G. BERTI, Pisa: ceramiche e commerci (2° metà X - 1° metà
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G. BERTI, Pisa: ceramiche e commerci (2° metà X - 1° metà
PISA: CERAMICHE E COMMERCI (2° METÀ X-1° METÀ XIV S.). di GRAZIELLA BERTI Il titolo di questo intervento necessita di preliminari precisazioni, prima di affrontare, pur se in modo molto sintetico, alcune specifiche questioni. – I prodotti presi in considerazione sono ceramiche con rivestimenti vetrificati, più o meno ricche di colori e di ornamenti, eseguite con varie tecniche decorative, sia per quanto concerne quelle importate, sia quelle prodotte localmente ed esportate. L’avere concentrato l’attenzione su tali manufatti non è casuale, ma è suggerita dal fatto che questi sono i più studiati e testimoniano aspetti particolari di materiali creati, prevalentemente, per arredare le mense. La differenza, rispetto ai contenitori, spesso privi di coperture, adibiti al trasporto di merci di vario genere, è sostanziale. Sono infatti le ceramiche stesse a costituire la merce immessa sul mercato e non è il contenuto a determinarne in qualche modo la diffusione. Per rimanere alla diffusione delle ceramiche come tali, un allargamento della panoramica dovrebbe coinvolgere, per un confronto, altri tipi non rivestiti o semplicemente invetriati, sia aperti che chiusi, fra i quali boccali e brocche da dispensa o da cucina (per considerazioni su prodotti pisani cfr. ad es. BERTI-GELICHI 1995a), ma anche lucerne o altro. Per questi però il quadro è nel complesso ancora poco preciso, almeno nei risvolti quantitativi e cronologici in rapporto alle provenienze. L’inclusione nelle nostre valutazioni dei “bacini” (BERTI-TONGIORGI 1981; BERTI 1993a; EADEM 1997a), cioè dei recipienti impiegati nella decorazione architettonica, non è una contraddizione. Tale utilizzo particolare, di oggetti che niente avevano a che vedere con i materiali edilizi, appare infatti come una conseguenza della disponibilità degli stessi. I costruttori locali (ed altri) crearono con essi ornamenti delle strutture murarie più economici di quelli a mosaico o a tarsie marmoree, che richiedevano fra l’altro, contrariamente ai primi, maestranze specializzate. La prima comparsa delle ceramiche in questione nei decenni intorno all’anno Mille s’evidenzia come un evento nuovo e particolarmente significativo. Il momento coincide pressoché perfettamente con l’inizio della così detta “Rivoluzione commerciale” (TANGHERONI 1996, pp. 127-129). E non possiamo certo dimenticare, anche se non qui il caso di approfondire tale argomento, che proprio negli stessi anni furono edificati, o riedificati, importanti monumenti religiosi quali, per rimanere a quelli ornati con “bacini”, S. Piero a Grado, S. Zeno, S. Matteo, come prese l’avvio la riorganizzazione dell’intero assetto urbano. Numerosi studi più o meno recenti ci forniscono una buona documentazione di questi fatti. – Passando al secondo termine impiegato nel titolo conviene distinguere le importazioni dalle esportazioni, anche per evidenti differenze cronologiche. L’ultimo fenomeno infatti si registra dopo il 2°-3° decennio del XIII secolo, e non poteva essere prima perché solo allora fabbriche locali iniziarono la produzione delle ceramiche con coperture vetrificate, in particolare quelle a smalto stannifero, le così dette “maioliche arcaiche”. La diffusione delle prime e della massima parte delle seconde avvenne, comunque, “via mare” e rivestì un carattere internazionale. Una reticenza a considerare gli esemplari importati frutti di veri e propri commerci era dettata dal fatto che per molti anni erano conosciuti pressoché soltanto i “bacini”. In più occasioni ci è capitato di scrivere che questi sembravano arrivati in città come “a lotti”, ad intervalli di 25-50 anni l’uno dall’altro, acquistati o prelevati di volta in volta per ornare specifici monumenti (ad es. BERTI 1990, pp. 103- 104; BERTI-CAPPELLI 1994, p. 133). Solo recentissime indagini archeologiche hanno permesso di riconsiderare e correggere i nostri giudizi. I reperti dagli scavi di Piazza Dante del 1991 (BRUNI 1993, in particolare i testi a firma G. BERTI, pp. 119-143, 535-582) e di Piazza dei Cavalieri del 1994 (c.s.) lasciano ormai pochi dubbi. Che in ambedue i casi le zone indagate siano state assai limitate, non pregiudica, ma anzi mette in risalto la consistenza dei rinvenimenti. Confronti con altre città rendono evidentissima la situazione eccezionale registrata a Pisa, che trova raffronti quantitativi solo in quella di Genova, allargata alla Liguria, regione nella quale le indagini archeologiche hanno avuto, come si sa, uno sviluppo di tutt’altra portata (per valutazioni d’insieme cfr. BERTI-GELICHI 1992; ID. 1995b, pp. 410-414; ID. 1995c, pp. 130-135). Oggi, pertanto, parlare di “commerci” non è sicuramente azzardato, anche perché le ceramiche restituite dal sottosuolo testimoniano chiaramente un uso, fino dallo scorcio finale del X secolo, da parte di cittadini di classi sociali medie, non particolarmente privilegiate. Così, se il riferimento ai “commerci” appare a volte vago, usato impropriamente per indicare presenze sporadiche, che potrebbero essere invece da collegare a doni, a “prede di guerra”, ad introduzioni in qualche modo mediate, etc., il caso qui considerato non sembra proprio rientrare in fatti del genere. La quantità, la persistenza nel tempo senza soluzione di continuità e senza sostanziali mutamenti, sono un chiaro indizio, come vedremo più avanti, dell’esistenza, fino dallo scorcio finale del X secolo, di un rilevante traffico marittimo internazionale e cioè, in altri termini, di una circolazione di merci in qualche modo regolamentata, ricollegabile ad operazioni eseguite da “mercanti” che potevano trarre dalle stesse i loro profitti. La nascita di una diversa organizzazione degli scambi, con il coinvolgimento sempre più diretto dei pisani non prima del XII secolo, basata sul più antico atto di pace e di commercio a noi pervenuto, che, come noto, porta la data 1133, mentre alcuni documenti dell’XI fanno un riferimento esclusivo a fatti bellici, non trova una conferma sul versante ceramologico. Senza entrare nel merito dei rapporti fra la situazione registrata a partire dallo scorcio finale del X secolo e le precedenti, tutti da valutare con attenzione, prima di passare ad analizzare le ragioni che hanno portato a formulare le affermazioni scritte sopra, non si può prescindere da un’ulteriore considerazione. Rimanendo al caso di Pisa, e all’ambito del Mediterraneo occidentale, l’improvvisa comparsa di queste ceramiche fu causata da fattori politici, economici, storici, o dal fatto che le stesse non erano disponibili in precedenza, essendo cominciata da poco la loro fabbricazione? Questo appare un punto importante, per stabilire se le nostre ceramiche testimonino un’apertura (o riapertura) di nuove vie di scambi o se, invece, s’inseriscano all’interno di una rete già esistente e consolidata da tempo. Cercare una risposta a questo quesito è però al momento piuttosto difficile. Lo sviluppo delle ricerche archeologiche, sebbene in continuo incremento, non consente ancora, nella massima parte dei casi, di ricostruire quadri precisi delle produzioni nei differenti luoghi. Non pochi degli esemplari a noi pervenuti sembrano appartenere a fasi assai precoci, ma altri dati sembrerebbero attestare una qualche attività del genere fino dal IX-X secolo. In altri termini, la questione apre il problema, anch’esso tutto da affrontare e da approfondire, relativo ai modi e ai tempi nei quali avvenne la trasmissione di determinate tecniche all’interno del mondo islamico, da paesi del Mediteraneo orientale a quelli del bacino occidentale. È abbastanza evidente che bisogna attendere di saperne di più sia dal punto di vista cronologico, sia sulla qualità dei prodotti più antichi, sia sui centri, sia ancora sulla portata e sulla diffusione dei manufatti di ciascuno di questi nei differenti momenti. Pur tenendo conto di tutti i punti ancora oscuri e del fatto che, per motivi di vario genere, le ricognizioni archeologiche in città hanno interessato almeno per ora una mini- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 ma parte del tessuto urbano medievale, tuttavia i dati disponibili, raccolti nel corso di circa un ventennio, ci permettono di avanzare alcuni risultati che non sembrano privi di interesse. Questi, ovviamente, dovranno essere confrontati con molti altri, ma alla fine dovranno trovare un loro posto nella panoramica, vasta e complessa, relativa alla vita economica e politica della città, alle sue attività commerciali e produttive, nei secoli centrali e tardi del medio-evo. In altri termini, non si potrà continuare ad ignorare quanto evidenziano i “documenti materiali” solo perché di essi non si trova alcuna traccia negli scritti. – I secoli presi in considerazione sono suddivisi in successivi periodi: P.1. = Periodo 1. Seconda metà X - XI secolo P.2. = Periodo 2. XII secolo P.3. = Periodo 3. 1° - 3° quarto XIII secolo P.4. = Periodo 4 4° quarto XIII - 3° quarto XIV 1. IMPORTAZIONI DA CENTRI ISLAMICI E BIZANTINI FRA LA 2A METÀ DEL X E LA 1a METÀ DEL XIII S. Le valutazioni di seguito riportate sono dedotte soltanto da alcuni nuclei, cioè: dai “bacini” (B), dai recuperi in Piazza Dante (PD) e da quelli in Piazza dei Cavalieri (PC). A queste testimonianze se ne potrebbero aggiungere altre, ma alcune sono in numero poco rilevante, mentre altre non forniscono dati attendibili o appartengono a contesti ancora pressoché inediti, come Palazzo Vitelli (per notizie preliminari: GARZELLA-REDI 1980; REDI 1982). Non sono stati compresi, ad esempio, cinque reperti da sondaggi preliminari nell’area del secondo scavo citato sopra (PC), sei rinvenuti in interventi agli Arsenali Repubblicani (c.s.), riferibili tra fine XII e XIII-XIV s., tre nello scavo della vetreria di via Palestro (testo di E. Abela in: REDI 1994, pp. 119121), della fine XII-metà XIII, ed ancora tre o quattro, di XI-XII s., in quello della chiesa di S. Iacopo in Orticaria (ALBERTI-STIAFFINI 1994, pp. 220-223). Meritano un commento particolare i numerosi esemplari recuperati da Liana e da Ezio TONGIORGI negli anni cinquanta-sessanta. Questi provengono da zone diverse del tessuto urbano e furono raccolti durante lavori di vario genere, come il restauro di civili abitazioni disastrate dalla guerra, la sistemazione di porzioni della rete fognaria, la messa in opera di cavi da parte di Enti Pubblici, etc. Quasi sempre rimane sconosciuto il luogo del rinvenimento, così che per essi viene usata la generica definizione da “sterri”. Una gran quantità è costituita da prodotti locali dei secoli XIII-XVII, ma non mancano testimonianze di ceramiche islamiche e bizantine come quelle qui considerate. Ad eccezione di una quindicina di pezzi (inediti), la massima parte appartiene alla categoria delle ceramiche tunisine decorate «a cobalto e manganese su smalto bianco», databili fra l’ultimo quarto del XII e la metà circa del XIII (BERTI-TONGIORGI 1972). Tale fatto ci aveva portato a ritenere che queste ultime testimoniassero un decisivo aumento, intorno al 1200, nell’impiego da parte della cittadinanza dei manufatti con coperture vetrificate, accompagnato, o determinato, da un incremento delle importazioni. Anche questa ipotesi appare oggi priva di fondamento. Attualmente siamo portati a ritenere che detti reperti costituiscano solo una piccola parte delle ceramiche “esotiche” restituite dal sottosuolo, in particolare quelle più facilmente riconoscibili o relativamente meglio conservate. I nuclei qui presi in esame mostrano in modo evidente che i manufatti tunisini “a cobalto e manganese” non superano il 10%. Considerando i prodotti importati da aree islamiche e bizantine tra la fine del X s. e la prima metà del XIII, infatti, troviamo un’incidenza dell’8,5% circa fra i “bacini”, del 4% in Piazza Dante, del 6,5-7% in Piazza dei Cavalieri. Se queste valutazioni saranno confermate da nuove indagini, i 110-120 reperti del- 1.1: 4°quarto X-1°quarto XI 1.2: 2°quarto XI 1.3: 2a metà XI 2.1: 1a metà XII 2.2: 2a metà XII-inizio XIII 3.1: 1a metà XIII 3.2: 3° quarto XIII 4.1: 4° quarto XIII-1° quarto XIV 4.2: 2°-3° quarto XIV la Raccolta TONGIORGI e di qualche altro recupero casuale potrebbero costituire essi stessi un indice significativo delle potenzialità del sottosuolo urbano. Dopo le precedenti premesse passiamo ad una succinta presentazione dei risultati emersi dai dati presi in considerazione tramite tabelle e grafici, commentando gli stessi con brevi note, in modo da facilitarne la comprensione. Per maggiori dettagli si rimanda ai numerosi lavori già pubblicati o in corso di stampa, dei quali è fornita una selezione nell’elenco bibliografico. I due secoli e mezzo relativi a queste importazioni corrispondono ai periodi: P.1.1.-P.3.1. La tabella 1 ed il grafico 1 illustrano il quadro da un punto di vista generale. Ceramiche Islamiche e Bizantine Periodo P.2 273 P.1 225 P.3.1 64 Tabella 1 Grafico 1 P.3. 11% P.2. 49% P.1. 40% Rispetto ad un analogo grafico costruito tenendo conto dei soli “bacini” osserviamo un relativo slittamento dei valori (BERTI 1997a: P.1. = 47%; P.2. = 49%; P.3. = 4%), imputabile, almeno in parte, al fatto che questi forniscono indicazioni cronologiche più precise, mentre non ci informano sulla vita media di un manufatto impiegato nella vita quotidiana, né su inizio e fine di ciascuna produzione. Comunque, le differenze fra il P.1. ed il P.2. non sembrano tali da provare un cambiamento significativo nelle procedure seguite per l’approvvigionamento di queste merci. Se scendiamo in maggiori dettagli risultano evidenti precisi orientamenti. Per determinare, o confermare, le più probabili aree produttive ci siamo avvalsi anche di analisi chimiche e minero-petrografiche degli impasti. Oltre a quelle disponibili al momento della catalogazione dei “bacini” nel 1981, altre sono state eseguite nel corso degli anni (ad es.: BERTI-ROSSELLÓ BORDOY-TONGIORGI 1986; BERTI-MANNONI 1990; ID. 1991; Appendice di T. MANNONI in BERTI 1993b; ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 BERTI-GELICHI 1993; BERTI-MANNONI 1995). I dati sono riassunti nel grafico 2 e nella tabella 2 (ET = Egitto; TN = Tunisia; SI = Sicilia; E = al-Andalus e Maiorca; MA = Maroc- co; M.OR = paesi islamici del Mediterraneo orientale; Biz. = aree bizantine). PROVENIENZE Periodo P.1. B. PD. PC. Totale P.2. B. PD. PC. Totale P.3.1 B. PD. PC. Totale ET 23 0 0 23 1 0 2 3 0 0 0 0 TN - SI 100 43 10 153 62 42 13 117 3 12 11 26 E - MA 22 24 2 48 70 50 4 124 9 25 2 36 M.OR ---- Biz. ---- Totale 145 67 12 6 --6 1 --1 15 -3 18 ---- 154 92 22 224 268 13 37 13 63 Tabella 3 E-MA 37% M.OR 1% Biz. 3% ET 5% TN-SI 54% Non sono inclusi nella tabella 2 sette esemplari (1 del P.1; 5 del P.2; 1 del P.3), per i quali non è al momento possibile ipotizzare la provenienza. Gli apporti M.OR e quelli Biz. compaiono solo nel P.2., con un relativo sconfinamento dei primi nel P.3.1 (cfr. Tabella 2). La loro incidenza è assai bassa. Anche all’interno del P.2. i primi infatti non raggiungono il 3%, i secondi il 7%. Nel quadro del Mediterraneo orientale possono essere inclusi pure i reperti indicati di produzione egiziana (ET), testimoniati però soltanto nel P.1 e nel P.2.1, a meno che non siano dell’Egitto anche tutti o parte di quelli M.OR. Comunque, come appare evidente dalla tabella 3, dal grafico 3 e dal 4, il commercio pisano, almeno per quanto concerne le ceramiche, era orientato di preferenza verso mercati islamici occidentali. Grafico 3 TN SI Nr. PROVENIENZE 160 Periodo ET TN-SI E-MA Totale 140 P.1 23 153 48 224 120 T E MA 100 P.2 3 (+6?) 117 124 244 P.3.1 0 (+1?) 26 36 62 Tabella 3 Il grafico 3 illustra le presenze espresse in numero di esemplari, mentre nel 4 le stesse sono convertite in incidenze percentuali all’interno di ciascun periodo. Le ceramiche riferite all’Egitto (ET) trovano in parte precisi confronti con reperti rinvenuti ad al-Fustat (Cairo), mentre altre sono del tipo detto “Fayyum”. Più importanti, dato il numero, appaiono quelle TN-SI. Il calo degli apporti fra il P.1. ed il P.2. è, per quanto concerne la Tunisia, solo apparente. Infatti, come ripetuto più volte (ad es. BERTI 1990, p. 105; ID. 1997a), nella prima porzione del P.1. (1.1-1.2) le testimonianze tunisine, di centri a sud di Tunisi (Mahadia, Kairouan?), e quelle siciliane (Sicilia occidentale) sono pressoché paritarie, mentre nella seconda metà dell’XI s. e nella prima del E 80 60 TN E E ET 40 20 P.1 0 P.2 Grafico 4 TN SI % P.3 70 E TN E 60 50 40 30 TN E MA ET ET 20 10 0 P.1 P.2 P. ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 XII (P.1.3 e 2.1) predominano quelle africane. I pochi pezzi siciliani sono di centri diversi dai precedenti (Siracusa?, Agrigento) ed a partire dal P.2.2 la Sicilia (non più islamica) viene considerata nel panorama dell’Italia meridionale. Almeno dal P.1.3 sono fabbriche di Tunisi a rifornire il mercato pisano. In sintesi quindi, percentualmente, gli arrivi da quest’area del Maghreb sembrerebbero coprire una porzione pressoché costante delle importazioni qui considerate. Per quanto concerne l’estremo occidente, si osserva invece nel XII s. un incremento deciso, tale da raggiungere e superare i livelli tunisini. Da Maiorca e da centri dell’alAndalus meridionale (fra i quali Malaga e Granada) provengono esemplari del P.1. A questi si affianca, verso la metà XI, qualche pezzo che analisi minero-petrografiche sembrerebbero indicare prodotto sul versante africano. Con il XII s. (P.2.) ci spostiamo verso l’al-Andalus orientale (Murcia, ma non solo). Le importazioni spagnole permangono anche in epoche successive, ma dal 4° decennio del XIV secolo si tratta di prodotti di area valenzana (BERTITONGIORGI 1985). 2. IMPORTAZIONI DA CENTRI DELL’ITALIA MERIDIONALE NEL XII S. E NELLA 1A METÀ DEL XIII Il mancato rinvenimento di reperti delle regioni meridionali nello scavo di Piazza dei Cavalieri potrebbe essere da collegare alla particolare situazione creatasi con il livellamento del terreno al momento della sistemazione della piazza stessa nel XVI s. Negli altri due nuclei (B = “Bacini”: cfr. BERTI 1993, p. 128; ID. 1997a. PD = Piazza Dante: cfr. testo di G. BERTI in BRUNI 1993, pp. 583-585) la situazione, rispetto alle ceramiche islamiche e bizantine, appare in sintesi quella riportata nella tabella 4. Nel P.2. l’incidenza è circa 1:14, nel P.3.1, anche se le differenze fra i due gruppi sono più marcate, intorno a 1:2. I manufatti del XII s. sono prodotti campani e siciliani. Dall’ultimo quarto del secolo (P.2.2) iniziano a comparire prodotti pugliesi (RMR e proto-maioliche). Sempre fabbricate nelle medesime regioni sono le testimonianze della prima metà del XIII, anche se è l’area pugliese quella più rappresentata. Frammenti del genere non mancano fra i reperti da “sterri” (BERTI 1995). 3. IMPORTAZIONI DALLA LIGURIA NELLA 1a METÀ DEL XIII S. Nel XIII secolo divengono piuttosto abbondanti le importazioni dalla Liguria delle ceramiche ingobbiate, e frequentemente graffite, fabbricate a Savona, le così dette “graffite arcaiche tirreniche”. Anche se un frammento è testimoniato pure in Piazza dei Cavalieri, per le ragioni esposte sopra si ritiene più opportuno non considerarlo. A proposito di questi manufatti che, come mostra la tabella 4, appaiono particolarmente numerosi fra i “bacini”, non possiamo trascurare il fatto che molto spesso sono in stato di conservazione pessimo. La qualità dell’impasto di questi prodotti, la scarsa aderenza dei rivestimenti, non si può escludere siano la causa di degradi, facilitati dalla natura di alcuni terreni, tali da rendere irriconoscibile un buon numero di testimonianze. Malgrado ciò, il rapporto con le ceramiche dell’Italia meridionale del P.3.1 sembra più o meno lo stesso (cioè più del doppio) sia fra i “bacini” che fra i recuperi PD (cfr. testo di G. BERTI in BRUNI 1993, p. 588). Frammenti relativi a quattro esemplari sono segnalati nello scavo di via Palestro (cfr. testo di D. Spadaccia in REDI 1994, pp. 133-136) e qualche altro è attestato fra i reperti da “sterri” (BERTI-CAPPELLI-TONGIORGI 1986, pp. 155-157, 163). Periodo P.2. B. PD. Totale P.3.1 B. PD. Totale Islamiche e bizantine 154 92 246 13 37 50 Ceramiche Italia meridionale 12 6 18 21 2 23 Liguria --49 7 56 Tabella 4 4. ESPORTAZIONI DI “MAIOLICHE ARCAICHE” PISANE DAL 2°-3° DECENNIO DEL XIII S. ALLA METÀ CIRCA DEL XIV Assai vasta è la diffusione delle così dette “maioliche arcaiche” pisane, la cui fabbricazione iniziò, con l’introduzione della tecnica dello smalto stannifero, nei primi decenni del XIII s., per proseguire, senza soluzione di continuità, fino alla metà circa del XV. Tralasciando di considerare aspetti già ampiamente discussi sull’importanza di questa produzione, che si inserisce fra le prime in Italia per quanto concerne le ceramiche con rivestimenti vetrificati in seconda cottura (ad es.: BERTI-GELICHI 1995c; BERTI-GELICHI -M ANNONI 1995), riprendiamo alcune notizie sulle esportazioni da una revisione recente di tutti i dati al momento disponibili (BERTI 1997b). Delle tre fasi evolutive identificate interessano particolarmente, in questa sede, la prima, che arriva fino al 1280 circa (P.3.1-3.2), e la seconda, che si protrae fino al 1320-1330 (P.4.1) o poco oltre. In sintesi, l’impiego come “bacini” fuori della città è abbastanza circoscritto, essendo stato riscontrato soltanto a Lucca (su due forse tre edifici) e, nell’attuale provincia pisana, a Marti, a Usigliano-Palaia, a S. Miniato. L’elenco dei siti nei quali sono attestati recuperi dal sottosuolo è invece molto nutrito, superando la cinquantina. Pur essendo spesso im- possibile, attraverso le pubblicazioni, ricavare elementi validi per valutare la portata e i tempi delle importazioni, è comunque certo che Pisa diffuse abbondantemente i suoi prodotti, già prima della metà del XIV secolo, non solo in località vicine, interne ed esterne ai suoi territori, situate soprattutto lungo tutta la costa della Toscana, ma anche abbastanza distanti. A sud le “maioliche arcaiche” di Pisa raggiunsero Roma e la Sicilia, ad ovest la Sardegna e la Corsica, a nord la Liguria e la Francia meridionale. Abbastanza sorprendente è l’importazione a Marsiglia e a Genova-Savona dove, proprio negli stessi anni si fabbricavano già ceramiche smaltate. Al riguardo può essere da non sottovalutare il fatto che le botteghe locali sfornavano per lo più forme aperte, mentre le importate erano prevalentemente boccali. Interessante è pure l’irradiazione che dai porti principali finì col raggiungere anche località meno importanti dell’interno. Alcuni rinvenimenti ci forniscono un’idea della vastità del fenomeno, alla base del quale doveva esistere un’organizzazione ed un’attività produttiva nella stessa Pisa di rilievo assai più ampio di quello, già consistente, rilevabile dai recuperi in città. Del resto per nessun’altra città la documentazione scritta ci tramanda i nomi di tanti artigiani impegnati in questo settore quanto quella pisana: 26 nel XIII secolo, 36 nella prima metà del XIV, per arrivare a 74 nella seconda metà e ad 86 nella prima del XV. Fra i recuperi ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 Fig. 1 – Le principali zone di produzione delle ceramiche importate a Pisa: quadrato = P.1. (4° quarto X-fine XI s.); stella = P.2. P.3.1 (XII-1a metà XIII s.). Fig. 2 – La diffusione delle “maioliche arcaiche” di Pisa della prima e della seconda fase produttiva (2°-3° decennio XIII-1a metà XIV s.). ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 5 sopra menzionati basterà qui ricordarne, a titolo di esempio, uno particolarmente significativo. Negli scavi del palazzo episcopale di Fréjus è stato rinvenuto un deposito, databile entro il primo quarto del XIV s., contenente circa 4500 esemplari ceramici, il 68% circa dei quali (cioè più di 3000 pezzi) è riferito a fabbriche di Pisa (MICHEL 1989). 5. NOTE CONCLUSIVE Con il presente contributo si è cercato di sintetizzare, a grandi linee, il ruolo di Pisa come centro d’importazione di ceramiche islamiche, bizantine, dell’Italia meridionale e della Liguria, dal X al XIII secolo (Fig. 1). Il quadro, in relazione alle provenienze, era sicuramente più ampio di quello delineato nelle pagine precedenti; e ciò è già oggi provato da reperti casuali (inediti), fra i quali compare, ad esempio, qualche ceramica bizantina (“Developed Style”, “Fine Style”) di centri diversi da quelli testimoniati nei nuclei usati per le nostre valutazioni. Non manca addirittura almeno un esemplare di area veneta (“Roulette Ware”). Prodotti “esotici” continuarono ad affluire nella città anche nei secoli successivi. Si tratta prevalentemente di “maioliche ispano-moresche” e di prodotti di centri italiani, fra i quali predominano nettamente le “maioliche” di Montelupo Fiorentino. Data la vicinanza di questo centro e l’uso da parte di Firenze dello scalo pisano nel Quattrocento e nel Cinquecento, il fatto non suscita certo meraviglia. Con la prima metà del XIII le navi che percorrevano le rotte del Mediterraneo occidentale iniziano a diffondere, a largo raggio, le locali “maioliche arcaiche” (Fig. 2), e più tardi, nei secoli XV-XVII, le ingobbiate e graffite “a punta”, “a stecca”, “a fondo ribassato”, “marmorizzate”, che raggiunsero nel corso del tempo anche le Baleari, città del sud della Spagna (Almeria), porti del nord Europa (Rotterdam, Amsterdam). Ci auguriamo che nel prossimo futuro nuove indagini archeologiche, nella città e nelle molte zone che, per motivi di vario genere, suscitano i nostri interessi, permettano di fare a poco per volta chiarezza sui non pochi punti ancora oscuri. Per altro verso, l’attenzione dovrà sempre più coinvolgere il quadro storico generale, per arrivare a capire il ruolo che ha avuto, nella vita della città, un’attività, sicuramente di portata non secondaria, quale quella collegata con l’importazione, la produzione e l’esportazione delle ceramiche. 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