1. Ambiguità dello spazio giuridico europeo.
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1. Ambiguità dello spazio giuridico europeo.
SPAZIO GIURIDICO EUROPEO 1 FRA CONSIGLIO D'EUROPA E UNIONE EUROPEA SOMMARIO: 1. Ambiguità dello spazio giuridico europeo. _ 2. Convenzioni del Consiglio d'Europa e convenzioni in seno all'Unione Europea. _ 3. Procedimento per decisione-quadro. _ 4. Normazione o pubblicità? 1. «Che cos'è l'Europa?» aveva chiesto non senza ironia sul finire dell'Ottocento un diplomatico tedesco ad uno britannico. «Alcune grandi nazioni» aveva risposto quest'ultimo. «Alcune organizzazioni internazionali» dovremmo rispondere ora a poco più di un secolo, perché dall'idea di unificazione continentale _ figlia della fine del potere e della centralità europei nella politica mondiale _ sono derivati più organismi di aggregazione. Lo «spazio giuridico europeo» di cui tanto si parla si situa ambiguamente fra l'Europa del trattato di Londra del 1949 (istitutivo del Consiglio d'Europa) e l'Europa comunitaria nata dai trattati di Parigi del 1951 e di Roma del 1957, a sua volta polimorfa _ dopo i trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1997 _ nella doppia realtà della Comunità e dell'Unione Europea, coincidente nei membri e negli organi ma giuridicamente differenziata dalla personalità giuridica di cui dispone solo la Comunità, primo dei tre pilastri dell'Unione. Simbolo della simbiosi fra Europa del Consiglio ed Europa comunitaria è stata la condivisione materiale per lunghi anni dell'aula parlamentare di Strasburgo, ove il Consiglio d'Europa ha ospitato i momenti solenni del Parlamento delle Comunità Europee (del carbone e dell'acciaio, economica, dell'energia atomica, poi unificate in un'unica Comunità). L'intreccio persistente tra le due realtà è tuttora attestato dal solenne richiamo, nel trattato di Amsterdam del 1997, relativo all'Unione Europea, della gloriosa «convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», firmata a Roma nel 1950 in seno al Consiglio d'Europa come manifesto politico delle libertà del frammento occidentale del continente di fronte alla tirannide totalitaria delle sedicenti democrazie popolari imperanti nel frammento orientale d'Europa. Non per nulla nell'organizzazione del Consiglio d'Europa sono affluiti gli Stati dell'Europa centroorientale dopo il loro inatteso ed improvviso riacquisto di sovranità e libertà. La realtà europea odierna risulta quindi tesa fra l'organizzazione paritaria, ideale, culturale e tecnico-giuridica di nazioni libere costituita dal Consiglio d'Europa e la costruzione da parte di non poche nazioni europee (fra cui le maggiori) di un organismo trascendente le nazioni stesse, l'Unione Europea, modellato e trainato dall'unificazione delle economie. 2. Nello «spazio giuridico europeo» coesistono pertanto elaborazioni di norme giuridiche del «Consiglio d'Europa» e della «Comunità ed Unione europee» che fra loro si intrecciano per quanto riguarda gli Stati membri al tempo stesso del Consiglio e dell'Unione. Così alla «convenzione europea di estradizione» di Parigi del 1957 (convenzione n. 24 del Consiglio d'Europa) vediamo affiancarsi la «convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione [cioè all'estradizione consensuale] tra gli Stati membri dell'Unione Europea» (Bruxelles 1995) e la «convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione Europea» (Dublino 1996), nonché le disposizioni relative all'estradizione (artt. 59-66) comprese nella «convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 1984» (Schengen 1990). Infine si ritrova la «decisionequadro del Consiglio [dell'Unione Europea, non d'Europa] relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna fra Stati membri (Lussemburgo 13 giugno 2002), di cui oltre. Del pari alla «convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale», Strasburgo 1959 (convenzione n. 30 del Consiglio d'Europa), richiamata anche nel nuovo testo dell'art. 696 del nostro codice di procedura penale, si affianca la «convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale fra gli Stati membri dell'Unione Europea» (Bruxelles 2000) nonché le disposizioni (artt. 48-53) della citata convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen. Esiste inoltre un espresso intreccio normativo fra le convenzioni del Consiglio d'Europa e quelle in seno all'Unione: infatti tanto la convenzione di estradizione di Parigi del '57 che quella di assistenza 1 Intervento programmato dell'Avv. Paolo Laszloczky al Convegno delle Camere Penali tenutosi a Sirmione il 3-6 ottobre 2002 sul tema «Giustizia penale e spazio giuridico europeo: i penalisti italiani per la tutela delle garanzie in Europa» giudiziaria di Strasburgo del '59 contengono, rispettivamente agli artt. 28 e 26, disposizioni abrogative di convenzioni precedenti fra gli Stati-parte ed impeditive di convenzioni future, salvo che «per completare le disposizioni della presente convenzione o per facilitare l'applicazione dei principi in essa contenute» o alcune altre situazioni particolari. Pertanto sono intervenuti protocolli addizionali in seno al Consiglio d'Europa (due sull'estradizione nel '75 e nel '78 ed uno sull'assistenza giudiziaria nel '78) e accordi aggiuntivi bilaterali come ad esempio Italia-Austria (1973); Italia-Germania (1979); Italia-Svizzera (1998), quello che ha dato luogo alla Legge di autorizzazione alla ratifica 5 ottobre 2001, n. 367, ma che non è stato ancora ratificato dopo le note polemiche. Inoltre la Corte di cassazione italiana ha interpretato come «aggiuntiva» la convenzione di estradizione Italia-Polonia del 1989 dopo che la Polonia è entrata nella Convenzione Europea del 1957 (Cass. pen. 29 settembre 1994, Krol, CED, n. 199631). Altrettanto puntualmente le convenzioni in seno all'Unione Europea (compresa la convenzione applicativa dell'accordo di Schengen) nei preamboli rispettivi sottolineano l'intento di facilitare l'applicazione delle convenzioni del Consiglio d'Europa del 1957 e rispettivamente del 1959. La situazione dell'intreccio si ripete anche fra altre convenzioni del Consiglio d'Europa e dell'Unione per cui alla «convenzione europea per la repressione del terrorismo» (Strasburgo 1977) si affianca una «convenzione per la repressione del terrorismo fra gli Stati membri delle Comunità Europee» (Dublino 1979), alla «convenzione europea sul trasferimento delle procedure repressive» (Strasburgo 1972) si affianca un «accordo tra gli Stati membri delle Comunità Europee sul trasferimento dei procedimenti penali» (Roma 1990), alla «convenzione europea sul valore internazionale delle sentenze penali» (L'Aia 1970) si affianca una «convenzione fra gli Stati membri delle Comunità Europee sull'esecuzione delle sentenze penali straniere» (Bruxelles 1991). La sola convenzione tra gli Stati membri delle Comunità Europee che non trova parallelo fra le convenzione del Consiglio d'Europa è quella relativa all'applicazione del «principio del ne bis in idem» (Bruxelles 1987), del pari contemplato nella convenzione applicativa degli accordi di Schengen (artt. 54-57). Il sistema dello «spazio giuridico europeo» _ mandato d'arresto a parte come si dirà oltre _ si mostra sinora quindi incentrato sulle convenzioni del Consiglio d'Europa alle quali le convenzioni sorte in seno all'Unione possono apportare solo integrazioni migliorative. Tutto ciò in astratto perché mentre le convenzioni di estradizione del 1957 e di assistenza giudiziaria del 1959 del Consiglio d'Europa sono in vigore ormai tra circa 30 Stati (qualcuno in meno quella del '59) quasi nessuna delle convenzioni in seno all'Unione è entrata formalmente in vigore, salvo l'applicazione anticipata fra alcuni Stati membri. Formalmente la differenza dipende dalle diverse clausole circa l'entrata in vigore: nell'ambito del Consiglio d'Europa bastano tre ratifiche; nell'ambito dell'Unione si è voluto sottolineare il monoblocco comunitario prevedendo l'entrata in vigore all'ultima ratifica (per le due convenzioni sull'estradizione) o all'ottava (per l'assistenza giudiziaria) consentendo l'applicazione anticipata fra taluni membri. Però sostanzialmente quando un accordo in seno all'Unione risulta in applicazione solo fra Svezia, Danimarca (con l'esclusione della Groenlandia) e Portogallo (tale la situazione della convenzione per l'estradizione semplificata del '95) o fra Danimarca, Spagna e Portogallo (tale quella della convenzione per l'estradizione del '96) si possono esprimere dubbi circa il successo di tali accordi. Mentre le convenzioni del Consiglio d'Europa ravvivano lo spazio giuridico europeo, quelle in seno all'Unione si sono risolte in una serie di progetti ibernati piuttosto che di strumenti funzionanti. 3. Forse per questo la decisione-quadro del cosiddetto mandato di arresto europeo del 2002 cambia stile e supera il dogma del riferimento alle convenzioni del Consiglio d'Europa: infatti l'art. 31 prevede _ dal 1° gennaio 2004 _ la «sostituzione» delle disposizioni della convenzione di estradizione del 1957 (del Consiglio d'Europa) e di una serie di altri accordi, fatta ovviamente «salva la loro applicazione fra Stati membri e paesi terzi». Con la decisione-quadro suddetta cambia anche la sequenza del procedimento normativo. Infatti la decisione-quadro è già formalmente in vigore dal 7 agosto 2002, essendo bastata la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, dato il diverso meccanismo di produzione giuridica ora adottato all'interno dell'Unione. Tuttavia si tratta _ e su questo punto vorrei concludere il mio intervento _ di una vigenza per ora inefficace sul piano interno. Invero il sistema dell'Unione scombina il processo abituale di immissione delle norme nell'ordinamento interno ma non lo sconvolge. Il procedimento tradizionale è costituito dalla fissazione del testo di un accordo fra Stati con la firma, seguito dall'immissione della volontà vincolante con la ratifica. Fra i due momenti sul piano internazionale, vi sta sul piano nazionale la legge di autorizzazione alla ratifica (che consente l'atto sul piano del diritto internazionale) e di esecuzione (che _ almeno secondo la nostra dottrina dualistica _ immette la norma nell'ordinamento interno). Invero ai sensi dell'art. 80 della Costituzione le Camere autorizzano con legge i trattati che comportano modificazioni di leggi. Il nuovo procedimento nell'Unione Europea non sembra passare attraverso l'esigenza della ratifica di un trattato, perché il vincolo sul piano internazionale è assunto dalla decisione _ a maggioranza _ del Consiglio Europeo ai sensi del trattato istitutivo dell'Unione: il vincolo internazionale dunque c'è già (e su tale terreno il discorso si sposta da quello della vigenza di un trattato a quello della validità di una decisione assunta nell'ambito di poteri previsti da un trattato). Ma la modifica del diritto nazionale (secondo elemento tipico delle leggi di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione) resta indispensabile. Si è accennato alla differenza tra Unione e Comunità Europea: solo la Comunità, primo pilastro (economico) dell'Unione è assistita dal diritto comunitario in senso proprio, direttamente efficace sul piano interno. Puntualmente l'art. 34 (ex K 6) del Trattato di Amsterdam, comma 2, lett. b), precisa che «le decisioni-quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi» e sottolinea che «esse non hanno efficacia diretta». E puntualmente l'art. 34 della decisione istitutiva del «mandato d'arresto europeo» prevede che gli Stati membri adottino «le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della presente decisione-quadro». Norme di diritto interno dunque, sottoponibili al giudizio di legittimità costituzionale non meno delle norme di esecuzione dei trattati internazionali come ripetutamente insegnato dalla nostra Corte costituzionale (sentt. n. 54/1979; n. 223/1996). Riprendendo l'espressione di un letterato, secondo il quale essere classificabile vuol dire anche essere storicamente rivalutato, osserverei che essere giuridicamente classificabile comporta anche essere in qualche modo ridimensionato. Perché come le scienze naturali tendono con la conoscenza a controllare la natura, così le scienze giuridiche mirano a controllare il potere ed i poteri. L'inclusione dell'ignoto in schemi noti ha in realtà finalità di tranquillizzazione e di controllo. Come sul piano normativo la procedura di produzione può essere scomposta e ricomposta in termini noti, così l'istituto del mandato d'arresto europeo dovrà in qualche modo venire ricondotto dall'interprete all'estradizione perché il comma 1 dell'art. 697 c.p.p. (norma di ordine pubblico fra norme suppletive, voluta dalla commissione parlamentare in sostituzione di quella del progetto definitivo) proclama che la consegna ad uno Stato estero di una persona per l'esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale «può aver luogo soltanto mediante estradizione». 4. Verrebbe da chiedersi quanto nell'ambiguo spazio giuridico europeo sia rappresentato dall'impatto «pubblicitario» degli istituti introdotti a propaganda dell'Unione stessa. All'impressione della «grande realizzazione» (cui non si può mancare) di convenzioni mai ratificate e mai entrate in vigore fa seguito ora la vigenza, per decisione del Consiglio Europeo di norme inattive senza l'intervento del legislatore nazionale, ma comportanti un apparente opinio iuris seu necessitatis. Fra il coordinamento della comune civiltà elaborato nel Consiglio d'Europa e le illuminazioni imperiali del Consiglio Europeo dell'Unione vi è un divario fra costruzione efficace e paritaria ed esperimenti velleitari o autoritari, i quali costituiscono cattiva normazione e cattiva politica. Fra i corsi e i ricorsi della storia vi è il rischio che alla fine possa essere preferita la piccola libertà interna al maggior peso di una entità più vasta sul piano internazionale, dimenticando che si è agognata un'Europa più grande e forte sul piano internazionale per assicurare libertà e prosperità ai cittadini delle nazioni europee. Alla soddisfazione per il successo dell'attività del Consiglio d'Europa si contrappone una grande perplessità per il fervore pseudo-illuminista, autoincensatore ed intrinsecamente autoritario che si va diffondendo con riguardo al terzo pilastro dell'Unione Europea. PAOLO LASZLOCZKY avvocato in Milano