8. Europa, democrazia e libertà / Stefano Collina

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8. Europa, democrazia e libertà / Stefano Collina
Agorà
Stefano Collina - Europa, democrazia e libertà
Europa, democrazia e libertà
di Stefano Collina,
Senato della Repubblica
L’Unione Europea è un’alleanza economica e politica, unica
nel suo genere. Nasce nel 1957 come Comunità Economica
Europea dalle rovine della II Guerra mondiale con l’obiettivo
di promuovere innanzitutto la collaborazione economica tra i
paesi, partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza che riduce i rischi di conflitti.
Dal progetto del grande mercato unico si sviluppa velocemente un’organizzazione attiva in una serie di settori, dagli aiuti
allo sviluppo alla politica ambientale, trasformando nel 1993
la CEE in Unione Europea (UE), questa volta sulle rovine del
muro di Berlino, ultimo simbolo della supremazia di uno stato
sugli altri e della divisione data dai confini. Il Trattato di Maastricht introduce l’unione politica, nei campi della giustizia e
affari interni e della Politica estera e di sicurezza comune e
stabilisce la convergenza verso la moneta unica.
E fin qui è storia. Una storia che ci è stato dato il privilegio di
vivere e di agire anche se in questi giorni viene da pensare che
abbiamo messo in piedi un castello dei sogni dove il benessere
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era divenuto regola e la pace un diritto acquisito che ora vediamo rapidamente dissolversi, travolto da terremoti socio-economici che l’UE ha in parte provocato e ora non riesce a controllare.
E non mi riferisco solo all’ultima grande crisi, quella dei rifugiati-immigrati. Penso alle guerre che abbiamo avuto in casa
negli anni ’90 con i Balcani in fiamme e l’Europa divisa e incapace di evitare gli stermini di civili e le violenze; e penso anche
alla, tuttora in corso, guerra in Ucraina.
Il Papa ha recentemente detto che stiamo vivendo la terza
guerra mondiale: non è la guerra tradizionale con un epicentro e gli eserciti che assediano; non è la guerra fredda delle diplomazie né la guerra civile dei Balcani: è una guerra a pezzetti,
con echi di violenze da ogni dove e gente in fuga che cerca
scampo. E l’Europa, nata per scongiurare le guerre e costruire
un fronte comune democratico, luogo di libertà e di valori, terreno di coltura per la pace e la giustizia sociale è in grande difficoltà e non riesce ad articolare una risposta comune e all’altezza dei principi dei suoi trattati.
Potrebbe essere a causa di un deficit democratico visto che
l’Unione europea e le sue istanze soffrono di una mancanza di
legittimità democratica e sembrano inaccessibili all’europeo
cittadino a causa della complessità del loro funzionamento
mentre l’europeo elettore non trova una modalità efficace per
respingere un “governo” che non gradisce e per cambiare in
qualche modo il corso delle politiche e della politica. Il deficit
sembra essere dunque l’assenza di una politica europea chiara
e commestibile per chi la vive.
Il IX Rapporto su Sicurezza e insicurezza sociale in Italia e in
Europa, realizzato da Fondazione Unipolis, Demos&Pi e Osservatorio di Pavia e presentato qualche settimana fa, mostra come le dinamiche della crisi, insieme al lungo dibattito sulle sue
origini e sulle strategie più adeguate per affrontarla, hanno deteriorato il feeling tra gli europei e l’Europa, le sue istituzioni, i
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suoi riferimenti costituitivi. Da patria dell’europeismo, l’Italia si
riscopre così - almeno tra i principali membri del club dei 28 - ad
esprimere oggi il tasso più elevato di euro-scetticismo.
Appena un italiano su tre dichiara di riporre (molta o abbastanza) fiducia nell’Ue (33%) - lo stesso dato rilevato in Gran
Bretagna (34%) ma circa dieci punti sotto Francia (42%) e
Spagna (45%) e addirittura venti sotto la Germania (53%). Sul
banco degli imputati, troviamo innanzitutto uno dei principali pilastri sui quali è stato costruito, negli ultimi anni, l’edificio
europeo: la moneta unica. Si è ridotto ad appena il 16% il numero di persone che associano l’introduzione dell’euro (esclusivamente) ad effetti positivi sull’Italia e sulla sua economia.
La parte più ampia degli intervistati ritiene, comunque, la
moneta unica “una necessità”. Ma pensa, allo stesso tempo,
che abbia creato complicazioni. E il rimanente 30% registra
solo ricadute di tipo negativo dal momento dell’abbandono
della valuta nazionale. Anche in questo caso, il giudizio italiano è quello più severo: in Germania, Spagna e Francia, le spinte anti-euro si fermano infatti al 19-20%. Mentre l’82% dei
cittadini d’Oltremanica - già alle prese con il dilemma Brexit boccia nettamente il possibile ingresso nell’area-Euro.
A far vacillare ulteriormente il progetto europeo sono, inoltre,
le altre grandi questioni “emergenti”: il terrorismo e l’immigrazione. Questioni diverse, ma che si intrecciano nel dibattito pubblico e nelle scelte dei governi. Questioni che riguardano i confini, interni ed esterni, dell’Europa. I confini che separano Noi e gli Altri: gli stranieri che arrivano da altri paesi, da
altri continenti, in fuga dalle guerre e da condizioni di miseria.
Un tema esploso, nel corso del 2015, per effetto dell’emergenza profughi che premono ai nostri confini, via mare e via terra.
Nel corso degli ultimi dodici mesi, gli atteggiamenti degli italiani nei confronti dell’immigrazione e dell’accoglienza sono
stati soggetti ad un andamento altalenante, determinato da
vere e proprie ondate emotive, anche influenzate dal terrore
collegato ai grandi attentati nel cuore dell’Europa, che in questi giorni ha nuovamente scosso le nostre comunità.
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Scrive Ilvo Diamanti a commento di questa ricerca: “L’insicurezza “globale” riflette anche l’elevato deficit di fiducia nei confronti delle istituzioni, anche l’Unione Europea. Gli italiani risultano i più “sfiduciati” d’Europa. Così si spiega, in parte, l’insicurezza globale della nostra società. Più dei cittadini di ogni altro paese,
infatti, gli italiani si sentono insicuri perché non hanno istituzioni
a cui affidarsi. Di cui “fidarsi”. Né lo Stato né l’Europa.
Così, più dei cittadini degli altri paesi, gli italiani chiedono di ripristinare i controlli alle frontiere. È ciò che pensa una larga maggioranza.
Che spinge, dunque, magari in modo non del tutto consapevole, per la
fine di Schengen. E dell’Unione Europea. Accettata, d’altronde, per
paura (di essere esclusi) più che per convinzione. Gli italiani: vorrebbero “chiudersi” di nuovo, per paura del mondo in casa nostra”.
La disaffezione nei confronti dell’Europa è emersa dalla bassa
affluenza alle ultime tornate elettorali che hanno raggiunto
un minimo storico, nel 2009, con una media di appena il 43%
di affluenza mantenuta anche nelle ultime elezioni, quelle del
2014. Tanto che José Manuel Barroso, già presidente della
Commissione Europea, aveva sostenuto che l’elezione europea
poteva diventare “un festival di rimproveri” infondati contro
l’Europa. Certo è che un’affluenza sempre in calo dal 1979
non da molte speranze al sogno europeo, almeno com’è stato
realizzato finora.
Indubbiamente dal 1957 ad oggi sono stati compiuti notevoli
avanzamenti, anche nel senso di una reale integrazione politica in vista di una futura Europa federale.
E’ stata per esempio affrontata la questione della legittimità
democratica nel processo di integrazione europea (trattati di
Maastricht, Amsterdam, Nizza e Lisbona) che ha portato
maggiori poteri al Parlamento europeo (PE) ed esteso le aree
in cui aveva poteri decisionali congiunti con il Consiglio. Di
conseguenza, il Parlamento europeo si è evoluto da assemblea
consultiva a colegislatore e ha visto rafforzati i suoi poteri finanziari, legislativi e di vigilanza, oltre ad aver acquisito una
notevole influenza nella nomina della Commissione e del suo
presidente.
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È stata creata l’iniziativa dei cittadini europei e si è riconosciuta l’importanza del dialogo tra la società civile e le istituzioni
europee e alcune sessioni del Consiglio sono state rese pubbliche per migliorare l’informazione dei cittadini.
Ma, paradossalmente, tanto più la UE tende a costituirsi come
stato sovranazionale, tanto più crescono le spinte contrarie dettate da sospetto, indifferenza, distanza. Le difficoltà che da più
parti vengono dichiarate riguardo all’assetto democratico dell’Unione Europea hanno natura insita nel processo e ai cittadini
non è chiara l’azione che si fa per rendere la casa europea una
cosa comune e non un condominio litigioso e pro domo sua. In
particolare, l’Unione Europea, pur avendo in sé la vocazione politica, si è tuttavia strutturata a partire da esigenze di politica
economica. Lo sfasamento tra questi due piani rappresenta un
problema, se non altro perché lo scarso peso della componente
politica democratica nelle decisioni dell’Unione Europea rischia
di delegittimarne l’operato agli occhi dei cittadini, facendo apparire (magari a torto) certi provvedimenti come dettati da una
volontà di élite distante dai reali bisogni della popolazione.
Forse causa l’allargamento, l’Europa ha rinunciato a portare
avanti un indispensabile processo di approfondimento e aggiornamento. E non ha ancora avuto la forza di riprenderlo in
maniera adeguata.
Tra i Paesi aderenti sussistono dei legami diplomatici, lontanissimi da quelli previsti in un’eventuale federazione europea.
Dunque la UE non è, fino ad ora, nulla di diverso rispetto a una
qualsiasi organizzazione internazionale, a eccezione che per
l’esistenza (da non sottovalutare) di una moneta unica interna.
I meccanismi di nomina dei delegati nei vari organi dell’Unione
sono estremamente complessi e in alcuni casi eterogenei nei
diversi Paesi aderenti: i membri della Commissione, ad esempio, sono scelti dai singoli governi in carica, ma spesso il loro
mandato non corrisponde cronologicamente alla vita dell’esecutivo che li ha promossi; il Consiglio dei Ministri è composto
solo dagli esecutivi in carica in un dato momento, cosicché le
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forze della minoranza sono completamente estromesse; infine, il Parlamento Europeo, eletto direttamente dai cittadini
dell’UE, non gode di reale potere legislativo, che compete soprattutto al Consiglio, bensì possiede una serie di prerogative
complesse e generalmente dai contorni piuttosto sfumati.
Ma – ed è sempre la ricerca Demos&Pi a dimostrarlo - le generazioni più giovani, cresciute con l’euro e con l’Erasmus stanno costruendo una comunità europea che si definisce tale. Dovremo a loro se il progetto europeo si compirà con successo e
procederà verso più solide prospettive di integrazione, sussidiarietà, coesione sociale e politica. Dobbiamo già a loro se
una parte cospicua di popolazione che abita il Vecchio continente si apostrofa come europea e a loro pure la disinteressata
mobilità tra frontiere che hanno messo in pratica una Schengen che sembrava un’araba fenice.
E che dire della progettualità dei fondi sociali europei che aiuta a individuare sacche di bisogni che l’Europa può soddisfare
con più lungimiranza e a formare competenze sulle nuove
convivenze e modalità di crescita che difficilmente si avrebbero con il semplice studio nazionale. O ancora la interculturalità che si genera spontaneamente tra generazioni che stanno
crescendo insieme parlando inglese.
L’Europa è un bel sogno, non è un’utopia. Può e deve avere un
ruolo nella gestione dei beni comuni e nell’indicazione di strade atte a preservarne un uso democratico e sostenibile; può e
deve avere un ruolo sulla reale integrazione tra popoli perché
nei suoi confini sono nate e cresciute grandi civiltà e ancora i
segni e la cultura di questi avi permeano la nostra convivenza,
oltre alla nostra storia; possiamo indicare vie nuove anche per
la coesione tra culture e costruire una vera casa comune, dove
tolleranza, rispetto e curiosità siano i binari su cui viaggiano
le nostre relazioni.
L’Europa può e deve guidare una vera salvaguardia del patrimonio ambientale perché ha la capacità di comprendere la tragica portata di un fallimento in questo campo, un fallimento
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che non abbiamo il diritto di trasmettere ai nostri figli, rubando loro la possibilità di tentare un’inversione di marcia. (La
succitata ricerca Demos&Pi mostra anche i dati positivi dell’attenzione per l’ambiente e la sostenibilità delle giovani generazioni).
De Gasperi diceva che la politica è l’arte del realizzare: grazie
alla politica i progetti diventano pratiche, le idee trasformazioni sociali e progresso economico. Anche l’Europa è politica
e non deve perdere di vista la sua funzione di trasformazione
che vuol dire miglioramento della convivenza tra le persone e
le cose e costruzione di strumenti perché la società sia libera
ed equa, democratica e responsabile.
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