Le liriche di Debussy su testo di Paul Bourget

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Le liriche di Debussy su testo di Paul Bourget
Conservatorio di Musica L. Perosi - Campobasso
Corso sperimentale
«Repertori vocali da camera»
“La romanzistica francese” la lirica in Francia nel secolo XIX
Anno Accademico 2003 - 2004
Le liriche di Debussy
su testo di Paul Bourget
Elaborato nelle materie: Storia della musica dell’800,
Storia della poesia per musica, Armonia e Analisi, Critica del testo
musicale, Estetica Musicale, Elementi di Discografia
Docenti:
Barbara Lazotti
Piero Niro
Luigi Pecchia
Allieva: Florinda Ciccotelli
-1-
«…la bellezza di un’opera d’arte resterà sempre
misteriosa, non si potrà mai verificare esattamente
com’è fatta. Lasciamo alla musica questa peculiare
magia; grazie alla sua essenza, è capace di contenerne
più di qualsiasi altra arte…»
Debussy
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INDICE
*
Introduzione
*
La figura dell’intellettuale nella Francia....
*
L’ Impressionismo
*
Il Decadentismo, Simbolismo
*
Uno sguardo alla vita musicale francese della seconda metà
dell’Ottocento
*
Claude Debussy
*
Debussy e la sua musica
*
Le liriche su testo di Paul Bourget
*
Le poesie I testi
*
Bibliografia
-3-
ABSTRACT
DEBUSSY E LA SUA MUSICA
Debussy può essere considerato il primo musicista d'avanguardia del
Novecento, padre della musica moderna per le sue innovazioni. A partire dal
momento in cui compare la musica di Debussy, la storia della musica compie
un notevole cambio di rotta. Le innovazioni strettamente tecniche, come l'uso
degli intervalli dissonanti, di accordi non legati tra loro, delle scale
pentatoniche ed esatonali, fanno sentire la sua musica particolarmente
pungente e innovativa. In realtà lo scopo di Debussy è quello di liberare la
musica da regole sintattiche e procedimenti di sviluppo prestabiliti.
Come scrive Maria Francesca Cuccu:
«Egli propugna l’“uso di un modo instabile”, di “accordi incompleti, fluttuanti,
in modo che, sfumando il tono, si possa sempre finire dove si vuole, uscire e
rientrare dalla porta che si preferisce”. L’uso di scale per toni interi e di tonalità
lontane, gli consente di far stare la musica in una sospensione continua; l’orecchio,
che non sente il semitono, sta spesso in uno stato d’indecisione ed incertezza, ma
d’infinita libertà, per l’immaginazione, di poter balzare da una parte all’altra, perché
per Debussy “la musica è una cosa libera, che è dappertutto… ma soprattutto non è
sulla carta”. E per finire dove vuole lui, egli presta una grandissima attenzione al
timbro dei diversi strumenti. Nelle epoche precedenti, i principi formali non avevano
rapporto con il timbro. In Debussy il timbro condiziona in larga misura i valori
-4-
formali, in quanto ogni strumento ha una sua voce diversa che suscita diverse
immagini nella mente di chi ascolta.» 1
Oltre al timbro, un altro elemento innovativo ed essenziale nella musica
di Debussy è l’Arabesco, sottile combinazione di elementi floreali e
geometrici, che lo stesso compositore definiva “divino”.
2
Debussy è
affascinato dal suo carattere astratto privo di valori simbolici definiti: esso
agisce unicamente attraverso la purezza della sua bellezza.
Scrive ancora nel saggio citato Maria Francesca Cuccu che secondo
Jankélévitch
«…Gli arabeschi di Debussy ricalcherebbero il fenomeno del geotropismo,
(l'influenza della forza di gravità sull'orientamento di foglie e radici): in salita, creando
un senso di sradicamento dato dalla sovrapposizione di accordi perfetti, ognuno dei
quali relativo a una tonalità differente, che non danno continuità e un discorso
musicale razionale, ma si limitano ad esistere nello spazio. In discesa, l'arabesco
debussiano simboleggia un sentimento di spavento e di fuga, di caduta, oppure di
languore, in particolare sensuale.» 3
1
M. F. Cuccu, La “musica sognata” di Claude Debussy, in “XÁOS. Giornale di confine”
2
Si designa abitualmente con il termine Arabesco quella linea sinuosa che prende origine nei
motivi di piante stilizzate dell’arte ornamentale greca, bizantina, araba e persiana e, applicato in
senso figurativo, in musica indica una composizione di carattere elegante, dal ritmo scorrevole e
dalla melodia sinuosa. Come genere musicale risale all’Ottocento e non ha uno schema formale
particolare.
3
M. F. Cuccu, op. cit.
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Debussy crede nella forza magica dell'arabesco, simbolo carico di
mistero e sensualità. Il fascino provato per questo elemento orientaleggiante è
lo stesso che si era destato in lui quando ha avuto modo di sentire, durante
l’Esposizione Universale del 1889, le musiche indonesiane di Bali e Giava.
In queste isole, dalla cultura musicale estremamente sviluppata, si pratica
un’“armonia” impostata su due scale distinte: pelog e slendro, entrambe
pentatoniche.
Centro dell’orchestra indonesiana (gamelan),sono gli idiofoni (gong,
metallofoni, xilofoni); la costruzione melodica risulta estremamente semplice,
mentre grande importanza è attribuita al timbro. La genuinità di queste
musiche, la loro semplicità e spontaneità affascinarono Debussy e la forte
impressione che ne ebbe si rifletté nelle composizioni degli anni successivi a
questa data.
L'uso del silenzio è un'altra delle grandi innovazioni della musica di
Debussy. Il silenzio è per Debussy una struttura musicale di pari importanza
del suono, come per Mallarmé lo erano gli spazi bianchi in luogo di parole,
congiunzioni e segni di interpunzione.
Si ha quindi un uso simbolico del silenzio, come allusione
all’inesprimibile. Lo stesso Debussy dice: “la musica inizia là dove la parola è
incapace di esprimere, la musica è destinata all’inesprimibile; vorrei che
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uscisse dall’ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse, che fosse sempre
discreta”.
Debussy parla spesso del profumo del suono: per lui è importante che la
musica debba esser percepita da tutti i sensi perché l'ascoltatore possa meglio
immergersi in ciò che essa può evocare e perché possa lasciare una scia, una
sensazione, come una ventata di profumo.4
La musica di Debussy viene spesso associata alla poesia di Mallarmé.
Maria Francesca Cuccu scrive:
«Un altro oggetto dall’evanescente ambiguità, comune ai due artisti è il velo. La
metafora del velo tanto cara ai simbolisti è presente in Debussy; ricordiamo le frasi
del musicista “sono andato a cercare la musica dietro tutti i veli che accumula” e “la
musica è un sogno a cui son stati tolti i veli”…….Il velo oltre che essere emblema di
sostanze effimere e volatili è un oggetto che consente di vedere ma nello stesso
tempo di non vedere con chiarezza. Si crea un enigma, che per Jankélévitch è privo
di soluzione, in quanto dietro il velo non c'è una verità,……. I simbolisti vogliono
che lo sguardo sia filtrato dal velo: l’essenza intima delle cose è nascosta nelle parole
che devono spogliarsi del significato tradizionale e avvalersi di simboli complessi; la
“poesia pura” (come il suono puro per Debussy) è il mezzo per ricercare ed
esprimere l'ideale assoluto. Il velo non vuole essere alzato, perché come disse
Debussy la troppa chiarezza distrugge il sogno……. I simbolisti, d’altro canto,
aspiravano alla riscoperta di una dimensione musicale della parola, come infinita
4
Quest’immagine richiama alla “poetica delle corrispondenze” di Baudelaire.
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possibilità di significati, in quanto la musica per la sua asemanticità consente di
svelare e nascondere allo stesso tempo ciò che esprime.» 5
Francesco Spampanato scrive che:
«La musica, arte ambigua e misteriosa per eccellenza, libera dalla fissità delle
forme delle arti plastiche e dalle relazioni semantiche tipiche di un codice linguistico,
sembra proprio soddisfare tutti i requisiti dell’opera-simbolo sognata dai
simbolisti……. Debussy non ama le anguste regole che la tradizione impone alla
composizione musicale: “La teoria non esiste”, diceva all’amico Guiraud, “basta
saper ascoltare”. L’eccessiva ricercatezza e la complicazione fanno della musica
un’arte chiusa e scolastica, mentre, nelle idee del musicista francese, essa è “un’arte
libera, zampillante, un’arte d’aria aperta, un’arte a misura degli elementi, del vento, del
cielo, del mare”. Egli sostiene infatti che “vedere il sorgere del giorno è più utile che
sentire la Sinfonia Pastorale” e che un compositore non dovrebbe “ascoltare i consigli
di nessuno se non del vento che passa e ci racconta la storia del mondo”. Egli è
affascinato da quei “piccoli popoli che impararono la musica semplicemente come si
impara a respirare” e il cui “conservatorio è il ritmo eterno del mare, il vento tra le
foglie, e mille piccoli rumori che essi ascoltarono con attenzione, senza mai
consultare arbitrari trattati”». 6
Debussy aspira ad un'arte fatta di accenni, di misteriose analogie, perché
l'arte non dice tutto ma, lasciando un alone di indeterminazione intorno a
5
M. F. Cuccu, op. cit.
6
F. Spampanato, Debussy e la seduzione dell’acqua. Suggestioni e metafore della liquidità della musica,
in Musica/Realtà, LXVI, 2001.
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quanto
viene
accennato,
lascia
all'immaginazione
e
al
sentimento
dell'ascoltatore la possibilità-libertà di definirsi, di continuare a risuonare.
Debussy viene spesso chiamato musicista impressionista: per anni si è
disputato intorno alla scelta di collocare il musicista tra impressionismo e
simbolismo.
Il termine impressionismo è stato applicato per la prima volta alla musica
di Debussy nel rapporto del segretario dell'Accademia di belle arti, alla fine del
1887. Esso, usato in senso peggiorativo, riguardava la suite in due parti
Printemps, per coro femminile a bocca chiusa e orchestra.
Diversi sono gli elementi che accomuna Debussy alla pittura
impressionista. Maria Francesca Cuccu sostiene che
«Il linguaggio pittorico si adatta perfettamente alle sue musiche e al suo modo
di comporre per cui frequentemente si parla di “macchie sonore”, data soprattutto la
tecnica di giustapposizione di accordi e la non chiara linea di un disegno musicale.......
La ricerca del suono puro ricalca la tecnica dell'uso dei soli colori puri della tavolozza
degli impressionisti. Debussy usa il timbro come questi usano il colore. Nella sua
musica non c'è necessariamente un discorso logico che conduce l’andamento del
brano, come nella pittura impressionista manca il disegno, la linea marcata. Debussy
e gli impressionisti colgono le impressioni offerte dal mondo esterno, e le
riproducono prima che intervenga l’intelletto a riordinarle....... Un altro tratto
comune tra il musicista e i pittori impressionisti è l’uso della luce e dell'ombra, il cui
gioco permea interamente il Pelléas et Mélisande e che incarna il principio di Monet
secondo il quale “le personnage principale d’un tableau, c’est la lumière” e la stessa
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ombra non è che una luce di un’altra qualità e di un altro valore…. Infine non si può
ignorare l’accostamento tra la pittura “en plein air” e la musica che “predilige gli
spazi aperti”. I pittori impressionisti lasciarono lo studio per osservare la realtà e
coglierne fedelmente la verità, rappresentando quello che l'artista vede, non quello
che sa.» 7
Scrive V. Jankelevitch:
“Come l’impressionismo, dissolvendo la polarità manichea di ombra e luce (che
coincide con quella del negativo e del positivo), non ammette che macchie di colore,
vibrazioni solari e l'innumerevole varietà delle sfumature, così gli accordi debussiani
formano una sfilata di atmosfere tutte equivalenti, tutte valide nella loro irriducibile
eterogeneità, tutte ugualmente superficiali o ugualmente profonde a seconda
dell'aspetto sotto il quale le si considera”.
Debussy teme che l'interpretazione iconografica della sua musica, ne
avrebbe distrutto proprio la sostanza musicale. Sicuramente è stato
influenzato dai vari movimenti artistici che animavano la cultura parigina del
suo tempo. L’allusione simbolica e l’impressione sono le influenze più
determinanti che lo guidano verso una nuova concezione della composizione
e verso una nuova dimensione del tempo musicale; quando però si accorge
che anch’esse rischiano di diventare nuove etichette, cerca di liberarsene.
Debussy rifiuta categoricamente qualsiasi aggettivo che possa attribuire
alla sua musica l’appartenenza a qualsiasi movimento: trovare nelle sue pagine
7
M. F. Cuccu, op. cit.
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il confine tra ciò che è descrizione e ciò che è allusione è un problema arduo
da risolvere. Egli rivendica alla sua musica «…una libertà che essa può
raggiungere forse più di ogni altra arte poiché non è limitata ad una
riproduzione più o meno esatta della natura, ma è intesa a cogliere le
misteriose corrispondenze tra Natura e Immaginazione.» 8
8
S. Jarocinski, op. cit.
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LE LIRICHE SU TESTO DI PAUL BOURGET
Tra il 1876 e il 1884, l’immaginazione di Debussy resta sotto il dominio
esclusivo dei “Parnassiani” Théodore de Banville, Leconte de Lisle e del loro
emulo Paul Bourget. Lettore occasionale di Verlaine e di Mallarmé alla fine di
questo periodo della sua vita, egli diventa un loro fervente ammiratore negli
anni 1885 – 1891, con una corta interruzione all’epoca della sua infatuazione
per Baudelaire.
Le melodie sui testi di Bourget, sono scritte in circostanze e per ragioni
diverse e il loro valore artistico è abbastanza disomogeneo.
R. Zimmermann
9
osserva che la scelta di queste liriche da parte del
giovane Debussy rimane un “inique and a paradoxical phenomenon” in
quanto ritiene che nelle liriche di Bourget non si possono ritrovare quegli
elementi musicali del linguaggio poetico a cui Debussy presta tanta
attenzione.
Come già è stato detto, Debussy conosce personalmente Paul Bourget.
Nato ad Amiens, nella Francia settentrionale, il 2 settembre 1852,
Bourget muove i primi (ed unici) passi nel campo della lirica con alcune
raccolte di versi: “Au bord de la mer”, del 1872, “La vie inquiète”, del 1875, e “Les
aveux”, del 1882. Il genere di lirismo che coltiva nelle sue poesie giovanili
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risente dell’influsso malinconico, sentimentale e patetico che vibra in quel
periodo e al quale il giovane Debussy, torturato da dispiaceri d’amore, non
poteva restare insensibile. Quasi tutti i versi di Bourget che Debussy ha messo
in musica raccontano ricordi malinconici di una felicità passata.
Le poesie che Debussy musica sono in gran parte tratte dalla raccolta
“Les aveux”:
*
“Beau soir” (Les aveux): composta nel 1880 circa e pubblicata da
Girod, Parigi, nel 1891;
*
Romance: “Silence ineffable” (Les aveux : Romance): dedicata a M.me
Vasnier, composta nel 1883 e non pubblicata;
*
“Musique” (Les aveux, 1er livre, Amour ) : dedicata a M.me Vasnier,
composta nel 1883 e non pubblicata;
*
“Paysage sentimental ” (Les aveux, 1er livre, Amour) : dedicata a
M.me Vasnier, composta nel 1883 e pubblicata in “Revue Illustrée” del 15 aprile
1891;
*
Romance: “Voici que le printemps” (Poésies, 2è livre) : dedicata a
M.me Vasnier, composta nel 1884 e pubblicata da Eschig, Parigi, nel 1907;
*
“La romance d'Ariel ” (Les aveux : Souvenirs du nord) : dedicata a
M.me Vasnier, composta nel 1884 e non pubblicata ;
9
R. Zimmermann, Osservazioni conclusive in “Claude Debussy - Cinque liriche su testo di
Paul Bourget”
- 13 -
*
Regret: “Devant le ciel” (Les aveux, 1er livre, Amour) : dedicata a
M.me Vasnier, composta nel 1884 e non pubblicata;
*
Deux romances : “L’âme évaporée”
e “Le Cloches” (Les aveux) :
composte nel 1891 e pubblicate da Durand, Parigi, nel 1891.
Delle liriche musicate, solo cinque sono state pubblicate. Non essendo
un vero e proprio ciclo, le cinque liriche presentano diverse “soluzioni
formali”:
*
la forma A – B in “Beau Soir” ;
*
la forma A – B – A’ in “Romance”, “Voici que le printemps” e in
“Paysage sentimental”;
*
la forma aperta in “Le Cloches”.
Tutte hanno in comune il ruolo predominante del pianoforte, che, con
una scrittura essenziale, svolge il compito di “intrecciare” sottili trame
tematiche su cui si inserisce la linea melodica della voce.
Non si può qui affermare che il contenuto delle poesie abbia influenzato
la forma delle liriche: questo succederà solo nei grandi cicli, come nei “Cinq
poémes de Baudelaire” o nelle “Ariettes Oubliéès”.
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In “Romance” troviamo una sorta di simmetria tra l’inizio della poesia e
quello della melodié. Le prime due battute della lirica espongono l’inciso
tematico su cui si svilupperà tutta la melodié. In questo primo inciso,
armonicamente non vi è polarizzazione né verso la tonalità maggiore, né
verso quella minore, lasciando il nostro orecchio in un clima ambiguo,
“evaporante”, dove la voce declama i primi due versi («L’âme évaporée et
souffrante, / L’âme douce,…» ) in una sorta di recitativo. Anche la scelta del
registro vocale contribuisce ad evocare la evanescenza dell’anima: sul livello
sonoro del piano lasciato dal pianoforte, si inserisce la voce che, dal mi, sale
per terze. È come se il compositore avesse voluto invertire i “ruoli”: la
melodia che si muove per gradi congiunti è, infatti, affidata al pianoforte e
non alla voce.
La scrittura musicale sembra assecondare i versi della poesia. Il primo
verbo lo troviamo nel terzo verso («Des lis divins que j’ai cueillis / Dans le jardin
de ta pensée,…» ) e quello che potremmo definire come “introduzione” diventa
un levare che giunge, dopo una cadenza perfetta, su un inaspettato ostinato
ritmico del pianoforte, caratterizzato da una pedalizzazione su cui troviamo
un concatenamento di accordi alterati che danno luogo (o la sensazione) di
una successione di none di dominante (in realtà si tratta di dominanti
secondarie).
A battuta 9, riemerge nel pianoforte il tema iniziale che è da spunto
melodico per le battute successive, mentre la voce continua ad avere la sua
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melodia caratterizzata da costanti salti di terza («Où donc les vents l’ont-ils chassée,
/ Cette âme adorable des lis?»)
Si arriva alla sezione centrale. L’ostinato ritmico del pianoforte si è
trasformato in un ostinato melodico, dove il ritmo armonico viene come
sospeso su una nuova pedalizzazione e sul quale la voce ricama la sua melodia
sempre delicata: quasi a sottolineare le parole «suavité céleste», la melodia sale
lievemente con delle crome verso il fa#, e ancora, quasi a descrivere il «vapeur
surnaturelle», abbiamo una scala ascendente di semiminime che dal mi sale fino
all’ottava superiore. Da questo punto, nella linea melodica della voce
possiamo finalmente trovare una successione di gradi congiunti che, unito
all’uso delle semiminime, fa sì che ci sia un effetto quasi di dissolvenza
ottenuto anche grazie al crescendo e diminuendo inserito in una dinamica generale
che è il piano.
Si arriva quindi all’unico e vero momento di espansione lirica, in cui, sia
nella linea del pianoforte che in quella della voce, ritroviamo il primo inciso
melodico: esso è all’unisono e raddoppiato nel pianoforte, creando
un’espansione dei piani sonori che verrà subito riportata al piano nella battuta
seguente.
A battuta 16, sulla parola béatitude, quasi ad enfatizzarne il significato,
Debussy crea una sospensione nella melodia, che si immette su un accordo di
13ª, nel quale possiamo ritrovare tutti i gradi della scala di re maggiore, e dove
inserisce, ancora una volta, nella voce intermedia del pianoforte il tema
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iniziale che, quindi, come in una sorta di cerchio, chiude il brano. È
interessante osservare che in tutta la melodié possiamo trovare solo due
cadenze perfette (quella di cui ho già parlato e quella finale). Il procedimento
delle dominanti che non sfociano mai sulla tonica, continuando a rimandarne
la risoluzione, evitando la sensazione di appoggio tonale, crea, una
fluidificazione del discorso musicale.
“Le Cloches”, pubblicata insieme a “Romance”, è una melodié
fine e
delicata. A livello sonoro è caratterizzata da un piano, come se Debussy non
volesse turbare il ricordo degli anni di felicità evocato dall’eco delle campane
lontane.
Il pianoforte inizia con un frammento, posto nel registro centrale dello
strumento, che percorrerà ostinatamente tutta la prima parte della melodié,
richiamando alla mente il suono delle campane. È interessante notare che
anche qui la linea melodica della voce si muove prediligendo i salti di terza.
In corrispondenza della seconda quartina della poesia («Rhythmique et
fervent comme une antienne /ce lointain appel / me remémorait la blancheur chrétienne /
des fleurs de l'autel…») nella melodié troviamo una sorta di solennizzazione
ottenuta attraverso l’uso di una scrittura pianistica più densa e di valori più
ampi nella linea vocale.
Nella parte centrale, da battuta 21, il frammento iniziale del pianoforte
si sposta di due ottave verso il registro acuto: i valori vengono dilatati quasi ad
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evocare il ricordo di una felicità che si allontana sempre di più e i piccoli
arpeggi iniziali vengono allargati quasi a creare distanza tra chi ascolta i
rintocchi e le campane. Si giunge qui all’apice della melodié, dove, sui versi
«…semblaient reverdir les feuilles fanées…», a batt 31 la voce arriva a toccare il
punto più acuto della sua linea e il pianoforte quello più grave, nel momento
in cui, nella poesia, sembra esserci un momento di “illusione” di un ritorno
della felicità perduta per tornare subito dopo nella consapevolezza che i giorni
passati non torneranno più. Senza inserire indicazioni di rallentando, Debussy
riesce a creare, nel concludere questa lirica, l’immagine delle campane che
lentamente fermano il loro rintocco, semplicemente estendendo gli arpeggi
che, coprendo gran parte dell’estensione del pianoforte, andranno a spegnersi
in un pianissimo nel registro acuto dello strumento.
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