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http://route66.corriere.it/2013/07/01/america-nuova-terrapromessa-primo-libro-su-storia-ebrei-italiani-fuggiti-in-usadurante-fascismo/
“America, nuova terra promessa”: primo libro sulla storia
degli ebrei italiani fuggiti in Usa durante il fascismo
NEW YORK – E’ il primo libro interamente dedicato alla storia degli ebrei italiani fuggiti in Usa dal
1938 al 1940 a causa delle leggi razziali del regime fascista. L’autrice Gianna Pontecorboli,
giornalista genovese con una lunga carriera come corrispondente dall’estero di periodici e quotidiani
italiani, ha impiegato oltre cinque anni per raccogliere la trentina di testimonianze contenute in
“America, nuova terra promessa” recentemente pubblicato in Italia da Brioschi Editore (con
una prefazione di Furio Colombo). “L’idea di questo libro mi è venuta non appena sbarcai negli Stati
Uniti, 35 anni fa”, spiega l’autrice, “e conobbi diversi ebrei emigrati dall’Italia subito prima della
Seconda Guerra Mondiale. Mi hanno subito incuriosita e affascinata perché erano perfettamente
integrati sia con l’ambiente americano, ebraico e non, sia con la comunità italiana, ma al tempo stesso
continuavano a essere ‘diversi’. Anche se capii subito che la loro storia meritava di essere raccontata, i
tempi non erano maturi perché il trauma dell’esilio bruciava ancora troppo sulla pelle di molti”.
Gianna Pontecorboli
Chi sono i protagonisti del suo libro e con quale criterio li ha
scelti? “Gli esuli che scelsero l’America appartenevano soprattutto
all’alta borghesia ebraica dei professionisti e intellettuali che avevano i
soldi e i contatti necessari per fare un vero e proprio salto nel buio. In
un gruppo di circa 2000 persone non mancavano però i giovani,
oltre a qualche rappresentante della piccola e media borghesia. Nel
libro volevo includere tutti e per questo ho cercato, nei limiti del
possibile, di diversificare le testimonianze”.
Come furono accolti questi esuli dall’America e soprattutto
dagli ebrei americani?
“Non è stato facile, perché gli italoamericani li consideravano ebrei e
gli ebrei li vedevano come italiani. Per di più, all’epoca, nella società
Wasp i pregiudizi contro gli ebrei e contro gli italiani erano ancora
molto forti. Credo che a pesare sui nuovi arrivati fosse soprattutto la freddezza degli ebrei americani,
askenaziti dell’Europa Orientale sconcertati da questi strani correligionari che non parlavano una
parola di Yiddish”.
Quali difficoltà hanno incontrato nell’integrarsi?
“Il problema maggiore è stato ricostruirsi una stabilità economica e professionale, perché molti hanno
dovuto cambiare lavoro o reinventarsi in qualche modo. Gli avvocati e i medici hanno dovuto dare gli
esami per avere la licenza per esercitare la professione. I professori hanno trovato molte porte chiuse
perché erano già arrivati tanti docenti dalla Germania e dagli altri paesi già sotto il tallone dei nazisti. I
più anziani ne hanno risentito molto, mentre i più giovani hanno trovato abbastanza presto la loro
strada”.
In quali città americane si è registrato il più alto tasso di esuli ebrei italiani?
“Il primo porto d’arrivo è stato New York, dove tutti sono sbarcati e dove tutti si sono fermati almeno
temporaneamente. Solo in un secondo momento gli esuli si sono trasferiti, diversi sono andati a Boston,
qualcuno a Washington, a Chicago, in California o in Florida. Ancora alla fine degli anni settanta, però,
la maggioranza abitava a New York e nei suoi sobborghi”.
Questi esuli erano in qualche modo in contatto tra di loro?
“Formarono un circolo molto stretto e affiatato, in cui tutti si aiutavano come potevano. Per superare il
senso di estraniamento e la nostalgia, cercavano di andare ad abitare vicino alle famiglie amiche, spesso
nel West Side di Manhattan. Un grosso aiuto lo dava anche la Spanish and Portuguese
Synagogue, la storica
sinagoga sefardita di Central
Park West, che organizzava
incontri e conferenze
soprattutto per i giovani”.
La maggior parte di loro ha
chiuso con l’Italia che li ha
respinti o ha mantenuto un
legame con la
madrepatria?
“Quasi nessuno ha chiuso
completamente i rapporti. Anzi
gli italiani sono rimasti più
legati al loro paese d’origine di
gran parte degli altri esuli
europei. Una delle ragioni che
mi hanno spinta a scrivere
questo libro è stata proprio la
realizzazione di quanto siano stati importanti gli ebrei italiani nell’aprire le porte dell’America all’Italia
del dopoguerra”.
Tra tutte queste straordinarie storie umane, quali l’hanno colpita di più e perché?
“Quelle degli scienziati Robert Fano e Andrew Viterbi e del giudice Guido Calabresi sono storie
di successi straordinari. Ma anche le testimonianze più semplici, delle mogli rimaste nell’ombra o di
quelli che hanno fatto una carriera più modesta mi hanno mostrato l’incredibile coraggio e la
determinazione di un piccolo gruppo deciso a superare ogni difficoltà”. Molti degli esuli italiani del
fascismo sono morti.
La sua è stata anche una lotta contro il tempo?
“No, perché come ho spiegato all’inizio, cominciai a raccogliere le testimonianze già diversi anni fa.
Adesso, purtroppo, molti sono morti, ma le loro voci sono ancora vive sul mio registratore…”
Dal blog di Alessandra Farkas