Custodire la fede, promuovere la vita: la storia di Rut L`influenza
Transcript
Custodire la fede, promuovere la vita: la storia di Rut L`influenza
Custodire la fede, promuovere la vita: la storia di Rut L’influenza delle donne nella custodia della fede Relazione di Grazia Papola Il libro di Rut, uno dei più brevi dell’AT, è un gioiello molto raffinato di arte letteraria e, malgrado l’apparenza, una storia dai tratti idilliaci, interamente giocata in un tessuto di eventi quotidiani e feriali, in cui si muovono personaggi che non compiono alcuna impresa eroica, è un testo molto ricco dal punto di vista teologico e antropologico. Il suo pregio, peraltro, non risiede nel raccontare azioni divine spettacolari e determinanti come quelle narrate nel libro dell’Esodo, neanche nel mettere in evidenza il rapporto tra Dio e l’uomo come si manifesta nel libro della Genesi, con i cicli dei patriarchi destinatari della promessa. Il valore di questa vicenda sta paradossalmente proprio nel fatto che Dio non interviene in prima persona negli avvenimenti ma i personaggi, e con loro il lettore, sono chiamati a riconoscerne la presenza misteriosa e nascosta e ad agire nella storia, assumendo delle scelte precise con responsabilità e libertà. La narrazione ruota intorno agli eventi di cui sono protagonisti Noemi, Rut e Booz, ad essi sono affiancati altri personaggi di minor rilievo, ma ugualmente significativi al fine della comprensione del testo stesso: il resto della famiglia di Noemi, le donne di Betlemme, i servi di Booz, un altro parente di Noemi. La storia è piuttosto semplice dal punto di vista della trama: i quattro capitoli segnano quattro atti di una vicenda che comincia a Betlemme, si sposta a Moab, per tornare poi a Betlemme dove si conclude. Gli ultimi versetti sono dedicati a una genealogia (4,18-22), quella che da Rut e Booz (e ancor prima dall’antenato di Booz, Peres, figlio di Giuda e Tamar) giunge al re Davide. Nel nostro canone il libro di Rut si trova tra quello dei Giudici e il primo di Samuele: con l’elenco dei discendenti dei protagonisti non si pone semplicemente fine a una storia in cui il tema dell’assenza del figlio ha un ruolo importante, ma si stabilisce un legame tra la storia precedente, risalendo addirittura ai patriarchi, e quella successiva di cui sarà protagonista Davide. La genealogia ha pertanto un ruolo significativo in ordine alla presentazione di una teologia della storia. Prima di fermare l’attenzione sulla vicenda e i punti più salienti che interessano la prospettiva scelta, vale la pena indicare altre due questioni preliminari. La prima riguarda la dimensione intertestuale di questo racconto, il fatto cioè che questa storia fa continue allusioni esplicite o indirette ad altre narrazioni bibliche, in particolare quelle patriarcali. Non si tratta di citazioni erudite attraverso cui il narratore fa sfoggio della sua conoscenza, quanto di una precisa scelta di scrivere una nuova storia, interpretando in maniera creativa e originale il proprio passato di tradizioni fondanti la fede. A ciò si collega anche l’intuizione che la storia della salvezza non è relegata a un passato lontano di cui fare semplicemente memoria, ma continua ancora nel presente, assumendo forme nuove, a volte poco convenzionali rispetto al passato, ma restando sempre una storia di salvezza. Occorre pertanto discernimento e sapienza allora per interpretare la storia personale, di famiglia e collettiva e riconoscerla come storia abitata da Dio. In questa prospettiva, proprio la raffinatezza letteraria diventa uno strumento per riconoscere che la storia ha sempre una complessità non facilmente risolvibile con una lettura univoca in cui i cambiamenti avvengono attraverso persone concrete che agiscono scegliendo in modo responsabile. L’ultimo aspetto introduttivo riguarda il possibile scopo del libro. La questione è in realtà dibattuta, poiché il testo non suggerisce con chiarezza la sua finalità. Le ipotesi principali sono due e ciascuna è collegata a quella relativa alla data di composizione del libro stesso. Per alcuni autori Rut sarebbe stato scritto all’epoca dei re, in questo caso il suo scopo sarebbe quello di fondare la discendenza di Davide da una moabita, fatto di per sé problematico, visto che Moab è costantemente considerato un popolo maledetto e spregevole, ma che se affermato (cfr. 1Sam 22,3-4) deve avere avuto un fondamento storico. Per altri studiosi, invece, il rotolo sarebbe stato redatto in epoca postesilica, e avrebbe come finalità quella di presentare una posizione fortemente critica nei confronti della politica portata avanti da Esdra e Neemia, fautori di una estromissione degli stranieri dalla comunità giudaica, attraverso il divieto di matrimoni misti e l’obbligo di allontanare il coniuge non giudeo, nel tentativo di ritrovare l’identità etnico-religiosa compromessa con l’esilio. La storia risulta in questo caso fortemente provocatoria, dal momento che viene indicata come nonna del re Davide una donna 2 che la legge considerava maledetta e che non solo è l’antenata del prestigioso re, ma è anche un esempio di fedeltà e dedizione senza pari. «Come per dire che se ci si chiude di fronte all’altro, se lo si etichetta in maniera aprioristica come straniero, diverso, nemico, ci si preclude la possibilità di incontrare Davide, il re secondo il cuore di Dio»1. A questo punto è possibile iniziare la lettura della storia soffermandoci su alcuni aspetti più significativi. Seguiamo la narrazione nel suo ordine. Il racconto inizia con la presentazione di una famiglia di Betlemme che a motivo della carestia si trasferisce nel paese di Moab. La notizia riprende altri episodi della storia precedente: Abramo, Isacco, i figli di Giacobbe avevano sofferto anche loro per tale situazione e si erano sempre recati in Egitto per risolvere il problema. Qui invece, il capo famiglia, Elimelec si reca nella regione di Moab; la scelta è sorprendente poiché, come si diceva, i moabiti sono normalmente collegati a eventi e situazioni di segno negativo. La carestia non è l’unica avversità subita dalla famiglia betlemmita: gli uomini infatti muoiono e restano sole e senza protezione le donne: Noemi, Rut e Orpa (1,1-5: 1Al tempo in cui governavano i Giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di Moab, con la moglie e i suoi due figli. 2Quest’uomo si chiamava Elimèlech, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. 3Poi Elimèlech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. 4Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, 5quando anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito). La carestia iniziale acquista così un valore di anticipazione simbolica: la mancanza del pane diventa mancanza di marito e di figli e quindi di vita e di futuro, perché Noemi è una donna ormai anziana che non può più avere figli. Il problema si pone non solo a livello materiale, che può trovare una soluzione (e così di fatto avviene), ma anche sociale, con la situazione di vedovanza e quindi di assenza di protezione giuridica, per arrivare a una dimensione interiore: la morte del marito e dei figli crea un vuoto incolmabile. Rimasta sola, e avendo sentito della fine della carestia nella sua città, Noemi intraprende il viaggio di ritorno verso Betlemme, seguita dalle due nuore. Il resto del cap. 1 racconta appunto il viaggio fermandosi però solo sulla scena del commiato di Noemi dalle nuore. La donna lascia libere Rut e Orpa di tornare nella propria casa; il suo è un gesto generoso e di grande attenzione: rinuncia a un possibile aiuto per consentire loro di avere ancora un futuro (8Noemi disse alle due nuore: «Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! 9Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito»). Il riferimento al Signore è particolarmente significativo: Noemi lo riconosce come colui che può dare alle nuore benedizione, riposo e un marito. Poco dopo però lei stessa afferma a proposito della propria situazione che «la mano del Signore è stesa contro di me» (v. 13), un’espressione molto forte, attraverso la quale dichiara che lo stesso Signore è anche il principio del suo male. Il viaggio che Noemi intraprende parte da una situazione interiore e di fede ambivalente, sospesa com’è tra il riconoscimento di Jhwh come garante della benedizione e come causa di male, tra l’attenzione verso la sorte delle altre due donne e la chiusura in se stessa a motivo del male patito che la fa apparire risentita. All’insistenza di Noemi Orpa decide, a malincuore, ma con ragionevolezza di tornare indietro, senza che il narratore giudichi la sua scelta, sebbene proprio questa risoluzione serve a mettere in maggior risalto Rut, la quale «invece non si staccò da lei» (v. 14 letteralmente «ed essa aderì a lei», un sintagma che esprime lealtà e affetto profondo). La decisione di Rut risulta immediatamente straordinariamente nobile, anche perché è priva di motivazioni e contraddice il modo abituale di comportarsi. Da un lato Noemi non ha niente da offrire in cambio e quindi non c’è nulla che giustifichi la dedizione di Rut, dall’altro nessuno cambiava 1 D. SCAIOLA, Rut. Nuova versione, introduzione e commento (I Libri Biblici Primo Testamento 23) Ed. Paoline, Milano 2009, 50. Allo studio della Scaiola e a quello di R.L. HUBBARD, The Book of Ruth, NICOT, Grand Rapids 1988, devo questa rielaborazione nel suo complesso; A. WÉNIN, Le livre de Ruth. Un approche narrative (CEv 104) Cerf, Paris, 1998. 3 popolo o luogo di nascita se non era costretto a farlo per schiavitù o perché diveniva prigioniero di guerra. Non valgono neppure le parole ulteriori di Noemi, «Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata» (v. 15), perché, anzi, ad esse Rut risponde con quello che viene considerato il vertice di questo capitolo: 16Ma Rut rispose: «Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te; perché dove tu andrai andrò anch’io; dove tu dimorerai anch’io dimorerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; 17dove tu morirai, morirò anch’io e là sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e peggio ancora, se altra cosa che la morte separerà te da me e me da te». Rut assicura a Noemi che sarà presente in tutte le situazioni della sua vita: nell’andare e nell’abitare, un merismo che esprime la totalità della vita, nelle situazioni sociali (il tuo popolo sarà il mio popolo) e in quelle religiose (il tuo Dio diventerà il mio Dio), in quelle che riguardano la vita e la morte (dove morirai, morirò), arrivando fino alla sepoltura, per indicare una durata per sempre della promessa, l volontà di essere solidale in maniera consapevole e stabile. «La “casa” di Rut sarà da questo momento in poi una persona alla quale lei sarà unita nella vita e nella morte, fino alla sepoltura»2. Vale la pena considerare che la frase «il tuo Dio diventerà il mio Dio» riproduce la formula di alleanza, ma in questo caso non indica l’adesione di Rut alla religione giudaica, ma, solamente la sua scelta di condividere tutto ciò che riguarda Noemi. Non sappiamo cioè se Rut si sia “convertita”, al narratore ciò non importa, mentre mette in evidenza la gratuità della sua decisione di dedizione incondizionata alla suocera. Noemi non insiste più e si può anche notare che non ringrazia, non esprime alcuna forma di riconoscenza, il viaggio continua in silenzio fino a Betlemme dove l’anziana donna esprime tutta l’amarezza della sua situazione alle donne che escono a salutarla, fino a cambiare il proprio nome (unico personaggio biblico a compiere una cosa del genere). Pure in questo caso emerge la chiusura egoistica di Noemi che nel suo discorso alle donne non menziona Rut ma fa esclusivamente riferimento a sé; questo aspetto contribuisce ancora una volta a qualificare la scelta di Rut che appare davvero non solo disinteressata, ma in perdita. Eppure Rut non parla, non recrimina per il mancato coinvolgimento, per l’assenza di considerazione, accoglie invece, con questo silenzio, la sofferenza della suocera senza risentimento, in un atteggiamento tacito di solidarietà profonda, di comprensione intima senza unirsi alla sua lamentela. Inoltre resta agli occhi del narratore e dunque di tutti ancora la moabita: la scelta di andare a Betlemme non ha cambiato il suo statuto di straniera. Con il cap. 2 inizia il racconto della trasformazione dell’esistenza delle due donne e del rovesciamento della situazione iniziale segnata da una molteplice mancanza. Entrambi i personaggi femminili vengono ulteriormente determinati dal narratore, e senz’altro Rut è la figura che acquista uno spessore maggiore accanto a Booz che viene introdotto proprio all’inizio del capitolo (1Noemi aveva un parente del marito, uomo di valore della famiglia di Elimèlech, che si chiamava Booz). Rut non è solo la donna determinata che, senza alcun tornaconto personale segue una suocera chiusa nel dolore fin quasi a diventare meschina, ma è anche la donna intraprendente, che vive la sua condizione senza rassegnazione, con intelligenza e coraggio ma anche senza travalicare i limiti imposti dalla situazione sociale. Rut “sovverte” la sua condizione non perché vi si ribella, ma perché l’assume e la cambia dall’interno attraverso una serie di azioni che mirano alla tutela della vita sua e di Noemi. Così Rut domanda a Noemi la possibilità di andare a spigolare, secondo l’usanza del tempo che assicurava per legge ai poveri il diritto di raccogliere quanto lasciato indietro dai mietitori. Il narratore è molto abile a tessere la sua storia. Essa appare un insieme di casualità: «per caso»Rut arriva nella proprietà di Booz, che sembrerebbe sempre per caso è un parente di Noemi, ed egli arriva casualmente proprio quando Rut sta spigolando. Ma, appunto, si tratta di una abilità dell’autore, perché dietro questa modalità espressiva viene di fatto presentato un motivo teologico di grande rilevanza. Il «per caso» è in realtà il modo attraverso cui si parla dell’agire provvidente di Dio. Questo aspetto si coniuga con altre caratteristiche tipiche della storia. Nessun personaggio chiede a Dio di risolvere il problema che lo affligge, né Noemi, né Rut, né più avanti Booz. La soluzione della difficoltà avviene perché una donna e un uomo, Rut e Booz, due persone concrete, agiscono con coraggio e disinteresse, cercando di comprendere 2 D. SCAIOLA, Rut, 86. 4 come intervenire, cosa fare per sopperire alla mancanza o per superare un ostacolo. Questo non vuol dire che sono figure che non riconoscono l’agire di Dio nella storia dell’uomo, al contrario, hanno la capacità di «individuare la mano provvidenziale di Dio che si nasconde dietro gli avvenimenti, o al loro interno, e di mettersi al suo servizio»3. Dio cioè agisce attraverso persone concrete che si assumono una responsabilità in ordine alla vita. A ciò contribuisce anche un altro dettaglio significativo di questo capitolo, e cioè l’uso ripetuto di citazioni della Scrittura, alcune esplicite, altre apprezzabili a partire dal testo ebraico. La Scrittura diventa uno strumento per poter scorgere la mano provvidenziale di Dio che agisce nella storia, non perché viene assunta e ripresa in modo devozionale o moralistico, ma perché diventa luogo di interpretazione degli eventi. Un esempio evidente lo troviamo al v. 12 nelle parole che Booz rivolge a Rut: «Il Signore ti ripaghi quanto hai fatto e il tuo salario sia pieno da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti». Le ali del Signore sono un’immagine che rievoca l’azione di Dio nell’Esodo, ma questa protezione non è relegata al tempo passato, fosse pure quello degli eventi fondatori. Per un credente, quanti si incaricano di aiutare, difendere, proteggere chi si trova in difficoltà attualizzano concretamente proprio quel tipo di protezione. «Booz che in questo momento interpreta alla luce della Scrittura il cammino che Rut ha fatto mossa da sentimenti umani, e lo comprende in riferimento alla storia dei padri, sarà la stessa persona che nel capitolo successivo renderà concreto e presente l’agire di Dio, facendosi solidale nei confronti di Rut e di Noemi. Le ali di Dio, sotto la cui protezione Rut si è messa, assumono dunque concretamente i lineamenti del volto di Booz»4. Lo stesso vale per Rut che «spigola» nel campo; il narratore utilizza il verbo in una forma che compare ancora in Es 16,4.18.22, il racconto della manna. Rut è la donna che vive del dono di Dio, come gli antenati del popolo a cui si è legata, ma non nella forma straordinaria che si manifestò nel deserto, ma in quella feriale, ordinaria, del lavoro umano. Dio continua ad agire nella storia, non donando un pane che scende dal cielo, pronto, senza fatica, ma attraverso alcune persone che, come Booz, si fanno tramite del dono, e altre che, come Rut, faticano per procurarsi il cibo per mantenere sé e la suocera. Dono di Dio e lavoro dell’uomo non sono in opposizione fra loro. La scelta di Rut e il suo impegno non sono senza frutto. Il capitolo 2 si conclude con l’inizio della trasformazione del cuore di Noemi, la quale riscopre il volto affidabile di Dio e fa esperienza della sua misericordia che testimonia nella forma della benedizione: «È benedetto dal Signore, perché non ha rinunciato alla sua bontà verso i vivi e verso i morti!» (v. 20). Certo Noemi non ringrazia Rut né benedice il Signore per aver trovato una tale nuora, tuttavia inserisce finalmente Rut nella famiglia, usando la forma di prima persona plurale. La vicinanza di Rut che ha cura della suocera sia dal punto di vista materiale che affettivo consente questo cambiamento che giunge fino a riconoscere il volto promettente di quel Dio che aveva accusato di aver procurato il male. «Ancora una volta si potrebbe dire che lo scarto tra la teoria e la pratica, tra quello che si conosce di Dio e l’esperienza concreta che se ne fa, è colmata da persone in carne e ossa che incarnano per noi la misericordia di Dio e che con la loro vita e le loro scelte rompono, per così dire, i sigilli del libro biblico»5. Gli ultimi due capitoli si concentrano sul tema del matrimonio che giungerà a colmare l’assenza di figli, dopo che la spigolatura e il dono di Booz avranno cominciato a risolvere la mancanza di cibo. Di nuovo Rut emerge come una personalità di grande valore. A fronte del progetto della suocera che istiga la nuora a sedurre Booz, secondo una linea convenzionale di comportamento, quello della donna seduttrice appunto, Rut, senza formalmente opporsi alla suocera, interpreta in modo nuovo il progetto che le è stato consegnato, agendo non come una seduttrice, ma come una donna che cerca la verità nelle relazioni. Il suo atteggiamento è tanto più significativo se si pensa alla modalità con cui la letteratura sapienziale descrive la donna straniera, che ammalia il giovane inesperto allontanandolo dalla via della giustizia e della verità. Rut invece appare come la donna saggia di Pr 31; è una straniera, anzi, è una moabita, ma incarna un modello ideale il cui valore è universale. Essere Israelita non è garanzia di unicità in questo caso. Chiunque, da qualunque popolo provenga, anche da quello considerato più alieno e maledetto, può assumere e vivere certi valori. È necessario solo assumerli in maniera consapevole, il che vuol dire avere il coraggio di fare anche scelte non convenzionali, 3 D. SCAIOLA, Rut, 104. D. SCAIOLA, Rut, 127. 5 D. SCAIOLA, Rut, 135. 4 5 più difficili, nuove rispetto alle attese e alle modalità di agire convenzionali e precostituite. Rut sceglie in questo caso la via che mette al centro non la sua bellezza e la sua femminilità, ma la capacità di costruire un rapporto paritario con Booz, mettendosi in gioco in prima persona. La storia si risolve perché davanti a una donna così, anche Booz decide di affrontare con intelligenza e sagacia l’ostacolo finale. Booz appare così l’uomo giusto, non perché prega il Signore attendendo da lui il compimento del suo desiderio, ma perché agisce in modo coerente con i valori che derivano dalla sua fede e anche in modo pienamente umano e “laico”. È da questo intreccio che può nascere la vita Due elementi conclusivi 1. L’agire di Rut e Booz è improntato al disinteresse e alla solidarietà, in un’apertura alla tutela della vita che supera anche ciò che la legge domanderebbe (sebbene già la legge intervenga a proteggere il povero, perché non si tratta di fare la carità a chi è in difficoltà, come se si trattasse di un’opera meritoria e in qualche modo facoltativa). Il valore di entrambi emerge anche per contrasto con un’altra coppia di figure, Orpa e l’anonimo parente i quali si lasciano guidare dal buon senso e dall’interesse, senza peraltro che le loro scelte siano giudicate negativamente dal narratore. Davanti a Rut e Booz il lettore dovrebbe domandarsi come mai entrambi si impegnino in una esistenza che va di fatto contro corrente, in una direzione differente e anzi opposta alla logica seguita dalla massa. Il narratore non ci fornisce motivazioni per nessuno dei due. Resta inspiegabile la scelta di Rut che non decide in primo luogo di convertirsi al Dio di Noemi, ma di legare la sua esistenza a quella della suocera in maniera radicale e totalmente disinteressata. Così come resta alla fine inspiegabile la scelta di Booz di legare la sua vita e i suoi beni a una straniera. È quanto entrambi scelgono di fare a determinare il costituirsi di un movimento di bene. L’iniziativa di Rut che decide di collegare la sua esistenza a quella di Noemi consente alla donna di uscire dalla negatività nella quale era imprigionata: la solidarietà innesca un dinamismo che coinvolge chi dà e chi riceve; ciascuno ha qualcosa da dare all’altro secondo la logica del dono gratuito e disinteressato. Rut e Booz rendono concreta e visibile una caratteristica fondamentale del Dio di Israele, la h esed, quell’insieme di atti liberi e volontari qualificati da una grande generosità, che si è manifestata soprattutto nel cammino dell’Esodo. Il medesimo Signore agisce nella storia del suo popolo non più in forme eclatanti e spettacolari, ma nell’ordinaria ferialità della vita di uomini e donne comuni. Il Signore si rende presente e agisce dove c’è qualcuno, anche una straniera, che vive secondo giustizia e secondo misericordia. Non sappiamo se Rut si sia effettivamente convertita all’ebraismo, tuttavia nei suoi sentimenti, nella sua condivisione, nella sua dedizione incondizionata a Noemi, Dio si è reso presente e anche Noemi ne ha sperimentato il volto di benevolenza. 2. Rut e Booz appaiono così come collaboratori di Dio, ciascuno per la sua parte. Il Signore è presente in maniera discreta, sottile e indiretta, agisce attraverso le esperienze quotidiane, è nei progetti che le persone elaborano, negli obiettivi che si prefiggono di realizzare. Egli assume l’azione umana, trasformando le sorti dei vari personaggi per il bene. Dio, inoltre, è presente nel libro attraverso le benedizioni che vengono pronunziate nel suo nome (1,8-9; 2,4.12.19-20; 3,10; 4,11-12.14-15). La benedizione è un atto di fede che riconosce nei segni semplici della vita ordinaria la manifestazione dell’amore di Dio e della sua assoluta gratuità. Collegare a Dio gli atti buoni che gli uomini compiono, vuol dire che coloro che li compiono trovano la loro origine e il loro fondamento nell’agire misericordioso di Dio. Nel libro di Rut questa caratteristica si collega a un altro aspetto: i personaggi benedicono il Signore e poi agiscono in prima persona per promuovere la vita dell’altro attraverso gesti di solidarietà; si rivolgono al Signore e poi cominciano a tradurre in realtà essi stessi ciò per cui hanno pregato Dio. Grazia Papola