“Tuo Padre e io”: solo il “NOI” educa

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“Tuo Padre e io”: solo il “NOI” educa
“Tuo Padre e io”: solo il “NOI” educa
Spesso ai colloqui scolastici si presenta solo uno dei coniugi, la mdre. Ma così la relazione genitore-figlio si sbilancia.
Di Alessandro D'Avenia
“Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: ‹‹ Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco,
tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo››. Ed egli rispose: ‹‹Perché mi cercavate? Non sapevate che
io devo occuparmi delle cose del Padre mio?››. Ma essi non compresero le sue parole” (Lc 2, 4850).
Come avevo promesso nella rubrica del mese scorso, in cui mi sono soffermato sulle parole
di Gesù, vorrei ora approfondirne quelle pronunciate da Maria dopo la ricerca affannosa e il
ritrovamento di Gesù. Esse evidenziano in modo chiaro che l'azione educativa è coniugale, comune,
di coppia.
La priorità nelle relazioni famigliari è data alla coppia: la famiglia è immagine della qualità
di questa relazione. Il rapporto marito-moglie è prioritaria rispetto a quello genitori-figli. Per questo
l'azione educativa necessita studio, riflessione, ricerca comuni.
Nel passo in questione si dice “tuo padre e io ti cercavamo”. La responsabilità è di un “noi”,
che riconosce un'autorità relazionale: tuo padre ed io ( in cui l'io s mette al secondo posto non solo
per semplice bon ton). Essi hanno condiviso la ricerca e l'angoscia. Sono sempre in due nel bene e
nel male, nel successo e nel fallimento. Resta protagonista il noi.
Spesso ai colloqui scolastici c'è soltanto uno dei coniugi, per lo più la madre. So quanto
costa essere presenti entrambi, ma se trattasse di un ricovero ospedaliero non farebbero di tutto per
esserci? E in un colloquio si cura l'anima del proprio figlio, non solo il corpo: è questione vitale
anch'essa. Possono non essere d'accordo l'uno con l'altro, ma il colloquio con l'insegnante diventa
occasione di relazione: c'è quando c'è in gioco un bene pù grande che trascende, supera, coloro che
sono implicati nel raggiungerlo. Solo così la diversità diventa reciprocità, perché ciascuno ha da
dare qualcosa di unico per il raggiungimento di quel bene, che crea e rafforza la relazione. Quando
l'azione educativa diventa solitaria la relazione genitore-figlio si sbilancia, si cerca nel figlio ciò che
si dovrebbe trovare nella relazione con il coniuge. I figli diventano campo di attese affettive che non
sono loro proprie.
La relazione non è solo “legame” ma anche “riferimento”. Non si limita al faccia a faccia ma
si con-fronta (volge le due facce a) con qualcosa di esterno, più alto. Solo così la relazione non si
indebolisce, perché quel riferimento esterno la vitalizza. In assenza di un bene più grande le
relazioni si esauriscono, perchè si riducono a compagnia, legame emotivo.
La forza dell'azione educativa condivisa crea invece quella giusta distanza tra genitori e
figlio che è lo spazio in cui quest'ultimo può crescere. Se questo spazio è soffocato da eccessiva
vicinanza o dilatato a dismisura dall'assenza, il figlio non cresce armonicamente.
Solo il noi educa, perché riconosce il bene in gioco: entrambi cercano, entrambi sono
angosciati, entrambi cercano soluzioni, entrambi nella chiusura del passo si dice non capiscono la
risposta del figlio che afferma la sua autonomia.
Se la coppia non trova luoghi e tempi di condivisione come i colloqui scolastici,
l'educazione rischia l'improvvisazione e si sbilancia su un rapporto di uno dei due con il figlio, con
conseguenti incomprensioni, incoerenze, solitudini.
Nonostante tutto ciò l'azione educativa può rivelarsi anche inefficace (i due non capiscono la
risposta di Gesù), ma se ne affronterà la fatica insieme. L'azione educativa è spesso chiamata a
sostenere un fallimento, e la sua forza sta proprio nel reggere quel fallimento, a scanso di chi si
illude che esistano genitori e figli perfetti. Esistono solo genitori imperfetti chiamati da figli
imperfetti a tirare fuori le risorse di amore che ogni coppia ha. Se Maria e Giuseppe se ne fossero
tornati a casa senza cercare Gesù pensando che tanto era il figlio di Dio, sarebbero stati genitori
poco responsabili, ma se gli avessero impedito di andare con l'altro (origine dell'equivoco dello
smarrimento) egli non avrebbe trovato lo spazio per fare “le cose del Padre suo”. Per essere se
stesso.