Quadro cubista di Amos Oz
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Quadro cubista di Amos Oz
Quadro cubista di Amos Oz Il libro Il monte del Cattivo Consiglio di Amos Oz è composto da tre racconti dove l’autore narra storie, diverse da loro, che tuttavia hanno in comune i medesimi luoghi e talvolta personaggi identici osservati da tutt’altra angolatura. Ogni elemento narrativo concorre a formare un insieme. Sullo sfondo si staglia lo stato d’Israele, alla sua nascita, nella drammatica attesa della partenza dell’esercito occupante inglese. Un carico di profughi, di differenti nazionalità, sono arrivati da una Europa dilaniata e dalle leggi razziali e dalle atrocità della guerra. Vite strappate dai paesi d’origine, vite spezzate, fatte a brandelli nella carne e nello spirito. Tutti a contendere delle terre appartenute nell’antichità al popolo ebraico e nel dopoguerra in larga parte ancora abitate dai palestinesi. Il piccolo e goffo Hillel ricordava bene il mese di maggio del 1946: durante le celebrazioni per il primo anniversario della vittoria degli Alleati, Lady Bromley cognata dell’Alto commissario, ebbe un lieve malore; fu prontamente soccorsa da suo padre, Hans Kipnis, il quale ironia della sorte non era un dottore bensì un veterinario. La sorte, con il medesimo ghigno beffardo, generò un invito per i coniugi Kipnis alla festa danzante presso il Governatore di Gerusalemme, sul monte del Cattivo Consiglio. Così il bambino Hillel fu lasciato in custodia dai vicini. Poi, quando scoprì che sua madre non avrebbe più fatto ritorno a casa, salì su un albero e si rifiutò di scendere. Cos’altro poteva attendersi dalla malasorte? A sera mentre si rincorrono i rintocchi delle campane, a loquace rappresentanza di tutte le religioni, Hillel rammenta un’altra grottesca esperienza: la visione di un bottone d’oro, attaccato a un’uniforme a brandelli, laggiù nel bosco. La gioia momentanea del 1 ritrovamento del tesoro fu subito soffocata dallo spavento per quel corpo di soldato sepolto sotto un sottile strato di terra e di aghi di pino. Hillel, di notte, nel dormiveglia rivede ancora il ghigno di quei denti che spuntavano fuori, con un macabro sorriso, dal volto in putrefazione del soldato morto. E vorrebbe accanto a sé la madre. I genitori di Hillel avevano un affittuario di nome Mitia. La madre di Hillel, Ruth, nutriva slanci di tenerezza mista a compassione verso di lui. Comprendeva la sua solitudine, sarebbe stata pronta ad andare in camera sua di notte, ad accarezzarlo, a salvarlo dalla pazzia. Poi Mitia, improvvisamente, si era disfatto dei gioielli che aveva, per stabilirsi altrove, a Gerusalemme. Intendeva fare delle ricerche, dimostrare le vere origini della popolazione autoctona, provare il fatto che gli abitanti arabi erano anch’essi israeliti sottomessi all’Islam con la forza. Quanta nostalgia aveva Ruth degli anni del liceo. Tutti le invidiavano la sua bella voce che, nel recitare le liriche dei poeti nazionali polacchi, incantava. Ricca e ammirata, non aveva incontrato malvagità fino ad allora. Poi in poco tempo era successo di tutto: morti sua madre e suo padre, la sorella Niuta sposata e partita in tutta fretta per New York, lei era rimasta in Palestina dove si era recata per studiare. Qui aveva incontrato e sposato Hans, il padre di Hillel; qui dove vivevano, si sentiva come reclusa. In mezzo a una cacofonia di voci straniere che ora profetizzavano amore fraterno fra le diverse fedi religiose, ora ammonivano di prepararsi allo scontro frontale, quello decisivo. All’indomani della partenza ormai imminente degli inglesi tra arabi e israeliani sarebbe scoppiata una guerra all’ultimo sangue. Intanto, sul monte del Cattivo Consiglio, il padre di Hillel attende il ritorno della consorte che si è allontanata dal ballo in compagnia dell’ammiraglio, l’eroe di Malta. Mentre aspetta pensa a quello che 2 ne sarà stato di sua madre e delle sue sorelle, anch’esse forse massacrate, come tanti altri martiri nei campi di sterminio. Sa che non realizzerà l’allevamento di bestiame che aveva sognato fra i monti della Galilea, né altro ancora; sa che dovrà mandare suo figlio Hillel in qualche kibbutz. “Sto aspettando mia moglie.” Lady Bromley scoppiò in una risata alta e sgraziata: “Nessuno, ripeto nessuno dei miei quattro defunti mariti si è mai lasciato sfuggire una frase tanto bislacca. In vita mia non ho mai sentito un uomo usare parole del genere, a parte forse in qualche triviale commedia.” Il piccolo Uriel è alle prese con i bambini dei Grill coalizzati contro tutti gli esseri inermi che capitano a tiro, animaletti compresi; è rattristato per la loro sorella Bat Ammi, la quale, essendole appena spuntati i seni e i peli, di colpo si dimostra compagna meno interessata ai vecchi giochi; del signor Levi che si troverà all’improvviso per casa gli dicono di raccontare, se interrogato, che questi altro non è che uno zio venuto da lontano. Oltre alla sua famiglia, Kolodny, nei paraggi abitano il poeta Nehamkin e il figlio Efraim, intraprendente elettricista. Per Efraim, Uriel nutre tutta l’ammirazione che un bambino può riservare a un giovane personaggio che è immerso in un’atmosfera di contagiosa segretezza in attesa dell’ora x, che è conteso dalle donne, che ora sparisce e ora riappare mostrandosi sempre indaffarato ad armeggiare, a costruire congegni radio in grado di catturare i sogni e il corso degli eventi. Uriel non capiva granché di tutto quello che gli accadeva intorno, ma le volte che Efraim gli faceva balenare l’idea di essere in procinto di scatenare il finimondo, allora lo implorava di rivelargli quando tutto sarebbe successo! “Ma quando, Efraim?” E non avendo 3 ottenuto risposta, se ne tornava a testa bassa dall’officina, verso il cortile, “come un feldmaresciallo privato delle insegne e dei gradi, ignominiosamente defenestrato,” a giocare con i tappi delle bottiglie e altri ammennicoli, disposti come in una battaglia, pronto ad abbattere le torri dove erano asserragliati i nemici. “Qui presto tutto cambierà...” andavano ripetendo gli adulti intorno a lui. E la conversazione passava ad altri temi. Le partite a scacchi di Efraim con suo padre, avevano fasi alterne, poiché il giovane era uno scacchista impaziente, la mente spesso rivolta altrove. “Non desiderate altro che di fuggire da noi e dai nostri blateramenti, vero?” diceva talvolta Efraim alla madre di Uriel, vedendola seduta alla finestra con lo sguardo fisso verso i monti. La signora Kolodny abitualmente preparava la cena e taceva. Dopo, il padre di Uriel avrebbe indossato il grembiule e avrebbe lavato i piatti, aiutato dal figlio che avrebbe provveduto ad asciugarli con un panno pulito. La donna aveva i suoi momenti difficili, ogni tanto non riusciva a tollerare il clima, decideva di mettere la vestaglia blu, di chiudere finestre e persiane, di oscurare la casa, poi d’un tratto si sentiva soffocare e spalancava tutto. Anche fuori gli alberi, fichi, gelsi, viti e melograni fremevano, quasi a implorare il silenzio, con un fruscio che solo il poeta Nehamkin riusciva a cogliere “per metterlo nelle sue poesie,” benché fosse duro d’orecchio. Gerusalemme, si avvicina l’autunno, un 39enne prostrato dalla malattia e dai ricordi è seduto sul balcone a scrivere lettere a un’examica. Nostalgia. Il dottor Emanuel, lui. La sua ex-compagna, Mina, partita per gli Stati Uniti senza lasciargli un nuovo recapito. Nessuno più di lei appare 4 determinato, una volta presa una decisione, a voltare pagina. Nella struggente nostalgia dei giorni passati insieme alla sua donna, Emanuel segue momento per momento le penose giornate della sua vita di malato terminale. “Anche i capelli, quella fedele chioma sale e pepe dove le tue dita un tempo s’infilavano per giocarci e cercare l’elettricità statica, tutto è ormai sbiadito, rarefatto. L’elettricità è finita. Se la caduta continua così ancora per qualche mese, non mi resterà più un capello in testa: secco e calvo.” La malattia avanza. Sembra seguire un percorso incerto che al malato inesperto potrebbe dare false speranze, ma non a lui. Essendo egli un medico, ne conosce ogni segreto. Allora non gli resta che illudersi di essere ancora utile, di poter dare un contributo nella preparazione delle armi che servono alla causa del suo popolo. Accoglie di buon grado le attenzioni del bambino dei vicini Uri: “Dentro di me l’ho adottato come il figlio segreto che mi hai generato e tenuto nascosto fra i kibbutz della Galilea ...” E continua questo dialogo, apparente, senza risposta, con la sua excompagna. Un monologo scandito dalle lettere indirizzate a colei che ha amato, sulla cui esistenza ora può fare solo delle congetture. “Mia cara Mina ... non leggere queste parole con il tuo sorriso bonario ma ironico.” E mentre le scrive la vede nell’atteggiamento di “elargire una specie di indulgenza, dopo aver decifrato senza difficoltà quel che s’annida dietro le parole.” Lei era una psicologa che nel gioco di coppia sapeva ottenere quello che desiderava. “Tu comandi sottovoce e io eseguo in silenzio. Hai tutto in testa come se stessi realizzando attraverso di me un progetto esotico attinto in un manuale di erotismo. Qui. Adesso qui. Piano. Forte. Ancora. Aspetta... Così.” A sera a casa di Emanuel giungono degli ospiti. Sono giornate di preparativi per la sommossa. Qualcuno ha avuto parole aspre 5 perché molto resta da fare. “Non agitatevi signori, non è ancora persa la nostra speranza, come si dice. Un momento, Efraim, voglio chiederti scusa. Se per caso ti ho offeso, non l’ho fatto apposta.” Il giovane Efraim, osservato attraverso occhi adulti, perde l’aureola di eroe. La situazione diventa concitata. Gli ospiti vanno e vengono dalla cucina al laboratorio. “Insomma, poco a poco vengo sfrattato da casa mia... Presto dovrò andarmene da qui.” Emanuel, dopo essere fuggito da un paese all’altro, si sente più o meno cacciato da casa sua. Siamo alla carrellata finale che riassume l’arco di una vita, al congedo dal mondo. ”Anche da qui mi stanno mandando via brutalmente ... Mina, la lezione, il senso? Qual è la questione, come dicono qui?” Il goffo Hillel e il piccolo Uriel; la madre di Hillel, Ruth, e la signora Kolodny; il padre di Hillel, Hans Kipnis ed Emanuel... I personaggi centrali cambiano nome, professione, ma nel racconto hanno ruoli identici, conservano la medesima personalità anche se la narrazione aggiunge, di pagina in pagina, per gli stessi protagonisti una visione più sfaccettata e completa. Il libro si presenta come un romanzo. Oppure lo si può ammirare come un quadro cubista dove il pittore volutamente scompone i profili delle persone, tratteggia ogni vicenda, quasi a voler confondere. Quasi a confessare un senso di reticenza, di pudore, nello svelare sentimenti intimi, forti, pressanti e mai esternati del tutto. Come dimenticare che la madre di Amos Oz, Fania, si suicidò quando lui aveva dodici anni? I personaggi sono dei sopravvissuti, degli esuli, degli sconfitti. Ai quali (tranne alcuni che cercano rifugio nel continente americano) non resta che lottare per la vita, ancora lottare, per un fazzoletto di terra da eleggere a nuova patria. In quest’ottica la loro storia è 6 quella di persone sconfitte, derubate degli averi e della propria dignità; allo stesso tempo, collettivamente, raggiungono l’obiettivo della nascita di una nazione, dello stato d’Israele. Ma, tutta questa sofferenza, questo lottare, che senso ha davanti al destino dell’uomo nella sua transizione verso la morte? Antonio Fiorella Il monte del Cattivo Consiglio, Amos Oz, Feltrinelli 7