR-­‐2 è una proteina omologa (84%) a LAIR-­‐1, codificata da un gene collocato nella stessa regione cromosomica (19q13.4), mancante della porzione transmembrana e citoplasmatica e quindi presente solo in forma solubile. Pochi studi sono disponibili sull'espressione e funzione di LAIR-­‐2, anche se ne è stato ipotizzato un ruolo nell'autoimmunità. Nel presente studio, impiegando una metodica ELISA, abbiamo dimostrato livelli significativamente aumentati di LAIR-­‐2 nel siero in un gruppo di 50 pazienti con malattie autoimmuni della tiroide (21 con tiroidite autoimmune, 29 con M. di Basedow), rispetto a 25 controlli sani e 10 pazienti con ipertiroidismo non autoimmune (range di concentrazione di LAIR-­‐2: 0.1-­‐6.2 ng/ml nei controlli, 4.6-­‐450 ng/ml nei pazienti con tireopatie autoimmuni).Non è stata al momento trovata correlazione con specifiche caratteristiche cloiniche dei pazienti, né differenza tra le due malattie autoimmuni. Questi risultati preliminari suggeriscono un possibile ruolo di LAIR-­‐2, in quanto competitore naturale di LAIR-­‐1, nell'autoimmunità tiroidea, specificamente nella regolazione delle interazioni delle cellule immunocompetenti con la matrice extracellulare. Poster La numerazione dei poster è stata assegnata seguendo semplicemente l’ordine alfabetico del primo nome PP. 1 STUDIO DI UNA NUOVA MUTAZIONE DEL GENE DEL RECETTORE DEL TSH LOCALIZZATA NELLA SECONDA ANSA EXTRACELLULARE: RUOLO FUNZIONALE PER IL MANTENIMENTO DELLE INTERAZIONI IDROFOBICHE DELLA FORMA NATIVA DEL RECETTORE P. Agretti, G. De Marco, E. Ferrarini, A. Dimida, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia, Università di Pisa, Pisa. Il recettore del TSH (TSHr) è una glicoproteina di membrana appartenente alla famiglia dei recettori associati alle proteine G in grado di attivare, tramite Gs e Gq, la via metabolica del cAMP e degli IPs. Mutazioni attivanti del TSHr sono state descritte in noduli tiroidei iperfunzionanti e nell’ipertiroidismo congenito nonautoimmune nella forma familiare e sporadica. Lo scopo del nostro studio è stato quello di analizzare le proprietà funzionali di una nuova mutazione attivante del gene del TSHr identificata in eterozigosi in un nodulo tiroideo iperfunzionante. La mutazione I568F, caratterizzata dalla sostituzione in posizione 568 dell’aminoacido isoleucina con la fenilalanina, è localizzata a livello del secondo loop extracellulare in una zona di particolare importanza per il mantenimento della struttura nativa del recettore. La mutazione è stata clonata nel vettore di espressione pSVL tramite mutagenesi sito-­‐diretta ed è stata utilizzata per la trasfezione transitoria di cellule COS-­‐7 utilizzando la tecnica del DEAE-­‐Destrano. 48 ore dopo la trasfezione le cellule sono state utilizzate per il saggio di produzione del cAMP, per il binding del 125I-­‐bTSH e per l’analisi citofluorimetrica su microchip. Il mutante ha mostrato una capacità di legame al TSH (Bmax) simile a quella del recettore selvaggio (wtTSHr) suggerendo che l’espressione a livello della superficie cellulare non è modificata; anche l’affinità di legame (Kd) per il TSH è risultata simile per il recettore mutato e quello selvaggio. Risultati simili sono stati ottenuti tramite analisi citofluorimetrica su microchip. Il mutante I568F era caratterizzato da una aumentata attività costitutiva in termini di accumulo di cAMP rispetto al wtTSHr. In particolare, l’attività costitutiva di I568F era più di 3 volte maggiore rispetto a quella del wtTSHr. Inoltre, il mutante ha mostrato una risposta molto bassa allo stimolo con dosi crescenti di TSH suggerendo una sua attivazione quasi massimale. In conclusione, la mutazione I568F determina un riarrangiamento strutturale del TSHr con attivazione costitutiva dovuta a modificazione delle interazioni idrofobiche alla base del mantenimento della struttura nativa del recettore in assenza del ligando. PP.2 EMPOWERMENT DI COMUNITÀ NELLA IODOPROFILASSI: RUOLO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA D. Agrimi*°°, I. Alemanno°, F. Diacono^, G. Romano°°, M. Castronuovo ^^ * ASL BR ° ASL LE ^ ASL TA °° G.A.T. ^^ Partner S.N.C. Lo sviluppo di comunità mira a creare delle realtà locali fortemente supportive. Il progetto I-­‐ 1 IN FORMA, nato dalla collaborazione tra enti istituzionali e non, è finalizzato ad accrescere l’empowerment della comunità in relazione alla prevenzione dei disordini da carenza iodica. A tal fine è stata promossa un’indagine conoscitiva, su un campione rappresentativo della popolazione generale della provincia di brindisi, finalizzata a valutare l’utilizzo del sale iodato, nonché la disponibilità della comunità ad adottare comportamenti di prevenzione. Metodo:Questionario ad hoc semi-­‐strutturato, Risultati: Il campione degli intervistati è composto da 549 individui (66% donne, 34% uomini). La maggior parte della popolazione esaminata è di età compresa tra 46 e 60 anni (33,9%), il 16% dichiara un livello di scolarizzazione corrispondente alla laurea (tra lauree di I e II livello), il 61,6% possiede un diploma.Il 72,7% degli intervistati conosce la natura endocrina delle malattie tiroidee. Il 24% degli intervistati dichiara di essere affetto da malattia tiroidea. Il 51% degli intervistati ha eseguito un’ecografia e/o esami ormonali della tiroide, nel 43,8% su suggerimento del MMG. Circa 87% del campione risponde appropriatamente al quesito su cos’è il sale iodato; il 30% lo utilizza con regolarità ed il 76,2% con appropriatezza. La disponibilità a cambiare abitudini alimentari è molto alta (89,4%), in particolare il 37% è disposta a sostituire il sale iodato a scopo preventivo. Il 75% degli intervistati ricerca attivamente informazioni circa il proprio stato salute; il 25.7 % utilizza come fonte principale i siti internet specialistici, il 15.1 % il MMG. Il priming dell’intervista ha incrementato le vendite del sale iodato mediamente del 34% (mere-­‐measurement effect) Conclusioni Le azioni finalizzate ad implementare l’empowerment di comunità sono rivolte alla diffusione d’informazioni che possano accrescere la consapevolezza critica della popolazione, nonché l’adesione a comportamenti preventivi (comunità competente). Le modalità top-­‐down mostrano evidenti limiti (divario tra sapere tecnico e sapere pratico, differenze socio-­‐
economiche e culturali), a favore di metodologie partecipate (bottom up). Nella fattispecie l’analisi del contesto attraverso un’intervista guidata, ha attivato un processo di conoscenza, di motivazione (personale, interpersonale, microsistema), nonché un comportamento propositivo (nudge), con risultati qualitativi e quantitativi stimabili. PP.3 ANALISI DELLA IODOCARENZA NELLA POPOLAZIONE SCOLASTICA DELL’ETÀ EVOLUTIVA. DISTRETTO SOCIO-­‐SANITARIO MESAGNE (ASL BR) D. Agrimi*, I. Alemanno°, F. Diacono^, A. Stricchiola*, A. Valiani,° M. Scoditti*, V. Martucci*, L. Rainò*, M. Morgillo*, A.M. Mazzotta*, E. Vinci*, R. Rollo* *ASL BR °ASL LE ^ASL TA Introduzione: Lo iodio è un microelemento essenziale per la sintesi degli ormonitiroidei. E’ noto come i disordini da carenza di iodio (IDD) possano determinare gozzo ed eventuale ritardo di sviluppo fisico e mentale. I disordini da carenza di iodio sono particolarmente critici nella donna in stato di gravidanza e nei bambini in età prescolare. Un deficit iodico di grado moderato¬grave nei bambini correla con una compromissione della funzione intellettuale, vi sono studi che hanno rilevato una riduzione del quoziente intellettivo (QI) di 12,5¬13,5 punti e delle capacità motorie. In Puglia, secondo uno studio effettuato dal 1993 al 1995, è stato dimostrata sulla base dei dati dell’escrezione urinaria di iodio (EUI) una diffusa condizione di iodocarenza. In particolare in provincia di Brindisi l’EUI risultò in media di 64,8 mcg/l. Obiettivo: Scopo di questa indagine è stato valutare gli effetti conseguenti all’applicazione della legge in tema di iodoprofilassi del 2005 sulla prevalenza dello stato di iodocarenza nell’età evolutiva valutata in un campione di scolari (11-­‐14 anni) nel Comune di San Pietro Vernotico (BR) . Materiali e Metodi: L’analisi epidemiologica e la valutazione dello stato iodico è stata condotta su un campione di 176 scolari sottoposti a rilevazione di dati antropometrici, brve questionario anamnestico alimentare, campionamento delle urine del mattino per determinare la EUI (Celltech -­‐Torino , EP1217374, Reazione di Sandell Koltoff), stima ecografica del volume tiroideo. Risultati: Dei 176 scolari (11-­‐14 anni), 39,8% erano maschi e 60,2% femmine. Circa 80,1 % degli esaminati era nato a San Pietro Vernotico (BR) ed il 94,89 % vi risiedeva. Il 42,05 % dichiarava di non consumare abitualmente sale iodato, mentre il 4,55 % ne faceva un uso saltuario. Nella settimana, precedente all'intervista, il 59,09 % degli studenti affermava di non aver mai consumato pesce, mentre il 68,18 % ed il 67,61 % utilizzava abitualmente latte e latticini nella dieta settimanale. Il 41,48 % consumava saltuariamente le uova. Circa 83,52% delle famiglie usava abitualmente acqua minerale, il 5,1 % utilizzava acqua dell'acquedotto depurata. Del gruppo di studenti circa il 48.3 % presentava una EUI nella norma (EUI media 180,7 ± 17,1 mcg/L), mentre il 46.59 % mostrava una ridotta EUI per valori <160 mcg/l. Il volume tiroideo era in media di 5,63 (SD 3) ml nei maschi e di 5,56 (SD 1,7) ml nelle femmine. Nessuna correlazione lineare veniva riscontrata tra volume tiroideo e ioduria. Conclusioni: Tali dati suggeriscono che, rispetto agli anni ‘90, vi è stato un significativo incremento dell’uso di sale iodato in Puglia. Tuttavia persiste un’elevata percentuale di soggetti con valori di EUI indicativi di uno stato di iodocarenza. La nostra esperienza sottolinea l’urgenza e l’importanza della iodoprofilassi nel processo di eradicazione delle patologie da carenza iodica. Iniziative in questo ambito richiedono però una preliminare corretta sensibilizzazione dei cittadini ed una adeguata formazione degli operatori sanitari anche nelle aree apparentemente non endemiche. PP.4 ALTERAZIONI CARDIACHE IN IPOTIROIDISMO ACUTO B. Altieri 1, A. Capozzi 1, F. Pennestrì 2, S. Della Casa 1, A. Pontecorvi A1 1 UOC di Endocrinologia Malattie del Metabolismo; 2 Istituto di Cardiologia, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma E’ noto che gli ormoni tiroidei influenzano il sistema cardiovascolare agendo sul consumo miocardico di ossigeno, sulla contrattilità e sulla gittata cardiaca, sulla pressione arteriosa e sulle resistenze vascolari periferiche. Tali effetti sono stati studiati prevalentemente nelle forme di ipotiroidismo cronico; meno si conosce relativamente alle fasi acute della malattia. Questo studio si propone di individuare eventuali alterazioni sisto-­‐diastoliche ventricolari e turbe della ripolarizzazione ventricolare in corso di ipotiroidismo acuto. Materiali e metodi. Abbiamo studiato 10 pazienti ( 9 femmine, 1 maschio) di età media 43±9 DS aa, sottoposti a tiroidectomia totale per carcinoma differenziato della tiroide in terapia sostitutiva-­‐soppressiva con levo-­‐tiroxina da almeno 6 mesi (tempo 1) ed in sospensione di trattamento da sei settimane (tempo 2) per eseguire la terapia ablativa radiometabolica con 131I. Tali pazienti non presentavano anamnesi positiva per patologia cardiovascolari o affezioni del sistema cardiocircolatorio né assumevano farmaci agenti su tale sistema. Tutti i pazienti sono stati sottoposti, nei due tempi, ad esame clinico completo, dosaggio degli ormoni tiroidei (FT3,FT4,TSH), elettrocardiogramma (ECG) ed ecocardiogramma (EcoCG) con valutazione dei volumi e dei diametri delle camere cardiache, della funzione sisto-­‐diastolica del ventricolo sinistro (VSin) e sistolica del ventricolo destro (VDx). Risultati. L’ECG ha evidenziato significative modificazioni dell’ intervallo QTc che aumenta in ipotiroidismo acuto rispetto all’ eutiroidismo (438 ms ±30 vs 402ms±19; p= 0.007) e il 70% dei pz al tempo 2 ha riportato alterazioni dell’onda T. L’ EcoCG ha evidenziato, in ipotiroidismo acuto, una riduzione dei volumi del VSin in diastole (61 mm3±12 vs 77 mm3±18; p=0.003) e in sistole (25 mm3±6 vs 30 mm3±8; p=0.029), dell’atrio sinistro (37mm3±8 vs 47 mm3±13; p=0.031). Non sono state evidenziate riduzioni statisticamente significative delle dimensioni lineari delle camere cardiache. La funzione del ventricolo sinistro valutata in base alla frazione di eiezione non ha mostrato variazioni; tuttavia in ipotiroidismo acuto si registra un aumento significativo del LPEP (107± 14 vs 82 ± 14; p=0.002) del rapporto LPEP /LVET (0.35 ± 0.08 vs 0.27 ± 0.06; p=0.004) e dell’Indice di TEI (0.57±0.11 vs 0.40 ± 0.14; p=0.009). Non sono state evidenziate variazioni statisticamente significative degli indici di disfunzione diastolica (Dt, E/A, E/E’). Tale studio ha evidenziato un importante rimodellamento dei volumi che non era stato descritto prima in letteratura a conferma della presenza di significative alterazioni cardiache in ipotiroidismo acuto, per cui l’utilizzo del rTSH potrebbe essere preso in considerazione nella preparazione al trattamento radiometabolico soprattutto in quei casi in cui una alterazione dei parametri cardiaci appare da evitare. PP.5 P63 E’ UN NUOVO REGOLATORE DELL’ESPRESSIONE DELLE DESIODASI D2 E D3 R. Ambrosio, C. Luongo, M.G. Langella, F. Alfano, L. Trevisani, G. Fenzi, D. Salvatore, M. Dentice Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Università di Napoli “Federico II” Gli ormoni tiroidei esercitano svariati effetti su vari processi metabolici, sulla crescita e il differenziamento di diversi tessuti, organi ed apparati, compresa la pelle. L’attivazione dell’ormone tiroideo, T3, si verifica mediante monodeiodinazione del pro-­‐ormone T4, catalizzata dalle desiodasi di tipo I e II, mentre la desiodasi di tipo III è il principale inattivatore fisiologico dell’ormone tiroideo. La pelle è un’importante bersaglio degli ormoni tiroidei, inoltre sia l’epidermide che il derma esprimono la D2 e la D3; inoltre ci sono molte evidenze che affermano l’importanza dell’ormone tiroideo per l’ottimale proliferazione delle cellule dell’epidermide. P63 è un membro della famiglia dei tumor suppressor che comprende p53, p63 e p73. Analogamente a p53, p63 e p73 sono fattori trascrizionali che controllano importanti processi fisiologici quali proliferazione, sopravvivenza cellulare e apoptosi. P63 svolge un ruolo fondamentale nella pelle, nel regolare lo sviluppo dei vari strati dell’epidermide. Topi p63-­‐/-­‐ mancano dell’epidermide, delle ghiandole mammarie, salivari e lacrimali. Studi recenti nel nostro laboratorio hanno dimostrato che p63 regola l’espressione della D2 e D3 nella pelle. In particolare, p63 riduce i livelli della D2 ed aumenta l’espressione della D3 in cheratinociti murini. Tale effetto è stato confermato dalla down-­‐regolazione di p63 con RNA interference che ha effetto opposto sulla regolazione delle desiodasi. I nostri dati dimostrano quindi una nuova regolazione del metabolismo degli ormoni tiroidei da parte di un membro della famiglia di p53. I nostri dati preliminari propongono che vi sia un controllo dell’espressione delle desiodasi D2 e D3 da parte di impotrtanti fattori trascrizionali che controllano i pathways apoptotici e di sopravvivenza cellulare. PP.6 ALTEZZA FINALE IN PAZIENTI AFFETTI DA IPOTIROIDISMO CONGENITO DIAGNOSTICATO ALLO SCREENING NEONATALE B. Bagattini 1, L. Montanelli 1, M. Ciampi 1, P. Agretti 1, G. De Marco 1, C. Di Cosmo 1, A. Perri 1, L. Chiovato 2, P. Vitti1, A. Pinchera 1, M. Tonacchera 1 1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa, 2 Fondazione S. Maugeri, IRCCS, Università di Pavia, Pavia Introduzione: Gli ormoni tiroidei sono essenziali per il normale sviluppo somatico e neurologico. Il Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo di Pisa è il centro di screening per l’ipotiroidismo congenito (IC) nel nord est della Toscana. Scopo dello studio: Valutare retrospettivamente l’altezza finale in pazienti con IC identificati allo screening neonatale, seguiti presso questo centro fino al raggiungimento dell’altezza finale. Pazienti: 23 pazienti (18 femmine e 5 maschi), risultati positivi allo screening per IC, con una media di TSH su spot di 323±218 µU/ml, con un valore medio di T4 di 3,3±2,47 µU/dl. La terapia sostitutiva con l-­‐tiroxina (LT4) veniva iniziata dopo la conferma su siero di valori elevati di TSH, a un’età media di 30,1±8,7 giorni, alla dose iniziale di 8 mcg/Kg. Follow up: ogni mese fino ai 6 mesi di vita, poi ogni 3 mesi fino all’anno di età, in seguito ogni 6 mesi fino ai 14-­‐16 anni, poi ogni anno. La dose iniziale di LT4 veniva modificata secondo gli esami. La diagnosi eziologica di IC veniva effettuata dopo una scintigrafia con 99mTc all’età di 4-­‐6 anni, dopo sospensione della terapia per un mese. In tutti i bambini veniva confermato l’ipotiroidismo permanente: venivano riscontrate 10 agenesie tiroidee, 12 ghiandole ectopiche, 1 ghiandola ipoplasica. Risultati: L’altezza finale è stata misurata a 18 anni, al raggiungimento della completa maturità. In tutti i pazienti l’altezza finale correla significativamente con l’altezza target e con l’altezza media della popolazione italiana. Nelle femmine adulte l’altezza media è 163 cm, per un’altezza target media di 163,3 cm (altezza media femminile italiana 165 cm). Nei maschi adulti l’altezza media è 173,7 cm, per un’altezza target media di 176,3 cm(altezza media maschile italiana 175 cm). Non sono state osservate correlazioni significative tra l’altezza finale e la diagnosi eziologica di IC. Non sono state evidenziate correlazioni tra l’altezza finale e il valore di TSH iniziale. Non sono state evidenziate correlazioni tra l’altezza finale e l’età a cui è stata iniziata la terapia con LT4. In conclusione l’altezza dei pazienti con IC identificati allo screening neonatale è risultata simile a quella della popolazione di riferimento. PP.7 AUMENTATO FABBISOGNO DI LEVOTIROXINA IN PAZIENTI ADULTI AFFETTI DA IPOTIROIDISMO CONGENITO E AGENESIA TIROIDEA RISPETTO A PAZIENTI ADULTI CON IPOTIROIDISMO POST-­‐CHIRURGICO B. Bagattini, L. Montanelli, M. De Servi, M. Ciampi, A. Pinchera, P. Vitti, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa La levotiroxina (LT4) è comunemente utilizzata per correggere il deficit ormonale in bambini affetti da ipotiroidismo congenito (IC) e in pazienti con ipotiroidismo post-­‐chirurgico. Scopo dello studio: Confrontare il fabbisogno giornaliero di levotiroxina in pazienti adulti affetti da IC da agenesia tiroidea e in pazienti adulti trattati con tiroidectomia totale per patologia nodulare o per cancro dopo remissione clinica. Pazienti e Metodi: Sono stati studiati 28 pazienti (19 femmine e 9 maschi) di età compresa tra 18 e 26 anni. Gruppo A: 12 pazienti adulti (età media 19,9 anni) con IC da agenesia tiroidea trattati con LT4 dai primi giorni di vita; Gruppo B: 16 pazienti adulti (età media 22,8 anni) con ipotiroidismo chirurgico in seguito a tiroidectomia totale (8 pazienti precedentemente affetti da patologia nodulare e 8 affetti da carcinoma tiroideo in remissione clinica e biochimica). Sono stati dosati gli ormoni tiroidei liberi, TSH, Tireoglobulina (Tg), Anticorpi antitireoglobulina e antitireoperossidasi, e sono stati misurati il peso e la dose/Kg in tutti i pazienti. Al momento dell’osservazione i pazienti presentavano FT4 e FT3 nel range di normalità e valori di TSH sierico compresi tra 0,3 e 3 uU/ml. Risultati: Tutti i pazienti presentavano valori indosabili di Tg e di anticorpi antitiroide. I pazienti del gruppo A mostravano valori di TSH sierico significativamente più elevati rispetto ai pazienti del gruppo B (p<0,01; Gruppo A: mediana=1,70 μUI/ml; Gruppo B: mediana=0,70 μUI/ml). La dose/Kg giornaliera di terapia sostitutiva con LT4 dei pazienti del gruppo A era significativamente più elevata rispetto a quella dei pazienti del gruppo B (p<0,05; Gruppo A: media= 2,03 μg/Kg, DS= 0,29; Gruppo B: media= 1,69 μg/Kg, DS= 0,29). Conclusioni: I pazienti del gruppo A mostravano una dose/Kg di LT4 maggiore rispetto a quella dei pazienti del gruppo B, sebbene presentassero valori più alti di TSH. Il differente fabbisogno di terapia sostitutiva con levotiroxina tra i pazienti affetti da IC e quelli con ipotiroidismo iatrogeno potrebbe essere dovuta alla mancanza di ormoni tiroidei sin dalla vita fetale nell’ipotiroidismo congenito, che potrebbe determinare un setpoint differente nell’asse ipotalamo-­‐ipofisi-­‐tiroide. PP.8 INFILTRAZIONE LINFOCITARIA DEL CARCINOMA MAMMARIO (CM):POSSIBILE SIGNIFICATO NEI PAZIENTI CON AUTOIMMUNITA’ TIROIDEA V. Belardi, I. Muller, E. Fiore, V. Rosellini, E. Giustarini, S. Sabatini, A. Pinchera, C. Giani Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Il cancro della mammella (CM) e l’autoimmunità tiroidea sono strettamente correlate, ma la causa di questa associazione è ancora sconosciuta. Il possibile ruolo dell’infiltrazione linfo-­‐monocitaria (LI) nella tumorigenesi del CM è controverso: alcuni studi indicano che nel carcinoma della mammella può essere riscontrato un incremento molto precoce di LI durante lo sviluppo della neoplasia oppure una alterazione della risposta immunitaria locale. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare la frequenza e l’entità di LI nel tessuto neoplastico mammario (TN) e nel tessuto neoplastico mammario peritumorale (TNP) in un gruppo di pazienti con CM ed autoimmunità tiroidea. Il gruppo di studio era costituito da 26 pazienti con CM con positività degli anticorpi anti-­‐tiroide (AbT) circolanti, di cui 14 con tiroidite cronica autoimmune, e 30 pazienti con CM con assenza di AbT circolanti e senza evidenza di patologia tiroidea autoimmune. LI era quantificata come assente/lieve (LIA) o moderata/marcata (LIM). LIA era caratterizzata da LI focale nello stroma senza evidenza di aggregati linfo-­‐monocitari e LIM da aggregati linfocitari confluenti ed in contatto con l’epitelio tumorale. Nei CM con AbT circolanti LIA era presente in 19/26 (73,1%) e LIM in 7/26 (26,9%). LIA era identificato in tutti i CM con tiroidite cronica autoimmune. Nei CM senza autoimmunità tiroidea LIA era riscontrata in 25/30 (83%) e LIM in 5/30 (17%): la differenza dell’entità di LI nei CM con o senza autoimmunità tiroidea non era significativa. LI era generalmente assente nel tessuto peritumorale normale in entrambi i gruppi. In conclusione la presenza dei segni umorali e/o clinici di autoimmunità tiroidea non è associata a modificazioni morfologiche significative di tipo immunitario nel CM, sia del tessuto tumorale che peritumorale. LI non sembra quindi svolgere un ruolo particolare nella tumorigenesi e nello sviluppo della neoplasia nelle pazienti con cancro della mammella e autoimmunità tiroidea. PP.9 UN CASO DI TIROIDITE GRANULOMATOSA COESISTENTE CON GOZZO MULTINODULARE CON CARATTERISTICHE CLINICHE, BIOCHIMICHE, ECOGRAFICHE E SCINTIGRAFICHE MIMANTI UN ADENOMA AUTONOMO F. Boi, M.L. Lai*, E. Tamponi*, G. Faa*, A. Nicolosi**, S. Mariotti Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Mediche Internistiche “M. Aresu”, (*)Dipartimento di Citomorfologia e (**)Dipartimento di Chirurgia, Università di Cagliari Una donna di 35anni sottoposta di recente a visita presso la nostra Unità di Endocrinologia per la presenza di un gozzo multinodulare diagnosticato 2 anni prima, presentava un nodulo prevalente del lobo sinistro della tiroide e lievi sintomi di disfagia. La paziente non riferiva dolore in sede cervicale ne spontaneo ne indotto dalla palpazione e non erano presenti segni clinici di tireotossicosi. Gli esami tiroidei deponevano per normali valori di tiroxina libera (9,9 pg/ml), tri-­‐iodotironina libera (2,13 pg/ml) e valori ridotti di TSH (0,12 mU/L) con negatività degli anticorpi anti-­‐tiroide. L’ecografia tiroidea con color Doppler (CFDS) rilevava nel lobo sx un nodulo prevalente solido ipoecogeno ipervascolarizzato di 26x12 mm di diametro con vascolarizzazione intranodulare (pattern tipo III); altri piccoli noduli con caratteristiche simili erano presenti in entrambi i lobi. Il tessuto tiroideo extranodulare era normoecogeno con normale vascolarizzazione al CFDS. La scintigrafia tiroidea con 99mTc evidenziava un focolaio di aumentata fissazione corrispondente al nodulo prevalente nel lobo sx con quasi assente captazione nel rimanente tessuto tiroideo. Veniva posta diagnosi di verosimile nodulo autonomo pre-­‐
tossico del lobo sx nel contesto di un gozzo multinodulare, e la paziente veniva sottoposta a intervento di tiroidectomia totale. L’esame istologico evidenziava multipli noduli di iperplasia bilaterali, in assenza di veri e propri adenomi. Sorprendentemente, il tessuto tiroideo extranodulare del lobo destro presentava multipli foci di diffusi infiltrati di linfociti, plasmacellule e cellule giganti multinucleate. Un minor grado di focolai infiammatori con simile morfologia erano anche presenti nel lobo sx. Interessante il rilievo che tutti i noduli erano esenti da infiltrati infiammatori. Questo pattern istologico suggeriva che un processo distruttivo (tiroidite granulomatosa) potesse aver inibito la funzione tiroidea del tessuto extranodulare, mentre il tessuto nodulare iperplastico del lobo sx non coinvolto dal processo infiammatorio, avesse una normale captazione mimando un nodulo “caldo”. In questo caso, la precisa natura della tiroidite granulomatosa non poté essere stabilita: l’assenza di sintomi locali e generali erano in accordo con la diagnosi di tiroidite subacuta indolore. Il TSH soppresso (tipico della fase di ipertiroidismo della tiroidite subacuta) fornisce ulteriori evidenze in favore di questa ipotesi, sebbene altri processi granulomatosi (ad esempio la sarcoidosi) possono altresì causare una transitoria tireotossicosi distruttiva. PP.10 UN LINFOMA TIROIDEO INFILTRANTE UN ADENOMA TOSSICO, CON L’ASPETTO SCINTIGRAFICO DEL NODULO CALDO A. Camera, F. Magri, S. Chytiris, R. Fonte, L. Villani, M.G. Della Porta, V. Fregoni, L. La Manna, L. Chiovato Un uomo di 56 anni giungeva alla nostra attenzione nel maggio 2009, in seguito all’occasionale riscontro di un voluminoso nodulo del lobo tiroideo sinistro ad un esame TC eseguito alla ricerca del tumore primitivo in paziente con metastasi ossee a livello femorale destro. Il paziente si presentava clinicamente ipertiroideo, gli esami ormonali confermavano uno stato di tireotossicosi, l’autoimmunità tiroidea era negativa. Il nodulo tiroideo aveva un aspetto ecografico disomogeneo, con multiple aree ipoecogene e calcificazioni. La scintigrafia con tecnezio evidenziava un’area di ipercaptazione in corrispondenza del nodulo con captazione soppressa del lobo controlaterale. L’esame citologico su agoaspirato sottile condotto sul nodulo indicava la presenza di cellule neoplastiche di origine non tiroidea. Dopo trattamento con metimazolo il paziente ha ottenuto remissione dell’ipertiroidismo, ed è stato inviato all’intervento chirurgico di emitiroidectomia sinistra ed istmectomia. L’esame istologico del pezzo chirurgico poneva diagnosi di linfoma B a grandi cellule tipo Burkitt-­‐like ad alto indice di proliferazione, celato all’interno di un adenoma tiroideo. Dopo le indagini di stadiazione (RM cerebrale, biopsia del midollo osseo), la diagnosi finale era di Linfoma Burkitt-­‐like stadio 4E, con coinvolgimento della tiroide e dell’osso. Questo è il primo caso descritto di una forma aggressiva di Linfoma Burkitt-­‐like infiltrante un adenoma tossico tiroideo, che si presentava come nodulo caldo alla scintigrafia. Nel caso del nostro paziente non c’era evidenza di autoimmunità né alle indagini bioumorali né sul preparato istologico, suggerendo si trattasse di una localizzazione metastatica di linfoma nell’ambito di un nodulo tiroideo iperfunzionante. Come evidenziato da questo case report, andrebbe sempre considerata l’opzione di eseguire l’esame citologico da agoaspirato sottile anche in noduli scintigraficamente caldi, soprattutto nel contesto clinico di una malattia metastatica d’origine sconosciuta o quando vi siano caratteri ecografici di sospetto. PP.11 IL RUOLO PROGNOSTICO DELLA LUNGHEZZA RELATIVA DEL TELOMERO (RTL) NEL TESSUTO NEOPLASTICO DI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE M. Capezzone, S. Marchisotta, S. Cantara, G. Busonero, C. Formichi, S. Capuano, M. Pisu, M.G. Castagna, F. Pacini Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrino-­‐Metaboliche e Biochimica, Sezione di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Siena La lunghezza relativa del telomero (RTL) nel tessuto tumorale è stata proposta come marker prognostico in molti tipi di tumore (mammella, prostata, polmone). Scopo dello studio è stato quello di misurare l’RTL nel tessuto tumorale di pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide (CDT) e di correlarla con l’outcome. Abbiamo analizzato con Q-­‐RT-­‐PCR 66 tessuti di DTC (61 papillari, 4 follicolari ed 1 insulare) e i corrispettivi tessuti controlaterali sani. Tutti i pazienti (16 maschi e 50 femmine, età media alla diagnosi 50,8 ± 15,8 anni) erano stati trattati con tiroidectomia totale ed ablazione del residuo con I-­‐131. Il follow-­‐
up era di 36 ± 144 mesi. L’outcome dei pazienti era correlato con l’età alla diagnosi, il sesso, la familiarità del tumore, il diametro della neoplasia, la multicentricità, l’estensione della malattia alla diagnosi, la presenza della mutazione di BRAF e l’RTL. Alla fine del follow-­‐up 51 pazienti risultavano guariti, 9 presentavano persistenza di malattia e 6 non erano valutabili. L’analisi statistica univariata mostrava che i parametri che influenzavano in maniera significativa l’outcome erano l’età alla diagnosi (p=0,04), l’invasione extratiroidea (p=0,002) e l’RTL nel tumore (p=0,001). L’analisi multivariata confermava l’età alla diagnosi e l’RTL come variabili indipendenti sullo stato finale dei pazienti. I valori di RTL risultavano più corti (p<0,0001) nel tessuto tumorale di pazienti con persistenza di malattia (0,9 ± 0,6) rispetto a quelli dei pazienti guariti (1,7 ± 0,5). L’unico parametro che correlava significativamente con l’RTL era la familiarità (p<0,0001). I valori di RTL nel tessuto tumorale e nella controparte sana dei pazienti con CDT familiare risultavano più corti (p<0,0001) rispetto a quella dei pazienti con CDT sporadico. Non risultavano differenze tra la RTL misurata nel tessuto tumorale e quella misurata nella controparte sana nei pazienti con CDT familiare. La RTL misurata nel tessuto dei pazienti con CDT sporadico risultava invece significativamente più corta (p<0,0001) rispetto a quella misurata nella corrispettiva controparte sana. In conclusione i nostri dati evidenziano come la lunghezza del telomero possa essere un potenziale indicatore prognostico nel CDT. PP.12 UNA DIAGNOSI DI CARCINOMA PAPILLARE TIROIDEO LUNGA 20 ANNI M. Cappagli, A. Montepagani, R. Leoncini, P. Magistrelli°, M. Moroni*, N. Gorji*, M.L. Carcangiu^ and A. Ciarmiello Medicina Nucleare, °Chirurgia, *Anatomia Patologica, Ospedale S. Andrea La Spezia; ^Patologia Diagnostica IST Milano M.G., maschio, a 51 anni viene valutato per una voluminosa formazione nodulare disomogenea del lobo tiroideo sinistro di 6 x 4.5 x 4.5 cm “fredda” alla scintigrafia. Alla citologia: “tireociti regolarmente strutturati”. Il Paziente viene sottoposto comunque ad emitiroidectomia sinistra per deviazione tracheale. L’esame istologico, valutato in due laboratori separatamente, evidenzia: nodulo di 1.3 cm identificato come ”adenoma a struttura microfollicolare; proliferazione adenomatosa perifericamente stipata con focolai di iniziale interessamento capsulare senza angioinvasività”. Diagnosi: adenoma microfollicolare. Il paziente esegue terapia con L_tiroxina alla posologia di 125 mcg al dì. Dopo 14 anni compare una neoformazione sottocutanea giugulare di circa 4 x 1.6 x 0.6 cm., di consistenza molle, ipo-­‐isoecogena diagnosticata come linfonodo, che viene asportata. L’esame istologico, discusso dai patologi con altri colleghi esperti, depone per: “iperplasia nodulare in nodulo tiroideo parassita”. Il Paziente continua il trattamento con L-­‐Tiroxina. Circa 6 anni dopo compaiono in sede presternale, altri 2 noduli ipoecogeni di 2.2 x 1.8 x 0.7 cm (1) e di 1.4 x 1.4 x 0.7 cm (2) sottoposti ad exeresi chirurgica; la diagnosi è di “frammenti fibroadiposi; lesione tiroidea follicolare con dismetria nucleare; l’ipotesi è di metastasi da carcinoma follicolare della tiroide”. Viene richiesta una consulenza presso un centro di riferimento nazionale, il cui responso è, rispettivamente: (1)“probabile recidiva o impianto di carcinoma papillare, variante follicolare (cosiddetto gozzo benigno metastatizzante)”, (2) “proliferazione follicolare tiroidea con caratteristiche di carcinoma papillare variante follicolare”. Il Paziente viene pertanto sottoposto a tiroidectomia totale con la seguente descrizione istologica: “carcinoma tiroideo ben differenziato di 1.7 cm; la diagnosi differenziale si pone fra carcinoma follicolare e carcinoma papillare variante follicolare”. Dopo ulteriore rivalutazione viene condivisa la diagnosi definitiva di carcinoma papillare variante follicolare. Il Paziente, stadiato pT3, Nx, M1 – Stadio IV C/UICC(2009), viene inviato a terapia ablativa con 131I (3.7 GBq, 100 mCi). La tireoglobulina post-­‐chirurgica pre-­‐ablazione è 2.5 ng/ml Il Total Body postterapeutico evidenzia residui di parenchima tiroideo senza lesioni a distanza. Il Paziente viene posto in follow-­‐up oncologico. Il caso costituisce un esempio inconsueto di “storia naturale” di carcinoma papillare, misconosciuto per le difficoltà diagnostiche all’istologia. PP.13 CARCINOMA TIROIDEO DIFFERENZIATO: ASSOCIAZIONE CON UN SECONDO CANCRO PRIMITIVO E CORRELAZIONE CON IL TRATTAMENTO RADIOMETABOLICO V. Cappagli, V. Bottici, C. Buzzoni*, L. Agate, E. Molinaro, A. Pinchera, R. Elisei Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, *ISPO, Istituto Studio Prevenzione Oncologica, Firenze Studi controversi sono stati pubblicati sulla sviluppo di un secondo cancro primitivo (SCP) in pazienti (pz) con tumore tiroideo differenziato (TTD) trattati con radioiodio (I-­‐131). Tali studi hanno però come limite la non omogeneità dei pz studiati, e la non uniformità del trattamento e del follow-­‐up. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare: a) l’associazione tra SCP e TTD, b) il rischio di sviluppare un SCP in pz con TTD rispetto alla popolazione generale e c) la correlazione tra SCP e il I-­‐131 o altri parametri epidemiologici. A questo scopo abbiamo studiato retrospettivamente le caratteristiche epidemiologiche, cliniche e anatomopatologiche di 530 pz consecutivi con diagnosi di TTD, afferiti al nostro Dipartimento. Abbiamo calcolato il SIR (Standardized Incidence Ratio) dei pz con TTD e lo abbiamo confrontato con quello della popolazione generale italiana (dati AIRTUM). Tutti i pz eccetto 17 (3.2%) sono stati trattati con I-­‐131. Un SCP è stato trovato in 57/530 (10.8%) pz, mentre 473/530(89.2%) non hanno avuto nessun SCP. Nessuna differenza è stata trovata quando abbiamo confrontato le caratteristiche epidemiologiche e cliniche dei due gruppi di pz, fatta eccezione per un’aumentata età alla diagnosi (>45anni) al momento della diagnosi di TTD nei pz che hanno poi sviluppato un SCP (p=0.03). Abbiamo osservato una più alta percentuale di SCP in pz trattati con I-­‐131 prima dello sviluppo di un SCP (49/505=10.7%) rispetto a quelli non trattati o trattati successivamente alla diagnosi di SCP (1/25=4%). Il rischio di sviluppare un SCP non risulta correlato con la dose cumulativa di I-­‐131 assunta (p=NS). L’analisi del SIR, fatta per tutti i pz, inclusi quelli non trattati con I-­‐131, ha mostrato un SIR di 1.22 per tutte le sedi anatomiche, suggerendo un aumentato rischio di sviluppare un qualsiasi SCP ed in modo particolare un tumore della mammella (1.32), del polmone (2.01) e della prostata (2.24). Concludendo, i nostri dati mostrano che: 1) un SCP è presente in circa l’11% dei pz con TTD, 2) i pz con TTD, sia trattati che non con I-­‐131, hanno comunque un rischio più elevato, rispetto alla popolazione italiana generale, di sviluppare un SCP in una qualunque sede anatomica, 3) il rischio di sviluppare un SCP è più elevato nei pz trattati con I-­‐131, senza apparente correlazione con la dose cumulativa assunta, 4) il rischio di sviluppare un SCP è maggiore nei pz con età più avanzata al momento della diagnosi di TTD (>45anni) rispetto a quelli con età alla diagnosi < 45 anni. PP.14 ANALISI DELLE CARATTERISTICHE CLINICO-­‐PATOLOGICHE DEI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) SEGUITI PRESSO L’AOU “MAGGIORE DELLA CARITÀ” DI NOVARA DAL 1997 AL 2010 M. Caputo, L. Pagano, F. Prodam, V. Garbaccio, L. Olivari, M.T. Samà, G. Mauri, G. Allochis, G. Aimaretti SCDO Diabetologia ed Endocrinologia AOU Maggiore della Carità, Novara Scopo dello studio: analizzare i casi incidenti di CDT afferiti al nostro centro dal 1997 al 2010, valutando gli eventuali cambiamenti clinico-­‐patologici in una popolazione iodio-­‐carente dopo l’inizio della supplementazione iodica e l’introduzione nella pratica clinica delle nuove linee guida per la diagnosi ed il management della malattia. Metodi: I pazienti sono stati divisi in due gruppi: il gruppo A (n=150, diagnosi 1997-­‐2005) ed il gruppo B (n=190, diagnosi 2006-­‐2010). Sono stati valutati diagnosi cito-­‐ e istologica, e trattamento chirurgico. Tutti i reperti istologici sono stati riclassificati secondo il sistema TNM 2002 ed è stata ricercata la presenza di tiroidite associata al tumore. Risultati: Il 75,6% dei pazienti era di sesso femminile e l’età media alla diagnosi 53,8±15, 88 anni. La diagnosi era stata effettuata nel 31,2% dei casi mediante FNAC, mentre nel 61,5% dei casi era incidentale nell’ambito di un intervento per gozzo. Il 7,3% era stato sottoposto ad intervento per diagnosi FNAC di TIR 3. 322 pazienti erano stati sottoposti ad intervento chirurgico presso il nostro centro: 84 avevano effettuato tiroidectomia totale e linfoadenectomia, 214 tiroidectomia totale o “quasi” totale e 24 prima una lobectomia e, in seguito a diagnosi istologica di carcinoma, totalizzazione. Relativamente all’istotipo il più frequente era il carcinoma papillare (88,2%) seguito da quello follicolare (10,6%), senza differenze statisticamente significative tra i 2 gruppi. Per quanto concerne le dimensioni, in entrambi i gruppi erano più frequenti i microcarcinomi (42,9%), seguiti dai piccoli carcinomi (28,9%); meno frequenti in entrambi i gruppi erano i tumori con diametro >4 cm (7,4%). Considerando la stadiazione TNM 2002, i tumori classificati come T1 erano più frequenti nel gruppo B rispetto al gruppo A senza raggiungere la significatività statistica (p=0,07). Le metastasi a distanza al momento della diagnosi erano rare, e presenti solo nel gruppo B, con un aumento di frequenza che non raggiunge però la significatività statistica (p=0,059). Nel gruppo B rispetto al gruppo A era maggiore la frequenza della tiroidite istologicamente associata al tumore (p<0,02). Conclusioni: non si evidenziano differenze clinico-­‐patologiche significative nei CDT diagnosticati nei 2 gruppi, ad eccezione di minori dimensioni e di una maggiore metastatizzazione della malattia nei pazienti del gruppo B. La maggiore associazione con la tiroidite dei pazienti del gruppo B potrebbe essere interpretata come possibile aumento delle tiroiditi a seguito della supplementazione iodica. PP.15 AUMENTATI LIVELLI SIERICI DI CXCL10 NELLA TIROIDITE CRONICA LINFOCITARIA ASSOCIATA ALLA GASTRITE AUTOIMMUNE M. Centanni 1,2, P. Fallahi 3, C. Virili 1, M.G. Santaguida 1, S.C. Del Duca 1, N. Brusca 1, M. Cellini 1, L. Gargano 2, S.M. Ferrari 3, A. Antonelli 3 1 DipartimentoScienze e Biotecnologie Medico-­‐Chirurgiche, “Sapienza” Università di Roma, Polo Pontino, 2 UOC Endocrinologia Universitaria, AUSL Latina, Latina e 3 Dipartimentodi Medicina Interna, Università di Pisa, Pisa La tiroidite cronica linfocitaria (HT) può associarsi con altre malattie autoimmuni endocrine (SPA) e non endocrine (NEAD). Una polarizzazione citochinica Th1 è stata descritta nella HT isolata, mentre un subset citochinico Th1/Th2 si osserva quando l’HT è associata con le NEAD. Le chemochine CXCL10 e CCL2 sono inducibili, rispettivamente, dall’IFNg e dall’ IL-­‐4, i prototipi delle citochine Th1 e Th2. E’ stato descritto un ruolo di queste chemochine nel direzionare le risposte dell’immunità adattativa e nelle autoimmunopatie. E’ riportato, inoltre, che la CXCL10 sia aumentata nell’HT isolata, mentre non è noto il comportamento di queste chemochine quando l’HT si associa alle NEAD. Scopo dello studio è stato quello di misurare i livelli sierici di CXCL10 e CCL2 in pazienti con HT isolata o associata con le NEAD più frequenti come la gastrite cronica atrofica (GCA), il morbo celiaco (MC) e la vitiligine (VIT). I livelli sierici di CXCL10 e CCL2 sono stati misurati in 95 volontari sani (gruppo di controllo, C), in 95 pazienti con HT isolata e in 68 pazienti con HT associata a NEAD (45 GCA, 18 VIT, 5 MC). Tutti i gruppi studiati erano paragonabili per sesso, età e durata di malattia e non includevano pazienti in gravidanza, trattati con farmaci interferenti con il sistema immune o affetti da malattie infettive o sistemiche. Elevati livelli di CXCL10 (definiti come il valore più alto di quello medio+2DS rispetto ai contolli; i.e. >103 pg/ml) sono stati osservati nel 3% dei controlli, nel 12% dei pazienti con HT isolata, nel 45% dei soggetti con HT+GCA, nel 28% di quelli affetti da HT+VIT e nel 20% dei pazienti con HT+MC (p<0.0001). I livelli sierici medi di CXCL10 erano dunque significativamente più alti nei pazienti con HT, isolata o associata con altre NEAD, rispetto al gruppo di controllo (C=49±27, HT=74±29, HT+NEAD=119±115pg/ml; ANOVA, p<0.0001). Tuttavia, analizzando i dati in relazione alla patologia associata, solo i pazienti con HT+GCA mostravano livelli di CXCL10 significativamente più alti dei soggetti con HT isolata (Bonferroni-­‐Dunn, p=0.0004). Al contrario, alti livelli di CCL2 (i.e.>523 pg/ml) sono stati riscontrati solo nel 4% dei pazienti con HT+GCA ed i valori medi osservati erano sovrapponibili in tutti i gruppi in studio (p=ns). In conclusione, i risultati dello studio dimostrano un incremento dei livelli sierici di CXCL10 nei pazienti con HT+GCA rispetto ai pazienti con HT isolata, mentre non è stata rilevata alcuna variazione dei livelli di CCL2 nei gruppi analizzati. PP.16 EFFETTO DEL TSH UMANO RICOMBINANTE SUI LIVELLI SIERICI DI GRELINA IN PAZIENTI CON CARCINOMA TIROIDEO DIFFERENZIATO C.Ciuoli, L. Brusco, M.G Castagna, A. Theodoropoulou, O. Neri, L. Pasqui, C. Fioravanti, F. Sestini, F. Pacini. Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrino-­‐Metaboliche e Biochimiche,Sezione di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Siena Introduzione: E’ noto che le patologie tiroide sono associate ad alterazioni del metabolismo e del senso della fame. Alcuni studi eseguiti in pazienti ipertiroidei ed ipotiroidei hanno dimostrato alterazioni dei livelli di grelina che si normalizzano con il raggiungimento dell’eutiroidismo. Scopo dello studio: Valutare la risposta dei livelli sierici di grelina dopo somministrazione acuta di TSH ricombinante (rhTSH) in pazienti tiroidectomizzati in terapia sostitutiva con l-­‐tiroxina. Pazienti: abbiamo studiato 50 pazienti (34 femmine, 16 maschi, BMI medio 25.6 ± 5.01 kg/m²) affetti da carcinoma differenziato della tiroide già trattati con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica con 131I. Metodi: Abbiamo eseguito il test con rhTSH per la valutazione dei livelli di tireoglobulina nell’ambito del follow-­‐up per il carcinoma tiroideo, somministrando ai pazienti rhTSH 0.9 mg per due giorni consecutivi. Sono stati eseguiti prelievi per il dosaggio sierico di TSH e della grelina a digiuno prima della somministrazione di rhTSH e dopo 24 h, 48 h, 72 h e 96 h dalla prima somministrazione. Risultati: Non vi erano differenze significative nei livelli sierici basali di grelina fra maschi e femmine. Vi era una correlazione negativa fra BMI e livelli basali di grelina (p 0.03) I valori medi basali di grelina sierica erano di 1085 ± 373 pg/ml e diminuivano significativamente (p <0.05) alla 24 h dalla prima somministrazione di rhTSH ritornando ai livelli basali dopo 96 h dalla prima somministrazione del rhTSH. Conclusioni: In condizioni di ipotiroidismo endogeno protratto, è stato riportato un aumento della secrezione di grelina. Nel nostro modello l’aumento del TSH è indotto acutamente ed è di breve durata. In queste condizioni la secrezione di grelina è ridotta nelle prime 24 h. PP.17 LA VARIANTE MORULARE-­‐CRIBRIFORME DEL CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE: NON SOLO UNA CURIOSITA’ MORFOLOGICA C. Colato, M. Gobbato, P. Brazzarola, M. Chilosi, F. Menestrina, M. Ferdeghini Dipartimento di Patologia e Diagnostica, Università di Verona, Verona Introduzione: La variante morulare-­‐cribriforme (vMC) del carcinoma papillare della tiroide (CPT) è un raro e peculiare sottotipo, originalmente descritto in pazienti con poliposi familiare del colon (FAP), sebbene in seguito siano stati riportati anche casi sporadici. Si riscontra quasi esclusivamente in giovani donne ed è associato a mutazioni germinali e somatiche nei geni APC e β-­‐
catenina. Probabilmente la sua reale incidenza è sottostimata ed appare pertanto decisivo il suo riconoscimento per le implicazioni cliniche che la diagnosi può comportare. Descriviamo 3 casi di MC-­‐CPT, due dei quali associati a FAP. Metodi: I dati clinici delle pazienti sono riportati in tabella 1 Risultati: le neoplasie papillari sono state studiate con indagini immunoistochimiche come presentato in tabella 2 Conclusioni: Come segnalato in letteratura riportiamo che in associazione alla FAP si possono osservare CPT con istotipo MC che costituiscono la variante prevalente caratterizzata da aberrante espressione nucleare e citoplasmatica di β-­‐catenina, debole e focale positività per TG e negatività per HBME-­‐1 e claudina-­‐1. Tuttavia possono riscontrarsi anche l’istotipo classico e la variante follicolare come del resto la vMC-­‐CPT può presentarsi in forma sporadica, non associata a poliposi. Pertanto una correlazione clinica, patologica e genetica diventa necessaria per un corretto inquadramento del paziente. PP.18 CLAUDINA-­‐5: QUALE RUOLO NELLA VALUTAZIONE DEI CARCINOMI PAPILLARI DELLA TIROIDE? C. Colato, A. Dardano P. Brazzarola, F. Monzani, F. Menestrina, M. Ferdeghini Dipartimento di Patologia e Diagnostica, Università di Verona, Verona Le Claudine (CLDN) sono proteine integrali di membrana, essenziali per la formazione e la funzione delle giunzioni serrate. Un’alterata espressione delle CLDN è stata documentata in molte neoplasie epiteliali ipotizzandone un ruolo nella tumorigenesi. Il loro profilo di espressione è complesso e sembra organo-­‐specifico. CLDN-­‐5 è ritenuta la claudina delle cellule endoteliali, ma la sua espressione è stata identificata in molti tumori epiteliali e talora correlata ad un comportamento clinico aggressivo. Ad oggi, l’espressione immunoistochimica di CLDN-­‐5 nel tessuto tiroideo non è stata ben caratterizzata. Scopo: Valutare l’espressione proteica di CLDN-­‐5 in una casistica di carcinomi papillari (CPT) con comportamento clinico aggressivo (persistenza di malattia, metastasi loco-­‐regionali e/o a distanza) e nelle rispettive metastasi linfonodali; confrontarne il pattern di espressione con quello del parenchima normale dell’adulto e del feto. Materiali: L’analisi immunoistochimica è stata condotta su 83 CPT suddivisi in variante classica (48 casi), follicolare (22 casi), a cellule alte (9 casi) e solida (4 casi) e su 27 metastasi linfonodali. Risultati: CLDN-­‐5 non era espressa nel 45,7% dei CPT primitivi e nel e nel 59,3% delle metastasi linfonodali. Una positività intensa e diffusa di membrana con pattern tratteggiato si evidenziava solo in pochi casi, mentre nella maggior parte si osservava una colorazione debole e focale. Non è stata identificata correlazione significativa con i sottotipi istologici, lo stato linfonodale o la dimensione del tumore. Nelle tiroidi fetali, CLDN-­‐5 decorava le membrane con un pattern lineare/tratteggiato/puntiforme simile a quello del tessuto tiroideo adulto. Conclusioni: CLDN-­‐5 è espressa nel tessuto tiroideo fetale e adulto con una modalità di distribuzione e pattern di colorazione del tutto sovrapponibili. L’esatto ruolo fisiologico di questa proteina tuttavia non è ancora elucidato. In uno studio precedente, l’espressione di CLDN-­‐5 è stata descritta in tutti i tumori tiroidei esaminati, eccetto uno, suggerendo un potenziale ruolo di questa molecola nella carcinogenesi tiroidea. Inoltre l’espressione di CLDN-­‐5, struttura portante delle giunzioni serrate dell’endotelio, potrebbe aumentare l’affinità delle cellule tumorali verso i vasi sanguigni. Il nostro studio, al contrario, ha evidenziato solo una debole o moderata espressione immunoistochimica di CLDN-­‐5 nel 54,3% di CPT e nel 40,7% delle rispettive metastasi linfonodali. Pertanto, i nostri dati non sembrano supportare un significativo coinvolgimento di CLDN-­‐5 nella tumorigenesi e nella metastatizzazione delle neoplasie tiroidee. PP.19 ESPRESSIONE DI CLAUDINA-­‐1 NEI NIDI CELLULARI SOLIDI: ULTERIORE EVIDENZA DI UN’ASSOCIAZIONE PATOGENETICA CON IL CARCINOMA PAPILLARE? C. Colato, A. Fierabracci, A. Dardano, P. Brazzarola, F. Monzani, M. Chilosi, M. Ferdeghini Dipartimento di Patologia e Diagnostica, Università di Verona, Verona I nidi cellulari solidi (NCS), normale componente della tiroide umana, sono considerati i residui embrionali del corpo ultimobranchiale. Il profilo immunoistochimico dei NCS è ben caratterizzato e poiché sembrano possedere le proprietà minimali di una cellula staminale (positività per telomerasi, p63 e bcl-­‐2), potrebbero rappresentare il pool di cellule staminali “adulte”della tiroide. Inoltre, l’espressione immunoistochimica di p63 nei NCS e la recente identificazione della mutazione B-­‐RAF in NCS iperplastici associati a carcinoma papillare (CPT) sembrerebbero ulteriormente avvalorare l’ipotesi di un possibile legame patogenetico tra questi residui embrionali ed il CPT. Tuttavia il significato biologico dei NCSs non è ancora stato chiarito. Le Claudine (CLDN) costituiscono una famiglia di tetraspanine, essenziali per la struttura e funzione delle giunzioni serrate. Esse svolgono un ruolo nella proliferazione cellulare, nell’adesione intercellulare e nella tumorigenesi. Recentemente, è stata documentata l’iperespressione di CLDN-­‐1 nei CPT, sia a livello genico che proteico. Scopo: Valutare l'espressione immunoistochimica di CLDN-­‐1 in una serie non selezionata di tiroidi contenenti i NCS e verificare la possibile relazione tra questi residui embrionali ed il CPT. Materiali e metodi: Abbiamo analizzato 19 NCS, riscontrati occasionalmente in tiroidectomie quasi-­‐totali per CDT (11 casi), per adenoma follicolare (1 caso) e per gozzo multinodulare (7 casi), utilizzando un anticorpo policlonale (Zymed, CA, USA). Risultati: In tutti i casi, i NCS mostravano un’intensa ed uniforme positività lineare di membrana, dando origine ad un aspetto tipo a “nido d'ape”. Per contro, le cellule C, localizzate attorno ai NCS, sono risultate sempre negative a CLDN-­‐1 e nel parenchima normale abbiamo osservato solo rare cellule positive. Conclusioni: Per la prima volta segnaliamo che CLDN-­‐1 è espressa nei NCS, supportando l’ipotesi di un fenotipo staminale/basale di queste strutture. CLDN-­‐1 appare un marcatore molto sensibile per l’identificazione dei NCS, affiancandosi a p63 e galectina-­‐3. In accordo con precedenti studi, noi confermiamo che CLDN-­‐1 è frequentemente iperespressa nei CPT e potrebbe costituire un nuovo marcatore di istotipo come galectina-­‐3. Tale dato potrebbe avvalorare l'ipotesi di un legame istogenetico tra i NCS ed il CPT. Infine CLDN-­‐1 può essere utile per distinguere i NCS dalle cellule C, considerato il fatto che le cellule C normali non esprimono questa proteina di membrana. PP.20 UN CASO DI SINDROME POLIENDOCRINA TIPO 1 ASSOCIATA A IPOTIROIDISMO DA TIROIDITE CRONICA INSORTO PRECOCEMENTE C. Colella, A. Dello Iacovo, E. Pane, E. Lucci, A. Carpenito, A. Bizzarro, A. Bellastella, A. De Bellis Dipartimento Medico-­‐Chirurgico di Internistica Clinica e Sperimentale “F. Magrassi e A. Lanzara”, Sezione di Endocrinologia, Seconda Università di Napoli Le sindromi poliendocrine autoimmuni (SPA) sono patologie caratterizzate dall’associazione di 2 o più endocrinopatie a patogenesi autoimmune con altre patologie autoimmuni non endocrine, organo e non organo specifiche. La SPA tipo 1 è caratterizzata dall’associazione di candidiasi mucocutanea cronica, l’ipoparatiroidismo cronico e l’insufficienza surrenalica autoimmune. Descriviamo un caso particolare di SPA tipo 1. Giungeva alla nostra osservazione la paziente B. L. di 29 aa affetta da SPA Tipo I o sindrome APECED caratterizzata da: candidiasi recidivante del cavo orale, esordita all’età di 2 aa, ipoparatiroidismo, diagnosticato in seguito alla comparsa di crisi convulsive in corso di ipocalcemia, morbo di Addison esordito all’età di 9 aa, deficit dell’ormone della crescita diagnosticato a 10 aa, tiroidite di cronica autoimmune in eutiroidismo, diagnosticata all’età di 14 aa e amenorrea con ipogonadismo ipergonadotropo all’età di 16 anni. L’indagine genetica evidenziava una mutazione in doppia eterozigosi di esoni I/II: 47 C>T/ 232 T>C. Alla prima osservazione la paziente, in trattamento con calcitriolo, calcio carbonato, fludrocortisone, cortone acetato, estro-­‐progestinici e cicli periodici di anti-­‐micotici, presentava lichen diffuso, alopecia, displasia dello smalto dentario e dolori addominali ricorrenti con disturbi dell’alvo. Lo screening autoanticorpale evidenziava positività per anticorpi anti-­‐surrene, anti cellule secernenti steroidi e anti cellule parietali gastriche, che confermavano la diagnosi rispettivamente di iposurrenalismo, insufficienza ovarica e gastrite atrofica autoimmune, e anti insula pancreatica, in assenza di corrispondente manifestazione clinica. Gli anticorpi anti-­‐ipofisi risultavano assenti. La positività per anticorpi anti tireoglobulina e anti-­‐tireoperossidasi si associava ad ipotiroidismo clinicamente evidente, pertanto veniva intrapresa terapia con L-­‐tiroxina. La peculiarità di questo caso potrebbe essere legata ad un fenotipo particolare, legato alla mutazione in doppia eterozigosi, con insorgenza precoce di numerose patologie autoimmuni cliniche e subcliniche fin dalla prima decade di vita. In particolare da questo caso si possono trarre le seguenti conclusioni: 1) la malattia di Addison è comparsa nella prima infanzia, mentre di solito è riportata nel secondo decennio; 2) nonostante l’assenza di positività per anticorpi anti-­‐ipofisi non si può escludere un pregresso coinvolgimento autoimmune nel deficit di GH; 3) sono state rilevate non solo altre malattie autoimmuni latenti, come dimostrato dalla presenza di vari autoanticorpi, ma anche la presenza di ipotiroidismo ad insorgenza molto più precoce di quanto riportato in letteratura. PP.21 TEST DI STIMOLO CON PENTAGASTRINA E CALCIO AD ALTE DOSI IN PAZIENTI CON CARCINOMA MIDOLLARE, CON PATOLOGIE TIROIDEE BENIGNE E IN CONTROLLI: CONFRONTO DELL’EFFICACIA E DELLA TOLLERABILITA’ DEI DUE TEST C. Colombo, U. Verga, M. Perrino, L. Vicentini, P. Beck-­‐Peccoz, L. Fugazzola Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano; U.O. di Endocrinologia e Chirurgia Endocrina, Fondazione Cà Granda IRCCS, Milano Il dosaggio della calcitonina (Ct) dopo stimolo con pentagastrina (Pg) viene utilizzato frequentemente in Europa nella diagnosi e nel follow-­‐up del carcinoma midollare della tiroide (MTC), mentre negli USA non viene raccomandata in considerazione della mancata disponibilità di Pg. Recentemente è stato dimostrato in volontari sani che il test con calcio (Ca) a dosi elevate rappresenta un test di stimolo più efficace e meglio tollerato rispetto al test con Pg. Scopo di questo studio è stato pertanto quello di confrontare i due test in pazienti con MTC o patologie tiroidee benigne e in controlli sani. Lo studio includeva un totale di 67 pazienti affetti da MTC in remissione (12F/7 M, età 8-­‐71 aa) o in persistenza di malattia (8F/5M, età 25-­‐
64 aa) e da pazienti con tiroidite cronica (HT) o gozzo multinodulare (9F/9M, età 26-­‐86 aa); sono stati inoltre studiati 15 controlli sani (8F/7M, età 23-­‐61 aa). I livelli di Ct sono stati misurati con sistema immunometrico (Immulite 2000) in campioni prelevati basalmente e a 2, 5 e 15 minuti dall’infusione e.v. di Pg alla dose di 0.5 mcg/Kg, o di calcio gluconato alla dose di 25 mg/Kg. I livelli di Ct stimolata nei soggetti sani non risultava in nessun caso superiore a 50 pg/ml. Nei pazienti affetti da MTC in apparente remissione, si osservava una risposta allo stimolo in 4 casi, con valori sovrapponibili tra Pg e Ca. Nei pazienti con persistenza di malattia, il picco di Ct variava da 18 a 3637 pg/ml con incremento delta 16-­‐3401 (Pg test) e da 60 a 2932 pg/ml con incremento 3-­‐2758 (Ca test) (P=0.94). Nei pazienti con autoimmunità tiroidea o patologia nodulare il picco di Ct variava da 21-­‐942 pg/ml con incremento delta 25-­‐873 (Pg test) e da 5-­‐38000 pg/ml con incremento 181466 (Ca test) (P=0.22). Il numero, l’intensità e la durata degli effetti collaterali riportati durante il test con Ca erano significativamente inferiori di quelli riferiti durante test con Pg. In conclusione, anche nei pazienti affetti da MTC e da patologia nodulare benigna il test di stimolo con alte dosi di Ca è paragonabile al test con Pg. Inoltre il test con Ca si associa ad effetti collaterali minori e meno intensi rispetto al test con Pg ed è preferito da tutti i pazienti. Queste caratteristiche, associate al costo minore di questo test e alla maggiore disponibilità di calcio, suggeriscono che l’infusione di Ca potrebbe costituire il test d’elezione sia per la diagnosi pre-­‐intervento di MTC che per il follow-­‐up. Sono in corso ulteriori studi per identificare i cut-­‐off da utilizzare per la diagnosi preoperatoria di MTC. PP.22 MEN2A CARATTERIZZATA DA TRE MUTAZIONI DE NOVO DEL PROTO-­‐ONCOGENE RET, EVOLUZIONE CLINICA G. Conzo 3, L. Circelli 1, D. Pasquali 3, G. Accardo 3, V. Sacco 3, D. Esposito 3, A.Renzullo3, A. Sinisi 3, V. Colantuoni 2 1 Ceinge, biotecnologie avanzate, Napoli; 2 Ceinge, biotecnologie avanzate, Napoli; Dipartimento Scienze biologiche e ambientali Università degli studi del Sannio, Benevento; 3 Dipartimento medico-­‐chirurgico di internistica clinica e sperimentale, Seconda Università di Napoli, Napoli La neoplasia endocrina multipla di tipo IIA (MEN 2A) è un disordine ereditario autosomico dominante associato con un cluster di mutazioni germinali con guadagno di funzione del proto-­‐oncogene RET. Il proto-­‐oncogene RET codifica per un recettore di membrana ad attività tirosin chinasica. Gli studi di correlazione genotipo-­‐fenotipo hanno evidenziato che specifiche mutazioni correlano con una maggiore aggressività del tumore. Nel nostro studio abbiamo valutato l’evoluzione clinica di una donna di 36 anni affetta da MEN2A con mutazioni de novo di RET nei codoni 634,640 e 700 nell’esone 11. Nella paziente sono evidenziabili carcinoma midollare della tiroide (MTC) e feocromocitoma bilaterale in assenza di iperparatiroidismo. Abbiamo già descritto questo caso di MEN2A dovuta a due mutazioni di RET ai codoni 634 e 640. Successivamente, abbiamo identificato la terza mutazione a livello del codone 700 all’interno dello stesso esone 11. La paziente è stata sottoposta a tiroidectomia totale e rimozione dei linfonodi della regione laterocervicale per il carcinoma midollare della tiroide e surrenectomia sinistra per feocromocitoma, seguita sei anni dopo da una surrenectomia destra per recidiva. Tre anni dopo la paziente è stata sottoposta alla rimozione di una più ampia quota di linfonodi laterocervicali risultati positivi per recidiva di MTC. I genitori e tutti i parenti studiati non mostravano mutazioni di RET. Durante il follow-­‐up, nonostante livelli costantemente elevati di calcitonina, in assenza di metastasi secondarie evidenziabili, la paziente ha dato alla luce una bambina in buona salute, senza mutazioni di RET. La valutazione complessiva di questi 12 anni di follow up ha dimostrato che, nonostante i livelli sierici di calcitonina costantemente elevati, la presenza di queste tre mutazioni de novo di RET è associata ad una prognosi più favorevole. PP.23 PREVALENZA DI MALATTIE TIROIDEE IN DUE POPOLAZIONI ANZIANE MOLISANE G. Corbi 1, R. Bracale 1, A. Iademarco 1, E. Grillo 1, C. Di Cesare 1, G. Salvatori 1, M. Gasperi 1, N. Ferrara 1,2, G. Oriani 1 1 Dipartimento Scienze per la Salute, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi del Molise; 2 Fondazione “Salvatore Maugeri”, Istituto di Telese Terme, IRCSS, Telese Terme (BN) L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno progressivo che caratterizza soprattutto le società occidentali. I soggetti ultra65enni rappresentano attualmente in Italia il 20% della popolazione. Scopo del nostro studio è stato confrontare la prevalenza di malattie tiroidee e se questa condizionasse lo stato di disabilità in due popolazioni anziane molisane: una popolazione anziana così detta “di successo” ed una popolazione affetta da “invecchiamento patologico”. Sono stati reclutati 36 soggetti presso un’Associazione ricreativa per anziani e 27 residenti in una struttura protetta. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a valutazione mediante l’utilizzo della Scheda per la Valutazione Multidimensionale dell’Anziano (SVAMA), che comprende una componente anagrafica, una clinico-­‐fisica, una funzionale e cognitiva ed una valutazione sociale. Le due popolazioni non differivano significativamente per età, sesso, grado di istruzione e stato civile. Andando a considerare la prevalenza di malattie tiroidee nelle 2 popolazioni, non vi erano sostanziali differenze con una prevalenza che si attestava al 22,2% nella popolazione “sana” ed al 19,4% in quella “patologica”. Tale dato risultava ancor più interessante se confrontato alla prevalenza delle altre patologie (diabete, ipertensione, osteoporosi, etc) presenti nelle due popolazioni. In conclusione, dal nostro studio, sembra emergere un’alta prevalenza di malattie tiroidee, sia nella popolazione sana che in quella residente, sebbene ciò non sembra incidere sulla disabilità e qualità di vita in età geriatria. PP.24 TIREOGLOBULINA ALL’ABLAZIONE E TIREOGLOBULINA IN SOPPRESSIONE NEL FOLLOW-­‐UP DEI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE: VALORE PROGNOSTICO S. Corvisieri, F. Arecco, E. Saggiorato, B. Puligheddu, F. Orlandi Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Presidio Sanitario Gradenigo Premesse: punto chiave dell’algoritmo del follow-­‐up del tumore differenziato della tiroide (DTC) è il dosaggio della Tg dopo stimolo con rh-­‐TSH: la negatività di questo test e dell’esame ecografico, permette di definire il paziente libero da malattia; tale test è però gravato da costi elevati. Recentemente in letteratura sono emersi lavori relativi alla possibilità di evitare tale test in popolazioni selezionate di pazienti con DTC; infatti sia i livelli di Tg all’ablazione (A-­‐Tg) che di Tg in soppressione (S-­‐Tg) sono correlati con i valori di rhTSH-­‐Tg e possono essere predittivi di recidiva di malattia. Scopo dello studio è stato quello di valutare se, in un sottogruppo di pazienti con DTC a basso e ad alto rischio, l’associazione di livelli di A-­‐Tg <20 ng/ml e di valori non dosabili di S-­‐Tg avesse un sufficiente valore predittivo negativo (NPV) per recidiva di malattia, tale da poter evitare l’esecuzione del test con rh-­‐TSH. Materiali e metodi: sono stati valutati 115 pazienti con DTC, indipendentemente dallo stadio TNM (stadiazione sia ad alto che a basso rischio) e includendo anche varianti istologiche maggiormente aggressive (sclerosanti, tall cell e a cellule di Hürthle). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento iniziale (tiroidectomia e terapia radiometabolica ablativa) e hanno valori di S-­‐Tg indosabili (<0.6 µg/L), in assenza di AbTg. Gold standard considerato: test con rh-­‐TSH. Risultati: 103/115 pazienti presentano valori di A-­‐Tg <20 ng/ml e in questo gruppo il NPV della S-­‐Tg indosabile si attesta al 93.2%. Infatti 96/103 pazienti presentano una rh-­‐TSH-­‐Tg <0,6 ng/ml, 6/103 pazienti presentano valori di rh-­‐TSH-­‐Tg compresi tra 0,6-­‐2 ng/ml (dubbi) e infine in 1/103 pazienti osserviamo valori di rh-­‐TSH-­‐Tg >2 ng/ml. Dopo aver considerato il follow-­‐up dei 6 pazienti con risposta “dubbia”, il NPV incrementa al 98.0%: infatti, 5/6 pazienti dimostrano una persistenza di residuo tiroideo in assenza di recidiva neoplastica con negativizzazione della risposta della rh-­‐TSH-­‐Tg al secondo test di stimolo eseguito ad un anno dal precedente; solo 1/6 pazienti risulta essere un falso negativo, in quanto affetto da metastasi linfonodale da carcinoma papillare variante sclerosante, individuata mediante l’esame ecografico. Conclusioni: tali dati, che non possono essere definitivi per il basso numero di pazienti, suggeriscono che l’associazione tra A-­‐Tg <20 ng/ml con livelli indosabili di S-­‐Tg può rappresentare un importante strumento per identificare, tra i pazienti con DTC a basso e alto rischio, il gruppo “no evidence of disease” indipendentemente dall’esecuzione del test con rh-­‐TSH, permettendo così un programma di follow-­‐up semplificato e decisamente meno costoso, senza perdere in accuratezza diagnostica. PP.25 L’ESPRESSIONE DELLA DESIODASI D3, REGOLATA DAL PATHWAY DI WNT/β-­‐CATENIN, E’ ASSOCIATA ALLA TUMORIGENESI DEL COLON M. Dentice, C. Luongo, R. Ambrosio, A. Sibilio, V. Damiano, L. Trevisani, A. De Stefano, G. Fenzi, D. Salvatore Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica. Università di Napoli “Federico II” L’attivazione periferica dell’ormone tiroideo e’ il prodotto delle desiodasi D1 e D2, mentre la D3 è il principale inattivatore fisiologico dell’ormone tiroideo. Il pathway di Wnt è un regolatore critico nella carcinogenesi, e mutazioni nel gene APC inducono un aberrante accumulo della β-­‐catenina e sono la causa genetica della poliposi familiare del colon. Nel nostro laboratorio abbiamo dimostrato che il pathway di Wnt controlla lo stato tiroideo in cellule di carcinoma del colon mediante una opposta regolazione dell’espressione delle desiodasi D2 e D3. β-­‐Catenin esercita una duplice ed opposta regolazione delle due desiodasi aumentando l’espressione della D3 e riducendo i livelli di D2. Inoltre l’attivazione del pathway di Wnt è in grado di ridurre lo stato tiroideo in vitro, in accordo con l’andamento dell’espressione delle desiodasi da noi osservato. In questo lavoro abbiamo valutato se esiste una correlazione tra l’espressione della D3 nell’intestino e la carcinogenesi del colon. Mediante saggi di immunoistochimica abbiamo analizzato l’espressione della D3 in tessuti di colon normale e in adenomi e carcinomi del colon. D3 risulta altamente espressa negli adenomi e nei carcinomi e quasi assente nel tessuto normale. Abbiamo poi condotto un’analisi di espressione della D3 mediante real time PCR in un pannello di 24 tumori del colon, confrontandoli con la controparte del tessuto normale. Anche l’mRNA della D3 risulta fortemente espresso solo nei tumori, ed, interessantemente la sua espressione sembra essere più alta negli stadi iniziali della tumirigenesi. Simile profilo di espressione nel corso dello staging è stata poi confermata tramite immunoistochimica. In conclusione, il nostro lavoro dimostra che l’espressione della D3, regolata dal pathway di Wnt/β-­‐catenin, è associata alla tumorigenesi del colon. Questa nuova associazione è in accordo con i recenti numerosi studi che dimostrano che la D3 è un’oncofetoproteina la cui espressione è aumentata in numerosi tumori umani. PP.26 VERDURE E PATATE FORTIFICATE CON LO IODIO: UN NUOVO METODO DI IODOPROFILASSI? A. Dimida, M. De Servi, M. Frigeri, P. Agretti, E. Ferrarini, G. De Marco, F. Aghini Lombardi, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia, Centro di Eccellenza AmbiSEn, Università di Pisa Nonostante lo iodio sia considerato un micronutriente essenziale nell’alimentazione, circa un quinto della popolazione mondiale soffre per carenza di questo elemento. I disordini legati alla carenza di iodio (Iodine Deficiency Disorders) sono considerati un problema sanitario a livello mondiale. Il mezzo più semplice ed economico per incrementare l’apporto iodico giornaliero consiste nell’uso di sale arricchito con iodio nell’alimentazione quotidiana. Recentemente, al fine di ridurre l’impatto che l’eccessivo consumo di sale esercita sulla salute e in particolare sulla ipertensione arteriosa e sulle malattie cardiovascolari, è stata lanciata una accesa campagna per ridurne drasticamente il consumo. Questo provvedimento non contrasta di per sé con il principio e l’esigenza di iodoprofilassi, ma può richiedere un adeguamento della concentrazione di iodio nel sale arricchito in misura adeguata a compensare la riduzione del consumo globale di sale. Metodi alternativi o integrativi per la iodoprofilassi sono peraltro possibili, quale l’arricchimento dei mangimi animali e l’arricchimento dei vegetali edibili. La biofortificazione di verdure con iodio può essere un'eccellente alternativa per aumentare l'assunzione di iodio. Evidenze preliminari sperimentali suggeriscono che piante di patate trattate con concimi iodati possono aumentare significativamente il loro contenuto di iodio nei tuberi. Sono in corso programmi di biofortificazione dei vegetali edibili per favorire l’accumulo di maggiori quantità di iodio. Lo scopo di questo studio era di verificare la efficacia e la sicurezza dell'assunzione di verdure e patate fortificate con iodio in 55 volontari sani non affetti da patologia tiroidea. Sono state utilizzate pomodori, carote e patate arricchite con iodio mediante metodi di concimazione classica. Una porzione di 100 grammi di ogni alimento contiene circa 45 mcg di iodio (30% RDA). Per valutare l’apporto iodico è stata misurata l’escrezione urinaria di iodio 2 settimane prima dell’assunzione degli alimenti, 2 settimane durante l'assunzione e 2 settimane al termine dell’assunzione degli stessi. I nostri risultati indicano che la mediana di iodio urinario prima dell’assunzione degli alimenti, era 94 mcg / l, mentre è stata di 110 mcg / l al termine della prima e della seconda settimana di assunzione, mentre la ioduria al termine delle 2 settimane successive al trattamento era di 94,5 mcg/l. In conclusione è stato provato che gli alimenti bioforticati con iodio testati conservano le stesse proprietà organolettiche degli alimenti non fortificati. La ioduria durante il trattamento con gli alimenti biofortificati è aumentata del 17% con lieve miglioramento dell’apporto iodico. In nessun caso è stata registrata una eccessiva introduzione di iodio. PP.27 LA TERMOABLAZIONE PERCUTANEA CON RADIOFREQUENZA È PIÙ EFFICACE DELLA INIEZIONE PERCUTANEA DI ETANOLO NEL TRATTAMENTO DEI NODULI TIROIDEI IPERFUNZIONANTI A. Faggiano 1, F. Milone 1, V. Ramundo 1, A.P. Assanti 2, R. Garberoglio 3, P.P. Limone 3, M. Gasperi 4, G. Lombardi 1, A. Colao 1, S. Spiezia 2 1 Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Università “Federico II”, Napoli; 2 Struttura Dipartimentale Semplice di Chirurgia Ecoguidata e delle Patologie del Collo, Azienda Sanitaria Locale Napoli 1, Santa Maria del Popolo degli Incurabili; 3 U.O.A. Ecografia e Doppler, Ospedale Mauriziano, Torino; 4 Dipartimento di Scienze Mediche, Cattedra di Endocrinologia, Università del Molise Introduzione e Obiettivo: La termoablazione percutanea con radiofrequenza (RTA) è una tecnica di recente utilizzo nel trattamento dei noduli tiroidei. Recenti studi hanno dimostrato che la RTA riduce significativamente il volume dei noduli tiroidei e i sintomi correlati. L’efficacia dell’iniezione percutanea di etanolo (PEI) sembra essere invece limitata ai pazienti con noduli prevalentemente cistici. Questo studio si propone di comparare l’efficacia di RTA e PEI in pazienti con noduli solidi iperfunzionanti. Pazienti & Metodi: Ottanta pazienti con noduli tiroidei iperfunzionanti (45 con gozzo tossico e 35 con gozzo pre-­‐tossico), sono stati sottoposti a trattamento ablativo locale. I pazienti sono stati separati in due gruppi comparabili per età, sesso, volume e caratteristiche ecografiche dei noduli: 40 pazienti trattati con RTA (RITA © StarBurst Talon, sistema ad ago ad uncino, sotto guida ecografica in real time) e 40 pazienti trattati con PEI. Dopo il trattamento i pazienti sono stati sottoposti a periodiche valutazioni ecografiche ed ormonali per un anno di follow-­‐up. Risultati: La riduzione di volume dei noduli tiroidei era significativamente più alta nei pazienti trattati con RTA rispetto a quelli trattati con PEI (p<0.01). Ad un mese dal trattamento, la riduzione media±SEM dei noduli rispetto al volume basale era 50.5±3.7% (range 20-­‐
79%) nei pazienti RTA e 36.2±4.0% (range 10-­‐72%) in quelli PEI. Ad un anno dal trattamento, la riduzione media±SEM era 73.2±3.0% (range 25-­‐100%) nei pazienti RTA e 44.2±3.4% (range 14-­‐86%) in quelli PEI. L’ipertiroidismo migliorava in entrambi i gruppi ma la percentuale di pazienti che raggiungeva una condizione di eutiroidismo in assenza di terapia con metimazolo era significativamente più alta nel gruppo sottoposto a RTA rispetto al gruppo sottoposto a PEI (72% vs 51%, p<0.01). Conclusioni: In pazienti con gozzo nodulare tossico e pre-­‐tossico, il trattamento con RTA è più efficace del trattamento con PEI nel ridurre il volume dei noduli tiroidei e nel controllare l’ipertiroidismo associato. La RTA si propone come una metodica efficace e sicura nel trattamento ablativo percutaneo del gozzo nodulare tossico e pre-­‐
tossico. PP.28 IPOTIROIDISMO CONGENITO CAUSATO DA UNA NUOVA MUTAZIONE OMOZIGOTE DEL GENE DELLA TIREOGLOBULINA E. Ferrarini, G. De Marco, P. Agretti, M. Chittani, A. Dimida, B. Bagattini, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa L’ipotiroidismo congenito dovuto a deficit di tireoglobulina (TG) è una malattia autosomica recessiva con una prevalenza di 1:40000-­‐1:100000 nati vivi e caratterizzata da gozzo, bassi livelli sierici di TG, elevati livelli di TSH con bassi livelli di ormoni tiroidei e test al perclorato negativo. La TG umana, una proteina di 2768 aminoacidi, è codificata da un grosso gene con 48 esoni localizzato su cromosoma 8q24. Mutazioni del gene della TG sono associate a gozzo congenito con ipotiroidismo o eutiroidismo. Ad oggi sono state descritte e caratterizzate 50 mutazioni del gene della TG umana. Lo scopo del nostro studio è stato quello di eseguire l’analisi del gene della TG in due sorelle nate da genitori consanguinei affette da ipotiroidismo congenito. Le due sorelle sono state identificate allo screening neonatale e trattate dopo la conferma di ipotiroidismo con L-­‐Tiroxina. Alla età di 7 anni, una sorella, dopo sospensione della L-­‐tiroxina presentava un franco ipotiroidismo, TG indosabile; alla scintigrafia era presente una tiroide in sede con captazione del 12% dopo 24 ore; la ecografia dimostrava la presenza di una ghiandola in sede di normali dimensioni. La seconda sorella, nonostante il precoce trattamento con L-­‐
tiroxina, era anche affetta da ritardo mentale. La ecografia confermava la presenza di una tiroide in sede di normali dimensioni, e la tireoglobulina era indosabile. Il DNA genomico è stato estratto dal sangue delle pazienti e da quello del padre, unico genitore in vita, utilizzando un kit commerciale. Tutti i 48 esoni che compongono il gene della TG sono stati amplificati per PCR, sequenziati con BigDye Terminator Kit e analizzati su 3130xl genetic analyzer. Nel sangue di entrambe le pazienti è stata identificata una mutazione puntiforme omozigote a livello dell’esone 10 del gene della TG (CGA/TGA) che determina la formazione di un codone di stop in posizione 768 (R768X). Il risultato è quindi la presenza di una proteina precocemente troncata e quindi non funzionante. Erano inoltre presenti varianti alleliche già descritte in letteratura. In conclusione, abbiamo identificato due sorelle con ipotiroidismo congenito e tiroide in sede di normali dimensioni e TG indosabile. L’analisi genetica ha dimostrato una alterazione della Tireoglobulina come causa dell’ipotiroidismo. PP.29 VALORE PROGNOSTICO DEGLI ANTICORPI ANTI-­‐TIROIDE NELLE PAZIENTI CON CARCINOMA DELLA MAMMELLA AD ALTO GRADO DI MALIGNITÀ E. Fiore, V. Belardi, I. Muller, V. Rosellini, E. Giustarini, S. Sabatini, A. Pinchera, C. Giani Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa In letteratura è nota l’associazione tra malattie autoimmuni tiroidee e carcinoma mammario (CM); in particolare è stata evidenziata un’alta incidenza di anticorpi anti tireoperossidasi (AbTPO) nelle pazienti con CM. Lo scopo del presente studio è quello di valutare il valore predittivo degli AbTPO in un gruppo di pazienti affette da carcinoma duttale infiltrante della mammella. Il gruppo di studio includeva 73 donne (età media 53,5 ± 10,6 anni) con CM seguite per un periodo di almeno 5 anni.. Tutte le pazienti erano state sottoposte a mastectomia radicale e chemioterapia (CMF). Dopo l’intervento chirurgico e prima di ogni altra terapia adiuvante le pazienti venivano sottoposte ad un esame clinico ed ecografico della tiroide e a prelievo ematico per FT3, FT4, TSH, anticorpi anti tireoglobulina (AbTg) e AbTPO. In base alle dimensioni del tumore (> o < 5 cm), al numero di metastasi linfonodali ascellari (> o < di 3), ed alla presenza di metastasi a distanza le pazienti erano suddivise in alto (AM) e basso (BM) grado di malignità. 46/73 (63,0%) presentavano un AM e 27/73 (37,0%) BM. 54/73 (74,0%) delle pazienti erano vive al termine del follow-­‐up. Nel gruppo AM 15/46 (32,6%) erano decedute entro 5 anni dalla diagnosi, mentre nel gruppo BM 4/27 (14,8%). Data l’esiguità del numero di pazienti decedute nel gruppo BM, non è stato possibile effettuare una analisi statistica in questo gruppo. Gli AbTPO erano presenti in 15/46 (32,6%) delle pazienti del gruppo AM. La sopravvivenza a 5 anni era di 14/15 (93,3 %) nel gruppo AbTPO + e 17/31 (54,8%) nel gruppo AbTPO-­‐. L’ età alla diagnosi non era significativamente associata alla sopravvivenza nel gruppo AM. L’assenza degli ABTPO erano correlati ad una maggiore mortalità. In conclusione nelle pazienti con CM ad alto grado di malignità la presenza di AbTPO al momento della diagnosi della neoplasia sembra essere un fattore prognostico positivo. PP.30 MULTIPLE DETERMINAZIONI DELLA TIREOGLOBULINA (Tg) DOPO TSH RICOMBINANTE: RISULTATI DI UNO STUDIO RETROSPETTIVO IN 230 PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) F. Galante, M. Pulcrano, S. Ippolito, D. Arpaia, A. Ferraro, L. Pagano, G. Lombardi, B. Biondi Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica. Università Federico II di Napoli Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il potenziale miglioramento dell’accuratezza diagnostica della Tg attraverso multiple determinazioni di tale marcatore in giorni consecutivi alla somministrazione di rhTSH. A tale scopo sono stati valutati retrospettivamente i risultati di 230 pazienti con CDT durante un follow-­‐up medio di circa 6 anni. I criteri di inclusione per lo studio sono stati: una Tg sierica indosabile durante terapia con L-­‐Tiroxina nel corso del follow-­‐up, e la negatività degli anticorpi anti-­‐Tg. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione basale della Tg durante terapia con L-­‐Tiroxina e a dosaggi ripetuti della Tg in giorni successivi alla somministrazione del rhTSH. Dopo somministrazione di rhTSH, la Tg è rimasta indosabile in 177 pazienti. I rimanenti 53 pazienti venivano suddivisi in due gruppi, sulla base della risposta della Tg durante il test: gruppo 1 pazienti con Tg tra 0,6 e 2 ng/ml (17 pazienti), gruppo 2 pazienti con Tg >2 (36 pazienti). Nel primo gruppo su 17 pazienti (7.3% della casistica totale), 10 pazienti (59%) mostravano all’ultimo ricombinante un picco di Tg in 5 giornata, 6 pazienti (35%) in 4 giornata, 1 paziente (6%) in 6 giornata. In tale gruppo di pazienti con incremento minimo della Tg, solo 5 pazienti, che mostravano valori persistentemente elevati durante il follow-­‐up (29,4%), mostravano un’ecografia positiva per metastasi linfonodale, confermata dall’esame citologico su ago aspirato. Nel gruppo 2, 36 pazienti (15.6% della casistica totale) mostravano valori persistentemente elevati di Tg stimolata. Tra questi il 13.8% mostravano, all’ultimo rhTSH un picco di Tg in 3 giornata, il 19,4% dei pazienti in 4 giornata, il 47,4% in quinta giornata e il 19,4% in 6 giornata. La Tg era superiore a 2, pur non raggiungendo il picco , in 31 pazienti (86.1%) in 5 giornata. Nel gruppo 2, 16 pazienti presentavano ecografia positiva per metastasi linfonodale, 8 pazienti recidivavano a livello polmonare e 2 pazienti mostravano sia una recidiva linfonodale che polmonare. In 6 pazienti la malattia non veniva identificata nonostante l’impiego delle metodiche di imaging. Nel gruppo 2, rientravano molti pazienti con rischio elevato di recidiva alla valutazione iniziale, che non avevano completamente normalizzato i livelli di tireoglobulina già al primo rhTSH.I nostri dati dimostrano che la valutazione della Tg in più determinazioni dopo rhTSH permette una migliore interpretazione dello stimolo grazie alla valutazione del trend di incremento e del picco dell’incremento della Tg. Nella nostra casistica tale metodica ha permesso di fare diagnosi in una piccola percentuale di pazienti che sarebbero sfuggiti alla comune valutazione della Tg fatta in 5 giornata. PP.31 VALUTAZIONE DELLA FREQUENZA E DELLE CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE VARIANTI DEL TSHR IN UNA VASTA CASISTICA DI BAMBINI E ADOLESCENTI CON IPERTIREOTROPINEMIA NON AUTOIMMUNE G. Gelmini 1, D. Calebiro 2, F. Marelli 2, M. Bonomi 1, G. Weber 3, M.C. Vigone 3, G. Radetti 4, A. Sartorio 1, F. Winkler 5, H. Biebermann 5, P. Beck-­‐Peccoz 2,6, L. Persani 1,2. 1 Istituto Auxologico Italiano IRCCS, Milano; 2 Dipartimentodi Scienze Mediche, Università di Milano; 3 Pediatria, San Raffaele, Milano; 4 Pediatria, Osp. Bolzano; 5 Charité, Berlino; 6 Fondazione Ca’ Granda Policlinico, Milano La causa più frequente di ipertireotropinemia è la tiroidite linfocitaria cronica anche in età giovanile. Studi recenti hanno tuttavia riportato diversi casi di resistenza al TSH in casistiche dove l’autoimmunità era stata esclusa. Lo scopo di studio è stato quello di determinare la frequenza della resistenza al TSH e le caratteristiche funzionali delle varianti del gene TSHR identificate nella più vasta casistica di bambini e adolescenti con ipertireotropinemia non autoimmune. Sono stati così selezionati in diversi centri 150 soggetti (età 1-­‐18 anni) con TSH compreso fra 4.0 e 20.0 mU/L, ormoni tiroidei nella norma, ghiandola tiroidea di normale eco-­‐struttura e anticorpi anti-­‐tiroide assenti. Il gene TSHR è stato esaminato con metodica dHPLC e sequenziando i frammenti di PCR con anomalie del profilo elettroforetico. La presenza di eventuali delezioni esoniche (alterazioni criptiche al dHPLC e sequenziamento) è stata invece valutata con tecnica MLPA. Varianti eterozigoti del gene TSHR sono state così identificate in 20/150 soggetti (varianti esoniche missenso in 16, delle giunzioni introne/esone in 2, frameshift/nonsenso in 2), di cui 7 sono di nuova identificazione. Le nuove varianti missenso (P68S, P162L, Y466C, I583T, T607I, R609Q, R450A) non sono state trovate in 200 alleli controllo e sono state studiate funzionalmente in vitro dopo transfezione transiente in cellule COS-­‐7. Due varianti (Y466C e P162L) hanno una ridotta (<50% del wild-­‐type) espressione sulla membrana cellulare e causano una ridotta stimolazione della via Gs/cAMP e Y466C, I583T, T607I e R609Q riducono la stimolazione della via Gq/IP3. La variante R609Q segrega con il fenotipo (TSH 4.7-­‐9.0 mU/L) in una famiglia attraverso 3 generazioni, a riprova del proprio potenziale patogenetico,. In conclusione, la resistenza al TSH ha una frequenza del 13,3% nella più vasta casistica giovanile di ipertireotropinemia non autoimmune finora studiata. I meccanismi molecolari responsabili della resistenza al TSH possono non coinvolgere la via Gs/cAMP e sono quindi molto più eterogenei di quanto precedentemente ritenuto. Le informazioni qui raccolte aprono quindi nuove prospettive negli studi struttura-­‐funzione del TSHR. PP.32 UN INUSUALE NODULO TIROIDEO: METASTASI ISOLATA DI MELANOMA MALIGNO IN TIROIDE R.G. Gheri, E. Vallin, M. Biancalani, V. Vezzosi, G. Giustarini, C.F. Gheri, F. Dainelli UU.OO. Endocrinologia, Otorinolaringoiatria, Anatomia Patologica AUSL11 Empoli (FI); U.O. Anatomia Patologica, AOUC, Firenze La ghiandola tiroide è raramente sede di tumori secondari. Le metastasi di melanoma maligno sono ancora più rare. Descriviamo il caso di un uomo di 74 anni che presentava un gozzo multinodulare, prevalentemente destro (max 18 mm), con noduli in parte calcifici e con scarsa vascolarizzazione periferica, scoperto casualmente in corso di esame Doppler dei vasi del collo, effettuato per altre ragioni; il paziente riferiva famigliarità per tumore tiroideo (NAS). Nell’anamnesi del paziente era segnalato un pregresso intervento di asportazione di melanoma cutaneo della guancia sinistra su lentigo maligna di Hutchinson, microulcerato, livello di Clark IV, spessore sec. Breslow 5,6 mm (pT4a, stadio III). Il paziente aveva fatto terapia medica con interferone A per 1 anno; i controlli effettuati negli anni successivi erano riferiti negativi. Il nodulo polare superiore destro tiroideo presentava alcuni caratteri di sospetto ecografico (margini irregolari, qualche spot vascolare interno); per tale ragione il paziente veniva invitato a fare l’esame citologico. Il primo campionamento dava esito inadeguato (TIR1) per la presenza di sangue e colloide e la assenza di cellule. Il paziente era quindi invitato a ripetere l’agoaspirazione del nodulo, ma per varie ragioni si ripresentava solo dopo alcuni mesi. All’esame ecografico, il nodulo appariva significativamente aumentato di volume (26 mm max); per un difetto di comunicazione, in questo secondo prelievo non veniva segnalato al citopatologo il pregresso melanoma. La citologia dimostrava cellule epiteliomorfe con anisonucleosi in parte in forma fusata, talora binucleate, disposte in piccoli aggregati e isolate (TIR4). La calcitonina, e i test di funzionalità tiroidea, ripetutamente controllati nel periodo, risultavano sempre regolari. All’intervento veniva evidenziata la presenza di una massiva infiltrazione di melanoma a cellule epitelioidi del nodulo tiroideo destro in esame (32 mm), con HMB45+, S100+, Tireoglobulina -­‐ , sullo sfondo di struma. La successiva completa stadiazione del paziente non evidenziava lesioni né a livello encefalico, né toracico né addominale. I pazienti che hanno un gozzo tiroideo nodulare (uni-­‐multi) e che hanno avuto in passato una storia di tumore maligno (rene, mammella, melanoma) possono indurre un importante quesito diagnostico: il nodulo tiroideo è un problema primitivo tiroideo (benigno o maligno) oppure è possibile ipotizzare una metastasi della neoplasia primitiva? PP.33 CONTROVERSIE NEL DOSAGGIO DELLA CALCITONINA IN PAZIENTI CON TIROIDITE CRONICA LINFOCITARIA G. Grani, A. Nesca, M. Del Sordo, A. Calvanese, G. Carbotta, A. Fumarola Dipartimento di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università di Roma La calcitonina è un marcatore tumorale di primaria importanza per la diagnosi ed il follow-­‐up del carcinoma midollare della tiroide. Il suo valore basale può essere influenzato da diversi fattori, tra cui il fumo di sigaretta, l’utilizzo di farmaci inibitori della pompa protonica, la presenza di patologie non tiroidee (ipergastrinemia, ipercalcemia, insufficienza renale, tumori neuroendocrini). Il ruolo della tiroidite cronica linfocitaria è invece dibattuto. Classicamente si riteneva che essa provocasse l’aumento dei valori della calcitonina, mentre lavori più recenti non confermano tale dato. Presso l’U.O.C. Endocrinologia A, Centro Malattie della Tiroide, Policlinico Umberto I di Roma, dal 2004 al 2009 sono stati eseguiti 1126 FNAC (Fine Needle Aspiration Cytology) su pazienti affetti da noduli tiroidei. A tutti i pazienti è stato richiesto il dosaggio di FT3, FT4, TSH, anticorpi anti-­‐
tireoperossidasi e calcitonina. Il dosaggio della calcitonina, eseguito a tutti i pazienti candidati ad FNA, serve a selezionare i vetrini che necessitano della colorazione immunocitochimica per la calcitonina al fine di contribuire alla diagnosi di carcinoma midollare della tiroide. Gli anticorpi anti-­‐TPO sono risultati elevati in 218 e la calcitonina in 46 dei 1126 pazienti. In particolare, la calcitonina è risultata superiore al cut-­‐off in 10 su 218 pazienti con anti-­‐TPO elevati (4,5%) e in 36 su 908 pazienti con anti-­‐TPO non elevati (4,0%), non registrandosi quindi alcuna differenza statisticamente significativa (p>0,05). Nessuna correlazione statistica è stata inoltre riscontrata fra i titoli anticorpali e la concentrazione sierica di calcitonina in tutti i pazienti. Tali dati quindi suggeriscono che la tiroidite cronica autoimmune non condiziona i valori della calcitonina sierica. Pertanto si può ipotizzare che l’innalzamento dei valori di calcitonina, riscontrato nella tiroidite cronica autoimmune e riportato nei lavori precedenti, sia imputabile ai metodi di dosaggio utilizzati in passato che non erano in grado di distinguere la calcitonina matura dalle calcitonin-­‐like proteins e che potevano risentire dell’influenza di anticorpi eterofilici. PP.34 IL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO POST TIROIDECTOMIA TOTALE: QUANDO, COME E PERCHE’ P. Grilli, G. Di Rocco, C. D'Ercole, D. Giannotti, S. Federici, A. Giannella, A. Redler, D. Vendettuoli La valutazione pre ed intraoperatoria del paziente sottoposto ad intervento chirurgico di tiroidectomia totale può indirizzare il clinico verso una diagnosi di benignità o malignità. Al fine di rilevare precocemente metastasi o residui ghiandolari tiroidei, si procede ad uno studio di imaging totale corporeo con 131I. La problematica principale dopo l’intervento chirurgico di tiroidectomia totale è sicuramente la decisione o meno di somministrare ormoni tiroidei oppure aspettare il responso anatomopatologico che indirizzerà il paziente verso un trattamento ormonale sostitutivo in caso di benignità oppure verso ulteriori trattamenti in caso di malignità. Le procedure diagnostiche o terapeutiche basate sull’uso del radioiodio prevedono innanzitutto la preparazione del paziente, processo di fondamentale importanza per ottenere un risultato attendibile e la buona riuscita dell’esame. La concentrazione di radioiodio nella tiroide è influenzata da diversi farmaci ed alimenti. Per quanto riguarda il metabolismo degli ormoni tiroidei bisogna ricordare che sono necessarie due settimane per rimuovere dall’organismo la Triiodiotironina(T3) e quattro-­‐sei settimane per la Tiroxina(T4). La sensibilità del test è maggiore se il paziente segue una dieta a ridotto contenuto iodico per almeno 7-­‐10 giorni precedenti la somministrazione di radioiodio in modo da non influenzare negativamente l’uptake dello stesso. Oltre alla dieta è necessario sospendere la terapia ormonale sostitutiva 35-­‐40 giorni prima e iniziare la già sopra indicata dieta ipoiodica. Tutto questo serve ad aumentare il TSH (>30 U/mL) che a sua volta aumenta l’avidità dei tireociti per lo iodio. Alcune categorie di pazienti devono essere tutelate dall’eventuale “ipotiroidismo spinto” necessario per le tecniche di imaging e terapeutiche radiometaboliche. Riteniamo quindi che i pazienti, in attesa dell’esame istologico definitivo, debbano essere indirizzati verso un trattamento ormonale a base di triiodiotironina che assicura rapidi tempi di wash-­‐out metabolico e contemporaneamente svincola il paziente dagli spiacevoli sintomi tipici dell’ipofunzione tiroidea. PP.35 DATI BIOINFORMATICI A SUPPORTO DEL POSSIBILE SCATENAMENTO DI MALATTIE AUTOIMMUNI TIROIDEE (MAIT) DA PARTE DI “OUTER MEMBRANE PROTEINS” (OMP) DI YERSINIA ENTEROCOLITICA (YE) AVENTI OMOLOGIA DI SEQUENZA COL RECETTORE UMANO DEL TSH (TSHR) F. Guarneri, D. Carlotta, G. Saraceno F. Trimarchi, S. Benvenga Dermatologia ed Endocrinologia, Univ. di Messina Recentemente, Wang et al [JCEM, 2010] hanno riportato che: (a) la frequenza di Ab anti-­‐YE (Ab-­‐YE) nel siero di pazienti cinesi con m. di Basedow (MB) o t. di Hashimoto è maggiore che in pazienti con tir. non-­‐autoimmuni ed in controlli non tireopatici; (b) riguardo al MB, la frequenza è minore nei casi in remissione rispetto ai recidivati o di neoinsorgenza; (c) i livelli di Ab-­‐YE correlano con quelli dei TRAb; (d) i TRAb cross-­‐reagiscono con proteine di YE e, viceversa, gli Ab-­‐YE cross-­‐reagiscono con TSH-­‐R; (e) almeno una delle proteine YE cross-­‐reagenti è ompF; (f) Ab-­‐anti-­‐ompF di YE hanno attività biologica TRAb-­‐simile; (g) l’epitopo 198–205 di TSHR (DALGNVTS) è molto simile ad aa. 190-­‐197 (DAFGGVYS) di ompF; (h) la sequenza aa. di ompF della YE e quella extracell. di TSHR sono identiche al 10.6% (algoritmo ignoto). Wang et al. concludono che i TRAb potrebbero essere elicitati dall’esposizione alla ompF di YE attraverso il mimetismo molecolare e che “altre sequenze di YE potrebbero cross-­‐reagire con TSHR”. Poiché il nostro gruppo [Thyroid, 2006] aveva già riportato che una delle proteine di YE omologa al TSHR è la ompM (identità tra aa. 22-­‐272 di TSHR, che si trovano nel dominio extracellulare, ed aa 81-­‐322 di ompM= 26%; similarità =43%), abbiamo confrontato bioinformaticamente, come ora riportiamo, la nostra ompM (aa. 81-­‐322) con la loro ompF (aa. 1-­‐242). Usando l’algoritmo ClustalW2, la regione 22-­‐272 di TSHR è più omologa (identità=22%, similarità= 44 %) ad ompM che non ad ompF (13% e 31%); il suddetto epitopo 198-­‐205 di TSHR è simile ad aa. 181-­‐189 di ompM (DASSNGIRS). Il numero di motivi aminoacidici che legano un peptide alle “molecole del complesso HLA/complesso peptide-­‐DR-­‐recettore T dei linfociti” nel segmento 22-­‐272 di TSHR va da 3 (HLA-­‐DR6) a 20 (DR4), per un totale di 92. Il numero di motivi leganti nei segmenti 81-­‐322 di ompM e 1-­‐242 di ompF è zero (DR6) sia per ompM che per ompF), compreso tra 1 (DR5) e 28 (DR4) per ompM (totale= 89), e compreso tra 4 (DR2 e DR5) e 16 (DR4 e DR7) per ompF. Poiché HLA-­‐
DR8 e -­‐DR9 sono fattori di rischio per MAIT negli asiatici, e poiché il n. di motivi leganti DR8 e DR9 nelle due omp va da 2 a 14 (8 e 5 nella regione 22-­‐
272 di TSHR), è ancor più plausibile che le due omp possano scatenare MAIT nei caucasici. Infatti, nei caucasici fattori di rischio per MAIT sono HLA-­‐DR3 e DR4, per i quali il n. di motivi leganti nelle due omp va da 15 a 28 (16 e 20 nella regione 22-­‐272 di TSHR). PP.36 QUAL È IL “GOLD STANDARD” NELLA DIAGNOSTICA DEI NODULI TIROIDEI AUTONOMI? F. Ianni 1, G. Perotti 2, R.M. Paragliola 1, L. Castellino 1, V. Luotto 1, A. Prete 1, S.M. Corsello 1, A. Pontecorvi 1 1 Divisione di Endocrinologia e 2 Istituto di Medicina Nucleare, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione: L’approccio al paziente (pz) con nodulo tiroideo è reso complesso dalla mancanza di una singola indagine sufficientemente specifica e sensibile per caratterizzarlo correttamente. Vi è consenso unanime sul fatto che la valutazione di un pz con riscontro ecografico di noduli tiroidei debba iniziare con il dosaggio del TSH. La tireoscintigrafia (TSG) è convenzionalmente indicata solo in presenza di valori soppressi di TSH. Lo scopo del nostro studio è stato quello di analizzare la relazione tra i valori di TSH e la TSG di noduli “caldi” ed individuare eventuali fattori predittivi di autonomia funzionale. PAZIENTI E METODI: sono stati arruolati 78 pz che hanno presentano noduli ipercaptanti alla TSG con 99mTc ed anticorpi anti-­‐TPO ed anti-­‐Tg negativi, di cui 26 (33%) con noduli singoli (NS) e 52 (67%) con noduli multipli (NM). Essi sono stati sottoposti a prelievo per TSH, FT3 ed FT4, RAIU ed ecografia (US) con power Doppler (PD).Sulla base del TSH i pz sono stati suddivisi in due gruppi (G): G1 (25 pz) con TSH tra 0.5 e 1.5 mU/L(11 NS, 14 NM) e G2 (53 pz) con TSH<0.5 mU/L (13 NS, 40 NM). RISULTATI: nel G1 (25 pz) 18 noduli hanno mostrato inibizione parziale alla TSG (72%) e 7 completa (28%), con RAIU medio alla 24^h di 23.6% (range 14-­‐43%). Il valore medio±DS degli ormoni tiroidei è stato:TSH 0.82±0.42 mU/L, FT3 3.09±0.68 pg/ml, FT4 8.14±4.66 pg/ml; il diametro medio±DS dei noduli era 19.8±9.4 mm. L’US ha mostrato 9(36%) noduli isoecogeni, 2(8%) iperecogeni, 9(36%) ipoecogeni, e 5(20%) misti, mentre il PD ha documentato scarsa vascolarizzazione in 4(16%), periferica in 6 (24%), peri con spots intralesionali in 8 (32%) e intralesionale in 7 (28%) pz. Nel G2 (53 pz) 21 noduli hanno presentato inibizione parziale alla TSG (39%) e 32 completa (61%). Il RAIU medio (24°h) è stato 27.2% (range 15-­‐43%).Il valore medio ±DS degli ormoni tiroidei è risultato: TSH 0.15±0.11 mU/L, FT3 4.2±1.5 pg/ml, FT4 12.90±7.09 pg/ml; il diametro medio±DS dei noduli:28.6±14.2 mm.L’ecostruttura alla US è risultata isoecogena in 19 (48%), iperecogena in 9 (17%), ipoecogena in 9 (17%), e mista in 16 (18%). Il PD ha mostrato scarsa vascolarizzazione in 14 noduli (26%), periferica in 15 (28%), peri con spots intralesionali in 15(28%) e intranodulare in 9(18%). L’analisi statistica ha dimostrato differenze significative tra i due gruppi solo per quanto riguarda FT3(p<0.02), FT4(p<0.04) e RAIU nel sottogruppo degli AFTN(p<0.05). CONCLUSIONI: nel nostro studio il valore del TSH non è stato sufficiente ad identificare la presenza di noduli autonomi nel 32%(25/78) dei pz. Le caratteristiche US e PD dei noduli non hanno consentito di identificare con certezza le lesioni funzionalmente autonome. Tali risultati confermano l’utilità di eseguire la TSG, nelle aree iodocarenti, anche in pazienti con valori di TSH nella porzione bassa del range seppure non francamente soppressi. PP.37 UN RARO CASO DI SPINDLE EPITHELIAL TUMOR WITH THYMUS-­‐LIKE ELEMENTS (SETTLE) S. Ippolito 1, G. Ciancia 2, D. Arpaia 1, F. Galante 1, A. Ferraro 1, G. Pettinato 2, Lombardi Gaetano1, Biondi Bernadette1 1 Dipartimento di Endocrinologia e Oncologia Clinica e Molecolare; 2 Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Napoli Federico II Spindle epithelial tumor with thymus-­‐like elements (SETTLE) è un tumore della tiroide estremamente raro descritto per la prima volta da Chan and Rosai nel 1991. Si presume prenda origine da cellule timiche ectopiche o da resti delle tasche brachiali che si differenziano lungo la linea timica. In letteratura fino ad oggi sono riportati meno di 25 casi di pazienti, soprattutto bambini e giovani, affetti da SETTLE tumor. Questa patologia può manifestarsi come un tumore inizialmente a basso grado di malignità ma con un ampio potenziale di sviluppo di metastasi a distanza dopo molti anni dalla diagnosi. Riportiamo il caso clinico di una paziente di 65 anni affetta da SETTLE tumor. In letteratura è stato descritto fino ad ora un unico caso di SETTLE tumor in un paziente di età maggiore di 50 anni. La paziente presentava all’esame ecografico del collo una tiroide di dimensioni aumentate ad ecostruttura disomogenea per la presenza di numerose formazioni nodulari di diametro variabile tra i 2.2 e 3.5 cm; l’asse tracheale appariva compresso a destra. La donna non presentava familiarità né fattori di rischio per patologia tiroidea maligna. L’esame obiettivo e i dosaggi ormonali confermavano la presenza di un gozzo multinodulare a componente adenomatosa. La paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico di tiroidectomia totale. Alla valutazione macroscopica il lobo destro appariva di 8x5 cm ad aspetto gelatinoso al taglio con un’area interna di 1.2 cm che all’esame microscopico appariva caratterizzata da una proliferazione di cellule fusate con scarso citoplasma, nucleo allungato, cromatina delicata e nucleoli incospicui in assenza di mitosi e necrosi intorno ai follicoli tiroidei. Focalmente i follicoli assumevano aspetto simil tubulare con epiteli cubici. All’esame immunoistochimico tali cellule apparivano negative per i marcatori del parenchima tiroideo, Calcitonina e Tireoglobulina e per il marcatore delle cellule epiteliali, Citocheratina. Le cellule apparivano localmente positive per CD68 e Chimotripsina. Il dato istopatologico ed immunoistochimico deponeva per un tumore a cellule fusate SETTLE di basso grado.I nostri dati sottolineano l’importanza dell’analisi immunoistochimica che risulta fondamentale nella diagnosi del tumorale SETTLE della tiroide permettendone l’identificazione. Il corretto iter diagnostico-­‐terapeutico del SETTLE tumor appare poco chiaro, soprattutto nell’anziano. Resta da stabilire il possibile valore prognostico di nuovi marcatori ematici ed immunoistochimici. PP.38 UN CASO DI ORBITOPATIA BASEDOWIANA GRAVISSIMA CON OTTIMA RISPOSTA ALLA TERAPIA MEDICA L. Liparulo, M.L. Tanda, A. Lai, P. Sivelli*, C. Azzolini*, S. Sellari Franceschini**, L. Bartalena Clinica di Endocrinologia; *Clinica Oculistica, Università dell’Insubria a Varese, **Clinica Otorinolaringoiatrica, Università di Pisa L’orbitopatia basedowiana (OB) gravissima [neuropatia ottica (Dysthyroid Optic Neuropathy, DON)] è trattata con glucocorticoidi (GC) ad alte dosi e.v. o orbitotomia decompressiva. Riportiamo il caso di una donna (50 anni, forte fumatrice) con morbo di Basedow esordito nell’ottobre 2008 con lieve ipertiroidismo e OB lieve (TRAb >40 U/l). A 2 mesi dall’inizio del metimazolo (MMI), buon controllo della funzione tiroidea ma graduale peggioramento dell’OB [Clinical Activity Score (CAS) 6/7, moderato esoftalmo (OD 23mm, OS 23mm), visus normale]. Da giugno a settembre 2009 trattamento steroideo e.v. [metilprednisolone (MPS) 2.5 g], con parziale miglioramento e riduzione del CAS a 3/7. Dopo 2 mesi, repentina e drammatica riaccensione dell’OB (CAS 7/7), aumento dell’esoftalmo (OD 25 mm, OS 24 mm), severa riduzione del visus (OD 1/10, OS 10/10 corretto), ipertropia ed esotropia alternante in OD. La campimetria confermava severa compromissione in OD, la polarimetria a scansione laser (GDx) evidenziava una marcata riduzione dello spessore delle fibre nervose retiniche peripapillari in OD. La TAC mostrava grave esoftalmo bilaterale, vistoso ispessimento della muscolatura estrinseca oculare bilateralmente, marcato incremento del tessuto adiposo retrobulbare e stiramento dei nervi ottici, soprattutto a destra, con compressione all’apice orbitario. In terapia con MMI buon controllo funzionale, TRAb 14.6 U/l. La paziente veniva immediatamente sottoposta a trattamento con GC e.v. ad alte dosi (1 g MPS per 3 gg consecutivi), con drammatico miglioramento; la terapia è stata pertanto proseguita somministrando boli di MPS a cadenza settimanale (dose cumulativa 5 g), seguiti da GC per os a basse dosi. Alla fine del trattamento normalizzazione dell’acuità visiva (OD 10/10, OS 10/10) confermata dalla campimetria e dal GDx, CAS 2/7; persistevano proptosi e deficit della motilità oculare in entrambi gli occhi, con diplopia costante. La paziente è stata poi sottoposta ad orbitotomia decompressiva (settembre 2010), con riduzione della proptosi (OD 19 mm OS 17 mm). Questo caso mostra che la DON può comparire non solo all’esordio dell’OB, ma anche dopo una positiva, seppur parziale risposta ai GC e.v. La risoluzione della DON dopo il secondo ciclo di GC e.v. a dosi molto alte suggerisce che anche in casi come questo si possa considerare la terapia steroidea come il trattamento di prima scelta, riservando la terapia chirurgica alla risoluzione delle manifestazioni oculari residue. PP.39 SIGNIFICATO DEGLI ANTICORPI ANTI-­‐TIREOGLOBULINA (AbTg) NEL FOLLOW-­‐UP A LUNGO TERMINE DEI PAZIENTI CON CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CTD) L. Lorusso, L. Agate, F. Latrofa, E. Molinaro, V. Bottici, P. Passannanti, A. Pinchera, R. Elisei. Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Gli AbTg sono considerati un surrogato della tireoglobulina e sono spesso utilizzati nel monitoraggio di pazienti (pz) affetti da CTD. Tuttavia ad oggi non è chiaro se la persistenza degli AbTg correla con l’andamento della malattia tiroidea. Scopo dello studio: valutare il titolo anticorpale di 136 pz con CTD trattati con tiroidectomia totale e terapia radiometabolica con 131I e l’eventuale associazione tra la positività degli AbTg con la persistenza/recidiva di malattia. Pazienti: abbiamo esaminato i dati di 136 pz con CTD seguiti presso il Dipartimento di Endocrinologia di Pisa tra il 1995 ed il 2010. Questi pz facevano parte di un gruppo di pz AbTg positivi già esaminati in un precedente studio che aveva valutato l’andamento degli AbTg in un follow-­‐up che andava dal 1976 al 1994; al termine di questo periodo, 111 pz risultavano AbTg negativi e 25 positivi. Risultati: i 111 pz che al termine del primo follow-­‐
up risultavano negativi per gli AbTg mantenevano la negatività anche a distanza di ulteriori 15 anni di osservazione. Dei 25 pz positivi al termine del primo follow-­‐up, 20 (80%) risultavano negativi per gli AbTg all’ultimo controllo, mentre 5 (20%) rimanevano positivi. Dei 5 pazienti AbTg positivi, 1 (20%) presentava un titolo anticorpale superiore a 2000 U/ml associato a lesioni polmonari, identificate mediante TC e scintigrafia totale corporea (STC) dopo dose alta di 131I; in 2 pazienti il titolo anticorpale risultava essere pari a 62 e 103 U/ml ed associato a lesioni polmonari nel primo caso e linfonodali mediastiniche nel secondo (lesioni identificate mediante TC; non iodocaptanti); infine, 2 pz (40%) presentavano un titolo anticorpale di 65 e 348 U/ml con titolo stazionario, Tg basale e stimolata indosabili e senza alcuna evidenza di malattia né all’ecografia del collo né alla STC (dopo dose alta di 131I). Conclusioni: 1. La negativizzazione degli AbTg può avvenire anche dopo molti anni (i.e. ulteriori 15 anni rispetto al precedente studio); 2. nessun paziente che ha raggiunto la negativizzazione del titolo ha poi presentato una ripositivizzazione; 3. i pz con AbTg positivi a circa 30 anni dall’intervento di tiroidectomia sono da considerare ancora affetti da malattia che deve essere indagata con tutte le metodiche a disposizione. PP.40 ASSOCIAZIONE TIROIDITE CRONICA LINFOCITARIA – CELIACHIA E RISCHIO DI SVILUPPO DI ARTRITE G. Lupoli 1, R. Peluso 2, A. Panico 1, F. Lo Calzo 1, D. Sorrentino 1, S. Malgieri 1, D. Iacono 1, M. Cacciapuoti 1, R. Scarpa 2, G. Lupoli 1. 1 Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, 2 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale – Università degli Studi “Federico II”, Napoli Introduzione: La tiroidite cronica linfocitaria (TCL) è una malattia autoimmunitaria organo-­‐specifica la cui associazione con varie patologie reumatiche (es.artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, s. Sjogren, etc) e gastrointestinali come la malattia celiaca (MC) è ampiamente dimostrata. Sia nella TCL che nella MC è stata descritta un’artrite non erosiva, sieronegativa per il fattore reumatoide (FR), la cui frequenza di presentazione non è ancora nota. Obiettivo: Valutare se l’associazione della MC alla TCL rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo dell’artrite. Pazienti e metodi: Sono stati reclutati 180 pazienti affetti da TCL in eutiroidismo; la patologia è stata diagnosticata sulla base della positività di AbTg e/o AbTPO e quadro ecografico compatibile. Sono stati sottoposti a screening per la MC, praticando dosaggio di AbTTG ed EMA, ed EGDS con biopsia della mucosa duodenale nei casi dubbi. Tutti i soggetti hanno, di seguito, praticato valutazione reumatologica con esecuzione di esami biochimici reumatologici, radiografia delle articolazioni coinvolte e scintigrafia ossea total-­‐body. Risultati: Sono stati selezionati 108 pazienti, in seguito all’esclusione dallo studio dei seguenti soggetti: 49 affetti da ipotiroidismo o ipertiroidismo; 4 da patologie gastrointestinali diverse dalla MC; 19 da patologie reumatiche (fibromialgia, osteoartrosi, s. di Sjogren, artrite reumatoide). Dopo aver praticato screening per la MC, i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: 1) 8 affetti da MC e TCL; 2) 100 affetti da sola TCL. In 3 soggetti del gruppo 1 e 21 del gruppo 2 è stata riscontrata un’artrite. Il FR è risultato negativo nel 95,8% dei casi. La prevalenza dell’artrite è pari al 37,5% nel gruppo 1 mentre 21% nel gruppo 2 (p<0,001). Si è, inoltre, calcolato che nei pazienti affetti da TCL e MC esiste un rischio di sviluppare artrite pari a 1,78. Conclusioni: Nella nostra casistica si evidenzia che la prevalenza di artrite è significativamente maggiore in pazienti con TCL e MC rispetto ai pazienti affetti da sola TCL. Inoltre, l’associazione delle due patologie autoimmuni determina un rischio maggiore di sviluppare un’artrite rispetto ai soggetti con sola TCL. PP.41 ALTA FREQUENZA DI CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE SU TIROIDITE CRONICA AUTOIMMUNE: NOSTRA ESPERIENZA S. Maltese MD, E. Casal Ide MD, N. Sorgato MD, A. Lana MD, D. Verdi MD, E. Stocco MD, F. Torresan MD, M.R. Pelizzo PhD La relazione tra infiammazione cronica e cancro è nota da tempo (Virchow 1863) per molti tumori. La correlazione tra la tiroidite di Hashimoto (HT) e il carcinoma papillare della tiroide (PTC) è ancora dibattuta: associazione casuale o causale? Lo studio si propone di analizzare l’incidenza di PTC su HT considerando i pazienti sottoposti ad intervento di tiroidectomia nell’arco di un anno presso il nostro Centro. Nel 2009 sono state da noi eseguite 842 tiroidectomie di cui 329 per PTC della tiroide (39%). All’esame istologico definitivo la tiroidite cronica è stata riscontrata in 215 casi, il PTC è stato individuato in associazione ad HT in 121 pazienti (56%). 24 pazienti risultavano maschi (20%) e 97 femmine (80%). L’età media era 49 anni (15-­‐81 a.), il dm medio delle neoformazioni era di 12,92 mm (1-­‐55 mm). In 68 casi (56%) il dm era inferiore a 1 cm, in 41 casi (34%) si trattava di K plurifocale; 39 neoplasie risultavano stadio T3 (32%) e 29 (24%) erano N+. Confrontando maschi vs femmine abbiamo riscontrato che l’età media era 51 vs 49 anni, il diametro medio 13,94 vs 11,59 mm, la percentuale di PTC inferiori a 1 cm era 54% vs 57%. I T3 erano 10 (42%) vs 29 (30%). La plurifocalità è stata riscontrata nel 33% vs 34%; metastasi linfonodali nel 25% vs 23%. Abbiamo rilevato un’incidenza di PTC su HT pari al 56%, decisamente più elevata di altre casistiche1; in stadio più avanzato per i maschi, che presentavano un’incidenza maggiore di T3 (42% vs 32%) e lievemente superiore di N+ (25% vs 23%). L’alto rischio di progressione da HT a PTC, soprattutto nel sesso femminile, induce ad eseguire una sorveglianza clinico-­‐
strumentale più serrata. Cipolla 28% (2005); Roepplinger 29% (2008). *Mol Cell Endocrinol, Thyroid cancer and inflammation, 2010 May 28;321 (1):94-­‐102. *Eur J Endocrinol, BRAF in primary and recurrent papillary thyroid cancers: the relationship with (131)I and 2-­‐[(18)F] fluoro-­‐2-­‐deoxy-­‐D-­‐glucose uptake ability. PP.42 SCREENING DEI GENI COINVOLTI NELLA PATOGENESI DELL’IPOTIROIDISMO CONGENITO TRAMITE SEQUENZIAMENTO DIRETTO E MLPA F. Marelli 1, T. de Filippis 2, S. Corbetta 3, G. Weber 4, R. Lorini 5, L. Fugazzola 1, L. Persani 1 1 Università di Milano, Dip Scienze Mediche; 2 IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Lab. Sperim. di Ricerche Endocrinologiche; 3 IRCCS Policlinico San Donato Milanese; 4 Università Vita Salute, HSR, Milano; 5 Università di Genova, Dipartimento di Pediatria L’ipotiroidismo congenito (IC) può essere conseguenza di difetti di morfogenesi (disgenesia) o dei meccanismi ormogenetici. Diversi dati, tra cui l’esistenza di casi familiari, le mutazioni identificate in geni candidati e l’esistenza di modelli animali, sono in favore di un’origine genetica dell’IC. Tuttavia la patogenesi rimane tuttora non spiegata nella grande maggioranza dei bambini affetti, dal momento che le mutazioni nei geni candidati consentono di spiegare la causa solo nel 5-­‐10% dei casi. Studi in modelli animali hanno aperto la possibilità che l’IC abbia un’origine multigenica con il coinvolgimento da parte di geni non ancora identificati o di variazioni criptiche nei geni candidati già noti (per es. PAX8, NKX2.1, NKX2.5 e TSHR) o di nuove vie del segnale coinvolte nello sviluppo tiroideo tra cui la via di Notch recentemente identificata nel nostro laboratorio. Per affrontare questo problema abbiamo analizzato 50 pazienti con disgenesia tiroidea tramite 1) dHPLC e sequenziamento diretto delle regioni codificanti dei geni candidati e 2) Multiplex Ligation-­‐dependent Probe Amplification (MLPA) che permette di verificare la possibile esistenza di delezioni o duplicazioni di porzioni genetiche non identificabili con il sequenziamento diretto. L’analisi delle regioni codificanti dei geni candidati ha permesso di identificare 2 diverse varianti missenso in un ligando dei recettori Notch in 3 bambini con malformazioni cardiache e/o epatiche associate, e 2 varianti del gene NKX2.1 in due bambini con difetti neurologici associati. Nessuna alterazione è stat identificata in NKX2.5, PAX8 o TBX1. L’analisi MLPA dei geni JAG1, TSHR, TPO, TG, NKX2.1, NKX2.5 e PAX8 non ha evidenziato alcuna variante criptica. In conclusione, varianti criptiche (microdelezioni o duplicazioni) nei classici geni candidati rappresentano una rara causa di IC disgenetico. La presenza di malformazioni associate alla disgenesia aumenta le probabilità di un’origine genetica e consente una analisi più mirata. PP.43 STORIA CLINICA DI TRE NODULI TIROIDEI CON ISTOLOGIA BENIGNA E PRESENZA DELL’ONCOGENE RET/PTC V. Marotta 1, M.R. Sapio 1, A. Guerra 1, E. Campanile 1, M. Motta 2, G. Fenzi 1, G. Rossi 3-­‐4, M. Vitale 1-­‐5 1 Dipartimentodi Endocrinologia ed Oncologia Molecolare e Clinica, Univ. Federico II, Napoli; 2 S.C. di Anatomia Patologica, P. O. “Umberto I”, A.O. Ordine Mauriziano, Torino; 3 Dipartimentodi Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare, Università Federico II, Napoli; 4 CISI, Center for Basic and Clinical Immunological Sciences, Univ. Federico II, Napoli; 5 Università di Salerno, Facoltà di Medicina, Fisciano Contesto: Il comportamento clinico dei noduli tiroidei benigni è estremamente variabile. Alcuni di essi non si modificano nel tempo e non hanno conseguenze cliniche rilevanti, mentre altri possono presentare una evoluzione clinica più aggressiva tale da rendere necessario il ricorso alla chirurgia. I riarrangiamenti di RET sono stati riscontrati in una quota significativa di noduli tiroidei benigni e il significato biologico della presenza di RET/PTC in tali lesioni rappresenta ad oggi argomento di discussione. Casi clinici: Riportiamo in questo studio l’evoluzione clinica di 9 noduli tiroidei con istologia benigna, analizzati per la presenza dell’oncogene RET/PTC. Tre pazienti con noduli tiroidei benigni all’esame citologico (Thy 2 secondo la classificazione della British Thyroid Association) sono stati sottoposti ad un accurato follow-­‐up clinico ed ecografico rispettivamente di 11, 9 e 7 anni. Dopo diversi anni di latenza in cui il volume nodulare si è mantenuto stabile, si è verificato un inaspettato e costante incremento volumetrico. I tre pazienti sono stati quindi sottoposti ad un secondo FNAC con esito nuovamente negativo. Considerata la progressiva crescita della lesione e la comparsa di sintomi da ostruzione (disfagia, disfonia etc.), i pazienti sono stati sottoposti a trattamento chirurgico. Prima dell’intervento chirurgico è stata effettuata la ricerca dell’oncogene BRAFV600E e dei riarrangiamenti di RET su campione citologico, rispettivamente mediante MASA (mutant allele specific amplification) e Southern Blot su prodotti di PCR. In tutti i tre noduli è stata riscontrata la presenza di RET/PTC ( 1 RET/PTC-­‐1 e 2 RET/PTC-­‐3) mentre in nessun caso è stata rilevata la presenza di BRAF mutato. L’esame istologico post-­‐operatorio ha confermato la diagnosi di noduli benigni iperplastici. Altri 6 pazienti con gozzo uninodulare seguiti per 10 anni mostravano un costante ma modesto aumento di volume dei noduli e assenza di riarrangiamenti di RET. Conclusioni: I noduli tiroidei benigni che presentano l’oncogene RET/PTC possono costituire un sottogruppo con una evoluzione clinica più aggressiva. PP.44 LA SETTIMANA NAZIONALE DELLA TIROIDE E LA GIORNATA DELLA TIROIDE: SCREENING ECOGRAFICO TIROIDEO NELL’AREA METROPOLITANA CHIETI-­‐PESCARA S. Melanzi, I. Bucci*, A. Sagazio, M. Olivieri, A. Merla Vitalone, C. Giuliani, F. Monaco Scuola di Specializzazione in Endocrinologia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, *Dipartimento di Scienze del Movimento Umano, Università “G. d’Annunzio” Chieti-­‐Pescara, # Chirurgia, Casa di Cura “Villa Serena” Città. S. Angelo Nel 2010 l’Associazione delle Unità di Endocrinochirurgia Italiane, l’Associazione Italiana della Tiroide, l’Associazione Medici Endocrinologi, la Società Italiana di Endocrinologia e le Associazioni dei Pazienti hanno promosso due manifestazioni di informazione e prevenzione sulle patologie della tiroide, la “settimana nazionale della tiroide” e la “giornata italiana della tiroide”. Abbiamo aderito ad entrambe le iniziative mettendo a disposizione l’ambulatorio per visite gratuite, previa prenotazione telefonica dal 15 al 19 marzo 2010, e organizzando, per il 17 aprile, postazioni con ecografo in due grandi centri commerciali dell’area metropolitana Chieti-­‐Pescara con accesso libero. E’ stato distribuito un questionario con domande relative a: familiarità per tireopatie, uso di sale iodato, screening tiroideo in gravidanza, patologie tiroidee già diagnosticate, tipo ed eventuale terapia. In totale sono stati esaminati 660 soggetti (500 f, 160 m, età 45±14 aa), 232 nella “settimana” e 428 nella “giornata”. Dall’elaborazione dei dati del questionario è emerso che il 45% dei soggetti usa sale iodato, il 34% ha familiarità per tireopatie, minima la percentuale di donne che aveva indagato la funzione tiroidea in gravidanza. Il 26% del totale dei soggetti riferiva patologia tiroidee già diagnosticate; la percentuale di soggetti con patologie note è risultata diversa nelle due indagini (36% nella “settimana” e 13% nella “giornata”). Nei 487 soggetti senza tireopatie note (348 f, 139 m) sono state osservate, con l’ecografia, alterazioni dell’ecostruttura in circa il 39% dei casi. Da segnalare, tra le alterazioni più significative, ecostruttura marcatamente ipoecogena e disomogenea, suggestiva di tiroidite cronica autoimmune, in circa il 9% dei casi, gozzo uni o multinodulare (noduli tra 12 mm e 3 cm) nell’11% dei casi. I nostri dati confermano l’elevata frequenza di alterazioni dell’ecostruttura tiroidea in una popolazione non selezionata ed evidenziano un consumo di sale iodato sicuramente in crescita rispetto al passato ma non ancora sufficiente per una iodoprofilassi efficace. Le diverse modalità organizzative delle due indagini si traducono in differenze nella risposta della popolazione: le manifestazioni ad accesso libero in ambiente non sanitario sollecitano l’attenzione di un numero maggiore di soggetti non precedentemente sensibilizzati alle patologie tiroidee. PP.45 CINQUE ANNI DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA VITA (QoL) NEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE (CDT) G. Melle 1, M. Fenocchio 2, L. Mortara 1, V. Caorsi 1, F. Cecoli 1, F. Minuto 1, E. Rasore 2, M. Giusti 1 U.O. Clinica Endocrinologica (1), U.O. Clinica Psichiatrica, Azienda Ospedaliera-­‐
Universitaria “San Martino”, Genova Malattia, trattamenti, stress e comorbilità alterano nel CDT la QoL fenomeno che può incidere sull'evoluzione della malattia stessa. Scopo dello studio Valutazione della QoL nel tempo. Soggetti Fra il 2004-­‐08, 128 CDT (102F, 26M; 20-­‐92 aa), sottoposti all'annuale valutazione clinica, hanno partecipato allo studio. Tiroidecotomia (Tx) (95%) e RAI (80%) erano i trattamenti iniziali. Tutti i CDT erano in terapia TSH-­‐soppressiva con L-­‐T4. Ad ogni visita i CDT sono stati sottoposti a obiettività clinica, intervista psichiatrica, somministrazione di tests [scala di Billewicz (BS), questionario ad-­‐hoc Tiroide (TQ), Kellner Symptoms Questionnaire (KSQ), test di Hamilton per ansia (HAM-­‐A) e depressione (HAM-­‐D)], esami di laboratorio ed ecografia del collo. Come controllo sono stati valutati 219 pz (186F, 33M; 24-­‐89 aa) in L-­‐T4 dopo Tx per patologia benigna. Punteggi minori ai tests indicano una migliore QoL. Risultati CDT e controlli non sono risultati diversi per età, M:F ratio, BMI e tp psicofarmacologiche in atto. Nei CDT l’intervallo fra Tx e studio è risultato più breve (p<0.05) rispetto a quello dei controlli. La dose di L-­‐T4 è risultata superiore nei CDT rispetto ai controlli (p<0.01) ed il TSH minore (p<0.01). Nel corso dello studio la mortalità è risultata del 2% nei CDT mentre il 9% dei CDT presentava malattia attiva. Lo score di BS è risultato basso nei CDT all’inizio dello studio con un trend in aumento nel tempo (p<0.01).La BS è risultata correlata (p<0.01) al TQ; il TQ è risultato correlato (p<0.05) all’età. L’intervista psichiatrica ha identificato in CDT (5%) e controlli (3%) una psicopatologia maggiore con la stessa frequenza. Nei CDT HAM-­‐A (p<0.05) e HAM-­‐D hanno mostrato un miglioramento nel tempo, con valori alla fine del periodo di osservazione sovrapponibili a quelli dei controlli, correlati positivamente con stadio di malattia ed intervallo fra diagnosi e trattamento e negativamente col TSH. L’HAM-­‐D è risultato positivamente correlato all’età (p<0.01). Gli score di KSQ, maggiori nei CDT rispetto ai controlli, hanno presentato miglioramento (p<0.01) e sono risultati, nei CDT, correlati a età e stadio di malattia. Fra le singole scale del KSQ, quelle di ansietà ed ostilità hanno mostrato i migliori risultati. Conclusioni Nella prevalenza dei CDT favorevole è l’evoluzione di malattia ma le valutazioni psicometriche iniziali documentano un’alterazione della QoL rispetto a quella osservata nei controlli. Età e severità di malattia contribuiscono al deterioramento della QoL nei CDT. Il controllo periodico migliora nei CTD la maggior parte degli score psicometrici. PP.46 SORAFENIB: OUR EXPERIENCE IN ADVANCED THYROID CANCER A. Montanaro, S. Marchisotta, C. Formichi, L. Brilli, F. Pacini. Section of Endocrinology and Metabolism, Department of Internal Medicine, Endocrinology and Metabolism and Biochemistry, University of Siena, Italy Introduzione. Le basi molecolari del carcinoma differenziato della tiroide (DTC), del carcinoma midollare della tiroide (MTC) e del carcinoma anaplastico della tiroide (ATC) sono ben caratterizzate. Le vie di segnale maggiormente implicate sono quelle mediate da RAS, RAF, MAP-­‐ERK, RET ed anche VEFG. Nuove terapie sperimentali che hanno come target tali recettori tirosinchinasici sono state utilizzate nei pazienti affetti da DTC o MTC non responsivi alle terapia convenzionali. In particolare, il Sorafenib, un inibitore multichinasico di numerosi recettori tirosinchinasici, tra cui BRAF, KRAS, RET, PDGF e VEGF, è stato recentemente utilizzato in trials clinici in pazienti con carcinoma metastatico papillare della tiroide o con carcinoma midollare della tiroide. Pazienti e metodi. Abbiamo condotto uno studio prospettico trattando con Sorafenib 19 pazienti (12 maschi, 7 femmine; età media 62±14 anni; range 53-­‐80) affetti da carcinoma tiroideo metastatico non responsivo ai trattamenti convenzionali: 9 pazienti affetti da DTC, 8 affetti da ATC e 2 affetti da MTC. I pazienti sono stati trattati con Sorafenib 800 mg al giorno per os. La risposta clinica è stata valutata ogni 3 mesi mediante un esame TC, utilizzando i criteri RECIST. Il nostro primo obiettivo è stato di valutare il la risposta oggettiva ed il secondo obiettivo è stato di indagare quali fossero gli effetti collaterali più frequenti. Risultati. Dei 19 pazienti valutabili, due pazienti (10.5%, 1 MTC e 1 DTC) hanno mostrato riduzione delle lesioni target alla prima valutazione TC (percentuale media di riduzione della massa tumorale 14.5%; range 7.9-­‐26%; range), e questi dati sono stati confermati dopo 6 mesi. Otto pazienti (42.2%, 6 DTC, 1 MTC e 1 ATC) mostravano stabilità di malattia dopo 3 mesi. In due pazienti (10.5%, 1 DTC e 1 MTC) si osservava progressione di malattia alla prima valutazione TC, che veniva confermata dopo 6 mesi, con un incremento del 60% delle lesioni target. 7 pazienti ( 36.8%, 1 DTC e 6 ATC) sono deceduti circa 2 mesi dopo l'arruolamento nello studio. In particolare un paziente affetto da carcinoma differenziato e 6 pazienti affetti da carcinoma anaplastico sono deceduti per progressione di malattia. Un paziente con ATC presentava una partial response all'esame TC condotto dopo 3 mesi dall'inizio della terapia, ma è deceduto in seguito ad un sanguinamento, analogamente un altro ATC che invece presentava stabilità di malattia. Gli effetti collaterali più frequenti erano la sindrome mano-­‐piede (42.1%), leucopenia (10.5%), diarrea (31.6%) ed astenia (5.2%), in accordo con i dati della letteratura. Abbiamo inoltre osservato un aumento dei valori di TSH, che ha richiesto un aggiustamento della terapia sostitutiva con levotiroxina, ed un caso di cheratoacantoma. Conclusioni. Nella nostra serie limitata di pazienti, il Sorafenib ha mostrato un'attività antitumorale comparabile ad altri trials clinici di fase II. Nei pazienti con DTC la risposta è del 77.7%, nei pazienti affetti da MTC l'efficacia non è valutabile a causa del numero esiguo di pazienti trattati. La risposta nei pazienti con ATC è risultata del 25%, ma era associata ad eventi secondari letali. PP.47 L’ACUTO INCREMENTO DEL TSH DURANTE TEST CON rhTSH NON MODIFICA NEL CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE, SENZA SCOMPENSO CARDIACO, I LIVELLI CIRCOLANTI DEL PEPTIDE NATRIURETICO TIPO-­‐B (NT-­‐proBNP) L. Mortara 1, V. De Franchi 2, F. Cecoli 1, E. Monti 1, M. Mussap 2, M. Giusti 1 UO Clinica Endocrinologica 1, UO Laboratorio Analisi 2, Azienda Ospedaliera Universitaria “San Martino”, Genova Il paziente con carcinoma differenziato della tiroide (CDT) è sottoposto ad una cronica ipertiroxinemia medicamentosa ed è un modello per poter valutare gli effetti dell’acuto aumento del TSH in corso di test con rhTSH. Scopo del lavoro è quello di riportare dati preliminari sui rapporti fra NT-­‐proBNP, ormoni tiroidei e TSH in CDT con normale funzione cardiaca durante screening con rhTSH. In 21 donne dell’età media di 53 anni (± 3 anni; ±ES) con CDT senza storia di insufficienza cardiaca sottoposte a rhTSH test abbiamo valutato NT-­‐
proBNP ai tempi di dosaggio della tireoglobulina (Tg) e del TSH. L’rhTSH test è stato effettuato con modalità standard (0.9 mg im in 2 giorni consecutivi) con dosaggi prima e dopo 24 ore dall’ultima somministrazione di rhTSH. Altri campionamenti sono stati eseguiti dopo 6 e 9 giorni dall’avvio dell’rhTSH test. I livelli di NT-­‐proBNP nei soggetti <75 anni, senza insufficienza cardiaca, sono nel nostro laboratorio <125 pg/ml. Uno stato ipertensivo era presente nel 33% dei soggetti, farmaco controllato nel 28%. In tutti i soggetti, meno 1, i livelli di Tg stimolata erano <0.5 ng/ml. Solo in un CDT la Tg stimolata era determinabile (2.3 ng/ml) per verosimile parziale ablazione del residuo post-­‐
chirurgico. Il valori basali di TSH (0.11 ± 0.04 mIU/l), f-­‐T4 (19.4 ± 0.8 pg/ml) ed f-­‐T3 (3.2 ± 0.1 pg/ml) sono risultati compatibili con una condizione di moderata ipertiroxinemia medicamentosa. I livelli medi di NT-­‐proBNP prima di rhTSH erano 61.9 ± 10.6 pg/ml e sono risultati correlati significativamente solo con l’età e non con TSH, ormoni tiroidei, ipertensione e stadio di malattia. Dopo 24 ore dalla somministrazione della seconda dose di rhTSH con picco di TSH di 170.1 ± 12.0 mIU/ml (p<0.01) il livello di BN-­‐proBNP non ha mostrato variazioni (55,3 ± 7.4 pg/ml) ed il time-­‐course del peptide nei 4 prelievi non ha evidenziato una significatività alla ANOVA. In conclusione, anche se gli effetti fisiologici degli ormoni tiroidei sulla sintesi dei peptidi natriuretici cardiaci è nota ed è riportato nell’ipertiroxinemia endogena conclamata, un aumento del NT-­‐proBNP, nel DTC senza insufficienza cardiaca e con ipertiroxinemia medicamentosa il livello del peptide risulta correlato solo all’età. L’acuto aumento del TSH non sembra avere un effetto extra-­‐tiroidei sulla sintesi del NT-­‐proBNP. PP.48 STUDIO DELLA POSSIBILE INTERFERENZA SULL’ATTIVITÀ NIS DA PARTE DI IMMUNOGLOBULINE G (IgGs) DI PAZIENTI AFFETTE DA CARCINOMA DELLA MAMMELLA E AUTOIMMUNITÀ TIROIDEA I. Muller, V. Belardi, E. Fiore, V. Rosellini, E. Giustarini, S. Sabatini, A. Pinchera e C. Giani Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Introduzione: La causa dell’associazione tra carcinoma della mammella (CM) e tireopatie autoimmuni è ancora sconosciuta. Il co-­‐trasportatore Na+/I-­‐ (NIS) è altamente espresso nelle cellule di CM e studi precedenti hanno dimostrato che il contenuto di iodio nel tessuto di CM è minore rispetto al tessuto mammario normale, suggerendo un’alterazione della captazione di iodio da parte delle cellule di CM. Scopo: In questo studio abbiamo valutato la possibile presenza di immunoglobuline sieriche (IgGs) in grado di bloccare la funzione di NIS in pazienti affette da TA. Materiali e metodi: Le IgGs sono state ottenute dalla purificazione tramite metodica della cromatografia di affinità di campioni di sieri appartenenti a 3 differenti gruppi di soggetti: a) 150 pazienti (età: 26-­‐88 anni) affette da CM valutate prima della mastectomia, delle quali ne venivano selezionate 11 (7,3%) aventi le più alte concentrazioni sieriche di anticorpi anti-­‐tireoglobulina (AbTg) e anti-­‐tireoperossidasi (AbTPO), b) 34 pazienti affette da tiroidite cronica autoimmune senza CM (1 eutiroidea, 4 con ipotiroidismo subclinico e 29 ipotiroidee), c) 15 donne di pari età senza anticorpi anti-­‐tiroidei come soggetti di controllo. L’attività biologica di NIS è stata studiata utilizzando una linea cellulare chinese hamster ovary (CHO) con espressione stabile di NIS (CHO-­‐NIS) ottenuta attraverso la trasfezione del cDNA di NIS clonato dentro il vettore pcDNA3. La captazione dello iodio da parte delle CHO-­‐NIS è stata studiata dopo l’aggiunta di Na125I nel mezzo di coltura e veniva selezionato il clone di CHO-­‐NIS che mostrava la più alta capacità di captare Na125I. Risultati: La captazione di Na125I incrementava progressivamente tra 2 e 10 minuti, raggiungendo un plateau a 45 minuti. La pre-­‐incubazione delle CHO-­‐
NIS con IgGs del gruppo della pazienti affette da CM e autoimmunità tiroidea causava un’inibizione della captazione di iodio al massimo del 5%. Simili risultati erano stati ottenuti pre-­‐incubando le CHO-­‐NIS con le IgGs delle pazienti con tiroidite autoimmune senza CM e nel gruppo di controllo. Conclusioni: I nostri dati indicano che le IgGs delle pazienti affette da CM con elevate concentrazioni di AbTPO e AbTg non inibiscono la funzione iodo-­‐
captante di NIS. Questo meccanismo pertanto non può essere invocato per spiegare il basso contenuto di iodio riscontrato all’interno del tessuto di CM. PP.49 ALTERAZIONI DELLA FUNZIONALITÀ TIROIDEA IN PAZIENTI AFFETTI DA EPATITE CRONICA ATTIVA DA VIRUS C IN TERAPIA CON INTERFERONE E RIBAVIRINA E CORRELAZIONE CON LA RISPOSTA ALLA TERAPIA ANTIVIRALE A. Muoio, E. Marchesi, M. Zardo, M. Antonini, N. Venturi, M.A Valli*, A. Orlandini*, G. Robuschi, C. Ferrari*, M.C. Baroni, R. Delsignore, R. Minelli Sezione di Endocrinologia Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Sezione di Malattie Infettive*; Azienda Ospedaliero-­‐Universitaria di Parma Scopo del nostro studio è stato quello di rilevare, descrivere e trattare le alterazioni della funzionalità tiroidea insorte in pazienti in trattamento con interferone a ricombinante (r IFN-­‐α) e ribavirina per epatite cronica attiva da virus C (C-­‐HC) con particolare riferimento alla tipologia di alterazione tiroidea sviluppata e alla risposta alla terapia antivirale, intesa come raggiungimento o meno della risposta virologica sostenuta (SVR). Lo studio è di tipo retrospettivo, si riferisce al periodo di tempo 1999 – 2009 e comprende 143 pazienti, ovvero il 7,15% dei pazienti sottoposti a terapia antivirale per C-­‐HC in questi dieci anni. Di questi pazienti che hanno sviluppato alterazioni della funzione tiroidea il 51,75% ha sviluppato ipotiroidismo (IPO), il 20,27% ipertiroidismo da Malattia di Graves (GD) ed il 27,98% tiroidite distruttiva (DT). La distribuzione dei genotipi è in accordo con i dati epidemiologici di diffusione del virus in Europa. Per quanto riguarda la SVR, i dati di questo studio riportano una percentuale di risposta tra il 42% (genotipi 1 e 4) e il 78% (genotipi 2 e 3). Hanno, infatti, negativizzato il virus il 53,76% dei pazienti con genotipo 1 e 4 e l’84% dei pazienti con genotipo 2 e 3. Significativi risultano i risultati relativi alla risposta alla terapia antivirale in rapporto alle diverse patologie tiroidee sviluppate. La risposta alla terapia risulta significativamente ((χ2) maggiore rispetto ai dati della letteratura nei pazienti che sviluppano IPO e DT; al contrario, la risposta risulta significativamente inferiore nei pazienti che sviluppano GD. Non c’è differenza statisticamente significativa (χ2) tra la risposta alla terapia nei pazienti che sviluppano IPO e in quelli con DT, nonostante questi ultimi sospendano precocemente la terapia antivirale. La risposta alla terapia risulta, infine, significativamente maggiore (χ2) nei pazienti che sviluppano IPO e DT rispetto a quelli con GD. In conclusione, i pazienti che sviluppano alterazioni della funzionalità tiroidea sono solo una piccola percentuale dei soggetti HCV positivi trattati con IFN-­‐α. Ad ora non è possibile considerare lo sviluppo di tireopatie come indicatore generale di risposta alla terapia. Abbiamo però dimostrato che la SVR è superiore nei pazienti che sviluppano una DT nonostante una precoce sospensione della terapia antivirale. PP.50 TUMORI NEUROENDOCRINI GASTROENTEROPANCREATICI. ASPETTI CLINICI EPIDEMIOLOGICI B. Olivares*, R. Valcavi*, C. Azzarito*, F. Grau**, F. Di Mario** *UO, Endocrinologia, ASMN, Reggio Emilia; **Università degli studi di Parma Introduzione. Negli ultimi anni c’è stato un incremento delle diagnosi di tumori neuroendocrini gastroenteropancreatici (GEP NET), sono anche migliorati gli aspetti di definizione clinica ed anatomopatologica, ma resta ancora eterogeneo il processo diagnostico, ossia le vie attraverso le quali viene posta la diagnosi dei GEP NET e l’ulteriori vie di assistenza (follow up). Metodo. Sono stati studiati i 13 pazienti portatori di GEP NET che rispettavano i nostri criteri di inclusione, afferiti presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova (ASMN) di Reggio Nell’Emilia nel periodo gennaio 2000 dicembre 2008. Sono state definite le diverse modalità di sospetto della diagnosi dei GEP NET. E’stato precisato lo stato di concordanza tra i marcatori circolanti utilizzati per il primo approccio diagnostico ed i risultati immunoistochimici, inoltre è stata valutata la risposta alle diverse modalità terapeutiche utilizzate. Risultati. La prima diagnosi è stata effettuata in sedi specialistiche diverse. Cinque pazienti (38.46%) seguirono terapia con analoghi freddi della somatostatina. Al termine dello studio nel gruppo in terapia con analoghi due pazienti (15.38%) erano in remissione; un paziente (7.69%) era in stabilizzazione; due pazienti (15.38%) sono deceduti e nessuno era in progressione. Nel gruppo senza analoghi tutti i pazienti (otto = 61.53%) erano in remissione. Conclusione. Il primo sospetto e il successivo iter diagnostico dei pazienti con TNE GEP sono avvenuti in maniera eterogenea con una alta incidenza di diagnosi fortuite, aspetto che non permette una adeguata valutazione prechirurgica. Lo stato di salute dei pazienti dopo cinque anni dalla diagnosi definitiva, avvalorano l’utilità di una diagnosi opportuna che consenta l’asportazione ugualmente opportuna del tumore e l’ instaurazione di terapia farmacologica nei casi in cui vi è la necessità. PP.51 L’INCIDENTALOMA DELLA TIROIDE. UNA NUOVA ENDOCRINOLOGIA. B. Olivares Bermùdez*, V. Barbieri**, R. Valcavi *** * Endocrinologo, ** Direttore della SC di ORL, ***Direttore della SC di Endocrinologia e Coordinatore del Centro della Tiroide Introduzione. Recentemente ci siamo detenuti a pensare per una altra occasione nella diversità dell’ancora nuovo capitolo degli incidentalomi della tiroide, motivati tra l’altro per i risultati ottenuti durante una Giornata di Valutazione della Morfofunzionalità Tiroidea nella Popolazione Generale ove in 100 persone il 35% aveva al meno un nodulo della tiroide. Con il presente lavoro cerchiamo di stimolare l’approfondimento scientifico rispetto alla sfida crescente che ci esigono gli incidentalomi della tiroide. Metodi. Sono stati revisionati tutti i lavori presenti in PubMed ed altre pubblicazioni di interesse per analizzare alcuni aspetti del decorso storico delle ricerche relative agli incidentalomi della tiroide. Inoltre sono stati valutati: (A) Le diverse tipologie di riscontro presso uno dei nostri ambulatori durante 2 mesi. (B) Aspetti epidemiologici ed anatomopatoligici degli incidentalomi nel nostro centro. Risultati. Dei 52 lavori presenti in PubMed solo 4 affrontano il problema degli incidentalomi in una ampia popolazione.Presso uno dei nostri ambulatori in 197/450 (43.77%) il riscontro ecografico dei noduli è stato in seguito principalmente all’ecodoppler ai TSA, 56 casi (28.42%), seguita in ordine di frequenza di: per sintomi cervicali diversi, stanchezza ed incremento ponderale 42 (21.31%), per risultati anormali degli esami bioumorali relativi alla tiroide e/o al metabolismo osseo 35 (17.76%), per precedenti familiari di tireopatie 18 (9.13%), durante visita senologica o della medicina sportiva 17 (8.62%), per dubbi e curiosità 15 (7.61%), per TAC del collo e del torace 7 (3.55%), per aumento di volume della regione anteriore del collo 4 (2.03) e per autoriscontro di una linfoadenomegalia 3 (1.52). Dal 1995 – 2010 nel nostro centro sono stati operati 1347 pazienti con carcinomi tiroidei, dei quali 477 T (35.4%) hanno avuto un primo riscontro incidentale nel corso di ecodoppler ai tronchi sovra aortici o durante la visita senologica. Conclusioni. Nonostante i diversi studi che hanno affrontato il tema degli incidentalomi tiroidei al presente l’informazione disponibile risolta insufficiente per la mancanza di studi a lungo termine, per la limitatezza di alcune casistiche e per il non riuscito consenso di diversi autori rispetto ai percorsi clinici di questi pazienti. Gli incidentalomi tiroidei rappresentano una percentuale importante dei pazienti assistiti presso i nostri ambulatori e dei casi di carcinomi tiroidei. PP.52 EMBOLIZZAZIONE DI METASTASI MUSCOLARE DA CARCINOMA FOLLICOLARE TIROIDEO: CASE REPORT G. Palmonella, F. Silvetti, A. Taccaliti, M. Boscaro Clinica di Endocrinologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona Il carcinoma follicolare della tiroide rappresenta circa il 5-­‐15% dei carcinomi tiroidei. Tale neoplasia colpisce prevalentemente il sesso femminile con maggiore incidenza nella VI decade di vita. La diffusione metastatica avviene prevalentemente per via ematica e le localizzazioni più frequenti sono a livello polmonare ed osseo. Estremamente rare sono le metastasi a livello muscolare, ipofisario e cerebrale. Noi riportiamo il caso di una donna di 70 anni alla quale nel 2000, in seguito ad accertamenti effettuati per improvvisa comparsa di amaurosi bilaterale, eseguiva TAC che mostrava lesione mesencefalica la cui biopsia deponeva per metastasi di K. di origine tiroidea. La tiroidectonia totale confermava la presenza di un nodulo, sede di carcinoma follicolare massivamente invasivo. Dal 2001 al 2008, venivano effettuati 8 cicli di terapia con I131 dopo stimolo con TSH ricombinante per l’ipopituitarismo indotto dalla lesione mesencefalica (dose totale di 900mCì). L’ultima scintigrafia post dose terapeutica (febbraio 2008) mostrava scarsa captazione del radiofarmaco nelle sedi precedentemente visualizzate a livello mesencefalico, polmonare e del collo nonostante l’incremento della tireoglobulina (1336 ng/ml a novembre 2008 con Ab anti-­‐Tg negativi). Nel settembre 2008 per comparsa di forti dolori in sede lombare sinistra, effettuava TC che evidenziava una “voluminosa neoformazione glutea sinistra, del diametro max di circa 10 cm, destruente la corticale dell’ala iliaca e determinante depiazzamento anteriore del muscolo ileo” con iperfissazione alla PET-­‐TC. Il total-­‐body diagnostico non dimostrava alcuna captazione in tale sede; i livelli di Tg risultavano > di 50.000 ng/ml con Ab anti-­‐
Tg negativi. La paziente è stata quindi sottoposta a radioterapia esterna palliativa (dose complessiva di 2000cGy in 5 sedute). Per la persistenza del dolore, che impediva quasi totalmente la deambulazione e per l’incremento della lesione glutea, veniva effettuata embolizzazione endo-­‐arteriosa della metastasi. Dopo una fase iniziale di peggioramento della sintomatologia dolorosa, per la necrosi tumorale, al controllo successivo, effettuato dopo 6 mesi, la paziente ha mostrato un netto miglioramento clinico, con il recupero completo della deambulazione, associato alla riduzione sia della Tg (4.000 ng/ml) che delle dimensioni della lesione alla TC. Il nostro caso dimostra come lesioni ripetitive non iodo-­‐captanti possono beneficiare del trattamento embolizzante quando presentano una marcata vascolarizzazione e localizzazione in sedi aggredibili per via endoscopica-­‐vascolare. Il miglioramento è stato raggiunto non solo dal punto di vista biochimico ma anche clinico. PP.53 LA RICERCA DELLE MUTAZIONI DI BRAF NEI CAMPIONI CITOLOGICI MIGLIORA L’ACCURATEZZA DELL’AGOASPIRATO DEI NODULI TIROIDEI: RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO S. Parrettini, M. Tavano, S. Romagnoli, P. Voce, R. Colella, N. Avenia, A. Cavaliere, P. De Feo, S. Moretti, E. Puxeddu CRiProGeT, Università degli Studi di Perugia, Perugia Introduzione: L’esame citologico da agoaspirato con ago sottile (FNAB) dei noduli tiroidei rappresenta ancora oggi il gold standard nella diagnostica delle lesioni della ghiandola. Purtroppo la metodica è gravata da risultati falsi negativi (1-­‐11%) e falsi positivi (1-­‐7%) e da preparati inadeguati (10-­‐20%) e indeterminati (fino al 10%). La ricerca di nuovi marcatori in grado di migliorare l’accuratezza dell’esame citologico è pertanto impellente. Scopo: Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare l’utilità di integrare lo screening della mutazione BRAF-­‐V600E all’esame citologico classico. Risultati: Sono state analizzate prospetticamente 707 FNAB tiroidee consecutive le cui diagnosi citologiche si distribuivano nelle diverse categorie come segue: Thy1 102 (14,43%), Thy2 559 (79,07%), Thy3 16 (2,26%), Thy4 13 (1,86%), Thy5 17 (2,40%). La ricerca della mutazione di BRAF-­‐V600E condotta sul DNA estratto da cellule provenienti dal lavaggio dell’ago della FNAB, con la tecnica della PCR-­‐SSCP, ha evidenziato invece 0 campioni mutati nei casi Thy1, 3 nei casi Thy2, 1 nei casi Thy3, 6 nei casi Thy4, e 8 nei casi Thy5. Di 69 noduli era disponibile la diagnosi istologica dopo tiroidectomia e le 35 lesioni maligne riscontrate si distribuivano nell’ambito delle categorie citologiche come segue: Thy2 4/30 (3 BRAF-­‐V600E+ tutti indirizzati alla chirurgia per il riscontro della mutazione allo screening); Thy3 2/10 (1 BRAF-­‐V600E+ allo screening); Thy4 13/13 (6 BRAF-­‐V600E+ allo screening); Thy5 16/17 (7 BRAF-­‐V600E+ allo screening). Questi numeri ci hanno permesso di stimare le performance diagnostiche, per il riconoscimento di una lesione sicuramente maligna, del test genetico (accuratezza 73,91%), della citologia (accuratezza 91,3%) e della combinazione delle due metodiche (accuratezza 97,1%). Discussione: I dati indicano che nella nostra realtà locale la combinazione dell’esame citologico e dello screening per la mutazione BRAF-­‐V600E migliora la perfomance diagnostica della FNAB ad un livello pari a quello osservato da altri autori per la combinazione della citologia con il test di multipli marcatori genetici. Questo riscontro sicuramente dipende da alcune peculiarità della nostra casistica, quali la particolare distribuzione delle diagnosi citologiche nelle diverse categorie e la elevata prevalenza di BRAF nelle lesioni maligne. Pertanto suggeriamo di valutare la suddetta combinazione nelle diverse realtà locali e, laddove essa risulti superiore, di integrare la diagnosi citologica con il test di BRAF che appare robusto e poco costoso. PP.54 PREVALENZA DEL CARCINOMA DELLA TIROIDE IN 1955 PAZIENTI SOTTOPOSTI A CHIRURGIA PER PATOLOGIA BENIGNA M. Perrino, C. Colombo, L. Vicentini, G. Cantoni, L. Poggi, P. Beck-­‐Peccoz, L. Fugazzola Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano; U.O. di Endocrinologia e Chirurgia Endocrina, Fondazione Cà Granda IRCCS, Milano Per carcinoma incidentale si intende un tumore diagnosticato istologicamente dopo un intervento chirurgico eseguito per patologia benigna, quindi senza una diagnosi pre-­‐operatoria di malignità. L’incidenza riportata in letteratura è estremamente variabile (4.6-­‐17%). In questo studio abbiamo valutato retrospettivamente 1955 pazienti (1551 femmine e 404 maschi, età media 50.4 anni), tutti sottoposti ad intervento chirurgico dal 1998 al 2010 presso l’Unità di Endocrinochirurgia. Nel 95% dei casi l’intervento era di tiroidectomia totale per una diagnosi preoperatoria di gozzo uni-­‐multinodulare, adenoma tossico o morbo di Graves-­‐Basedow, mentre in 211 pazienti la diagnosi citologica preoperatoria era di lesione micro follicolare. Nel 5% dei pazienti veniva eseguita invece una emitiroidectomia o una nodulectomia. All’esame istologico definitivo la presenza incidentale di un tumore tiroideo veniva evidenziata in 251 pazienti (12.8%). In particolare la frequenza risultava essere del 9.7% (25/258) nei casi affetti da Graves, dell’ 11.5% (142/1232) nel caso di gozzo uni-­‐ o multinodulare normofunzionante, del 7% (16/231) nei pazienti con gozzo multinodulare tossico, e del 23% (4/17) nei pazienti con adenoma tossico. Nei pazienti con diagnosi pre-­‐operatoria di lesione microfollicolare, la frequenza di cancro della tiroide era particolarmente elevata (30%, 64/211). Il 90% dei tumori diagnosticati incidentalmente erano carcinomi papillari e il 9% carcinomi follicolari; in un paziente veniva diagnosticato un carcinoma scarsamente differenziato e in un altro caso un linfoma. La stadiazione, eseguita secondo la VI edizione del TNM staging system, AJCC 2002, era pT1NX-­‐N0 nel 75% dei casi (189/251): la maggior parte di questi tumori aveva dimensioni ≤1cm (81%). Nel 6.8% dei casi la stadiazione era pT2NX-­‐N0 e nel 10.7% dei tumori era presente infiltrazione extracapsulare (pT3-­‐T4NX-­‐N0). Infine, nel 6.3% dei casi erano presenti metastasi linfonodali all’intervento (pT1-­‐T4N1). Il presente studio dimostra che il riscontro istologico di un carcinoma tiroideo incidentale in seguito ad un intervento chirurgico eseguito per una patologia benigna non è un evento raro (12.8%). La prevalenza più alta si rileva nei pazienti operati per adenoma tossico o per lesione micro follicolare. Sebbene si tratti prevalentemente di tumori di piccole dimensioni e intratiroidei, una percentuale significativa di tumori incidentali presenta infiltrazione extracapsulare e metastasi linfonodali, indicando la necessità di un’accurata valutazione preoperatoria nei pazienti con patologia benigna autoimmune e non. PP.55 LA CHIRURGIA COMBINATA IN PAZIENTI CON PATOLOGIA TIROIDEA E CARDIOVASCOLARE: RISULTATI DI UNA SERIE P. Princi 1, F. Alessandrini 2 , C.M. De Filippo 2, P. Spatuzza 2, N. Testa 2, E. Calvo 2, F. Pacelli 1 1 U.O. di Chirurgia Oncologica, Dipartimento di Oncologia, e 2 U.O. di Cardiochirurgia, Dipartimento di Cardiochirurgia, Centro di Ricerca Assistenza e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Università Cattolica del Sacro Cuore – Campobasso Introduzione: la patologia nodulare tiroidea è di frequente riscontro in pazienti con patologia cardiovascolare che necessitano di intervento chirurgico. Scopo di questo studio è valutare i risultati di interventi combinati di cardiochirurgia e tiroidectomia nello stesso paziente. Materiale e metodi: considerando circa 2750 interventi cardiochirurgici eseguiti tra Gennaio 2005 e dicembre 2009 presso il Centro di Ricerca Assistenza e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche “Giovanni Paolo II”, Università Cattolica del Sacro Cuore di Campobasso, sette pazienti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico combinato di chirurgia cardiovascolare (by-­‐pass aorto-­‐coronarico, sostituzione valvolare, carotidectomia). La documentazione clinica di questi pazienti è stata rivista attentamente considerando parametri come età , sesso, diagnosi pre-­‐
operatoria, intervento chirurgico, decorso post-­‐operatorio, complicanze ed esame istologico definitivo. Risultati: cinque uomini e due donne sono stati sottoposti ad intervento chirurgico per malattia coronarica, valvulopatia cardiaca o entrambi, carotidectomia (in 3 casi) e per gozzo multinodulare. L’età media risultava di 65.6 + 9.5 anni (range 46-­‐77). La diagnosi pre-­‐operatoria per la patologia tiroidea risultava essere un gozzo multinodulare con sintomatologia compressiva in 5 casi, gozzo tossico in 2 casi. In tutti i 7 patienti il gozzo presentava estensione intratoracica. La malattia ischemica cardiaca veniva valutata dallo stesso cardiologo e considerata come principale indicazione per l’intervento in tutti i 7 casi. Una tiroidectomia totale è stata eseguita in 6 patienti mentre una totalizzazione di precedente tiroidectomia in 1 caso. A tutti i pazienti veniva somministrata terapia anticoagulante con eparina a basso peso molecolare nel periodo peri-­‐operatorio e post-­‐operatorio. Nessun paziente presentava emorragia peri-­‐ e post-­‐
operatoria. In due casi veniva riportata un’infezione della ferita chirurgica, sei pazienti invece presentavano ipocalcemia transitoria post-­‐operatoria. L’esame istologico definitivo mostrava patologia benigna in tutti i casi. Conclusione: in letteratura sono stati riportati pochi casi di interventi combinati di cardiochirurgia e tiroidectomia, tuttavia presso la nostra istituzione tale intervento non ha comportato un incremento della morbilità e mortalità post-­‐operatoria per entrambi gli interventi. Inoltre durante l’intervento chirurgico di tiroidectomia deve essere eseguita un’accurata emostasi proprio per l’elevato rischio di emorragia legata alla somministrazione di eparina. PP.56 UNA NUOVA METODICA IN CHEMILUMINESCENZA ENZIMATICA PER LA DETERMINAZIONE DELLE FRAZIONI LIBERE DEGLI ORMONI TIROIDEI: VITROS®3600 G. Querci 1, G. Galli 1, V. Rosellini 1, P. Piaggi 2, M. Giannetti 1, C. Mammoli 1, P. Vitti 1, L. Grasso1, A. Pinchera1, F. Santini1. 1 Dipartimento ad attività integrata di Endocrinologia e Rene, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; 2 Dipartimento di sistemi elettrici ed automazione, Università di Pisa Scopo dello studio é stato quello di confrontare le prestazioni di due analizzatori per il dosaggio delle frazioni libere degli ormoni tiroidei: Vitros Eci/Eciq, attualmente in uso nel nostro laboratorio, e Vitros®3600 di recente introduzione. Entrambi i sistemi sfruttano la chemiluminescenza immunoenzimatica potenziata e sono prodotti dall’ “Ortho-­‐Clinical Diagnostics”. Specifica di Vitros®3600 è la tecnologia Microsensor™ che quantifica le eventuali interferenze endogene nel dosaggio di un campione. Vitros®3600 é dotato, inoltre, di una struttura più maneggevole che consente di aumentare la produttività, di ridurre la contaminazione dei reagenti e la produzione di materiali di scarto. Venivano analizzati 286 sieri prelevati da: 175 soggetti eutiroidei, 54 pazienti ipotiroidei e 57 ipertiroidei. Per confrontare le concentrazioni sieriche di FT3 e FT4 misurate con i due analizzatori veniva usata l’analisi Passing-­‐Bablock. Nel caso di FT3, era presente una minima differenza di costante (intercetta α = -­‐0.25, I.C.: -­‐0.35 ÷ -­‐
0.15) per la quale Vitros®3600 mostrava valori di FT3 lievemente inferiori rispetto a Vitros Eci/Eciq mentre non c’era differenza di proporzionalità (pendenza β = 1.02, I.C.: 0.99 ÷ 1.06 ) tra i due metodi. Nel caso di FT4 non c’erano differenze né di costante né di proporzionalità tra i due metodi (α = 0.04, I.C.: -­‐0.03 ÷ 0.10; β = 1.01, I.C.: 0.99 ÷ 1.03). L’analisi di regressione lineare veniva usata per studiare la relazione fra le concentrazioni di FT3 ed FT4 negli eutiroidei, negli ipotiroidei e negli ipertiroidei. In tutti i sottogruppi il coefficiente di correlazione di Pearson appariva significativo (p<0.01). I valori dei coefficienti di correlazione ottenuti con Vitros Eci/Eciq eVitros®3600 nei vari gruppi risultavano sovrapponibili. In conclusione, nella misurazione degli ormoni tiroidei liberi, il nuovo metodo Vitros®3600 fornisce risultati paragonabili al precedente con un aumento della produttività che non influisce sui tempi di dosaggio e sui costi. PP.57 ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DELL'ELASTOGRAFIA NELLA DIFFERENZIAZIONE DEI NODI TIROIDEI BENIGNI E MALIGNI F. Ragazzoni, M. Deandrea, A. Mormile, M.J. Ramunni, M. Motta*, B. Torchio*, G. Magliona, F. Garino, E. Gamarra, A. Grassi, R. Garberoglio, P. Limone A.O. Ordine Mauriziano di Torino -­‐ S.C. di Endocrinologia, *S.C. di Anatomia Patologica; §Fondazione Scientifica Mauriziana ONLUS, Torino Scopo dello studio. L'elastografia in real-­‐time è una nuova tecnica ecografica di tipo dinamico in grado di valutare il grado di elasticità dei tessuti in risposta alla distorsione esercitata sul tessuto stesso da una forza esterna; scopo del presente lavoro è quello di valutarne la capacità discriminatoria tra patologia nodulare tiroidea benigna e maligna. Soggetti e metodi. Sono stati valutati 132 nodi in 115 pazienti successivamente operati. Sono stati studiati solo nodi chiaramente delimitati rispetto al parenchima circostante; sono stati esclusi nodi cistici e con pareti calcifiche. L’indagine US veniva effettauta con apparecchiatura ESAOTE MYLAB 70 dotata di modulo per elastografia. Lo score elastografico è stato suddiviso in 4 categorie: 1-­‐nodo totalmente elastico, 2-­‐nodo prevalentemente elastico, 3-­‐nodo prevalentemente rigido, 4-­‐
nodo totalmente rigido. Lo studio è stato condotto da due operatori indipendenti, in cieco rispetto alle indicazioni all'intervento; tutti gli elastogrammi sono stati registrati e riesaminati sempre in cieco da un terzo operatore. Risultati. Volume medio dei nodi: 11.08±16.7 ml (media±SD). All'istologico, 92 nodi sono risultati benigni e 40 maligni. Il parametro ecografico con la maggiore accuratezza diagnostica è risultato la presenza di microcalcificazioni all'interno del nodo (83.1%), seguito dall'assenza di halo sign (79.2%) e dalla irregolarità dei margini (77%). All’elastografia 77 nodi su 92 benigni sono stati classificati con score 1 o 2, mentre 34 nodi su 40 maligni sono stati classificati con score 3 o 4. Tutti i nodi classificati con score 1 sono risultati benigni all'istologico. Sensibilità e specificità dell'elastografia sono state rispettivamente 85% e 83.7%, con PPV 69.3%, NPV 92.7% e accuratezza diagnostica 84.1%. Complessivamente, l'elastografia è risultata essere il più forte predittore indipendente di malignità (p 0.0002, OR 29.09). La concordanza tra i due operatori e il supervisore è risultata buona (K test: 0.64, p <0.0001). Conclusioni. l'elastografia pare possedere tutti i requisiti per diventare nel prossimo futuro un valido complemento dell'esame ecografico tradizionale, contribuendo ad una più accurata selezione dei nodi da sottoporre ad exeresi chirurgica. PP.58 LA FNAB ECOGUIDATA NELLA DIAGNOSI DEL NODULO TIROIDEO SOLITARIO: INDICAZIONI ED AFFIDABILITA’. I RISULTATI DELLA NOSTRA ESPERIENZA N. Rocchia*, P. Tartaglione*, A. Occhionero*,M. Malerba** G.Bagnoli°, M Travaglini°, S.Monaco°, G. Brandi°, B. Apollonio°° *UOC di Pronto Soccorso e Medicina D’Urgenza, °UOC di Anatomia Patologica; °°UOCdi Radiologia, ** UOC di Chirurgia Generale; ASREM-­‐ P.O. “S. Timoteo” Termoli La citologia agoaspirativa ecoguidata eseguita mediante prelievo mirato con ago sottile rappresenta l’indagine prioritaria di screening da inserire nel protocollo diagnostico del nodulo tiroideo. Molti studi confermano la sua attendibilità diagnostica nettamente superiore alle metodiche tradizionali, assumendo il significato di analisi selettiva e specifica per la caratterizzazione preoperatoria della patologia nodulare tiroidea selezionando con assai elevata affidabilità le lesioni sicuramente maligne e riconoscendo il substrato lesivo delle nodularità sicuramente benigne. La FNAB è una tecnica non invasiva , di esecuzione ambulatoriale, del tutto priva di qualsiasi rischio e complicanze, dal costo irrilevante, che può essere ripetuta senza pericolo e che offre una notevole accuratezza diagnostica. Nel Periodo compreso dal 2006 al 2010 abbiamo eseguito, presso il nostro ambulatorio, circa 205 FNAB; di queste 115 erano su noduli singoli; le altre su noduli dubbi e spesso preminenti in gozzi multinodulari; trale caratteristiche clinico – strumentali che consigliavano l’esecuzione della FNAB si è tenuto conto solo di un critrerio ecografico di malig nità per ciascun nodulo. L’analisi dei risultati citologici ha permesso di individuare tra 115 noduli solitari 18 ( 15.6%) tumori maligni; questi erano così suddivisi: 12 carcinomi papillari; 5 carcinomi follicolari di cui due “a cellule ossifile di Hurtle”; 1 carcinoma midollare. I restanti noduli erano suddivisi tra iperplasie adenomatose e neoformazioni follicolari; i noduli caldi si sono rilevati essere degli adenomi iperfunzionanti; Nella nostra esperienza, pertanto la diagnosi di malignità si è aggirata , per ora, intorno al 15%, un valore sostanzialmente nella media rispetto ad altre casistiche; tale dato assume significato se si tiene conto che la selezione è stata fatta su noduli unici eutiroidei freddi con associato un unico criterio ecografico di malignità. Tali dati pertanto confermano l’ elevata affidabilità della FNAB nella diagnosi precoce del carcinoma tiroideo. PP.59 TRATTAMENTO DELL’IPERTIROIDISMO CON ATTIVITA’ DI RADIOIODIO CALCOLATA PER SINGOLO PAZIENTE (DOSIMETRIA PERSONALIZZATA) R.M.Ruggeri 1, S. Giovinazzo 1, E.Amato 2, S.Castorina 2, M.P.Cucinotta 2, A.Sindoni 2, S. Benvenga, S. Baldari 2, A. Campenni 2 1 Department of Clinical and Experimental Medicine and Pharmacology, Section of Endocrinology; 2 Department of Radiological Sciences, Nuclear Medicine Unit, University of Messina Il dibattito sull’attività ottimale di radioiodio per il trattamento dell’ipertiroidismo include la possibilità di individuare una dose personalizzata, invece di attività standard. Questo studio concerne 23 pazienti (15 F e 8 M; età media 63 anni, range 41-­‐81; rapporto F:M 1,8:1) affetti da Morbo di Basedow (MB, n= 4), Morbo di Plummer (MP, n = 16) e Gozzo Multinodulare Tossico (GMT, n= 3). 21 pazienti erano ipertiroidei franchi e 15/23 avevano ricevuto terapia con MMI, interrotto almeno 10 gg prima. Sono state effettuate: i) scintigrafia tiroidea con 131I e curva di iodocaptazione con misurazioni estese da 3 a 168 ore dopo somministrazione di una dose traccia di 1.8 MBq; b) ecografia tiroidea per la misurazione del volume e numero dei noduli caldi (MP, GMT) o del volume ghiandolare (MB), secondo la formula dell’ellissoide. Nel pazienti con MP e GMT, è stato calcolato il volume “effettivo” del/i nodulo/i caldo/i, tenendo conto della presenza di aree di colliquazione intra-­‐nodulari (volume effettivo = volume dell’intero nodulo/i – volume dell’area/e involutiva/e). La dose di 131I da somministrare è stata calcolata secondo la formula di Sneider modificata per il volume “effettivo” del nodulo/i. La RTU (Radioiodine Thyroid Uptake) media era del 53% (range 35-­‐68%). L’attività media di 131I somministrata era 365 MBq (range 127-­‐600 MBq) e la dose media assorbita 226.2 Gy (range 93.5-­‐320 Gy). I 23 pazienti sono stati seguiti sino ad un massimo di 2 anni (media del follow-­‐up: 18 mesi; range 9-­‐25). In nessun paziente si sono verificati effetti indesiderati. La remissione dell’ipertiroidismo è stata ottenuta in tutti. Tre pazienti con MB hanno sviluppato una condizione di ipotiroidismo tra 1 e 8 mesi (media = 3) dal trattamento. In conclusione, l’87% dei pazienti (20/23) ha raggiunto l’eutiroidismo dopo dose personalizzata e il 100% ha risolto la disfunzione, considerando l’ipotiroidismo come un effetto voluto piuttosto che come una complicanza. In un nostro precedente studio con attività standard (555 MBq) [Eur J Nucl Med Mol Imaging 2009, 36 (Suppl.2] la frequenza di successo terapeutico risultava inferiore (63% vs 87% e 85 % vs 100%, rispettivamente). Il protocollo dosimetrico con attività di radioiodio calcolate per singolo paziente si è rivelato più efficace dell’uso di attività fisse. Tale procedura, inoltre, consente la riduzione dell’attività somministrata (media 365 MBq, range 127-­‐600 vs 548 MBq, range 185-­‐1110; p <0.05) e conseguente riduzione dell’esposizione d’organo ed ambientale, con importanti risvolti radioprotezionistici. PP.60 VALUTAZIONE DELLA FUNZIONE TIROIDEA E DELLA IODURIA IN DONNE IN GRAVIDANZA NON AFFETTE DA TIREOPATIE PROVENIENTI DA UNA AREA A MODERATA CARENZA IODICA L. Russo, L. Montanelli, A. Molinaro, M. Gambacciani, G. Luchi, M. Frigeri, P. Agretti, A. Dimida, G. De Marco, P. Piaggi, F. Aghini-­‐Lombardi, P. Vitti, A. Pinchera, M. Tonacchera Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa Nella popolazione generale l'ipotiroidismo è il più comune disordine della funzione tiroidea. Un problema particolare è rappresentato dalle donne affette da ipotiroidismo in gravidanza. Infatti è stato visto che un ipotiroidismo in gravidanza può essere responsabile di anomalie dell’unità feto-­‐placentare: in particolare l’ipotiroidismo può essere responsabile di difetti dello sviluppo neuropsicologico nei bambini. La causa principale di ipotiroidismo è la tiroidite cronica autoimmune ma anche una lieve-­‐moderata carenza iodica può essere associata a lievi difetti della funzione tiroidea materna. Per tale motivo le donne in gravidanza dovrebbero essere valutate per la carenza nutrizionale di iodio e/o per l’autoimunità, per prevenire le eventuali complicanze legate ad un’insufficiente funzionalità tiroidea materno-­‐fetale. Obiettivo dello studio: valutazione clinica e biochimica della funzione tiroidea, della ioduria e del volume tiroideo in 15 donne in gravidanza che all’anamnesi non erano affette da patologia tiroidea, eseguita dalla 12-­‐15° settimana di gravidanza e nei successivi trimestri fino alla 25° settimana. Metodi: dosaggio degli ormoni tiroidei, degli anticorpi contro gli antigeni tiroidei, e della ioduria ed ecografia tiroidea. Risultati: tutte le donne gravide arruolate avevano un valore di FT4 e di FT3 nei valori di riferimento di soggetti adulti; tuttavia si osservava una diminuzione significativa dei valori di FT4 (7-­‐16 pg/ml) durante i primi trimestri di gravidanza ( 9,5 pg/ml valore medio alla 15° settimana, 8,8 pg/ml alla 20° settimana e 8,1 pg/ml alla 25° settimana). I valori del TSH erano compresi nei valori di riferimento di soggetti adulti (0,4-­‐3,4 mU/ml); tuttavia si osservava un aumento dei valori del TSH dalla 15° settimana (1,1 uU/ml), alla 20° settimana (1,3 mU/ml) e alla 25° settimana di gravidanza (1,5 uU/ml).Alla prima osservazione i valori mediani della ioduria erano pari a 155 mcg/L, alla 20° settimana si riducevano a 124 mcg/L e alla 25° settimana scendevano ulteriormente a 108 mcg/L. Inoltre è stato osservato un aumento progressivo non significativo del volume tiroideo medio dalla 15° alla 25° settimana. PP.61 RICERCA DELLA MUTAZIONE BRAF V600E SU CITOASPIRATO ECO-­‐
GUIDATO DI NODULI TIROIDEI IN PAZIENTI DELL’AREA DELLO STRETTO G. Saraceno 1, D. Carlotta 1, C. Scisca 2, M. Rizzo 3, S. Benvenga 1, F. Trimarchi 1 1 Dipartimento Clin. Sperim. di Medicina e Farmacol., Sez. di Endocrinologia, 2 UOC di Oncol. Medica, 3 UOC di Oncol. Medica, Lab. di Citodiagnostica dei Tumori, Policlinico Universitario di Messina Per migliorare la sensibilità dell’esame citologico sui noduli tiroidei (FNAB) si stanno applicando le recenti acquisizioni sui marcatori molecolari patogenetici. Ultimamente l’attenzione è stata rivolta verso un marcatore in particolare: l’oncogene BRAF mutato nel codone 600 (BRAFV600E). BRAFV600E è l’aberrazione genetica somatica più comune tra i carcinomi papillari (PTC) adulti sporadici, con una frequenza compresa tra il 20 e l’80% nelle casistiche istologiche e FNAB internazionali (19-­‐69% nelle casistiche FNAB italiane). In questo studio abbiamo analizzato la mutazione BRAFV600E su preparati FNAB. PAZIENTI E METODI: I dati riguardano i primi 50 pazienti finora esaminati [39 F e 11 M; età media 48 ± 15.5 anni (range : 18 -­‐ 78)] provenienti da un’area a moderata iodocarenza. I noduli (singolo o dominante) sottoposti a FNAB eco-­‐guidata misuravano in media 15.9 ± 8.5mm (range: 4 – 50mm). Dal materiale, recuperato dallo striscio attraverso una procedura di lavaggio, è stato estratto il DNA per il sequenziamento genomico diretto dell’esone 15 di BRAF previa amplificazione (PCR) del templato. La diagnosi citologica si è basata sui criteri del Consensus Citologico SIAPEC-­‐IAP, 2007. I 50 casi sono stati classificati come TIR 5 (n=14), TIR 4 (n=3), TIR 3 (n=10), TIR 2 (n=23). Dei 27 casi ad indicazione chirurgica, solo 9 sono stati operati (tiroidectomia totale) in loco (TIR 5, n=6; TIR 4, n= 1, TIR 3, n=2). RISULTATI: BRAFV600E è risultato presente, sempre in eterozigosi, in 11/50 casi [9/14 TIR 5 (64.3%) e 2/3 TIR 4 (66.7%)]. Pur se le differenze non sono state statisticamente significative, considerando i casi TIR 5 ed i TIR 4 (n=17) negli 11 casi BRAF positivi, rispetto ai 6 BRAF negativi, si è osservata una maggiore rappresentatività maschile (36.4% vs 16.7%) ed una maggiore diametria nodulare (15.9 ± 7.7mm vs 11.5 ± 2.4mm). Tra le 9 coppie FNAB/istologia, tutti e 3 i casi BRAF positivi sono risultati essere PTC (100%); dei 6 casi BRAF negativi 5 sono risultati PTC ed 1 è risultato ca. follicolare. CONCLUSIONE: I nostri dati rilevano che la frequenza della mutazione V600E di BRAF nei casi TIR5 è nella parte alta (64,3%) del range rispetto alle altre casistiche italiane e che nessuno dei casi TIR2 e TIR3 è risultato mutato. Ulteriori studi potranno confermare se esiste una correlazione tra la mutazione BRAFV600E ed il sesso del paziente e le dimensioni del nodulo. PP.62 CARDIOMIOPATIA DILATATIVA SEVERA ASINTOMATICA DA NODULO CALDO TIROIDEO CON TIREOTOSSICOSI SUB-­‐CLINICA D. Scarfoglio°, D. Meringolo*, R. Parlangeli°, D. Bianchi*, B Sassone° UOC di Cardiologia° e UOSD di Endocrinologia* Ospedale Bentivoglio, Ausl di Bologna Viene descritto un caso di un paziente di 68 anni con anamnesi negativa per precedenti cardiologici e malattie di rilevo internistico e riscontro casuale di Ecg (per cure termali ) patologico : ritardo di conduzione intraventricolare sinistro ( blocco di branca sinistra ) e alterazioni pseudo ischemiche non presenti in Ecg precedenti. Per tale motivo il paziente veniva sottoposto a controllo clinico ed esecuzione di Ecocardio-­‐Doppler con riscontro di cardiomiopatia dilatativa e severa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro ( FE 20%) . Il paziente veniva quindi sottoposto a terapia medica specifica (aceinibitore,betabloccante,cardioaspirina) previo controllo dei principali esami ematochimici compreso FT3-­‐FT4-­‐TSH che evidenziavano un quadro di tireotossicosi sub-­‐clinica : TSH <0.01 microUl/mL (v.n 0.30-­‐5.00); FT3 4,6 pg/ml (v.n.2-­‐4,3);FT4 0.92 ng/ml (v.n. 0,89-­‐1.76). Veniva cosi completato lo studio della funzionalità tiroidea con : eco tiroide e scinti tiroidea che evidenziavano nodulo solido ipoecogeno iperfunzionante lobo tiroideo sx e anticorpi antiriroide,antirecettore del TSH, calcitonina ,tireoglobulina,ioduria ed ago-­‐aspirato tiroideo risultati nella norma. Per tale motivo veniva rimandato a completamento dello studio cardiologico la coronarografia e in stato di eutiroidismo ( con metimazolo ) il paziente veniva sottoposto a terapia con radio-­‐iodio (592 MBq 131I-­‐Na) con successivo ipotiroidismo normalizzato dalla terapia sostitutiva con levotiroxina. Il successivo studio emodinamico con coronarografia dimostrava arterie indenni e al controllo Elettrocardiografico regressione del difetto intraventricolare sx con all’Ecocardio-­‐Dopper un lieve miglioramento della funzione sistolica del ventricolo sx (FE 30%) e successivamente , recupero della stessa (FE 50%). Considerazioni: Il miglioramento del quadro clinico-­‐strumentale dopo la correzione dell’ipertiroidismo subclinico suggeriscono che in tali situazioni è opportuno completare lo studio cardiologico , con valutazione della funzionalità tiroidea, anche in assenza di sintomi riferibili ad ipertiroidismo. PP.63 PREVALENZA DELLA PATOLOGIA TIROIDEA IN ETA’ SCOLARE NELL’ENTROTERRA MARCHIGIANO F. Silvetti, G. Palmonella, S. Gobbi*, A. Taccaliti, M. Boscaro Clinica di Endocrinologia Università Politecnica delle Marche Ancona; *Zona Territoriale 7 Marche La distribuzione delle aree di endemia gozzigena sul territorio nazionaleè abbastanza variegata tra le varie regioni. Anche la regione Marche ha aree di endemia gozzigena, così come altre regioni della dorsale Appenninica. Studi condotti in Italia circa 20-­‐30 anni fa, su ragazzi di età compresa tra i 6 e i 14 anni, mostravano una prevalenza di gozzo estremamente ampia a seconda delle regioni prese in esame. In particolare, nella regione Marche era emersa una prevalenza variabile tra il 6.5 e il 40% tra le varie province esaminate. I ragazzi in età scolare provenienti dalle province di Pesaro-­‐Urbino e Macerata erano quelli che mostravano le percentuali maggiori di gozzo semplice e/o nodulare. Questi valori risultano chiaramente al di sopra del cut-­‐off definito dall’OMS (5%) per distinguere aree iodio-­‐sufficienti da aree iodio carenti. Tenendo conto di questi dati, abbiamo iniziato a valutare i ragazzi in età scolare a partire dalla provincia di Macerata. Sono stati studiati, attraverso un esame clinico ed una ecografia tiroidea, i ragazzi di età compresa tra gli 11-­‐13 anni residenti nel comune di Tolentino. Tale comune è situato nell’entroterra della provincia di Macerata ad un’altezza di 230 metri sul livello del mare. I ragazzi di età compresa tra gli 11 e 13 anni erano 531. Sul totale dei giovani, 281 (53%) sono stati coloro che hanno accettato e sono stati sottoposti alla valutazione clinica e morfo-­‐volumetrica della tiroide; 107 erano maschi e 174 femmine. Dai nostri dati è emerso che in 218 casi (78%) su 281, la ghiandola tiroidea appariva regolare sia per volume che per ecostruttura; 88 maschi (40%) e 130 femmine (60%). Quarantacinque (16%) ragazzi presentavano invece una ipertrofia ghiandolare in assenza di lesioni nodulari; 14 maschi (30%) e 31 femmine (70%). La presenza di noduli tiroidei è stata riscontrata in un totale di 18 ragazzi (6%);5 erano maschi (26%) e 13 femmine (74%). Dal nostro studio pertanto si evince che la prevalenza di gozzo tiroideo diffuso e/o nodulare in ragazzi di età scolare compresa tra 11 e 13 anni nel comune da noi studiato, è risultata pari al 22%. Tale prevalenza non si discosta dai dati rilevati negli studi effettuati negli scorsi decenni, e permette di definire il comune di Tolentino come area di endemia gozzigena. PP.64 TIROIDECTOMIA TOTALE (TT) AD ULTRASUONI: IMPATTO SULLA PRESERVAZIONE DELLE PARATIROIDI N. Sorgato, F. Torresan, A. Toniato, C. Pagetta, I. Merante Boschin, M.R. Pelizzo Scopo. In chirurgia tiroidea, l'ipoparatiroidismo postchirurgico (IPP) è la complicanza più frequente, anche in mani esperte, ed è correlato in primis al maneggiamento intraoperatorio con conseguente danno ischemico della ghiandole (PT) paratiroidi (1,2,3). Il nostro studio si è proposto di verificare la tecnica di preservazione delle PT con impiego di dissettore ad ultrasuoni Harmonic Focus (HF) negli interventi di TT. Metodo. Sono stati selezionati 105 pazienti sottoposti dallo stesso operatore a TT presso il nostro reparto da agosto 2009 a luglio 2010. Le PT riscontrate intraoperatoriamente sono state preservate esclusivamente con HF. Sono stati valutati i livelli di calcemia postoperatoria: abbiamo considerato ipocalcemici i pazienti con calcemia < 2,10 mMol/L. Quindi è stata determinata l'incidenza di IPP. Si è considerato definitivo un IPP presente a 10 mesi dall'intervento con necessità di terapia calciovitaminica (TXP) pari ad almeno 2 gr di calcio al giorno. Risultati. Nei 105 pazienti considerati (65 femmine, 40 maschi-­‐ età media 41 anni), l'incidenza di IPP transitorio è stata di 43,8%: il 69,6% di questi ha assunto TXP per 1 settimana e il 93,5% non assumeva più TXP ad 1 mese dall'intervento. Nei pazienti operati per patologia benigna (53,3% della casistica) e per patologia maligna (46,7%), l'incidenza di IPP transitorio è stata rispettivamente di 33,9% e 55,1%; di questi non assumevano più TXP ad 1 mese dall'intervento rispettivamente il 94,7% e il 92,6%. Due pazienti, operati per patologia benigna, sono affetti da IPP definitivo (pari al 1,9% della casistica totale). Conclusioni. Ci risulta non sia stata finora valutata l'importanza delle nuove tecnologie nella salvaguardia delle PT. I nostri risultati dimostrano che, soprattutto nella patologia maligna, l'impiego di HF nella preservazione delle PT riduce la complicanza IPP. Bibliografia. 1. Sorgato N, Pennelli G, Boschin IM, Casal Ide E, Pagetta C, Piotto A, Toniato A, De Salvo GL, Hindié E, Al-­‐Nahhas A, Rubello D, Pelizzo MR. Can we avoid inadvertent parathyroidectomy during thyroid surgery? In Vivo. 2009 May-­‐
Jun; 23(3): 433-­‐9. 2. Rosato L, Avenia N, De Palma M, Gulino G, Nasi PG, Pezzullo L. Complications of total thyroidectomy: incidence, prevention and treatment. Chir Ital. 2002 Sep-­‐Oct; 54(5): 635-­‐42. 3. D'Ajello F, Cirocchi R, Docimo G, Catania A, Ardito G, Rosato L, Avenia N. Thyroidectomy with ultrasonic dissector: a multicentric experience.G Chir. 2010 Jun-­‐Jul; 31(6-­‐7): 289-­‐92. PP.65 AUTONOMOUS THYROID ADENOMA FROM BIRTH: A 3 YEARS OLD GIRL CASE REPORT E. Stocco, C. Pagetta, C. Bernardi, N. Sorgato, D. Verdi, A. Lana, S. Maltese, F. Torresan, D. Larizza, MR. Pelizzo Riportiamo il raro caso di R.S., bambina nata il 09/12/2006, cui sono stati riscontrati durante lo screening neonatale valori di FT4 pari a 25,9 pg/ml (v.n. 8-­‐19), di FT3 pari a 3,99 pg/ml (v.n. 1,8-­‐4,2), TSH 3,41 mIU/L (v.n. 0,4-­‐4), anticorpi anti-­‐tiroide e TSI negativi. Il controllo ad un mese evidenziava valori di FT3 pari a 6,37 pg/ml (v.n. 1,8-­‐
4,2), FT4 11,4 pg/ml (v.n. 8-­‐19) e TSH di 0,849 mIU/L (v.n. 0,4-­‐4). Al controllo eseguito a quasi 2 mesi i valori di FT3 erano di 5,29 (v.n. 1,8-­‐4,2), FT4 12,8 (v.n. 8-­‐19) e TSH 0,176 (v.n. 0,4-­‐4), mantenendosi successivamente stabili. Il secondo dosaggio dei TSI del 27/02/2007 era di 19 U/L (v.n. < 10). Il dosaggio della Tireoglobulina sierica effettuato a 3 mesi (29/03/07), per quanto non significativo in presenza di ghiandola tiroidea, risultava di 88,1 ng/ml (v.n. < 55), raggiungendo in seguito il valore massimo di 244 ng/ml. Si segnala inoltre la persistenza di valori elevati di fosfatasi alcalina ed un lieve aumento della LDH (aumentato ricambio osseo o stato ipermetabolico?). Nell’anamnesi familiare si rileva che la madre è stata sottoposta a loboistmectomia destra all’età di 24 anni per adenoma; una zia materna è affetta da gozzo ed è stata recentemente riscontrata una tireopatia alla nonna materna. La prima ecografia del collo è stata eseguita il 21/10/2008, all’età di quasi 2 anni e rivelava la presenza, a livello del lobo tiroideo destro, di un’area rotondeggiante, ipoecogena, vascolarizzata, a margini regolari di 0,9 x 0,9 x 1,6 cm ed il successivo esame scintigrafico tiroideo evidenziava trattarsi di un’area di elettiva ipercaptazione con sopressione del parenchima circostante, confermando l’ipotesi della presenza di un adenoma di Plummer. Il monitoraggio ecografico della paziente ha dimostrato un aumento delle dimensioni del nodo fino a 1 x 0,9 x 1,9 cm nel febbraio 2010. La mancanza di esperienza nell’uso di antitiroidei in età così precoce ha indotto a intraprendere la terapia tireostatica nel luglio 2009 all’età di quasi 3 anni, a dosaggi compatibili con l’eutiroidismo, utilizzando Metimazolo (5 mg) con posologia massima di ¼ x 2 / die. I valori di funzionalità tiroidea sono inizialmente virati verso l’ipotiroidismo, per stabilizzarsi poi. Anche l’indicazione all’intervento chirurgico è stata dilazionata in attesa di raggiungere uno sviluppo antropometrico più favorevole. Clinicamente non sono mai stati presenti sintomi cardiologici, i genitori riferivano comunque un recente periodo di insonnia e la tendenza all’agitazione psicomotoria. Nel settembre 2010, all’età compiuta di 3 anni, 15 Kg di peso, 96 cm di lunghezza, R.S. è stata sottoposta a loboistmectomia tiroidea destra con tecnica minicervicotomica videoassistita con particolare cura all’esito estetico. Il lobo asportato pesava 3 gr e misurava 2,8 x 1,6 x 1 cm, mentre il nodo in causa aveva un diametro di 0,9 cm. L’esame istologico definitivo dava lettura di adenoma micro-­‐macrofollicolare della tiroide con aspetti istologici di iperfunzione. Il decorso post operatorio è stato regolare e non si sono verificate complicanze relative all’intervento. Il dosaggio del TSH a un mese dall’intervento era di 11 mIU/L (v.n. 0,4-­‐4). PP.66 CARCINOMA DIFFERENZIATO IN LESIONI DISEMBRIOGENETICHE DELLA TIROIDE G. Sturniolo, M.A. Violi, S. Presti, M. Moleti, F. Trimarchi, F. Vermiglio Dipartimento Clinico-­‐Sperimentale di Medicina e Farmacologia – Sezione di Endocrinologia – Università di Messina La prevalenza di carcinoma differenziato della tiroide (CDT) su tiroide linguale e cisti del dotto tireoglosso si aggira intorno all’1%. A tutt’oggi sono stati descritti circa 200 casi di CDT su cisti del tireoglosso e meno di 50 casi su tiroide linguale. Su una nostra casisitica di 950 pazienti con CDT qui riportiamo 4 casi (0.4%) di CDT su tiroide linguale (n=1) e cisti del dotto tireoglosso (n=3). D.F. donna di 63 anni con riscontro bioptico di carcinoma follicolare su tiroide ectopica alla base della lingua, estesamente infiltrante e con aree di tipo insulare. Intervento di glossectomia parziale per via sopraioidea con conferma della diagnosi istologica (T3N1Mx) nel Marzo 2009. Curage linfonodale bilaterale con positività (N+) di 1/50 linfonodi e asportazione di formazione neoplastica residua alla base della lingua a Maggio 2009. Due trattamenti radiometabolici (Luglio 2009 e 2010) con dose cumulativa di 224 mCi di 131I. Tireoglobulina (Tg) indosabile dopo l’ultimo trattamento radiometabolico. B.B. donna di 37 anni con cisti del dotto tireoglosso. Exeresi di lesione di 40x30 mm con riscontro istologico di carcinoma papillare infiltrante i tessuti molli (T3NxMx) nell’Ottobre 2001. Tiroidectomia totale con istologia di gozzo adenomatoso nel Dicembre 2001. Dal 2002 al 2008, 5 trattamenti con 131I con dose cumulativa di 500 mCi di 131I per metastasi polmonari iodocaptanti. Persistenza di valori elevati (56.1 ng/ml) dopo stimolo con rhTSH nel Settembre 2009. Rifiutata la proposta di ulteriori trattamenti terapeutici. B.S. maschio di anni 42 con carcinoma papillare del tireoglosso (44 mm) infiltrante il tesuto fibro-­‐adiposo e diffusione endolinfatica e intravascolare nel Novembre 2001. Marzo 2002: intervento di Tx totale con riscontro di 2 focolai di carcinoma papillare.(T3bN0Mx ). Luglio 2002: trattamento con 100 mCi di I131, Tg indosabile e WBS negativo. Settembre 2004: Tg indosabile e WBS negativo dopo stimolo con rhTSH. D.B. donna di 21 anni con carcinoma papillare variante follicolare delle dimensioni di 15 mm (T1NxMx) su cisti del tireoglosso. Luglio 2010: Tx totale con istologia conclusiva per gozzo macrofollicolare. In conclusione, le lesioni disembriogenetiche della tiroide sono frequentemente sede di CDT e quando interessano il tireoglosso possono presentare particolare aggressività anche in assenza di un diretto coinvolgimento tiroideo. PP.67 CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE E S. DI PEUTZ JEGHERS V Triggiani*, N. Resta**, G. Renzulli***, E, Tafaro*, V.A. Giagulli*, F. Resta****, C. Sabbà, *B. Licchelli****, Edoardo Guastamacchia* *Endocrinologia e Malattie Metaboliche, **Genetica Medica, ***Anatomia Patologica, ****Medicina Interna, Università degli Studi Aldo Moro, Bari La S. di Peutz-­‐Jeghers (PJS) è una condizione rara dovuta ad una mutazione a carico del gene che codifica per un oncosoppressore, la serina treonina chinasi 11 (STK11/LKB1), trasmessa in maniera autosomica dominante, e caratterizzata dall’associazione di poliposi intestinale, iperpigmentazione muco-­‐cutanea e aumentato rischio di cancro a carico di intestino, stomaco, pancreas, mammella, utero, ovaio e testicolo, mentre l’associazione con il carcinoma differenziato della tiroide è stata descritta in pochi casi. Caso clinico. Una donna di 22 anni affetta da PJS, caratterizzata clinicamente da macchie pigmentate delle labbra e dal riscontro di polipi amartomatosi a livello di stomaco, duodeno, digiuno e ileo, è pervenuta alla nostra osservazione in seguito al riscontro ecografico di un nodulo ipoecogeno con microcalcificazioni e pattern vascolare perinodulare, delle dimensioni di 5x4x6 mm nel lobo destro della tiroide. Gli esami di funzionalità tiroidea mostravano una condizione di eutiroidismo e negatività degli anticorpi anti-­‐tireoglobulina e anti-­‐TPO. La citologia da agoaspirato ecoguidato evidenziava un quadro di carcinoma papillare della tiroide. La paziente veniva sottoposta ad intervento di tiroidectomia totale video assistita e la diagnosi citologica veniva confermata all’esame istologico. La neoplasia non mostrava infiltrazione capsulare. Non vi era evidente interessamento linfonodale. Non è stata eseguita terapia radiometabolica in relazione alle dimensioni della neoplasia. La paziente è attualmente in terapia TSH-­‐soppressiva con 125 mcg/die di levotiroxina ed esegue periodici controlli clinico-­‐ecografici e valutazioni ormonali e della tireoglobulina. In letteratura sono descritti altri quattro casi di associazione tra carcinoma tiroideo e PJS. Pur essendo, pertanto, tale associazione rara e probabilmente casuale, potrebbe essere indicato inserire l’ecografia della tiroide nel follow-­‐up della PJS, allo scopo di diagnosticare e rimuovere più precocemente eventuali tumori differenziati della tiroide, anche per evitare, se possibile, il ricorso alla terapia radiometabolica post-­‐
intervento, in relazione ai possibili effetti negativi di tale trattamento in soggetti predisposti allo sviluppo di neoplasie. PP.68 RUOLO DELL'ECOGRAFIA CON MEZZO DI CONTRASTO E DELLA ELASTOSONOGRAFIA NELLA TIPIZZAZIONE DEL NODULO TIROIDEO G. Turtulici 1, G. Melle 2, F. Cecoli 2, F. Minuto 2, E. Silvestri 1, M. Giusti 1. SC Diagnostica per Immagini Ospedale Evangelico Internazionale, Genova 1, UO Clinica Endocrinologica Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino, Genova 2 Background L'elastosonografia (ELS) è una nuova tecnica eseguita a mano libera per mezzo della compressione ritmica della sonda da parte dell'operatore al di sopra del tessuto da esaminare. Utilizza gli ultrasuoni per valutare le proprietà meccaniche ed elastiche dei tessuti molli, distinguendo le strutture rigide da quelle soffici. Il presupposto è che alcune situazioni patologiche inducano notevoli cambiamenti nel tessuto e che ne varino le proprietà elastiche basali. L’ELS è stata già impiegata nella diagnosi differenziale fra nodulo tiroideo benigno o maligno. Dati recenti indicano che l’ELS può rappresentare un valido mezzo nel nodulo a citologia indeterminata (Rago et al., 2010). Scopo del lavoro è riportare la nostra iniziale esperienza sul ruolo della ELS nella caratterizzazione del nodulo tiroideo a citologia indeterminata. Soggetti e Metodi 15 donne (età media 48±14 anni, ±DS) con indicazione all’avvio chirurgico per nodulo tiroideo a citologia indeterminata (n=10) o sospetta per neoplasia (n=5) sono state sottoposte, dopo 1 mese dalla valutazione citologica, ad ELS mediante apparecchio MyLAb 70 XV Gold (ESAOTE, Genova). L’elasticità media del nodulo è espressa con il parametro ELX2/1 indice del rapporto di elasticità del nodulo verso il tessuto extranodulare; valori di ELX2/1 >1 indicano una ridotta elasticità del nodulo. Risultati Tutti i pazienti erano eutiroidei eccetto uno che, trattato con L-­‐T4, presentava un TSH soppresso. Il diametro dei noduli sottoposti ad indagine era di 15.8 ± 2.0 mm (mediana 15 mm; range 4-­‐30 mm). Il valore ELX2/1 è risultato di 1.54 ± 0.21 (mediana 1.32; range 0.8-­‐3.3) e non è apparso correlato all’età del soggetto, allo stato funzionale della tiroide ed al risultato della citologia. La correlazione tra citologia e istologia ha documentato la conferma di un CDT nel 25% dei noduli a citologia indeterminata e nel 100% dei casi sospetti per neoplasia papillare. Il valore di ELX2/1 non è risultato statisticamente correlato all’istologia del nodulo. Conclusioni I dati di letteratura documentano come l’ELS possa essere un ulteriore mezzo nel selezionare i pazienti con nodulo tiroideo all’avvio chirurgico. I nostri preliminari dati confermano l’indicazione all’esecuzione dell’indagine ELS soprattutto se associata a una valutazione dell’enhancement vascolare con mezzo di contrasto gassoso ma non sembrano supportare la presenza di una sicura correlazione fra istologia maligna e maggiore consistenza del nodulo rispetto al tessuto tiroideo extra nodulare. PP.69 L’USO DELLA RISONANZA MAGNETICA NELLA VALUTAZIONE DELL’OFTALMOPATIA DI GRAVES I. Vasile 1, R. Nersita 1, A. Matrone 1, M. Ferrara 2, F. Tortora 2, M. Cirillo 2, M.E. Prudente 2, G. Amato 1, C. Carella 1 1 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “A. Magrassi e F. Lanzara” Clinica Endocrinologica – 2 Dipartimento di Diagnostica per Immagini -­‐ Seconda Università degli Studi di Napoli La stadiazione dell’oftalmopatia di Graves (GO) viene eseguita mediante valutazione del Clinical Activity Score (CAS) (metodo rapido ma soggettivo), l’ecografia orbitaria (esame operatore-­‐dipendente ma con scarsa visione del nervo ottico), e la TC (esame riproducibile ma rischioso per il cristallino). Scopo del lavoro è quello di utilizzare la RM nella valutazione della GO, studiando i tempi di rilassamento T2 con sequenze STIR (Short Time Inversion Recovery), e in questo modo la presenza di edema/non edema equivalente a fase attiva/inattiva della GO. Abbiamo arruolato 16 pazienti consecutivi (7M, 9F), di cui 11 con CAS≥3 (GO attiva) e 5 pazienti con 1<CAS<3. Confrontando l’intensità dei muscoli retto inferiore (ReI) e retto mediale (ReM) con quella del muscolo temporale (non patologico nella GO) si ottiene un indice del grado di alterazione dei muscoli oculari. Per ciascun occhio l’intensità di segnale è stata correlata con lo score totale e con i singoli parametri clinici del CAS. Le sequenze STIR dei ReI sono correlate con il CAS totale di entrambi gli occhi (p<0,001; ρ=0,65), oltre che con chemosi (p<0,001; ρ=0,812) e dolore al movimento oculare (p<0,05; ρ=0,533). Le sequenze T1 con mdc del ReI correlano col valore totale del CAS (p<0,001; ρ=0,745) e con la chemosi (p<0,05; ρ=0.507). Le sequenze STIR del ReI, inoltre, correlano con quelle del ReM (p<0,01; ρ=0,662) e con le sequenze T1 con mdc (p<0,05; ρ=0,580) del ReI. Il nostro studio conferma l’ipotesi secondo la quale nella fase edematosa si osserva un aumento del segnale di intensità, sia nelle sequenze STIR che in quelle T1 con mdc. I nostri dati confermano la correlazione tra CAS totale, alcuni parametri del CAS e i valori di intensità dei muscoli extraoculari (ME) sia in STIR che in T1 con mdc, in particolare tra STIR e dolore oculare associato al movimento. La correlazione fra intensità di STIR e T1 con mdc dei ME con il CAS, rivela l’utilità della RM come tecnica di imaging adeguata ad integrare la vautazione clinica della fase di attività della GO. Il segnale STIR, correlato anche al dolore oculare associato al movimento (indice di infiammazione), potrebbe essere un importante fattore predittivo di risposta alla terapia corticosteroidea. La correlazione tra le sequenze STIR e T1 con mdc con il valore totale del CAS, oltre che tra le sequenze STIR e T1 con mdc fra loro, potrebbe evitare l’uso di mdc. Pertanto la RM offre le stesse informazioni di altre tecniche di imaging aggiungendo la possibilità della caratterizzazione tissutale, con valutazione non operatore-­‐dipendente ripetibile nel tempo, mentre i limiti sono l’alto costo, la scarsa disponibilità e i lunghi tempi di esecuzione. PP.70 UN CASO DI MIOPATIA IPOCALCEMICA SENZA TETANIA N. Venturi 1, F. Pasin 2, I. Veliziotis 1, D. Giussani 1, P. Sansoni 1, R. Minelli 1; G. Robuschi 1 Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Azienda Ospedaliero – Universitaria di Parma, 1 Sezione di Endocrinologia; 2 Sezione di Medicina Interna Descriviamo il caso di un uomo di 35 anni, giunto alla nostra osservazione per la comparsa di laringospasmo durante esercizio fisico e lievi parestesie agli arti. Una visita ORL eseguita in Pronto Soccorso non dimostrava stenosi organiche laringee o tracheali ma un atteggiamento in adduzione delle corde vocali. Venivano dosate la calcemia, che risultava ridotta, la fosforemia aumentata e l’attività creatino – kinasica. Uno screening endocrinologico risultava negativo per ipocorticosurrenalismo, ipotiroidismo, diabete mellito ed ipogonadismo, ad eccezione della positività per autoanticorpi anti TPO e PTH indosabile. Si iniziava una terapia con calcio per os associato a 1, 25 diidrossivitamina D ed idroclorotiazide, con completa scomparsa delle parestesie e del laringospasmo ma incompleto ed incostante ritorno a valori calcemici adeguati, con fluttuazioni dei valori di CPK attorno ai limiti della normalità. Dopo circa un anno dalla diagnosi, durante una periodica visita di controllo, veniva dosato il TSH che risultava inibito, con frazioni libere degli ormoni tiroidei lievemente elevate. La diagnosi di malattia di Graves veniva confermata con il dosaggio degli anticorpi tireostimolanti; viene perciò intrapresa terapia con metimazolo con normalizzazione della funzionalità tiroidea. Per indagare la genesi di questi valori di CPK elevati, senza sintomatologia significativa venivano valutate anamnesticamente possibili cause di citolisi muscolare, risultate negative. Considerando una possibile associazione tra ipoparatiroidismo idiopatico e miosite autoimmune, venivano dosati gli anticorpi anti muscolo striato, risultati negativi. L’esame obiettivo neurologico era negativo. All’ECG, si evidenziava un QT lievemente prolungato; l’EMG mostrava assenza di potenziali fascicolatori, piccoli potenziali fibrillatori di piccola ampiezza e la presenza, nei gruppi muscolari prossimali, di potenziali d’azione di unità motoria polifasici, ridotti di ampiezza e durata, alternati a potenziali normali. La conduzione nervosa sensitiva e motoria era normale, senza blocchi di conduzione. La biopsia muscolare del quadricipite femorale destro mostrava un quadro aspecifico per miopatia metabolica, con discrete alterazioni sarcolemmatiche senza infiltrato infiammatorio. Successivamente, col miglioramento del quadro calcemico, si è assistito a un miglioramento del quadro elettrofisiologico e a quasi normalizzazione dei valori di CPK. La ragione fisiopatologica dell’aumento dei livelli di CPK nel nostro caso non è del tutto chiara. Un’ipotesi suggestiva è rappresentata dalla possibilità che l’ipocalcemia sia in grado di modificare in maniera più funzionale che morfologica la permeabilità del sarcolemma, con perdita degli enzimi strutturalmente più piccoli e più rappresentati nel muscolo striato. E’probabile che i pazienti affetti da ipocalcemia cronica siano esposti ad un danno muscolare, spesso misconosciuto, per le molteplici possibilità di interpretazione che si pongono di fronte ad un riscontro di CPK elevate. PP.71 NUOVE MUTAZIONI DI NKX2.1 IN DUE BAMBINI CON ESPRESSIVITA’ VARIABILE DELLA SINDROME “ENCEFALO-­‐POLMONE-­‐TIROIDE” M.C. Vigone 1, T. De Filippis 2, F. Cortinovis 1, S. Rabbiosi 1, A. Passoni 1, I. Zamproni 3, F. Marelli 2, G. Chiumello 1, L. Persani 2, G. Weber 1 1 Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-­‐
Salute San Raffaele, Milano 2 Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Milano, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano 3 Laboratorio di Endocrinologia Pediatrica, IRCCS San Raffaele, Milano Il gene NKX2.1 appartiene alla famiglia di fattori di trascrizione contenenti l’omeodominio NK; mutazioni causanti una sua perdita di funzione sono state associate al fenotipo descritto come sindrome encefalo-­‐polmone-­‐tiroide. Quest’ultima è caratterizzata da un’estrema variabilità di espressione, ma le mutazioni identificate in NKX2.1 sono ancora limitate per permettere una spiegazione di tale fenomeno. Riportiamo lo studio di 2 bambini nei quali è stata effettuata l’analisi del gene NKX2.1 in ragione del fenotipo caratterizzato dall’associazione di difetti tiroidei e neurologici. Sono state identificate due nuove mutazioni frameshift nell’esone 2, p.H90TfsX10 and p.A81RfsX350, che causano rispettivamente la perdita del sito di legame al DNA per un precoce codone di stop (caso 1) e la trascrizione di una sequenza proteica aberrante (caso 2). In entrambi i casi i genitori hanno una normale sequenza genica. Nel caso 1 si tratta di un bambino nato a termine da gravidanza normodecorsa, Apgar 10/10; screening neonatale per ipotiroidismo congenito positivo con conferma su siero di ipotiroidismo severo (TSH >200 mU/L, fT4 0,2 ng/dl) ed evidenza scintigrafica di ectopia tiroidea, per cui veniva iniziata la terapia sostitutiva con L-­‐tiroxina in 9° giornata di vita a 12.2 mcg/kg/die. Nel primo anno di vita non si verificavano problemi respiratori, mentre si evidenziava a 6 mesi di vita un ritardo neuromotorio con movimenti atetosici e spasticità. La RMN encefalo e le indagini metaboliche risultavano nei limiti di norma. Il probando 2 è nato a termine da parto eutocico, con screening neonatale negativo per IC. A 6 mesi di vita si rendevano evidenti alterazioni posturali. Giungeva alla nostra attenzione all’età di 10 mesi per il riscontro di ipertireotropinemia (TSH 14.5-­‐15-­‐9 mU/L) con ormoni liberi nella norma con ecografia tiroidea nei limiti e screening auto-­‐anticorpale negativo. Veniva pertanto introdotta la terapia sostitutiva con L-­‐tiroxina. La valutazione neurologica mostrava ipotonia ed atetosi, unitamente a ritardo del linguaggio; la RMN encefalo, evidenziava normale mielinizzazione per l’età. Non si sono mai manifestati problemi respiratori. Tali dati confermano la variabilità fenotipica delle mutazioni di NKX2.1, che suggerisce l’intervento di meccanismi ancora sconosciuti che ne influenzano l’espressività. Si evidenzia inoltre che, nella pratica clinica, il riscontro di alterazioni neurologiche specifiche (coreoatetosi, atassia) in associazione ad ipotiroidismo deve indirizzare verso l’analisi del gene NKX2.1, anche in assenza di coinvolgimento respiratorio. PP.72 UTILITA’ DELLA RICERCA DELLA MUTAZIONE DI BRAF NEL TUMORE PRIMITIVO DI PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA PAPILLARE DELLA TIROIDE A BASSO RISCHIO D. Viola*, R. Giannini**, C. Ugolini**, A. Biagini*, F. Basolo**, A. Pinchera*, R. Elisei* *Dipartimento di Endocrinologia, Università di Pisa; **Dipartimento di Chirurgia, Sezione di Patologia, Università di Pisa La mutazione di BRAF è l'alterazione genetica più frequente (29-­‐83%) nel tessuto primitivo del carcinoma papillare della tiroide (PTC). Molti autori hanno dimostrato che la presenza della mutazione è associata ad uno stadio più avanzato del tumore al momento della diagnosi e ad una prognosi peggiore, ma nessuno ha mai valutato l’utilità della ricerca della mutazione nel valutare la prognosi del paziente a basso rischio (stadio I secondo la classificazione TNM). Scopo di questo studio è stato quello di valutare se la presenza della mutazione di BRAF nel tumore primitivo può essere un fattore predittivo di persistenza di malattia nei pazienti a basso rischio (Stadio I). Abbiamo quindi analizzato retrospettivamente le caratteristiche anatomo-­‐
patologiche e cliniche di 156 pazienti affetti da PTC in Stadio I trattati con tiroidectomia totale e iodio-­‐131. Il DNA genomico è stato purificato da tessuto incluso in paraffina ed è stato sottoposto a PCR e nei casi positivi a sequenziamento diretto (SSCP). La mutazione era presente in 60 pazienti (38,5%) ed era significativamente associata alla mancanza o invasione della capsula tumorale (p = 0,001), alla variante istologica aggressiva (0,003) e alla estensione extratiroidea (p = 0,04). Dopo 5 anni di follow-­‐up 23 (14,7%) pazienti avevano persistenza di malattia mentre 133 (85,3%) erano liberi da malattia. BRAFV600E era presente in 45 pazienti (45/133 = 33,8%) liberi da malattia e in 15 (15/23 = 65,2%) pazienti con malattia persistente con una differenza statisticamente significativa (p = 0,004). All'analisi univariata la persistenza di malattia era associata anche alla dimensione del tumore, alla estensione extratiroidea e alle metastasi linfonodali. In conclusione i nostri risultati confermano la correlazione tra mutazione BRAFV600E con le caratteristiche clinico-­‐patologiche “aggressive” di PTC ed indicano che la presenza della mutazione di BRAF è un fattore predittivo di persistenza di malattia nei pazienti di Stadio I. Tuttavia, l'elevata frequenza di mutazione di BRAF nei pazienti di Stadio I curati suggerisce di essere cauti nel considerare solo la presenza di BRAFV600E come fattore prognostico nei pazienti a basso rischio. PP.73 CORRELAZIONE TRA CARATTERISTICHE CLINICHE E ASPETTI MOLECOLARI IN PAZIENTI CON RECIDIVA DI CARCINOMA PAPILLARE TIROIDEO F.S. Watutantrige 1, S. Barollo 2, F. Vianello 2, I. Negro 1, E. Cavedon 1, G.M. Pennelli 3, M.R. Pelizzo 4, F. Mantero 1, D. Nacamulli 1, M.E. Girelli 1, C. Mian 1 1 Unità Operativa di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche; 2 Istituto Oncologico Veneto (I.O.V.-­‐IRCCS); 3 Anatomia Patologica II, Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche; 4 Patologia Speciale Chirurgica, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche. Università di Padova Il carcinoma papillare della tiroide (PTC) presenta una prognosi favorevole nell’ 80% dei pazienti trattati in modo efficace dalla chirurgia seguita dalla terapia ablativa con iodio131 (131I); il 10-­‐15% recidiva durante il follow-­‐up e in un terzo dei casi viene persa la capacità di concentrare il 131I. Scopo dello studio è stato quello di correlare le caratteristiche cliniche a quelle molecolari in un gruppo di pazienti operati per recidiva di PTC. Pazienti e metodi: abbiamo valutato le caratteristiche cliniche e l’outcome di 50 pazienti con PTC recidivante seguiti in media per 9±6 anni. L’analisi del gene BRAF è stata condotta sulla recidiva tumorale asportata chirurgicamente e sul tumore primitivo disponibile. 30 pazienti sono stati sottoposti a 18F-­‐FDG-­‐
PET-­‐TC. Risultati: 39 recidive erano non iodocaptanti e 11 iodocaptanti. L’intervallo di tempo tra trattamento iniziale e la prima chirurgia per recidiva si è dimostrato maggiore per i tumori non iodocaptanti rispetto agli iodocaptanti (intervallo mediano 5 anni e 1 anno rispettivamente, p=0.01). Complessivamente il 94% delle recidive BRAF-­‐mutate erano non iodocaptanti. Tra i pazienti sottoposti a 18F-­‐FDG-­‐PET-­‐TC, 25 captavano il 18F-­‐FDG mentre 5 erano PET-­‐negativi. Delle recidive non iodocaptanti, 83 % era PET positiva e 87% aveva la mutazione di BRAF. Delle recidive iodocaptanti, 86% era PET positiva e 29% aveva la mutazione di BRAF. In 18 pazienti abbiamo studiato lo status BRAF nel tumore primitivo e nella recidiva: 17 presentavano un genotipo concorde mentre in 1 caso la mutazione BRAF V600E veniva acquisita solo a livello della recidiva. Conclusioni: le mutazioni di BRAF rappresentano l’evento molecolare più frequente nelle recidive di PTC non iodocaptanti. Esse correlano con la capacità di concentrare il 18F-­‐FDG e possono comparire come eventi de novo in corso di recidiva. Nei pazienti BRAF-­‐mutati con recidiva non iodocaptante la prognosi è peggiore.