Il rispetto dei bambini

Transcript

Il rispetto dei bambini
01/06/2010
Il rispetto dei bambini
La chiave universale per entrare nel mondo dei piccoli è una sola: il rispetto. E questo non
riguarda solo i bambini o i fanciulli o gli adolescenti, ma anche quel mondo sommerso che
appartiene all’alba della vita umana, che si chiama feto, neonato, lattante.
Ieri nel mio ambulatorio ho assistito incredulo ad una scena che mi ha ferito.
Ferito perché mi rendo conto che il mondo dei bambini è troppo spesso calpestato, ignorato,
incompreso, urtato dal nostro comportamento di grandi, che talvolta – ahimè! (parlo per me) – di
grande hanno a loro vantaggio solo l’età cronologica.
Direbbe il Piccolo Principe 1 :
«I grandi non capiscono mai niente da soli
e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta».
Per cui spesso finiscono per fare spallucce e continuare per la loro strada, spinti da quell’euforia
vitale che li contraddistingue, grande risorsa per noi uomini seri o velatamente seriosi che finiscono
per uniformarsi perdendo la loro intrinseca bellezza originaria, quella che li rende belli proprio nella
diversità. Ed è su questa scia che spesso noi adulti spingiamo anche i nostri figli, cominciando col
paragonarli agli altri: ai figli degli altri, dell’amica, della sorella, ai compagni di classe. E lo
facciamo su tutto.
Quando arriveremo invece a capire che il bambino, come ogni uomo, ama profondamente la propria
libertà e che ogni comportamento, ogni atteggiamento coercitivo anche velatamente amoroso
imposto contro la loro volontà sprigiona, come in ogni essere umano, sentimenti e atteggiamenti di
frustrazione, di rabbia?!
Il problema – direbbe il Piccolo Principe – è che «tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma
pochi di essi se ne ricordano.»
1
Antoine De Saint Exupéry, Il Piccolo Principe
1
Anche scoprire ciò che gli piace o che non gli piace è segno di rispetto. Nel mangiare come nella
vita di tutti i giorni. Alcuni bambini sono più facili, altri più sensibili e ostinati. Per essere davvero
rispettosi, dovremmo imparare ad accettare nostro figlio così com’è invece di paragonarlo a uno
standard 2 .
«Il figlio della mia amica… Il figlio di mia sorella…Tuo fratello: quello sì che è un bambino
obbediente!... Quello sì che è un bambino “bravo”!».
“Un bambino bravo!” Ma che significa essere un bambino bravo?
Mi fa sorridere quando ascolto nel mio ambulatorio come nei luoghi pubblici affermazioni di questo
tipo: «Adesso fai il bravo!... Mi raccomando fai il bravo altrimenti…».
Che significa per un bambino fai il bravo? Il bambino è un bambino. Pian piano nella sua mente si
configurerà l’idea che fare il bravo significa accontentare i genitori, ma su cosa non si capisce
sempre bene. Una è certa: spesso fare il bravo non coincide con la sua libertà, col proprio modo di
essere; con i suoi desideri, le sue sensazioni.
Il segreto, allora, non è fargli fare o non fargli fare tutto, sgridarlo o non sgridarlo, ma imparare a
parlargli. La parolina magica è proprio questa, parlargli.
In che modo? E’ una disposizione del cuore e non un’ennesima cosa da fare o per cui impegnarsi.
Non si tratta di imparare come “parlare al bambino”, ma semplicemente “parlare con il bambino”,
regola che vale con gli adulti ma anche con i bambini e quelli ancora più piccoli, i lattanti che
apparentemente sembrano non comprendere e non rispondere.
Così facendo imposteremo una modalità di relazione che sarà fondata sul dialogo, una
conversazione cioè che si svolge in due direzioni. Parlare con che presuppone sempre un
movimento dinamico, come una danza, in cui c’è chi parla e chi ascolta e viceversa. Viceversa!
Invece, pensiamo solo per un attimo a come noi dialoghiamo con gli altri e con i figli. Mentre uno
parla già pensiamo a ciò che dobbiamo rispondergli poi, stanchi di ascoltare, lo interrompiamo
dicendogli «ho capito dove vuoi arrivare…per cui ti dico…».
Siamo stati non so, forse 20 minuti, a girargli intorno, a tentarle di tutte perché si facesse visitare,
ma lui niente, non ne voleva sapere: voleva andare a giocare! Non voleva essere sistemato su quel
lettino e spogliato solo perché i suoi genitori quel giorno aveva no così deciso per lui: bisognava
sottoporlo al bilancio di salute!
Non è la prima volta che mi sono rifiutato di visitare un bambino che urla tutta la sua disperazione
perché non vuole o semplicemente non comprende il perché deve fare quella cosa inutile, solo
perché noi adulti abbiamo deciso che è il momento!
2
Hohh T. Il linguaggio segreto dei neonati, Oscar Mondadori, pag. 21
2
Posso capire che dinanzi ad un’emergenza in cui bisogna visitarlo o sottoporlo ad indagini c’è poco
da fare! ne va della sua salute, e lì il genitore sa bene che nonostante le lacrime il suo dovere è di
aiutarlo. Ma non riesco a tollerare che se un bambino non vuole fare una cosa deve essere lui ad
adattarsi ai nostri tempi senza nessuna possibilità di appello!
Mi ha profondamente colpito in questi anni osservare come cambia la risposta del bambino, anche
molto piccolo, quando gli vado a spiegare con calma e attenzione quello che andrò a fargli durante
la visita. Per prima cosa gli faccio vedere lo strumento che devo utilizzare, per esempio l’otoscopio,
poi gli spiego a cosa serve; gli faccio vedere que l filo di luce polarizzata che esce dal beccuccio
proiettata sulla mia mano e gli chiedo se posso usarlo per vedere il suo orecchio, rassicurandolo che
non gli darà alcun fastidio o dolore; poi lo accarezzo e gli chiedo se posso farlo. I risultati spesso
sono sorprendenti!
Voce decisa e imperiosa; solleciti forzati; strattoni; mentre il bambino si ribellava ancor di più e la
mamma sempre più frustrata perché non è giusto che sia lui a comandare!
Ora, sia ben chiaro, i bambini “non devono fare quello che vogliono”, devono imparare a rispettare
le regole, ma questo non avviene da un giorno all’altro e soprattutto mai con l’autoritarismo ma con
una sana autorevolezza, rispettando sempre e comunque i loro tempi, i loro sentimenti, perché sono
loro i giocatori, noi gli allenatori!
Pensiamo per un momento a come si relaziona un allenatore di pallone con il suo cavallo di razza.
Non può sferzarlo. Gli manda suggerimenti, lo allena, poi però arriva il momento in cui deve dargli
fiducia, deve lasciare che sia lui ad esprimersi perché possa dare il meglio di sé e questo costa anche
attese, prove, rinuncia al dominio sull’altro, al proprio pensiero.
Nella relazione genitori- figli dovremo imparare anche noi qualcosa, altrimenti non ci sarà mai vera
relazione, osmosi, crescita, e l’atteggiamento più difficile è riuscire ad accettarne il carattere che
magari non è come il nostro o – addirittura! - è proprio come il nostro e questo ci urta, perché non è
possibile pensare che fino ad oggi sia mo stati noi a dominare la scena, a dirigere le scelte della
famiglia, mentre ora c’è un cosettino che crede – dalla bassezza dei suoi pochi e insulsi anni – di
imporre a noi alternative, nuove convenzioni o comunque di metterci in discussione.
E così, tra un urlo e un calcio il quadretto di ieri termina con una scarica di schiaffoni sul culetto del
bambino, dove si leggeva a lettere cubitali tutta la frustrazione di una mamma che aveva promesso
al marito finalmente la visita dal pediatra. Un appuntamento che quella sera non è coincisa con le
sue aspettative.
3
La chiave universale per entrare nel mondo dei piccoli è una sola: il rispetto. E questo non riguarda
solo i bambini o i fanciulli o gli adolescenti, ma anche quel mondo sommerso che appartiene
all’alba della vita umana, che si chiama feto, neonato, lattante.
Ogni bambino è una persona con un linguaggio, dei sentimenti e una personalità unici e per questo
merita rispetto. Se vi ricorderete di pensare al vostro bambino come ad una persona vi sarà facile
avere per lui il rispetto che si merita. Sul vocabolario la definizione del verbo «rispettare» è
«evitare violazioni o interferenze». Come vi sentireste voi se qualcuno parlasse mentre voi parlate
[pensate anche ad un lattante che piange o ad un bambino che vi interpella, ndr] o vi toccasse
senza il vostro permesso? Se le cose non vi vengono spiegate correttamente o se qualcuno vi tratta
con mancanza di garbo, non vi sentite forse feriti e irritati?3
Ecco, questo invece spesso succede ai bambini. Lo vedo al mio studio mentre le mamme parlano
come se loro non esistessero. Magari osservi che il piccolo tenta di dire la sua, di intromettersi nel
discorso perché chiamato in causa e la madre lo sovrasta o fa finta che non esiste, come se un
bambino non avesse il diritto di esprimersi. Oppure si parla di lui o di le i, di cose intime che lo
riguardano, di comportamenti ritenuti errati, senza nessun rispetto, come se quel bambino non
avesse un suo pudore, una sua vergogna o comunque un suo intimo da preservare.
Mi sovviene quando una mamma esordisce dicendo:
«Adesso racconto tutto al dottore! Vedrai che bella figura!».
Wuaa! Mi sento sprofondare per loro!
Oppure penso a quando mi portano gli adolescenti, trascinati a malavoglia con la pretesa di farmi
visitare con molta nonchalance la bambina non più bambina o il piccino ormai uomo.
«Marco posso visitare i tuoi genitali?»
Marco arrossisce, appare imbarazzato…«Noo! Non voglio! Mi vergogno…»
«Marco! – si intromette la mamma con tono perentorio e un po’ sarcastico – non fare il bambino!
Che ti ho portato a fare dal dottore?... Dovresti vergognarti quando fai dispiacere tua madre o tuo
padre, non quando devi farti visitare dal dottore!»
Marco va rispettato! Ora ha 14 anni e ha diritto alla sua privacy! Magari solo qualche domanda
mirata e un’occhiata alla sua scheda clinica nella quale c’è tutta la sua storia trascorsa con me dalla
nascita e, dopo un occhiolino d’intesa e due parole tet a tet, potremmo anche considerare chiuso il
discorso, non senza la mia conclusione aperta che possa lasciare un varco per un futuro incontro:
«Marco, sappi che io ci sono. Sempre! E se hai un problema o un fastidio, un disturbo o qualcosa
che non ti convince potrai sempre contare su di me! Ok?».
Mi sembra inconcepibile, come padre e come pediatra, che la nostra volontà debba superare la
libertà di un bambino, di quel bambino. Perché è facile crescere figli mansueti, sempre allegri e
disponibili, ma è difficile accettare che nostro figlio sia impulsivo, oppositivo, difficile. Ma è qui
3
Hohh T. Il linguaggio segreto dei neonati, Oscar Mondadori, pag. 19-20
4
che si gioca tutta la nostra arte di educatori: cacciare il meglio che c’è dalla sua anima. Il meglio che
c’è in lui, che non coincide quasi mai col meglio che c’è in un altro.
Mi sovviene ancora un brano del Piccolo Principe, quando incontra il re e pensando che un re può
tutto, può ordinare e ricevere da chiunque obbedienza, gli chiede con grande desiderio :
«Vorrei tanto vedere un tramonto... Fatemi questo piacere... Ordinate al sole di tramontare...»
Ma quel re nella sua grande sapienza risponde:
«Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all'altro come una farfalla, o di scrivere una
tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l'ordine ricevuto,
chi avrebbe torto, lui o io?»
«L'avreste voi!», disse con fermezza il piccolo principe.
«Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare», continuò il re.
«L'autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione».
“Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare”, ma allora - mi domando - i bambini
possono dare tutti la stessa cosa? Certamente no! E allora, perché esigiamo così tanto?
Pensiamo solo per un momento al quoziente intellettivo; all’ambiente in cui è vissuto un bambino e
alle stimolazioni e provocazioni che ha ricevuto; pensiamo agli aspetti culturali e alle sue
intrinseche capacità cognitive intreccio parabolico di competenze, geni, neurotrasmettitori,
alimentazione, malattie, ambiente, area geografica in cui vive, tipo di genitori/tipo di insegnanti,
malattie e disordini ereditari, vita prevalentemente solitaria o altamente sociale, figlio unico o
famiglia numerosa, maschio o femmina, genitori che si amano/genitori separati… Che immensi
intrecci che ci permettono oggi di parlare di genetica del comportamento, dove non è “tutto geni e
neurochimica”, ma è tutto questo immerso nelle esperienze che la vita concederà a quel bambino e
che noi genitori sapremo donargli.
Finiamola con regali continui e inutili! Più tempo! Più spazio d’incontro. Più carezze. Più colloqui.
Più pranzi o cene assieme col televisione spento. Meno parole. Più fatti.
Sono sicuro che tutti i genitori desiderano incoraggiare i propri figli a diventare esseri umani
indipendenti ed equilibrati, da rispettare e ammirare. Ma bisogna comprendere che tutto ciò ha le
sue radici nell’infanzia, per cui non è qualcosa che potremo insegnare loro quando avranno quindici
anni ma neppure cinque.
Voglio terminare questa lettera sottolineando un aspetto precedentemente messo in luce tra le righe.
Ogni bambino è diverso da altri, motivo per cui il primo compito di un genitore è capire il bambino
reale, non quello che hanno sognato durante i nove mesi di gestazione.
Come per la maggior parte degli studiosi del ventesimo secolo – racconta Tracy Hog nel suo libro Il
linguaggio segreto dei neonati – anche Jerome Kagan, ricercatore dell’Università di Harvard che
5
studia il temperamento dei neonati e dei bambini, pensava che l’ambiente avesse la meglio sulla
biologia. Vent’anni di ricerche invece sembrano aver raccontato una storia diversa:
«Confesso di provare un po’ di tristezza» scrive in Galen’s Prophecy, «nel vedere che alcuni
neonati sani e belli, nati in famiglie affettuose ed economicamente benestanti cominciano la loro
vita con caratteristiche fisiologiche tali per cui sarà difficile per loro essere rilassati, spontanei e
capaci di farsi una risata di cuore come vorrebbero. Alcuni di questi bambini dovranno combattere
un impulso naturale ad essere accigliati e a preoccuparsi sempre del domani». 4
E’ un po’ come dire allora che l’educazione gioca un ruolo certamente importante nello sviluppo
umano, tuttavia per supportare e allevare al meglio il nostro bambino è necessario conoscere e
accettare il bagaglio con cui è venuto nel mondo. E qui Tracy Hog nel suo testo (da prendere con le
pinze, ma per molti passaggi bello e interessante), mette giù una lista di cinque tipologie
fondamentali di neonati (che poi saranno bambini e adulti): Il bambino «angelico». Il bambino «da
manuale». Il bambino «sensibile». Il bambino «vivace». Il bambino «scontroso». E’ interessante
notare che questa classificazione tipologico-comportamentale dei bambini affonda le sue radici
anche nella saggezza popolare quando comunemente diciamo“Il buongiorno si vede dal mattino”!
Dovrete ammettere senza barare che ciascuno di voi è già stato in grado rapidamente di assegnare il
proprio figlio ad una determinata tipologia tra quelle elencate. Nel libro di Hog, vengono dedicate
almeno una dozzina di pagine a questo argomento, con tanto di check- list (questionario a
punteggio) utile per inquadrare il carattere del piccolo e assegnarlo ad una determinata categoria 5 .
Penso che anche solo le definizioni siano sufficienti per riuscire ad affermare «mio figlio è così»!
Lo vedo tra i miei stessi figli, uno diverso dall’altro. Chi più difficile, chi più mansueto; chi più
stabile, chi più instabile; quello con cui puoi essere diretto, quello con cui devi contare fino a dieci
prima di parlare. Sapere questo, sapere che quel bambino è così perché così è fatto ci potrà essere di
grande aiuto soprattutto per evitare sensi di colpa, ma soprattutto per imparare a dare a ciascuno ciò
di cui lui ha bisogno ed evitare quelle assurde pretese che portano a pensare che un genitore è giusto
solo quando da’ a tutti i figli la stessa cosa.
Forse questa lettera potrà apparire pesante e dura sotto certi aspetti, ma non dobbiamo pensare di
dover fare troppe cose o metterci a studiare tutti pedagogia e psicologia.
Essere genitori è un processo difficile che dura tutta la vita, ma è importante sapere che affonda le
sue radici nei nostri modelli di comportamento. Prima cosa “essere”. Essere veri, autentici, credibili.
Seconda cosa imparare ad ascoltare il nostro bambino e accettarlo per quello che è; trattarlo con
4
5
Hohh T. Il linguaggio segreto dei neonati, Oscar Mondadori, pag. 38
ibidem pag. 36-49
6
rispetto; così diventerà una persona che sarà pienamente se stessa e saprà ascoltare e tratterà gli altri
con rispetto 6 .
Imparare allora a prendersi del tempo per osservare i nostri figli e capire che cosa cercano di dirci,
di comunicarci, ma soprattutto imparare ad ascoltarli per insegnare loro ad ascoltare. E’ la strada del
dialogo la vera pedagogia che farà diventare uomini e donne quei bambini che abbiamo accolto,
amato, cresciuto.
Raffaele D’Errico, pediatra
SE VUOI RILEGGERLA CHIEDI UNA COPIA IN SEGRETERIA
OPPURE SCARICALA DAL SITO www.pediatric.it/parliamo_di.htm
6
ibidem pag. 22
7