I Quaderni dall`Isola-VIII

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VIII Quaderno dall'Isola
La tua morte mi ha riproposto lo scomodo rebus della vita.
La morte è il suggerimento di mia madre, la quale vorrebbe cacciarmi dentro una tetra scuola, non come
scolaro, ma come insegnante.
Lascia perdere.
1° giorno di scuola, tragica memoria della sciagura.
Non so niente, non posso insegnare, lasciami perdere.
I nodi della pazzia non si sciolgono. Ogni occasione è buona per tirare dei calci nello stomaco; spingere il
mulo dentro la stalla, lontano dal cielo, e poi attaccarlo in coda a un carro trainato da buoi.
La connivenza è la capacità di riconoscere nei gesti altrui i propri movimenti. Il mio isolamento è dovuto
proprio all'incapacità di riconoscere in segni e comportamenti altrui i miei.
L'emarginazione non sta soltanto nel non essere accettati, ma principalmente nel non accettare.
La crisi delle relazioni avviene perché il comportamento altrui infastidisce a tal punto da risultare
insopportabile. Anche un paesaggio urbano può risultare insopportabile; persino un panorama naturale.
Ho sempre pensato al tavolo da stiro come a un cielo scottato, un cielo sul quale si vedono le impronte
degli astri incandescenti. Non ho mai capito, fino in fondo, per quale motivo si stirano i vestiti. Forse per
negare all'uomo la sua spiegazzata nudità. E' un modo per geometrizzare l'informe anatomia.
Come siamo poveri, Anna mia.
Le giovani signore distinte lasciano trasparire un loro angolino altamente erogeno, i piedi nudi intimi
negli "scandali" di cuoio.
Son trent'anni che ruoto attorno al quartiere; son trent'anni che giro attorno al mondo. Ma i luoghi sono
fatti da persone o da paesaggi?
Tutto sommato ciò che ha costruito l'uomo è facilmente *******.
Il miglior depuratore è il tempo, cancella tutto.
Codardo…: zona letale, quella dei truffatori che a ginocchioni entrano nelle corti ignoranti.
Io sono la fototessera della desolazione e del mistero.
Devo trovare la forza di ritornare sui miei passi, Dio, dammela tu questa gagliardia.
Sto pagando i miei debiti. Mi attorciglio su me stesso sbattendomi dal dolore. Non ho pace, cerco pace.
Sono una bomba caduta nel mezzo a gente normale. Lucio è stato fin troppo bravo a resistere così a
lungo.
L'incoscienza del vivere giornaliero; lasciarsi andare nell'abuso del nulla.
Ma come si fa ad aver paura degli invasori?
Io, santo cielo, ho paura degli invasati, che a carponi offrono bestie celestiali alla Democrazia Battezzata.
Ho paura degli assassini e diffamatori che occupano un posto in prima fila nei Consigli Pastorali. Ho
paura dei preti contraffatti.
Non c'è niente da fare, l'indicazione è univoca. O come “loro” o morti. Un bel pianto, un bel dramma
familiare. Il caso è chiuso.
Cara madre, ogni giorno mi sputi in faccia il mio fallimento, e io non so come ringraziarti.
E' incredibile! Sono all'anagrafe, devo rinnovare la carta d'identità. Questo ufficio ha adottato il sistema
dei supermercati e dei laboratori di analisi medica. Per una mezz'ora diventi un numero e io, ora sono il
numero 66. Credo che nella scelta casuale di questi numeri vi sia un qualche motivo di predestinazione.
Tu arrivi, e da una specie di phon rosso rovesciato estrai il tuo numero. Chissà perché il mio numero è il
66. Forse perché il 6, assieme all'8, è uno dei miei numeri preferiti, o forse perché sono nato nel 1960, o
forse perché morirò a 66 anni? O forse perché a 6 anni ho subito un doloroso intervento chirurgico. O
forse perché Demetrio Stratos prima dei suoi concerti provava il microfono pronunciando questa coppia
gemellare: 6-6 VIA! Chissà. In ogni caso resta il fatto che anche l'anagrafe si è trasformata in un
supermercato delle identità.
666, siamo di fronte ad una democrazia numerale progressiva. Non mi dispiace affatto il numero satanico.
Qualcuno entra e chiede un certificato di morte.
Una madre “aggiusta” un seggiolino per bimbi applicato all'abitacolo dell'auto.
Ci sono delle volte che neanche la natura può essere d'aiuto quando uno sta male. Anzi, sembra così
crudele, distaccata…E allora ti senti scompagnato in un modo inverosimile.
Sai, ci sono delle volte che ripenso a quello che hai fatto. Ma è passato un anno e mezzo, ci eravamo
appena conosciuti. Tu per me eri solo un'amante occasionale, una che arrivava qui, stava una notte e poi
spariva. Non c'era nient'altro.
No, non mi riferisco al fatto fisico, alla mia gelosia, ma al fatto che quando ti ho chiesto di dirmi la verità
tu mia hai mentito. "Ma tu non eri niente per me, io non ti dovevo rendere conto di niente". Sì, lo so, lo
so.
E tu, quante porcate hai fatto? Anche quando eravamo già assieme? Tu pensi solo alla tua di sofferenza,
alla tua di solitudine, ai tuoi 2 o 3 amici perfetti. A loro daresti la vita, lo so, ma degli altri non te ne frega
niente!
Comunque, l'importante è che tu non sia più così puttana come una volta.
"Vai via, vattene! Vola fuori dalla porta, in piena notte, la mia roba comprese le chiavi della macchina."
Non vorrei che l'elettore restasse disorientato a causa della contaminazione dei “generi” in cui passo con
eccessiva disinvoltura. In realtà, io amo ogni sorta di disorientamento, sono allergico ai chiarimenti. Sono
pertanto felice che siate disorientati, ma mi raccomando, non ditelo a vostra madre. Non dite a nessuno
che il mio è un genere mist(ic)o. Sappiate riconoscere però, dentro al caos dei miei quaderni, l'utopico
desiderio di abbracciarvi tutti e di tirarvi con me nella buca dello scheletro contorto sepolto ai piedi del
platano offeso.
C'è una grande differenza tra sentire e non sentire. E' la stessa differenza che passa tra l'esistenza e la
scomparsa. Nella vita ti senti, nella morte ti fai sentire. Ricordatevi: il silenzio degli “asini” è sempre una
risposta poetica alla follia di questa doppiezza.
I Professori: che razza di paranoici dementi. Un compromesso tra i vivi e i morti. Fossero davvero morti!
Fossero davvero vivi! A che servono?
Non vi è assolutamente nulla di interessante, di stimolante o di vivo dentro al testo che ho deciso di
adottare per gli allievi della scuola privata. L'ho adottato esclusivamente per la coincidenza assoluta tra
l'indice e i programmi ministeriali. Così sono a posto. Me ne lavo le mani. Perfetto. Io sono un insegnante
perfetto. Meno male che, a differenza di tanti miei colleghi, non fingo di sapere. Sapere che cosa?
Rovinare ancora di più questi giovani già oppressi dalla ricchezza, dal benessere e dalle loro madri
nevrotiche? Ragazzi senza padre che conoscono soltanto il fragrante odore dei soldi. Ecco la diagnosi di
questi recuperandi paganti.
A questo punto c'è il solito avveduto che appellandosi al buon senso mi da del nichilista.
-E allora, cosa proponi? – mi dice, con cipiglio irato e minaccioso.
-Cosa propongo? Una scuola a misura d'uomo, di donna e di bambino. Una scuola in cui il soggetto sia
portato progressivamente alla conoscenza del complemento oggetto, cioè del mondo che gli sta attorno.
Al soggetto sia data subito la possibilità di srotolare se stesso. Senza rimpinzarlo, fin dal primo giorno di
scuola, con indigesti primi di grammatica scotta o di nauseabondi secondi di matematica al sangue. Si crei
un ponte solido tra vita e conoscenza, e non un mondo vomitevole da mensa aziendale. Si porti il soggetto
a delle scelte individuali, a degli apprezzamenti personali. Gli si mostri che non esistono soltanto i negozi
di articoli sportividi ma anche le librerie, non solo le multisale cinematografiche americane ma anche le
magiche biblioteche civiche, non solo gli ipermercati ma anche le pinacoteche. Non solo i pub ma anche
le feste di paese, non solo la Chiesa ma anche Le chiese.
Si faccia del ragazzo un essere pensante, producente, parlante e non un sacco di merda refrattaria.
L'insegnante è solo un geografo, l'allievo è un esploratore. L'insegnante ha il compito di indicare la
mappa di tutti i percorsi possibili, ma è l'allievo che deve percorrerli. L'allievo è il principe, l'insegnante è
il giullare o, tutt'al più, una dama di corte.
L'insegnante è un cretino se non riconosce la propria inadeguatezza. L'insegnante è una puttana, può
stimolare i sensi, come la puttana, può procurare nell'allievo il pass per una vita sessualmente evidente.
Questa è la rigorosa realtà per i professori, ed è anche la dura realtà per gli allievi che devono sopportare
in silenzio tutte queste inculate.
La cattiveria esiste ed è pura come l'innocenza.
Sono con le spalle al muro. Stamattina mia madre mi ha attaccato mentre ero seduto sul letto. Mi ha
parlato dei miei 33 anni, della pensione, della mia brutta fine, delle supplenze.
Dietro ai tuoi occhi c'è l'urlo bestiale della solitudine, ma io non ho più mani per prenderti. Non ho più
voce. Ti aspetterò dall'altra parte, e ormai ogni giorno che passa è un giorno tolto alla vita. Le distanze si
accorciano tra noi e l'infinito. Tra noi e una luce che buca la luce. Speriamo che l'inferno non sia un buio
profondo nel quale ci risvegliamo bambini.
Voglio essere un esploratore, non un geometra. Sono disposto a correre tutti i rischi del caso. La
propensione alla scoperta ti fa levare le mani al cielo.
Mi librerò dalla rupe con le ali della fantasia, per questo infinito bisogno di conoscere l'amore.
Adesso che Augusto Daolio è morto, ai giovani non resta che il marasma caotico e ottuso di una musica
senza sapore, il velleitarismo metropolitano dei gruppi “in”.
Quel caldo senso dell'esistere scompare con Augusto. Restano gli articoli di fede a buon mercato
(americano e non), le banalità. Resta la pappa fatta. I giovani non avranno più l'opportunità di essere
condotti verso le idealità di base partendo dal loro stesso terreno: la terapia dell'ascolto sociale, la
psicomagia di essere tutti insieme sul prato davanti all'umanissimo fratello maggiore, nella mescolanza
delle idee e delle età dell'uomo.
Con Augusto scompare una guida; un maestro che con parole chiare, semplici e poetiche ha condotto una
solitaria e definitiva lotta contro l'ottusità delle "vetrine musicali nelle nostre belle città internazionali", la
pericolosa stupidità della strombazzata modaiola che va dal finto dissenso alla diarrea anglo-americana di
oggi. Con Augusto scompare un punto di riferimento fondamentale. Muore il Pensiero Nomade, addio
concerti, addio arcaica, messianica terapia di gruppo. Non vi è altro esempio in Italia di tale autorevole
autenticità. Ora ai giovani non resta che il vuoto pettegolezzo, non restano che i GRANDI LADRONI
dell'attenzione. Non più SPIRITO e CONOSCENZA, ma MERCATO e DEMENZA. Non nascerà più un
altro AUGUSTO DAOLIO, così come non rinascerà un secondo DEMETRIO STRATOS.
La morte ci ha strappato Augusto e ci ha ferito nell'anima. Augusto da sempre con Beppe è il portavoce di
ciò che può davvero definirsi il Popolo, il vero, unico, proletariato. Tutta quella semplice e nel contempo
profonda gente dei paesi, le mille e mille terre che costruiscono l'Italia. In ognuno di questi paesi i
NOMADI hanno suonato, hanno creato lo scambio. Sull'onda del sentimento, dell'amore e della rabbia.
Visto che anche la mia stilo a cartuccia ha deciso di lasciarmi proprio in questo momento, vi faccio
un'ultima raccomandazione: ascoltate bene con le orecchie spalancate tutto ciò che Augusto e i Nomadi
hanno da dirvi.
Il bambino piccolo associa la morte con un colpo d'arma, e l'ascensione al cielo come un turbine di angeli
alati che trasportano il morto in alto, sopra la terra. Ma il bambino si chiede anche: come fa quell'uomo a
rimanere nel cielo senza cadere giù, di nuovo, sulla terra? Forse diventa lui stesso un angelo?
Per la duecentomilionesima volta mio padre è venuto a cercarmi nel fondo della notte. Ma per la prima
volta non mi ha detto di andare a letto perché è tardi. Si è limitato a dirmi: ciao!
Ah, come scrivo male!
Vi è una concreta differenza fra il farsi capire e il farsi riconoscere. Un uomo che è riuscito a coniugare
entrambe le situazioni è Totò. Totò è riuscito a farsi ri-conoscere, e quindi a farsi capire. A lui vanno
riportate le concrete esigenze dell'arte. L'attore, il regista, il poeta, il pittore dovrebbero rifarsi a quest'arte:
la meta-storia di Totò, che nel sovrapporre ciò che si fa capire a ciò che si fa riconoscere ha rifondato uno
dei momenti più elevati della conoscenza. Tutte queste parole non avrebbero alcun senso se Totò fosse
Paolo Villaggio. Ma per fortuna, non essendo Paolo Villaggio, né Fedrico Fellini, Totò mantiene integra
questa sua alleanza con l'umana sorte della vita; lo sguardo trasversale dell'ignota conoscenza; la
transizione tra l'uomo comune e Michelangelo. Vero interprete della vita, Totò non finge. E' per questo
che Totò è immortale come Michelangelo.
Totò, caloroso abbraccio dell'immortalità, papà di tutti che muove al riso come al pensiero. Esiste
davvero, con Totò, la spiritualità del divertimento.
Ho coniato un nuovo termine: la DISPERANZA. Per metà disperazione e per metà speranza. La
disperanza è la condizione più diffusa nel nostro tempo. E' l'epidemia, il dolore reattivo della “malattia”.
La lacerazione, la separazione e persino l'oblio della morte sentito da chi resta. Chi resta osserva
sbigottito le acque di un fiume che si richiudono dopo aver inghiottito nel gorgo della morte gli amici più
cari.
La DISPERANZA non è uno stadio ma una condizione transizionale che può durare anche tutta la vita o
la vita di tutti. Non è lo stato di fatto del pessimismo, ma l'ignota spinta verso la strettoia
dell'inconoscibile; è il preponderante affacciarsi della vita del cosmo che divora impietosamente quella
dell'uomo; è uno di quei momenti in cui il ciclo prevede lo sfiorarsi dei corpi e dei pianeti. L'uomo passa
vicino all' asteroide cosmico. Rasenta sbigottito l'assoluto e ne resta atterrito, confuso, ******. La
DISPERANZA è un buco nella domanda, un vuoto d'aria senza legge fisica, è l'altoforno che riduce in
cenere la cultura, ma è nello stesso tempo conoscenza e sentimento. La DISPERANZA è la strada
sbagliata, perché non è tracciata e non ha spazialità se non dentro al cuore, al pugno chiuso in cui il
******* destro avvolge d'amore il sinistro.
La DISPERANZA è la freccia spuntata del tempo che di sicuro, e per fortuna, ha sbagliato direzione.
(RAPPORTO SULLA DISPERANZA)
Ma cosa ci faccio qui, in un paese di montagna, da solo, senza anime perse. In questo paese solcato a
fondo da un torrente piastrellato, dai corrimano smaltati di azzurro e bianco, dall'acqua che sempre
scende, sempre cade, precipita a valle, capillare del mondo che ingrassa gli oceani. Cosa ci faccio, da
solo, dentro a questa luce d'ottobre che già conosco, nell'aria cruda, per vie dove non c'è più nessuno,
nemmeno l'eco settembrino dell'estate.
Entro in chiesa e riconosco un buio pesto da chiesa antica, non per età ma per entità. Ancora un fragile
raggio dell'infanzia sprigionato dall'altare alita sulla fiammella. Ma è scarso questo ricordo vivo, svolazza
attorno a me ma non riesco a vederlo, è come uno spettro di verità che ormai non mi riguarda. E' come un
amico conosciuto un tempo, tanto tempo fa, di cui non resta a mente nemmeno il nome. Ma voi, Lucio,
Lucia, Augusto, dove siete?
Sono inquieto, drammaticamente timido. La mia timidezza è bruciata dalla cretineria. La mia buffoneria è
un lasciapassare verso l'infinito, il giorno maledetto del nulla. Ho necessità di esperienze maledette.
Da quando Lucio è morto, questi paesi sono aridi cimiteri abitati da un perenne inverno. Questo asfalto è
davvero freddo, grigio e morto, Il verde è plastico. Cammino orfano e terribilmente vivo in un mondo
vuoto abitato ormai solo da me stesso.
Sono dalla vostra parte, maledetti mangiaterra!
Odio anch'io le “tate”.