File - Comune di Incisa Valdarno

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File - Comune di Incisa Valdarno
COMUNE DI INCISA IN VAL D’ARNO
Provincia di Firenze
Piano Regolatore Generale
Programma di Paesaggio
Norme regolamentari dei Ripiani di mezza costa
(Art. 13 Piano Strutturale e Art. 4 Regolamento Urbanistico)
Gruppo tecnico:
Coordinatore: Dott. Arch.Luciano Piazza
Aspetti agronomici:
Aspetti geomorfologici e idraulici:
Aspetti morfologici e storico-insediativi:
Aspetti naturalistici:
Dott. Agr. Paolo Gandi
Dott. Geol. Gabriele Bonechi
Dott. Arch. Luciano Piazza
Dott. Alberto Chiti Batelli Nemo s.r.l.
Collaboratori: Dott. Arch. Stefano Casali, Dott. Arch. Solidea Cavallaro, Dott. Arch. Giorgia Pretolani
Dott. For. Alessandra Boretti, P.A. Gian Luca Romanelli, Dott. For. Michele Giunti
Dott. Cristina Castelli, Dott. For. Linda Colligiani
Sindaco: Sig. Manuele Auzzi
Dirigente Assetto del Territorio: Dott. Arch. Renzo Fazzini
Oggetto:
QUADRO CONOSCITIVO DI RIFERIMENTO
Aspetti morfologici e storico-insediativi
RELAZIONE ILLUSTRATIVA
Predisposta da:
Dott. Arch. Luciano Piazza
Emissione:
Aprile 2004
Approvazione:
Del. C.C. n°……. del ……….
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1. Premessa.
Gli insediamenti e la viabilità di impianto storico costituiscono, con la morfologia fisica, il reticolo
idrografico e le principali coperture boschive, la "struttura profonda" del territorio.
Tale struttura è quella che nel tempo mostra maggiori caratteri di permanenza e che offre maggiore
resistenza alle trasformazioni. Essa inoltre condiziona direttamente le strutture di livello inferiore, più
legate alla organizzazione socio-economica del territorio, alla cultura, agli usi e alle tecniche di
lavorazione.
In conseguenza di ciò, il Programma di Paesaggio dei "Ripiani di mezza costa" definisce i caratteri
peculiari della "struttura profonda" del territorio, attraverso specifiche analisi relative alle sue
componenti principali.
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Comune di Incisa in Val d'Arno - Programma di Paesaggio: "Norme regolamentari dei Ripiani di mezza costa"
Quadro Conoscitivo di Riferimento, Aprile 2004
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2. La morfologia fisica.
I "Ripiani di mezza costa" occupano la parte centrale del territorio comunale di Incisa e, come tutta la
fascia collinare, costituiscono parte dei versanti orientali della dorsale che divide il Valdarno dal
Chianti.
Dopo lo svuotamento dell'antico lago pliocenico e la formazione della valle dell'Arno, i corsi d'acqua,
che scendono dai versanti, hanno eroso i depositi fluvio-lacustri e hanno dato luogo a un sistema di
vallecole e di crinali pressoché paralleli con direzione est-ovest.
Nei "Ripiani di mezza costa", dove permangono le superfici sommitali degli antichi depositi, l'azione
erosiva delle acque è stata meno accentuata in virtù della scarsa acclività. Ne risulta un rilievo poco
accentuato, con crinali ampi e piatti e vallecole poco profonde1.
I crinali principali che attraversano l'area oggetto di studio sono i seguenti:
- Crinale de l'Entrata: trova origine nel monte Lepri, sulla dorale occidentale, e interessa il Giglio, il
Casalino, il Prataccio (o Palazzaccio), Villa l'Entrata, Il Messino, Prunale e Balduccio.
- Crinale di Tracolle: costituisce il ramo settentrionale del crinale che trova origine a San Cerbone,
sulla dorsale occidentale, e interessa C.Tabernacolo, C.Tramontana, la fattoria di Tracolle. In
prossimità de La Buca, si scinde in due bracci: quello meridionale interessa Taverna, Pescina e
Belprato.
- Crinale di Casellina e de Il Ferrale: costituisce il ramo meridionale del crinale che trova origine a
San Cerbone, sulla dorsale occidentale. In prossimità de Il Ferrale si divide in due bracci:
quello settentrionale, dopo aver toccato C.Torrione, interessa C.Torricella, C.Scaraggi e
termina al Castello di Incisa;
quello meridionale, dopo aver toccato La Panca, interessa San Vito, Poggio al Vento e si
conclude a Castelvecchio.
Tutti i suddetti crinali sono ampi e semipianeggianti, con pendenze per lo più contenute entro il 10%
che si accentuano solo in corrispondenza delle valli laterali .
Ipotetiche sezioni, realizzate in corrispondenza dei principali insediamenti storici (l'Entrata, Tracolle,
Torricella, Loppiano, San Vito) e trasversali rispetto ai relativi crinali, darebbero luogo ai seguenti
dislivelli:
- l'Entrata: Villa l'Entrata (266,4 m.s.l.m.) è più alta di quasi 22 metri rispetto al Borro Rama, da cui
dista circa 350 metri (pendenza 6,3%), e di 31,4 metri rispetto al Fosso dell'Entrata, da cui dista
circa 220 metri (pendenza 14,3%);
- Tracolle: la fattoria di Tracolle (283,9 m.s.l.m.) è più alta di quasi 29 metri rispetto al Fosso
dell'Entrata, da cui dista circa 200 metri (pendenza 14,5%), e di 39 metri rispetto al Fosso delle
Campane, da cui dista circa 650 metri (pendenza 6%);
1
Questi caratteri cambiano immediatamente a valle dei "Ripiani", dove il dislivello prodotto dall'azione erosiva dell'Arno ha creato, in
corrispondenza del centro abitato di Incisa, una vera e propria gola, con contrafforti e groppe collinari affacciate sul corso del fiume. In
conseguenza di ciò, i corsi d'acqua minori che affluiscono in Arno, precipitano nell'ultimo tratto, con salti di quota di 50-70 metri in
poche centinaia di metri di percorso. La maggiore pendenza degli alvei e la maggiore velocità delle acque ha prodotto pertanto una
orografia alquanto più accidentata, con valli più profonde e crinali più accentuati rispetto ai "Ripiani di mezza costa".
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Torricella: Torricella (266 m.s.l.m.) è più alta di 21 metri rispetto al Fosso delle Campane, da cui
dista circa 650 metri (pendenza 3,4%), e di 21 metri rispetto a un braccio del Borro di
Castelvecchio, da cui dista circa 250 metri (pendenza 8,4%);
Loppiano: la Fattoria di Loppiano (256 m.s.l.m.) è più alta di 5 metri rispetto al Borro di
Castelvecchio, da cui dista circa 40 metri (pendenza 12,5%), mentre a nord non ha corsi d'acqua
prossimi;
San Vito: la vecchia pieve di San Vito (251 m.s.l.m.) è più alta di 5 metri rispetto al Borro di
Castelvecchio, da cui dista circa 180 metri (pendenza 2,8%), e di circa 30 metri rispetto al Borro
dell'Acqua Caduta, da cui dista circa 200 metri (pendenza 15%).
I corsi d'acqua, a regime torrentizio, affluiscono tutti in Arno.
Nella parte settentrionale scorrono, con andamento parallelo, il Borro Rama, lungo la cui riva sinistra è
sorto, in epoca storica, il Mulino del Ramarro, e il Fosso dell'Entrata. Entrambi confluiscono nel Fosso
di Cappiano e danno luogo a valli profondamente incise.
La parte centrale è interessata dal Fosso delle Campane. Nel tratto a monte, fino alla strada che collega
La Fornace a C.Torricella, il Fosso scorre su terreni semipianeggianti senza creare erosioni
apprezzabili; nel tratto a valle, invece, la maggiore pendenza provoca incisioni profonde nei terreni
attraversati.
Tutta la parte meridionale è interessata dalle diramazioni del Borro di Castelvecchio, che lambisce
Loppiano, San Vito e Castelvecchio, per poi sparire alla vista in corrispondenza dell'area dell'ex
Italcementi, nel centro abitato di Incisa. Anche in questo caso il tratto meridionale del borro, a partire
da Fornacina, ha provocato profonde incisioni che hanno dato luogo a una vera e propria gola.
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3. Gli insediamenti storici.
Il sistema insediativo storico trova le sue matrici nella antica pieve di San Vito, nelle case-torre e,
successivamente, nelle grandi fattorie collinari.
La pieve di San Vito
La pieve, accanto alla "curtis" e al "castrum", costituiva una componente fondamentale del sistema
insediativo medioevale. Se nel territorio incisano la "curtis" trova riferimenti toponomastici in alcune
località ("Le Corti", "Massa", "Palazzolo") e il "castrum" trova i suoi esempi principali nel "Castello di
Lancisa" (citato per la prima volta nel 1136) e nel Castello di Cappiano (citato in un documento del
1169), la pieve di San Vito sorge nei primi contrafforti collinari, a monte dell'attuale centro abitato di
Incisa. Come avveniva di solito, anche nel territorio incisano la pieve è ubicata al di fuori del castello
(Castello di Lancisa).
Citata in alcuni documenti dell'XI secolo (ma si suppone che abbia avuto un'origine più remota,
ascrivibile probabilmente all'VIII secolo), la Pieve di San Vito fu una delle più antiche chiese del
Valdarno Superiore e costituì la matrice delle numerose chiese suffraganee che sorsero poi nei suoi
dintorni. Secondo il Repetti, nel XIII secolo San Vito contava ben 12 chiese suffraganee, tra le quali
San Biagio (S.Alessandro di Incisa), San Quirico a Montefli, San Lorenzo a Cappiano, San Piero al
Terreno, San Michele a Morniano, Santo Stefano a Borri.
La chiesa prese il nome di "San Vito all'Ancisa" a seguito della costruzione del castello dell'Ancisa e
della formazione del piccolo borgo sorto a ridosso del ponte sull'Arno, primo nucleo dell'attuale centro
abitato di Incisa. Con lo sviluppo del borgo che si ebbe nei secoli successivi, stante la lontananza di
San Vito che rendeva gravosi gli spostamenti dei fedeli, venne creata la parrocchia di Sant'Alessandro;
la nuova chiesa ricevette il titolo di "pieve" nella seconda metà del XVIII secolo, mentre San Vito
venne declassata a priorìa e iniziò una lunga fase di decadenza. Intorno alla metà del XIX secolo fu
sottoposta a restauro e perse parte dei suoi caratteri romanici originari.
Oggi, grazie alla presenza del movimento dei Focolarini di Loppiano, ha recuperato un importante
ruolo spirituale.
Le case-torre
Le case-torre sono le più antiche "case da signore" che nascono quando, nel corso del XIV secolo, i
grandi capitali cittadini vengono investiti nella campagna, dando origine alla mezzadria.
"L'istituto mezzadrile, con la stipula dei contratti a breve termine, servì egregiamente ai nuovi
proprietari non coltivatori per mantenere sotto stretto controllo le terre acquistate e con la mezzadria
si sviluppò di pari passo il processo di appoderamento ".2
Viene così superato il sistema dell'agricoltura curtense, che mirava fondamentalmente a soddisfare le
modeste esigenze alimentari ed economiche locali e si sviluppa, di contro, un appoderamento sparso,
che vede le case dei mezzadri prossime ai terreni da coltivare. Accanto a queste, alcune "case da
signore", ricavate a volte da vecchie torri militari, cui seguiranno presto i primi esempi di villa
padronale.
Casa Torrione (poco esterna ai "Ripiani di mezza costa") e Casa Torricella (interna) sono due esempi
del territorio incisano che denunciano nel nome la loro origine.
2
Massimo Tarassi, "Incisa in Val d'Arno", Salimbeni, Firenze, 1985.
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Nel XIV secolo, pertanto, la collina centrale di Incisa vede la presenza della Pieve di San Vito, di
alcune "case da signore" e di vari poderi mezzadrili; nella valle, di contro, si consolida il piccolo borgo
sorto a ridosso del fiume e dominato dal castello del podestà fiorentino3.
Le grandi fattorie collinari
Le profonde trasformazioni introdotte dalla mezzadria si consolidano nel XV-XVI secolo con la
nascita della fattoria.
"Prima dei tempi rinascimentali, non solo non si è rinvenuta una contabilità d'impresa riconoscibile
come quella tipica dell'azienda fattoria, ma gli stessi documenti di natura patrimoniale parlano
sempre di "casa da signore", "da padrone" o "da hoste", "palazzo", "villa": tutti termini che stanno ad
indicare residenze padronali di campagna spesso potentemente turrite, in genere contigue ad uno o
più poderi di proprietà e corredate di servizi quali il "giardino" o "prato" e il "parco" o "selvatico"
boschivo di specie soprattutto sempreverdi introdotte artificialmente (leccio e alloro, agrifoglio e
pino), la ragnaia o il paretaio o l'uccellare per la caccia, talora il vivaio o peschiera per l'allevamento
ittico e finalmente la cappella o l'oratorio per la pratica delle funzioni religiose; in altri termini, tali
complessi padronali - che già tra Due e Trecento costituivano una rete fittissima intorno a Firenze - in
origine stanno ad indicare ruoli strettamente residenziali anziché economici. Solo successivamente,
molti di essi divennero centri di amministrazione e organizzazione della produzione dei poderi a
mezzadria, mentre tanti altri saranno declassati - per effetto del processo di ricomposizione fondiaria
delle terre in un numero sempre minore di proprietari - addirittura a case coloniche, e quindi a fulcri
direzionali delle unità poderali ".4
Con la fattoria si afferma dunque una gestione centralizzata del lavoro e del territorio agricolo, più
efficiente e più razionale rispetto a quella che prima era affidata al singolo podere gestito dal
mezzadro. La fattoria, che opera solitamente in un ambito territoriale definito, gestisce più unità
poderali contigue e determina un incremento degli investimenti nelle bonifiche, nei dissodamenti, nelle
sistemazioni idraulico-agrarie e nelle coltivazioni più richieste dal mercato: viti, olivi, giaggioli, gelsi
per la seta, grano marzuolo per la paglia con cui si realizzavano i cappelli.
Si costruiscono o si riadattano molte case padronali, spesso con giardini e viali alberati, e le si dotano
di locali per la conservazione e la trasformazione dei prodotti agricoli: così, accanto alla villa, vengono
realizzate cantine, orciaie, granai, rimessaggi, ma anche frantoi, tinaie e mulini. Accanto alla villa o
alla fattoria sono presenti botteghe da fabbro o da falegname, che svolgono funzioni di supporto alle
attività nei campi.
La dimora dei contadini, di contro, "manifesta, oltre alle ex case turrite da padrone dei secoli XIIIXIV, ridotte col tempo a fulcri direzionali di poderi, grazie alla costruzione di uno o più corpi di bassi
edifici addossati al torrione, i tipi sicuramente più numerosi di fabbricati dei tempi rinascimentali e
moderni, che si caratterizzano per la irregolarità dei vari corpi di diversa epoca, addossati l'uno
all'altro e sviluppati su più livelli, talora con disposizione intorno ad uno spazio vuoto centrale o corte
(modello a crescita continua); per lo più, tali fabbricati presentano la torretta colombaria per
l'allevamento dei piccioni e la scala esterna per l'accesso alla cucina ubicata al piano superiore. Ben
diversi appaiono il tipo della casa colonica pietroleopoldina …., consistente in edifici … a blocco
regolare con portico e loggia e spesso torre colombaria e con a parte la capanna o fienile; e il tipo
3
Firenze domina il territorio incisano fin dalla prima metà del XIII secolo, dopo avere costruito una rocca "a guisa di battifolle" sopra la
gola di Incisa.
4
Leonardo Rombai, La struttura del territorio quale chiave di lettura e di riconoscimento dei paesaggi agrari tradizionali , sta in
"Abitati, boschi, coltivi" Itinerari nelle Cinque Verdi Terre, a cura di G.C.Romby, Edizioni Firenze, Firenze, 2001.
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della casa colonica dei tempi unitari, realizzato … fino alla prima guerra mondiale, con ripetizione,
con evidente semplificazione e con modalità sempre più banalizzate, del modello lorenese …".5
Nei "Ripiani di mezza costa", le grandi fattorie che ebbero un ruolo importante nella organizzazione
del territorio e nella configurazione del paesaggio furono quelle di Loppiano, di Tracolle e de l'Entrata,
tutte caratterizzate, come appare dalla ricostruzione dell'uso del suolo effettuata tramite il Catasto
Lorenese, dalla prevalenza delle colture promiscue nella utilizzazione agricola dei terreni (lavorativo
vitato, olivato e, a volte, pioppato).
Accanto alle colture promiscue erano presenti numerosi appezzamenti di seminativo, concentrati
soprattutto tra Loppiano, Il Terraio e La Spagna, e, in misura minore, di vigne. E' da considerare,
comunque, che i filari di vite erano presenti, e in misura massiccia, nei terreni a conduzione
promiscua, dove si alternavano agli olivi.
Le aree coperte da bosco occupavano i terreni meno vocati all'agricoltura ed erano presenti in tutta la
zona: se pure con una configurazione a tratti diversa da quella attuale, formavano corridoi
sufficientemente continui lungo le valli dei torrenti.
Attraverso il Catasto Lorenese è possibile ricostruire le proprietà delle fattorie che, nei primi decenni
del XX secolo, ricadevano nei "Ripiani di mezza costa" o negli immediati dintorni.
Alla Fattoria de l'Entrata facevano capo il Podere l'Entrata, il Palazzaccio, il Giglio, Staelli, Il Terraio,
Pescina e Belprato.
Alla Fattoria di Tracolle, il Podere di Tracolle, C.Tramontana, C.Nuova, La Spagna, La Taverna, La
Fornace, Borroni.
Alla Fattoria di Loppiano, C.Nuova, il Podere di Loppiano, il Podere Belvedere (oggi C. del Pino), il
Podere La Perrica (oggi Campogiallo).
Una ulteriore grande fattoria, esterna, ma prossima, ai "Ripiani di mezza costa", controllava diversi
poderi ubicati intorno a Loppiano: era quella di Pratelli, di proprietà "Mozzi Pier Giannozzo di Giulio
Maria Giuseppe"PRATELLI, che comprendeva Poggio Pratelli, La Panca, il Torrione, la Torricella,
La Panca, Scaraggi e Il Ferraio. L'ubicazione di questi poderi, che cingevano a mo' di corona la Villa
di Loppiano, fa pensare alla possibilità di un'unica grande proprietà originaria, poi divisa nel tempo.
Nella prima parte del XX secolo si consolida il seminativo arborato con viti e olivi, coltura tipica della
mezzadria.
"Nei primi decenni del secolo si estende il seminativo arborato; nel 1929 a Incisa il seminativo si
estendeva per il 67,1% (61,3% il seminativo arborato e solo il 5,8% il seminativo semplice) e i pascoli
per l'1,2%, un dato che mette in evidenza che i terreni lavorati erano stati conquistati quasi
esclusivamente a spese del cosiddetto sodo a pastura, mentre i boschi occupavano ancora il 26,1%
della superficie territoriale. Il fatto poi che anche …. ad Incisa il "seminativo con piante legnose",
cioè la classica coltura promiscua caratterizzata essenzialmente dalla vite e dall'ulivo, fosse cresciuta
in percentuale più del seminativo nel suo complesso, testimoniava … il legame indissolubile con il
sistema poderale e i rapporti mezzadrili ".6
Prevalgono i poderi di piccole e medie dimensioni, le cui superfici sono comprese tra 1 e 10 ettari. E'
solo dopo l'abbandono delle campagne che la dimensione media cresce, passando a 5-10 ettari nel
1961 e a 10-15 ettari nel 1970.
5
Leonardo Rombai, op.cit.
Massimo Tarassi, op.cit.
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La mezzadria ha ormai ceduto il posto alla conduzione con salariati: le grandi aziende si riorganizzano
e danno ulteriore sviluppo alle colture specializzate.
Negli anni '60, tra le aziende agricole, si afferma l'esperienza originale della Cooperativa di Loppiano,
legata al movimento dei Focolarini e destinata, nei tempi recenti, a ricoprire un ruolo importante nella
gestione e nella riorganizzazione del territorio.
La Fattoria di Loppiano
"La stessa antica denominazione di Loppiano, Scergnano o Schergnano (toponimo disueto da tempo),
può essere ricondotta ad un prediale romano, ma anche ad una originaria matrice etrusca dal nome
della famiglia Scire di Chiusi ".7
All'inizio del XIX secolo la fattoria risulta proprietà di Margherita Strozzi nei Nuti nata Lenzoni.
Nel Catasto Lorenese appare costituita da due corpi di fabbrica disposti ad L, con il lato più lungo
prospiciente Via della Torricella; mancava l'altra ala, che compone l'attuale complesso e che verrà
realizzata successivamente su una striscia di terreno utilizzata come orto. L'edificio è censito come
"palazzo con corte": i due corpi di fabbrica delimitano uno spazio censito come "prato",
presumibilmente sistemato a giardino. Le "pertinenze" dirette del fabbricato stanno immediatamente a
ridosso del corpo di fabbrica più corto, in adiacenza al "prato" (quella interna) e in corrispondenza
dell'accesso alla villa (quella esterna). Poco discosta dalla villa è presente una fornace di mattoni I
terreni all'intorno sono condotti a seminativo e a seminativo con olivi.
Successivamente viene costruita la terza ala dell'edificio, nella parte interna rispetto alla strada. Nei
tempi recenti questo ulteriore corpo di fabbrica viene prolungato e collegato, tramite un muro, al corpo
di fabbrica già presente lungo la strada. La villa assume così l'attuale configurazione a corte, che
impedisce introspezioni visive all'interno del giardino.
Nei primi decenni del '900 la villa è proprietà degli Occhini e, oltre all'olio, produce una discreta
quantità di vino che viene immessa nei mercati. Il vino, d'altra parte, costituì fino al 1940 uno dei
prodotti più qualificati e consistenti delle fattorie incisane: oltre a Loppiano, producevano vino le
fattorie de l'Entrata dei marchesi Bagnesi Bellincini, quella di Pratelli di Giovanni Vasarri e dell'Ing.
Dalgas, quella di Tracolle del marchese Niccolini, quella di Castagneto degli eredi Righi, quella dei
Bagnani dei marchesi Medici, quella di Sant'Antonio di Raffaello Pegna.
Negli anni '60 la fattoria di Loppiano viene donata dai Falonari, ultimi proprietari, al movimento dei
Focolarini.
La Fattoria di Tracolle
La villa, di aspetto settecentesco, con scalone monumentale a doppia rampa, portico e orologio dipinto
sulla facciata, in passato fu di proprietà della potente famiglia locale dei Da Filicaia. Passò poi ai
Marchesi Niccolini che la tennero fino ai primi anni '60 del XX secolo.
Nel Catasto Lorenese del 1820-1830 il corpo principale della villa appare simile all'attuale e viene
censito come "villa e corte"; addossata alla villa, lungo il lato prospiciente la strada, è presente la casa
colonica, con annesso il frantoio. Successivamente il frantoio sarà spostato nell'ala posteriore,
opportunamente prolungata per ospitare anche le stalle. Poco discosto dalla villa e a monte di questa,
ma pur sempre vicino alla strada, è presente un ulteriore "fabbricato con corte", poi ampliato e adibito
a tinaia. Sul lato opposto della strada sta la cappella. Il Catasto Lorenese non censisce giardini o
7
Massimo Tarassi, op. cit.
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"prati": all'intorno degli edifici sono infatti presenti solo vari appezzamenti di terreno utilizzati come
orti o come "sodo con gelsi".
Intorno alla metà del XX secolo la Tenuta di Tracolle era costituita "da n°23 poderi, situati in una
vallata collinosa, avente altezza variabile da m.300 a m.400 sul livello del mare, da un vasto
fabbricato a due piani e sottosuolo ad uso di villa per abitazione padronale e locali di
amministrazione e gestione dell'azienda agraria (cantina, orciaia, frantoio, magazzini, ecc.) nonché
altri fabbricati staccati ad uso di tinaia, magazzini, stanze per il fabbro e il falegname. Comprese
nella proprietà esistono: una cappella padronale, una fornace, oggi parzialmente demolita, alcuni
locali contigui ai fabbricati colonici dei poderi Lago e Taverna, adibiti a scuola ed a abitazione
dell'insegnante, un piccolo fabbricato denominato "Il Piano", situato nel podere Casavecchia. ".8
Complessivamente la tenuta aveva una estensione di 250 ettari e comprendeva, oltre alla villa e alla
fattoria, i seguenti poderi: Podere Pietramala, Podere Borrone, Podere La Spagna, Podere Lago,
Podere Taverna, Podere Macione, Podere Noce, Podere Sant'Antonio, Podere Casavecchia, Podere
Casavova, Podere Tracolle, Podere Buca, Podere Bacìo, Podere Tramontana, Podere Cerchiaia,
Podere Cantina, Podere Tabernacolo, Podere Cioffoli 1°, Podere Cioffoli 2°, Podere Pietraia, Podere
Casabianca, Podere La Costa, Podere Il Palco.
Quando nel 1944 morì il Marchese Giovan Battista Niccolini, la proprietà passò ai figli e ai nipoti,
che la divisero in lotti di pari valore e procedettero alla assegnazione dei lotti per sorteggio.
Nel 1962 una parte della tenuta diviene proprietà della società svizzera Zanchi Vins S.A..
Nel 1973 la Cooperativa Loppiano Prima acquista dalla Zanchi Vins i Poderi Sant'Antonio, Noce,
Macione, La Cantina, Tabernacolo, Cioffoli 1° e Cioffoli 2°, per una superficie complessiva di circa
78 ettari.
La Fattoria de l'Entrata
La villa-fattoria dell'Entrata fu costruita nel 1578 dai Bagnesi, ricca famiglia di mercanti e banchieri
fiorentini. Quando si estinsero, nel 1635, i Bagnesi chiamarono alla successione i Bellincini di
Modena, che rimarranno proprietari del complesso fino agli anni '60 del XX secolo.
La villa, che prende il nome dalla collocazione lungo la strada di collegamento tra Incisa e il Chianti,
era costituita da un corpo di fabbrica rettangolare, con accesso principale dalla strada che dal
fondovalle, passando per Bifolcheria e San Lorenzo a Cappiano, risaliva verso la dorsale occidentale.
Nella parte nord-occidentale dell'edificio venne costruita la tinaia che ancora oggi è presente. Nella
prima metà del XVIII secolo fu fondata la Cappella di San Francesco, che conserva gli arredi originari
e che si affaccia sul cortile occidentale.
Nel Catasto Lorenese, della prima metà del XIX secolo, il complesso della villa si presenta abbastanza
simile a quello attuale, mentre la rete viaria risulta alquanto più articolata. Il corpo principale della
villa risulta perfettamente rettangolare; la tinaia, che ne costituiva l'ala occidentale, fronteggiava il
podere l'Entrata, delimitando con esso l'attuale cortile (già denominato piazzale o prato).
Nelle vicinanze erano presenti due piccole costruzioni che poi sono andate distrutte (una capanna a est,
in corrispondenza dell'attuale vigna, l'altra a ovest, di fronte al podere).
8
Da "Relazione di stima e progetto di divisione dei beni immobili di proprietà degli Eredi del N.H. M.se Giovan Battista Niccolini,
1944.
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Le immediate pertinenze, oltre al già citato cortile, comprendevano a ovest un orto, di forma quadrata
e recintato con un muro, a sud un piccolo giardino rettangolare e a ridosso di questo, affacciato sulla
valle del Fosso dell'Entrata, un terreno di forma triangolare, anch'esso recinto da muri e utilizzato
come vigna.
Nelle cartografie originali ottocentesche, ritrovate tra i documenti della villa, compaiono alcune
variazioni nella consistenza degli edifici e nella sistemazione delle pertinenze. In particolare compare
il corpo di fabbrica che anche oggi è presente a nord-est del fronte principale; la costruzione, utilizzata
per usi agricoli, è stata demolita e ricostruita nella seconda metà del XX secolo, purtroppo con caratteri
architettonici e formali poco coerenti con l'edificio principale. Nel piccolo giardino meridionale
compare una costruzione che verrà utilizzata come limonaia. L'orto occidentale e la vigna meridionale
appaiono perimetrati e attraversati da vialetti che delimitano spazi con forme assolutamente regolari,
tanto da far pensare ad un uso non solo utilitaristico (orto, vigna), bensì anche di loisir . L'attenzione a
una certa ricercatezza formale nell'assetto di questi spazi è del resto documentata dal fatto che ancora
oggi, nell'orto, permangono i due bassi muri che delimitavano il vialetto centrale; tali muri, oltre a
dividere l'orto in due parti simmetriche, sostenevano un pergolato di legno che da una parte garantiva
l'ombra, ma che dall'altra impreziosiva lo spazio, rendendolo simile a un vero e proprio giardino.
Un documento originale del 1877 ci informa che la tenuta dell'Entrata si componeva "di dodici Poderi,
di un Molino, di vari Boschi, di una Villa con Locali di amministrazione e Terre a mano, nonché di
una casa per il Guardiaboschi e due pigionali". 9
I dodici poderi erano l'Entrata, la Cantina, il Prataccio, il Molino10, Staelli, Morniano, Faldossi, il
Poderaccio, Fornacetta, il Colle, Eggi, il Pescinale11.
La tenuta si estendeva su oltre 214 ettari e, pur avendo la maggioro parte dei terreni all'intorno della
villa, interessava anche i comuni di Figline e di Rignano.
4. La viabilità storica.
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"Stato di consistenza della fattoria dell'Entrata redatto dall'Ingegnere Leonida Biscardi il 15 marzo 1877"
L'attuale Mulino del Ramarro.
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Nel Comune di Rignano.
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Il sistema viario che ha dato luogo all'insediamento storico dei "Ripiani di mezza costa" si appoggiava
sulla antica Cassia Adrianea12 ed era costituita da tre tracciati principali, che risalivano dalla valle
dell'Arno lungo i crinali della collina.
Il primo tracciato risaliva da Spedaletto e Palazzolo, che nei toponimi denunciano ancora oggi l'antico
ruolo di postazioni medioevali; dopo aver toccato Bifolcheria e San Lorenzo a Cappiano, sbarcava
sull'ampio pianoro de l'Entrata, per poi proseguire verso Castagneto e raggiungere la dorsale che
divide il Valdarno Superiore dal Chianti.
Sembra che dalla posizione strategica lungo la strada, porta di accesso al Valdarno (secondo alcuni al
Chianti), abbia tratto origine il nome della villa-fattoria de "l'Entrata".
Il secondo tracciato risaliva dal Burchio verso Tracolle, dove poi piegava verso sud-ovest diramandosi
in due bracci: uno proseguiva verso la parte alta della dorsale, l'altro verso Pratelli. A Tracolle, oltre
che dal Burchio, si poteva salire anche da Incisa.
Il terzo tracciato collegava il castello di Incisa con San Vito e Loppiano. Qui, stante la favorevole
morfologia dei terreni, pressoché pianeggianti, la strada si diramava in più direzioni. Una di queste, in
particolare, tagliava trasversalmente il piatto crinale di San Vito e Loppiano per raggiungere
Torricella; dopo avere attraversato il Fosso delle Campane, superando una vallecola ancora poco
profonda, risaliva fino alla strada per Tracolle.
La viabilità di impianto storico preottocentesco si caratterizzava, dunque, come viabilità di crinale.
Solo dove la piattezza dei crinali consentiva attraversamenti trasversali, senza la necessità di tagliare i
versanti e senza il rischio di innescare processi di instabilità, la viabilità cambiava tipologia.
L'antica maglia viaria conserva ancora, per la massima parte, i vecchi tracciati e costituisce la viabilità
principale di accesso e di distribuzione nei "Ripiani di mezza costa". I periodi recenti hanno introdotto
pochi tratti secondari, con funzioni di penetrazione all'interno delle aree più intensamente utilizzate.
Le dimensioni della sezione stradale erano anticamente ridotte: non più di 2,50-3,00 ml. di solito, in
virtù del servizio che assolvevano e che doveva garantire il passaggio dei carri e dei calessi.
Oggi, buona parte delle strade locali conserva le stesse dimensioni e mantiene il fondo bianco. E' solo
lungo le direttrici principali (strade comunali) che solitamente si è assistito ad un ampliamento della
carreggiata (senza superare tuttavia i 5,00-6,00 metri) e al rifacimento del fondo stradale (adesso
asfaltato)
Si può pertanto affermare, a buona ragione, che, nella "struttura profonda del territorio", la viabilità
storica costituisce la componente antropica che meglio ha resistito alle trasformazioni introdotte nel
periodo storico recente. Ed è indubbiamente la "resistenza" della maglia stradale, che mantiene con
gran parte delle costruzioni rapporti stretti di reciprocità, a garantire, per buona parte, la permanenza
della qualità paesaggistica nei "Ripiani di mezza costa".
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V. Piano Strutturale, Quadro Conoscitivo di Riferimento, Prima parte, CapitoloPrimo, Punto 3.1. "Formazione ed evoluzione del
sistema insediativo".
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5. La struttura profonda del territorio
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La struttura profonda del territorio, che è matrice degli assetti paesaggistici determinatisi nella storia
recente, vede dunque, nei "Ripiani di mezza costa":
-
-
-
tre crinali principali, che si distaccano dalla dorsale orientale e, in virtù dell'origine fluvio-lacustre,
si mantengono piatti e semipianeggianti confondendosi coi versanti (tali crinali sono più irti e
accentuati immediatamente a monte e a valle dei "Ripiani di mezza costa");
quattro corsi d'acqua, che scendono ad andamento pressoché parallelo a nord-ovest e a sud-est, con
scarsa capacità incisiva nei terreni in virtù della scarsa acclività del percorso (immediatamente a
valle dei "Ripiani di mezza costa" questi torrenti scaveranno, invece, solchi profondi prima di
raggiungere il fondovalle dell'Arno);
una maglia stradale che si snoda lungo i crinali e che attraversa i versanti solo là dove le pendenze
trasversali si fanno quasi nulle;
un sistema insediativo arroccato sulle fasce di crinale, sui poggi, sui contrafforti, sulle groppe
collinari e comunque sulle aree che, in vario modo, si trovano in posizione rialzata rispetto
all'intorno.
6. L'evoluzione recente del sistema insediativo.
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Fino alla seconda guerra mondiale gli assetti territoriali e paesaggistici dei "Ripiani di mezza costa"
sono stati fortemente condizionati dalla struttura profonda del territorio.
Le grandi fattorie collinari hanno continuato a organizzare il sistema poderale e l'uso agricolo dei
terreni. La maglia viaria si è infittita con nuovi tracciati che hanno consentito una migliore
penetrazione nei campi, mentre l'unico nuovo tratto di rilievo è il congiungimento tra la strada di
Tracolle e quella dell'Entrata, attraverso la valle del fosso omonimo.
Il sistema insediativo cresce poco e la crescita riguarda, per lo più, l'ampliamento di edifici o di nuclei
esistenti. Le nuove costruzioni seguono rigorosamente le regole insediative precedenti, attestandosi
sulle parti più elevate del territorio.
Significativa è la formazione del nucleo di Loppianuzzo, che dà origine a un piccolo borgo rurale
secondo modelli che non erano presenti nella zona di studio.
La prima vera profonda trasformazione, che segue regole completamente avulse, si ha a partire dagli
anni '60, con la nascita e lo sviluppo del Centro Internazionale di Studi ed Esperienze Sociali dei
Focolarini.
Il Centro ha in donazione la Fattoria di Loppiano e avvia un'esperienza originale di accoglienza, di
studio e di lavoro, coinvolgendo migliaia di persone provenienti da tutto il mondo e legandosi al
territorio attraverso la costituzione di cooperative agricole, che ben presto controlleranno buona parte
del settore centrale e meridionale dei "Ripiani di mezza costa", inglobando anche la Fattoria di
Tracolle.
Alla buona gestione dei terreni agricoli, che porta alla valorizzazione produttiva secondo le regole
dell'agricoltura biologica, non corrisponde tuttavia un buon esito negli effetti paesaggistici dello
sviluppo insediativo.
Le nuove costruzioni vengono realizzate con caratteri completamente avulsi dal paesaggio: salta il
rapporto diretto con la strada e gli edifici sorgono all'interno delle aree; si realizzano piccole
lottizzazioni con tipologie importate da altri contesti territoriali (Loppiano, Campogiallo); in qualche
caso ci si allontana dalle fasce di crinale (Pescina) e si costruiscono grandi edifici fuori scala
(Loppiano, Pescina) anche a ridosso delle scarpate dei torrenti (complesso produttivo di Pescina); le
strutture sono spesso prefabbricate, le finiture e i materiali non sempre appropriati.
Per mimetizzare l'impatto visuale delle costruzioni si ricorre al verde ornamentale, piantando però
alberi e arbusti che poco hanno a che fare con la vegetazione locale storicizzata: i cipressi dell'Arizona,
le tuie, i cedri, anziché smorzare gli impatti negativi delle costruzioni creano così ulteriori elementi di
turbativa.
A compensazione parziale dei nuovi insediamenti, sta la cura ammirevole con cui viene manutenuto
tutto il complesso di Loppiano. Segno di un attaccamento al territorio che, se ben orientato, potrebbe
produrre effetti positivi attraverso interventi riparatori futuri.
Se Loppiano è l'effetto più evidente della perdita di regole nella costruzione del paesaggio, altri
fenomeni, più limitati nello spazio, ma non meno dirompenti, si manifestano in alcune parti della zona.
E' il caso dei grandi annessi agricoli, realizzati negli anni '60/'70, che interessano soprattutto l'Entrata
e C. del Pino.
All'Entrata, nel pianoro antistante la villa, si costruisce un gruppo di grandi rimessaggi, per lo più in
materiali precari, che viene dismesso dopo pochi anni; allo stato attuale, stante il sostanziale
abbandono del complesso, gli annessi svolgono funzioni assolutamente marginali. Stesso destino
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interessa il Mulino del Ramarro, che ricade da sempre nella proprietà dell'Entrata. La grande
costruzione, sorta a ridosso del mulino e creata per l'allevamento suinicolo, è oggi inutilizzata.
A C. del Pino, sui versanti del crinale che scendono verso il Fosso delle Campane, sono stati realizzati
due capannoni per il ricovero di attrezzi e animali. Oggi anche queste costruzioni risultano
abbandonate.
La presenza dei grandi annessi dismessi, spesso poco funzionali alle nuove esigenze agricole e a volte
alienati a proprietari diversi dagli operatori originari, pone, stante l'attuale normativa regionale in
materia, il problema della loro riutilizzazione.
I nuovi proprietari, infatti, ottenuta la deruralizzazione degli annessi, ne propongono usi diversi da
quelli agricoli. Sovente il riutilizzo a fini non agricoli comporta la demolizione degli annessi e la
ricostruzione delle relative volumetrie per edifici ad uso residenziale, turistico, ricreativo.
Diventa allora fondamentale guidare i nuovi impianti, soprattutto nelle aree ad alto pregio
paesaggistico, onde evitare che le nuove opere siano realizzate in assenza di regole paesaggistiche.
Ogni paesaggio ha infatti una propria capacità di carico, superata la quale cambia inevitabilmente i
connotati.
Accanto ai grandi annessi, nei tempi più recenti è cresciuto il fenomeno dell'agricoltura amatoriale.
Le vecchie abitudini contadine della popolazione che si è spostata nei centri urbani, l'attrattiva della
campagna, l'esigenza di un orto personale, spesso la voglia di una struttura ricreativa per la
scampagnata della domenica, producono la nascita di vere e proprie baraccopoli. Il fenomeno ha
rilevanza sociale, poiché riguarda fette di popolazione che non possono permettersi la casa in
campagna e che soddisfano in questo modo il bisogno di evasione.
Nei "Ripiani di mezza costa", se pure con effetti più contenuti rispetto ad altre aree comunali e
metropolitane, il fenomeno dell'agricoltura amatoriale è presente e produce situazioni locali di
degrado. Ai piccoli annessi si sommano infatti recinzioni incongrue, attrezzature improvvisate e
sistemazioni disordinate nei terreni.
7. Il Programma di Paesaggio
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Il Programma di Paesaggio, attraverso analisi diagnostiche riferite al sistema idrogeomorfologico, al
sistema naturalistico, al sistema insediativo e al sistema agronomico, propone una interpretazione del
paesaggio e un sistema di regole finalizzate a gestire le sue trasformazioni in senso qualitativo.
La lettura e l'analisi diagnostica del paesaggio viene operata attraverso gli elaborati che costituiscono il
Quadro Conoscitivo di Riferimento.
Negli elaborati grafici di sintesi vengono proposte tre tavole che contengono utili indicazioni per i
futuri progetti di trasformazione territoriale:
-
la "struttura profonda del territorio", che individua le componenti maggiormente identificative del
paesaggio, in quanto più resistenti alle trasformazioni operate negli ultimi secoli, e che
costituiscono i capisaldi a partire dai quali si dovranno valutare le trasformazioni future;
-
la carta "Qualità, degrado e problematiche del paesaggio", che evidenzia le componenti da
conservare, quelle da rimuovere e le problematiche da risolvere (la carta opera una classificazione
"realistica", inserendo tra gli elementi problematici gli edifici recenti di Loppiano, che in realtà
costituiscono forti detrattori della qualità paesistica. Poiché tuttavia appare improbabile una loro
rimozione nei tempi brevi, viene così segnalata l'esigenza di operare quanto meno interventi di
contenimento visuale);
-
la "Rete degli elementi lineari di vegetazione" individua gli elementi portanti della rete di relazione
ecologica esistenti o da ricostituire. Redatta sul supporto della ortofotocarta, la tavola evidenzia i
tratti di vegetazione ripariale da ricostituire lungo il reticolo idrografico e il sistema di siepi o di
filari alberati da ricostituire lungo i sentieri e le strade.
Le regole sono contenute nelle "Norme Regolamentari" dei "Ripiani di mezza costa", che costituiscono
una specifica sezione del Regolamento Edilizio Comunale. Attraverso un sistema di indirizzi e di
norme, il "Sistema delle regole, orienta verso obiettivi di qualità paesaggistica gli interventi di
trasformazione territoriale consentiti dal Regolamento Urbanistico.
Per raggiungere i suoi risultati, il Programma di paesaggio necessita di supporti che non possono
limitarsi agli strumenti normativi. Se questi infatti possono controllare, con una gestione oculata, le
trasformazioni del sistema idrogeomorfologico e del sistema insediativo, difficilmente riusciranno a
gestire e a orientare le trasformazioni che interesseranno il sistema naturale e il sistema agronomico.
E' pertanto necessaria un'azione di stimolo e di sostegno da parte della Amministrazione Comunale,
capace di convincere i soggetti sociali che operano nei Ripiani di mezza costa sulla convenienza di
operare all'interno di un contesto ad alta qualità paesaggistica.
Questa convenienza non è solo estetico-formale, né solo storico-culturale; essa riguarda invece la
qualità della vita e la competitività economica.
La presenza di pochi soggetti che coprono la quasi totalità della zona facilita questo compito e può
funzionare come volano per trascinare i piccoli proprietari.
A questo scopo diventano fondamentali le politiche e le azioni concertate, le dimostrazioni esemplari,
la diffusione del savoir faire .
I Progetti di paesaggio, che dovranno essere concordati tra l'Amministrazione comunale e i soggetti
privati, costituiscono un buon banco di prova.
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