Relazione Bernicchia

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Relazione Bernicchia
ISTITUTO COMPRENSIVO N. 8
"CENTRO STORICO"
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO
"P. CALIARI "
Giornata della Memoria
Incontro con la prof.ssa Maria Pia Bernicchia
Il 27 gennaio, giorno del 70° anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, avvolta
dall’abbraccio dalla musica dell’orchestra della scuola, diretta dal prof. Pierfrancesco Battistella, la
prof.ssa Maria Pia Bernicchia ha fatto il suo ingresso nell’Aula Magna delle Caliari. Ad accoglierla i
ragazzi delle classi prime con cui la prof.ssa, autrice del memoriale “Chi vuole vedere la mamma
faccia un passo avanti…”, ha voluto intraprendere «un viaggio, dagli “anni del consenso” agli “anni
del terrore”, perché capiate il contesto che fa da sfondo alla storia dei “nostri” 20 bambini».
Con la stessa sensibilità con cui una madre si accinge a raccontare una fiaba ai propri figli, ha preso
così avvio la sua storia dalla nascita dei movimenti totalitaristici in Italia ed in Germania. «Proprio
lì, nel cuore dell’Europa, il progetto di Hitler, pianificato nel Mein Kampf, prendeva vita».
In un primo momento l’idea del Fuhrer prevedeva che lo “spazio vitale” fosse popolato da gente
che rasentasse la perfezione. Questa sua ossessione lo portò ad istituire l’“Aktion T4”,
un’operazione che prevedeva l’eliminazione delle persone affette da malattie fisiche e/o mentali,
ovvero di quelle che Lui definiva "vite indegne di essere vissute". Il programma di eutanasia, venne
successivamente sintetizzato in un libretto, di cui era obbligatoria la lettura durante l’ora di
educazione civica. «La scuola è il luogo in cui si formano le nuove generazioni ed Hitler lo sapeva
bene, tanto da impartire l’ordine ”Poca cultura e tanta educazione fisica!”, perché chi più sa più
ha sete di sapere, chi meno conosce non si pone domande ed accetta passivamente tutto ciò che
gli viene proposto. La ginnastica, infine era considerata di vitale importanza, soprattutto quella
fatta all’aperto, in inverno, perché avrebbe forgiato uomini forti che avrebbero mantenuto la
popolazione tedesca sana ed invulnerabile».
Il passaggio successivo voluto da Hitler, fu l’eliminazione dei dissidenti e dei “diversi”: per
religione, cultura e tendenze sessuali. “Presto e bene” prevedeva la teoria nazista. Così vennero
creati nel cuore dell’Europa 10.000 campi di concentramento a cui si aggiunsero, dopo la
conferenza di Wannsee del 1942, incentrata sulla “Soluzione finale della questione ebraica”, 6
campi di sterminio. Adolf Eichmann a capo dell’"RSHA" (Ufficio centrale del Reich per
l'emigrazione ebraica), fu incaricato di redigere un censimento di tutte le persone di origine
ebraica per pianificarne la deportazione, che mieterà 6 milioni di vittime. «Tra queste vite
spezzate, anche quelle di 1.500.000 bambini sotto i 13 anni. Di questa immane tragedia, io ho
curato la memoria di 20 di loro». La voce si incrina e si prepara a raccontare, come in tutte le fiabe,
l’arrivo del famigerato orco.
«Dal 1944 nei campi di concentramento si stabilì che alcuni bambini dovessero sopravvivere, per
essere sottoposti ad esperimenti medici. La priorità venne data ai gemelli». Ad Auschwitz-Birkenau
questo compito venne assolto dal dott. Joseph Mengele, tristemente noto come “l’angelo della
morte”. Tra i suoi compiti vi erano quelli di selezionare i bambini giunti con le tradotte e sottoporli
a sperimentazioni per lo studio della trasmissione dei caratteri ereditari. Come tutti gli internati
anche loro venivano tatuati, ma non subivano la rasatura dei capelli. Avevano una razione
ulteriore di cibo e non venivano impiegati in lavori estremamente faticosi. Quelli da lui selezionati,
vennero destinati alla “Baracca 11”, una vecchia stalla di cavalli adibita a dormitorio. I nostri 20
bambini arrivarono lì da tutta Europa ed avevano un’età compresa tra i 5 ed i 12 anni. Il primo a
giungervi fu l’unico italiano tra di loro, Sergio De Simone, che varcò il cancello di AuschwitzBirkenau la notte del 4 aprile del 1944. Venne deportato perché la famiglia della madre era di
origine ebraica, lui non lo era. Figlio di un italiano cattolico, capitano dell’esercito al fronte, venne
addirittura battezzato.
Dopo un primo internamento presso la Risiera di San Sabba a Trieste, Sergio venne fatto salire sul
convoglio 25T, che si fermò a 3 Km di distanza dal campo. Oltre alla sofferenza del lungo viaggio,
dovette affrontare anche lo straziante cammino per raggiungere il luogo di inferno dove fu subito
separato dai suoi familiari: la madre Gisella, la zia Mira e la nonna Rosa che, avendo 66 anni, fu
subito mandata nelle camere a gas. Le uniche persone che gli stettero vicino furono le sue due
cuginette Andra e Tatiana Bucci, rispettivamente di 4 e 6 anni, che per la loro bellezza e
somiglianza, furono risparmiate dalla selezione di Mengele e riuscirono a sopravvivere.
Il 27 novembre, su iniziativa del dott. Kurt Heissmeyer, che aveva bisogno di giovani cavie umane,
“l’angelo della morte” entrò nella Baracca 11 e pronunciò la lapidaria frase: «Chi vuole vedere la
mamma faccia un passo avanti!». Tra i bambini che avanzando sognavano già l’abbraccio delle loro
madri, vennero selezionati 10 maschi e 10 femmine, che furono destinati al campo di
concentramento di Neuengamme, il più grande della Germania settentrionale.
In quella stessa giornata vennero fatti salire su un treno passeggeri. Per evitare che qualcuno si
potesse avvicinare al convoglio, venne esposto persino un cartello che segnalava: “Trasporto di
malati di tifo”. Giunsero al campo il 29 novembre, il giorno del settimo compleanno di Sergio. «I
prigionieri piansero quando li videro, perché era un lager per soli adulti». I nostri angeli furono
portati nel Revier IV, circondato da ferro spinato e con i vetri delle finestre imbiancati. Ad alleviare
le loro sofferenze i gesti d’affetto degli altri internati che, a scapito della propria vita, si spingevano
fin lì per donare loro una carezza. Tra le premure concesse, la notte di Natale riuscirono a
confezionare dei piccoli giocattoli per ognuno di loro. Un regalo speciale venne donato al piccolo
Marek, si trattava di un paio di occhiali realizzati con lenti di recupero, perché quelli che aveva gli
erano stati rotti ad Auschwitz. «Posso solo immaginare la sua immensa felicità nel riceverli».
Dopo quello scintillio nei suoi occhi, una breve pausa, a cui è seguita con voce sommessa la ripresa
del suo racconto.
Sui 20 bambini furono da subito praticati degli esperimenti. Heissmeyer, che non aveva mai
condotto studi di immunologia e batteriologia, li infettò con bacilli tubercolotici vivi, sicuro di
poter sviluppare in loro anticorpi tali da poter permettere la creazione di un vaccino. Nulla di tutto
ciò accadde, se non una profonda sofferenza che portò i loro piccoli corpi stremati, a debilitarsi
sempre più velocemente. Gli insuccessi degli esperimenti e l’arrivo imminente degli Alleati
portarono alla tragica decisone della loro eliminazione. Da Berlino giunse l’ordine, che venne
eseguito la sera del 20 aprile del 1945. I bimbi stavano già dormendo, sfiniti dalla malattia e dagli
stenti. Nuovamente la terribile menzogna, si sarebbero dovuti preparare in fretta perché
sarebbero andati a riabbracciare i propri genitori. Alle 22:00 vennero fatti salire su un camion
postale assieme ad altri otto internati: sei prigionieri sovietici, due medici e due infermiere, diretti
a Rothenburgsort, dove si trova la scuola di Bullenhuser Damm, un sottocampo di Neuengamme,
abbandonato a causa dei bombardamenti. Una volta giunti, vennero accompagnati nelle cantine.
Ai bambini fu dato l’ordine di svestirsi, mentre un atto di umanità spinse il medico delle SS
Trzebinski a sedarli, prima che fossero condotti in una stanza, dove vennero impiccati.
Wie Bilder an die Wand..“Come quadri alla parete”, così parlerà di loro Johanna Frahm, uno degli
esecutori materiali di quell’ignobile uccisione, durante il processo del 2 maggio del 1946.
Quella notte vennero uccisi anche 28 detenuti.
Per lo scempio compiuto, le SS coinvolte ricevettero delle ricompense. Non lingotti d’oro come era
solito avvenire per premiare le grandi nefandezze, ma 20 sigarette e mezzo litro di grappa. Il 22
aprile i fragili corpi senza vita entrarono nel Krematorium di Neuengamme…
Come tutte le fiabe, nessun racconto può concludersi senza un messaggio di speranza così, al
termine della sua storia, la prof.ssa ha lasciato i ragazzi dicendo loro: «Affido alla vostra sensibilità
ed al vostro cuore i 20 angeli, perché diventino i vostri compagni di viaggio… La Shoah coinvolge
tutti, perché ognuno di noi porta dentro di sé i segni di quella storia e contro tanto male, non
possiamo che fare del bene, perché sta a noi promuovere azioni positive».
Si ringraziano la Dirigente e tutti i colleghi che hanno collaborato alla buona riuscita dell’evento, in
particolare i professori: P. Battistella, M. Zanetti e C. Albertini.
La responsabile del progetto “Non più reticolati nel mondo!”
Prof.ssa Stefania Lombardo