Tolstoj e gli anarchici tolstojani
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Tolstoj e gli anarchici tolstojani
Valerio Pignatta Lev N. Tolstoj e gli anarchici tolstojani Lev Nikolaevic Tolstoj nacque nel 1828, a Jàsnaja Poljana, nel governatorato di Tula, a circa 180 chilometri da Mosca. Tralasciamo qui le vicende che lo videro protagonista del mondo aristocratico e letterario russo e internazionale, che sono veramente molte e che si prestano a studi vasti e complessi e che riguardano soprattutto gli aspetti letterari dell’opera del Tolstoj narratore, per soffermarci invece sulla svolta morale che intorno ai cinquant’anni egli impresse alla sua esistenza. Dopo una vita di successo, amori, guerre, viaggi e fervori letterari Tolstoj si trovò infatti a dover affrontare una profonda crisi spirituale che lo portò ad analizzare una buona parte delle dottrine religiose esistenti, occidentali e orientali, alla ricerca di un “cibo” spirituale che nutrisse il forte desiderio di identificare lo scopo della propria vita. Questo viaggio interiore portò lo scrittore russo alla scoperta del proprio senso della vita nei Vangeli, il cui messaggio, sfrondato da ogni “commentario”, lo rifornì di nuovo vigore e gli dischiuse una nuova e fertile età senile traboccante di amore e impegno, non più letterario ma sociale, per l’umanità1. La nuova vita di Tolstoj fu caratterizzata, in sintonia con la parola di Gesù, dalla riscoperta della semplicità e dal valore della vita contadina, associata a una profonda invettiva contro il malefico potere degli Stati, delle chiese organizzate e delle classi agiate. «In generale» dicono V. Lebedev e G. Gazzeri, nella nota introduttiva a una raccolta di saggi tolstojani, «lo scopo della ricerca religiosa di Tolstoj fu di riportare il cristianesimo alla sua primitiva purezza e giungere ad una religione universale, valida per tutti i popoli, basata sul Vangelo e su quelle verità fondamentali che sono comuni a tutte le religioni. Per lui l’unica legge valida è quella dell’amore. Mettere in pratica la legge dell’amore conduce ad una nuova dimensione spirituale, ci fa nascere alla vera vita»2. Se volessimo riassumere in un breve quadro introduttivo il concetto spirituale della vita che fu proprio di Tolstoj nella sua vecchiaia, si possono riportare anche le parole di Pietro Citati che intrecciano la vita e l’opera dello scrittore russo in modo mirabile: «Ciò che importa è accettare la volontà di Dio. Non desiderare nulla, obbedire, accogliere con amore tutto quello che ci viene chiesto: fare quello che è necessario, quello di cui abbiamo bisogno, quello a cui ci trascina irresistibilmente la nostra vocazione. “Ti agiti, ti dibatti, sempre perché vuoi nuotare in una direzione che ti è propria. Ora accanto, incessantemente, e vicino ad ognuno, scende il torrente divino, infinito, dell’amore, sempre nella sola e stessa direzione eterna. Quando ti sarai sfinito in tentativi di fare qualcosa per te stesso, di fuggire, di diventare sicuro, abbandona tutte le direzioni che sono tue, gettati in questo torrente, e ti porterà, e sentirai che non ci sono limiti, che sei tranquillo per sempre e libero e felice”. Quando diventeremo così mobilmente e fluidamente passivi, acquisteremo la qualità suprema del cuore: la gioia, la calma, la tranquillità, la capacità di agire con facilità e senza sforzo, come se l’azione sgorgasse spontaneamente dalla fonte dell’Essere. Allora non ci proporremo più delle grandi azioni: amare tutto il genere umano, essere laboriosi e astinenti. “Si può fare una grande malvagità, ma un’opera buona non si può farla che piccola”. Quello che conta, in ogni opera buona, è la perfezione formale: l’amore, l’attenzione, la pienezza, la precisione con cui viene compiuta»3. Ciò che Tolstoj intendeva con “amore” non era molto dissimile da quello che Kropotkin intendeva con “mutuo appoggio” e su cui aveva scritto un intero volume4. I due furono in contatto epistolare e indubbiamente si influenzarono reciprocamente. Dice Woodcock, uno dei massimi storici 1 2 3 4 Tolstoj, Lev N., La Vera Vita (Dottrina cristiana), pubblicata la prima volta in inglese a Londra nel 1898 col titolo The Christian Teachering, ora in Tolstoj, Lev N., La Vera Vita - Il denaro - Come leggere il Vangelo, A.I.I.-Manca, Genova, 1991, pp. 1-134, cfr. pp. 3-8. Lebedev, Vladislav e Gazzeri, Gloria, Nota introduttiva a Tolstoj, Lev N., La Vera Vita - Il denaro - Come leggere il Vangelo, cit., pp. IV-V. Citati, Pietro, Tolstoj, Adelphi, Milano, 1996, p. 291. Woodcock, George, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano, 1966, p. 196. Cfr. Kropotkin, Pëtr A., Il mutuo appoggio, Anarchismo, Catania, 1979. dell’anarchismo, che nel principe Kropotkin Tolstoj vedeva un esempio vivente delle rinunce da lui compiute solo nelle sue teorie e nelle sue opere5. Per questa ragione nutriva per lo scienziato anarchico un profondo rispetto e una grande ammirazione. Allo stesso tempo possiamo agevolmente riferire dell’influenza che Proudhon esercitò sul “nobile-contadino” di Jàsnaja Poljana a partire dalla letture che quest’ultimo fece del libro Che cos’è la proprietà? nel 18576. Nel 1862 Tolstoj poi fece un viaggio a Bruxelles e andò a trovare Proudhon con il quale discusse fervidamente il problema dell’educazione pubblica. Possiamo poi aggiungere che l’insegnamento che Tolstoj cercò di attuare ai suoi studenti contadini era di carattere estremamente libertario e «il tipo di libera collaborazione fra insegnanti e allievi che cercò di attuare nella pratica era molto vicino ai metodi propugnati da William Godwin nell’Enquirer»7. Tutta l’opera saggistica e politica di Tolstoj si colloca quindi ampiamente nell’alveo dell’anarchismo che lo scrittore russo sviluppò poi secondo una sua personale interpretazione di tipo più spirituale. Tra le idee portanti dell’anarchismo cristiano di Tolstoj c’è sicuramente quella della nonviolenza che lui trasse dall’insegnamento evangelico. È questo un concetto puro che non scende a compromessi e che destò al suo tempo l’ammirazione e l’interesse di uomini come Gandhi8. Tolstoj credeva che la non resistenza fosse una caratteristica fondamentale dell’essere umano e che questo fosse il comportamento esistenziale risolutivo di gran parte dei problemi della società umana. È a Henry David Thoreau (1817-1862), di diretta discendenza filiale culturale da Emerson e dai trascendentalisti americani, che qualche storico dell’anarchismo fa risalire il principio di fondare i rapporti umani sulla persuasione pacifica di Tolstoj9. Anche per quanto riguarda il rifiuto di obbedire a istituzioni in antitesi con i dettami della propria coscienza e all’uso di questa disobbedienza come arma politica e sociale potrebbero benissimo ritrovarsi delle comunanze tra i due pensatori libertari. Per Thoreau la disobbedienza civile costituì infatti un elemento fondamentale del proprio rapportarsi con le istituzioni10 proprio come lo fu per Tolstoj. Con ogni tipo di istituzioni. Altri, nel variegato mondo libertario “teistico” hanno espresso posizioni diverse al riguardo. Ad esempio, disobbedienza civile per Eller significa fare deliberatamente azioni illegali solo contro un governo o arky che consideriamo malvagio11. Lo scopo di ogni protesta di un cristiano è di forzare la gente ad affrontare la verità di se stessi nella speranza che loro cambino idea e modo di agire. Per Eller la cosa migliore sarebbe quella di protestare usando la conversazione, lettere, articoli, libri, film ecc. per far vedere alla gente il contenuto della propria convinzione e dare agli altri la possibilità di riconoscere quello che si sta protestando ossia testimoniare a favore di una presa di posizione. Tuttavia, secondo Eller, se la gente non vuole cambiare atteggiamento di fronte a una problematica lo si deve accettare. Non si ha nessun diritto di pretendere altro. Non si può imporre agli altri la nostra convinzione di possedere la verità12. Usare la disobbedienza civile o i metodi legali solo per forzare gli altri e per ottenere l’attenzione pubblica sulla propria causa, secondo Eller non è corretto. In fondo si tratta della solita competizione per il potere. Ci sono però anche per Eller delle azioni di disobbedienza alle autorità o a una legge ingiusta che vanno messe in atto per ubbidire a Dio. Anche il filosofo tedesco Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), che Eller classifica quale pensatore 5 6 7 8 9 10 11 12 Loc. cit. Ibid., p. 195. Ibid., p. 199. Vedi Bori, Pier Cesare e Sofri, Gianni, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, Il Mulino, Bologna, 1985. Nettlau, Max, Breve storia dell’anarchismo, L’Antistato, Cesena, 1964, p. 260. Nettlau sostenne che la linea Emerson-Thoreau-Tolstoj-Gandhi era una linea di combattimento al sistema tanto valida e notevole quanto quella rivoluzionaria. Cfr. ibidem, p. 260. Di Thoreau vedasi Thoreau, Henry D., Disobbedienza civile, SE, Milano, 1992 e il famoso Thoreau, Henry D., Walden ovvero Vita nei boschi, Rizzoli, Milano, 1990. Eller, Vernard, Christian anarchy. Jesus’ Primacy over the Powers, Wipf and Stock Publisher, Eugene OR, USA, 1999, p. 210. Ibid., pp. 210-216. alquanto vicino, teologicamente e politicamente, all’anarchismo, ha assunto una posizione abbastanza libertaria rispetto alla disobbedienza civile. Bonhoeffer in realtà non è un anarchico cristiano, ma è importante perché, secondo Eller, dimostra (come già aveva affermato Barth) che l’anarchismo cristiano deriva dall’orientamento escatologico della Bibbia13. Per Bonhoeffer approvare gli arkys mondani o lottare contro di loro vuol sempre dire schiavitù. L’unica libertà è quella di ignorarli e di schierarsi invece con l’arky di Dio. Alla fine della sua analisi però Bonhoeffer legittima chiaramente il potere della Chiesa e dello Stato. Egli sostiene che si deve disubbidire agli arkys negativi, ma che si deve ubbidire totalmente agli arkys che sembrano essere in accordo con Dio. In ciò la sua analisi è molto differente da quella di altri pensatori libertari come Ellul o Tolstoj e testimonia della sua particolare posizione di confine14. Anche rispetto alla non violenza Tolstoj occupa un posto tutto suo e piuttosto radicale. Il teologo americano Eller si discosta alquanto rispetto a Tolstoj e si pone in una posizione più mediata. Per Eller, solamente grazie al potere della resurrezione e solamente grazie a questo potere siamo in grado di rinunciare alla violenza e anche all’autodifesa. Questo perché la resurrezione ha fatto capire che Dio volendo può resuscitare qualsiasi essere se lui decide di farlo, per cui il cristiano non ha né deve più aver paura. La vera nonviolenza è basata sulla fede e sull’esperienza della resurrezione. Il cristiano deve accettare che la pace non è un qualcosa che è alla portata dell’essere umano, ma è una qualità che viene solo da Dio. Per Eller senza capacità di resurrezione l’uomo non è capace di nonviolenza; prima deve esperire la resurrezione e poi sarà in grado di applicare e vivere la nonviolenza. I pacifisti che si richiamano alla Bibbia ignorano, per Eller, questa premessa fondamentale15. Per Tolstoj invece non ci sono appigli nelle Scritture che possano limitare un’interpretazione più che integrale della nonviolenza. È un puro dovere dell’uomo che si professa cristiano e basta. Il “non uccidere” biblico, anzi, per lui si espande sino a comprendere il mondo animale di cui si fece intransigente difensore16. Ma la nonviolenza non significava per Tolstoj limitarsi a non usare le armi o a non uccidere. Essa includeva anche evitare di offendere il prossimo, di ingiuriarlo, di scandalizzarlo e persino di doversene difendere in caso di aggressione da parte sua. Insomma, ciò che Gesù aveva sommamente saputo fare. La visione di Tolstoj è dunque molto più radicale e cristiana di quella di Eller. Tolstoj non elaborò nessuna teoria o speculazione a giustificazione di ipotesi maggiormente “ragionevoli”, ma si attenne rigorosamente alla lettera del Vangelo, senza tuttavia ricavarne rigide norme applicative. Egli in ultima analisi affermò semplicemente che l’importante è divenire consapevoli che Dio è in noi e che si può a noi manifestare secondo la sua volontà. Se qualche volta lo si sente dentro di sé è giusto agire secondo quella propria percezione o esperienza. In altre parole, se si sente che Dio è un’entità buona allora si prova a diventare un essere umano buono, ci si prodiga ad aiutare dove si può e quando si può, senza arroganza verso sé stessi o pensando di dover diventare perfetti. Inoltre, per Tolstoj anche la resurrezione era una farsa inventata dall’uomo. Secondo lo scrittore russo: «Il miracolo della resurrezione è in netto contrasto con l’insegnamento di Gesù; e appunto perciò era tanto difficile obbligare Gesù risorto a dire qualcosa che fosse degno di lui: perché l’idea stessa che egli potesse risorgere era in netto contrasto con tutto quanto il senso della sua dottrina. Bisogna non aver capito affatto la sua dottrina, per poter parlare della possibilità di una sua resurrezione nel corpo. Gesù aveva persino negato esplicitamente la resurrezione17, quando aveva spiegato come bisogna intendere la resurrezione di cui parlavano gli ebrei18». Secondo Tolstoj 13 14 15 16 17 18 Ibid., p. 160. Sulle tendenze anarco-cristiane di Bonhoeffer vedi il sesto capitolo a lui dedicato nell’opera di Eller Christian anarchy. Cfr. Eller, Vernard, Christian anarchy. Jesus’ Primacy over the Powers, cit., pp. 159-168. Eller, Vernard, Christian anarchy. Jesus’ Primacy over the Powers, cit., pp. 176-182. Tostoj considerò il diventare vegetariani il primo scalino dell’evoluzione spirituale umana. Cfr. Tolstoj, Lev N., Il primo gradino (1895), ora in Tolstoj, Lev N., Contro la caccia e il mangiar carne, Isonomia, Este, 1994, pp. 23-64. Luca, 20, 37-38. Cfr. l’opera di Tolstoj inedita in italiano dal titolo Concordanza e traduzioni dei quattro Evangeli [1881] le cui conclusioni sono riportate ora, a cura di Igor Sibaldi, in Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, Guanda, Parma, 1995, pp. 119-132, cfr. p. 123. insomma la resurrezione di Gesù fu la menzogna principale che ai tempi degli apostoli, e dei martiri dei primi secoli della storia cristiana, venne usata quale prova basilare per la dimostrazione agli increduli e ai dubbiosi della verità della dottrina di Gesù19. La resurrezione fu usata come riprova della natura divina della dottrina insegnata da Gesù da parte delle nascenti Chiese cristiane che ricorsero quindi sin dall’inizio all’inganno20. Ma per il nobile russo tutto il pensiero cristiano fu travisato sin dall’inizio. Tolstoj infatti così riassunse il problema della manifesta incoerenza tra la vita della stragrande maggioranza dei cristiani ed il messaggio evangelico: «Tuttavia gli uomini, in generale, non recepiscono la dottrina di Cristo come un cammino progressivo verso la perfezione. La maggior parte della gente l’ha intesa come una dottrina redentrice, riscatto dal peccato per mezzo della grazia divina, trasmessa dalla chiesa per cattolici e ortodossi, acquistata per mezzo della fede, per protestanti e calvinisti21. Questa interpretazione ha fatto scomparire la sincerità e la serietà dell’impegno personale di fronte alla morale cristiana. I teologi delle varie chiese possono ben predicare a sazietà che questi mezzi di salvezza non impediscono affatto all’uomo l’impegno morale, ma anzi lo aiutano. Certe premesse portano con loro conseguenze inevitabili e nessuna argomentazione potrà impedire alla gente di trarle. L’uomo imbevuto di questa fede nella redenzione, non cercherà più di assicurarsi la salvezza per mezzo dei suoi sforzi personali; troverà ben più comodo accettare il dogma insegnatogli e attendere dalla grazia divina il riscatto delle colpe commesse. È ciò che accade alla maggior parte dei cristiani»22. Infatti Tolstoj fu scomunicato ufficialmente dalla Chiesa ortodossa nel 1901, una di quelle chiese che stravolgendo il significato primitivo del cristianesimo non era diventata altro che espressione della «legittimazione del potere costituito»23. Il provvedimento non venne mai revocato e ancor oggi trova numerosi sostenitori sia in Russia sia in Occidente. Tolstoj, dunque, sottolineò tutta la vita l’importanza della coerenza e della necessità «di non tradire le proprie idee con la propria vita, di non tradire la propria dignità umana sottomettendosi a un’istituzione»24. Per Tolstoj «nessuna forma di governo, né elettiva, né ereditaria, né per diretta unzione divina, è stata fin oggi in grado di salvarsi dalla corruzione e dall’abuso del potere per fini privati. Al contrario, è risaputo che proprio le cariche rovinano gli uomini, e il miglior privato cittadino diventa inevitabilmente tanto più corrotto quanto più alta è la carica che viene a ricoprire»25. Anzi, la partecipazione a qualsiasi titolo alle istituzioni statali da parte di uomini intelligenti ed onesti ottiene come risultato solo quello di attribuire autorità morale a un organismo che di per sé non potrebbe mai averne. Senza quelle persone l’essenza brutale dello Stato sarebbe sotto gli occhi di tutti26. E in merito a quest’ultima Tolstoj fu esplicito: «Ogni governo, per poter essere un governo, deve essere composto dagli individui più insolenti, più brutali, più corrotti»27. E calcando la mano: «A queste associazioni a delinquere chiamate governi viene interamente rimessa la violenza contro la proprietà, contro la vita, contro il naturale sviluppo spirituale e morale di ogni individuo»28. Dalla scomparsa di queste istituzioni “criminali” ne sarebbe derivata secondo il nobile russo la scomparsa stessa o la diminuzione della violenza, che era la base organizzativa su cui esse si fondavano29. La fine di tutti i governi non avrebbe comunque significato anche l’estinguersi degli 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 Tolstoj, Lev N., Concordanza e traduzioni dei quattro Evangeli [1881], stralci ora in Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., pp. 119-132, cfr. p. 128. Tolstoj, Lev N., Concordanza e traduzioni dei quattro Evangeli [1881], stralci ora in Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., pp. 119-132, cfr. passim. Lutero, Martin, La libertà del cristiano, in Bainton, Roland H., Lutero, Einaudi, Torino, 1960, pp. 197-198. Tolstoj, Lev N., Contro la caccia e il mangiar carne, cit., p. 29. Tolstoj, Lev N. “Per una rivoluzione culturale ” [1901], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, La Baronata, Lugano, 1986, pp. 103-120, cfr. p. 118. Così Marco Bucciarelli nella Nota introduttiva a Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., p. 13. Tolstoj, Lev N. “La salvezza è in voi” [1894], uno stralcio del quale si può trovare ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 21-24, cfr. p. 23. Tolstoj, Lev N., “A una signora liberale” [1896], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 49-57, cfr. 51. Tolstoj, Lev N., “Il concetto di nazione” [1900], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 77-88, cfr. p. 83. Ibid., p. 84. Tolstoj, Lev N., “La schiavitù moderna ” [1900], uno stralcio del quale si trova ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, aspetti positivi della legge, dell’istruzione pubblica e della giustizia che avrebbero continuato ad esistere in una forma purificata dai mali del potere centralizzato30. In ciò Tolstoj si avvicinava molto alle idee professate da un altro grande libertario inglese suo contemporaneo, William Morris, il quale sostenne nelle sue opere che la scomparsa dello stato, e quindi della proprietà privata, avrebbe semplicemente purificato la società che si sarebbe elevata ad un forma superiore che non avrebbe più avuto la necessità dell’esistenza di un diritto civile o penale31. Ovviamente, per il nonviolento Tolstoj, il metodo da adottarsi per eliminare i governi sarebbe dovuto consistere in quel che oggi si potrebbe definire un boicottaggio totale dell’amministrazione pubblica (concetto del resto già espresso come si è visto da vari gruppi cristiano-libertari nei secoli) che avrebbe portato lentamente, ma inesorabilmente, alla sua estinzione indolore: «Per cambiare veramente qualcosa, ognuno dovrebbe cominciare col cambiare se stesso, invece di voler ammaestrare o forzare gli altri. Come? Rifiutandosi di prender parte a tutto ciò che tiene in piedi i governi e quindi le leggi e il dominio d’un uomo sull’altro. Rifiutandosi di pagare tasse dirette o indirette e rifiutandosi di riscuoterle sotto forma di stipendi o pensioni varie. Rifiutando la protezione offerta dallo stato. Possedendo soltanto ciò che nessun altro rivendica per sé»32. Insomma, per Tolstoj la realizzazione di una società veramente “umana” non passa attraverso una rivoluzione politica ma, così come per Godwin e per Proudhon, solo attraverso un rinnovamento morale che mina la società esistente dall’interno e alle sue stesse basi. Chi vuole intraprendere questo rivolgimento interiore deve cominciare da se stesso, operando scelte che lo portino a cessare di cooperare con il sistema di cose esistente, rifiutandosi appunto di servire nell’esercito o nella polizia, di adire i tribunali, di pagare le tasse ecc. Ed egli non si scagliò solo contro le istituzioni, ma il suo pensiero sondò e distrusse tutti i luoghi comuni sugli idoli della nascente società capitalistica: «Tutti i perfezionamenti esterni che possono sognare gli uomini religiosi o gli uomini di scienza si compiano pure; tutti gli uomini si convertano al cristianesimo e tutti i miglioramenti desiderati […] si avverino […]; se l’ipocrisia che regna oggidì sussiste, se gli uomini non professano la verità che conoscono, ma continuano a simulare la credenza in ciò a cui non credono, la stima per ciò che non stimano, la loro condizione non solo rimarrà la stessa, ma diverrà peggiore. Più gli uomini saranno al coperto dal bisogno, più aumenteranno i telegrafi, i telefoni, i libri, i giornali, le riviste; più cresceranno i mezzi per propagare le menzogne e le ipocrisie contraddittorie, e più gli uomini saranno disuniti, per conseguenza infelici, come avviene presentemente». Così Lev Tolstoj nel 189333. Tolstoj qui non fa che ricalcare alcune idee che già furono di diversi gruppi e interpreti della semplicità della vita cristiana liberata dalla false illusioni della società materiale. Per Tolstoj la libertà e la fratellanza e in generale le qualità morali dell’essere umano erano ben più importanti di un progresso spesso idealizzato ma fine a se stesso34. Ricordiamo che in sintonia con la posizione tolstojana secoli prima Francesco d’Assisi aveva messo in guardia contro i pericoli della cultura e della scienza che a suo parere faceva «inorgoglire e dimenticare lo spirito di carità e la pura semplicità»35. Gandhi fu molto influenzato anche da queste analisi distruttive che Tolstoj fece della “civiltà” occidentale. Tolstoj predicò inoltre il concetto del vivere del proprio lavoro che egli aveva mutuato da Bondaref36 e che sarà fatto proprio dai membri delle varie comunità tolstojane inglesi posteriori. I cristiani primitivi, i diggers, Kierkegaard e molti altri libertari precedenti pure si erano espressi in questo modo (vedi sopra). E ancora similmente ad altri cristiani libertari del passato, anche Tolstoj interpretò il Vangelo come 30 31 32 33 34 35 36 cit., pp. 101-102, cfr. p. 101. Tolstoj, Lev N., “Il concetto di nazione” [1900], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 77-88, cfr. p. 86. Morris, William, Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano, 1984, pp. 90-91. Tolstoj, Lev N., “La schiavitù moderna ” [1900], uno stralcio del quale si trova ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 101-102, cfr. p. 102. Tolstoj, Lev N., Il regno di Dio è in voi, Publiprint-A.I.I.-Manca, Trento-Genova, 1988, p. 358. Woodcock, George, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, cit., p. 203. Frugoni, Chiara, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino, 1995, p. 38. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, anno 7, n. 1, gennaio-giugno 2000, p. 66. vessillo degli umili e dei poveri sostenendo in vari saggi che i ricchi e gli orgogliosi non sarebbero potuti entrare nel Regno di Dio. Egli puntualizzò però la questione in maniera veramente acuta: «Ma gli umili e i mendicanti ci entreranno, nel Regno di Dio, solamente quando saranno umili e mendicanti non perché non sono riusciti a diventare famosi e ricchi, ma perché non avranno voluto commettere quei peccati che bisogna commettere per diventare importanti e ricchi»37. Parafrasando Gesù, Tolstoj sostenne che l’uomo non può servire due padroni in una volta sola (Dio e la ricchezza) ma bisogna che scelga tra uno dei due38. Insomma, l’opposizione di Tolstoj alla ricchezza e alla proprietà e il suo rifiuto dello Stato costituiscono gli elementi centrali della sua dottrina sociale. Anzi, quest’ultimo non fu altro ai suoi occhi che il garante del perpetuarsi dei rapporti di proprietà39. Affinché gli esseri umani possano vivere in pace e condividere fraternamente tutti i beni (ciò che egli chiama il regno di Dio sulla terra) le istituzioni statali dovevano a suo parere essere abolite. Quando la legge, lo Stato e la proprietà sarebbero stati aboliti la produzione cooperativa li avrebbe sostituiti la distribuzione sarebbe avvenuta secondo un principio comunistico e ognuno avrebbe ricevuto secondo i suoi bisogni, ma senza nulla di superfluo40. Tolstoj si schierò, così come i primi cristiani e come gli anabattisti, contro il giuramento rifacendosi alle parole di Gesù nel Vangelo che invitavano proprio ad evitarlo41. Secondo Tolstoj, l’essere umano è totalmente nelle mani di Dio e non può sapere se potrà far fede a ciò che giura di fare. In questo divieto del giuramento sono evidenti le implicazioni anarchiche dato che militari, funzionari pubblici, magistrati, giurati ecc. prestano giuramento allo Stato. Se coloro che desiderano seguire gli insegnamenti di Gesù (i cosiddetti “cristiani”, nel senso superficiale che oggi si attribuisce al termine) applicassero la sua parola è palese che la maggior parte degli Stati moderni non potrebbe più reggersi a meno di dichiararsi esplicitamente anticristiana42. Un corollario di questo insegnamento è il non ricorrere mai ai tribunali per difendere i propri diritti che deriva secondo Tolstoj direttamente dal comandamento cristiano di non opporsi al male col male43. Anche questa presa di posizione ha intrinseche caratteristiche anarchiche che furono e saranno proprie di numerosi movimenti libertari della storia. Già in Guerra e pace il romanziere Tolstoj aveva espresso chiaramente le responsabilità personali che ognuno si deve prendere rispetto alla problematica del male: «Noi siamo convinti che una guerra risulti dal concorso di milioni di volontà umane, fra le quali quella del condottiero o del diplomatico non ha maggior peso di quella dell’ultimo soldato. Infatti, se quel caporale qualsiasi non avesse voluto riprender servizio, e se non l’avessero voluto dieci, cento, mille altri, il numero degli effettivi si sarebbe ben presto ridotto di troppo, e, di conseguenza, la guerra non si sarebbe fatta»44. Circa trent’anni dopo (nel 1896) espresse chiaramente il concetto con parole che non lasciano dubbi: «Pretendete ch’io serva nell’esercito? Bene, potete ordinare finché vi pare, ma io non mi presenterò, perché considero l’assassinio di massa alla stessa stregua dell’assassinio privato, e soprattutto mi ripugna l’idea di uccidere dietro ordine d’un comandante, che considero l’atto più vile che un uomo possa commettere»45. E invitando a disertare gli eserciti nel 1898 scriveva: «Destatevi fratelli, non ascoltate né quegli scellerati che, fin dalla vostra infanzia vi infettano col diabolico spirito del patriottismo opposto al bene ed al vero, e soltanto necessario a questo scopo: di privarvi delle vostre sostanze, della vostra libertà e della vostra dignità umana; né a quei vecchi ingannatori che predicano la guerra in nome di un Dio crudele e vendicativo inventato da loro e di un cristianesimo pervertito e falso; né tanto meno a questi nuovi Sadducei che, nel nome della scienza e della civiltà, avendo come loro solo intento la continuazione del presente stato di cose, si 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 15. Ibid., p. 51. Woodcock, George, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, cit., p. 204. Loc. cit. Matteo, 5, 33-37. Così Igor Sibaldi nel commentario a Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 102. Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 17. Tolstoj, Lev N. Guerra e pace, IV voll., Garzanti, Milano, 1989, vol. III, p. 909. Tolstoj, Lev N., “A una signora liberale” [1896], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 49-57, cfr. 55. radunano in assemblee, scrivono libri e fanno discorsi promettendo di organizzare una nuova e pacifica vita per gli uomini senza che questi facciano alcuno sforzo. Non credete loro! Credete soltanto alla vostra coscienza che vi dice che non siete né bestie, né schiavi, ma uomini liberi, responsabili delle vostre azioni e perciò che non potete farvi omicida né di vostra volontà, né per volontà di comandanti, i quali vivono di tali omicidi. E basta solo che vi destiate perché comprendiate tutto l’errore e l’insania di ciò che avete fatto o state facendo e compresala, smettiate quel male che voi stessi aborrite e che vi rovina»46. Dal 1881, data della sua rinascita spirituale, Tolstoj rinunciò con atto notarile a tutti i diritti d’autore sulle opere che avrebbe scritto da allora in poi, convinto con ciò di rispettare l’assoluta gratuità del messaggio evangelico e di coloro che vi si attenevano. Da allora, in effetti, si dedicò con successo alla divulgazione instancabile di quello che egli chiamava la “verità del Vangelo e la sua giustizia”, commisurando ad esse ogni istituzione umana e ogni comportamento sociale47. Per quanto riguarda invece il vivere in prima persona la verità evangelica alla lettera fu un passo che mai gli riuscì, nonostante egli lo difendesse a parole quale unica via per arrivare a Dio. Tolstoj si arrovellò sulla necessità di compiere questo salto per vari decenni. Tuttavia egli non riuscì mai a mettere in pratica l’esortazione di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi»48. Il nobile russo cercò di aggirare questo scoglio promuovendo riforme economiche che avrebbero condotto da sole alla redistribuzione delle ricchezze della società e spesso progettò nei suoi Diari una fuga in qualche eremo della Russia centrale o del Caucaso, ma senza mai realizzarla. A proposito di questa violenta contraddizione interiore che consumò Tolstoj sino ai suoi ultimi giorni Igor Sibaldi afferma: «Per trent’anni portò dentro di sé questo tumore psicologico del primo passo non compiuto, il costante rimorso di non aver dato lui stesso quell’esempio tanto nobile e tanto facile; e nondimeno non recedette mai, non cercò mai di individuare negli ingranaggi della dottrina del Vangelo una qualche molla sbagliata, con la quale giustificare la propria riluttanza alla limpida scelta che il Vangelo sembrava imporgli prima di ogni altra: sostenne anzi fino alla fine che quella scelta di povertà era non soltanto necessaria, ma anche e soprattutto facile»49. Nel Vangelo Tolstoj amò sempre quell’infinita irriducibilità e spietatezza della ragione che non ferma davanti a niente pur di soddisfare la propria sete di conoscenza e di comprensione. Anche Dio è compreso in questa razionalità ed infine umanizzato, dato che viene da Gesù chiamato “padre”. Non ci sono riferimenti nei Vangeli a un Dio “creatore”. Se Dio è quindi semplicemente padre di ogni uomo che comprende a sua volta di esserne il figlio viene a mancare l’incommensurabile distanza che da sempre sta tra la divinità e l’essere umano. Un Dio “umano” non poteva essere per Tolstoj, con il suo retaggio anarchico, che motivo di estrema esultanza50. Questo andava per lui di pari passo con la direttiva di Gesù di negare a chicchessia la qualifica di “maestro”51, con la 46 47 48 49 50 51 Questo brano è estratto da un articolo che Tolstoj scrisse nel 1898 per la rivista di Milano Vita Internazionale, un periodico pacifista, organo ufficiale dell’Unione per la Pace e l’Arbitrato Internazionale, diretta dal Premio Nobel per la Pace Ernesto Teodoro Moneta. La rivista con l’articolo di Tolstoj venne sequestrata immediatamente per apologia di reato (diserzione) e lo scritto tolstojano inneggiante al rifiuto del servizio militare non venne mai più pubblicato in lingua italiana sino ad anni recenti. Oggi possiamo ritrovare questo pezzo in Tolstoj, Lev N., Patriottismo e governo e altri scritti antimilitaristi, Senzapatria, Sondrio, 1987, pp. 37-46, cfr. per quanto riguarda la citazione p. 46. Così Igor Sibaldi nella postfazione a Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 141. Matteo, 19, 21. Così Igor Sibaldi nella postfazione a Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 142. La fuga che infine compì per diventare povero nell’ottobre del 1910 lo portò direttamente alla morte. Stefan Zweig scrisse nel 1927 un dramma teatrale su questo evento dal titolo Fuga e morte di Tolstoj. In quest’opera possiamo vedere la tormentosa vicenda umana di Tolstoj, un uomo in lotta con la quotidianità familiare che lo soffoca e gli toglie il coraggio dell’adesione totale alle proprie idee e il coraggio delle azioni conseguenti. Cfr. Zweig, Stefan, Fuga e morte di Tolstoj, Stampa Alternativa, Roma, 1992. Così Igor Sibaldi nella postfazione a Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 149. Matteo, 23, 8-10. condanna della preghiera in pubblico52, con la proibizione dei voti, del giuramento e del giudizio che si poteva ricavare dal Discorso della Montagna, e infine con l’esempio della vita e della fine del profeta Gesù, incompatibile con l’ecclesia dei credenti suoi contemporanei e da essi assassinato. Come dice Woodcock «l’anarchismo di Tolstoj è l’aspetto esterno, espresso nel comportamento, del suo cristianesimo. L’assenza di vero conflitto fra questi due aspetti è dovuta al fatto che la sua è una religione senza misticismo, addirittura una religione senza fede, perché con Winstanley, egli fonda le sue convinzioni sulla ragione e le sottomette alla prova della verità. […] È una religione umanizzata: il regno di Dio dobbiamo cercarlo non fuori di noi, ma in noi stessi. Perciò l’atteggiamento di Tolstoj rientra chiaramente nell’ambito del pensiero anarchico; la sua idea dell’immanenza del regno di Dio è affine all’idea proudhoniana di una giustizia immanente, e il suo concetto di una religione fondata sulla ragione lo pone in stretto rapporto con Godwin e Winstanley»53. La fiducia di Tolstoj nella ragione umana fu totale ed essa fu da lui ritenuta l’unico strumento in grado di far conoscere Dio e la verità: «Per liberarsi dalle mistificazioni della fede in genere, l’uomo deve capire e ricordare che l’unico mezzo di cui egli è in possesso, è la sua ragione e, di conseguenza, ogni predicazione che affermi qualcosa contraria alla ragione è un inganno o un tentativo di eliminare l’unico strumento di conoscenza che Dio ha dato all’uomo. Per essere libero dagli inganni della fede, l’uomo deve capire e ricordare che lui non possiede nessun altro mezzo di conoscenza, tranne la sua ragione. Quelli che dicono di credere non alla ragione, ma a Mosè, a Cristo, a Budda, a Maometto, alla chiesa, al Corano, alla Bibbia ingannano se stessi, perché qualunque sia la loro fede, essi credono non in colui che rivela loro la verità, in cui credono, non in Budda, Cristo o la Bibbia, ma alla ragione che dice loro di credere a Mosè, a Cristo, alla Bibbia e di non credere a Budda o a Maometto, e viceversa. La verità non può entrare nell’uomo che per il tramite della ragione, perciò l’uomo che pensa di conoscere la verità per mezzo della fede e non con la ragione, inganna se stesso e usa male la sua ragione; non la usa per quello a cui essa è destinata, ma per risolvere la questione a chi di coloro che trasmettono una dottrina e affermano che essa è vera, bisogna credere e a chi bisogna non credere. Mentre la ragione è destinata non a decidere a chi bisogna credere e a chi bisogna non credere - questo la ragione non può risolverlo - ma a verificare l’esattezza di quello che viene proposto. Questo la ragione può sempre farlo ed a questo è destinata»54. L’insegnamento di Tolstoj diede origine a un movimento politico-religioso che porta il suo nome che dalla Russia si estese a numerosi paesi europei e all’America. I seguaci di Tolstoj pagarono con il carcere e l’esilio la loro propaganda anarco-cristiana, il loro rifiuto del militare ecc. Gli ultimi di essi in Russia furono arrestati e deportati all’inizio degli anni Trenta del Novecento. Uno degli esempi più importanti dell’influenza di Tolstoj sui movimenti anarco-cristiani è il gruppo anarco-cattolico dei Catholic Workers guidato da Dorothy Day che vide la luce negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta55. Le comunità anarco-cristiane tolstojane di fine Ottocento e primi Novecento La fine del XIX secolo vide la nascita di comunità anarchiche pacifiste ispirate dal principe russo Kropotkin e da Lev N. Tolstoj. Sino ad allora la dottrina anarchica si era identificata più che altro con una ideologia di ribellione violenta e individualistica organizzata il più delle volte in movimenti clandestini che operavano in incognito. I nuovi anarchici continuavano a contestare e a opporsi all’idea dello Stato, ma cercavano di realizzare l’edificazione di una società libera e anarchica secondo modalità pacifiche e amorevoli ed elevando a strumento di eccellenza per il cambiamento della società l’esempio personale e collettivo di una vita eticamente irreprensibile e moralmente 52 53 54 55 Matteo, 6, 5-6. Woodcock, George, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, cit., p. 202. Tolstoj, Lev N., La Vera Vita (Dottrina cristiana) [1898], ora in Tolstoj, Lev N., La Vera Vita - Il denaro - Come leggere il Vangelo, cit., pp. 1-134, cfr. pp. 70-71. Vedi Miller, William D., Dorothy Day e il Catholic Worker Movement, Jaca Book, Milano, 1991. elevata56. Che cosa produsse nel movimento anarchico un tale cambiamento? «I nuovi anarchici si consideravano i depositari pacifici e costruttivi di una società armoniosa, basata su una moralità superiore»57. In Gran Bretagna, il nuovo anarchismo eretico emerse attorno alla figura di Thomas Davidson, filosofo e viaggiatore che aveva fondato negli anni Ottanta del XIX secolo un gruppo di discussione, Fellowship of the New Life, che si concentrava su questioni morali e spirituali anziché economiche e politiche come la Fabian Society da cui ruppe le iniziali collaborazioni. La fin de siécle fu per gli anticonformisti in generale una battaglia contro l’età vittoriana, una sorta di composto ideologico di protestantesimo e liberalismo58. Nell’età vittoriana «Le dottrine esprimevano le verità essenziali, la Bibbia era una guida affidabile e i principali doveri religiosi erano la lettura della Bibbia, la preghiera quotidiana e l’attenzione alle faccende pertinenti all’aldilà. Il liberalismo vittoriano fu l’espressione politica di questa fede: la principale preoccupazione era sì l’aldilà, che però richiedeva l’esecuzione tranquilla ed efficiente dei doveri familiari e sociali: l’igiene, l’educazione morale dei giovani, la carità per le situazioni che la meritavano e il servizio sociale. Sebbene sia possibile esagerare le dimensioni della rottura degli anni Novanta con questa cultura, certo è che un decisivo mutamento ebbe luogo. Ciò che per lo più avvenne non fu tanto il fatto che le persone perdessero completamente la fede, quanto il fatto che il contenuto della loro fede cambiasse decisamente. Si passò spesso da un approccio letterale alla Bibbia, una concezione trascendente di Dio e una austera concezione individualistica del dovere sociale, a un approccio pluralistico, alla speculazione teologica, a una visione immanentista di Dio e a una concezione del dovere imbevuta di un ideale di fraternità. Un tale cambiamento ebbe luogo parallelamente agli sviluppi della società tardo-vittoriana, che si stava dirigendo verso una cultura religiosa e morale meno stabile. Il numero crescente di posti di lavoro, la vasta migrazione dalla campagna alla città e la comparsa della famiglia nucleare agirono tutti come fattori corrosivi delle attitudini tradizionali, mentre il miglioramento dei mezzi di trasporto e la rapida crescita dell’industria dello svago allontanarono la gente dai passatempi tradizionali. Tuttavia, la fonte forse più importante di cambiamenti fu rappresentata dalle difficoltà intellettuali che minarono il protestantesimo vittoriano. La geologia, la critica storica e l’evoluzionismo condussero la gente ad un immanentismo che provocò un maggior pluralismo religioso, svalutando dottrine e ortodossie, e suscitò una nuova attenzione per l’ideale di fratellanza, enfatizzando l’unità del tutto»59. La Fellowship ispirò propagando simpatie e collaborazioni tra anarchici e anticonformisti la nascita del giornale anarchico Freedom. I principali membri costituenti il gruppo iniziale di Freedom erano Mrs. Wilson, uscita dal movimento dei fabiani quando questi si dedicarono in preminenza all’attività politica e parlamentare, idealizzatrice dei contadini russi e anarco-comunista. Fu colei che ebbe l’idea di portare Kropotkin in Inghilterra per fargli pubblicare un giornale; il dott. BurnsGibson, medico della polizia distrettuale e ufficiale medico del servizio postale, Mrs. Dryhurst nazionalista irlandese e fabiana della prima ora, Agnes Henry che viveva in una comune della Fellowship a Bloomsbury, a Londra, Emma Brooke che aveva studiato economia con Alfred Marshall e il poeta Edward Carpenter. All’inizio degli anni Novanta, la Fellowship ispirò una seconda ondata di anarchici quando diversi membri di spicco guidati da Bruce Wallace e John Kenworthy diventarono seguaci di Tolstoj60. Wallace era nato in India ed era figlio di un missionario presbiteriano. Si laureò a Dublino e studiò poi teologia a Bonn. In seguito divenne un ministro congregazionalista. All’inizio degli anni Ottanta conobbe l’opera di Henry George sulla riforma terriera e decise di fondare un giornale, Brotherhood, che avrebbe dovuto diffondere il messaggio primitivo e originario del Vangelo 56 57 58 59 60 «Perché soltanto se uno mette in pratica i comandamenti di Dio, e con il suo esempio insegna anche agli altri a metterli in pratica, soltanto allora entrerà nel Regno di Dio», cfr. Tolstoj, Lev N., Il Vangelo spiegato ai giovani, cit., p. 16. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 47. Ibid., p. 50. Loc. cit. Ibid., p. 52. fortemente connotato da elementi e finalità sociali che avrebbero dovuto risolvere i problemi delle classi meno abbienti. Dopo qualche anno tornò in Inghilterra, a Southgate, Londra, dove fondò una Chiesa della Fratellanza61 di tipo non dottrinario. Negli anni Novanta insieme a Kenworthy aprì una Chiesa della Fraternità a Croydon che non era l’unica dato che iniziative analoghe erano già nate a nord e a nord-est di Londra oltre quella di Southgate (Forest Gate e Walthamstow). Kenworthy era un collaboratore fisso del giornale anarchico Freedom sin dalla fine degli anni Ottanta. Kenworthy era di Liverpool dove era nato nel 1863. Dopo aver letto Ruskin aderì al movimento per la riforma terriera dove ricoprì la carica di segretario onorario. Collaborò anche a un movimento per il recupero dei poveri della città. Nel 1892, durante un viaggio negli Stati Uniti, conobbe l’opera politica di Tolstoj e vi aderì immediatamente ed entusiasticamente. Le Chiese che Kenworthy e Wallace fondarono si prefiggevano di «applicare alla condotta individuale e sociale, in senso pieno e letterale, i principi del Discorso della Montagna, che tentavano di realizzare basando l’industria e gli affari su criteri che si sarebbero potuti definire socialisti e cooperativisti»62. Wallace e Kenworthy arrivarono a fondare nel 1894 un Fondo della Fraternità che avrebbe dovuto servire da modello esemplare di un’etica e un’economia non capitalistica né autoritaria. L’esempio pratico di quest’organizzazione cooperativa di produzione e commercio che finanziava con i propri profitti l’acquisto di terreni ove edificare comuni anarchiche era a parere dei fondatori decisamente molto più persuasivo di qualsiasi sermone o discorso politico. Ogni membro del Fondo si impegnava a reclutare un nuovo membro ogni tre mesi. In questo modo, si pensava, sarebbe divenuto possibile diffondere tale sistema societario di comuni alternative a tal punto da far crollare lo Stato e l’economia capitalista. Il Fondo aprì anche dei negozi nelle cittadine dove operavano le comuni-chiese. Il Fondo operò scelte oculate di relazione commerciale boicottando quelle aziende che non pagavano il salario minimo di sussistenza o quello sindacale ai propri operai. Tutti i membri del Fondo istituirono poi un centro (Casa della Fraternità) in cui andarono a vivere insieme a Croydon63. «L’anticonformismo degli anni Novanta [in Inghilterra] rappresenta un tentativo di liberare lo spirito umano dalle restrizioni della religione e della moralità vittoriana, ma senza piombare in un crudo materialismo privo di valori»64. I nuovi anarchici e gli esteti avevano molte idee in comune soprattutto in merito all’alienazione sociale e all’ideazione di un futuro utopico libero dalla bigotteria vittoriana, dalle ingiustizie della proprietà privata e della competizione. «Nel convertire la proprietà privata in pubblica ricchezza e nel sostituire la cooperazione alla competizione, il socialismo, comunismo o come lo si voglia chiamare riporterà la società alla sua essenziale condizione di organismo perfettamente sano e assicurerà il benessere materiale di ogni membro della comunità. Di fatto procurerà alla vita la base e l’ambiente adatti. Ma affinché la vita si sviluppi pienamente fino alla forma più elevate di perfezione, ci vuole qualcosa di più. Quel qualcosa è l’individualismo»65. Come si può riconoscere, Wilde articola uno dei principi fondamentali del nuovo anarchismo. I nuovi anarchici si ergevano contro il mero benessere materiale (o lo squallido dogmatico protestantesimo) e indicavano il cammino spirituale e etico quale unico mezzo di soddisfazione del profondo. L’unico modo per far convivere libertà individuale e unità sociale. Secondo Kenworthy, ad esempio, l’anarchico perfetto era colui che aveva per scopo «la completa libertà d’azione per 61 62 63 64 65 Gesù riteneva suoi fratelli coloro che abbandonavano la propria casa, famiglia e beni e abbracciavano la sua via (fare la volontà di Dio). Secondo il vangelo di Marco con “fratelli” si intende la folla (Marco 3, 31-35); secondo Matteo i discepoli (Matteo 12, 46-50). Sulla fratellanza vedi Kingsbury, Jack Dean, Matteo. Un racconto, Queriniana, Brescia, 1998, p. 24. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 52. Ibid., pp. 52-53. Ibid., p. 53. Wilde, Oscar, L’anima dell’uomo sotto il socialismo, Feltrinelli, Milano, 1989, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 53. tutti, conscio che è l’unica condizione possibile in cui possano esistere l’uguaglianza e la fraternità»66. Una società anarchica avrebbe finalmente portato a soluzione il perenne conflitto tra individuo e comunità garantendo libertà d’azione ai singoli all’interno di un sistema di mutua cooperazione e di fratellanza. I nuovi anarchici condannavano la società del tempo che sopprimeva impulsi sociali destinati altrimenti a sbocciare in una forma superiore di individualismo. Nonostante in Occidente si fosse arrivati alla abolizione della servitù e della schiavitù secondo i nuovi anarchici restava da perseguire l’abolizione del dominio dell’uomo sull’uomo in qualunque forma esso si presentasse. Lo Stato era il garante di questo dominio. Gli altri governavano sul singolo attraverso di esso. Anche lo Stato democratico non era in realtà che uno strumento per permettere il governo dell’uomo sull’uomo. Inoltre, lo Stato era un male in quanto si erigeva a difensore della proprietà privata, eccelsa incarnazione dello spirito di dominio, custodita dalle forze di polizia dello Stato e dalle leggi che esso emanava. Una società socialista che avrebbe mantenuto lo Stato non avrebbe portato alla liberazione dell’essere umano in quanto si sarebbe perpetuata la struttura fonte di dominio. La soluzione era l’edificazione di comunità anarchiche in una società libera che consentisse agli individui di autoaffermarsi pur senza fare violenza all’affermazione e alla libertà degli altri. L’anima del singolo avrebbe così potuto avere la possibilità di abbracciare l’intera umanità aderendo ad un principio d’amore universale secondo quanto Cristo aveva insegnato. I seguaci di Tolstoj ponevano in primo piano soprattutto il Discorso della Montagna quale fonte di ispirazione per la loro crescita etica e politica. Essi condannavano la Chiesa per aver tradito la vera espressione del cristianesimo che Gesù aveva insegnato e che si riassumeva nella resistenza passiva, nell’amore incondizionato per tutti e nel dono di sé67. Secondo questi anarchici la rivoluzione violenta predicata o ritenuta inevitabile dai vecchi anarchici non avrebbe mai potuto ristabilire la giustizia tra gli uomini proprio perché conteneva in sé un’ingiustizia. Gli anarchici cristiani ritenevano che il capitalismo e il suo sistema consumistico fossero in totale contrapposizione con il messaggio evangelico e sorreggessero, con l’aiuto di Stato e Chiesa, la competizione, l’interesse personale e il dominio dell’uomo sull’uomo. Gesù aveva insegnato a lasciare la proprietà per seguirlo e a scegliere un’etica d’amore. Il Discorso della Montagna era semplicemente la proiezione di quello che sarebbe stata una società anarchica. Kenworthy, come Tolstoj, sosteneva che occorreva fare agli altri quello che si desiderava fosse fatto a noi e che questo principio cristiano stava sullo stesso piano della realizzazione della trinità rivoluzionaria di libertà, uguaglianza e fraternità68. Queste idee attecchirono in seguito anche in personaggi dell’anarchismo classico come Malatesta che in suo articolo, citato più sopra, delineò chiaramente l’enorme differenza tra società d’amore e società di giustizia richiamandosi espressamente a Tolstoj. La moralità cristiana esigeva la realizzazione della società anarchica. La crescita di questi ideali di amore e libertà avrebbe portato, secondo questi anarchici, alla nascita di una spiritualità individuale molto evoluta che avrebbe condotto inevitabilmente all’edificazione di un mondo fatto di onestà, lealtà, cooperazione e fraternità69. Di fronte a questa esigenza di crescita interiore, le lotte per i mutamenti istituzionali passavano in secondo piano. La società utopica sarebbe divenuta realtà, secondo gli anarchici etici, solo grazie a esseri umani che avessero 66 67 68 69 Kenworthy, John, Tolstoj: His Life and Works, London, 1902, p. 120, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 54. New Order, dicembre 1897-gennaio 1898 e Kenworthy, John, Tolstoj: His Life and Works, London, 1902, p. 34 citati in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 55. Dice Carlos Diaz che oggi «Se sono scomparse dai preamboli dogmatici delle costituzioni europee le parole “libertà, uguaglianza, fraternità”, è proprio perché quest’ultima esigeva una prospettiva diversa; ciò è stato in conseguenza della progressiva scomparsa dell’ethos cristiano. Si è persa infatti, con la memoria storica del cristianesimo, l’ottica secondo la quale la fraternità non solo era possibile, ma anzi necessaria. La fraternità, l’idea che l’altro è un fratello può esistere, infatti, solo quando l’altro è considerato fratello perché figlio dello stesso Padre». Cfr. Diaz, Carlos, Contro Prometeo, Jaca Book, Milano, 1985, pp. 63-64. Nei Vangeli si può notare che una delle caratteristiche determinanti della personalità dei “capi” è l’ipocrisia, aspetto attraverso il quale essi mostrano la loro cattiveria. Nel Vangelo di Matteo in particolare l’ipocrisia si presenta come l’esatto opposto della perfezione. Cfr. Kingsbury, Jack Dean, Matteo. Un racconto, cit., p. 30. aderito alla nuova scelta spirituale che si imponeva. Essi si impegnavano a trasformare in prima persona la loro vita e a educare gli individui alla nuova etica perché riconoscevano che la struttura politica del sistema era «la manifestazione esterna di una vita interiore» e tentavano di trasformarlo vivendo una nuova vita70. Gli anarchici cristiani si assumevano in prima persona la responsabilità di procedere verso la vera società cristiana senza mettere tempo in mezzo, adeguando la propria vita sin da subito ai nuovi canoni di solidarietà e amore che essa esigeva. Molti di essi però non si limitarono solo alla cura della propria crescita personale interiore, ma, secondo un’evoluzione della comprensione che dal singolo si estende sino ad abbracciare la totalità, iniziarono a boicottare le forme allora in auge di azione politica. I tolstojani pensavano che appoggiare un sistema iniquo fosse una grande immoralità. Prendere parte a un governo, qualsiasi esso fosse, li avrebbe coinvolti nel dominio dell’uomo sull’uomo71. Essi arrivarono addirittura ad affermare che i rivoluzionari violenti che rivendicavano il diritto di affermare d’autorità l’abolizione dell’autorità agivano in realtà in contraddizione con i loro stessi ideali e che dal punto di vista etico ciò era immorale e destinato quindi a fallire72. Kenworthy sosteneva che il sistema legislativo e quello della violenza statale non avrebbero mai smesso di funzionare sino a che si sarebbe continuato a farvi ricorso in tutte le occasioni e i frangenti della vita73. Altri invece, come Wallace, difendevano l’azione politica come principio, ma non ritenevano che comunque avesse potuto cambiare le cose74. Gli anarchici cristiani abbracciavano il concetto tolstojano di bene della comunità come bene degli individui. Essi riconoscevano a Tolstoj il merito di aver scoperto che «l’umanità è la creazione di un Dio che è amore» e che quindi «l’amore e il servizio reciproci sono le uniche relazioni in cui l’uomo può esistere felicemente»75. I vecchi anarchici che generalmente concepivano gli individui liberi di fare quello che ritenevano indipendentemente dalla comunità, contestarono una tale restrittiva interpretazione della libertà e innescarono discussioni sulla natura del vero ideale anarchico e su come esso andasse realizzato. Anche per i nuovi anarchici si poneva il problema di come, in una società anarchica, produrre i beni di consumo necessari a tutti, quando non vi era più alcun vincolo tra consumo di beni da parte di un individuo con la propria produzione. Se coloro che avrebbero lavorato e prodotto sarebbero stati pochi (dato che nessuno era obbligato) come si sarebbe potuto soddisfare le esigenze di tutti? Kropotkin rispondeva a questa domanda riponendo completa fiducia nei progressi della scienza che a suo parere avrebbe permesso di produrre beni sufficienti per qualsiasi tipo o entità di domanda. I tolstojani sostenevano invece che la nuova spiritualità e la concezione etica che sottostava all’uomo nuovo avrebbe avuto un ruolo determinante nella presa di coscienza da parte degli individui che era necessario lavorare sodo per il bene della comunità umana e allo stesso tempo consumare solo quello di cui si aveva bisogno. «L’ideale dei nuovi anarchici non era l’individuo autonomo […] ma un individuo sociale che raggiungeva la libertà personale attraverso la comunità: la solidarietà sociale non era una minaccia per l’individuo ma il suo mezzo di autorealizzazione»76. 70 71 72 73 74 75 76 Kenworthy, John, Tolstoj: His Life and Works, London, 1902, p. 42 citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 56. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 56. Kropotkin stesso già nel 1890 si era in un certo qual modo posto il problema domandandosi se si poteva vivere, nel senso pieno del termine, mettendosi in conflitto con il proprio ideale: «La vita non è feconda né ricca di emozioni se non risponde a questa sensazione dell’ideale. Se agite in modo opposto, sentirete la vostra vita sdoppiarsi. Disubbidite al vostro ideale e finirete col paralizzare la vostra volontà, la vostra forza d’azione, e presto non ritroverete più quella spontaneità di decisione che una volta vi era familiare. Sarete degli esseri divisi». Cfr. Kropotkin, Pëtr A., La morale anarchica, Stampa Alternativa, Roma, 1999, p. 51. New Order, novembre 1897, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 56. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 56. Kenworthy, John, Tolstoj: His Life and Works, London, 1902, p. 28, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 56. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, Il metodo per conseguire la società anarchica era quello pacifico. I tolstojani aborrivano l’uso della violenza come suggerivano invece di fare i seguaci di Bakunin e in parte, come si è detto, Kropotkin stesso. Anche gli anarchici inglesi della Lega Socialista erano favorevoli all’uso della propaganda con i fatti e di fatto spesso inneggiarono ad atti di terrorismo. Questo condusse talvolta a condanne per istigazione al delitto. Alcuni eseguirono o tentarono di eseguire veri attentati e furono condannati a pesanti pene detentive77. Il gruppo di Freedom, invece, si mostrò ostile all’uso della violenza e negli anni Novanta del XIX secolo i suoi membri si scontrarono spesso anche in incontri pubblici su questo argomento con altri anarchici e socialisti78. Quelli di Freedom accettavano l’idea che la rivoluzione sarebbe stata probabilmente violenta, ma si opponevano all’uso della stessa per preparare la gente alla rivoluzione. La violenza era per loro immorale e proponevano una strategia che ruotava intorno al concetto di resistenza passiva79. I tolstojani ritenevano che era loro dovere fondamentale di perseguire la coerenza nella vita quotidiana rispetto alle loro idee, indipendentemente da quello che li circondava. Per la salvezza della propria anima ognuno di essi doveva portare testimonianza nel mondo che si poteva vivere fraternamente e onestamente80. Solo con l’esempio pratico si poteva convincere la gente che ciò era possibile e che una società fraterna era non solo possibile, ma anche auspicabile per gli enormi vantaggi che essa avrebbe offerto a tutti quanti. I nuovi anarchici si prodigarono anche per il recupero dell’indipendenza delle donne all’interno e fuori del matrimonio. Essi ritenevano che le donne fossero schiave dei propri mariti e che sino a quando esse non avessero ottenuto l’indipendenza economica non sarebbero cambiati i rapporti di dominio all’interno della famiglia. Qualcuno si spingeva anche a predicare il libero amore sebbene la maggior parte assunse posizioni più convenzionali che sfociarono però anche in impegno sindacale per il miglioramento delle condizioni di lavoro e dei salari delle tessitrici dello Yorkshire81. Le donne anarchiche di questi gruppi elaborarono una nuova concezione di femminilità decisamente in contrasto con quella che era la canonica immagine che di ciò ne dava la concezione vittoriana. Secondo loro, le donne apprezzavano il sesso quanto gli uomini e gli uomini volevano i figli quanto le donne. L’unica vera differenza era il dolore del parto e il peso di continue gravidanze da cui le donne cercavano di esimersi contrastando l’incoscienza dei loro mariti che continuavano a ingravidarle privandole così del proprio corpo. Tutte queste tematiche si amalgamarono con le tesi delle suffragiste che a quel tempo si andavano diffondendo grazie all’influsso di derivazione illuminista che vedeva in Mary Wollstonecraft e in John Stuart Mill i loro massimi interpreti82. I nuovi anarchici etici inglesi predicarono una società anarchica fondata sulla federazione di comuni locali. Ogni comune doveva essere un’autonoma unità di produzione e di distribuzione e in essa ogni singolo membro dava secondo la propria possibilità e riceveva secondo la propria necessità. L’importante però non era l’impostazione in sé, ma la nuova etica. Molti nuovi anarchici, e in particolare i tolstojani, si impegnarono nella realizzazione di comuni agricole in cui vivere secondo i nuovi principi. La loro azione si distanziò così da quella degli anarchici “classici” che ostentavano ancora la propaganda con i fatti e si avvicinarono molto alle strategie e alle mentalità dei socialisti utopisti che si sforzavano di vivere i propri ideali. In particolare, le comunità anarchiche etiche furono profondamente influenzate da Robert Owen (1771-1858) e dagli oweniani. Nello stesso periodo si andava, infatti, diffondendo in Gran Bretagna il suo pensiero politico. Owen, contemporaneamente industriale tessile e appassionato riformatore sociale, dedicò la sua vita al miglioramento della condizione operaia a partire dal suo stesso stabilimento di New Lanark in Scozia che anticipò di cinquant’anni, per l’umanità, l’igiene e le regole di lavoro che lo 77 78 79 80 81 82 cit., p. 58. Ibid. pp. 59-60. Ibid., p. 60. Loc. cit. Ibid., p. 61. Ibid. p. 63. Ibid., p. 64. La Wollstonecraft era la moglie di William Godwin, ex pastore protestante, uno dei padri fondatori dell’anarchismo. Sulla battaglia per l’emancipazione femminile che portò avanti vedi Wollstonecraft, Mary, I diritti delle donne, Editori Riuniti, Roma, 1977. contraddistinguevano, le norme legislative britanniche riuscendo a trasformare la precedente situazione di degrado, alcoolismo, mendicità e criminalità ruotante attorno all’opificio in una comunità umana modello. Owen era convinto che l’ambiente in cui si viveva e nel quale si veniva educati fosse determinante per la formazione del carattere di ognuno e che quindi il gretto individualismo della società capitalista fondata sulla competizione e sull’avidità non poteva originare che esseri umani egocentrici. Riformando appropriatamente simile sistema, a suo parere, si sarebbe avuta come conseguenza la trasformazione della morale sociale non più mirante all’attività produttiva in sé e per sé, ma alla solidarietà. Per materializzare i suoi sogni utopistici, nel 1825, Owen diede vita negli Stati Uniti a una colonia basata sulla sua dottrina della comunione dei beni, New Harmony, che doveva però rivelarsi un insuccesso. Ma oltre che tentare la fondazione di una società impostata su basi etiche superiori, Owen fu importante anche e soprattutto per le energie che dedicò alla fondazione di un movimento operaio unitario e sindacalizzato. Per Owen, il problema della classe lavoratrice si poneva infatti in termini di rivendicazioni economiche e non di potere politico, in perfetta coerenza con la sua convinzione che la società capitalistica sarebbe a breve inevitabilmente andata incontro a un radicale mutamento in senso etico oltreché economico. Egli si adoperò instancabilmente per l’organizzazione delle Trade Unions (i sindacati inglesi) mirando al conseguimento della loro unificazione su scala nazionale. Alle lotte per la riduzione dell’orario di lavoro e per la tutela delle condizioni di vita degli operai Owen aggiunse poi pure la creazione di cooperative di consumo che avrebbero avuto notevole sviluppo a partire dagli anni Cinquanta del XIX secolo. Nonostante tutti i fallimenti dei socialisti utopisti, la loro influenza sul pensiero politico successivo fu rilevante. I movimenti da essi fondati favorirono in effetti la presa di coscienza che lo sviluppo del capitalismo non produceva felicità ma, anzi, aggravava la miseria dei lavoratori. Eredi del pensiero illuminista, i socialisti utopisti si mostrarono tutti indistintamente convinti che anche solamente rendendo pubbliche le verità dello sfruttamento e dell’egoismo sociale le soluzioni a queste stesse problematiche, e cioè la naturale solidarietà degli uomini, la propensione alla giustizia e alla vita associata, si sarebbero affermate da sé. Invero, in conformità a tali convinzioni per illustrare le loro riforme essi si rivolsero solitamente ed esclusivamente ai ceti superiori. I socialisti e gli anarchici del periodo successivo abbandonarono questo tipo di approccio e si impegnarono in prima persona senza aspettare nell’illusione che la loro condizione venisse cambiata dall’alto anche se non trascurarono le esperienze teoriche e pratiche dei loro antesignani. Robert Owen fu uno dei pochi predecessori del pensiero socialista che riuscì a materializzare il proprio progetto di fondazione di una nuova società che non fosse basata sulla concorrenza e sulla sete di denaro così come invece veniva strutturandosi la nascente civiltà industriale. Lo storico anglo-francese Ronald Creagh delinea qui i tratti essenziali della colonia oweniana di New Harmony, i motivi del suo insuccesso, ma anche quelli dell’enorme influenza che essa esercitò nei decenni successivi sull’immaginario politico ed etico americano ed europeo: «È il filantropo socialista gallese Robert Owen che, nel 1825, suona le campane a martello per gli Stati Uniti. L’anno successivo egli fonda, nello stato dell’Indiana, New Harmony. Grazie a lui lo slancio religioso abbandona gli obiettivi soprannaturali, che avevano ispirato gli Shakers, i Rappites e tanti altri, per incentrarsi su un progetto di cambiamento politico-economico. Le comunità precedenti, eredi delle grandi religioni, avevano perseguito una Gerusalemme celeste; i loro discepoli e concorrenti razionalisti, alla ricerca di un paradiso terrestre, sono costretti ad attingere al lessico delle chiese per smuovere una società impregnata di credenze soprannaturali. D’altronde i padri europei di una serie di associazioni americane sono considerati patriarchi che, come Abramo, daranno vita a un popolo nuovo; Robert Owen concepisce New Harmony come un prototipo dell’umanità futura, come un modello unico destinato a una pianificazione universale; egli enuncia l’avvento dell’era liberatrice in lussuosi prospetti spediti a tutti i capi di Stato del mondo; il tedesco Wilhelm Weitling, i discepoli francesi di Charles Fourier e di Étienne Cabet annunciano intenzioni altrettanto ottimiste. […] Ma il prototipo delle pratiche utopiche, sia per i militanti del movimento comunitario che per gli osservatori, è New Harmony (Indiana) il cui fondatore Robert Owen gode il raro privilegio di prendere la parola alla Camera dei Rappresentanti e al Senato riuniti, alla presenza del presidente della Repubblica e del suo predecessore. […] Se per molti aspetti essa [la comunità-modello] può rivendicare il ruolo di precorritrice, per altri non è mai stata superata: una pedagogia che rifiuta la divisione tra lavoro intellettuale e manuale, una associazione che riunisce i più grandi intellettuali americani dell’epoca insieme ai contadini e agli operai. Si direbbe un sogno! Proprio in questo luogo privilegiato si è forgiato intellettualmente Josiah Warren, uno dei primi fondatori di comunità individualistiche-libertarie; e tuttavia il prototipo è diventato antimodello, l’associazione gli è servita come punto di partenza. L’anarchico americano ha vivamente criticato il principio stesso di comunismo, la gestione collettiva del capitale e una delle sue conseguenze, la burocratizzazione. Bisogna riconoscere retrospettivamente che in effetti, New Harmony curiosamente prefigura alcuni aspetti del comunismo di una certa epoca: vestiti identici, divisioni in fazioni rivali; l’uguaglianza assoluta viene confusa con l’uniformità, la democrazia dei lavoratori con la burocrazia. […] Il contributo maggiore di Robert Owen all’utopia comunitaria, l’origine della sua influenza negli Stati Uniti dal 1825 ad oggi, risiede nel fatto che ha saputo proporre una nuova concezione del mondo. Egli rifiuta la società fondata sulla religione, la proprietà privata e il matrimonio e propone tre diversi fondamenti: la ragione, il comunismo e l’uguaglianza dei sessi. Attaccando la religione, o meglio la religione rivelata e il suo supporto – l’apparato ecclesiastico – Robert Owen si attira ovviamente le ire dei chierici, urta la sensibilità dell’America profonda i cui costumi sono dettati dal Tempio, ma, contemporaneamente, riunisce, cristallizza, elettrizza i seguaci di un altro culto, il culto della Ragione. […] Ma anche se la concezione razionalista si rivelò dogmatica come le altre, la sua applicazione fu invece tutt’altro che rigida. La tolleranza intervenne a temperare i ragionamenti: a New Harmony i preti erano ammessi solo a condizione che accettassero di essere messi in discussione. Lo studioso William Maclure, brillante socio di Robert Owen, concepiva l’associazione come un laboratorio sociale in cui si sperimentavano le riforme; una concezione, questa, ripresa poi da Josiah Warren e da molti altri libertari che effettivamente considerarono la loro comunità come un laboratorio dell’utopia. L’idea di sperimentazione sociale esprime una profonda insoddisfazione per il sistema esistente e il desiderio di fondare un nuovo ordine politico, sociale e culturale. I “comunisti” mirano ad impedire la riproduzione della disuguaglianza economica abolendo il diritto d’eredità e opponendo alle classi dirigenti – che si appellano a un ipotetico “diritto dei proprietari” derivante da un debito della società verso ciascun proprietario – l’affermazione di un debito del proprietario verso la società. Questa città, quindi, non è un nuovo Leviatano pronto a divorare l’individuo, e il comunismo che vi si può riscontrare è anche federalista. […] L’immenso slancio provocato dall’owenismo e, quindici anni più tardi dal fourierismo ha diverse spiegazioni. Robert Owen e Albert Brisbane, loro rispettivi promotori, disponevano di un notevole patrimonio che investirono a fondo perduto in organizzazioni effimere; ma essi seppero anche usare il loro denaro in diverse operazioni pubblicitarie che si dimostrarono utili più per il movimento che per loro. In un modo o nell’altro i grandi giornali e le riviste annunciarono al paese sbalordito le loro idee e le loro imprese. La loro filosofia, pur senza essere sempre ben compresa, ottenne l’adesione militante degli intellettuali, chiamati in causa, ma anche la simpatia del popolo a cui essi denunciavano i mali che affliggevano la giovane Repubblica. Spaziando dalla denuncia di questa miseria a un ottimismo quasi smisurato, avanzando critiche ma anche soluzioni operative, essi suscitarono l’effervescenza popolare, galvanizzarono operai e contadini, mobilitarono intere famiglie che vendettero tutto per entrare nella nuova terra promessa. L’alleanza degli intellettuali con le masse fu il motore del movimento. Le tournées di brillanti conferenzieri all’avanguardia su tutti i temi di attualità, la nascita di una pubblicistica specializzata nell’informazione sulla vita comunitaria, l’influenza di Robert Owen sul movimento operaio britannico le cui lotte non erano prive di effetti sugli Stati Uniti, il sostegno dei circoli razionalisti e di alcuni uomini politici costituirono altrettante carte vincenti. La fede fece il resto: questo periodo è rimasto nella storia come l’età dell’oro delle comunità. […]»83. Anche Ruskin fondò negli anni Settanta del XIX secolo a St. George a Abbeydale presso Sheffield una fattoria che potesse consentire ai lavoratori delle industrie di allontanarsi dai mali dell’industrializzazione. Negli anni Ottanta vari anarco-cristiani tra cui Kenworthy (che era anche un profondo stimatore di Ruskin) istituirono la Società per la Colonizzazione della Terra Inglese con lo scopo di ricollocare gli operai disoccupati (in terribile aumento) in comuni agricole autosufficienti84. Una delle prime comuni anarchiche dei nuovi anarchici etici fu quella fondata a Clousden Hill nel 1895. L’influsso oweniano fu notevole. I coloni, seguaci di Kropotkin, miravano a provare con la propria vita e col proprio lavoro che le teorie dello scienziato anarchico erano valide e reali. La colonia era fondata sul principio della libera associazione comunista e mirava a costituire la soluzione ai mali della povertà, dell’infermità e della vecchiaia. Il conseguimento del benessere per i lavoratori, la loro elevazione morale e l’educazione dei bambini erano altri capisaldi che la comunità si prefiggeva85. La comune svolgeva lavori di tipo agricolo (regime di coltivazione 83 84 85 Creagh, Ronald, Laboratori d’utopia, Elèuthera, Milano, 1987, pp. 11-34. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 65. Ibid., p. 66. intensivo, tema caro a Kropotkin) e industriale e si proponeva anche come aiuto per altre iniziative analoghe che volessero nascere. Un’altra colonia anarchica fu quella di Norton Hall vicino a Sheffield sempre fondata negli anni Novanta. Questa comune era impostata sulla coltivazione di fiori, verdure e frutta. In seguito si misero a fabbricare anche sandali86. La prima comune inglese propriamente tolstojana fu quella di Purleigh, Essex, fondata nel 1896. Tra i circa sessanta coloni ritroviamo lo stesso Kenworthy e Aylmer Maude, il principale traduttore di Tolstoj. Questi, insieme a Vladimir Tcherthoff un amico di Tolstoj che arrivò nella comune nella primavera del 1897, raccolse mille sterline per aiutare i Dukhoborzi (una setta eretica cristianoortodossa russa, strettamente pacifista e antiautoritaria, fondata nel 1755 da S. Kolenikow che nel 1900 emigrò in buona parte in Canada con l’aiuto di Tolstoj). Una ventina circa di coloni vivevano sui dieci acri di terra posseduta dalla comune, mentre gli altri vivevano nei dintorni. I coloni dovevano guadagnarsi da vivere lavorando secondo il principio tolstojano. Coltivavano orti e frutteti, e allevavano galline e mucche. La maggior parte del lavoro era svolto manualmente e si servivano di un unico cavallo per i lavori più pesanti87. La maggior parte degli introiti derivarono comunque dall’ospitalità che la fattoria dava ai simpatizzanti che vi volevan soggiornare come luogo di vacanza. Fu in questa colonia che a partire dal 1898 venne stampato e diffuso un giornale anarco-cristiano il New Order. Questa divenne la principale pubblicazione tolstojana inglese. I coloni di Purleigh tenevano la domenica sera delle assemblee in cui cantavano gli inni della Chiesa del Lavoro e facevano letture comuni di libri come A Dream of John Ball di Morris. Molti coloni della comune perseguivano personali battaglie: chi protestava contro le ferrovie, chi si rifiutava di usare francobolli, chi si rifiutava di usare denaro, chi rinunciava pubblicamente a possedere qualsiasi atto di proprietà. Con queste premesse la colonia faticava non poco a intessere relazioni col mondo commerciale esterno e talvolta gli stessi coloni erano contrari a ciò sostenendo che essi avrebbero dovuto contare più che altro solo sul passaparola e sulla grazia di Dio88. In quegli anni vennero fondate anche altre comuni tolstojane sempre nei dintorni di quella di Purleigh. Una a Ashingdone e una a Wickford. Gli aderenti, però, nella quasi totalità gravitavano per il lavoro su Londra da cui andavano e venivano come pendolari. Nel 1898, venne fondata un’altra comunità di anarchici cristiani a Whiteway, in Gloucestershire. Queste persone (che erano le più tolleranti e meno dogmatiche) provenivano dai gruppi dell’Essex da cui si erano dissociati in seguito a disparità di vedute inerenti i criteri di ammissione in quelle comuni di nuovi membri. La maggior parte di questi coloni viveva del lavoro della terra, anche se una parte lavorava in piccole industrie collegate a quelle del villaggio adiacente di Sheepscombe. I coloni di Whiteway coltivavano circa quaranta acri di terra e arrivarono ad avviare una fiorente azienda casearia. L’atto di proprietà della terra venne bruciato pubblicamente in quanto essa era a loro parere stata data dall’essere supremo a tutti gli uomini affinché ne facessero buon uso e non vi dovevano essere padroni. Tra i nuovi anarchici eretici vi fu una parte minoritaria che fondò comuni urbane. Nel 1897, a Leeds si concentrava la maggior parte di queste iniziative. Qui Albert Gibson aiutò degli operai danneggiati da lotte sindacali ad avviare un cosiddetto Laboratorio della Fraternità: vi si costruivano biciclette e si riparava materiale elettrico. Le discussioni filosofiche e religiose costituivano parte della giornata dei membri e in seguito essi avviarono anche un’attività di tipo editoriale con il nome di Libero Gruppo Anarchico di Leeds. Tra le opere pubblicate troviamo testi di Kropotkin, di Mrs. Wilson e un giornale dal titolo The Free Commune89. Un altro gruppo di Leeds costituì nel 1899 una comune simile a Blackburn che svolgeva sempre 86 87 88 89 Loc. cit. Loc. cit. New Order, maggio 1899, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 67. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 67. attività di riparazione di materiale elettrico. Per un certo periodo ci furono anche azioni di sostegno e di scambio commerciale con i minatori di una locale miniera di carbone90. I nuovi anarchici tentarono sempre infatti di avviare alternative concrete ai rapporti commerciali dominanti. Condividevano le proprie risorse e spesso (anche se non sempre) lavoravano duramente per il bene comune. Kropotkin aveva insegnato che «La felicità di ciascuno è intimamente collegata alla felicità di tutti coloro che ci circondano. Si possono avere forse alcuni anni di felicità relativa basata sull’infelicità altrui, ma sarebbe costruita sulla sabbia. Non potrebbe durare perché la minima cosa la spezzerebbe e sarebbe infinitamente piccola i confronto con la possibile felicità in una società di uguali. Quindi, ogni volta che si mira al bene di tutti si agisce bene […]»91. Come si può vedere, le comuni ignoravano i perbenismi della società vittoriana e si avvicinarono a comportamenti etici per il tempo rivoluzionari. Molte comuni erano esclusivamente vegetariane per rispetto verso le creature viventi. Vestivano abiti insoliti rifiutando quelli attillati della moda dell’epoca. Il matrimonio non era considerato molto bene e parecchie coppie si limitavano a vivere insieme senza formalizzare il rapporto. Il matrimonio era pensato come un contratto che rendeva la donna un oggetto di proprietà dell’uomo a suo esclusivo uso e consumo92. Le donne di queste comuni lavoravano insieme agli uomini sebbene questi non si dedicassero volentieri ai lavori domestici93. Il problema di queste comuni politico-eretiche fu il solito problema di queste realtà94: esse attirarono parassiti e approfittatori che causarono un abbassamento generale del livello di vita. Non tutti erano disponibili a seguire il messaggio evangelico, secondo cui la vita collettiva assumeva caratteristiche di vera grandezza quando i suoi membri si mostravano un’infinita sollecitudine e attenzione reciproca, ed erano disposti a perdonarsi reciprocamente95. Questo presupponeva una coscienza un po’ evoluta e una responsabilità interiore di un certo livello, specie nei confronti della situazione economica del gruppo. Non fu invece sempre così. I membri iniziarono a litigare e ad avere problemi seri di sussistenza. Molti allora abbandonarono e alla fine le comuni si sciolsero o si disfecero. A Purleigh lo stato di abbandono in cui vennero a trovarsi i superstiti della colonia spinse gli ispettori sanitari a chiuderla d’autorità. Anche a Leeds vigeva il principio secondo cui i membri lavoravano secondo il proprio sentire e ricevevano secondo il proprio volere. Tale generosità mise il gruppo in ginocchio e ben presto esso si ritrovò a non godere più di alcuna disponibilità economica. I membri cercarono allora di ripristinare un orario di lavoro ma non vi riuscirono e alla fine la comune si sciolse. La colonia di Whiteway fu l’unica che riuscì a sopravvivere sino al XX secolo. Ciò fu dovuto al fatto che i membri di quella comune adottarono il sistema di frazionare la proprietà collettiva in piccoli appezzamenti di proprietà individuale secondo il modello proudhoniano e questo favorì una responsabilizzazione lavorativa ed economica che consentì al gruppo di durare più a lungo96. In questa colonia si affrontavano argomenti come il vegetarianismo, la teosofia, la spiritualità, l’antivaccinazionismo, l’antivivisezionismo ecc. precorrendo in tal modo i tempi in una maniera veramente eccezionale97. I nuovi anarchici inglesi di fine Ottocento, comunisti, esteti, spiritualisti o collettivisti che fossero cercarono in ogni modo di realizzare in pratica il loro sogno gettando le basi concrete di un modello 90 91 92 93 94 95 96 97 Loc. cit. Kropotkin, Pëtr A., La morale anarchica, cit., p. 52. Tolstoj aveva definito il matrimonio come un genere di prostituzione. Cfr. Tolstoj, Lev N. “Per una rivoluzione culturale ” [1901], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 103-120 cfr. p. 119. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 68. Vedi Creagh, Ronald, Laboratori d’utopia, cit., passim. Luca, 17, 4 e Matteo, 18, 15-35. Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 68. Shaw, N., Whiteway: A Colony in the Cotswolds, London, 1935, citato in Bevir, Mark, “La nascita dell’anarchismo etico in Gran Bretagna 1885-1900”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, cit., p. 69. di società futura eticamente elevata con forti influssi evangelici. Volevano la scomparsa dello Stato con mezzi non violenti per addivenire a un sistema comunista di distribuzione. Essi non parteciparono ad attività terroristiche né politiche, dedicandosi anima e corpo alla trasformazione dei rapporti personali e alla realizzazione di colonie “liberate”. Alcuni caratteri di questo nuovo movimento libertario sarebbero divenuti patrimonio comune del più vasto movimento anarchico nel corso del secolo successivo. Tra questi la più importante è sicuramente la scelta non insurrezionale che caratterizza ormai la quasi totalità del movimento anarchico internazionale odierno. Tratto da: Valerio Pignatta, Storia delle eresie libertarie, Odoya, Bologna, 2012