Ricerca: gli italiani vincono i finanziamenti, il Paese ci

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Ricerca: gli italiani vincono i finanziamenti, il Paese ci
23-02-2016
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Ricerca: gli italiani vincono i
finanziamenti, il Paese ci perde
L'ultima polemica nata dopo i risultati dei bandi Erc riapre il dibattito
sui problemi della ricerca italiana. I fondi sono passati da 100 a 13
milioni di euro all'anno, mentre in Francia se ne spendono oltre 400. Il
fisico Giorgio Parisi ha lanciato un appello su change.org per spingere il
governo a fare di più: "L'Italia finanzia la ricerca degli altri Perché non
riesce a sostenere la propria"
di Daniele Lettig
Roberta D'Alessandro
circa una settimana fa
Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati. La mia ERC e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non
italiane. L'Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone
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ROMA. Come un fiume carsico, la polemica sulle difficoltà della ricerca in Italia
ritorna ciclicamente all'attenzione dei media. L'ultimo capitolo è il post pubblicato
su Facebook sabato 13 febbraio da Roberta D'Alessandro, ricercatrice
italiana che vive e lavora a Leida, in Olanda, diretto contro il ministro
dell'Istruzione Stefania Giannini: "Ministra, la prego di non vantarsi dei miei
risultati" esordiva il post, condiviso in poco tempo da migliaia di persone. 042782
23 febbraio 2016
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che nella lista degli assegnatari dei fondi ERC non compaiono, né
compariranno mai.
E così, io, Francesco e l'altra collega, Arianna Betti (che ha appena
ottenuto 2 milioni di euro anche lei, da un altro ente), in 2 mesi abbiamo
ottenuto 6 milioni di euro di fondi, che useremo i... Altro...
ERC Consolidator, per Giannini "un
successo", ma...
30 ricercatori italiani hanno vinto il bando europeo.
Ma 17 lasceranno il Paese
UNINEWS24.IT
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La Giannini, il giorno precedente, sempre su Facebook aveva esultato per le 30
borse di studio ottenute da ricercatori italiani nell'ambito del programma
"Consolidator Grant 2015" dell' European Research Council (Erc-Consiglio
europeo della ricerca), un'agenzia dell'Unione europea dedicata al supporto
della ricerca scientifica. I progetti d’eccellenza che superano le rigide selezioni
vengono finanziati con somme che possono arrivare fino a due milioni di euro
per cinque anni. Stefania Giannini
circa 2 settimane fa
Un'altra ottima notizia per la ricerca italiana. Colpisce positivamente il dato
del numero di borse totali ottenute dai nostri ricercatori, che ci posiziona al
terzo posto insieme alla Francia. Ma, soprattutto, colpisce il fatto che siamo
primi per numero di ricercatrici che hanno ottenuto un riconoscimento.
Complimenti ai nostri ricercatori e alle nostre ricercatrici!
I Grant sono in tutto 302. L'Italia è terza (con riferimento al...
Altro...
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​#​Ricerca​ 'Consolidator Grants' 2015 dell'ERC (https://erc.europa.eu/), assegnati 585
milioni.
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Organizzazione governativa · Piace a 55.056 persone · 12 febbraio alle ore 8:46 · Data
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I bandi Erc. Il bando pubblicato nel 2015 ha assegnato 30 borse, su un totale di
302, a ricercatori di nati nel nostro Paese, che risulta al terzo posto nella
classifica delle nazioni con più finanziamenti ottenuti.
Tuttavia gli assegni non vengono attribuitii al Paese-Italia, ma ai singoli
ricercatori in base ai progetti presentati: sono loro poi a decidere l'istituzione
universitaria presso la quale utilizzarli. E quelli che hanno scelto di svolgere le
loro ricerche in Italia sono meno della metà , 13 su 30. Nel grafico qui sotto, tratto dal documento dell'Erc che riepiloga i vincitori del
bando, la freccia rossa indica la colonna dell'Italia: sono 30 i ricercatori italiani
ad essersi aggiudicati un finanziamento. In verde sono indicati i 17 che
svolgeranno le ricerche all'estero, in celeste i 13 che resteranno in Italia.
Questo aspetto potrebbe non essere un problema: anche sei ricercatori
britannici andranno fuori dal loro Paese. Però il Regno Unito avrà un bilancio di
67 nuovi studiosi: 26 che resteranno a lavorare in patria, e ben 41 provenienti
dall'estero. Al contrario in Italia, a fronte dei 17 connazionali che faranno ricerca
all'estero, non arriverà neanche uno studioso straniero. Il sistema universitario
italiano, dunque, è poco attrattivo: i motivi chiamano in causa sia i finanziamenti
che i meccanismi di reclutamento e carriera.
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Dal 2009 al 2015, quindi, l’importo del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo),
cioè dei soldi che servono a pagare gli stipendi di tutto il personale (docente e
non) e a gestire le strutture, è passato da circa 7,5 miliardi di euro a poco meno
di 6,5. Tenendo conto dell’andamento dell’inflazione, un calo del venti per cento
netto: "il che non vuol dire – prosegue Sylos Labini – un taglio del 20 per cento
degli stipendi o delle spese ad esempio per l’elettricità, ma un taglio dei soldi
'liberi', ovvero quelli destinati a reclutamento e ricerca". Il risultato, come si vede
dai dati del Cineca (il consorzio che raggruppa 70 atenei italiani e il Ministero
dell'Istruzione) è la diminuzione di circa un sesto del numero di professori e
ricercatori, passati dai 60 mila del 2008 ai 51 mila del 2015.
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L'Italia taglia da otto anni. "I fondi Erc sono la ciliegina sulla torta. Il problema è
che la torta in Italia non c’è, ed è un problema strutturale che viene dalla legge
133 del 2008" dice Francesco Sylos Labini, astrofisico all’Istituto dei Sistemi
Complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) a Roma. Sebbene già
all’epoca il settore non se la passasse bene, infatti, nel 2008 il governo
Berlusconi-Tremonti, con la legge 133 dispose da un lato il blocco del turnover
(che all’inizio prevedeva un nuovo assunto ogni cinque che andavano in
pensione), dall’altro una progressiva riduzione dei fondi destinati al sistema
universitario. Data
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I due grafici riprodotti qui sotto rappresentano l'andamento del Fondo di
finanziamento ordinario dell'Università dal 2008 in poi e il numero di docenti e
ricercatori nello stesso periodo. I dati sono del Ministero dell'Istruzione,
Università e Ricerca.
RICERCA1
Create line charts
La ricerca di base. Anche le risorse destinate ai bandi Prin (Progetti di
interesse nazionale), ovvero alla ricerca di base, sono costantemente calate:
come mostra un grafico elaborato da Sylos Labini, il valore annuale di questo
finanziamento, che fino al 2010 si aggirava sui 100 milioni di euro, negli ultimi tre
anni è sceso a 13 milioni. L’ultimo bando del Ministero, pubblicato a novembre
2015 dopo un’interruzione del programma durata tre anni (fino al 2012 i bandi
erano annuali), prevede uno stanziamento di poco meno di 92 milioni spalmati su
tre anni, 2016, 2017 e 2018. Per fare una comparazione, se si va a leggere il
rapporto annuale dell'Agence nationale de la recherche francese, oltralpe il
programma analogo del Prin ha erogato nel solo 2014 finanziamenti per 414
milioni. Nel grafico qui sotto, elaborato da Francesco Sylos Labini, che ci ha concesso
di riprodurlo, e pubblicato per la prima volta sul fattoquotidiano.it , sono
indicati i finanziamenti globali erogati ogni anno dai bandi Prin (il totale, in
milioni di euro, è ottenuto sommando i contributi per quell'anno di ciascun
bando). I dati relativi al 2017 e 2018 sono provvisori (in attesa di possibili nuovi
Prospettive a lungo termine. Quindi, dice ancora l’astrofisico, "la domanda è:
una volta che hai vinto questo Erc – che è un po’ come vincere la lotteria – dove
vai a svolgere la tua ricerca? In un’università di un Paese che ha un
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bandi). In rosso sono indicati gli importi originali, in blu i valori adeguati
all'inflazione. Data
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finanziamento strutturale e dunque ti consente di mettere su un gruppo di ricerca
e ti offre una prospettiva di carriera certa? Oppure o in un paese dove non c’è
finanziamento strutturale, e dove non sai se mai verrai assunto?” Ci sono anche
in Italia, riconosce Sylos Labini, “università ed enti di ricerca che si sono
attrezzati. Una delle poche maniere di reclutamento ormai è diventato proprio
quello dell’Erc: se uno lo vince ha grande probabilità di essere assunto. Poi però
si ritrova in una situazione generale di destrutturazione". “È evidente che se si vuole far venire una persona brillante, gli si deve garantire
una prospettiva non per i prossimi due anni-tre anni, ma a lungo termine”
aggiunge Giorgio Parisi, che insegna Fisica teorica all’Università “La Sapienza”
di Roma ed è considerato uno dei maggiori fisici del mondo. Un finanziamento
come quello dell’Erc, ha spiegato in un’intervista , basta per un certo numero di
anni: “al termine di questo periodo, se lo Stato italiano non finanzia ulteriormente
quello studio si chiude bottega. Per questa ragione molti preferiscono andare a
spendere il proprio fondo in Paesi dove esiste una visione a medio e lungo
termine. Il risultato è che Paesi come il Regno Unito vengono ulteriormente
favoriti dalla presenza dei ricercatori italiani che porteranno il meritato bottino nei
loro centri di ricerca”.
Quanto ci perde l'Italia. Il professore cita l’esempio del Settimo programma
quadro dell’Unione europea per la ricerca scientifica, che ha coperto il periodo
2007-2013 con un bilancio di 53 miliardi di euro. L’Italia ha contribuito con 900
milioni all’anno, ma “i progetti presentati dal nostro Paese (industrie comprese)
sono stati capaci di attirare finanziamenti solo per 600 milioni l’anno: una perdita
netta di un terzo”. Che rischia di diventare ancora più ampia con il nuovo
programma “Horizon 2020”, partito nel 2014 e a cui l’Italia si è impegnata a
versare un miliardo l’anno.
Anche se i nostri ricercatori dimostrano di essere molto bravi a conquistare fondi
europei, dice Parisi, “se l’Italia non finanzia la piccola e media ricerca e quindi
non crea un humus favorevole a collaborazioni europee, è estremamente difficile
partecipare a questi progetti. Il nostro Paese sta applicando una strategia 'loselose': perdiamo in competitività e finanziamo la ricerca degli altri perché non
siamo in grado di sostenere la nostra”.
Una lettera all'Ue. Per questo il professore ha scritto una lettera aperta –
firmata da altri 68 colleghi – alla prestigiosa rivista Nature e ha lanciato una
petizione sul sito change.org : lo scopo è chiedere alle istituzioni europee di
sollecitare il nostro governo affinché "finanzi adeguatamente la ricerca in Italia e
porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza".
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Il fisico Giorgio Parisi
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“La lettera – spiega il fisico – si richiama implicitamente al Trattato di Lisbona e
agli obiettivi di Barcellona, per i quali ciascun paese dell’Unione doveva arrivare
al 2010 con il 3% del Prodotto interno lordo investito in ricerca e sviluppo. L’Italia
non solo non è arrivata a quella percentuale, ma è bellamente al di sotto e non dà
nessun segno di risalire”. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), infatti, l’Italia nel 2014 ha investito
in ricerca e sviluppo solo l’1,29 per cento del pil, mentre la Germania spende il
2,8 per cento e la media europea è del 2 per cento.
Vincono i paesi del Nord Europa. “Come mai – si chiede Parisi – ci sono dei
trattati che contano e degli altri che non contano? Se l’Italia ha firmato
impegnandosi verso l’Europa e anche verso gli italiani a raggiungere un
obiettivo, come mai l’Europa non esige il rispetto di questo obiettivo e si limita
ad esigere solo il rispetto del fiscal compact? Con la nostra petizione ci siamo
appellati all’Unione europea, ma il governo italiano dovrebbe capire da solo qual
è il suo dovere. L’idea di Lisbona era rendere l'Europa una grande regione
basata sullo sviluppo della conoscenza: il 3 per cento del pil in ricerca doveva
servire per facilitare l’integrazione economica".
Ora invece il rischio, conclude amaro Sylos Labini, è il progressivo “svuotamento
delle risorse intellettuali del Sud dell’Europa (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna) a
vantaggio del Nord: noi non diciamo niente e agli altri ovviamente questo va
bene. Invece di fare delle misure demagogiche come il bonus di 500 euro ai
neodiciottenni, è a questo che si dovrebbe pensare”.
23 febbraio 2016
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