tesi di laurea

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tesi di laurea
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
DELLA TUSCIA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea in
“Scienza della Pubblica Amministrazione”
Titolo
LA DINAMICA INDIVIDUO-GRUPPO NEI CONTESTI
LAVORATIVI
Cattedra
Psicologia delle organizzazioni
RELATORE
CANDIDATO
Prof. Gianluca Biggio
Gaetana Moriano
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
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INDICE
INTRODUZIONE
pp.4
CAPITOLO 1
Cos’è un gruppo
1.1 Tipologia dei gruppi
pp.5
1.2 Strutturazione dei gruppi
pp.6
CAPITOLO 2
Kurt Lewin ed Elton Mayo: un approccio di studio
1.1 Kurt Lewin: ambiente comportamentale e dinamica di
gruppo
pp.8
1.2 Elton Mayo e la scuola delle Relazioni Umane
pp.13
CAPITOLO 3
Vita di gruppo fra lavoro, coesione e conflitti
1.1 Costruire un gruppo di lavoro
pp.17
1.2 Lavorare insieme
pp.36
1.3 Il senso della coesione
pp.38
1.4 Conflitti e spaccature nel gruppo
pp.40
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3
CAPITOLO 4
Descrizione di un intervento di ricerca-azione
1.1
L’efficienza dei gruppi di lavoro del Sert secondo
Depolo
pp.43
SINTESI E CONCLUSIONI
pp.50
ABSTRACT
pp.54
BIBLIOGRAFIA
pp.58
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4
INTRODUZIONE
Tutta la nostra vita si snoda attraverso l’appartenenza a gruppi: le
compagnie di amici, i club, le organizzazioni lavorative e sociali, le equipe
mediche…Ma cos’è un gruppo? L’interesse per tale argomento nasce
dalla socialità che investe il mio modo di essere e la mia predisposizione
ai rapporti umani. Essere parte di un gruppo è a mio giudizio un ottimo
modo per imparare a vivere, in cui ognuno offre i suoi “frutti” e riceve
quelli degli altri: l’egoismo non ha senso di esistere in quando è il “noi”
ad avere la meglio.
Nel mondo del lavoro inoltre si sente sempre più parlare di gruppi e di
team: imparare a stare in gruppo e capirne il funzionamento è di
inevitabile importanza. Con questo elaborato intendo offrire un percorso
di studio sul rapporto individuo-gruppo, attraverso la comparazione di
alcune importanti prospettive psico-sociali presenti in letteratura.
CAPITOLO 1
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Cos’è un gruppo?
Tipologia dei gruppi
Il termine gruppo, originariamente, risale al latino medioevale, in cui
“gruppus” significava nodo o groppo e al tedesco antico “kruppe 1”, per
indicare una massa arrotondata.
Attualmente viene utilizzato in vari ambiti culturali per denominare
un’insieme di unità funzionali..
Dal punto di vista psicologico e sociale, può dirsi gruppo un’insieme di
persone quando soddisfa determinate condizioni:
1. vi sia un contatto sociale diretto tra i membri del gruppo, che
interagiscono e comunicano l’uno con l’altro creando relazioni
significative;
2. una coscienza di gruppo tale da identificare i componenti come
membri di un’unità;
3. un
suo
funzionamento
e
una
data
organizzazione
che
presuppongono ad ogni singola individualità il rispetto di determinate
regole.
1
Condolf, A., Bernerdi, M. Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Roma
1998
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Possiamo quindi definire il gruppo come un’insieme di individui tra cui
vi è interazione, vi sono degli obiettivi comuni, una partecipazione
collettiva e dei rapporti affettivi.
Non bisogna comunque dimenticare un ulteriore aspetto che incide sulla
classificazione di un gruppo come tale: il numero dei componenti.
Due persone insieme non costituiscono un gruppo ma una diade; ecco
perchè è necessario almeno una terza persona; non è possibile invece
poter stabilire il limite massimo dei componenti, che è connesso alle
possibilità di contatto sociale diretto tra loro: più il numero aumenta più
è difficile avere un contatto con tutti e il gruppo tende a sfaldarsi.
Strutturazione del gruppo
Per quanto riguarda la composizione di un gruppo, la pratica ci consente
di verificare il ruolo delle forze di tipo socioemozionali
e di tipo
razionali: è proprio dall’equilibrio di esse che il gruppo si caratterizza in
un modo o in un altro.
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La strutturazione di un gruppo è quindi collegata, ma non del tutto
determinata, alle interazioni dei singoli e al prevalere dell’una o dell’altra
componente nella fase dell’integrazione.
In questo contesto è di fondamentale importanza il concetto di
“coesione”, cioè il campo totale delle forze che inducono i membri a
rimanere nel gruppo.
Un’analisi di tipo relazionale ci porta quindi a considerare, in termini
prioritari, la disponibilità di un individuo a far parte di una struttura e il
modo in cui riesce a concentrare le tali forze sull’interesse comune.
Non bisogna comunque dimenticare che ogni individuo nasce con
caratteri propri che l’accompagnano nel corso della vita; vi è quindi una
parte “genotipica” risultante restrittiva per lo studio dei fenomeni di
gruppo, in quanto si è comunque in presenza di forze esterne che
mirano alla modificazione dei caratteri ereditati.
L’elemento della permissività è invece presente nella parte “fenotipica”,
su cui la struttura del gruppo può far forza per determinare delle
modifiche: il passaggio dall’individuo singolo al gruppo è contrassegnato
da una serie di eventi nei quali sono contemporaneamente impegnati il
genotipo e il fenotipo di ogni individuo.
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CAPITOLO 2
Kurt Lewin ed Elton Mayo: un approccio di studio
Kurt Lewin: il metodo topografico e la dinamica di gruppo
Nato nel 1890, Kurt Lewin è stato uno degli studiosi più rappresentativi
della psicologia della Gestalt, concentrando i suoi interessi soprattutto sui
problemi relativi alla vita affettivo-emotiva ed alla dinamica di gruppo.
Nel corso delle sue ricerche in campo, uno dei concetti da lui più
elaborati è quello di “ambiente comportamentale”. Questo termine
veniva utilizzato per descrivere realtà formate da oggetti, dalle persone,
dai luoghi che, per un individuo, appartengono al presente o ad un
futuro più o meno lontano, con i quali egli entra direttamente o
indirettamente in rapporto . Una parte delle ricerche condotte da Lewin,
avevano come oggetto lo studio delle condizioni di modifica del campo.
È stato
quindi introdotto
il
metodo
“topologico”,
per la
rappresentazione di ogni regione, luogo in cui un individuo si viene a
trovare, ad un momento dato. Questa tecnica prevede l’utilizzo di figure
geometriche come cerchi o rettangoli, con linee tratteggiate o continue, a
seconda dei gradi di permeabilità della frontiera.
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Secondo Lewin, non soltanto l’ambiente è segmentato in regioni, ma
anche la persona può essere concepita come una totalità articolata in
zone. Ecco perchè lo sviluppo della personalità può essere concepito
come una crescente articolazione di sfere distinte. Tutto ciò è servito a
Lewin
per
l’analisi
del
comportamento
dell’individuo
e
delle
trasformazioni che hanno luogo nella struttura della sua persona. Molte
regioni posseggono per l’individuo una “valenza” positiva o negativa,
vissuta come una proprietà oggettiva di una certa porzione della realtà
ovvero come una forza psicologica che lo spinge vicino o lontano ad
essa. Le cose risultano semplici quando nel campo ci sono diverse
valenze positive, ma solo una di esse è dominante. Diventano più
complesse quando, sempre in un momento dato esistono una o più
valenze negative dominanti. Si viene a creare quindi una situazione di
conflitto, nel senso che sull’individuo premono due o più forze di senso
contrario. Il tema quindi affrontato da Lewin è l’analisi di un certo
numero di situazioni conflittuali e i fattori che possono concorrere a
suscitarli o ad aumentare la loro intensità. L’attenzione di Lewin si
concentrò successivamente anche sull’individuo inteso come membro di
un gruppo, come parte di una società, andando ad osservare quindi
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l’aspetto sociale del comportamento. Si è molto discusso sulla
definizione da attribuire al gruppo. Lewin lo ha considerato qualcosa
oltre la semplice somma degli individui che lo compongono: la
peculiarità di un gruppo non è la somiglianza tra i suoi membri ma la
loro interdipendenza. Il gruppo viene definito quindi, secondo l’ autore,
come una “totalità dinamica”: ogni cambiamento di stato di una sua
parte interessa lo stato di tutte le altre. L’interdipendenza tra i membri
dipende da molti fattori, tra cui la coesione e l’organizzazione del
gruppo. Un primo problema nella formazione comportamentale dei
gruppi, è dovuto a diversi fattori tra cui la somiglianza tra le parti: Lewin
afferma l’esistenza di forze del campo che spingono l’Io verso gli altri
individui. La sola somiglianza è un puro sforzo io-ambiente, quindi l’Io e
gli altri individui si uniscono esclusivamente per una componente
sociologica. L’Io dipende dall’ambiente da cui è circondato e l’ambiente
comportamentale dall’Io che esso circonda. Il comportamento sociale
non è risultato quindi di propensioni sociali interne all’Io ma è il
prodotto di una particolare organizzazione di campo. Per quanto
riguarda le caratteristiche del gruppo bisogna considerare, quali prodotti
dell’organizzazione, l’unificazione e la segregazione lungo la linea di
contorno: i gruppi possono quindi presentarsi più o meno chiusi, con
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linee divisorie definite o non. Se un membro del gruppo ne esce, questo
si chiude con molta facilità: l’esclusione da un gruppo può influire
profondamente nell’Io della persona che subisce questo evento. Il
gruppo di appartenenza e la cultura condizionano lo stile di vita di una
persona: l’individuo sviluppa una propria personalità solo in quanto
membro di un gruppo (Koffka, 1970, pp. 695-699). Affinchè si possa
parlare di dinamica di gruppo, l’individuo viene considerato all’interno di
un “campo”: questo è lo spazio di vita, il gruppo a cui esso appartiene.
Come il campo si modifica, variano anche i comportamenti di un
individuo. Questo metodo studia i fenomeni psicologici che hanno sede
in quel campo caratterizzato da bisogni, motivazioni, risorse, norme… Il
metodo utilizzato da Lewin è stato in particolare la ricerca-azione, che
tenta di coniugare la comprensione dei fenomeni, l’acquisizione di
conoscenze e l’applicazione del sapere psicologico e sociale. I primi
risultati con questo approccio si ebbero nel 1946, quando l’azienda
H.M.C , in forte sottoproduzione dei nuovi assunti, fece visitare i propri
impianti da Lewin. Parlando con il personale, si rese conto che il
problema dipendeva dall’incapacità degli operai di considerare realizzabili
le mete produttive fissate dalla società. Per rispondere a ciò Lewin pose
fine al controllo individuale sugli operai: vennero trattati come membri di
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piccoli gruppi e infuse loro la sensazione di una standard produttivo
realistico. Ciò implicò l’assunzione di vecchi operai con grande
esperienza, i quali si confrontarono con gli apprendisti. Il risultato della
ricerca-azione fu il notevole aumento della produttività. Questo metodo
si presenta quindi come un processo di tipo ciclico, che si compone di
tre momenti:
1. pianificazione;
2. esecuzione;
3. inchiesta sui risultati dell’azione.
Per quanto riguarda il primo punto, Lewin parte dal ruolo della ricerca
sociale, come idea di cambiamento, di bisogno manifesto o latente. Si
inizia analizzando minuziosamente la situazione di partenza, tenendo
conto degli strumenti a disposizione, per redigere poi un piano globale
per il conseguimento dell’obiettivo. Un principio fondamentale in questo
contesto è quello di condivisione delle finalità, cioè il fatto che i soggetti
sono messi in condizione di condividere le finalità della ricerca. Si passa
poi all’esecuzione vera e propria della prima parte del progetto.
Successivamente si considerano ulteriori inchieste per valutare se ciò che
è stato intrapreso è corrispondente alle aspettative, e se l’esito è negativo
permettono l’eventuale modifica del piano globale. Il fine dunque della
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ricerca-azione consiste in un processo circolare che riunisca la
conoscenza teorica con quella per il cambiamento del gruppo.
Elton Mayo e la scuola delle Relazioni Umane
Nato in Australia nel 1880, Elton Mayo è considerato il fondatore della
sociologia industriale e in particolare della scuola delle Relazioni Umane,
frutto dei risultati provenienti dagli esperimenti di Hawthorne del 192732, negli stabilimenti della Western Electric. La lezione più importante di
Mayo è che la base della soddisfazione nel lavoro non è di natura
economica ma è collegata all’interesse per la
performance. Gli
esperimenti furono condotti sotto la sua supervisione e da un gruppo di
studiosi di Harvard. Erano già stati avviati una serie di test che avevano
comportato cambiamenti nelle condizioni di lavoro e fornito risultati
inaspettati riguardo la performance dei dipendenti. Al test avevano
partecipato
due
gruppi di
lavoratori.
L’esperimento
consisteva
nell’aumentare l’intensità dell’illuminazione solo per una delle due
squadre. Il risultato fu che in quel gruppo ci fu un netto aumento di
produttività ma lo stesso fu ottenuto anche dal gruppo per il quale
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l’illuminazione non aveva subito alcun cambiamento. Mayo si spinse
oltre, fino ad apportare ben dieci modifiche alle condizioni di lavoro tra
cui la riduzione dell’orario di lavoro,varie pause… L’equipe di ricercatori
di Mayo trascorreva molto tempo con i gruppi di lavoro: ogni volta che
subentrava un cambiamento si registrava un aumento di produttività. Ma
ciò che stupì fu che, quando si chiese ai gruppi di ritornare alle
condizioni di lavoro iniziali, la produttività aumentò di nuovo. L’unica
spiegazione secondo Mayo era che i dipendenti si sentivano molto più
soddisfatti del lavoro perchè avevano la sensazione di essere individui e
non ingranaggi di una macchina e perché, grazie alla comunicazione con i
ricercatori, i lavoratori si sentivano maggiormente investiti delle
responsabilità della propria performance e di quella dell’intero gruppo.
Quindi, ai fini della performance, la sensazione di coesione e la stima di
sè erano più importanti di qualsiasi miglioramento dell’ambiente di
lavoro. Secondo Mayo, nei lavoratori prevaleva la logica dei
“sentimenti”, mentre i manager si ispiravano alla logica dei “costi e
dell’efficienza”. Il dato più importante emerso da questa sperimentazione
fu la confutazione della teoria tayloristica dell’interesse personale. In
pratica, i dipendenti apprezzavano la collaborazione spontanea e i
rapporti creativi con i colleghi di lavoro, comportandosi in questo modo:
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“ il desiderio di essere stimolati dai propri simili, il cosiddetto istinto di associazione,
è decisamente preponderante rispetto al mero interesse personale e alla logica delle
argomentazioni sulle quali si fondano così tante teoria fasulle di management”
(Mayo, 1949). Da una pubblicazione dal titolo Industrial Sociology del 1964,
Miller e Form mostrarono le importanti conclusioni del lavoro
sperimentale di Mayo:
1. il lavoro è un’attività di gruppo;
2. la vita sociale degli adulti ruota soprattutto intorno all’attività
lavorativa;
3. il bisogno di essere accettati, di sicurezza e il senso di
appartenenza sono più determinanti per la morale di un lavoratore
e per la produttività, rispetto alle condizioni fisiche nella quale si
trova a lavorare;
4. i gruppi informali all’interno della fabbrica esercitano un forte
controllo sociale sulle abitudini lavorative e sugli atteggiamenti del
singolo lavoratore;
5. la collaborazione di gruppo va programmata e sviluppata.
La scoperta di Mayo dell’importanza dei gruppi di pari livello sul lavoro,
lo portò a concludere che all’interno di ogni organizzazione formale
esistono numerose organizzazioni informali. Queste possono essere
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incoraggiate a realizzare una più elevata produttività grazie all’interesse e
alla stima dei loro manager. Così, l’Human Relation Movement2, cominciò a
dedicarsi allo studio di come incanalare motivazioni e impegno degli
individui in direzione degli obiettivi aziendali. Questa teoria dà
importanza agli aspetti emotivi, non prevedibili e irrazionali del
comportamento organizzativo: ogni lavoratore ha un cuore. Era
necessario quindi attrezzarsi per conoscere il funzionamento e utilizzare
questa conoscenza al fine di rendere più efficienti i sistemi di direzione.
È compito dei responsabili organizzativi, per rendere più facile
l’identificazione degli obiettivi d’azienda, mostrarsi sensibili a queste
esigenze. Il “fattore umano” prende un posto di primo piano, così come
la sfera socio-emozionale e tutto ciò che caratterizza la vita fuori la
fabbrica, che influenza il comportamento sul lavoro.
2
www.diritto.it/materiali/lavoro/giacca.html
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CAPITOLO 3
Vita di gruppo fra lavoro, coesione e conflitti
Costruire gruppi di lavoro
G.P.Quaglino (Quaglino, 2003) e C.Cortese (Cortese, 1999), hanno
affrontato la tematica dei “gruppi di lavoro”in numerosi saggi, mettendo
a punto strumenti di ricerca e intervento sia per il pubblico che per il
privato. Bisogna innanzitutto distinguere tra gruppo e gruppo di lavoro.
Mentre il primo è una pluralità in “interazione”, il secondo viene
rappresentato dell’Autore come una pluralità in “integrazione”,
attraverso i suoi legami psicologici, l’armonizzazione delle uguaglianze e
delle differenze che si manifestano nel collettivo… Il percorso dall’uno
all’altro stato si ha attraverso un tracciato evolutivo a fasi intermedie: è il
transito attraverso “l’interdipendenza” a trasformare il gruppo in gruppo
di lavoro. “La coesione” è la prima colla, il legante che sta alla base della
formazione del gruppo, attraverso la condivisione delle regole, del
sentimento di piacere, ma può anche esprimersi con sentimenti negativi e
forte conflittualità. L’interazione non è però soddisfacente per la
creazione di un gruppo di lavoro: lo sviluppo della membership,
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dell’essere parte di un gruppo porta al soddisfacimento dei propri
bisogni, ma non garantisce capacità di sopravvivenza come soggetto
sociale. È quindi l’interdipendenza a dare consapevolezza ai membri di
dipendere gli uni dagli altri e a configurare il gruppo di lavoro come
“groupship”, attraverso la funzione equilibratrice della “leadership3”. Si
viene così a creare la necessità di legame e la maturazione del gruppo
verso l’integrazione, con cui gli individui arricchiscono la propria
identità, e con cui si sviluppa la “collaborazione”, che definisce un’area di
lavoro comune, di partecipazione attiva di tutti i membri. La
“negoziazione”, infine, si traduce nell’identificare il proprio punto di
vista, nel confrontarlo con gli altri, è quindi il processo centrale per la
collaborazione. Costruire un gruppo di lavoro non è facile. Quaglino e
Cortese affrontano la tematica offrendo riflessioni e indicazioni per
quella che potremo definire “la disciplina del gioco di squadra”. Il
materiale raccolto nel testo è il frutto dell’incontro con ottanta gruppi di
lavoro che hanno contribuito ad alimentare un database ricco di storie .
L’ analisi è inoltre articolata in quattro vertici (l’obiettivo, il metodo, le
risorse e il coordinamento) che consentono di tracciare un percorso di
apprendimento sul gruppo di lavoro. Il primo quesito che ci si pone
3
Con leadership s’intende: direzione, comando. Dizionario della lingua inglese,
Varese 1995
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quando si entra in un gruppo è: “Perchè ci siamo riuniti?”. Rispondere a
questa domanda è assolutamente importante in quanto offre il
presupposto per l’effettiva istituzione del gruppo di lavoro, ovvero
l’espressione di una finalità. In altri termini ciò costituisce “l’obiettivo”, il
risultato atteso dal gruppo, il traguardo da raggiungere che costituisce il
suo fine ma anche la sua conclusione, in quanto una volta raggiunto
l’obiettivo il gruppo non esisterà più. Innanzitutto un buon obiettivo
deve essere chiaro per permettere a tutti i componenti del gruppo di
comprenderlo allo stesso modo. La chiarezza è quindi la principale
qualità dell’obiettivo e se ciò viene a mancare a lavorare saranno i
singoli, ciascuno all’inseguimento del proprio obiettivo. Per quanto
riguarda la questione della condivisione, vi sono situazioni, come ad
esempio nelle organizzazioni, dove ci possono essere obiettivi non
condivisi, che appaiono inutili, ma che ugualmente le persone si
impegnano a raggiungere. Quindi un obiettivo non del tutto condiviso
non impedisce ai componenti del gruppo di lavorare. Ciò che realmente
impedisce di fare lavoro di gruppo non è la mancanza di condivisione ma
di chiarezza. Oltre alla precedente domanda che ci consente quindi di
spiegare l’importanza di un chiaro obiettivo, all’interno del gruppo può
sorgere un ulteriore quesito: “Che cosa dobbiamo fare? ”. Qui entra in
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gioco “il compito”, ovvero l’attività che siamo chiamati a svolgere, il
lavoro che ci consente di raggiungere l’obiettivo. La situazione che
spesso accade nelle organizzazioni è che all’assegnazione di un obiettivo
non corrisponde alcun cenno al compito. È quindi importante ragionare
subito in termini di compito. Correlato a questo concetto c’è quello di
“strategia”, ovvero la cornice di riferimento all’interno della quale il
gruppo è chiamato a lavorare. Ragionare in questi termini è importante
per riconoscere che l’obiettivo affidato al gruppo non è altro che una
tappa all’interno di un lungo viaggio in cui si colloca l’organizzazione. È
inoltre utile per semplificare l’esecuzione del compito: la strategia
individua un orientamento, un indirizzo utile per lo svolgimento del
compito. È possibile inoltre individuare alcune situazioni tipiche in cui
un gruppo si può trovare: passaggio di informazioni, discussione,
sviluppo e creazione di idee, soluzione di problemi, presa di decisione e
monitoraggio. Il passaggio di informazioni o comunicazione, scambio e
confronto è un’attività che permette di creare rappresentazioni comuni
rispetto ad un certo aspetto della realtà, per far vedere le cose allo stesso
modo o con un pensiero analogo. Può accadere che le informazioni sono
inizialmente possedute da un solo componente del gruppo o da più
componenti : l’importante è che tutti possano esporle a coloro che non
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le possiedono. La discussione è il tipo di compito più frequente per
creare e sviluppare idee, per risolvere problemi, per prendere decisioni.
Viene inoltre utilizzata per analizzare le convinzioni di ciascun
componente del gruppo in riferimento ad un determinato argomento.
Con lo sviluppo di idee si rappresenta un ulteriore avanzamento sul
piano della produzione di significati rispetto ai compiti. Ciò può avvenire
con un’idea già esistente , arricchendola o trasformandola, oppure creare
un’idea da zero. Talvolta l’atto creativo che il gruppo è chiamato a
compiere può essere definito in termini di soluzioni di problemi: qui il
lavoro di gruppo consiste nel selezionare e ordinare le informazioni per
individuare e rimuovere gli ostacoli che impediscono la soluzione. Il
principale vantaggio di questo compito è rappresentato dalla possibilità
di far convergere le informazioni possedute dai diversi individui. Un
ulteriore compito consiste nella scelta di un’alternativa all’interno di un
ventaglio di possibilità più o meno ampio: se le possibilità sono note la
presa di decisione si configurerà come una ricerca dell’alternativa più
appropriata, invece se tale ventaglio di possibilità non è noto il gruppo
sarà chiamato a ricostruirlo. Infine vi è il monitoraggio, che è il compito
meno frequentemente utilizzato da un gruppo di lavoro e che consiste
nel seguire e controllare un processo, verificandone l’andamento in
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termini di rispondenza alle finalità previste, tempi, risorse, problemi…
“Come lavoriamo insieme?” Rispondere a questa domanda rappresenta il
metodo di lavoro che il gruppo usa per eseguire l’ attività e quindi per
raggiungere l’obiettivo: il modo di fare, il procedimento, il sistema. Il
metodo inoltre si può riferire sia alla prestazione che definisce le
modalità tecniche di realizzazione delle attività, sia ai rapporti
interpersonali quando definisce le modalità di interazione tra i
componenti del gruppo. Il metodo quindi costituisce il secondo confine
del terreno di gioco della squadra e se l’obiettivo, il compito e la strategia
possono essere considerati alla base del gruppo, il metodo ne delinea la
forma. Avrà così luogo il perimetro entro cui si svolge il lavoro di
gruppo, attraverso due fondamentali qualità: la comunicazione e la
collaborazione. Il metodo attiva la comunicazione in quanto consente ai
differenti componenti di esprimersi, manifestare con senso oppure
dissenso, e al tempo stesso stimola la collaborazione in quanto permette
di intrecciare i corsi d’ azione individuali in funzione delle esigenze legate
alla realizzazione dei compiti. Darsi un metodo quindi significa cercare la
miglior divisione del lavoro possibile in senso spaziale (stabilire
sottocompiti che conducono a sott’obiettivi) e temporale (associare a
ciascuno di essi una scadenza intermedia). Inoltre Quaglino, rielaborando
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molte storie raccolte, ha evidenziato otto azioni orientate alla regolazione
delle interazioni tra i componenti del gruppo di cui quattro sono
riconducibili alla comunicazione e quattro alla collaborazione. In merito
al comunicare, il giro di tavolo costituisce la prima azione che consente a
tutti i componenti del gruppo di esprimere le proprie convinzioni
relativamente ad un determinato aspetto della realtà. Attraverso questo
metodo chi non ha un’opinione lo può dichiarare, chi parla per primo sa
che deve regolare la durata del proprio intervento per lasciare spazio a
tutti. Non ha importanza il senso orario o antiorario che si vuole seguire
per organizzare gli interventi in quanto tutti saranno chiamati in ogni
caso ad esprimersi. La comunicazione all’interno del gruppo ha bisogno
comunque della sintesi, che permette la verifica delle distanze e
l’eventuale spazio per la trasformazione delle convinzioni stesse. Ciò
costituisce un esercizio di convergenza in quanto si propone di
individuare punti in comune tra le convinzioni espresse dai singoli. La
sintesi procede attraverso due passaggi : il primo consente di individuare
“famiglie” di convinzioni e le differenti posizioni all’interno del gruppo;
il secondo invece punta a ritrovare qualche carattere comune tra le
differenti “famiglie”. L’interruzione invece analizza il problema di come
ogni organizzazione regola le proprie modalità di comunicazione in
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relazione alla legittimità o non dell’interrompere chi sta parlando, anche
per consentire di spiegarsi meglio. Servirsi della scrittura è invece
vantaggioso in quanto può sia valorizzare la comunicazione che avviene
nel giro di tavolo, sia per definire una sintesi migliore. Tra i supporti che
permettono la scrittura, un quaderno o un notes personale permette di
schematizzare il punto di vista che si intende presentare. Le libere
associazioni sono un metodo che permettono sia di attivare la
comunicazione,
sia
di
stimolare
la
collaborazione,
favorendo
l’integrazione dei contributi individuali fino a pervenire alla costruzione
di un risultato comune. Con ciò vengono indicate quel tipo di
interazioni guidate dall’evoluzione dei pensieri prodotti dai differenti
componenti del gruppo, una volta definito il tema. Per la gestione di un
momento di lavoro basato sulle libere associazioni esistono delle regole
che assicurano un corretto ed efficace intervento-tipo. La prima riguarda
la sinteticità, col la quale viene limitato lo spazio che ciascuno può
prendersi evitando così la perdita delle intuizioni. La disponibilità invece
permette che qualunque idea venga espressa, anche le più bizzarre, in
quanto ogni intervento può diventare uno stimolo per il pensiero altrui.
Con la sospensione del giudizio si evita il commento delle idee proposte
ma si utilizzano come spunto per presentare le proprie. L’ultima regola
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consiste nella produttività, ovvero un elevato ritmo di idee da mettere in
gioco, per creare una massa di pensieri sufficienti al gruppo di lavoro.
Per orientare e stimolare la collaborazione una posizione di primo piano
va allo scambio di informazioni, ovvero al momento in cui cessano di
essere proprietà degli individui, per diventare proprietà del gruppo.
Questo metodo è caratterizzato da quattro passaggi:
1. individuazione precisa di chi possiede le informazioni rilevanti
rispetto all’oggetto in questione;
2. riconoscimento della natura delle informazioni, di quanto tempo
ci vuole per farle proprie e come sono conservate;
3. evitare il passaggio di informazioni al momento di riunione del
gruppo ma inviarle con un certo anticipo ai componenti;
4. fissare su carta le informazioni che vengono trasmesse.
Ci sono occasioni in cui qualcuno dei componenti sente il bisogno di fare
il punto della situazione per verificare lo stato del proprio operare
insieme. Questa verifica può essere orientata verso due differenti fronti:
1. verso un fronte interno, ovvero verso il gruppo di lavoro,
focalizzando le modalità di funzionamento che il gruppo si è
dato, le possibilità di cambiamento…
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2. verso un fronte esterno, ovvero verso il lavoro di gruppo,
focalizzando in questo caso il percorso che conduce al
raggiungimento dell’obiettivo.
Fare il punto della situazione significa quindi verificare lo stato della
collaborazione, per renderla più efficace nelle successive fasi del lavoro.
L’ultima modalità di regolazione delle interazioni è orientata a
promuovere la scelta fra le diverse alternative: ciò è reso possibile
attraverso cinque passaggi-chiave. La definizione delle alternative
permette di costruire un elenco di opzioni che in alcuni casi sono
predefinite dall’esterno (in questo caso è sufficiente renderle esplicite) in
altri sono da formulare (qui bisogna attivare uno sforzo creativo per
individuarle). Una volta delineate le alternative si procede all’eliminazione
di quelle che risultano meno attinenti, cancellandole dall’elenco scritto in
precedenza. Successivamente si procede con la valutazione delle
alternative, attribuendo un valore che sintetizza l’adeguatezza rispetto al
risultato atteso. Questo lavoro consiste nell’attribuire un punteggio
numerico o un giudizio in forma di frase e costruire una graduatoria di
alternative . La fase successiva consiste nella votazione dell’alternativa da
scegliere, che prevede , se non si raggiunge l’unanimità, lo strumento
dalla maggioranza. La revisione conclusiva consiste infine nel
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ripercorrere l’iter della scelta partendo dalla definizione fino alla
conclusione, evidenziando i passaggi chiave e individuando eventuali
errori commessi. Di fondamentale importanza sono anche le risorse e i
mezzi che costituiscono il terzo vertice necessario alla costruzione di un
gruppo di lavoro. Uno dei classici errori che i gruppi commettono ha a
che fare con il mancato utilizzo di una risorsa che, pur essendo
disponibile, non viene riconosciuta. Allo stesso modo non riconoscere
un vincolo può portare il gruppo a sprecare il proprio lavoro, ad esempio
quando l’obiettivo non viene raggiunto in tempo utile. Riconoscere le
risorse e i vincoli promuove anche un atteggiamento propositivo di
richiesta ai propri interlocutori delle risorse che vengono ritenute
necessarie, così come l’eliminazione di quei vincoli che sembrano non
consentire il raggiungimento dell’obiettivo affidato al gruppo. Nei gruppi
efficaci le risorse vengono condivise, ovvero cessano di essere una
proprietà di qualcuno ma appartengono al gruppo. Si viene a creare un
effetto a catena quando invece gli individui non riconoscono negli altri
componenti del gruppo la massima apertura a mettere in comune le loro
risorse e faranno la stessa cosa con le proprie. Allo stesso modo, quando
un gruppo sarà in grado di appropriarsi delle risorse dei singoli, tanto più
si assisterà all’emergere di altre risorse, ad esempio la fiducia
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interpersonale, la motivazione a collaborare… All’interno di questa ottica
si viene a creare un processo che vede il passaggio dalle risorse tecniche a
quelle umane; così la disponibilità delle informazioni produce fiducia,
l’adeguatezza degli strumenti di lavoro produce motivazione… Sono
cinque le risorse principali di cui un gruppo può disporre e gli
consentono di crescere per diventare una squadra eccellente. Come
abbiamo prima citato le persone che lo compongono e le informazioni
che costituiscono l’oggetto della ricerca, sono le due risorse di base. A
queste vanno aggiunte quelle del setting, cioè dello spazio in cui il gruppo
gioca la sua partita, il tempo e l’organizzazione. La più ovvia risorsa a
disposizione di un gruppo sono i suoi differenti componenti: le persone
che ne fanno o ne faranno parte , ciascuna con le proprie competenze e
qualità. Nei gruppi efficaci l’individuazione dei componenti del gruppo
non è improvvisata ma è pensata per ottenere la massima coerenza tra le
competenze che le persone possiedono, e la massima complementarietà
in termini di eterogeneità delle competenze. La composizione di un
gruppo non è un tema da affrontare solo nei momenti che precedono la
sua istituzione, ma anche dopo è utile fare un “censimento” dei
componenti presenti. Inoltre è stato sviluppato dai gruppi efficaci una
“cultura della differenza” che si basa sulla possibilità di ciascuno di
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presentarsi per le proprie doti, senza il timore di essere giudicato. Così i
partecipanti percepiscono che il gruppo è in grado di utilizzare
positivamente l’eterogeneità, costruendo sulla differenza l’efficacia delle
proprie prestazioni. Le competenze dichiarate dai componenti del
gruppo possono essere articolate in una tipologia costituita da tre
principali categorie:
1. capacità di mestiere, ovvero legate allo specifico compito da
svolgere;
2. capacità trasversali, ovvero di tipo generale come la conoscenza di
una norma…
3. qualità sociali, ovvero di natura relazionale come la negoziazione.
Come già affermato ci sono situazioni in cui il gruppo di lavoro ha come
obiettivo il passaggio di informazioni, ma è importante riconoscere come
qualsiasi altro compito richieda un momento di lavoro che ha come
oggetto specifico proprio le informazioni. Per renderle delle vere risorse ,
il gruppo è chiamato ad assumere un atteggiamento verso la gestione
attiva. La rappresentazione grafica consente al gruppo di incrementare
l’efficacia nel proprio lavoro: ciò è ancora più significativo quando si
tratta di lavorare con le informazioni. Il setting invece, comprende gli
aspetti del luogo,gli arredamenti e gli strumenti non tecnici di lavoro. Il
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luogo è lo spazio fisico in cui avviene l’interazione del gruppo: l’ufficio,
la sala riunioni…Vi sono alcune caratteristiche del luogo di lavoro che
vanno
presidiate
con
particolare
attenzione:
la
rumorosità,
l’
illuminazione, la dimensione del luogo… Tra gli arredi figurano i tavoli,
le sedie, mentre tra gli strumenti non tecnici di lavoro abbiamo quelli per
scrivere (lavagna, fogli…) e quelli per comunicare (i cartellini col nome,
la lavagna luminosa, il telefono…). Il tempo, a volte percepito come
risorsa, struttura e scandisce la vita del gruppo. È l’unica risorsa non
reintegrabile: una riunione infruttuosa non è recuperabile. È anche però
facilmente valutabile: è abbastanza semplice verificare quanto tempo si è
dovuto investire per ottenere un risultato. I gruppi più efficaci sono in
grado di attivare strategie intenzionali di controllo e di utilizzo del tempo
a disposizione, mentre quelli meno efficaci si qualificano per una diffusa
incuria nei confronti del tempo, che può produrre soltanto inefficienza
nel raggiungimento degli obiettivi fissati. La gestione del tempo da parte
del gruppo si realizza controllando cinque aspetti principali: la scadenza,
ovvero la data entro la quale deve essere raggiunto l’obiettivo,
l’articolazione, che permette di fare una previsione del numero di
incontri che si renderanno necessari, l’orario per fissare il momento di
inizio e conclusione del lavoro, e infine gli imprevisti che consiste nel
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risolvere le situazioni problematiche caratterizzate da ritardi, rinvii…
L’organizzazione infine può essere considerata in termini di risorsa
oppure vincolo, per il suo potere di influenzare la motivazione al lavoro
e il senso di appartenenza degli individui. Spesso vi è un atteggiamento di
forte dipendenza del gruppo nei confronti dell’organizzazione: è come se
il gruppo non fosse in grado di fare nulla senza la tutela
dell’organizzazione. Spesso invece quest’ultima affida ai gruppi che
istituiscono al proprio interno, una delega impropria: in questo senso
l’efficacia dei gruppi è soprattutto l’esito della capacità di prendere in
mano il proprio destino, sentirsi protagonisti della propria storia. Le
risorse che i gruppi si trovano a negoziare con l’organizzazione sono: i
tempi per la gestione delle agende individuali tale da offrire ai
componenti la possibilità di partecipare agli incontri; i luoghi ovvero
l’ambiente in cui il gruppo può riunirsi; la segretaria come punto di
raccolta di tutte le informazioni del gruppo e infine gli strumenti di
lavoro (fotocopiatrice, lavagna…). L’ultimo vertice necessario alla
costruzione di una buona squadra di lavoro è il coordinamento. Per
realizzare un gruppo di lavoro efficace è indispensabile porsi il problema
del coordinamento e non del coordinatore. Se c’è il coordinamento il
gruppo funziona, ma se c’è solo il coordinatore non è scontato che sia in
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grado di fare coordinamento. Con ciò si vuole qualificare l’azione di
presidio dei confini del lavoro di gruppo, rappresentati di volta in volta
dall’obiettivo, dal compito, dal metodo… Il coordinamento è quindi
perpetuo, ininterrotto, sempre presente nel lavoro di gruppo, è l’essenza
del fare ordine. Entrando nei dettagli può essere sintetizzato in tre punti:
1. fissare l’obiettivo;
2. garantire il modello;
3. padroneggiare risorse e vincoli.
L’ordine che crea il coordinamento si qualifica per due peculiari caratteri.
Da un lato si deve affermare che non è un ordine stazionario ma
dinamico, a sevizio del fare: coordinare significa perciò intervenire,
trasformare le situazioni per consentire al gruppo di lavorare. “Lavorare
in gruppo” significa lavorare con gli altri, quindi l’ordine creato non è
solo nelle attività ma anche nelle relazioni. Il coordinamento viene così
concepito come un’azione che si fa insieme. Solo così potranno
emergere due ulteriori qualità del gruppo che garantiscono la possibilità
di lavorare con efficacia: la motivazione, ovvero la voglia di fare con gli
altri e la fiducia, cioè la sensazione di poter far affidamento su qualcuno.
Quaglino attraverso numerose interviste ha potuto individuare sette
specifiche azioni di coordinamento che consentono di sostenere le due
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qualità: il significato, l’energia, la vicinanza, il clima, la cura, l’esempio e la
coesione.
Bisogna innanzitutto affermare che il coordinamento ha il compito di
dare senso all’azione dei componenti del gruppo, ricordare e chiarire l’
obiettivo e il contenuto del compito: si parla così di “sensemaking” ovvero
la capacità di attribuire significato, in cui il coordinamento diventa il
luogo dove è possibile confrontarsi sulle ragioni prossime e remote che
stanno alla base del lavoro che si è chiamati a compiere.. Ci sono
situazioni invece in cui il lavoro stagna, mancano le forze, il gruppo ha
perso vigore: in questi casi fare ordine nel gruppo consiste nell’
incoraggiare l’espressione di forze positive e propositive da parte dei
componenti, attivando voglia di fare, la sicurezza, la motivazione e
soprattutto sollecitando tutta l’energia che gli individui sono disposti a
investire nel lavoro. Tra i comportamenti di coordinamento efficaci nel
conferire energia al gruppo di lavoro segnaliamo:
1. riflettere su quanta forza il gruppo è in grado di esprimere;
2. mantenere elevato il ritmo delle attività;
3. misurare costantemente il grado di avvicinamento alla meta finale;
4. celebrare i successi ottenuti .
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Inoltre il coordinamento facilita il senso di vicinanza tra le persone. Così
nel gruppo il numero di relazioni cresca in modo esponenziale in
funzione dell’aumentare del numero dei componenti: ciascun nuovo
membro produrrà nel gruppo tante nuove relazioni quante sono le
persone già presenti nel gruppo stesso. Fare coordinamento significa
quindi verificare continuamente che tutti siano collegati, in ascolto,
pronti ad essere chiamati in causa di chiunque altro. In tal senso
alimentare la vicinanza significa mantenere alta la disponibilità relazionale
all’ interno del gruppo. Il fronte del clima invece ha a che fare con la
percezione della qualità complessiva delle relazioni interne che
qualificano il gruppo: il clima è quindi la temperatura interpersonale che
assicura la possibilità di esprimere nel lavoro gli aspetti ludici che lo
rendono piacevole. Vi sono comunque tre aspetti che minacciano la
positività del clima relazionale:
1. i conflitti interpersonali tra i componenti del gruppo;
2. il pessimismo generalizzato circa le probabilità di riuscita;
3. l’utilizzo di un atteggiamento autoritario.
Fare coordinamento assume quindi il significato di contribuire alla
costruzione di un clima positivo, elaborando i conflitti invece di
sopprimerli. Il significato di curare, in tale contesto, consiste
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nell’occuparsi, interessarsi, mettersi nei panni di, lasciando percepire alle
persone che le si riconosce nella loro individualità, al di là del ruolo e
delle responsabilità che stanno qualificando come membri del gruppo. La
cura quindi risulta positiva quando è un attenzione momentanea che si
protrae per qualche istante e non assume le tonalità dell’ esame
psicologico. Un ulteriore voce è la questione dell’ esempio, ovvero fare
per primi affinché gli altri facciano come noi. È importante che sia
soprattutto il coordinatore istituzionale a dare l’ esempio, in quanto è la
persona più osservata e autorevole presente all’ interno del gruppo.
Anche gli altri componenti possono esercitare influenza: è responsabilità
di ciascuno proporsi di dare l’esempio in positivo e astenersi dal dare
esempi in negativo. Un ulteriore azione di coordinamento ha a che fare
con la promozione del senso di coesione all’interno del gruppo, con la
sensazione di appartenere e riconoscersi in un senso del noi. Nel gruppo
coeso quello che conta è il risultato: il noi prevale sull’io, dove l’unico
risultato che conta è quello della squadra così comportamenti efficaci si
collocano su un versante interno rappresentato dalla consapevolezza che
i risultati che il gruppo potrà conseguire sono la risultante di azioni
collettive, e un secondo versante esterno rappresentato dalla disponibilità
a negoziare con tutti gli interlocutori organizzativi del gruppo. Il
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percorso che è stato tracciato nell’analisi degli elementi principali che
articolano il campo d’azione del gruppo ci ha permesso di affermare che,
se lavorare in gruppo significa esprimere un più alto livello di interazione
nello scambio tra i componenti, giocare di squadra ha il senso di portare
all’eccellenza il lavoro di gruppo. Il gruppo quindi realizza la “squadra”
nella sua capacità di far “quadrare” il cerchio, ovvero il gruppo, lungo le
quattro principali direttrici che sono rappresentate dall’ obiettivo, dal
metodo, dalle risorse e dal coordinamento.
Lavorare insieme
La scoperta del lavoro di gruppo come fenomeno complesso non è stata
fatta da uno psicologo ma da un agronomo francese alla fine
dell’Ottocento, Maximilien
Ringelmann
(Ringelmann,
1918)
che
condusse una serie di esperimenti per sondare l’efficacia di alcune
tecniche di tiro usate in agricoltura. Nel corso di queste ricerche svolte
con studenti di agraria, egli constatò un fenomeno particolare: quando gli
individui lavoravano da soli tendevano ad impegnarsi di più di quando
lavoravano in gruppo. L’esperimento consisteva nel tirare una corda che
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al suo estremo aveva un dinamometro: si notò che il gruppo imprimeva
una forza di trazione sicuramente superiore di qualunque individuo preso
singolarmente, ma la forza non aumentava in modo proporzionale alla
grandezza del gruppo. Ciò suscitò l’interesse di molti studiosi: l’intento
era di capire cosa succedeva in un gruppo di lavoro e che differenze ci
sono fra compiti di natura motoria, logica o creativa. In compiti di tipo
cognitivo è stato osservato che i gruppi offrono in genere prestazioni
migliori degli individui, anche se impiegano più tempo. Per quelli di tipo
creativo viene spesso usato il brainstorming, tecnica usata in vari contesti
finalizzata a raccogliere il maggior numero di idee nel corso di interazioni
di gruppo, in cui gli individui sono invitati ad esprimere tutto quello che
viene loro in mente a proposito si un argomento. Attraverso questa
tecnica ci sono risultati contraddittori, in quanto il gruppo può
funzionare da attivante ma anche come inibente per la produzione
creativa. La constatazione che il gruppo non produce sempre in modo
proporzionale alle capacità dei suoi membri ha nella teoria del “deficit di
gruppo” di Ivan D.Steiner (Steiner, 1956) una delle sue più note
espressioni. Steiner sostiene che, conoscendo le prestazioni individuali su
di un compito, è possibile stabilire la produttività potenziale del gruppo
di cui fanno parte questi individui. Così la produttività effettiva risulta
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uguale a quella potenziale, meno le perdite dovute a processi imperfetti.
Un esempio di questo tipo sono le dinamiche interne del gruppo che
sono sottese da una differenziazione di ruoli, mansioni… Le diverse
posizioni dei membri nel gruppo e la reputazione rispetto alla loro
competenza nel problema specifico, avrebbero un peso notevole nella
produttività del gruppo. Un ulteriore perdita di processo può essere
dovuta a problemi di motivazione, cioè quando gli individui lavorano in
gruppo possono impegnarsi di meno di quanto devono lavorare da soli.
Il senso della coesione
Quando nel linguaggio di tutti i giorni diciamo che un gruppo è coeso ci
riferiamo a qualcosa che funziona come una specie di collante, di
aggrecante. Ci si riferisce quindi a quell’insieme di forze che da un lato fa
sì che un insieme di persone diventi un gruppo e che dall’ altro tende a
mantenerlo unito. Il primo studio che ha utilizzato nella propria ricerca la
nozione di coesione è stato Festinger (Festinger, 1957), sui quartieri
Westgate e Westgate West, in cui la diversa coesione mostrata dagli studenti
residenti nei due quartieri fu concepita come un fenomeno di “attrazione
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interpersonale”, legata alla diversa concezione architettonica dei quartieri.
Secondo questa ottica le persone diventano gruppo perché provano
simpatia reciproca, stanno bene insieme e provano attrazione le une per
le altre. Si notò che questo concetto individualistico di coesione era
piuttosto limitato, in quanto si centrava su gruppi ristretti in cui i membri
si conoscono, lasciando fuori i fenomeni di unione fra gruppi estesi, in
cui i membri non si conoscono. Un tipo di gruppo per cui è stato spesso
utilizzato il concetto di coesione sono le squadre sportive; si tratta di
gruppi reali che hanno una durata temporale abbastanza prolungata. Le
ricerche effettuate hanno dimostrato che ci sono squadre che diventano
più coese perchè vincono, altre che mantengono in buon livello di
coesione interna anche se perdono per tutta una stagione. Un ulteriore
elemento della vita di un gruppo è il conformismo, un fenomeno
comune e quasi ordinario nell’influenza sociale. Può essere rappresentato
come una posizione in un gruppo portata avanti dalla maggioranza o da
un leader a cui i membri tendono ad aderire anche quando è in contrasto
col proprio modo di pensare. L’adesione può essere passiva, quando non
ci si oppone alle decisioni che si stanno prendendo, o attiva se si
rafforzano le posizioni normative del gruppo. Asch (Asch, 1958) è uno
dei primi psicologi sociali a mettere a prova sperimentale il problema del
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conformismo. Ai soggetti del suo esperimento veniva chiesto di dire
quale fra tre rette verticali sia simile ad una retta data come campione. La
situazione è resa complessa in quanto il giudizio viene espresso ad alta
voce da un gruppo di persone in cui tutti sono complici dello
sperimentatore, tranne il soggetto ingenuo che esprime il proprio parere
per ultimo. I complici hanno il compito di dare delle risposte scorrette
in dodici prove delle diciotto previste: i soggetti ingenui danno almeno
una risposta scorretta e circa il 36% delle risposte complessive vanno nel
senso della maggioranza scorretta. Asch ha dimostrato con questo
esperimento quanto siano potenti i processi d’influenza sociale nei
gruppi e quanto le persone si sforzino di non apparire troppo diverse
dagli altri.
Conflitti e spaccature nel gruppo
Quando si parla di conflitto nel gruppo si pensa subito qualcosa di
negativo, che introduce la spaccatura tra posizioni diverse. Il conflitto si
genera per la situazione di ineguaglianza fra i membri, si presenta come
distruttivo, spacca l’equilibrio e la coesione del gruppo, mentre è
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costruttivo se comporta un arricchimento e un’evoluzione positiva della
vita del gruppo. La disuguaglianza fra i componenti è un elemento
fondante della strutturazione e della relativa stabilità del gruppo ma allo
stesso tempo costituisce una permanente possibilità di conflitto in
quanto possono presentarsi situazioni ed eventi particolari che
sconvolgono gli assetti stabiliti. L’entrata di nuovi membri, la variazione
di alcune norme possono rimettere in causa le gerarchie consolidate . Tra
gli elementi che scatenano il conflitto abbiamo innanzitutto l’accesso a
risorse limitate, ovvero la situazione in cui solo ad alcuni membri può
essere dato un premio o un riconoscimento per la propria prestazione.
Poi abbiamo la distribuzione ineguale delle opportunità, con la quale
alcuni membri hanno maggiore spazio di iniziativa o sono più ascoltati.
Vi può essere poi la disuguaglianza delle idee e delle opinioni, per le
divergenze nel modo di concepire determinati problemi. Si può inoltre
generare il conflitto per la distribuzione ineguale del potere interno, per
cui alcuni membri mettono in discussione le graduatorie di prestigio già
consolidate e prospettano dei cambiamenti nella gerarchia degli status. Si
può inoltre verificare che i gruppi affrontano il conflitto in diversi modi.
I casi più evidenti sono:
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1. quando alcuni gruppi evitano il conflitto anche quando è operante
e ha come conseguenza la demotivazione di una parte dei
membri, attenua i sentimenti di appartenenza…;
2. quando è già scoppiato ma il gruppo cerca la strada per ridurre la
portata destabilizzante;
3. quando il gruppo crea intenzionalmente un conflitto con la
conseguenza
non
necessariamente
negativa
di
produrre
innovazione e spinta a cambiamenti produttivi.
La via di uscita da una situazione conflittuale di gruppo risiede nella
capacità di discuterne senza reticenze, accettando l’aspetto “costoso”
di tale operazione e nel rischio di constatare che certe posizioni siano
difficilmente conciliabili. Può succedere che nel gruppo si palesino dei
conflitti tali per cui diviene impossibile la ricomposizione su nuove
basi. In questo caso una delle possibilità è che il gruppo si sciolga,
avendo perso quel patto di fiducia reciproca e di tensione verso la
meta che ha unito fra loro i componenti. Un’altra situazione è quella
della spaccatura in sottogruppi, definita il caso dello “scisma”, che si
presenta opposto ai processi di uniformità del gruppo e ha le sue
manifestazioni soprattutto in ambito politico e religioso.
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CAPITOLO 4
Un intervento di ricerca-azione
L’efficienza dei gruppi di lavoro del Sert
Verso la metà degli anni novanta è stata condotta una ricerca-azione il
cui oggetto di indagine era la diagnosi della situazione organizzativa
dei Servizi per le Tossicodipendenze (Sert). In particolare, ci si
chiedeva quali aspetti fossero più determinanti nel garantire
soddisfacenti livelli di efficienza ai gruppi di lavoro che costituiscono
le equipe del Sert. Questo servizio è composto da operatori di diversa
appartenenza professionale (medici, psicologi, educatori, infermieri )
e ha lo scopo
di fornire un presidio preventivo e terapeutico
nell’ambito delle dipendenze da sostanze. La richiesta dell’ente
regione era di poter individuare un modello organizzativo di questi
gruppi di lavoro tale da essere generalizzato, ma il Sert risulta come
una struttura dai contorni variabili e con differenti visioni culturali e
scientifiche…Ecco perchè il primo obiettivo della ricerca-azione è
stato quello di delineare le caratteristiche dell’ organizzazione
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attraverso il linguaggio degli attori coinvolti. L’ intervento si è svolto
secondo le seguenti fasi:
1. individuazione di alcune unità organizzative Sert, scelte in accordo
con l’ente regione, come rappresentative delle diverse situazioni
locali;
2. raccolta e analisi di documenti come le relazioni annuali , i dati
quantitativi e le indicazioni progettuali dei Sert;
3. intervista aperta con i responsabili dei Sert e relativo dossier, che
si presenta come opportunità di stimolare coinvolgimento e la
collaborazione diretta di tali soggetti;
4. intervista con ciascuno degli operatori dei Sert, che è stata
preceduta da una serie di riflessioni avvenute nel gruppo di ricerca;
5. elaborazione dei dati e ulteriore riflessione comune con gli
operatori dei diversi Sert sugli andamenti rilevati.
L’analisi del Sert ha tenuto conto di tre livelli di funzionamento:
1. il livello micro, ovvero quello dell’equipe e il suo funzionamento
come gruppo di lavoro;
2. il livello intermedio, rappresentato dai rapporti tra il Sert e altri
attori organizzativi, in relazione al sistema di vincoli e risorse entro
il quale agiva l’equipe;
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3. il livello macro, rappresentato dal rapporto tra il Sert e le politiche
sanitarie e sociali di medio-lungo periodo.
Per quanto riguarda gli strumenti della ricerca, si possono distinguere in
due grandi categorie: strumenti di conoscenza preliminare e strumenti di
indagine diretta. Appartengono al primo gruppo:
1. l’intervista libera, adottata con ciascun responsabile del Sert per
ricavare informazioni di carattere generale ( andamento delle
attività, linee guida del lavoro, rapporti con altri servizi…) ;
2. l’analisi dei documenti, ovvero le relazioni periodiche predisposte
dai responsabili del Sert, che costituivano una sorta di bilancio del
lavoro svolto;
3. l’osservazione diretta di una giornata-tipo al Sert
(accoglienza,somministrazione farmaci…),che ha previsto
anche la partecipazione a una riunione dell’ equipe.
Agli strumenti di indagine diretta appartengono:
1. le mappe cognitive, ovvero rappresentazioni sintetiche dei
contenuti discorsivi degli operatori che si caratterizzano per la
presenza di specifici legami di causa-effetto;
2. l’intervista focalizzata su alcuni nuclei tematici, a cui
l’intervistato assegnava, secondo il suo punto di vista, un
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punteggio da uno a dieci (comunicazione intragruppo,
decisioni, integrazione professionale e leadership ) ;
3. la scheda sui punti di forza e di debolezza dell’ equipe, frutto
dell’intervista individuale con tutti gli operatori del Sert;
4. le riunioni collettive di confronto sui dati, una a livello di
singolo Sert e l’altra con la presenza di operatori di più Sert,
per completare e integrare quanto i ricercatori avevano
raccolto durante la ricerca.
Ai fini dell’ intervento, ogni strumento ha contribuito in modo specifico.
Le mappe cognitive, ovvero un aggregato di concetti e di relazioni che
permettono di rappresentare graficamente ciò che si pensa nell’equipe di
lavoro, sono uno strumento di ricerca piuttosto interessante. L’
intervento ha evidenziato la presenza di diversi gradi di condivisione nel
modo di pensare degli operatori; ciò ha dato vita a modalità di
funzionamento del lavoro di equipe con efficienza differenziata. Proprio
per questo è stato possibile, attraverso l’utilizzo di mappe causali, offrire
un quadro esplicito del comune modo di ragionare nell’ equipe, per
offrire un momento di confronto ai componenti del gruppo di lavoro.
Per la costruzione delle mappe, il punto di partenza è stato quello di
indicare una lista di tredici effetti del lavoro di equipe e una lista di sedici
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possibili cause in gioco nella determinazione di tali risultati. Ogni
operatore doveva innanzitutto esaminare uno per uno gli effetti/risultati
del lavoro della sua equipe, per dire se si verificasse o meno. Se la
risposta era affermativa doveva mettere in relazione quell’effetto con
ciascuna delle cause proposte. Una volta identificata la relativa causa,
l’intervistato doveva porre un segno nella casella di incrocio tra quel
effetto e la sua causa. Per ogni riga e colonna si effettuava
successivamente la somma delle connessioni effettuate dall’intervistato. Il
più alto totale della riga, quindi della causa, rappresentava con maggiore
probabilità l’elemento organizzatore della mappa causale. Per mettere in
evidenza la struttura delle mappe raccolte si analizzano tutte le coppie di
elementi, per calcolare quanti degli intervistati hanno evidenziato quel
legame. Così con l’ applicazione della “teoria dei grafi”, si può costruire
una rappresentazione grafica dei legami tra gli elementi, tale da mettere in
evidenza soltanto i collegamenti più forti, cioè quelli che risultano
condivisi da un più alto numero di componenti del gruppo. La
rappresentazione grafica effettuata nella ricerca-azione mostra una
situazione in cui, tra i vari elementi presi in esame, l’integrazione tra gli
operatori assume una posizione di centralità nel modo di concepire il
lavoro del Sert. Questa infatti è una causa che produce effetti rilevanti
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per la vita del Sert , tra cui il cambiamento degli utenti, la soddisfazione
degli utenti, l’immagine esterna del servizio… Per chiarire ulteriormente
le caratteristiche delle mappe del gruppo in esame, si prende in
considerazione un secondo grafo, risultante dalle interviste effettuate in
un’altra equipe. La mappa in esame presenta solo due punti di
aggregazione, evidenziando quindi una mentalità comune assai meno
compatta della precedente. Qui inoltre si ha la presenza di un effetto
indesiderato, costituito dalla conflittualità tra gli operatori all’interno
dell’equipe. Gli elementi di frammentazione di questa seconda mappa
implicano l’esistenza di difficoltà interne all’equipe nella definizione
comune del modo di procede. Ciò ha offerto un’occasione per fare un
bilancio sulla propria situazione organizzativa, per stimolare proposte e
suggerimenti utili alla soluzione dei problemi. Tra questi abbiamo :
1. suggerimenti
relativi
alla
precisazione
degli
obiettivi
dell’organizzazione: aumentare i rapporti con l’esterno, curare
l’immagine del servizio…
2. suggerimenti relativi all’efficacia degli interventi: maggiore
partecipazione dei vari operatori alla progettazione, adottare
forme di valutazione dei risultati…
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3. suggerimenti relativi al modo di funzionare dell’equipe: migliorare
gli aspetti di segreteria, la modalità di pianificazione degli
impegni…
4. suggerimenti relativi al personale: migliorare i sistemi di
gratificazione, garantire occasioni di scambio di esperienze…
5. suggerimenti relativi al modello organizzativo: verifiche periodiche
dell’assetto organizzativo adottato…
La ricerca in questione ha mostrato che in contesti lavorativi di questo
tipo si ha la cosiddetta “coordinazione implicita”, ovvero l’instaurarsi tra
i membri del gruppo di lavoro di un livello soddisfacente
di
collaborazione, che si fonda sulla conoscenza reciproca di come è fatto il
lavoro dell’altro.
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SINTESI E CONCLUSIONI
Oggi nelle organizzazioni diventa sempre più importante lo scambio di
idee e la collaborazione tra gli individui per poter raggiungere gli obiettivi
aziendali e per poter al meglio completare il proprio lavoro. Saper
lavorare in gruppo diviene quindi una competenza sempre più
importante, soprattutto per costruire consenso e condivisione..
Obiettivo principale di questo lavoro è quindi quello di illustrare la
dinamica individuo-gruppo nei contesti lavorativi, attraverso una
comparazione delle diverse prospettive in ambito psico-sociale.
L’elaborato si presenta suddiviso in due parti: la prima, di tipo teorico,
offre inizialmente un quadro sul concetto di gruppo secondo la
psicologia sociale. La tematica viene analizzata attraverso la descrizione
di tipologie e caratteristiche dei gruppi come categorie sociali.
Successivamente è stato introdotto il contributo di Kurt Lewin (Lewin,
1972) in merito al concetto di gruppo come “totalità dinamica”, dove
ogni cambiamento di stato di una sua parte interessa lo stato di tutte le
altre e in cui la peculiarità non è frutto della somiglianza fra i
componenti, ma è rappresentata dalla loro interdipendenza. L’autore
parla inoltre dell’ “ambiente comportamentale”, ovvero di quella realtà
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formata da oggetti, dalle persone, dai luoghi che, per un individuo,
appartengono al presente o ad un futuro più o meno lontano, con i quali
egli entra direttamente o indirettamente in rapporto. Un ulteriore
apporto è frutto del lavoro di Elton Mayo (Mayo, 1957) che effettua uno
studio sulla soddisfazione al lavoro attraverso gli esperimenti di
Hawthorne del 1927-32. Una serie di test effettuati dal suo gruppo di
lavoro avevano comportato cambiamenti nelle condizioni di lavoro e
fornito risultati inaspettati riguardo la performance dei dipendenti. La
ricerca dimostrò che, ai fini della performance, la sensazione di coesione
e la stima di se erano più importanti di qualsiasi miglioramento
dell’ambiente di lavoro. Un ulteriore capitolo ha come oggetto numerose
ricerche sulla vita del gruppo, del suo senso di coesione e del conflitto.
L’agronomo francese Maximilien Ringelmann (Ringelmann, 1918),
condusse alla fine dell’Ottocento una serie di esperimenti per sondare
l’efficacia di alcune tecniche di tiro usate in agricoltura. L’esperimento
consisteva nel tirare una corda che al suo estremo aveva un
dinamometro: egli constatò che gli individui quando lavoravano da soli
tendevano ad impegnarsi di più di quando lavoravano in gruppo. La
constatazione che il gruppo non produce sempre in modo proporzionale
alle capacità dei suoi membri ha nella teoria del “deficit di gruppo” di
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Ivan D.Steiner (Steiner, 1956) una delle sue più note espressioni. Steiner
sostiene che, conoscendo le prestazioni individuali su di un compito, è
possibile stabilire la produttività potenziale del gruppo di cui fanno parte
questi individui. Per quanto riguarda il concetto di coesione, Festinger
(Festinger, 1957) ha effettuato una ricerca sui quartieri Westgate e Westgate
West in cui la diversa coesione mostrata dagli studenti residenti nei due
quartieri fu concepita come un fenomeno di “attrazione interpersonale”,
legata alla diversa concezione architettonica dei quartieri. Secondo questa
ottica le persone diventano gruppo perchè provano simpatia reciproca,
stanno bene insieme e provano attrazione le une per le altre. Asch (Asch,
1958) è uno dei primi psicologi sociali a mettere a prova sperimentale il
problema del conformismo. Ai soggetti del suo esperimento veniva
chiesto di dire quale fra tre rette verticali sia simile ad una retta data
come campione. Con ciò ha dimostrato quanto siano potenti i processi
d’influenza sociale nei gruppi. Con il paragrafo “costruire gruppi di
lavoro” si fa riferimento al lavoro di G. Quaglino (Quaglino, 2003) e
C.Cortese (Cortese, 1999) , che affrontano la tematica offrendo
riflessioni e indicazioni per quella che potremo definire “la disciplina del
gioco di squadra”, articolata in quattro vertici (l’obiettivo, il metodo, le
risorse e il coordinamento), che consente di tracciare un percorso di
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apprendimento sul gruppo di lavoro. La seconda parte si occupa invece
della ricerca-azione effettuata verso la metà degli anni novanta il cui
oggetto di indagine era la diagnosi della situazione organizzativa dei
Servizi per le Tossicodipendenze (Sert). L’intervento si è svolto
attraverso delle fasi e ha previsto l’analisi dei singoli Sert oggetto di
indagine e il loro rapporto con le politiche sanitarie. La ricerca ha offerto
inoltre suggerimenti utili alla soluzione di problemi organizzativi.
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ABSTRACT
Nowadays in all sorts of organizations it gets more and more important
the exchange of ideas and the cooperation among the individuals in
order to reach the company goals and better complete one’s own work.
Being able to work in groups becomes a more and more important
ability, mainly in order to build a consensual and sharing attitude.
The main goal of this work is, therefore, to illustrate the individual-group
dynamics in the working framework, through a comparison of different
perspectives within the psycho-social context.
The paper is divided into two parts: the first, a theoretical one, provides,
at the beginning, an outline of the concept of group according to the
social psychology. The theme is analyzed through the description of
types and features of groups considered as social categories. Later it is
introduced the contribution by Kurt Lewin (Lewin, 1972) regarding the
concept of group as a “dynamic totality”, where a change of condition in
one of its parts interests the condition of all other parts, and whose
peculiarity is not given by its members’ resemblance, but it is represented
by their interdependence. The author also refers to the “behaviour
background”, that is a reality made up of objects, people, places
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belonging to a person’s present time or to his future, getting in touch
with them directly or indirectly. Another contribution is the result of
Elton Mayo’s work (Mayo, 1957), who studies the satisfaction level to
one’s job through Hawthorne’s tests (1927-32). A series of tests, made
by his work group, had caused changes in the job conditions and given
unexpected results concerning the employees’ performance. The
research proved that, with regard to the performance, the feeling of
cohesion and self-esteem were more important than any improvement of
the job milieu. A further chapter treats of the numerous researches about
the group’s life, its cohesion or conflict sense. The French agronomist
Maximilien Ringelmann (Ringelmann, 1918), at the end of ‘800s, led a
series of tests in order to verify the effectiveness of some agriculture
draught techniques. The experiment consisted of pulling a rope having a
dynamometer on one end: he realised that, when individuals worked by
themselves, they tended to throw themselves into their job more than
when working in groups. The theory of the “group gap” by Ivan D.
Steiner (Steiner, 1956) represents one of the most famous expressions of
the idea that the group no always produces an outcome proportional to
its members’ abilities. Steiner maintains that, by knowing the individuals’
performance on a task, it is possible to ascertain the potential
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productivity of the group the individuals belong to. With regard to the
concept of cohesion, Festinger (Festinger, 1957) made a research on the
Westgate and Westgate West quarters where the different cohesion
showed by the resident students was interpreted as a phenomenon of
“interpersonal attraction”, connected to the different architectural
conception of the above quarters. According to this perspective, people
become a group because they like each other, they get on well and feel
mutual attraction. Asch (Asch, 1958) is one of the first social
psychologists submitting the problem of conventionality to an
experimental test. The subjects of his test were requested to tell which of
the vertical straight lines provided was similar to the straight line given as
a sample. This way he proved how powerful is the process of social
influence within a group. The paragraph called “building work groups” is
referred to the work by G. Quaglino (Quaglino, 2003) and C. Cortese
(Cortese, 1999), who offer observations and remarks for what could be
defined as “the discipline of team game”, divided into four points (goal,
method, resources and coordination), thus letting us trace out a learning
course about the work group.
The second part, instead, concerns the research action of the midnineties, whose object was the analysis of the organizational situation of
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Serts (Drug Addiction Services). The action was developed in different
phases including the analysis of all the Serts involved in the research as
well as of their compliance with the health policy. The research provided
useful suggestions to face organizational issues.
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BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
www.diritto.it/materiali/lavoro/giacca.html
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