Le donne e la narrativa, un`intervista a Virginia Wolf, Adriana

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Le donne e la narrativa, un`intervista a Virginia Wolf, Adriana
Le donne e la narrativa, un’intervista a
Virginia Wolf, Adriana Cavarero e Marta Nussbaum
“Mai Sottovalutare il potere dei libri” P. Auster
Antonella Veroli Piazza
Introduzione
Le donne hanno combattuto per avere una Stanza tutta perse1, un luogo in cui lasciare liberi i pensieri, in cui potersi raccontare svincolate
dalla visione maschile. Oggi, in gran parte del mondo Occidentale, le
donne hanno conquistato questa stanza, ma forse, impaurite dallo spazio, anziché utilizzarlo per vivere e narrare il mondo dalla loro prospettiva femminile, si sono rannicchiate in un angolo. Questa stanza è
forse il femminile? Ultimamente le sue caratteristiche si sono sbiadite,
ingrigite, sarà questo il motivo che ha spinto le donne a ritirarsi in un
angolo?
Se oggi un adolescente mi domandasse che cosa significhi essere
una donna, se ed in che cosa è diverso dal essere uomo, per poterle rispondere chiederei aiuto alla narrativa. Perché la narrativa ha un approccio metodologico differente da quello delle scienze cosiddette dure, logico-formali, essa crea una situazione dinamica, permettendoci
così di entrare nella complessità dei fenomeni, offrendoci il mezzo per
cominciare a pensare in modo complesso. In questo maniera non mi
limito ad accettare la complessità del fenomeno, ma ci entro dentro.
La narrativa è sempre più utilizzata come strumento di conoscenza,
di analisi, di approfondimento, basti pensare alla medicina narrativa2,
1
V.WOOLF, Una stanza tutta per sé, Newton editori, Roma 2013.
R.CHARON, Narrative Madicine. Honoring the Stories of Illness, Oxford University
Press, New York 2006.
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e più in generale allo sviluppo della medical humanities3 in campo sanitario. Per questa ragione sono ricorsa ad essa come metodo per analizzare il rapporto tra il femminile e la donna del nostro tempo.
Quando prendo un libro in mano non lo studio, né lo giudico, ma
semplicemente lo leggo. Sicuramente non posso immaginare l’effetto
che la storia avrà su di me, mi lascio trasportare all’esperienza che sto
per vivere, perchè leggere è, innanzi tutto, un’esperienza, un processo
di arricchimento personale. Quando si legge si ascolta la voce delle
parole che ci spinge ad abbandonare, anche solo per il tempo della lettura, la routine del quotidiano, proiettandoci in un altra vita dove poter
fare esperienza di noi liberamente. Proust scriveva: “Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuti tanto pienamente
come quelli che abbiamo creduto di aver trascorso senza vivere, in
compagnia d’un libro prediletto”4. Ritengo, quindi, che la lettura di un
buon libro aiuti ad approfondire sia la conoscenza della realtà umana,
che la conoscenza di noi stessi.
Non meno importante della lettura è, ovviamente, la scrittura. Colui
che narra una storia deve ben sapere l’effetto che le sue parole possono fare all’altro che legge. Hannah Arendet definì se stessa una grande
lettrice prima di diventare una scrittrice, perchè lettura e scrittura sono
legate a doppio filo tra loro: “l’altro mi parla e si apre a me nell’atto di
parola; e io stessa mi apro grazie all’altro a una forma di trascendenza”5. La scrittura, dunque, ha il compito di essere integra, e tale integrità risiede proprio nella veridicità del suo raccontare. Ossia chi scrive, nell’atto di narrare, non deve modificare i valori del proprio animo
solo per compiacere gli altri o la critica, ma deve ben sapere che scrivendo semina dei pensieri che vengono raccolti da colui che legge,
che a sua volta utilizzerà e così si viene a creare quello stretto rapporto
di fiducia che lega il lettore allo scrittore.
Partendo da questi presupposti generali mi sono chiesta se esista o
no un ruolo particolare del femminile nella letteratura, ossia c’è una
caratteristica specifica femminile nella lettura e nella scrittura? Per
cercare di rispondere a questa domanda ho chiesto aiuto a tre grandi
donne: Virginia Woolf, scrittrice inglese dalla forte personalità che si
distinse per il suo impegno a favore della parità tra i sessi, Adriana
3
L. ZANNINI, Medical humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina, Milano 2008.
PROUST, Sulla lettura, pillole Bur, Milano, edizione digitale 2013.
5
N. FUSINI, Hannah e le altre, Einaudi, Torino, edizione digitale 2013.
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Cavarero, filosofa italiana contemporanea e figura di rilievo del pensiero della differenza sessuale, e Martha Nussbaum, filosofa americana contemporanea conosciuta per il suo contributo alla teoria delle capacità.
Letteratura al femminile
Martha Nussbaum analizza l’importanza della lettura, considerando
l’esercizio del leggere libri uno strumento valido per coltivare e valorizzare le emozioni, in particolare quella dell’empatia. Ci spiega chiaramente quanto sia importante l’immaginazione letteraria per imparare a
riflettere in modo critico e non pregiudiziale e per riuscire ad avere una
conoscenza critica di noi stessi e delle nostre emozioni. Leggere quindi
implica una grande capacità d’immaginazione, più leggiamo più questa
si rinforza, aumentando così la nostra capacità di intuizione e di giudizio. Ma tutto questo è possibile perché come diceva Virginia Woolf i libri vengono scritti: “alla luce rossa dell’emozioni, e non alla luce bianca
della verità”6. La Woolf inoltre raccomanda alle donne di scrivere da
donne, di svincolarsi dai giudizi della critica e di raccontare liberamente
il proprio femminile rispetto al mondo e non all’altro sesso. Così esse
entreranno in relazione con i loro lettori, e potranno trasmettere il loro
sapere al femminile. Da ciò possiamo capire che per Virginia Woolf
non è trascurabile la natura maschile o femminile dello scrivere. Allora
se esiste una scrittura al femminile, qual è la sua caratteristica? Adriana
Cavarero, mette in relazione l’arte del raccontare storie di vita con la
natura femminile. Definisce la donna come: “ancella del racconto”,
spiega che la specifica attenzione al particolare, insita nel femminile, si
manifesta nel prendersi cura dell’altro e si concretizza ascoltando e raccontando il Sé narrante che è in ogni persona.
Potremmo dunque supporre l’esistenza di una caratteristica femminile nella letteratura, che si traduce in empatia nella lettura, ossia nel
lasciarsi coinvolgere dal libro, e il raccontare nello scrivere, intesa
come quella attenzione al particolare.
Qui di seguito, ad esempio di quanto detto sopra, riporto dei brani
tratti da: La lunga storia di Marianna Ucria di Dacia Maraini e Il pranzo
di Babette in Capricci del destino di Karen Blixen, libri a me molto cari.
6
V.WOOLF, Una stanza tutta per sé, Newton editori, 2013 Roma, pag. 37.
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Marrianna Ucria è la “mutola”, una bambina che non ricorda il perché, a un certo punto della sua vita, abbia smesso di sentire e parlare,
solo verso la fine della storia capirà l’orrenda causa che le ha fatto preferire il silenzio. La caratteristica che fa della Ucria una donna particolare è questa sua menomazione che non è vissuta come una sconfitta,
ma come un qualità, un dono, che la diversifica dalle altre donne permettendole di pensare.
Dacia Maraini con la sua scrittura ci porta a sentire la realtà come
Marianna che, grazie alla sua acuta intelligenza, costantemente sollecitata dalla lettura, dalle riflessioni e dalla coscienza di dover lottare
per non soccombere alla sua sordità, entrare negli aspetti più nascosti
delle cose , senza però scappare davanti al suo destino di donna, nata
solo per soddisfare gli uomini, allevare figli, ubbidire. Marianna cresce i suoi figli con amore e dedizione sempre molto attenta alla loro
unicità che li rende speciali, irripetibili e unici. Ciascuno di essi è identificato con un aggettivo che lo riassume: Manina la paciera, Felice
votato alla medicina, Giuseppa la passionaria; Marino eterno bambino
e Signoretto il suo prediletto.
Ha trasferito sui corpi dei figli in trasformazione il proprio corpo, privandosene come se l’avesse perso nel momento di maritarsi. È entrata e uscita dai
vestiti come un fantasma, inseguendo un sentimento del dovere che non nasceva da inclinazioni ma da un cupo e antico orgoglio femminile. Nella maternità ha messo la sua carne, i suoi sensi, adeguandoli, piegandoli, limitandoli. (La lunga storia di Marianna Ucrìa, Dacia Maraini, Rizzoli, Milano
1990, pag. 101)
Sposare, figliare, fare sposare le figlie, farle figliare e fare in modo che le figlie sposate facciano figliare le loro figlie che a loro volta si sposino e figlino… Marianna si ritrova complice di una antica strategia familiare, dentro fino al collo nel progetto di unificazione. Ma anche estranea per via di quella
menomazione che l’ha resa una osservatrice distaccata della sua gente. “Corrotta dai libri” come diceva la zia Teresa professa, si sa che i libri guastano e
il signore vuole un cuore vergine che perpetui nel tempo le abitudini dei morti con cieca passione d’amore, senza sospetti, senza curiosità, senza dubbi.
(La lunga storia di Marianna Ucrìa, Dacia Maraini, Rizzoli, Milano 1990,
pag. 251)
Anche Karen Blixen nel racconto del pranzo di Babette, mette al
centro della sua narrazione una donna particolare Babette, cuoca francese molto introversa e silenziosa. Ma, a differenza di Marianna, il suo
dono è la sua arte. Il centro del racconto è il saper donare se stessi at-
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traverso la propria arte. Babette, accolta con affetto dalle due sorelle
Filippa e Martina e da tutta la comunità di Berlevaag, offre un pranzo
indimenticabile. Alla fine del quale nessuno degli invitati, tranne il
generale Loewenhielm, si rende conto del valore del cibo mangiato,
ma i loro animi austeri sono stati toccati da quelle delizie e la loro vita
non sarà più quella di prima.
Chiusa la porta di casa, Martina e Filippa si ricordarono di Babette. Una piccola ondata di tenerezza e di compassione le inondò: soltanto Babette non aveva spartito la felicità della serata…Si resero conto che nessuno dei loro ospiti aveva detto una parola sul cibo. Anzi, per quanto vi si sforzassero, loro
stesse non riuscivano a ricordare una sola delle pietanze che erano state servite. (Capricci del destino, Karen Blixen, Feltrinelli Milano 1962, pag. 42)
Babette avvolse le sue padrone in uno sguardo profondo, in uno strano sguardo: non v’era, in fondo ad esso, pietà, e forse anche scherno? “Per voi?” replicò. “No. Per me.”
(…) Povera? Disse Babette. Sorrise come a se stessa. “No. Non sarò mai
povera. Ho detto che sono una grande artista. Una grande artista, mesdames, non è mai povero. Abbiamo qualcosa, mesdames, di cui gli altri non
sanno nulla.” (Capricci del destino, Karen Blixen, Feltrinelli Milano 1962,
pag. 44)
In questi brani si può cogliere quella sfumatura femminile, attenta
al particolare che ci guida alla scoperta delle nostre emozioni. I fatti
vengono raccontati dalle autrici con il calore dei sentimenti riuscendo
a risvegliare così nel lettore empatia per la storia.
Donna e romanzo
Le tre donne, Virginia Woolf, Adriana Cavarero e Martha Nussbaum,
che ho intervistato per cercare di rispondere alla domanda
sull’esistenza o meno di una caratteristica femminile nella letteratura,
hanno in comune l’idea che il romanzo è il genere letterario, dopo la
poesia, che meglio scruta e rappresenta l’animo umano. Partendo da
questa osservazione ho trovato molto interessante un studio
dell’ISTAT7 fatto nel 2013 in cui veniva mostrato che le donne, indipendentemente dalla regione geografica e dall’età, leggono, in percen7
Studio ISTAT http://www.istat.it/it/files/2013/05/Report_libri_lettura_2011_2012.pdf?
title=Produzione+e+lettura+di+libri+-+16%2Fmag%2F2013+-+Testo+integrale.pdf.
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tuale, molti più libri degli uomini e fanno del romanzo la loro forma
espressiva e letteraria preferita. Allora mi chiedo: perché le donne amano leggere i romanzi?
La storia che lega le donne ai romanzi è una storia di affinità. Bisogna ricordare che la possibilità di leggere e scrivere autonomamente
ha costituito la premessa fondamentale per l’emancipazione intellettuale e sociale delle donne. Forse sarà questo il motivo per cui quando
una donna legge un romanzo stabilisce con esso un rapporto privato e
pericoloso, quasi una storia d’amore. Inoltre non bisogna dimenticare
che, proprio nel XX secolo, alcune donne hanno cominciato ad usare
la scrittura come arma per difendere il loro essere donna, come mezzo
per raccontare la differenza sessuale e per diffondere una conoscenza
tutta femminile. Per esempio pensiamo al personaggio di Melanctha in
Tre vite di Gertrude Stein, scritto nel 1909, in un’epoca in cui il ruolo
della donna era relegato ad ambiti esclusivamente domestici.
Melanctha è una donna americana nera, vissuta in una famiglia
senza amore con un padre solo preoccupato all’onore della figlia e una
madre totalmente succube del marito e lontana dalla figlia. Melanctha
è donna intelligente all’eterna ricerca di una “saggezza”, che la porterà
ad avere diverse esperienze sentimentali, tutte sbagliate, senza riuscire
mai a trovare quel piacere che sta cercando. In questa triste storia Melanctha è la sola responsabile del suo destino.
Per Melanctha lo scalo rappresentava l’eccitante possibilità di incontrare
molti uomini e, magari, un emancipato e febbrile futuro…Melanctha si costringeva sempre ad andare in giro, anche se spesso rappresentava per lei un
grande sforzo. Non sapeva che cosa fosse ciò di cui sentiva tanto il bisogno, e
nonostante la sua grande audacia restava nell’intimo una codarda, e perciò
non riusciva a capirlo. (Tre vite, Gertrude Stein, Elliot, Roma 2014, pag. 93)
Comunque, che siano lettrici o scrittrici, le donne trovano nel romanzo personaggi femminili, comportamenti e destini possibili con
cui di volta in volta confrontarsi, identificarsi o differenziarsi.
Le donne scelgono i romanzi perchè il loro narrare rispecchia la vita, e così sono libere di abbandonarsi all’immenso mondo del pensiero
e dell’immaginazione, senza però perdere di vista la realtà. Quando
una donna legge un romanzo lo fa in maniera attiva, ossia partecipa alla storia con passione, entrando a volte anche in polemica con le scelte
o le decisioni dei diversi personaggi. Sarà forse questo uno dei motivi
per cui le donne che leggono e che amano leggere sono considerate
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pericolose. Leggendo le menti si arricchiscono di sapere, di pensieri,
di immaginazione e di sogni e così si trasformano. Come se da dentro,
l’identità fatta di ruoli e funzioni precise, di relazioni sociali e modi
d’essere codificati, perdesse nitidezza, permettendo alle lettrici di
prendere coscienza dei propri sogni, arrivando persino a convincersi di
poterli trasformare in realtà.
Non è possibile sapere matematicamente se chi legge riprenda la
sua vita come se nulla fosse o se le parole incontrate gli facciano desiderare per sé qualcosa di diverso o, anche solo, fantasticare una possibilità differente.
Sul rapporto tra le donne e il romanzo Virginia Woolf, ha raccolto
nel libro intitolato: “Una stanza tutta per sé”, le sue riflessioni. Essa
sottolinea come le donne hanno avuto problemi di natura pratica nel
assecondare questa loro propensione al racconto e alla scrittura, e che
attraverso i secoli le donne sono sempre state condizionate e limitate
dalla dipendenza economica e dalla mancanza di uno spazio personale. In tali condizioni la dimensione narrativa è stata soffocata, messa
sotto chiave da esigenze più impellenti, ciò ha permesso al Uomo di
dominare gli spazi della cultura. Ma, una volta raggiunta una certa indipendenza economica e sociale, le donne devono scrivere liberamente
quello che hanno in testa e non essere costrette dalla società a raccontare ciò che gli altri si aspettano di leggere, “le donne devono scrivere
da donne”. L’autrice libera sarà quindi capace di dar vita ad una forma
che le appartiene, per potersi raccontare in relazione al mondo. E proprio nel romanzo, con il suo modo di narrare in cui “la vita è in conflitto con qualcosa che non è vita. Ma poiché in parte è vita, la giudichiamo come se fosse vita”8, le donne trovano la struttura letteraria
più adatta a loro.
Su questo stretto legame tra romanzo e valori della vita reale, Virginia Woolf fonda il suo pensiero sull’importanza del essere uno scrittore uomo o donna. Assumendo che esista una differenza naturale tra
uomo e donna, essa la si deve ritrovare nell’opera scritta, perché la
differenza sessuale non è qualcosa di marginale o superfluo, anzi, caratterizza tutto lo scrivere. Questo è il motivo che spinge la Woolf a
insistere sull'importanza che le donne scrivano da donne, libere dai
“perpetui ammonimenti dell’eterno pedagogo: scrivi questo, pensa
8
V. WOOLF, Una stanza tutta per sé, Newton Compton, 2013 (1928), p.80.
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quello”9. Quando una donna si dimentica di essere donna e perde tempo a scrivere contro gli uomini o a ridicolizzarli, sognando un mondo
diverso, come risultato finale ottiene un libro pieno di odio e risentimento, quindi non vero che non rispecchia l'animo dell'autore. Il lettore, in questo caso, sarà colpito solo in superficie e non entrerà in relazione con lo scrittore. Per concludere, Virginia Woolf10 davanti al binomio donna e romanzo risponde che per chiunque scriva è fondamentale pensare al proprio essere maschile o femminile, la penna da
usare è quella di essere puramente e semplicemente un uomo o una
donna, senza opporsi all'altro rivendicando superiorità.
La scrittura delle donne, sotto questa prospettiva, assume un ruolo
molto importante, essa diventa uno strumento per poter raccontare il
femminile con un linguaggio che gli appartiene, descrivendolo in relazione al mondo e non al maschile.
Per cercare di rendere concreti tutti questi pensieri, riporto alcuni
brani tratti da libro “Gita al faro” di Virginia Woolf, scritto nel 1927,
che ho molto amato in particolare la figura della signora Ramsay, una
donna dolce, affettuosa, comprensiva e molto attenta agli altri. È seduta con James, il suo figlio più piccolo, sulle ginocchia, e ci appare seducente con il suo essere immobile, avvolta da un silenzio fascinoso,
ma libera di pensare. La signora Ramsay è descritta come donna che
rispetta, ama, e accudisce suo marito, tuttavia in lei c’è quel qualcosa
di impercettibile e attraente che le fa girare attorno tutte le altere donne, senza però che esse riescano a raggiungerla.
Naturalmente, dato che era una donna, tutti si rivolgevano a lei ogni momento per questo o per quello, chi voleva una cosa, chi un’altra. I ragazzi crescevano, spesso le pareva di essere una spugna impregnata di emozioni umane.
(Gita al faro, Virginia Woolf, Oscar Mondadori, Milano 1994, pag. 29)
Facendo scintillare i suoi ferri, sicura, dritta, lei era la casa, il salotto e la
cucina li creava lei, lei li faceva brillare. Lo invitava con calma, all’agio, al
piacere. Rideva, lavorando a maglia. Tra le sue ginocchia, irrigiditosi, James sentì la forza in lei divampare per essere bevuta ed estinta dal becco
d’ottone, l’arida scimitarra del maschio, che spietato continuava a colpire,
9
V. WOOLF, Una stanza tutta per sé, Newton Compton, 2013 (1928), p.83.
Per V. Woolf, la creatività si ottiene con il matrimonio tra maschile a femminile:
“Nell’uomo la parte femminile del cervello deve comunque agire; e anche la donna deve avere rapporto con l’uomo che c’è in lei. (...) Ed è appunto quando ha luogo questa fusione che la
mente diventa pienamente fertile e usa tutte le sue facoltà” V. WOOLF, Una stanza tutta per
sé, Newton Compton, 2013 (1928), p.109.
10
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pretendendo simpatia. (Gita al faro, Virginia Woolf, Oscar Mondadori, Milano 1994, pag. 34)
Le dispiaceva che quel desiderio che aveva di donare, di aiutare, fosse preso
per vanità. Era forse per soddisfazione personale che lei spontaneamente desiderava aiutare, donare, perché la gente dicesse di lei: “Oh, la signora Ramsay! Quella cara signora…la signora Ramsay, ma cert!”? (Gita al faro, Virginia Woolf, Oscar Mondadori, Milano 1994, pag. 38)
Seduta per terra, abbracciata stretta alle ginocchia della signora Ramsay, sorridendo al pensiero che lei non avrebbe mai saputo la ragione di
quell’abbraccio, si immaginò che nelle stanze del suo cuore e della mente di
quella donna, che la stava fisicamente toccando, stessero custodite, come il
tesoro nelle tombe dei re, tavole di scritti sacri, che a saperle leggere le avrebbero insegnato tutto, ma mai sarebbero state esibite apertamente, mai rese pubbliche. (Gita al faro, Virginia Woolf, Oscar Mondadori, Milano 1994,
pag.46)
Allora grazie a Virginia Woolf abbiamo capito l’importanza che le
donne scrivano da donne, ma che significa? Adriana Cavarero, nel
suo libro intitolato: “Tu che mi guardi, tu che mi racconti”, assegna alla donna il ruolo di guardiana della narrazione, di colei che è in grado
di proteggere l’unicità, vista nella differenza, dalla minaccia
dell’universalizzazione.
La Cavarero parte dallo spiegare lo stretto rapporto tra il narrare e
l’unicità: “la narrazione rivela il finito nella sua fragile unicità e ne
canta la gloria”11. La narrazione quindi è quella magnifica arte di saper raccontare una storia, una storia di vita, il che significa vedere
nell’altro una persona con la sua identità irripetibile, un fine in se; un
insieme di parole, legate tra loro da una forma, che rispondono alla
domanda: “Chi sei?”.
In questa prospettiva le donne assumono una posizione di rilievo:
“le donne raccontano storie, e c’è sempre una donna all’origine del
potere incantatore di ogni storia”12. Perché appartiene proprio alla loro
natura femminile la capacità di raccogliere e condividere storie di vita,
che non aspirano a diventare dei romanzi da prima posizione in classifica, ma piuttosto sono storie che vengono raccontate nel quotidiano in
cucina davanti ad un caffè, al telefono, per strada. E quindi sono pro-
11
12
A. CAVARERO, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997, p.10.
A. CAVARERO, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997, p.158.
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prio le donne che con la loro caratteristica attenzione al particolare,
fanno essere “questo e non altro”.
Ogni persona, nella visione della Cavareo, è un Sé narrabile, che
aspetta solo di essere raccontato e rispondere a questo desiderio è un
gesto di cura verso l’altro. Significa riconoscere la persona, non per il
suo “che cosa”, ossia un insieme di qualità che la fanno essere Uomo
o Donna, ma piuttosto per la sua unicità, per il suo “Chi”, e nel raccontare la storia di questo Chi viene svelata la sua stessa identità.
Quindi narrare una storia di vita è un gesto di cura e, dato che le
donne sono propense per natura all'attenzione e alla cura del particolare, esse sono naturalmente inclini alla narrazione. Questa loro arte è
“una pratica quotidiana dove il racconto è esistenza, relazione e attenzione”13. Infatti l'amicizia femminile è legata a un reciproco scambio
di storie, concrete e personali, le donne abitualmente comunicano tra
loro confrontando racconti di vita. E proprio questo carattere narrativo
delle amicizie e delle relazioni femminili rende il romanzo l'orientamento letterario preferito dalle donne.
Come esempio di questo narrare riporto un brano tratto dal libro di
Alice Munro “In fuga”, è una raccolta di storie collegate tra loro, in
cui il personaggio femminile Juliet si lascia vivere, senza una vera
consapevolezza di se stessa, l’occhio dell’autrice coglie questo Sé e lo
racconta.
Juliet è una studentessa brillante e carina che, grazie a suo padre,
un insegnante, e a sua madre, ha potuto vedere un altro modo per vivere, fuori dai canoni dettati dalla piccola cittadina di provincia in cui
vive. Si innamorerà di un uomo sposato, Eric, con cui avrà anche una
figlia, Penelope, e così cambieranno totalmente i suoi progetti per il
futuro. Ma quando tornerà a casa dai suoi genitori con la figlia si accorgerà che suo padre non è poi così anticonformista come le appariva, anzi vive le sue relazione secondo le regole classiche dettate dalla
piccola città di provincia, e sua madre è una donna molto problematica
da sempre aiutata dal padre. Così deciderà di allontanarsi dalla sua
famiglia per ricominciare.
I professori l’adoravano – di questi tempi erano grati a chiunque scegliesse di
studiare lingue classiche, specie poi se così dotato, ma si preoccupavano, anche. Il fatto è che Juliet era una femmina. Se si fosse sposata, eventualità pos13
A. CAVARERO, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997, p.73.
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sibile, considerando che non era brutta, per essere una borsista, nient’affatto
brutta, avrebbe sprecato tutta la sua fatica e la loro, mentre in caso contrario
era probabilmente destinata a diventare depressa e introversa, vedendosi passare avanti i maschi (che avevano più bisogno di fare carriera, dovendo mantenere una famiglia). (In fuga, Alice Munro, Einaudi, Torino 2006, pag. 49)
Dopo aver visto come le donne per natura siano portate a narrare
l’unicità, ora vediamo come partendo dal rapporto di fiducia che si
viene a creare nell'atto della lettura tra colui che scrive e colui che
legge, quest’ultimo si riconosca nel racconto della storia dell'altro pur
mantenendo la sua unicità. Per Martha Nussbaum il romanzo è la forma letteraria più importante nella nostra cultura, perché ha la capacità
di esprimere una posizione morale e contemporaneamente coinvolgere
la gente comune. Questo perché il romanzo è concreto: “Esso fa proprio il tema dell'interazione tra le aspirazioni umane generali e le forme particolari di vita sociale che favoriscono o impediscono la soddisfazione di tali aspirazioni, alle quali conferiscono una forma via via
più precisa”14.
Un romanzo racconta una storia e nel farlo coinvolge il lettore, il
quale condivide con i personaggi paure, desideri e speranze completamente umane e generali, proprio questo è il motivo per cui si sente
coinvolto e stringe dei vincoli di identificazione e di simpatia con i
protagonisti della storia. Il lettore accetta di farsi coinvolgere perché
sente che le possibilità di vita e le scelte umane dei personaggi possono diventare le sue, anche se l'attuale situazione in cui si trova è diversa. “Pertanto, il romanzo costruisce un paradigma stilistico di ragionamento etico che è contestuale senza essere gioielli relativistico, un
paradigma da cui ricaviamo prescrizioni concrete potenzialmente universalizzabili applicando un'idea generale di fioritura umana a una situazione concreta, nella quale veniamo sollecitati a entrare per il tramite dell'immaginazione”15.
E così il lettore di un romanzo arriva al ragionamento grazie alla
fantasia, ossia attraverso la lettura del romanzo riesce a vedere una cosa per un’altra, a vedere una cosa in un altra. Questa capacità è importante perché è una disposizione a spingersi oltre l'evidenza, e aiuta a
sviluppare altre prospettive nella vita. In particolare le donne tendono
a lasciarsi coinvolgere nella lettura, forse proprio per la loro propen14
15
M.C. NUSSBAUM, Giustizia poetica, Mimesis, Milano 2012 (1995), p.41.
M.C. NUSSBAUM, Giustizia poetica, Mimesis, Milano 2012 (1995), p.43.
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sione naturale ad accogliere il mondo, ad ascoltare l’altro e credo che
questa inclinazione al desiderio di andare oltre, di uscire dal quotidiano per abbandonandosi alla fantasia sia uno dei motivi che spinge le
donne a preferire la lettura di romanzi tra i tanti generi letterari.
Leggere romanzi non fornirà la chiave per risolvere gli attuali quesiti sulla donna e sul femminile, ma sicuramente aiuta a riconoscere il
mondo in cui si vive e a fare delle scelte con più discernimento, senza
pregiudizi. In particolare, sarebbe interessante comprendere come le
ragazze di oggi possano giudicare i testi di scrittrici non contemporanee, come possano recepire il sapere femminile racchiuso in essi. Come per esempio Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen:
“È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido
patrimonio debba essere in cerca di moglie. E benché poco sia dato sapere delle
vere inclinazioni e dei proponimenti di chi per la prima volta venga a trovarsi in
un ambiente sconosciuto, accade tuttavia che tale convinzione sia così saldamente radicata nelle menti dei suoi nuovi vicini da indurli a considerarlo fin da
quel momento legittimo appannaggio dell’una o dell’altra delle loro figlie.”(Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen, Mondadori Milano 1932, pag.)
Conclusioni
Le parole di Virginia Woolf, Adriana Cavarero e Marth Nussbaum ci
suggeriscono che può esistere una lettura e una scrittura al femminile.
La caratteristica specifica del femminile si traduce nella lettura con
l’empatia, l'abbandonarsi al racconto permette alla storia di attraversa
il corpo del lettore, sarà forse per questo che certe volte si dice: “ho
divorato questo libro”, nel senso l’ho fatto mio. Mentre nella scrittura
il carattere femminile si esprime nella capacità di raccontare il particolare, l’unicità delle persone, ossia di vedere il mondo dalla prospettiva
del femminile. Mettendo in relazione queste osservazioni con i dati
oggettivi che fanno delle donne grandi lettrici di romanzi, possiamo
concludere che è proprio la loro natura femminile a spingerle verso il
romanzo.
Tutti i giorni si incontrano donne molto diverse tra loro, esattamente come tanti e diversi sono i gusti delle lettrici e gli stili delle scrittrici, ma nonostante la grande diversità che c'è tra esse è possibile osservare l’esistenza di un qualcosa che le accomuna, in qualcuna sarà più
evidente che per altre, ma ciò è legato alla loro storia di vita. Questo
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fattore comune è: la forza del femminile, l'invenzione artistica diventa
quindi il mezzo che permette a tale forza di esprimersi, viene così a
crearsi un legame tra identità femminile e narrazione.
Lo stretto rapporto che c’è tra lettura e scrittura: “chi scrive sa di
lasciare frammenti perchè un altro li colga. Chi legge raccoglie, tesse,
comprende o addirittura risponde scrivendo”16, mi spinge, ogni volta
che leggo un romanzo scritto da una autrice donna, a cercare nella sua
narrazione la mia esperienza del femminile perché, come abbiamo visto, quando si legge un libro, e ci si abbandona al racconto, le verità
nascoste dentro di noi vengono fuori, libere dagli schemi mentali della
società a cui apparteniamo. Ringrazio quindi tutte quelle scrittrici
donne, attuali e non, che hanno avuto il coraggio di scrivere francamente ciò che pensavano, raccontandosi liberamente in relazione al
mondo, esse vivono nei corpi delle loro lettrici, vivono in me.
Per questo le donne scrittrici devono essere consapevoli del loro
ruolo di educatrici al femminile, perchè un libro è qualcosa di vivo
che entra nelle camere da letto di donne giovani e vecchie, felici e tristi, ricche e povere, portandosi dietro tutto il suo sapere femminile.
Esso aiuta così le lettrici a prendere coscienza della propria realtà di
donne e una donna, con tale forza femminile, sicuramente avrà
l’energia per far crollare i luoghi comuni, per mostrare chiaramente i
valori che la caratterizzano.
Concludo citando Dieci Donne, di Marcela Serrano, perché noi
donne abbiamo una grande capacità, che è quella di vedere noi stesse e
il mondo che ci circonda con ironia e un pizzico di complicità.
“Le matte, ecco che arrivano le matte, avranno detto i giardinieri che lavorano qui, spiandole da dietro gli alberi. Natasha non sa che cosa la diverta di
più, se osservare il volto perplesso di quegli omaccioni armati di vanghe e
zappe, o le donne che in quel momento stanno uscendo dal pulmino. Scendono l’una dopo l’altra, e affondano pesantemente i piedi nella ghiaia quasi volessero tenerli ben saldi a terra” (Dieci Donne, Marcela Serrano, Feltrinelli
maggio 2012, pag11).
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N. FUSINI, Hannah e le altre, Einaudi, Torino 2013.
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Antonella Veroli Piazza
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