Quaderno 3 - Laboratorio di Geomatica

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Quaderno 3 - Laboratorio di Geomatica
QUADERNO N°3
IMAGO MUNDI
LA TERRA VISTA
DALLO SPAZIO
Note di
Matematica,
Fisica, Filosofia,
Letteratura e
Comunicazione
Polo Territoriale di Como
Facoltà di Ingegneria Civile
Ambientale e Territoriale
IMAGO MUNDI
LA TERRA VISTA DALLO SPAZIO
QUADERNO N°3
Imago Mundi – Quaderno 3
Sommario
LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE .......................... 9

Introduzione .................................................................. 9

1. Breve storia della fotografia .................................... 10

2. La fotografia come tecnica di raffigurazione
oggettiva...................................................................... 13
2.1 Il paesaggio urbano .......................................................... 13
2.2 Il paesaggio naturale ......................................................... 14
2.3 Applicazioni oggettive della fotografia ............................ 16

3. Funzione connotativa dell’arte fotografica ............. 19
IL PAESAGGIO NELL'ARTE RINASCIMENTALE ............ 29

Storia dell’evoluzione della prospettiva ...................... 30

1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare ... 30

2. Leon Battista Alberti ............................................... 32

3. Piero della Francesca .............................................. 33

4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea ................ 36
LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E DISSESTO ........ 39

1. Sicilia e abusivismo ................................................ 40
1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di
Agrigento ................................................................................ 40
1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi ............................... 44

2. Il paesaggio siciliano nella letteratura ..................... 46
2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia ...................................... 46
2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa ........ 48
5
2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia ............................................ 52

3. Pittura e poesia: la Sicilia ........................................ 55
3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia ............................................ 55
SULLE RIVE DEL LARIO ..................................................... 58

1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile .......... 58

2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle
scuole superiori di Como (marzo 2011) ...................... 61
DAL MACRO AL MICRO ..................................................... 63

1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione
Industriale.................................................................... 63

2. Dal macro al micro: la termodinamica .................... 64

3. Studiare il micro: l’HLC del CERN ........................ 66

4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER” .......... 66
LA FORMA DELLA TERRA E L'IMMAGINE DEL MONDO
.................................................................................................. 69

1. Età moderna ............................................................ 69

2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra
figura sferica................................................................ 98
1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807 ........................... 98

3. Allegato B: La geografia scientifica...................... 107
1. Snellius e la prima triangolazione..................................... 107
2. La catena di Riccardo Norwood ....................................... 109
3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi ................. 110
4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750 ............ 112
Imago Mundi – Quaderno 3
Domitilla Leali
Docente di italiano e latino
Liceo Classico "A.Volta"
Nel corso dell’anno scolastico 2010-2011 la classe II A del Liceo
Classico “A. Volta”, insieme alle insegnanti Pina Cardile, docente
di matematica e fisica e Domitilla Leali, docente di italiano e latino,
ha contribuito al progetto “Imago Mundi” con la realizzazione di
lavori relativi al tema della rappresentazione della Terra vista dalla
Terra, con particolare attenzione all’Italia, della cui unità ricorreva
il centocinquantesimo anniversario.
Dopo un primo approccio scientifico alla questione, in merito al
problema dell’individuazione di un punto della superficie terrestre,
gli studenti hanno indagato, a partire da loro personali interessi
culturali, le modalità e le caratteristiche della rappresentazione del
paesaggio in linguaggi prevalentemente non verbali.
Un primo gruppo si è occupato di ricostruire il percorso che ha
portato, nella pittura rinascimentale, alla messa a punto della
prospettiva; un secondo, invece, ha ricostruito il modo in cui la
fotografia ha progressivamente rivolto la propria attenzione in
termini informativi e poi più schiettamente artistici al paesaggio. Un
terzo gruppo ha verificato, attraverso l’analisi di spartiti musicali e
di canzoni popolari, le strategie con cui il linguaggio musicale puro,
o accompagnato da testi, si è impegnato, a partire dal 1800, nella
sfida di rappresentare fenomeni atmosferici o veri e propri paesaggi.
Altri due gruppi, infine, hanno studiato l’immagine dell’Italia così
come appare in alcuni film del Neorealismo italiano, in alcuni
recenti film hollywoodiani e in alcuni spot pubblicitari. Da
quest’ultima analisi è emerso chiaramente che l’immagine del
nostro Paese agli occhi del mondo è, nel bene e nel male, fortemente
stereotipata: tramonti rosa, cieli sereni, donne bellissime e uomini
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aitanti che parlano gesticolando, mentre la mafia domina
incontrastata.
Una ricerca tra scienza e arte, i cui esiti, ancora una volta, si sono
caricati per tutti di un forte valore civile.
Link contributi video
La fotografia. Tecnica e arte
http://m.youtube.com/watch?v=g3ia3nUA6lk
L’immagine cinematografica di Roma attraverso un viaggio dal
Neorealismo a oggi
http://m.youtube.com/watch?v=1FBSQjBU3pY
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Il paesaggio e la prospettiva nell’arte rinascimentale
http://m.youtube.com/watch?feature=m-chvid&v=NthxvZ8yYjk
Imago Mundi – Quaderno 3
LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE
Ilaria Ceppi, Silvia Mascheroni, Margherita Pasi
Studentesse della Classe IIA – a.s. 2010-2011
Liceo Classico “A. Volta” – Como
Introduzione
I
l breve percorso che ci accingiamo a svolgere si propone di
trattare della fotografia intesa come arte volta alla
rappresentazione del paesaggio. L’analisi prende avvio da una
sintetica trattazione della storia della tecnica fotografica, dalle
origini fino ad oggi, per meglio comprendere le applicazioni e gli
obiettivi che essa ancora oggi riconosce come propri.
Ripercorrendo lo sviluppo dell’arte è infatti possibile
cogliere come progressivamente siano sorti il desiderio e la
necessità di rappresentare, oltre alla figura umana, anche il
paesaggio naturale, dapprima con funzione puramente descrittiva,
poi con una finalità più connotativa: attraverso lo scatto dedicato a
un luogo il fotografo, professionista o amatore che sia, trasmette
un’emozione o una sua personale sensazione. E a questo fine, ben si
piegano le diverse modalità rappresentative della tecnica, quali l’uso
del colore o della prospettiva.
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La fotografia tra tecnica e arte
1. Breve storia della fotografia
Fin dall’antichità l’uomo dimostrò interesse per i fenomeni cui è
soggetta la luce ma fu solo alla fine del 1700 che l'inglese Thomas
Wedgwood riuscì a fissare le immagini prodotte dalla luce, anche se
in modo non stabile. Poco più tardi Joseph Nicephore Niepce si
interessò di questa scoperta e approfondì gli studi alla ricerca di una
sostanza che potesse impressionarsi alla luce in maniera esatta e
duratura. Egli condusse una serie di esperimenti che lo portarono in
primo luogo ad ottenere un’immagine al negativo, ed in seguito a
individuare la tecnica dell’eliografia, che permetteva di ottenere un
positivo dai colori stabili, seppure l’immagine risultasse irrealistica
a causa dello scarso controllo della luce.
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Niepce incontrò a Parigi Louis Jacques Mandé Daguerre, un pittore
parigino di discreto successo, che in seguito alla loro collaborazione
mise a punto la dagherrotipia, con la quale ottenne risultati di
Imago Mundi – Quaderno 3
grande pregio. L’invenzione fu accolta con toni entusiastici, poiché
vista come un mezzo per lo studio delle vedute da parte di artisti ed
incisori. Altri ricercatori che stavano lavorando nella stessa
direzione si interessarono alla scoperta di Daguerre: tra questi
William Fox Talbot, che rese noto di aver messo a punto un
procedimento dal quale risultava un positivo con un tempo di
dissoluzione abbastanza lungo; esso sarebbe poi stato migliorato da
Sir John Herschel, al quale si deve l’introduzione dei termini
fotografia, negativo e positivo.
Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia dei
curiosi che affollarono le sempre più frequenti dimostrazioni del
procedimento. I più rimanevano sbalorditi dalla fedeltà
dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo
particolare, altri paventavano un abbandono della pittura o una
drastica riduzione della sua pratica. Tale esito non si verificò, ma la
certamente la nascita della fotografia favorì e influenzò la nascita di
importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il cubismo
e il dadaismo.
Nonostante i successi incoraggianti, la fotografia incontrò
inizialmente dei problemi nel ritrarre figure umane a causa delle
lunghe esposizioni necessarie. Anche se illuminato da specchi che
concentravano la luce del sole, immobilizzato con supporti di legno
per impedire i movimenti, il soggetto doveva comunque sopportare
un’esposizione di almeno otto minuti (con il tempo ridotti a 30
secondi) per ottenere una fotografia in cui appariva con occhi chiusi
e un atteggiamento innaturale. Con il miglioramento delle tecniche,
la moda dei ritratti poté estendersi rapidamente a tutti i ceti sociali,
grazie all'economicità del procedimento. I soggetti erano ripresi
solitamente in studio, su di uno sfondo bianco, anche se numerosi
furono i fotografi itineranti, che si muovevano con le fiere e nei
piccoli villaggi. Il popolare formato a carte de visite fece nascere la
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La fotografia tra tecnica e arte
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moda dell'album fotografico, in cui presero posto i ritratti di
famiglia e spesso anche di famosi personaggi dell'epoca. Le carte
de visite e tutte le immagini prodotte in tirature elevate risultavano
però di bassa qualità a causa della meccanizzazione
dell'inquadratura e dello sviluppo.
Alcuni laboratori imposero uno stile estetico più ricercato,
producendo ritratti più attenti al carattere del soggetto: tali
laboratori erano per lo più guidati da pittori, scultori o artisti
riconvertiti alla fotografia, che mantennero le tecniche delle arti
“maggiori” anche nel nuovo procedimento. La tecnica del ritocco,
da sempre discussa tra chi intende la fotografica come un
documento della realtà e chi la ritiene uno strumento flessibile per
migliorare o realizzare la visione artistica del fotografo, fu da subito
utilizzato nella ritrattistica, per ammorbidire i segni dell'età o per
cancellare le imperfezioni.
L'inizio del Novecento vide il rifiuto della fotografia come semplice
imitazione della pittura, a cui fece seguito l'abbandono di tutte
quelle tecniche che trasformavano l'immagine simulando i tratti del
pennello. Il nuovo corso propendeva verso la fotografia pura, intesa
come strumento estetico indipendente e fine a se stesso. Nella prima
metà del secolo scorso nacque negli Stati Uniti il movimento della
Straight photography, che invitava i fotografi a scendere nelle
strade della gente comune e della classe operaia, per ritrarre cantieri,
metropoli, cieli drammatici, alla ricerca della forma pura o ripetuta,
astratta, estetica comune al cubismo e ai nuovi movimenti artistici
derivati. La fotografia divenne inoltre lo strumento inseparabile del
viaggiatore e del giornalista, capace di divulgare gli eventi e i luoghi
meno accessibili alla massa.
L'impatto della fotografia sulla società fu enorme, tutto ciò che
prima doveva essere descritto adesso, poteva essere visto: luoghi
lontani, monumenti, opere d'arte, fatti. Grazie alla fotografia
Imago Mundi – Quaderno 3
diventava possibile isolare l'istante dal fluire del tempo e sottrarre
l’opera artistica alla sua “aura”, per renderla accessibile a tutti.
2. La fotografia come tecnica di raffigurazione oggettiva
Nell’indagare la rappresentazione fotografica del paesaggio, è
opportuno distinguere tra foto di ambienti naturali e paesaggi
urbani.
2.1 Il paesaggio urbano
Nel complesso ambiente di una città, la selettività della fotocamera
rappresenta un notevole vantaggio. Il paesaggio urbano offre infatti
una scelta infinita di soggetti, ma per ottenere una foto che possa
dirsi “riuscita”, occorre una semplificazione dell’immagine tramite
un’oculata scelta del punto di ripresa, della tecnica di esecuzione ed
una precisa attenzione per gli effetti luce.
Nella raffigurazione di un ambiente urbano occorre concentrarsi su
quanto esprime la vera natura del luogo, dalle movimentate arterie
del centro di una grande città alle viuzze di una cittadina di
provincia. La gente è parte integrante di un paesaggio almeno nella
stessa misura in cui lo sono i vari edifici rispetto ai quali funge anzi
come parametro dimensionale, contribuendo al colore e
all’atmosfera della foto. Le città, inoltre, presentano una gamma di
condizioni luminose più vasta di qualsiasi altro soggetto,
comprendendo tutte le più diverse accentuazioni della luce diurna e
di quella artificiale. La luce a mezzogiorno non è certo la migliore
per fotografare una città; la texture, la forma, i tipici particolari di
un vecchio edificio saranno meglio evidenziati dalla luce obliqua
del pomeriggio o del primo mattino; per le superfici con forte potere
riflettente, l’illuminazione ideale è quella dell’alba e/o del tramonto.
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La fotografia tra tecnica e arte
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Centro della città di Siena
2.2 Il paesaggio naturale
Di fronte alla bellezza e alla grandiosità della natura, si può cadere
nell’equivoco di credere che sia sufficiente, per ottenere una bella
foto, premere un pulsante. Non è però così immediato e naturale
rendere l’esatto equilibrio dei rapporti dimensionali e l’incessante
modificarsi del paesaggio che caratterizza gli scenari naturali. Prima
di scattare, anche nella ricerca di un’immagine oggettiva, il
fotografo deve studiare il soggetto, cercando quali siano quegli
elementi che lo caratterizzano e, al contempo, lo individuano. Una
pianura, per esempio, offre allo sguardo vuote distese e cieli
spaziosi; le scogliere e le montagne presentano variazioni
Imago Mundi – Quaderno 3
dimensionali e di forma a volte tanto improvvise da risultare
drammatiche; i terreni boscosi possono essere intricati o spogli.
È necessario dunque curare la composizione del soggetto al fine di
ottenere l’inquadratura più di ogni altra adatta a esprimere la
particolare essenza del luogo. Di maggior pregio artistico sarà la
foto che predilige tempi e condizioni di luce insoliti, atti a dare
maggiore intensità al paesaggio, per non scadere in un risultato
banale e scontato. Per esempio, un tempo di esposizione
relativamente lungo crea nel paesaggio un generale effetto di
diffusione della luce che accentua e delinea i singoli particolari.
L’insuccesso di una foto di paesaggio è in genere dovuto alla
presenza di un inutile numero di particolari che soffocano quelle che
possono definirsi le sue caratteristiche precipue. Occorre pertanto
saper operare drastiche scelte, forse persino limitandosi a riprendere
quei pochi dettagli che già da soli esprimono l’insieme. L’esatta
scelta dei rapporti dimensionali tra primo piano, piano centrale e
cielo, permette di mettere in risalto dettagli significativi, collocati in
posizione chiave nell’inquadratura.
La composizione può essere agevolata dall’inserimento nel
paesaggio di un elemento che possa fungere da parametro
dimensionale: la figura umana rappresenta sempre un forte polo di
attrazione, anche se li tratta molto in piccolo. Servirsi dunque di
essa crea o rafforza un punto focale per l’attenzione dell’osservatore
o per bilanciare altri elementi. Il controllo dell’esposizione e le
tecniche di messa a fuoco daranno forza a ogni composizione.
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La fotografia tra tecnica e arte
Il Golfo di Napoli, simbolo di paesaggio urbano e naturale
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2.3 Applicazioni oggettive della fotografia
Tra i diversi campi in cui si riscontra un utilizzo oggettivo, ossia
puramente descrittivo o informativo, della fotografia, si possono
annoverare la topografia, le immagini destinate alla pubblicazione
su manuali e guide turistiche e le fotografie satellitari, di cui si
usufruisce anche nell’ambito delle previsioni meteo.
La topografia, studio e tecnica della riproduzione in scala sul piano
di una zona limitata della superficie terrestre, sfrutta l’arte
fotografica in quanto necessaria per una rappresentazione precisa e
puntuale di uno spazio geografico anche esteso, dai piccoli centri
abitati alle grandi metropoli. Inizialmente la tecnica sfruttata era
quella della fotografia aerea, mentre questa ora è stata soppiantata
dalla tecnologia satellitare. Le “occasioni” in cui questa
Imago Mundi – Quaderno 3
applicazione viene sfruttata sono gli stradari, le mappe a livello
cittadino, regionale o nazionale.
Pianta topografica del centro archeologico della città di Roma
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La fotografia satellitare permette di fornire una visione più generale
dello spazio, allargandosi a livello nazionale, continentale o globale.
Le finalità di tale tecnica sono di studio dello spazio stesso e, per
esempio, dei fenomeni climatici ed atmosferici a cui è soggetto: si
pensi alle immagini utilizzate nelle previsioni meteo. Gli scopi della
tecnica fotografica stessa non sono più quindi solo descrittivi o
informativi, ma si volgono anche a piegarsi alle necessità
dell’uomo, quali appunto le previsioni del tempo.
La fotografia tra tecnica e arte
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Fotografia satellitare della penisola italiana
La fotografia è ampiamente utilizzata anche con scopi di
informazione turistica: la rappresentazione di paesaggi naturali,
urbani, con le loro chiese, monumenti, diviene necessaria nella
descrizione di un determinato luogo per supplire l’inefficacia della
parola con l’impatto visivo sicuramente dall’esito più diretto.
Imago Mundi – Quaderno 3
Colosseo, Roma
3. Funzione connotativa dell’arte fotografica
Anche solo osservando una fotografia scattata da un satellite o
un’immagine contenuta in una guida turistica, giusto per citare due
esempi di quella che possiamo considerare un’applicazione
oggettiva della tecnica, è difficile, se non quasi impossibile, porsi
dinnanzi ad esse e restare completamente esenti da un trasporto
emotivo. L’arte fotografica, infatti, riesce quasi sempre a
coinvolgere empaticamente l’osservatore: proprio per questo essa
gioca un ruolo di fondamentale importanza nella pubblicità o nel
cinema, dove l’inquadratura, il soggetto o le modalità di ripresa
sono fondamentali per la riuscita del prodotto.
Le molteplici tecniche fotografiche si rivelano versatili non solo
nella rappresentazione di contesti, ma anche delle emozioni che essi
portano con sé: ogni immagine è in effetti soggetta a una
molteplicità di chiavi di lettura che non ne permettono un’unica
interpretazione, una, per così dire, spiegazione che risulti per tutti
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La fotografia tra tecnica e arte
valida e verificata, ma fanno in modo che ciascun osservatore possa
vedere in essa un parte di sé, del proprio vissuto. È così che entra in
gioco, grazie ai dati tecnici costituiti dalla prospettiva,
dall’inquadratura, dal colore o dal bianco e nero, un significato
connotativo, che rende i prodotti fotografici piacevoli alla fruizione
e, in molti casi, affini, per fruizione, a vere e proprie opere d’arte.
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San Quirico d’Orcia, provincia di Siena
Si prenda ora in analisi un celebre piccolo bosco di cipressi, situato
nella Val d’Orcia, in provincia di Siena, spesso ritratto, da
professionisti,da fotografi in erba o da semplici turisti.
La composizione è semplice: il complesso di alberi è l’unico
elemento che rompe la linea continua delle colline, che presentano
un andamento pulito, lineare. Le condizioni atmosferiche e
meteorologiche favoriscono la netta demarcazione tra il verde
brillante del campo e l’azzurro tenue del cielo, mentre il soggetto,
Imago Mundi – Quaderno 3
ritratto secondo una prospettiva frontale, rimane l’unico elemento
che può catturare l’attenzione dell’osservatore.
Possiamo notare come le stesse condizioni climatiche possano
modificare profondamente l’apparenza del paesaggio fotografato
che diventa, di conseguenza, espressione di una vasta gamma di
differenti sentimenti, in base al periodo dell’anno o della giornata in
cui è avvenuto lo scatto. Fotografare questo paesaggio con la neve,
la nebbia o al tramonto non darà certamente lo stesso impatto: il
paesaggio innevato susciterà emozioni di quiete, di serenità. Ma, a
dimostrazione della polisemia propria di un’immagine, la stessa foto
potrà far scaturire in qualche altro una sensazione di distacco,
generata dai colori pallidi e dal forte contrasto cromatico.
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Il bosco di San Quirico d’Orcia innevato
La fotografia tra tecnica e arte
Il paesaggio nebbioso, che rende l’atmosfera estremamente
malinconica, suscita in chi osserva il paesaggio un sentimento di
tristezza e di dolore. La nebbia, infatti, avvolgendo ogni cosa, lascia
lo spettatore in una condizione di isolamento rispetto a tutto ciò che
lo circonda: la mente sembra svuotarsi e i pensieri paiono svanire,
così che le emozioni sembrano ancora più forti. Il bianco
avvolgente, che impedisce la visione nitida del soggetto,
paradossalmente fa sì che l’osservatore resti maggiormente
catturato, quasi trasportato nel mondo della sua intimità e delle sue
emozioni, che pare celarsi proprio dietro quella distesa bianca che
domina l’immagine.
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Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa
Imago Mundi – Quaderno 3
La possibilità di vedere chiaramente il soggetto fotografato, invece,
fa sì che l’attenzione dell’osservatore si concentri sui dettagli, a
partire dai quali si genera una reazione empatica. Il paesaggio
fotografato al tramonto fa sì che i colori del cielo attirino
maggiormente lo sguardo dello spettatore, più coinvolto dallo
sfondo che dall’oggetto centrale dello scatto. L’accostamento
naturale di colori caldi suggerisce immancabilmente sensazioni
positive, che prescindono dal tipo di paesaggio circostante. È il cielo
l’elemento dominante della fotografia: tutte la forza dell’immagine
sembra scaturire dal sole che irradia tutto il cielo rendendolo carico
di una aggressività e di una passione, che arriva a illuminare anche
l’emotività dell’osservatore.
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Cipressi di San Quirico d’Orcia al tramonto
La fotografia tra tecnica e arte
Anche la prevalenza di colori caldi o colori freddi nell'immagine, o
l'utilizzo del bianco e nero sono tecniche con cui si può ottenere
l’empatia dell’osservatore, facendo emergere, di volta in volta,
sensazioni ed emozioni sempre diverse. Nel caso dello scatto in
analisi, l'utilizzo della tecnica del bianco e nero, oltre ad eliminare
le “distrazioni” che potrebbero essere presenti in una
rappresentazione a colori dello stesso luogo, permette
all’osservatore di immergersi nell'alone del ricordo e della memoria,
indietro nel tempo, distaccandolo solo per un preziosissimo attimo
dalla realtà quotidiana e regalandogli così emozioni uniche. Sembra
che i cipressi si arricchiscano di una nuova dimensione: non sono
catturati nella loro staticità, nel singolo attimo, ma è come se, grazie
alla scelta del bianco e nero, venisse loro conferito un senso di
eternità.
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Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa
Imago Mundi – Quaderno 3
Nel caso, invece, di una fotografia a colori, è necessario fare una
distinzione fondamentale: nell'immagine, infatti, possono figurare e
prevalere colori caldi oppure colori freddi: a seconda della
preponderanza di tonalità calde o fredde, si può notare come
l'atmosfera cambi completamente. Nel primo caso, infatti, l'intensità
del giallo della distesa intorno ai cipressi comunica sensazioni
positive e rassicuranti, che generano poi nell’osservatore armonia e
pace, di sicurezza e di tranquillità.
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Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori
caldi
La fotografia tra tecnica e arte
Nel secondo caso, invece, l'osservatore sarà presumibilmente colto
da sensazioni di isolamento, di tristezza e di malinconia: il silenzio
diviene palpabile grazie alla freddezza di colori come il bianco o il
grigio, che trasmettono emozioni più negative, legate al distacco e
all'isolamento. Chi si pone davanti ad un'immagine in cui questi
sono i colori predominanti, non può fare altro che calarsi in una
dimensione di dolorosa riflessione personale. La fotografia non
sembra comunicare un senso di protezione all'osservatore, ma al
contrario sembra lasciarlo solo, inerme, dinnanzi alla grandezza e
alla maestosità del paesaggio rappresentato.
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Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori
freddi
Imago Mundi – Quaderno 3
Anche la luminosità e il contrasto sono elementi di importanza
rilevante per la connotazione di uno scatto fotografico: per esempio,
nella raffigurazione seguente, il contrasto esasperato esalta le
tonalità cromatiche e fa convergere l’attenzione dello spettatore al
centro dell’immagine, nel punto dove si incontrano le linee di forza
della stessa. Con questa tecnica, applicata anche a posteriori, ossia a
scatto compiuto, mediante fotoritocco, è possibile per il fotografo
decidere quale elemento valorizzare, dove indirizzare lo sguardo
dello spettatore, ottenendo un effetto cromatico quasi “da cartolina”.
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Ripresa della prima fotografia presa in analisi con un’accentuazione del
contrasto
La fotografia tra tecnica e arte
Prendiamo infine in analisi una fotografia cui è stato applicato un
filtro seppia: essa ben si presta per una duplice osservazione sulla
tecnica adottata; in primo luogo la scelta del filtro color seppia, per
lo più applicato a scatto compiuto, svolge la funzione di modificare
nel complesso l’atmosfera, conferendole un alone di distacco, di
triste apatia; e ancora, la scala cromatica che si viene a creare, fa
nascere da questo paesaggio un effetto melanconico, attraverso la
sottolineatura chiaroscurale l’isolamento degli alberi. Il filtro seppia
presenta una curiosa ambivalenza, in quanto se nella
rappresentazione paesaggistica va a causare gli effetti sottolineati,
nella ritrattistica ottiene invece l’effetto opposto: i volti risultano più
solari, carezzati da una luce morbida, come quella di una vecchia
foto: con tutte le considerazioni fatte precedentemente in merito alla
scelta di scale cromatiche calde.
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Applicazione di un filtro seppia
Imago Mundi – Quaderno 3
IL PAESAGGIO NELL'ARTE
RINASCIMENTALE
Francesca Montemagno, Chiara Nesta
Studentesse della Classe II A – a.s. 2010-2011
Liceo Classico “A. Volta” – Como
29
Il paesaggio nell'arte rinascimentale
uesta ricerca si colloca, all’interno del progetto Imago Mundi
- La Terra vista dalla Terra, nell’ambito della
rappresentazione pittorica del paesaggio nell’arte
rinascimentale, con l’obiettivo di illustrare l’evoluzione della
raffigurazione del paesaggio grazie all’introduzione e allo sviluppo
della tecnica prospettica, da quella monoculare di Filippo
Brunelleschi a quella aerea di Leonardo daVinci.
Q
Storia dell’evoluzione della prospettiva
30
Il Rinascimento è uno dei momenti più importanti per la
rappresentazione prospettica; in questo periodo artisti e matematici,
grazie alla messa a punto di regole precise per la rappresentazione
del reale codificate, cercano infatti di superare l’empirismo della
prospectiva communis medioevale, in studi sistematici. in cui il
termine prospectiva indica un metodo grafico per raffigurare
tridimensionalmente la profondità spaziale su un piano
bidimensionale. A tale rigorosa norma teorica, che tuttavia non
riproduce perfettamente la visione umana, la prassi artistica
cinquecentesca apporterà poi alcune variazioni,pur senza smentirne
la validità di fondo. Se da una parte te l’uso della prospettiva mira a
razionalizzare la ricostruzione della realtà, dall’altra la sua
applicazione conduce ad operare delle schematizzazioni:
l’integrazione armoniosa tra le esigenze di realismo e la tendenza
all’astrazione costituisce il portato più originale dell’arte
rinascimentale.
1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare
Il primo ad occuparsi dello studio della prospettiva fu l’architetto
fiorentino Filippo Brunelleschi, che applicò alla rappresentazione
Imago Mundi – Quaderno 3
pittorica alcuni principi dell’ottica, studiati in genere in relazione
alle proprietà degli specchi. In armonia con il carattere tecnico pratico che qualifica la prima fase delle arti figurative
rinascimentali, il suo metodo venne elaborato a partire da
esperimenti ottici e non fu illustrato in un trattato, ma applicato in
due tavolette, ora perdute, che ritraevano due vedute urbane: piazza
della Signoria, con Palazzo Vecchio, e il Battistero di Firenze.
La tavoletta più antica, che rappresentava il Battistero, non doveva
esser guardata direttamente: lo spettatore, dal retro della tavola,
doveva
accostare
l’occhio a un foro
passante
che
corrispondeva al punto
centrico
della
costruzione geometrica
e, attraverso di esso,
guardare l’immagine
riflessa in uno specchio
tenuto parallelo alla
tavola col braccio
libero. L’immagine era
realizzata su argento brunito, in modo tale che, attorno alla
raffigurazione dell’edificio, si rispecchiasse il cielo vero,
aumentando l’effetto illusorio di realtà.
La macchinosità di questo sistema ci aiuta a mettere a fuoco alcune
regole basi della nuova costruzione spaziale e, più in generale,
dell’uso quattrocentesco del mezzo prospettico. Nella tavoletta,
infatti, erano stabiliti, forzatamente, un punto di vista unico e fisso
(il foro) e una distanza (quella del braccio): è chiaro, quindi, che le
regole matematiche, strumenti supremi di oggettivazione, erano
applicate a partire da dati imposti soggettivamente dall’artista.
31
Il paesaggio nell'arte rinascimentale
È altrettanto evidente che la prospettiva lineare elaborata da
Brunelleschi non è affatto sovrapponibile alla visione fisiologica,
che si realizza grazie a due occhi in continuo movimento, ma è
piuttosto una costruzione intellettuale, in ogni caso assai felice,
perché coerente con l’idea quattrocentesca di un mondo ordinato
dall’uomo e rispondente alle esigenze stilistiche di unità e aderenza
al reale.
2. Leon Battista Alberti
32
Il sistema brunelleschiano, adottato con entusiasmo da Masaccio e
da Donatello, fu poi codificato dall’architetto e umanista Leon
Battista Alberti nel trattato De Pictura, scritto in latino nel 1435. In
questo testo egli espone
analiticamente un sistema di
riduzione prospettica, detto
“costruzione
legittima”,
identifica l’imitazione della
realtà come suo scopo principale
e sottolinea il ruolo centrale
dell’uomo-ordinatore
del
mondo, in quanto il dipinto
prospettico ne riprodurrebbe la
percezione
oculare.
Infine,
introduce la definizione del
dipinto come finestra affacciata
Esempio di prospettiva centrale a
su
uno
spazio
creato
punto di fuga unico e a più fuochi
artificialmente.
In un’opera impostata secondo la prospettiva geometrica, tutte le
linee ortogonali alla superficie della rappresentazione convergono
verso un unico punto di fuga ed è in corrispondenza di quest’ultimo
Imago Mundi – Quaderno 3
che deve preferibilmente porsi l’occhio dello spettatore. In questo
caso, per ottenere un effetto di profondità ottimale, il segmento che
unisce il punto di vista e il punto di fuga deve essere ortogonale alla
superficie del dipinto. La costruzione prospettica non si esaurisce
però con il delineare la convergenza delle parallele verso un punto
di fuga: è necessaria anche una scansione proporzionale in
profondità. Per raggiungerla agevolmente, Alberti suggerisce un
modo optimo, che esemplifica attraverso la costruzione esatta di un
pavimento a scacchiera. Nonostante questa codificazione, l’uso
della prospettiva non fu rigido: molti artisti sperimentarono
soluzioni diverse, per raggiungere specifici effetti espressivi o per
mettere alla prova le potenzialità del sistema.
3. Piero della Francesca
In seguito, altri grandissimi artisti del Rinascimento lasciarono
scritti sul tema; un esempio è Piero della Francesca, che completò
l’impianto teorico delle tecniche per la costruzione della prospettiva
nel De perspectiva pingendi, un trattato in lingua volgare composto
nel 1475. Egli era consapevole della necessità di riferire la
rappresentazione pittorica ad un organico e completo sistema di
leggi e procedimenti matematici; il pittore, più che chiedersi “cosa”
rappresentare, avrebbe dovuto occuparsi di “come” giungere ad una
rappresentazione verosimile e corretta.
33
Il paesaggio nell'arte rinascimentale
Nel De perspectiva pingendi, che costituisce il primo trattato
organico della prospettiva rinascimentale, la rappresentazione
figurativa viene riferita a un sistema di leggi e procedimenti
matematici che devono consentire una verosimile traduzione dello
spazio tridimensionale su un piano bidimensionale attraverso
opportune deformazioni prospettiche avvertite dall’occhio umano,
differentemente da quanto aveva detto Alberti, che aveva
34
La flagellazione di Cristo
concentrato la propria attenzione nel rappresentare sul piano del
dipinto figure sul piano del pavimento.
Opera emblematica di questo studio è la Flagellazione di Cristo, un
dipinto a tempera su tavola (di dimensioni piuttosto ridotte) che
Piero della Francesca realizzò probabilmente attorno al 1460 per la
corte di Urbino. Le scene rappresentate inducono a credere che il
quadro sia di notevoli dimensioni. Ciò accade perché il pittore
Imago Mundi – Quaderno 3
riesce a rendere molto ampio lo spazio dipinto grazie alla
padronanza della prospettiva lineare.
Il senso della profondità è dato principalmente dall’edificio che
occupa la parte sinistra del quadro: le linee della pavimentazione,
degli edifici e delle cornici corrono tutte verso il punto di fuga, che
si trova molto vicino al centro del dipinto, a un terzo circa della sua
altezza (f.1).
La pavimentazione e il soffitto a riquadri hanno la funzione di
definire la profondità dello spazio dipinto e di renderlo perciò
misurabile. Le dimensioni delle piastrelle, che diminuiscono
progressivamente, permettono ad esempio di individuare le diverse
grandezze delle figure e di calcolare le esatte proporzioni tra
architettura e personaggi. Grazie alla prospettiva, quindi, le figure
poste in lontananza assumono dimensioni più piccole,
rigorosamente corrette rispetto sia a quelle in primo piano, sia a
quelle degli edifici, delle
porte e delle colonne con cui
sono in stretto rapporto.
Le due scene sono nettamente
separate
dalla
notevole
differenza tra le dimensioni
delle tre figure poste in primo
piano e quelle delle figure
poste in lontananza, oltre che f.1 Lo schema grafico riporta il punto
dalla colonna, che suddivide di fuga, le linee prospettiche e gli assi
di simmetria della figure.
in due rettangoli aurei la
superficie del dipinto.
Nella sezione aurea di un segmento, il segmento intero sta al
segmento maggiore come quest’ultimo sta al segmento minore: in
questo caso, se AB è la lunghezza del dipinto e C è il punto in cui
passa l’asse della colonna, il rapporto aureo si esprime nella
35
Il paesaggio nell'arte rinascimentale
proporzione AB : AC = AC : CB. I rettangoli con base AC e CB
sono dunque diversi, ma stanno tra loro in rapporto aureo. Grazie a
tale proporzione la composizione pittorica esprime un perfetto
equilibrio, senza ricorrere al sistema della simmetria. Inoltre, nelle
due scene, la luce proviene da direzioni differenti: da destra quella
della scena della flagellazione, da sinistra quella della scena in
primo piano. Le due parti del dipinto sono però visivamente unite
dal comune impianto prospettico.
4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea
36
Alla fine del Quattrocento, Leonardo da Vinci si occupò attivamente
delle problematiche della rappresentazione spaziale degli oggetti,
con notazioni e dimostrazioni sparse nei suoi manoscritti. La sua
ricerca di un linguaggio espressivo autenticamente pittorico era del
tutto in sintonia con l’uso delle tecniche razionali di
rappresentazione dello spazio.
È opportuno sottolineare il differente modo di considerare il
problema da parte di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni
precedenti: mentre l'Alberti, considerando le relazioni fra immagine
e oggetto reale, pone l'attenzione su rapporti di proporzionalità,
Leonardo più sinteticamente mette a fuoco la similitudine, una delle
proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi
di ordine teorico, e con la mentalità dello scienziato dice anche:
"Prospettiva non è altro che sapere bene figurare lo ufizio
dell'occhio".
Leonardo si rese conto che, poiché l’immagine fisiologica si proietta
su una retina curva, gli oggetti alle estremità del campo visivo
tendono ad apparire più piccoli (aberrazioni marginali), cosa che
non avviene nella riproduzione sul piano pittorico, e che lo spessore
Imago Mundi – Quaderno 3
dell’atmosfera che si interpone tra oggetti e spettatore comporta
variazioni nei colori (prospettiva aerea).
Nella prospettiva aerea, con l'aumentare della distanza dal punto di
osservazione, i contorni divengono più sfumati, i colori sempre
meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Leonardo, di
conseguenza, nella sua pittura rende gli oggetti con colori sempre
più sfumati in funzione della loro distanza, rendendo più nitidi
quelli in primo piano. Egli distingue poi una "prospettiva aerea"
propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della
distanza degli oggetti raffigurati, da una "prospettiva del colore" che
invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della
loro lontananza. Secondo gli studi di ottica di Leonardo, inoltre,
l'aria è più densa quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più
trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di
paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono
più nitidi nelle parti più alte.
La Gioconda
La prospettiva aerea è efficacemente applicata in uno dei quadri più
La Gioconda
37
Il paesaggio nell'arte rinascimentale
celebri di Leonardo, la Gioconda, detta anche Monna Lisa.
Appaiono molto nitidi e definiti i dettagli in primo piano, come le
pieghe delle maniche e del vestito, il ricamo lungo la scollatura, il
sottile velo che tiene fermi i lunghi capelli mossi, le mani adagiate
in grembo. Il paesaggio sullo sfondo, invece, all’aumentare della
distanza dal punto di osservazione, risulta sempre più sfumato, con
contorni progressivamente meno nitidi e colori tendenti al verde e
all’azzurro.
Bibliografia
38
Carlo Bertelli, 2010, vol.3, La Storia dell’Arte – Dal Rinascimento
all’età della Controriforma, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori,
Milano - Torino
E. Tornaghi, 2010, La forza dell’immagine e il linguaggio dell’arte,
2^ edizione, Edizioni Loescher, Torino
Sitografia
http://www.istitutomaserati.it/prospettiva/index.html
http://approfondimentidarte.forumfree.it/?t=44020270
http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva#Primo_Rinascimento
http://it.wikipedia.org/wiki/Flagellazione_di_Cristo_(Piero_della_Fr
ancesca)
http://it.wikipedia.org/wiki/Doppio_ritratto_dei_duchi_di_Urbino
 http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva_aerea
 http://it.wikipedia.org/wiki/Gioconda
Imago Mundi – Quaderno 3
LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E
DISSESTO
Ambrogio Gagliano, Monica Rossi
Studenti della Classe II A – a.s. 2010-2011
Liceo Classico “A.Volta” – Como
F
in dal III sec. a.C. il poeta greco Teocrito, nei suoi Idilli e
Epigrammi, individuava nella Sicilia l’ideale di ambiente
bucolico, dove pace e serenità consentivano all’uomo di
condurre un’esistenza priva di ogni sorta di turbamento e di
dedicarsi alla riflessione e alla poesia, in assoluta armonia con la
natura. Anche oggi la letteratura pone al lettore un analogo scenario:
basti pensare alla Sicilia di Camilleri, soprattutto nei romanzi che
hanno per protagonista il commissario Montalbano, in cui essa si
rivela ancora incantevole, quasi per nulla contaminata dalla mano
umana. Tale visione certamente stride a contatto con i molti casi di
abusivismo edilizio, spesso dovuti all'influenza eterogenea della
mafia sul territorio e a un intervento umano scisso da qualsivoglia
rispetto ambientale e determinato da soli interessi economici.
Colpiti da questo scarto, nell’ambito del progetto Imago Mundi,
dedicato all’approfondimento del tema “La Terra vista dalla Terra”,
ci siamo proposti di condurre uno studio di caso applicato alla
Sicilia A tal proposito ci siamo serviti di opere artistiche e di notizie
di cronaca, da cui è emerso un profondo contrasto tra l’immaginario
collettivo e la reale condizione ambientale che interessa alcune zone
della regione sicula, soprattutto a causa della radicata presenza del
fenomeno mafioso.
Abbiamo così preso in esame due emblematici fatti di cronaca:
l'installazione di pale eoliche nel territorio della Valle di Mazara, in
39
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
particolare nel comune di Salemi, e l'abusivismo edilizio che
interessa la zona di Agrigento. A questi casi abbiamo associato e, in
un certo senso, contrapposto alcune immagini letterarie o pittoriche
che rendessero l'antitesi, che oggi interessa solo alcune zone della
Sicilia, ma che in futuro potrebbe dar vita a una realtà dalla quale
sarà impossibile affrancarsi: Vento a Tindari di Salvatore
Quasimodo e Luce del sud, di Antonino Cammarata.
1. Sicilia e abusivismo
40
La prima sezione della nostra analisi concerne una delle più tristi
realtà dell'isola: l'abusivismo edilizio. Il fenomeno riguarda ampie
zone della regione, dall'entroterra alla costa, e intacca luoghi che
rappresentano un patrimonio tra i più suggestivi al mondo. Il
cemento ricopre il paesaggio naturale, seguendo gli interessi
economici di una delle più problematiche piaghe nazionali, la mafia,
nel silenzio e talvolta nell'assoluto consenso delle autorità.
1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di
Agrigento
In Sicilia, come in altre regioni italiane, l’abusivismo edilizio è stato
a lungo considerato un fenomeno “normale”, finalizzato al
raggiungimento del benessere soprattutto negli anni del boom
economico, approvato da una classe politica compiacente, nonché
sovente legata alla criminalità di stampo mafioso.
Il caso più celebre è forse quello della Valle dei Templi, in cui il
fenomeno del “mattone selvaggio” non solo infrange la legge, ma
va a intaccare un inestimabile patrimonio storico artistico. Tale
vicenda, nata attorno agli anni ’60, si protrae fino a oggi in un
continuo susseguirsi di condoni, espropri e demolizioni mai attuate
che avvengono in un ambiente non privo di un’adeguata e specifica
Imago Mundi – Quaderno 3
normativa urbanistica. Importanti, nella ricostruzione del caso, gli
avvenimenti del 19 Luglio 1966, in cui una frana provocata
dall’accumulo di oltre 850.000 metri quadrati di edifici abusivi,
mise in luce la speculazione edilizia di un’amministrazione che non
solo aveva trascurato le voci di coloro che lamentavano il mancato
rispetto per il patrimonio culturale della zona, ma aveva anche
ignorato gli allarmi lanciati da tecnici ed esperti a proposito del
rischio di frane. Tale episodio ebbe come immediata conseguenza
l’emanazione del decreto Gui-Mancini, attraverso cui venne
vincolata un’area di 1200-1300 ettari, la cosiddetta zona A, di
maggior pregio archeologico, dichiarata assolutamente non
edificabile, oltre ad un ordine di demolizione di 468 edifici, che
però non venne mai eseguita. Al decreto, percepito dall’opinione
pubblica come una sorta di azione punitiva nei confronti della città,
seguirono varie proteste per le quali l’area delimitata sarebbe stata
eccessivamente estesa e ben più ampia della comune concezione
topografica della Valle e numerosi tentativi di restringimento della
suddetta area. L’aspettativa del ridimensionamento dei confini della
fascia di tutela assoluta giunse al culmine nel piano regolatore
generale adottato dal Comune nel 1978, che escludeva dal vincolo
tutte le principali contrade dove si era dispiegata l’edificazione
abusiva: dall’anno dell’adozione del piano alla data della sua
approvazione, nella versione riveduta (1982), nella zona A venne
realizzato il 31,5% delle opere denunciate; l’attesa nutrita per anni,
che aveva portato all’impennata delle costruzioni, subì un duro
colpo in quanto quella parte del territorio è esclusa dal condono, e si
smette di edificare abusivamente. Al 1985 risale la legge-sanatoria
che esclude però ancora dal beneficio le opere realizzate nella zona
A, dove l’abusivismo sembra scomparire, mentre continua
imperterrito nel resto della città.
41
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
42
I primi decreti di demolizione, risalenti al 1980, non ebbero alcuna
conseguenza concreta. Nel 1988 si contavano 2.000 costruzioni
abusive di cui 500 nella zona A , mentre l’intervento
dell’amministrazione comunale procedette
con l’ulteriore
restringimento dei limiti imposti dal tanto discusso decreto al fine di
sanare parte degli abusi: vennero espropriati 400 ettari, ma il
progetto formulato, che prevedeva un’ulteriore espropriazione di
300 ettari per un totale di 700 su 1200 nonché la demolizione
dell’intera zona A sulla quale costruire il parco archeologico, non
venne mai portato a termine. Il numero degli edifici costruiti salì
con il passare degli anni: nel 1991 se ne contavano 600 all’interno
della zona di assoluta inedificabilità e oltre 1500 in quella con
vincolo di inedificabilità limitata. Nel 1993 salirono rispettivamente
a 650 e 2000. Il fenomeno si protrae negli anni tra i movimenti di
protesta degli abusivi e l’indifferenza della classe politica,
perfettamente rappresentata dall’atteggiamento qualunquista del
sindaco Calogero Sodano, che in un’intervista del 1996, riferendosi
ad alcune fotografie, prova tangibile dell’esistenza del problema,
dichiarò che si trattava di un’ “illusione ottica” sulla quale i
giornalisti avrebbero costruito un caso inesistente.
Nello stesso anno il ritiro improvviso della ditta vincitrice
dell’appalto per la demolizione, pur creando numerosi sospetti,
vanificò nuovamente l’intento di ristabilire l’ordine, oltre ad
accrescere ulteriormente l’entità del problema; nel 1996 le case
nella zona A arrivarono infatti a 700. Il 21 Marzo 2001, una ruspa
demolì alcuni edifici, provocando presso l’opinione pubblica un
vortice di proteste che culminarono nel 2002 con l’esplosione di una
bomba sotto il tempio della Concordia, a seguito della firma di 300
atti di esproprio.
Negli ultimi anni sono stati attuati ulteriori interventi, sempre meno
efficaci: i territori in questione vengono sempre più spesso venduti e
Imago Mundi – Quaderno 3
lottizzati al fine di evitare espropri e demolizioni, anche attraverso
l’appello delle famiglie che occupano gli edifici. A questo proposito
è rilevante notare che le statistiche di Legambiente sottolineano
come la natura del fenomeno non sia “di necessità”: i dati provano
infatti che l’abusivismo in zona A è per circa il 60% realizzato a fini
famigliari non riconducibili a necessità di abitazione e che si tratta
perlopiù di seconde case, come tali escluse da qualunque sanatoria
in base alla legge sul condono edilizio dell’85. Queste dimore
appartengono per lo più a famiglie di estrazione borghese, sono
disabitate nei mesi invernali e spesso non sono allacciate alle reti
idrica ed elettrica. Il fenomeno non trova quindi alcuna
giustificazione nella richiesta di abitazioni da parte di famiglie di
bassa estrazione sociale, ma risulta perlopiù identificarsi con la
speculazione, attività spesso criminale perché connessa alla mafia. I
benefici economici di tale fenomeno sono evidenti: la costruzione di
una casa abusiva costa la metà di quanto non costerebbe se venisse
effettuata nella legalità dal momento che non si paga l’onere di
concessione al comune e la retribuzione degli operai non prevede il
versamento dei contributi; tutti questi elementi contribuiscono al
giudizio di condanna dell’abusivismo che, oltre a trasgredire
numerose norme spesso di carattere burocratico, va a danneggiare
nel caso specifico, un incredibile patrimonio storico, di grande
bellezza e rarità.
43
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi
44
Nel cuore della Valle del Belice, tra vigne e appezzamenti coltivati,
sorge Salemi, piccolo comune del trapanese, protagonista di uno
degli esempi più espliciti di violenza ambientale.
Proclamata prima capitale dell'Italia Unita, se pur per breve tempo,
dallo stesso Garibaldi nel momento del suo sbarco in Sicilia, Salemi
per secoli ha goduto di un sonno profondo, tra vigneti e colline
verdeggianti, come se l'uomo fosse arrivato in punta di piedi e in
punta di piedi vi fosse rimasto. A risvegliare il piccolo comune i
lavori di installazione di pale eoliche, giganti che costellano,
immobili, il paesaggio. Immobili, perché nella zona in cui le pale
sono state impiantate non vi è vento. A lanciare l'allarme dell'
inquinamento paesaggistico, fu Vittorio Sgarbi, sindaco del paese, il
quale, nel 2008, si oppose con forza all'installazione di pale eoliche
nella valle di Mazara.
Egli paragonò l’iniziativa a uno "stupro della campagna", definendo
i parchi eolici della valle di Mazara, in quanto contrari all'articolo 9
Imago Mundi – Quaderno 3
della Costituzione italiana: "La Repubblica promuove lo sviluppo
della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il
patrimonio artistico della Nazione". Fu Sgarbi stesso ad organizzare
a Salemi una conferenza sul tema "La minaccia all'integrità del
paesaggio e le energie rinnovabili", a cui prese parte lo scienziato
Vladimir Kutcherov, il quale espose la sua teoria secondo la quale il
petrolio è presente, sul pianeta, in quantità inesauribili e, per questa
ragione, piuttosto che deturpare il paesaggio con mostri di ferro,
sarebbe più opportuno verificarne la disponibilità nel territorio
siculo. In effetti la violenza subita dal territorio di Salemi per
l'installazione dei giganti immobili ha avuto importanti ripercussioni
sull'economia del paese, tanto che molti viticoltori e agricoltori
della zona, dovettero adeguarsi alle nuove condizioni territoriali,
senza contare i numerosi danni alle strade, mai rimesse in sesto, le
colline tagliate per consentire i lavori e la perdita di attrattiva
turistica del territorio, con borghi medievali all'ombra di mostri di
ferro.
A lasciare ancora più indignati è l'impossibilità dell’uso dell'energia
elettrica ottenuta dalle pale eoliche - qualora queste dovessero
funzionare - perché la società Terna, ente nazionale che si occupa
della distribuzione dell'energia, ha affermato che essa, assieme al
restante surplus di energia elettrica prodotta attualmente in Sicilia,
verrebbe convogliata verso l'Italia continentale attraverso un cavo
sottomarino. A che cosa, ma soprattutto, a chi servono dunque
queste pale eoliche? Perché, se il minimo di ore di vento per
l'installazione legale delle pale eoliche è di 2700 ore annue, questi
campi eolici sono stati realizzati a Salemi, dove il vento soffia in
media per 2200? Cosa c'è dietro questo folle progetto di
deturpazione del paesaggio? Ancora la mafia. I fondi stanziati dallo
stato italiano per le forme di energia alternativa sono molto ampi e
la mafia ne fa una fonte di guadagno "legale". Lo stesso sindaco del
45
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
paese si è visto minacciato dall'associazione mafiosa dopo la
denuncia del 2009, in seguito alla quale le indagini hanno portato al
sequestro di diverse pale eoliche e all'arresto di mafiosi e
imprenditori coinvolti, tra cui Melchiorre Saladino, uno dei più
influenti cittadini di Salemi e un personaggio di spicco
dell'organizzazione mafiosa siciliana.
2. Il paesaggio siciliano nella letteratura
46
Fin dall’antichità, la trasposizione letteraria del paesaggio ha
permesso all’uomo di immortalarne e esaltarne la bellezza. Così,
Teocrito, nel IV-III sec. a. C., e Camilleri ai giorni nostri hanno
rappresentato la Sicilia nei suoi tratti più naturali e selvaggi,
collaborando all’identificazione, nell’immaginario comune, del
territorio siciliano con il locus amoenus per eccellenza.
2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia
Nato a Siracusa e ritenuto l’inventore della poesia bucolica, il poeta
ellenistico Teocrito sviluppò un realismo nella descrizione e
un'autenticità dei personaggi ignoti fino a quel momento. Da alcuni
testi attribuiti al poeta siciliano è evidente come egli, nella
descrizione del locus amoenus, tragga spunto dalla Trinacria reale,
che può essere considerata la sua musa ispiratrice.
Un primo esempio è costituito dal famoso idillio Licida o Le
Talisie, il cui tema principale è l'investitura poetica di Teocrito al
genere bucolico, sulla scia di Esiodo. In esso il poeta fornisce una
descrizione della natura siciliana, ricca di odori e colori, assunto a
simbolo dell'atarassia e del piacere disinteressato della poesia:
Imago Mundi – Quaderno 3
In gran numero a noi sul capo stormivano
pioppi e olmi; e da presso risuonava
la sacra acqua sgorgante dall'antro delle Ninfe.
Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole
frinivano senza riposo, e l'usignolo
gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi.
Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora,
volteggiavano intorno alle fonti le bionde api.
Dappertutto un profumo di pingue raccolto,
dappertutto un profumo di frutti.
Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele
in grandi quantità rotolavano, e si piegavano
i rami carichi di susine fino a terra; (...)
L'estratto (vv. 135-146) offre un ridente quadro naturale: sono
presenti gli elementi tipici del locus amoenus, quali l'ombra, ai piedi
dei pioppi e degli olmi, e l'acqua, che sgorga da una fonte sacra alle
Ninfe. A questi si aggiungono elementi animali, quali le cicale e
l'usignolo, simboli dell'arte del canto, insieme alle allodole e ai
cardellini. Altro animale menzionato è l'ape, protagonista di
numerose opere di stampo rurale, bucolico e georgico. Teocrito fa
riferimento, inoltre, all'abbondanza di frutti della terra, quali pere,
mele e susine, che contribuiscono a ritrarre una nuova età dell'oro. Il
quadro descritto mostra un ambiente pacifico e idilliaco, che
consente al poeta di immergersi in se stesso e di esprimere la
propria interiorità mediante il canto.
Anche i versi 5-19 dell'epigramma IV forniscono un'accurata
descrizione paesaggistica, in cui elementi naturali, massima
espressione di armonia e pace, sono contrapposti al canto d'amore
del poeta, dai toni melanconici e quasi elegiaci:
47
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
Un sacro recinto si propaga tutt'intorno, e un ruscello
perenne, scorrendo dalle rocce, è adorno da ogni parte
di lauri e di mirti e di un cipresso profumato:
là una vite, madre di grappoli, si distende intorno
con le sue volute; a primavera i merli con accenti melodiosi
fanno riecheggiare canti gorgheggianti,
e gli usignoli canterini rispondono con i loro cinguettii,
effondendo la voce dolce come miele.
Là fermati, e prega il bel Priapo
ch'io smetta di desiderare Dafni,
e subito gl'immolerò un bel capretto. Ma se rifiuta,
e io ottengo l'amore di costui, voglio fare un triplo sacrificio:
una giovenca, un irsuto caprone, e un agnellino
che ho nell'ovile. Mi ascolti Priapo con favore.
48
2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa
Esistono luoghi della Sicilia che anche la letteratura moderna ha
consacrato, imprigionandone il fascino e perpetuandolo
nell’immaginario comune, rendendoli sfondo di romanzi e, qualche
volta, addirittura protagonisti delle storie narrate.
Questi luoghi, in particolar modo nelle pagine dello scrittore Andrea
Camilleri, sceneggiatore e regista italiano nato a Porto Empedocle
nel 1925, vibrano di una grande vitalità, al punto che, per molti
lettori Vigàta (Porto Empedocle) e Montelusa (Agrigento) sono
oramai divenuti oggetto di vero e proprio amore. La Sicilia di
Camilleri è quella del suo immaginario, legata ai ricordi della
giovinezza di inizio secolo, che oggi appare surreale e solo
vagamente connessa alla Sicilia reale, soprattutto a causa delle
modifiche al territorio attuate per sviluppare il turismo balneare.
Imago Mundi – Quaderno 3
L’ambiente che il commissario Salvo Montalbano, protagonista di
molti romanzi di Camilleri, ama di più è quello aspro, arido, brullo
dell’antica Sicilia occidentale, affascinante e tranquillo, fonte di
solitaria ispirazione e talvolta addirittura capace di suggerirgli
importanti intuizioni legate alle sue indagini; questo amore è
esplicitato dall’autore ne La forma dell’acqua:
Quella però era la Sicilia che piaceva al commissario,
aspra, di scarso verde, sulla quale pareva (ed era)
impossibile campare e dove ancora c’era qualcuno, ma
sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla,
che lo salutava da sopra la mula portandosi due dita alla
pampèra.
Il romanzo La gita a Tìndari suggerisce la tendenza del protagonista
ad isolarsi, appena possibile, all’esterno della realtà cittadina per
immergersi nella natura della campagna siciliana, che costituisce lo
sfondo perfetto per le solitarie riflessioni del commissario. In
particolare i suoi pensieri sono stimolati dalle fronde di un antico
ulivo saraceno, pianta tipica della macchia mediterranea, che,
attraverso l’articolazione dei suoi rami, pare volergli ricordare
l’intricatezza delle indagini sulle quali sta lavorando:
C’era proprio a mezza strata tra i due paìsi, un viottolo
di campagna, ammucciato darrè a un cartellone
pubblicitario, che portava a una casuzza rustica
dirupata, allato aveva un enorme ulivo saraceno che la
sua para di centinara d’anni sicuram ente li teneva.
Pareva un àrbolo finto, di teatro, nisciùto dalla fantasia
di un Gustavo Doré, una possibile illustrazione per
l’Inferno dantesco. I rami più bassi strisciavano e si
contorcevano terra terra, rami che, per quanto
tentassero, non ce la facevano a isarsi verso il cielo e
che a un certo punto del loro avanzare se la ripinsavano
49
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
e decidevano di tornare narrè verso il tronco facendo
una specie di curva a gomito o, in certi casi, un vero e
proprio nodo. Poco doppo però cangiavano idea e
tornavano indietro, come scantati alla vista del tronco
potente, ma spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli
anni. E, nel tornare narrè, i rami seguivano una
direzione diversa dalla precedente. Erano in tutto simili
a scorsoni, pitoni, boa, anaconda di colpo
metamorfosizzati in rami d’ulivo. Parevano disperarsi,
addannarsi per quella marìa che li aveva congelati,
«canditi», avrebbe detto Montale, in un’eternità di
tragica fuga impossibile. I rami mezzani, toccata sì e no
una metrata di lunghezza, di subito venivano pigliati dal
dubbio se dirigersi verso l’altro o se puntare alla terra
per ricongiungersi con le radici.
50
Taliato da sotto, da questa nuova prospettiva, l’ulivo
gli parse più grande e più intricato. Vide la
complessità di ramature che non aveva prima potuto
vedere standoci dintra. […]
Per
una
mezzorata se ne
stette a panza
all’aria, senza
mai staccare lo
sguardo
dall’dall‘. E più
lo taliava, più
l’ulivo gli si
spiegava,
gli
contava come il
gioco del tempo
l’avesse
intortato,
lacerato, come
l’acqua e il vento l’avessero anno appresso anno
obbligato a pigliare quella forma che non era
Imago Mundi – Quaderno 3
capriccio o caso, ma conseguenza di necessità.
L’occhio gli si fissò su tre grossi rami che per breve
tratto procedevano quasi paralleli, prima che ognuno
si lanciasse in una sua personale fantasia di zigzag
improvvisi, ritorni narrè, avanzamenti di lato,
deviazioni, arabeschi. Uno dei tre, quello centrale,
appariva leggermente più basso rispetto agli altri due,
ma con i suoi storti rametti s’aggrappava ai due rami
soprastanti, quasi li volesse tenere legati a sé per tutto
il tratto che aveva in comune.
I luoghi di Montalbano dal 2001 sono stati oggetto di una
trasposizione televisiva, in seguito alla creazione della serie tv
dedicata alle indagini del celebre commissario. Nella scelta
paesaggistica sono state apportate variazioni significative rispetto
all’originale versione letteraria: al ringiovanimento fisico del
protagonista corrisponde un adattamento alle esigenze di un
pubblico moderno, nonché più vasto, che passa attraverso la scelta
di un paesaggio a misura d’audience, meno bucolico e poetico, ma
di maggiore impatto visivo: il set è, infatti, collocato nei pressi di
Ragusa, nella zona orientale della Sicilia, e avvicina lo sfondo della
serie allo stereotipo “da cartolina”, alimentando la tendenza, già
presente nella versione letteraria, ad una caratterizzazione idilliaca
della regione. I due paesaggi, entrambi carichi di attrattiva, sono
entrati a far parte, ciascuno con le sue peculiarità, dell’immaginario
degli italiani: la parte orientale della Sicilia risulta più direttamente
apprezzabile dal grande pubblico, più turistica perché
corrispondente all’immagine del luogo di villeggiatura, proprio per
questo si distingue dall’isola amata e descritta da Camilleri per
mezzo della figura di Montalbano, che è invece più grezza,
selvaggia, ancora priva dell’intervento invasivo dell’uomo.
Attorno alla figura del commissario quindi gravitano due diversi,
quasi opposti paesaggi dell’universo siciliano, due immagini
51
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
completamente differenti, dirette a due diverse tipologie di
pubblico, che contribuiscono in egual misura a fornire
nell’immaginario comune l’idea dell’idillio, essendo ciascuna
portatrice del proprio peculiare fascino: da una parte l’autentico
ambiente camilleriano, brullo e primitivo, sfondo di solitaria
contemplazione, dall’altra il meraviglioso luogo di mare,
accattivante per la sua immediata bellezza ma più chiassoso e
artificiale.
2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia
La stessa malinconica nostalgia che prova Camilleri nei confronti
della terra natia, teatro della sua giovinezza, appare nella poesia di
Quasimodo Vento a Tìndari. Il poeta, nato a Modica nel 1901,
condivide con Camilleri le origini siciliane e spartisce con lui il
ruolo di divulgatore di un’immagine ideale della Sicilia.
52
VENTO A TINDARI
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
Imago Mundi – Quaderno 3
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.
Il tema centrale della poesia, tratta dalla raccolta Acqua e terre del
1930, si sviluppa intorno all’evocazione della mitica Sicilia, evocata
dall’io lirico in una dimensione quasi onirica. Essa si pone in
contrasto con la condizione del presente che ha come sfondo
l’ambiente cittadino freddo e alienante: il rimpianto della Sicilia si
53
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
54
unisce, dunque, alla nostalgia per l’infanzia ormai trascorsa,
amplificata dall’esistenza piena di tristezza che il poeta conduce in
un’altra città. L’autore nei primi versi della poesia invoca Tindari,
piccola frazione nella provincia di Messina, teatro della sua
giovinezza, e ne canta le bellezze paesaggistiche: in particolare il
verso 2 fa riferimento alla morfologia del luogo, caratterizzata
dall’articolazione in diverse collinette digradanti che si gettano in
mare formando appunto capo Tindari. La piccola cittadina viene
esaltata nei suoi tratti peculiari, che la dipingono come un luogo di
estrema tranquillità e bellezza. L’espressione “pensile sull’acque”,
sempre nel secondo verso, richiama alla mente i laghetti di
Marinello, specchi d'acqua di mare poco profondi generati
dall'insinuarsi del mare nella baia. Il poeta con la mente sembra
figurarsi mentre sale sulla sommità dell’omonimo capo, dove venne
fondata l’antica colonia greca Tyndaris, e poi nell’atto di
contemplare l’alta collina che scende verso il mare, immerso nella
tipica naturalità dei pini marittimi, toccati unicamente dal vento ma
salvi dalla mano umana.
Imago Mundi – Quaderno 3
3. Pittura e poesia: la Sicilia
Nell'ambito dello studio del paesaggio siciliano, ci è sembrato infine
utile analizzare come questo sia stato interpretato in campo artistico,
dove trova ancora spazio la sua natura idilliaca, anche se lontana
dalla realtà del territorio.
3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia
55
Luce del Sud
Ciò che certamente colpisce, a prima vista, l'occhio dello spettatore
sono i colori, tipici di Antonino Cammarata, nato ad Augusta nel
1962, dove tuttora vive e lavora. La sua esperienza di pittore
comincia nel 1985, quando, attirato dalla magia del paesaggio della
La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto
56
sua Sicilia, decise di rappresentarlo. I colori accesi e quanto mai
reali, permettono al pittore siciliano di rappresentare un luogo non
definito nel tempo e nello spazio, ma nel quale sono presenti tutti gli
elementi del paesaggio di Sicilia. Il locus amoenus qui appare
inviolato, massima espressione di pace e bellezza naturalistica, in
cui la presenza dell'uomo si avverte come lontana e inoffensiva: la
casa si inserisce perfettamente nel contesto naturale, sembra esserne
parte inscindibile, così diversa dalle abitazioni abusive che
costellano le coste della Sicilia. Anche la barca, simbolo di civiltà e
di insediamento umano, sembra essere un elemento del paesaggio:
essa fa parte del patrimonio culturale siciliano arcaico, in cui la
pesca rappresenta una delle principali attività, nell'assoluto rispetto
della natura, che, anzi, ne è maggiormente valorizzata; inoltre la
barca è simbolo del viaggio, che, nel corso della sua storia
millenaria, ha sempre interessato le coste siciliane. Gli unici due
elementi artificiali sono rappresentati in uno sfondo
prepotentemente naturale: il cielo, di un azzurro intenso, è coperto
da rade nuvole, bianche come l'altura lontana, che sembra sorgere
direttamente sul mare, di un blu delicato, misto al bianco della
schiuma delle onde. La terra, di un marrone sabbia, presenta cocci
di pietra casualmente disposti. Da essa prendono vita diverse forme
vegetali: il fico d'India, pianta caratteristica della Sicilia, conferisce
al paesaggio una sfumatura esotica e selvaggia; steli d'erba e fiori
gialli, insieme a piccoli cespugli verdi disposti nel dipinto, coronano
il paesaggio naturale; un albero, rigoglioso e dal tronco nodoso e
irregolare, presenta una folta chioma, sullo sfondo del cielo azzurro,
rivolta verso il mare, come testimone silenzioso del tempo immobile
su questo paradiso terrestre.
Imago Mundi – Quaderno 3
Bibliografia consultata
Andrea Camilleri, 2000, La gita a Tìndari, Sellerio.
Maurizio Clausi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro, Alice
Pancucci Amarù, Daniela Ragusa, 2006, I luoghi di
Montalbano. Una guida, Sellerio.
Quasimodo Salvatore, 1994, Tutte le poesie, Mondandori Oscar
Grandi Classici, Milano.
Salvatore Ferlita, Paolo Nifosì, 2003, La Sicilia di Andrea
Camilleri. Tra Vigàta e Montelusa, Kalòs.
Teocrito, 1993, Idilli e Epigrammi, BUR, Bergamo.
Sitografia
http://www.tuttarteonline.it/cammarata.htm
http://www.ildireeilfare.it/vittorio-sgarbi-primo-cittadino-disalemi-e-le-pale-eoliche/20080701
http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-ditalia/notizie/13Salemi-La-grande-truffa-siciliana_aabf23c65a66-11df-903e-00144f02aabe.shtml
http://www.ecoblog.it/post/9603/eolico-siciliano-i-segreti-di-alisgarbi-e-il-no-del-sindaco-di-santa-croce-camerina-rg-al-parcofotovoltaico
http://www.reteambiente.it/sostenibilita/10424/mafia-e-energierinnovabili/
http://www.repubblica.it/
http://archiviostorico.corriere.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Tindari
57
Imago Mundi – Quaderno 3
SULLE RIVE DEL LARIO
Maria Doria
Docente di linguaggi della comunicazione
Studenti della Classe II F – a.s. 2010-2011
Liceo Classico “A. Volta” – Como
1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile
ome testo introduttivo si propone la scaletta dell’intervento della
prof.ssa Marina Doria in occasione della conferenza di Imago Mundi
del 29 settembre 2011.
C
Accogliendo le indicazioni del coordinatore, prof. Sansò,
che spostavano l’attenzione sul paesaggio e sull’ambiente, e
sollecitati anche dalla conferenza svolta in primavera, che aveva per
argomento L’acqua come risorsa e come minaccia, nel corso
dell’anno scolastico 2009-10 si è scelto di guardare da vicino la
realtà del nostro lago.
Per restringere l’argomento, di per sé vastissimo, ci si è limitati a
considerare il lungolago comasco - per intenderci il tratto compreso
tra villa Olmo e villa Geno - e si è deciso di partire con un primo
approccio volto a tentare di fare luce, almeno in parte,
sull’immagine del
lago, così come essa si può dedurre
dall’immaginario, appunto, e dal vissuto dei giovani coinvolti nel
lavoro.
Strumenti d’indagine d’eccellenza sono stati l’intervista e il
sondaggio, che abbiamo coniugato con un mezzo espressivo
particolarmente vicino ai ragazzi, quello della ripresa audio-video.
E’ interessante notare subito come sia lo strumento ‘ freddo’ del
sondaggio , sia quello ‘ caldo’ dell’intervista abbiano offerto lo
stesso risultato in termini qualitativi, lasciando emergere, nella
maggioranza dei casi, un senso dominante di estraneità e di non
58
Imago Mundi – Quaderno 3
appartenenza
nei confronti del tratto di lago preso in
considerazione.
Ciò potrebbe in un primo momento stupire, se non che occorre
tenere presente che questi cittadini, nella fascia di età considerata e cioè 16-18 anni per lo più – hanno avuto a che fare col cantiere
delle paratie praticamente fin da quando hanno iniziato a percorrere
la città da soli. In altre parole, non hanno mai visto, se non da
bambini, il lungolago senza palizzate e senza cancelli. E sebbene
non fosse nelle nostre intenzioni fare di questo problema il centro
dell’indagine , nel corso del lavoro ci si è resi conto che esso
rappresenta in realtà una sorta di filo conduttore ineludibile e capace
di orientare - o disorientare - in modo determinante l’immaginario e
il vissuto dei soggetti coinvolti.
Anche semplicemente osservando i comportamenti degli studenti
quando siamo usciti per realizzare le riprese all’aperto, si è potuto
comprendere come i ragazzi, lasciati volutamente liberi di
percorrere il lungolago con la macchina da presa, abbiano usato lo
strumento che avevano a disposizione con un certo imbarazzo: quasi
tutti hanno tentato in ogni modo di ritagliare nell’obbiettivo il
pittoresco delle cartoline lacustri, di rifare (per finta?) il lago
sognato, il lago delle ville e degli scorci panoramici coi fiori in
primo piano, salvo poi discorrere fra loro del degrado, dello sporco,
della provvisorietà dell’eterno cantiere a lago con un senso di apatia
e d’impotenza tali da lasciare sconcertati.
Del resto, da spettatori, hanno pur assistito alle polemiche, alle
innegabili figuracce, agli eterni
rinvii delle promesse di
riqualificazione del primo bacino: come metabolizza tutto questo un
adolescente? Forse dovremmo chiedercelo.
Il dialogo in classe favorisce una presa di coscienza? Si può e si
deve invertire la tendenza? I margini d’incertezza non sono pochi,
soprattutto quando si voglia mantenere quell’onestà intellettuale
59
Sulle rive del Lario
60
che impone di non indottrinare i ragazzi con risposte
preconfezionate, ma di lasciarli liberi per comprendere da soli la
realtà, offrendo solo gli stimoli necessari per
giungere
autonomamente alle proprie conclusioni, sempre provvisorie.
A tale fine, le docenti responsabili del progetto hanno individuato dopo questa full immersion nell’immaginario di cui s’è parlato e di
cui sarà tra breve testimonianza il primo video proposto - alcuni
passaggi fondamentali:
1) favorire la conoscenza delle leggi che tutelano il patrimonio
paesaggistico e l’ambiente , nell’ambito dell’educazione alla
cittadinanza.
2) offrire la possibilità ai ragazzi di realizzare in autonomia, in
gruppo o individualmente, brevi spot e video per illustrare le loro
scoperte.
3) avviare una riflessione che produca testi scritti di tipo
giornalistico e saggistico (scrittura documentata).
Tutti e tre questi passaggi sono stati realizzati. Data la peculiarità
dell’occasione odierna, ci si limiterà alla proiezione di tre video: il
primo espone i risultati del sondaggio e restituisce il clima delle
interviste svolte; il secondo, brevissimo, vorrebbe sollecitare la
presa di coscienza dell’importanza di amare il lago (gli inglesi
userebbero il verbo to care) ; il terzo si concentra sul problema
dell’inquinamento lacustre.
N.B. I video sono reperibili nel dvd allegato.
Imago Mundi – Quaderno 3
2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle
scuole superiori di Como (marzo 2011)
Si ringrazia in particolare l’alunna Lucrezia Gatti, per il preciso e efficiente lavoro
di coordinamento.
Il campione di studenti cui è stato rivolto il questionario relativo al
sondaggio era costituito dagli studenti delle scuole superiori che
hanno partecipato al progetto Imago mundi nel corso dell’anno
scolastico 2009-10. Il campione,
omogeneo quindi quanto
provenienza sociale (studenti) lo è anche quanto a età (anni 16-19,
con una predominanza di diciottenni). Indicativo è da ritenersi il
dato della provenienza , cioè della zona di residenza: solo un quarto
degli intervistati dichiara di abitare in centro città. Del resto, il dato
è in linea con la tendenza sempre maggiore a trasferire la propria
residenza fuori dalle mura cittadine.
Forse anche per questo motivo, la maggior parte degli intervistati
passa dal lungolago solo il sabato o la domenica (69%), per lo più
per fare una passeggiata a piedi (54%)
Alcuni si recano in zona anche per i lidi (44%), mentre pochi (8%)
quelli che frequentano una delle società sportive che
tradizionalmente sono ospitate nella bella cornice lacustre.
Il dato è significativo, poiché suggerisce uno scarso utilizzo del
lago: inutile sottolineare che uno sfruttamento mirato della risorsa
lacuale potrebbe farla divenire centro catalizzatore dei giovani
della provincia, offrendo occasioni di svago, sport e socializzazione
a molti più soggetti di quanto non faccia ora.
Nel percorrere il lungolago, il visitatore si imbatte in alcuni luoghi
significativi ed emblematici dell’immagine di Como: Villa Olmo, il
Tempio voltiano, la passeggiata stessa lungo il lago, piazza Cavour
e Villa Geno.
Ma quanto sono amati questi luoghi? Sono capaci di sviluppare nei
giovani un senso di appartenenza e di identità?
61
Sulle rive del Lario
62
Dal sondaggio risulta che luoghi preferiti sono nell’ordine villa
Olmo (32%), il tempio voltiano (22%) e la passeggiata (21%).
Molto meno amati villa Geno (13%) e Cavour (12%).
A fronte di una generale ammirazione per le innate, indiscutibili
qualità paesaggistiche e architettoniche di tali luoghi, i ragazzi si
aspetterebbero tuttavia di trovare più servizi, più pulizia, più
movida.
Il questionario prevedeva anche una domanda aperta, cui si può
attribuire ovviamente un significato particolare: esiste un luogo sul
lungolago al quale sei
affezionato ?A tale quesito
sorprendentemente più della metà degli intervistati (56 %) ha
risposto NO.
Questo scarso attaccamento a un luogo che fortemente caratterizza
l’immaginario cittadino dovrebbe muovere a qualche riflessione,
che lasciamo fare a chi legge.
Coloro che hanno risposto di avere sul lungolago un luogo cui sono
affezionati si limitano quasi tutti a ripetere l’indicazione già data
circa il luogo preferito, eludendo il suggerimento del questionario,
che invitava a indagare più nel dettaglio e nel vissuto personale,
proponendo come esempi angoli, panchine ecc.
Quest’anno Como si avvia a scegliere un nuovo sindaco. A lui e la
sua squadra, tra i mille urgenti problemi da risolvere, modestamente
poniamo anche quello di sapere restituire il lago ai soggetti decisivi
per il suo futuro: i giovani!
Imago Mundi – Quaderno 3
DAL MACRO AL MICRO
IL COMPLESSO RAPPORTO TRA SCIENZA E TECNOLOGIA
Claudio Fontana
Docente di storia e filosofia
Studentesse della Classe IV SA – a.s. 2010-2011
Liceo Scientifico “P. Giovio” – Como
1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione
Industriale
La prima rivoluzione industriale costituì una fase emblematica e
significativa per lo sviluppo del complicato rapporto che lega la
tecnica e la scienza. L’elemento cardine della prima rivoluzione
industriale fu l’invenzione della macchina a vapore, lo “steam
engine”, concepito e sviluppato da brillanti ingegneri come James
Watt, Thomas Savery e Thoms Newcomen.
In questa prima fase, scienza e tecnica seguirono uno sviluppo
piuttosto autonomo: lo sviluppo della macchina a vapore avvenne
infatti senza la conoscenza delle leggi termodinamiche alla base dei
principi sfruttati per trasformare l’energia termica sprigionata dalla
combustione del carbone nell’energia cinetica prodotta dalla
macchina e destinata ai più svariati utilizzi.
Uno dei grandi problemi che gli ingegneri dovettero affrontare fu la
creazione di sistemi di distribuzione e trasporto dell’energia cinetica
generata dalla macchina a vapore; il costo, le dimensioni e la
complessità di tale macchina rendevano infatti più conveniente
installare in un grande impianto produttivo un’unica macchina a
vapore la cui energia cinetica prodotta veniva trasmessa a tanti
63
Dal micro al macro
64
utilizzatori piuttosto che installare tante piccole macchine, ciascuna
collegata ad un singolo utilizzatore.
Vennero quindi realizzati diversi sistemi di trasporto dell’energia
cinetica, differenti in base alla distanza che essi dovevano coprire.
Nelle industrie, in cui generalmente centinaia di macchinari erano
messi in moto da un’unica grande macchina a vapore, furono
utilizzati sofisticati sistemi di pulegge, cinghie, alberi di
trasmissione e giunti cardanici. Si calcola che una fabbrica dell’800
avesse in media 600 kilometri di alberi di trasmissione e 500
pulegge. Distanze maggiori furono coperte trasformando, grazie
all’utilizzo di un sistema di bielle e camme, il movimento rotatorio
prodotto dallo “steam engine” in un movimento oscillatorio, che
mettesse meno sotto torsione i giunti e gli organi di trasmissione.
Un esempio è costituito dal dispositivo installato nella cittadina
tedesca di Bad Kosen, in cui un sistema di pali e camme metteva in
moto una pompa situata a più di 200 metri di distanza dalla
macchina a vapore.
2. Dal macro al micro: la termodinamica
Dalla realizzazione delle nuove macchine a vapore nacque la ricerca
della spiegazione fisica connessa al loro funzionamento, ed in
particolare alla possibilità di trasformare il calore in energia
meccanica. Questo è il campo di studi della termodinamica. Il caso
della termodinamica è emblematico, in quanto la sua applicazione
pratica precede la spiegazione teorica dei fenomeni fisici: dalla
costruzione tecnologica si tenta dunque di risalire alle leggi che ne
permettono il funzionamento. Attraverso il contributo di numerosi
scienziati quali Lord Kelvin, Clausius, Joule, Charles e Gay-Lussac
si sono scoperti i principi fondamentali della termodinamica. Ma il
vero salto verso la modernità è stato operato da Boltzmann, che ha
Imago Mundi – Quaderno 3
introdotto una teoria microscopica per spiegare il funzionamento dei
gas reali. Tale teoria associava al comportamento macroscopico dei
gas degli ipotetici stati microscopici di particelle in movimento
attraverso l’uso del calcolo probabilistico: la probabilità viene così
introdotta in una scienza fino ad allora ritenuta esatta, la fisica.
Il calcolo probabilistico non è più stato abbandonato e ha anzi
acquisito ulteriore importanza nella fisica moderna: per descrivere
la posizione di un elettrone, per esempio, è necessario ricorrere alla
sovrapposizione di stati probabilistici. Anche la tendenza di
guardare al piccolo per spiegare il nostro mondo si è accentuata: al
giorno d’oggi si parla di bosoni e neutrini, particelle ancora più
piccole di protoni ed elettroni. Questa tendenza di scavare sempre
più a fondo nelle radici della materia ha avuto come conseguenza un
cambiamento del rapporto tecnologia- scienza. Infatti al giorno
d’oggi è la tecnologia che procede dalle scoperte scientifiche e non
viceversa. Per fare un esempio: è noto che l’occhio umano è in
grado di percepire ( e quindi di modificare) gli oggetti fino ad una
grandezza pari al decimo di millimetro (10-4 m). Il secolo scorso la
grande innovazione tecnologica è stata data dal microprocessore,
che ha permesso di lavorare con una scala di precisione del
milionesimo di metro (10-6 m), il che ha portato allo sviluppo dei
microchip che costituiscono il computer. Negli ultimi decenni è
invece stato realizzato il microscopio ad effetto tunnel, che consente
di agire sulla materia alla scala del nanometro (10-9 m): viviamo
nell’epoca delle nanotecnologie. Gli esperimenti più moderni vanno
ad indagare la materia ancora più a fondo, fino al picometro e oltre
(10-12 m): è questo il caso del grande apparato sperimentale
dell’LHC a Ginevra.
65
Dal micro al macro
3. Studiare il micro: l’HLC del CERN
66
Il Large Hadron Collider (LHC) è un acceleratore di particelle
situato presso il CERN di Ginevra. Il Consiglio europeo per la
ricerca nucleare (CERN) conta 20 stati membri ed è stato fondato
nel 1954 da 12 paesi tra cui l’Italia.
Il Grande collisore di adroni (LHC) è un anello con una
circonferenza di 27 chilometri situato a 100 metri di profondità tra
Francia e Svizzera. L’obiettivo dei fisici è riuscire a studiare le più
piccole parti che costituiscono la materia.
Due fasci di particelle (protoni o ioni) chiamati “adroni” viaggiano
in direzioni opposte all’interno dell’acceleratore a velocità prossime
a quella della luce: dallo scontro tra i due fasci è possibile riprodurre
le condizioni che si sono presentate negli istanti immediatamente
successivi al Big Bang. Per la formula di Einstein E=mc2 (l'energia è
uguale alla massa moltiplicata per la velocità della luce al quadrato)
al momento dello scontro l'energia accumulata dovrebbe
trasformarsi in materia.
4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER”
“Collider” è il nome che abbiamo scelto per il nostro modello
semplificato dell’acceleratore di particelle LHC, reinterpretato dopo
averlo visitato al CERN di Ginevra. L’idea era quella di costruire un
modello che tramite un approccio ludico potesse essere uno spunto
per spiegare in modo semplice e comprensibile a tutti quanto
Imago Mundi – Quaderno 3
accade negli acceleratori del famoso centro di ricerca.
Per la progettazione e la successiva realizzazione è stato seguito un
preciso metodo progettuale: partendo da degli schizzi (o “concept”),
dove l’idea è stata trasposta su carta a mano libera, senza tener
conto di alcuna limitazione (figura 1 e 2), è stato poi realizzato un
modellino in scala ridotta (figura 3), frutto di un’ulteriore fase di
semplificazione dei disegni iniziali. Dopo una fase di ricerca e
collaudo dei materiali, è stato realizzato il modellino in figura 4.
67
Figura 1
Figura 3
Figura 2
Figura 4
Dal micro al macro
Lo scopo del gioco è quello di inserire le due sfere
contemporaneamente in entrambe le entrate superiori per ottenere
una collisione tra di esse nella parte di tubo scoperta presso la base
del modello. In questo caso il tempismo è la chiave per avere
successo. Raggiungere l’obiettivo, parola di quelli che l’hanno
provato, non è facile come sembra: questo fatto basti a far pensare
come possa essere difficile far collidere delle “sfere” migliaia di
volte più piccole: le particelle subatomiche. Da sottolineare è il fatto
che in questo caso l’accelerazione delle sfere è data da quella
gravitazionale mentre nell’LHC è ottenuta tramite il continuo
alternarsi di campi magnetici.
68
Imago Mundi – Quaderno 3
LA FORMA DELLA TERRA E
L'IMMAGINE DEL MONDO
Maristella Galeazzi
Docente di matematica e fisica
Liceo scientifico "P. Carcano"- Como
1. Età moderna
Sull’impulso dato dai grandi viaggi di esplorazione fu affinata la
bussola e furono costruiti i primi strumenti per l’osservazione
celeste e terrestre.
L'Atlante catalano (1375 ca.) è la carta nautica più importante del
periodo medioevale. Essa non porta la firma dell'autore attribuita
alla scuola cartografica di Maiorca. Si suppone sia stata prodotta da
Abraham Cresques e da suo figlio Jahuda su richiesta del re di
Aragona. Originariamente redatto su 6 fogli, preziosamente miniati
in vari colori tra cui l'oro e l'argento. I fogli divisi a metà per il
lungo vennero incollati su 5 tavole di legno. E’ un portolano, ossia
una carta degli “approdi” caratterizzata da linee rette che si
irradiano da una rosa dei venti centrale e da altre laterali,
intersecandosi per tutta la superficie della terra. Per raggiungere il
porto non si doveva far altro che seguire il vento indicato dal
portolano mantenendo la rotta con la bussola.
69
La forma della Terra e l'immagine del mondo
70
Fin dal XIV secolo l’Italia e la Spagna diedero un grande contributo
alla cartografia e alla nautica con una vasta produzione di carte
portolani che descrivevano l’intero bacino Mediterraneo fino al mar
Nero. Le prime carte, tuttavia, sono solitamente lineari, cioè
rappresentano solo la linea della costa con i relativi toponimi,
mentre l’entroterra è spoglio, sia perché l’informazione geografica
era ovviamente carente, sia perché i dettagli interni erano inutili ai
fini della navigazione.
Imago Mundi – Quaderno 3
Una delle primissime carte medievali è la carta di Angelino Dulcert,
sulla quale un’iscrizione informa che “hoc opus fecit Angelino
Dulcert ano MCCCXXXVIIII de mense Augusti in civitate
maioricarum” Le note e le legende sono scritte in latino, e la mappa
si caratterizza in quanto rappresenta aspetti sconosciuti alle opere
coeve prodotte a Genova e a Venezia, si distingue inoltre per essere
il primo portolano nel quale s'identifica l'isola di Lanzarote, la più
orientale dell'arcipelago delle Canarie, come Isola di Lanzarotus
Marocelus, un riferimento al navigatore genovese Lanzerotto
Malocello. Inoltre questa mappa tenta di rappresentare il nord
Europa e include informazioni relative all'Africa, non
concentrandosi solo sulle rappresentazioni relative al mar
Mediterraneo che caratterizzano le opere dell'epoca. Gli studiosi
hanno dibattuto per oltre mezzo secolo sulla questione della
nazionalità dell’autore.
71
La forma della Terra e l'immagine del mondo
Infatti a Firenze nel 1887 fu scoperta una carta sicuramente italiana
del 1330 dell’autore Angelino Dalorco o Dalorto: la somiglianza tra
le due carte induceva a considerarle dello stesso autore (alcuni
ritengono che si tratti sempre del genovese Angelino Dalorto,
emigrato a Maiorca dove avrebbe fondato un'officina cartografica).
72
Nei secoli XV e XVI, con l’aprirsi della navigazione negli oceani, e
delle imprese marinare, i difetti e le insufficienze delle carteportolano si manifestano in modo palese: il trascurare la forma
sferica della Terra, la mancanza di coordinate di riferimento, i
meridiani che non convergono verso i poli, unitamente allo spirito
nascente del Rinascimento fanno si che la cartografia cominci ad
avere una connotazione scientifica.
A partire dal XV secolo, grazie all’invenzione della stampa, che
permise la riproduzione e il diffondersi della “Geographia” di
Tolomeo, si assiste ad uno straordinario sviluppo delle tecniche
cartografiche su base scientifica, che diede inizio alla moderna
rappresentazione basata sull’individuazione di punti mediante le
coordinate geografiche. La prima traduzione in latino della
Geografia di Tolomeo (con il titolo di Cosmographia) risale al
1406-1407 e al 1482 l’edizione fiorentina in lingua volgare. La
realizzazione delle carte e la loro diffusione era affidata a
professionisti: cartografi, incisori ed editori, si avevano 3 fasi per la
realizzazione di una carte geografica: il disegno su carta, l’incisione
su lastre di rame, la stampa.
La pubblicazione delle carte era concessa in privilegio ad uno
stampatore per 10 anni.
Scaduto il privilegio era possibile anche ad altri stampatori
utilizzare la lastra originale per tirare nuove copie. In Italia i
principali centri di produzione di carte geografiche furono Roma
(Lafrei) e Venezia (Camocio, Forlani, Bertelli).
Imago Mundi – Quaderno 3
Nel 1548 esce a Venezia l’edizione della Geografia in volgare la cui
parte cartografica è curata da Giacomo Gastaldi, è in formato
tascabile, il mappamondo tolemaico è sostituito da due mappamondi
moderni, alle carte tolemaiche sono alterante 34 carte moderne
aggiornate, comincia a svilupparsi l’idea dell’Atlante.
Altre tappe fondamentali della storia della cartografia furono:
• La rivoluzione copernicana (Copernico, 1473-1534)
Copernico (1473-1543) enuncia la teoria eliocentrica:
 la Terra è sferica;
 i pianeti, compresa la Terra, ruotano su orbite circolari
intorno al Sole;
 la Terra è il centro dell'orbita lunare.
Galileo (1564-1642) conferma e dà fondamento scientifico alla tesi
di Copernico.
Kepler (1571-1630), a partire dai dati di Tyge Brahe (1546-1601),
enuncia le leggi del moto dei pianeti.
Fernel (1497-1558) effettua misure di distanza e di latitudine e
determina la circonferenza terrestre con un errore dell'1%.
Picard (1620-1682) ne perfeziona ulteriormente la misura.
• La carta di Mercatore (Gerard Kremer, 1512-1594): proiezione
cilindrica modificata (ad usum navigantium).
Una delle innovazioni principali in ambito cartografico è la
proiezione cilindrica conforme sviluppata dall’olandese Gerard
Kremer detto Mercatore (1512-1594). La caratteristica principale di
tale carta, fondamentale per la navigazione, è che la lossodromia,
cioè la linea che congiunge due punti tagliando con angolo costante
tutti i meridiani che taglia, coincide con una retta. Una rotta di
navigazione tenuta mantenendo costante la direzione rispetto al
73
La forma della Terra e l'immagine del mondo
nord, la tecnica dell’epoca, è rappresentata perciò con una linea
retta.
74
La rotta con direzione costante che veniva seguita mediante le
indicazione della bussola (linea in rosso tracciata sula Terra) veniva
rappresentata con una retta nella proiezione cilindrica conforme.
• Triangolazione, cioè misura di punti distanti mediante una rete,
con misura di tutti gli angoli e una base della rete (Snellius, 15801626)
La triangolazione è un metodo di rilevamento del terreno introdotto
dal geodeta olandese Snellius nel 1617 e consiste nel collegare i
punti scelti sul terreno fino a formare un insieme di triangoli aventi
a due a due un lato in comune. Nell’esecuzione del rilievo è
opportuno che i triangoli abbiano forma più equilatera possibile
perché è più agevole la compensazione e perché si copre una
superficie maggiore rispetto ad un triangolo qualsiasi.
Imago Mundi – Quaderno 3
In realtà già nell’edizione stampata ad Anversa nel 1533 del
“Cosmographicus liber Petri Apiani mathematici”, Reinerus
Gemma Frisius (1508-1555) per la prima volta formulava il
principio della triangolazione come sistema per il corretto
posizionamento dei luoghi sulla superficie terrestre e per la loro
accurata rappresentazione cartografica.
Se i triangoli sono collegati fra loro in modo univoco, cioè da un
triangolo si passa al successivo attraverso uno ed un solo lato
comune, la triangolazione si dice a catena; essa è caratterizzata dalla
notevole estensione in lunghezza e dalle molteplici forme articolate
che può assumere, sempre in
dipendenza dal tipo di rilievo da
effettuare. Se invece da un
triangolo si può accedere agli altri
triangoli attraverso più vie, la
triangolazione si dice a rete. La
triangolazione geodetica è una
tecnica geodetica basata sulla
determinazione, da una base di
stazionamento, di tre valori
fondamentali di un secondo punto
del territorio: distanza in linea
d'aria dalla stazione, angolo
orizzontale, angolo zenitale. La
triangolazione topografica consiste nel collegare idealmente una
serie di punti nel terreno formando una rete di triangoli adiacenti,
per determinare le coordinate planimetriche.
75
La forma della Terra e l'immagine del mondo
La triangolazione e lo sviluppo della base geodetica permisero
ulteriori grandi passi avanti nella cartografia del XVII secolo.
76
Tra il 1500 e il 1600 comincia a svilupparsi la cartografia regionale
ad opera di Giovanni Antonio Magini e dell’olandese Abramo
Ortelius. Le nuove tecniche di riproduzione migliorano ed offrono
prodotti di buona qualità.
Giovanni Antonio Magini (1555 1617) professore di Astronomia
all’Università di Bologna dal 1588, Magini intrattenne rapporti con
astronomi e matematici del suo tempo come Keplero, Tycho Brahe
e con i cartografi quali Ortelio e Mercatore.
Grazie all’amicizia dei Gonzaga ebbe modo di consultare preziosi
materiali cartografici conservati nelle corti di vari principi italiani di
cui si servì per realizzare la sua opera più importante, l’Italia,
Imago Mundi – Quaderno 3
pubblicata nel 1620. l’Opera comprende 61 tavole geografiche e un
commentario di 24 pagine.
Curò una edizione di Tolomeo in latino, pubblicata a Venezia nel
1596, in cui sono contenute 37 tabulae novae commentate da
Magini, ricavate da Mercatore e Ortelio.
La Terra comunque, fino al 1700 circa, era considerata sferica.
Nel 1671 Jean Picard (1620-1687) avanzò per primo l’idea che la
Terra non fosse perfettamente sferica in seguito ad alcune sue
misurazioni. Misurò il tratto di meridiano passante per
l’Osservatorio di Parigi, da Parigi ad Amiens, usando il metodo
della triangolazione, il sistema proposto nel 1533 da Reinerus
Gemma Frisius e sviluppato dall’olandese Willebrord Snell. La
lunghezza di un grado di meridiano a latitudine 49,5° nord calcolata
da Picard fu di 57060 tese (111,210 km). La lunghezza standard era
stata definita confrontando la tesa francese pari a 6 piedi parigini
(1,949 m) con la lunghezza di un pendolo semplice battente i
secondi di 440,5 linee (144 linea a piede). Nel 1671 Picard
comunicava i risultati della sua rilevazione nella Mesure de la Terre.
77
La forma della Terra e l'immagine del mondo
Usando una base più lunga determinò il meridiano (circonferenza
polare) con una precisione mai raggiunta prima: 40.033 km. Una
misura più precisa era impossibile, non potendo quantificare lo
schiacciamento polare.
78
Jean-Felix Picard (1620, 1682) abate e astronomo francese. Fu la prima
persona a misurare la lunghezza della Terra con una ragionevole
accuratezza, tramite un'indagine condotta tra il 1669 ed il 1670; con
l'aiuto del libro Cosmographia di Francesco Maurolico, nel quale il
matematico italiano descrive un metodo per misurare la Terra, e delle
misurazioni di Willebrord Snell, Picard riuscì nell'impresa misurando un
grado di latitudine lungo il Meridiano di Parigi.
Il Meridiano di Parigi fu definito il 21 giugno 1667 dai matematici
dell’Académie Royale des Sciences. In questo giorno di solstizio
d'estate essi tracciarono sul pavimento il meridiano e
successivamente le altre direzioni necessarie alla corretta
installazione del futuro Osservatorio di Parigi. Due obiettivi
servivano a puntare gli strumenti dell’osservatorio:
Imago Mundi – Quaderno 3


L’obiettivo Nord, eretto nel 1736 nel parco (privato) del Moulin
de la Galette a Montmartre;
L’obiettivo Sud, terminato nel 1806 da Antoine Vaudoyer e
posto all’inizio del giardino dell’Osservatorio, e in seguito
spostato nel Parc Montsouris
79
La “mire du Sud”
Pochi mesi prima, il 22 dicembre del 1666, l’Académie Royale des
Sciences aveva tenuto la sua prima seduta. Entrambe le istituzioni
erano state create da Luigi XIV e da Jean Baptiste Colbert (16191683), suo ministro, che avevano voluto accogliere le richieste
avanzate dalla comunità scientifica francese nel quadro di un unico
progetto culturale. L’Osservatorio non divenne però, come era nei
piani di Colbert, un centro di
ricerca nazionale, ma fu consacrato fin dalla sua origine alla sola
attività astronomica.
La forma della Terra e l'immagine del mondo
Nel 1668, mentre i lavori erano ancora in corso, Colbert chiamò in
Francia l’astronomo bolognese, Gian Domenico Cassini (1625–
1712), all’epoca corrispondente dell’Académie Royale des
Sciences.
80
L’italiano giunse a Parigi nel 1669: il suo soggiorno avrebbe dovuto
essere solo temporaneo; viceversa, nonostante gli appelli del papa,
nel 1671 Cassini si insediava nell’Osservatorio, negli appartamenti
a lui destinati e, nel 1673, otteneva la naturalizzazione francese.
Insediatosi nell’Osservatorio parigino, Cassini ebbe a disposizione i
mezzi necessari per dotarlo dei migliori strumenti possibili, tra cui
grandi telescopi di Eustachio Divini (1610-1685) e di Giuseppe
Campani (1635-1715).
Da quel momento e fino al 1793 quattro generazioni di Cassini si
alternarono alla guida dell’Osservatorio di Parigi.
Impossibile riassume in questa sede il contributo di Cassini al
progresso delle conoscenze astronomiche. A lui si devono tra l’altro
la scoperta dei quattro satelliti di Saturno e la divisione dell’anello
che porta il suo nome. Fondamentali furono i suoi studi sulle
comete, sulle macchie solari e sulle eclissi dei satelliti di Giove.
La pubblicazione delle effemeridi calcolate dall’Osservatorio di
Parigi iniziò nel 1679 a opera dell’abate Jean Picard (1620 - 1682),
astronomo, membro dell’Académie Royale des Sciences.
Imago Mundi – Quaderno 3
Gian Domenico Cassini (1625-1712)
L’incontro tra Cassini e Jean Picard gli aprì nuove prospettive ed
egli si impegnò in un progetto ben più vasto: tracciare una linea
meridiana attraverso tutta la Francia da Dunkerque ai Pirenei.
Durante un breve ritorno in Italia, accompagnato dal figlio Jacques,
Cassini ebbe l’opportunità di correggere gli errori che il tempo
aveva recato alla sua meridiana in San Petronio. L’opera pubblicata
nel 1695 è la relazione dei lavori eseguiti dallo scienziato, che fu
coadiuvato dal matematico Domenico Guglielmini (1655-1710),
autore della “Memoria delle operazioni fatte, e delli strumenti
adoprati nell'vltima ristorazione della meridiana”.
“La fin que l’Académie s’est proposée s’en appliquant aux
observations astronomiques – scrive Cassini - à toujours été de les
rapporter à l’avancement de la Géographie & de la Navigation ; &
dans ce dessein rien n’étoit plus utile que de déterminer quelle
partie de la circonférence de la terre répond précisément à un degré
du Ciel”.
81
La forma della Terra e l'immagine del mondo
Tutte le misurazioni dell’arco di meridiano, a partire da quella di
Jean Picard tra Parigi e Amiens, si inquadrano in questo unico
programma. E così pure tutti i viaggi, a cominciare da quelli di
Picard a Uraniborg e di Jean Richer nell’isola di Cayenne, verranno
compiuti per stabilire le differenze di longitudine dei luoghi,
differenza calcolata attraverso le osservazioni delle eclissi dei
satelliti di Giove. (Il problema era sorto dopo che Jean Richer
(1630-1696) aveva constatato nel 1672 nell’isola di Cayenne, dove
era in missione, che la lunghezza del pendolo battente i secondi era
minore che a Parigi).
“Le Roy – continua Cassini – ayant été informé de l’utilité qu’on
avoit tirée de l’observation des Eclipses des Satellites de Jupiter
pour établir les longitudes, ordonna que l’on fit par cette méthode de
nouvelles Cartes de la France”.
82
Già nel 1659 Huygens aveva scoperto l’esistenza della forza
centrifuga dovuta alla rotazione terrestre e aveva notato che agiva
differentemente a seconda della latitudine, massima all’equatore e
nulla ai poli. Come poteva non sortire un effetto sulla forma della
Terra?
Newton (1643–1727) approfondì la questione nei “Philosophiae
naturalis principia matematica” (1687). Nel libro III, intitolato De
mundi systemate, Newton formulò il principio della gravitazione
universale: l’universo è regolato da un unico principio, quello di una
forza attrattiva proporzionale alla massa dei corpi e che diminuisce
secondo il quadrato delle distanze. Sulla base dei dati sperimentali
disponibili, tra i quali quelli di Jean Picard e Jean Richer –
latitudine, lunghezza del pendolo in rapporto alla latitudine e misura
del grado di meridiano - dimostrò che la figura della Terra è quella
Imago Mundi – Quaderno 3
di uno sferoide schiacciato ai poli e rigonfio all’equatore, a causa
del movimento di rotazione e della sua massa.
Osservò che se la Terra non avesse il suo movimento giornaliero,
sarebbe perfettamente sferica a causa dell’uguale gravità in ogni
sua parte. Proprio per la sua rotazione essa prende, a suo parere,
una forma ellissoidale, infatti la soluzione matematica delle
equazioni della gravitazione universale portava a un ellissoide:
solido ottenuto dalla rotazione completa di un'ellisse intorno ad
uno degli assi.
Ogni particella di materia, in quanto dotata di massa, è soggetta a:


forza di gravità diretta al centro di gravità e direttamente
proporzionale al quadrato della distanza da esso;
forza d'inerzia centripeta diretta ortogonalmente all'asse di
rotazione e proporzionale linearmente alla distanza da esso.
83
La forma della Terra e l'immagine del mondo
Newton cercò di calcolare l’appiattimento della Terra
supponendola fluida e omogenea e utilizzando la sua teoria di
attrazione universale.
84
Per i suoi calcoli doveva determinare l’attrazione ai poli e
all’equatore di un ellissoide di rivoluzione. In conclusione trovò un
appiattimento di 1/230. Newton calcolò l’appiattimento terrestre
considerando che due canali partenti uno dal polo e l’altro
dall’equatore e congiungentesi al centro, fossero in equilibrio.
Huygens suppose invece che la superficie fosse in ogni punto
perpendicolare alla somma di forza centrifuga e gravità. Egli
osservò infatti che un
filo a piombo non si
dirigeva verso il centro
della terra ma veniva
deviato dalla forza
centrifuga. Nel 1690
eseguì
un
nuovo
calcolo
dell’appiattimento
e
ottenne un valore di
1/578, meno esatto di
quello di Newton. La differenza fondamentale tra i due studiosi
risiedeva nella concezione di attrazione.
Determinazione dell’appiattimento della Terra attraverso le misure
geodetiche. Lo schiacciamento ai poli è stato aumentato per
renderne più evidente l’effetto. Le verticali sono le normali
all’ellisse e non concorrono al centro della Terra. La lunghezza di
un arco d'ellisse di piccola ampiezza è pressoché uguale a quella
dell’arco di cerchio avente come centro il centro di curvatura
dell’arco. Quindi, per una Terra appiattita, la lunghezza di un arco
Imago Mundi – Quaderno 3
di ampiezza un grado è superiore ad alte latitudini che a basse
latitudini.
Tra astronomia e geografia si sviluppò così una scienza autonoma:
la geodesia.
La necessità di tradurre il grado, unità di misura della longitudine e
della latitudine, in un’unità di misura lineare attraverso la quale
calcolare la dimensione della Terra e definire la scala di riduzione
della rappresentazione cartografica, indusse gli scienziati alla
raccolta di dati sperimentali che fece crollare la certezza consolidata
che il globo terrestre fosse perfettamente sferico. Nella prima metà
del XVIII secolo il mondo scientifico fu attraversato dalle
polemiche tra newtoniani e cartesiani sulla misura e figura del
pianeta, mentre il tentativo di elaborare modelli matematici capaci
di dare un’interpretazione coerente dei dati sperimentali raccolti,
troverà soluzione solo con gli sviluppi successivi della geodesia sia
terrestre sia, attualmente, satellitare.
Christiaan Huygens
85
La forma della Terra e l'immagine del mondo
86
Huygens non accettava l’idea di attrazione universale. Pensava che
la gravità non consistesse in una attrazione fra masse ma in una
reazione al movimento centrifugo. A grandi distanze dalla Terra, le
due leggi di attrazione risultano pressoché identiche ma
avvicinandosi alla superficie terrestre la differenza acquista
importanza e lo si riscontra nei risultati del calcolo
dell’appiattimento. Fu comunque merito di questi due teorici
l’affermazione che la Terra fosse appiattita. Si poneva ora il
problema di verificare sperimentalmente le loro proposizioni. Le
polemiche scoppiate in Francia tra newtoniani e cartesiani sulla
figura della Terra portarono Cassini a fare varie misurazioni. L’idea
fu quella di utilizzare misure di triangolazione geodetica effettuate a
diverse latitudini. Tali lavori di triangolazione, intrapresi a partire
dal 1683 verso nord da Gian Domenico Cassini e verso sud da La
Hire (1640-1718) e interrotti nel 1683 alla morte di Colbert,
ripresero nel 1700. Nel 1701, con l’aiuto del figlio Jacques (16771756), Cassini calcolò che la lunghezza di un arco di meridiano a
distanza di un grado cioè un grado medio tra Parigi e Bourges nel
nord della Francia era più piccola che nel sud: la Terra sarebbe
dunque allungata nel verso dell’asse di rotazione, anziché appiattita.
Tra 1700 e il 1718 Cassini, Maraldi e La Hire prolungarono i lavori
di triangolazione da Dunkerque a Collioure, ai piedi dei Pirenei. A
partire dalle loro misure, che confermarono la diminuzione di
lunghezza di un grado d’arco verso nord, Cassini confermò
l’allungamento della Terra e s’oppose tenacemente alle idee dei
teorici: aveva inizio la disputa sulla forma della Terra.
Morto Gian Domenico nel 1712, Cassini figlio, detto Cassini II,
succeduto al padre nella guida dell’Osservatorio, portando nel 1718
a termine le misurazioni dell’arco di meridiano fatte da Parigi fino
ai Pirenei e da Parigi fino all’estremità settentrionale della Francia,
Imago Mundi – Quaderno 3
trovò che il grado medio di latitudine era di 57097 tese (111,282
km) a sud di Parigi e di 56960 tese (111,015) a nord. Se l’arco di
meridiano diventava più corto andando a nord, Jacques Cassini
vedeva confermata l’ipotesi che la figura della Terra non era quella
di un ellissoide appiattito ai Poli, come sostenuto da Newton e da
Christiaan Huygens (1629-1695), bensì era quella di un ellissoide
allungato.
87
Carte de France corrigée par ordre du Roy sur les
observations de M.rs de l’Académie des Sciences
La carta geografica mostra, rimarcandole con un tratto più scuro e
ombreggiato, le correzioni effettuate, dopo le osservazioni
astronomiche compiute tra il 1671 e il 1681 da Jean Picard,Gabriel
Philippe de La Hire e Gian Domenico Cassini alla carta del
Royaume de France del geografo Guillaume Sanson (1633-1703),
pubblicata nel 1672. Alle p. 429- 430 del tomo dei Mémoires de
l’Académie Royale des Sciences in cui è edita la carta, è stampata
La forma della Terra e l'immagine del mondo
88
una nota che guida nella lettura della carta stessa. Il primo
meridiano è fissato nel meridiano che passa per l’Osservatorio di
Parigi, anziché nel meridiano dell’Isola di Ferro, come in uso nella
cartografia dell’epoca.
Le nuove misurazioni, definite osservando per calcolare la
differenza di longitudine dei luoghi i satelliti di Giove,
comportarono la riduzione di circa un quinto della superficie totale
fino a quel momento attribuita al regno di Francia.
Per togliere i dubbi e far cessare la disputa, l’Académie Royale des
Sciences decise di inviare, su ordine del re, due missioni geodetiche
per misurare gli archi di meridiano a latitudini molto differenti, cosa
che avrebbe dovuto facilitare il confronto: una al Circolo Polare
Artico nel 1736, l’altra all’Equatore, nel 1735 in Perù allo scopo di
misurare l’archi di meridiano. La spedizione polare fu guidata da
Pierre Louis Moreau de Maupertuis (16981759).
Matematico,
astronomo,
biologo,
Maupertuis era un convinto sostenitore di
Newton. Nel 1737 rientrava a Parigi dalla
spedizione in Lapponia: le misurazioni
effettuate
dimostravano
in
maniera
inequivocabile l’appiattimento polare del
globo. Nel 1735 Maupertuis potè proclamare
al ritorno dalla Lapponia che la Terra era
effettivamente schiacciata ai poli, e lo fece
con tanto entusiasmo che Voltaire lo
soprannominò “lo schiacciatore della Terra”.
Pierre Louis Moreau de Mapertuis intraprese nel 1736 in Lapponia una
spedizione che gli consentì di stabilire con esattezza lo schiacciamento
della Terra ai poli, fatto che lo scienziato evidenzia col gesto della mano
sinistra sul mappamondo (Museo di St. Malo).
Imago Mundi – Quaderno 3
Oltre a Maupertuis avevano partecipato all’impresa gli astronomi
Alexis-Claude Clairault (1713-1765), Charles-Étienne-Louis Camus
(1699-1768) e Pierre-Charles Le Monnier (1715-1799), tutti membri
dell’Académie. Al loro arrivo in Svezia gli scienziati francesi
furono affiancati dall’astronomo e fisico Anders Celsius (17011744) – il celebre inventore del termometro centigrado - professore
all’università di Uppsala. Curiosamente Maupertuis portò con se
anche due ragazze finlandesi. Riferì all’Accademia nel 1737 e i suoi
risultati confermavano che la Terra era schiacciata ai Poli. Con la
spedizione, e con l’avventuroso resoconto esposto in Sur la figure
de la Terre (1738), ottenne grande fama, ma ne approfittò per
attaccare pesantemente i suoi oppositori, in particolare Jacques
Cassini, e persino i suoi amici ne rimasero sorpresi.
Nel 1737 lo studio delle misure geodetiche ottenute nella
spedizione in Lapponia indicava chiaramente che la Terra era
appiattita ai poli anziché allungata e l’appiattimento trovato,
inteso come il rapporto tra la differenza tra i semiassi e il semiasse
equatoriale, corrispondeva a 1/178. Era evidente che le misure del
meridiano francese dovevano essere errate. La missione in
Lapponia non chiuse però il dibattito ed i sostenitori dell’idea di
una Terra allungata non vollero sentire ragioni. Nel 1740 Cassini
de Thury e La Caille effettuarono una nuova misurazione della
meridiana francese e confermarono che la lunghezza di un arco di
meridiano aumentava spostandosi verso nord. I risultati riportati
dalla spedizione in Perù, rientrata nel 1744, tolsero gli ultimi
dubbi. Anche le misure geodetiche davano dunque ragione ai
teorici: la Terra è appiattita. Apportarono anche un secondo
risultato, ancora più fondamentale: l’appiattimento determinato,
circa di 1/200, era più vicino al valore calcolato da Newton che a
quello trovato da Huygens, confermando così la concezione di
89
La forma della Terra e l'immagine del mondo
attrazione universale del primo a discapito della teoria del
secondo. Il sistema di Newton era doppiamente vincitore: sia
rispetto a chi parteggiava per l’allungamento terrestre, sia rispetto
alle tesi di Huygens.
90
Carta della Lapponia
Imago Mundi – Quaderno 3
Relazione dell’astronomo e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758)
sulla spedizione incaricata di determinare la figura della Terra,
misurando l’arco di meridiano all’Equatore.
La spedizione, guidata da Louis Godin (1704-1760), da CharlesMarie de La Condamine (1701-1774) e dallo stesso Bouguer era
partita da La Rochelle il 16 maggio 1735 per giungere il 29 maggio
del 1736 a Quito, la località, all’epoca compresa nel territorio
peruviano, scelta per l’inizio delle operazioni. L’impresa si rivelò
subito difficilissima per le enormi difficoltà poste dal terreno
montuoso: spesso le basi di rilevamento delle triangolazioni furono
misurate tra scarpate, mentre gli strumenti usati per le rilevazioni
furono smontati e rimontati in continuazione, cosa che rischiò di
comprometterne il funzionamento, rendendo incerti i dati ottenuti.
Bouguer inoltre si mostrò preoccupato dei possibili effetti
determinati dall’attrazione gravitazionale delle montagne. A tutto
ciò si aggiunse il fatto che i tre scienziati furono ben presto in
disaccordo sui procedimenti rispettivamente usati e i loro rapporti
personali si deteriorarono fino alla rottura. Rientrato per primo in
patria nel giugno del 1744, Bouguer rese conto delle sue operazioni
all’Académie Royale e cinque anni più tardi pubblicò l’opera
descritta. Anche La Condamine rese pubblici i suoi rilevamenti e tra
i due iniziò una penosa polemica, mentre Godin rientrato per ultimo,
non scrisse nessuna relazione ufficiale. In ogni caso pur essendo le
misure di grado prese all’equatore da ciascuno dei tre scienziati
diverse di loro, esse presentano limiti di oscillazione entro un
intervallo massimo di 60 tese, cioè di circa 117 m.
Solo dopo Brouguer, La Condamine, Boscovich e Maire, che lo
quantificarono, Bessel riuscì (1841) a fissare la misura del
semiasse maggiore terrestre a 6.376,83 km e del semiasse minore
a 6.355,10 km. Altre misurazioni furono effettuate in seguito e
91
La forma della Terra e l'immagine del mondo
portarono alla determinazione sempre più precisa dell’indice di
appiattimento terrestre e della lunghezza del meridiano terrestre
ma solo con l'impiego di sonde spaziali si è potuto affinare ancora
queste misure. Oggi, il meridiano "medio" è lungo 40.009,152
km, il semiasse maggiore (Nord) 6.378,388 km e quello minore
(Sud) 6.356,912 km. Il valore di appiattimento ritenuto
attualmente valido è 1/298,25.
Alla scuola francese si deve il merito del definitivo passaggio ad
una cartografia scientifica ed ufficiale, non più realizzata da
singoli studiosi, ma dagli stati. Dal 1625 al 1845 i Cassini
portarono a termine la cartografia della Francia compilando 182
fogli in scala 1:86400.
92
L’ultima misurazione settecentesca dell’arco di meridiano di Parigi,
da Dunkerque a Barcellona
fu compiuta nel pieno della
Rivoluzione francese da Pierre-François-André Méchain (17441804) e Jean-Baptiste-Joseph Delambre (1749-1822). Essa servì
come base per determinare di un nuovo sistema di misurazione,
quello metrico decimale.
La creazione di un sistema di misurazione standardizzato e
condiviso da tutti era da tempo negli auspici della comunità
scientifica. La Rivoluzione lo concretizzò.
Nel 1791 l’Académie Royale des Sciences nominò una Commission
des poids et des mésures, composta da Jean-Charles Borda (17331799), Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat de Condorcet (17431794), Joseph Louis Lagrange (1736 – 1813), Pierre-Simon de
Laplace (1749 - 1827) e Gaspard Monge (1746-1818). Il 28
Germinale 1795 la Convenzione della Francia rivoluzionaria,
introducendo il sistema metrico decimale, stabilì quale unità di
lunghezza - detta metro - la decimilionesima parte del quadrante
Imago Mundi – Quaderno 3
meridiano della Terra: il valore provvisoriamente accettato fu poi
leggermente modificato in base a successive misure del grado di
meridiano (fino ad allora misurato in tese) e nel 1799 la
Commission des poids et des mésures in base ai calcoli elaborati sui
risultati dell’impresa, fece costruire il regolo in platino denominato
successivamente metro legale con decreto del 24 aprile 1799 in due
esemplari, uno per l'Archivio ed uno per l'Osservatorio. L’impresa
si concluse, dopo mille vicissitudini, solo nel 1799. E’ noto tuttavia
l'errore compiuto da Méchain nelle sue rilevazioni, un errore di 3”
sulla latitudine di Barcellona. Più tardi il 26 aprile del 1803
Méchain riuscì a ripartire per una nuova missione finalizzata al
prolungamento dell’arco di meridiano da Barcellona fino alle
Baleari, ma morì di febbre gialla nel 1804 e il suo lavoro fu portato
a termine più tardi da Jean-Baptiste Biot.
L'introduzione del sistema metrico decimale fu decretata mentre
erano in corso grandi operazioni di triangolazione, condotte in gran
parte da Méchain e Delambre, che collegavano la Francia
continentale con l'Inghilterra, la Spagna, le Baleari, la Corsica, la
Toscana: queste operazioni giunsero a conclusione nei primi anni
dell' 800, ma, come dice Wolf nell'opera già citata, la pazienza degli
uomini della rivoluzione non poté sopportare l'attesa.
Fu tuttavia solo verso la metà dell'Ottocento che il sistema metrico
decimale venne adottato prima in Francia e poi nelle altre nazioni.
Negli ultimi decenni del Settecento gli strumenti, le tecniche di
misurazione e la caratteristica passione dell’età dei lumi per la
raccolta dei dati resero disponibile una grande quantità
d’informazioni sistematiche sul mondo, che i geografi iniziarono a
integrare in una descrizione organica del globo terrestre.
93
La forma della Terra e l'immagine del mondo
II 14 ottobre 1960 l'XI Coriférénce Générale des Poids et des
Mesures ha stabilito come campione operativo la lunghezza d'onda
nel vuoto della riga rossa del kripton 86, cioè dell'isotopo del
kripton avente numero di massa 86, il metro viene definito come
1.650.763,73 volte tale lunghezza. Siccome le misure di massima
precisione sono quelle interferenziali, basate sull'interferenza delle
onde elettromagnetiche, si è ritenuto infatti opportuno assumere
come campione una lunghezza d'onda. In pratica il valore del metro
non cambia, però il nuovo campione può essere trasferito,
interferometricamente, con la precisione di un milionesimo di
milionesimo di millimetro.
94
Nel 1799 Pierre Simon Laplace (1749-1827) dimostrò nel “Traitè de
mécanique célèste” che l’ellissoide non corrisponde esattamente alla
forma reale della terra, che ha invece una forma irregolare. Tale
scoperta fu sviluppata in seguito definendo una superficie di
riferimento costituita dalla superficie libera dei mari e dal suo
prolungamento ideale sotto i continenti. Nel 1849 George Gabriel
Stokes (1819-1903) dimostrò la possibilità di determinare la forma
di tale superficie a partire da sole misurazioni di gravità. Essa fu
chiamata geoide nel 1873 da Johann Benedict Listing (1808-1882) e
da allora l’ellissoide di rotazione che meglio vi si adatta per
parametri dimensionali e per orientamento fu considerata solo una
superficie di riferimento.
Imago Mundi – Quaderno 3
Un modello di geoide
Nel 1841 Federico Bessel (1784-1846), concludendo l'elaborazione
di tutte le misure del grado effettuate fino ad allora, fissò l'ellissoide
di rotazione terrestre dando i valori 6376,83 km per il semiasse
maggiore e 6355,10 per quello minore (i valori attualmente adottati
per l'ellissoide internazionale, o ellissoide di Hayford, sono
rispettivamente 6378,388 e 6356,912 con una circonferenza
meridiana di 40009,152 ed una circonferenza equatoriale di
40076,592 km). Nonostante le successive determinazioni della
lunghezza della circonferenza terrestre, il valore del metro è stato
lasciato invariato, restando definito come la lunghezza del campione
conservato a Parigi.
Fiedrich Wilhelm Bessel
Fino ad oggi gli studi geodetici si sono concentrati sulla
determinazione del geoide e dell’ellissoide che meglio vi si adatta,
95
La forma della Terra e l'immagine del mondo
localmente o globalmente. Dal 1800 ad oggi sono stati proposti
numerosi ellissoidi. Uno degli ellissoidi più adottati è quello
misurato da Hayford nel 1909, adottato come ellissoide
internazionale al Congresso geodetico di Madrid nel 1924. Tale
ellissoide è stato utilizzato con differenze di orientamento in diversi
sistemi geodetici, tra i quali quello italiano del 1940 e quello medio
europeo del 1950.
96
Con le conoscenze ed i mezzi del 1984 è stato calcolato l’ellissoide
WGS84 (World Geodetic System 1984), con un orientamento
medio globale sui parametri del geoide misurato allora. Si tratta del
sistema di riferimento che si sta imponendo come un standard
mondiale, anche grazie alla diffusione del sistema GPS.
Attualmente la geodesia oltre che dei tradizionali strumenti per la
triangolazione sul terreno si basa anche sull’aerofotogrammetria
(l’interpretazione di foto aeree opportunamente rettificate ed
Imago Mundi – Quaderno 3
inquadrate e su accurate misurazioni rese possibili dalle tecnologie
satellitari.
L’epoca dei lumi produsse, oltre agli avanzamenti nel campo della
geodesia, anche significativi progressi nella rappresentazione
cartografica, migliorata con l’introduzione
nel 1728 delle curve di livello per la rappresentazione altimetrica
del terreno in luogo delle tecniche di ombreggiatura e della
rappresentazione a mucchi di talpa precedentemente utilizzate.
Nel XIX secolo e nel XX ebbero infine impulso decisivo le tecniche
di proiezione sul supporto piano costituito dalla carta geografica dei
dati derivanti dalla superficie curva dell’ellissoide. Furono
sviluppate proiezioni con proprietà geometriche diverse che le
rendono adatte ad applicazioni differenti. Tra tutte è da ricordare,
dopo la già citata proiezione cilindrica di Mercatore, la proiezione
di Gauss (1777-1855), cheè alla base di una delle più utilizzate
rappresentazioni della cartografia moderna (UTM) e sue
applicazioni sono anche gli altri i sistemi Gauss-Boaga e GaussKruger.
97
Imago Mundi – Quaderno 3
2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra figura
sferica
1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807
La superficie della terra è coperta di montagne e di rocce assai
disuguali, le quali formano sì enormi masse, che appena osiamo
guardare nelle loro cavità e precipizj. Nulla di meno tutte queste
disuguaglianze sono trascurabili in confronto della grandezza del
globo. La terra più alta è l’America; quivi s’incontrano le più alte
creste delle montagne. La punta più alta di esse è il Chimborasso nel
Perù, il quale s’innalza 3217 tese parigine sulla superficie del mare.
Il massimo circuito della terra importa 20,557,645 tese; in
conseguenza la montagna più alta è la 6390 parte dell’equatore. Gli
ordinarj grani d’arena per lo più hanno la grossezza di una mezza
linea, e questa presa sei mila volte dà tre mila linee, cioè 250 pollici,
|23| o sia 21 piedi meno due pollici; ed un globo di 21 piedi di
circuito ha per noi una notabile grandezza. Or un grano di arena
assai insignificante ha con questo globo la stessa correlazione, che
la montagna più alta colla terra; e siccome niuno direbbe, che questo
globo avesse perduta la sua rotondità per esservesi attaccati alcuni
granelli di arena, così niuno si avviserà di mettere in dubbio la
rotondità della terra per le sue montagne.
Intanto, malgrado che le montagne influiscono sì poco nella
determinazione della figura sì poco nella determinazione della
figura della terra, pure da alcune esperienze e da molte esatte
osservazioni è risultato doversi attribuire alla terra una forma
diversa dalla sferica, la quale ancora non conosciamo abbastanza,
benchè la questione se essa sia una sferoide compressa, oppur ovale
da lungo tempo sia stata decisa.
L’astronomo Richer, che dall’accademia delle scienze di Parigi fu
spedito nel 1671 all’isola Cayenne nell’America meridionale, la
98
Imago Mundi – Quaderno 3
quale giace a cinque gradi verso il Nord dall’equatore, per farvi
delle osservazioni astronomiche, trovò, che il suo orologio
esattissimo a pendolo preso con se a Parigi, |24| restava quivi
giornalmente 2 minuti 28 secondi indietro, perlocchè dovette
accorciare il pendolo di 1 ¼ di linea, per fargli battere i secondi.
Questa esperienza confermata da un osservazione di dieci mesi, e
riportata in Francia, suscitò l’attenzione e l’esame di tutti gli
astronomi e filosofi.[1] Halley inglese osservò nel 1675 sull’isola di
sant’Elena il medesimo fenomeno; ed altri osservarono il
movimento accelerato del pendolo sotto i poli, e la prolungazione
necessaria di esso per farlo battere i secondi. Un pendolo a secondi
in Quito sotto il 0,° 25 di latitudine meridionale è lungo 438 82/100
linee, a Cayenne sotto il 5°, di latitudine settentrionale 439 19/16, a
Parigi di 48° 50’ di latitudine 440 17/30, a Pelle di 66° 47’, di
latitudine 441 17/360.
Da ciò si vede chiaramente, che sotto |25| l’equatore i pesi perdono
della loro gravità, e sotto il polo ne acquistano; ovvero che la forza
di attrazione, come cagione di qualunque gravità, opera meno nella
vicinanza dell’equatore che verso i Poli. Di ciò presto se ne
comprese la ragione; giacchè per mezzo della rotazione della terra,
nella quale i punti del Polo stanno fermi, le regioni vicine a questi
fanno solamente in 24 ore piccolissimi giri, mentre i punti sotto
l’equatore fanno un giro di 5400 miglia geogr., e quindi deve
conchiudersi, che l’attrazione sotto i Poli operi più liberamente e
senza ostacolo, e che sotto l’equatore si diminuisca per mezzo della
forza centrifuga cagionata da una maggior rotazione. Huygens ad
Haag in Olanda, e Newton subito ne conclusero, che la terra non
poteva essere un globo perfetto, ma che era innalzata sotto
l’equatore, ed un poco compressa sotto i due Poli; poichè a principio
nello stato di una fluidità, la forza centrifuga nata sotto l’equatore
per mezzo della rotazione richiedeva, che quivi le parti si
99
Deviamento della figura della terra dalla figura sferica
100
estendessero o s’innalzassero, allontanandosi dal centro, cagionando
in tal guisa un concorso di materia proveniente dalla parte de’ Poli.
Da ciò risultò per conseguenza |26| una figura il di cui diametro è
maggiore nell’equatore che nell’asse, o sia una sferoide compressa.
Il calcolo però sulla proporzione dell’asse a confronto del diametro
dell’equatore per ambedue riuscì differente. Huygens lo ritrovò
come 577 a 578, Newton come 229 a 230, cioè quello fissò la
differenza a un miglio e mezzo, questo a quattro miglia. Le loro
conclusioni furono ancora confermate con una scoperta di Cassini
nel 1691. Questi trovò, che Giove il quale in 9 ore 51 minuti gira
intorno al suo asse, ha una figura piatta, e che il diametro
dell’equatore sia di un quindicesimo maggiore di quello dell’asse.
Quindi se ne concluse, che quello che in lui per mezzo di maggiore
celerità di rotazione era stato cagionato in misura maggiore, dovesse
in proporzione aver luogo anche nella terra.
Ma Cassini dubitò di queste conclusioni fondate in parte sopra le
sue proprie scoperte, e piuttosto attribuì alla terra una figura elittica
ovale, sostenendo che nella determinazione della figura della terra
non si dovesse aver riguardo alle speculazioni e conclusioni a priori,
ma bensì alle vere misure; e queste parevano decidere intieramente
per la figura |27| elittica suddetta. Picard nel 1669 aveva misurato
presso Parigi una base di 5663 tese colla massima esattezza, aveva
sempre unito un triangolo all’altro fino ad Amiens, ed aveva trovato
per mezzo del calcolo trigonometrico di essi la distanza de’ circoli
paralleli di Amiens e del punto più meridionale, di 78907 tese: ma
la differenza della latitudine per mezzo di osservazioni
astronomiche era 1°, 22’, 58’’, un grado importava 57057 tese.
Cominciando dall’anno 1683 misurò Cassini, unito ad altri celebri
geometri, il meridiano di Parigi, principiando dall’osservatorio fino
a Callioure nel Roussillon. Ne risultò la distanza di 360648 tese; e
secondo la riduzione al livello del mare, di 360614 tese: e siccome
Imago Mundi – Quaderno 3
la differenza della latitudine importava 6,° 18’, 57’’, ne risultarono
per un grado 57097 tese; dunque 37 tese di più di quello che aveva
trovato Picard. Nell’anno 1718 fu misurato il meridiano verso
Dunkerke e nella distanza dei due punti importò 125454 tese, e la
differenza della latitudine 2,° 11,’ 52’’ ciocchè diede 56960 tese per
la grandezza di un grado, o 100 tese di meno di ciò che Picard aveva
trovato. I gradi verso il Polo |28| diventarono in conseguenza più
corti; quelli verso il mezzo giorno più lunghi. Dunque dovevano
essere più curvi per descrivere un arco maggiore verso il Polo, e più
piatti verso l’equatore. Cassini perciò avendo per fondamento una
base esattamente misurata (cioè di 8°, 40’, 44’’) maggiore di
qualunque altra usata da’ matematici sino a quel tempo, tenne per
decisa la figura ovale della terra, e credette con tutto il diritto e
sicurezza di poter determinare la figura della terra, ed il suo
deviamento della figura sferica. Egli calcolò il primo grado del
meridiano cominciando
dall’Equatore a
58019 tese
il medio, o quarantesimo quinto
57130 id.
il novantesimo, o ultimo del quadrante 56224 id.
la periferia dell’intiero meridiano
20.563.100 id.
la periferia dell’equatore
20.454.274 id.
l’asse terrestre
6.579.368 id.
il diametro del meridiano
6.510.796 id.
di modo che l’asse risultava più lungo del diametro equatoriale per
6572 tese, o una novantesima quinta parte della sua lunghezza, cioè
21 miglia geografiche.
Cassini replicò poi più volte le sue |29| misure, cangiò i luoghi, gli
stromenti, e il modo di misurare, ma trovò sempre il medesimo
101
Deviamento della figura della terra dalla figura sferica
102
risultato, cioè, che la terra intorno l’equatore sia piatta e bassa, e
sotto i Poli più curva e voltata, ed in conseguenza abbia la figura di
un uovo.
Le misure erano troppo precise, i calcoli troppo esatti, perchè si
fosse potuto contraddirvi. Ciò non ostante ragioni fisiche
richiedevano intieramente l’opposto, cioè, che si supponesse la terra
verso l’equatore più alta e curva, e verso i poli più bassa e piana. Si
dispose dunque un doppio viaggio per misurare i gradi de’
meridiani: Condamine, Godin, e Bouguer partirono per Quito città
appartenente al Perù nell’America meridionale, la quale ha
solamente 13’ 17’’, cioè quasi nessuna latitudine settentrionale; e
siccome ella è in territorio spagnuolo, partì in loro compagnia
l’abile Antonio de Ulloa. Nell’anno seguente andarono Maupertuis,
Clairaut, Camus e le Monnier a Tornea per misurare il 66° del
meridiano che taglia il circolo polare. Questi ultimi finirono più
presto il loro lavoro, e ritornarono nell’agosto del 1737 a Parigi.
Essi trovarono il grado di 57322 tese; |30| dunque 365 tese più
lungo di quello che misurò Picard fra Parigi ed Amiens, 361 tese
maggiore del grado di mezzo della distanza de’ paralleli di
Colliauro e Dunkerke, e quasi 1000 tese maggiore di quello che
dovrebbe essere, secondo il calcolo di Cassini. È però facile, che in
questa misura sia corso un errore. Melanderhielm nel 1803 ha
compita una misura ripetuta, e scrive a la Lunde, che Svanberg
unito a tre altri astronomi Svedesi aveva trovato questo grado sotto
una latitudine di 60,° 20’, di 57,199 tese, cosa che dà, per lo
schiacciamento della terra 1/313, che corrisponde meglio alle altre
proporzioni, e dimostra ancora che la figura della terra non sia tanto
irregolare.[2] La società meridionale che fece le sue misure di tre
gradi nelle alte pianure di Quito, e che dovette sormontare maggiori
ostacoli, ritornò non prima del 1744. Essa trovò i tre gradi ciascuno
di 56753 tese, e perciò 692 tese minore che il medio francese, 25
Imago Mundi – Quaderno 3
tese |31| maggiore di quello che se ne aspettava Maupertuis, e
maggiore di 1370 tese del calcolo di Cassini. Il calcolo e la misura
di ambedue le società, delle quali la meridionale era però più esatta,
convenivano in ciò, che i gradi della terra siano maggiori sotto il
circolo polare e minori sotto l’equatore, e che in conseguenza la
terra sia piatta sotto i poli, ed elevata sotto l’equatore. Ma nel
determinare la deviazione della terra, dalla figura sferica in qualche
cosa differirono. Ciò importò.
Secondo Maupertuis
L'asse
6.525.600 tese
il diametro dell’equatore 6562.480 id.
la differenza
36.380 id.
la proporzione
177.3.173.33 id.
Secondo Bouguer
L’asse
6.525.377 id.
il diametro dell’equatore 6562.026 id.
la differenza
36649 id.
la proporzione
178.179 id.
Ma ancora non si era contenti di queste misure. Cassini, e l’abbate
de la Caille replicarono la misura del grado fra Parigi ed Amiens, e
lo trovarono 17 tese maggiori di prima. Il nominato de la Caille
misurò poi nel 1751 al Capo di Buona Speranza il |32| 33° di
latitudine meridionale, e lo trovò di 57037 tese, di modo che quivi la
terra doveva essere più piatta che sotto il Polo settentrionale.
103
Deviamento della figura della terra dalla figura sferica
Boscowich misurò nel 1755 il 43° fra Roma e Rimini; Beccaria nel
1768 il 44° nel Piemonte; Liesganig nel 1770 alcuni gradi del
meridiano di Vienna nell’Austria ed in Ungheria. Nella Pensilvania
misurarono Mason, e Dixon il 39’’. Tutti questi gradi differirono
l’una dall’altro, e non corrisposero alla longitudine destinata in caso
della disuguaglianza supposta da Newton, o da Maupartuis, e da
Bauguer.
Dalla seguente tavola si vede il risultato
delle loro misure.
Latitudine media del grado
misurato.
104
Tese.
Nome de’
misuratori.
0° 0’ Lat. mer.
56753
sec.
Bauguer e Condam.
33° 18’.......................................
59037 ”
De la Caille
39° 12’ Lat. sett.
56888 ”
Mason e Dixon
43° 0’.......................................
56979 ”
Boscowik e Maire
44° 44’.......................................
57069 ”
Beccaria
45° 0’.......................................
57028 ”
De Thury
45° 57’.......................................
56881 ”
Liesganig
48° 48’.......................................
57086 ”
Liesganig
49° 23’.......................................
57069 ”
Cassini
66° 20’.......................................
57422 ”
Maupertuis, Camus.
|33|
Pare dunque, che niun meridiano della terra sia consimile
all’altro, e che la parte meridionale non sia intieramente formata
come la settentrionale; che la terra in generale non abbia una forma
geometrica regolare, la quale la natura non ama, e che noi in nessun
luogo di essa rincontriamo.
Colla ipotesi di Bouguer si accordano i tre gradi del Perù, di Parigi e
della Lapponia. Egli non dà la forma elittica ai meridiani come
Imago Mundi – Quaderno 3
Newton, e fissa benanche differentemente la proporzione del
diametro coll’asse. Newton veramente l’aveva posta come 229: 230;
ma Bouguer la stabilì di 178: 179, o in modo, che egli trovò il
diametro dell’equatore di 36649 tese maggiore dell’asse, cioè
(contando 3808 tese per un miglio geografico) maggiore di 10
miglia. Secondo le più recenti osservazioni lo schiacciamento è
uguale alla trecento trentaquattresima parte del diametro
equatoriale, in modo che il diametro non importa ancora 6 miglia
geografiche.
105
Deviamento della figura della terra dalla figura sferica
La seguente Tavola dimostra le lunghezze dei gradi secondo
Newton e Bouguer.
Longitudine secondo
Gradi di latitudine
106
0......
NEWTON BOUGUER
56637......
56753
10......
56659......
56754
20......
56724......
56766
30......
56823......
56813
40......
56945......
56917
50......
57074......
57083
60......
57196......
57292
70......
57295......
57501
80......
57360......
57655
90......
57382......
57712
1. ↑ |24| Ved. Riches recueil d’observations faites en plusieurs
voyages. Paris 1693.
2. ↑ |30| Ved. Intelligezblatt der allgem Litterat. zeitung. del
1803 num. 115 pag. 948.
Imago Mundi – Quaderno 3
3. Allegato B: La geografia scientifica
1. Snellius e la prima triangolazione
Quando Keplero scoprì l'ellitticità delle orbite, risolvendo il
problema millenario dei moti planetari, per quanto riguarda le
dimensioni della Terra si era rimasti ancora alla misura effettuata
dagli Arabi 8 secoli prima e cioè a 43 mila chilometri; valore
tuttavia accettato con grande diffidenza per la coesistenza dell'altra
determinazione fatta da Posidonio - 37800 km - avallata dall'autorità
di Tolomeo. Ma per una di quelle concomitanze non certamente
casuali che s'incontrano così frequentemente nella storia della
scienza, quando Cassini e Richer effettuarono la prima
determinazione moderna della parallasse solare, era stata portata a
compimento appena da un anno la prima misura, di precisione
moderna, della circonferenza terrestre.
L'era del metodo moderno, quello delle triangolazioni, era stata già
inaugurata da Snellius, in Olanda, nel 1614. Non si tratta,
nell'essenziale, che del vecchio metodo di Eratostene, l'innovazione
riguardando solo la misura della lunghezza dell'arco di meridiano
che viene ottenuta con un procedimento detto appunto di
triangolazione; però tale procedimento consente una precisione che
è rimasta insuperata fino ai giorni nostri. Consiste nel classico
metodo trigonometrico di misura delle distanze applicato in
ripetizione: partendo da una base effettivamente misurata sul terreno
con un'asta, mediante misure di angoli si ottiene la misura di una
seconda base assai più lunga della prima; da questa se ne ottiene una
terza, e così via fino ad ottenere per mezzo di sole misure
goniometriche la lunghezza di un arco di meridiano di sufficiente
ampiezza. Willebrord Snellius (1580-1626) mediante un'asta
metallica di 3,768 metri (1 ruta olandese) misurò nei pressi di Leida
una base di 328 metri; traguardando poi dagli estremi a e b di questa
107
La geografia scientifica
base, mediante un quadrante di ottone di 60 cm di raggio, due punti
di riferimento c e d sul terreno e risolvendo i due triangoli così
ottenuti ricavò la distanza tra c e d.
108
Schema parziali della triangolazione - la prima nella storia - effettuata da
Snellius nei Paesi Bassi per misurare la lunghezza di un arco di
meridiano.
Dagli estremi di questa base secondaria era possibile vedere sia la
torre della cattedrale di Leida che il campanile del villaggio di
Zoeterwoude e quindi, ripetendo il procedimento, poté ottenere la
distanza fra queste due località: da tale nuova base ottenne la
distanza fra Leida e L'Aia (15800 metri) e così proseguendo
attraverso i polders olandesi sviluppò una rete di triangoli
congiungente Alkmaar a nord del paese con Bergen a sud ottenendo
per la distanza fra queste due città 34597 rute. Infine, poiché
dall'ombra di alte torri a mezzogiorno vero la linea Alkmaar-Bergen
apparve fare un angolo di 11°16' col meridiano, la lunghezza
Imago Mundi – Quaderno 3
dell'arco di meridiano compreso fra il parallelo di Alkmaar e quello
di Bergen risultò di 33930 rute, pari a 127,85 km. L'osservazione
dell'altezza della Stella Polare dette per la differenza di latitudine
1°11',5 ricavandosi quindi per il grado di meridiano la lunghezza di
107,29 km e per la circonferenza meridiana della Terra 38600 km.
Il valore ottenuto non è più vicino al vero di quello dei Greci, ma
l'impresa di Snellius ebbe grande importanza per il "rodaggio" del
metodo. Il risultato fu pubblicato nel 1617 sotto il titolo
"Eratosthenes batavus de Terrae vera quanitate"; dopo la
pubblicazione, Snellius rilevò alcuni errori di misura e di calcolo e
si mise all'opera per correggerli, ma purtroppo morì prima di portare
a compimento il lavoro di revisione. L'elaborazione delle nuove
misure fu completata solo un secolo più tardi e risultò che la
revisione di Snellius portava la circonferenza terrestre a 40370 km,
un risultato veramente ammirevole per gli strumenti di cui
disponeva Snellius e che mostra la precisione di cui il metodo è
suscettibile.
2. La catena di Riccardo Norwood
Nel 1633 Riccardo Norwood, professore di matematica e di nautica
a Londra, tentò la misura col vecchio metodo degli Arabi e cioè
ricorrendo invece che alla triangolazione alla misura diretta
dell'arco di meridiano sul terreno. Con una catena di 30 metri
misurò la distanza fra Londra e York, città situate quasi sullo stesso
meridiano; seguì la strada tenendo conto mediante la bussola delle
varie direzioni, nonché della pendenza dei tratti non orizzontali,
trovando per l'arco di meridiano la lunghezza di 275 km. La
differenza di latitudine, stabilita osservando l'altezza del Sole a
mezzogiorno, prima a Londra, e poi esattamente due anni dopo alla
109
La geografia scientifica
stessa data a York, risultò 2° 28' ottenendosi quindi per la
circonferenza terrestre la lunghezza di 40200 km: un ottimo valore.
3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi
110
Nel 1669 Jean Picard (1620-1682) dette inizio all'era delle grandi
triangolazioni francesi. Dall'esame del lavoro di Snellius aveva
tratto il convincimento che bisognava partire da una base misurata
sul terreno molto più lunga: cercò per questo un tratto di strada
diritta e piana sufficientemente lunga e lo trovò fra Villejuive e
Juvisy, a sud di Parigi. Misurò questo tratto mediante due aste di
legno di 390 cm (due tese francesi) che riportava alternativamente
lungo una corda in tensione: due misure successive fornirono
11041,9 e 11043,0 metri, con un'incertezza quindi solamente dello
0,1 per mille. Su questa base sviluppò una vasta rete di triangoli
traguardando torri e campanili mediante un quadrante con due
cannocchiali, uno fisso e l'altro girevole, muniti di crocicchio di fili
al fuoco dell'obiettivo e dell'oculare, dispositivo questo introdotto
nell'Astronomia vent'anni prima da Gascoigne. Il lato più lungo
osservato, quello che univa Malvoisine a Mareuil, misurava 62,199
km e le mire vennero traguardate di notte accendendo in loro
prossimità grandi fuochi. Lo stesso lato, ottenuto indirettamente
dalla combinazione di altri triangoli, risultò 62,192 km: una
differenza di soli 7 metri. Attraverso le successive misure
goniometriche era stata quindi mantenuta la precisione dello 0,1 per
mille con la quale era stata misurata la base primaria: risultato
raggiunto con le solite tre regole auree dell'osservatore e dello
sperimentatore: perfezione di strumenti, estrema diligenza
nell'operare, grande sagacia nell'individuare e valutare le fonti di
errore.
Imago Mundi – Quaderno 3
Ogni volta che traguardando una mira dagli estremi di un lato si
misuravano i due angoli alla base di un triangolo, si aveva cura
anche di traguardare viceversa dalla mira i due estremi in modo da
misurare pure l'angolo al vertice: misura questa superflua dal punto
di vista della pura geometria, ma utile operativamente per verificare
se la somma dei tre angoli è esattamente 180°. Di solito Picard
trovava una differenza di pochi secondi d'arco che ripartiva fra i tre
angoli, in ugual misura oppure proporzionalmente all'incertezza
stimata, se qualche angolo era ritenuto meno "sicuro" degli altri (per
minore visibilità atmosferica, per la natura della mira, ecc.).
Al termine delle operazioni Picard aveva stabilito una grande
poligonale di tre lati (a rigore tre archi di cerchio massimo) di
lunghezza nota con grande precisione ed avente gli estremi in
Sourdon, a nord, ed in Malvoisine, a sud. L'orientamento di ciascun
lato venne stabilito mediante osservazioni della Stella Polare
(tenendo conto ovviamente della distanza della stella dal polo
celeste) e fu così possibile "proiettare" ciascun lato sulla linea
meridiana ed ottenere la lunghezza dell'arco di meridiano compreso
fra i paralleli di Sourdon e di Malvoisine che risultò 68431 tese, pari
a 133,362 km. L'ampiezza di quest'arco, cioè la differenza di
latitudine fra queste due località, fu determinata misurando a
Sourdon ed a Malvoisine, con un settore zenitale avente la
precisione di 3", la distanza zenitale della stella delta di Cassiopea:
l'arco risultò di 1°11'57" ottenendosi quindi per la lunghezza di 1° di
meridiano 111,212 km.
Un'estensione della rete di triangoli fino ad Amiens dette come
valore del grado 111,196 km e ciò da un'idea dell'attendibilità dei
risultati. Dalla media di questi valori si ottenne la lunghezza di
40033 km per la circonferenza meridiana della Terra, con
l'incertezza di 4 km e cioè dell'l su 10.000. In realtà però l'errore
nella circonferenza era alquanto maggiore di quanto si poteva
111
La geografia scientifica
112
dedurre dalla precisione della misura del grado, e ciò per il fatto che
la Terra non è una sfera ma piuttosto un ellissoide.
La relazione su questa determinazione fu pubblicata nel 1671 in una
memoria intitolata "Mesure de la Terre". Cosicché, giusto un anno
prima che si desse inizio, con la spedizione a Cayenna, alle moderne
misure della parallasse solare, si era giunti ad avere un'informazione
sulla dimensione della Terra adeguata alle esigenze delle misure
astronomiche che sarebbero state effettuate nei decenni seguenti.
Richer durante il suo soggiorno a Cayenna nel 1672-73 aveva
constatato che un pendolo esattamente regolato a Parigi per battere
il secondo, laggiù ritardava di 2 minuti in 24 ore e cioè che il
pendolo battente il secondo era sensibilmente più corto a Cayenna
che a Parigi. Huyghens e Newton calcolarono poi che la Terra per
effetto della rotazione doveva essere un ellissoide con
schiacciamento compreso fra 1/280 e 1/580 a seconda che si
accettassero rispettivamente le ipotesi estreme di un globo di densità
uniforme oppure crescente da zero in superficie ad infinito al centro.
Il ritardo del pendolo osservato da Richer era quindi da attribuire
all'effetto combinato della maggiore forza centrifuga e della
maggiore distanza dal centro del globo. Comincia così in questi anni
a prendere corpo un campo di ricerche autonomo rispetto sia
all'Astronomia che alla Geografia, ai cui fini erano fino ad allora
esclusivamente volte le indagini sulla dimensione della Terra, e che
ricevette il nome di Geodesia.
4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750
Fra le operazioni geodetiche ricorderemo ancora la triangolazione
attraverso lo Stato Pontificio effettuata nel 1750 dai gesuiti Ruggero
Boscovich e Cristoforo Maire per incarico di Papa Benedetto XIV
(il famoso cardinale Lambertini di Bologna). La relazione fu data
Imago Mundi – Quaderno 3
alle stampe nel 1755 sotto il titolo "De litteraria expeditione per
pontificiam ditionem ad dimetiendos duos meridiani gradus et
corrigendam mappam geographicam".
Misurata con un'asta di legno una base di 11,767 km lungo il litorale
presso Rimini, da questa fu sviluppata per vette di montagne una
successione di triangoli congiungente Rimini con Roma (cupola di
S. Pietro): l'arco di meridiano compreso fra i paralleli estremi risultò
di 161253,6 passi romani (equivalenti a circa 240 km), mentre
l'ampiezza di tale arco, stabilita con l'osservazione delle stelle
del Cigno e
dell'Orsa Maggiore, risultò 2°9'45": si ebbe quindi
per un grado la lunghezza 74568,1 passi, pari a 111,048 km, valore
che per la latitudine di 43° era in buon accordo con la figura
ellissoidica stabilita allora da Bouguer
Bibliografia e sitografia
113
http://www.vialattea.net/eratostene/tempesti/bessel.html
Carl B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 2001
A. Schiavi, Vademecum cartografico, V&P Università, Milano
2002
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http://www.leganavale.it/portale/cultnaut_lez5.asp
http://www2.unibo.it/musei-universitari/PercorsoNS/indice1.htm
http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/
La geografia scientifica
http://users.libero.it/prof.lazzarini/geometria_sulla_sfera/geo.htm
http://www.arrigoamadori.com/lezioni/SuperficieInR3/SuperficieIn
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http://www.iesperemaria.com/Valencia/Organitzacio/Depts/FisQuim
/Astrofisica/astro/index.htm
http://www.nauticoartiglio.lu.it/SA_CD2002/stelle/eratostene/gloss/i
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http://digilander.libero.it/diogenes99/Cartografia/Cartografia01.htm
http://web.unife.it/progetti/matematicainsieme/matcart/appiat.htm
114
Imago Mundi – Quaderno 3
Direzione
Fernando Sansò
Redazione:
Edoardo Marzorati
Michelangelo Michelini
Liceo Scientifico “P. Carcano” – Como
Comitato Scientifico
Giuseppina Cardile
Valeria Cereda
Maristella Galeazzi
Massimiliano Pagani
Andrea Pini
Comitato Filosofico – Letterario
Roberta Brandimarte
Marina Doria
Claudio Fontana
Raffaella Frigerio
Domitilla Leali
115
Il progetto triennale “Imago Mundi” è nato da una
cooperazione tra il Corso di Studi in Ingegneria Civile e
Ambientale del Polo di Como del Politecnico di Milano e
alcune scuole della provincia con l’obiettivo di analizzare
l’impatto dalle nuove tecnologie spaziali (La Terra vista
dallo spazio è infatti il sottotitolo del progetto), nella
concezione filosofica del mondo, nella sua conoscenza
scientifica, nelle tecnologie di uso comune, nella
letteratura e più in generale nella comunicazione che di
tali materie si occupa. Delle numerose attività svolte seminari, conferenze, assemblee, riunioni di scuola e
lavori di classe si è voluto lasciare testimonianza
attraverso tre quaderni che raccogliessero i materiali
analizzati e le successive elaborazioni.
Questo è il 3° ed ultimo quaderno di questo progetto.
Ancora una volta desidero ringraziare i docenti che hanno
partecipato al lavoro e gli studenti tutti, che hanno dato
slancio al progetto.
Fernando Sansò