il corto circuito elettrico - vigili del fuoco

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il corto circuito elettrico - vigili del fuoco
IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
Gli incendi di apparecchiature elettriche sono spesso provocati dal corto circuito.
La conoscenza dei fenomeni che ne sono alla base per prevenire gli effetti dannosi.
Prof. Ing. Umberto Ratti - Professore Ordinario di Elettrotecnica
presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma
Le esplosioni e gli incendi di
apparecchiature elettriche sono
incidenti provocati da guasti di ti po evolutivo, spesso prevedibili,
che non possono escludersi to talmente nemmeno nel caso di
applicazione integrale delle at tuali norme.
L’intento di ridurre la pesante
incidenza di incendi ed esplosio ni provocati da corti circuiti può
essere ragionevolmente perse guito mediante una migliore co noscenza dei fenomeni in gioco
nelle apparecchiature elettriche:
è il caso di due fenomeni mate rialmente separati l’uno dall’altro,
l’energia transitoria passante e
la memoria dinamica, della cui
combinata azione è bene essere
consci per prevenire incaute
operazioni ”alla cieca“, come può
accadere, ad esempio, in occa sione di scavi ovvero di richiusu re di linee elettriche.
Introduzione
Lo scopo di questo articolo è di
fornire un contributo alla riduzione degli incendi ed esplosioni
causati da corti circuiti elettrici,
mediante una migliore conoscenza dei fenomeni elettrotecnici (ed
in particolare l’energia transitoria
passante e la memoria dinamica
delle apparecchiature elettriche)
associati al corto circuito, al qua-
le, come ben noto, sono riconducibili molti effetti calamitosi.
Lo spunto è stato fornito da un
incendio di grandi proporzioni verificatosi concretamente in Italia
presso una cabina primaria di distribuzione, con danni alle cose
per vari miliardi di lire, in uno
scenario niente affatto originale:
in un normale giorno lavorativo
una ruspa addetta a lavori stradali di manutenzione trancia un
cavo elettrico MT sotterraneo in
esercizio, causando un corto circuito franco.
Ciò che invece è alquanto originale (nel quadro dei numerosi
cavi elettrici ”ruspati“ quotidianamente) è che la fornitura di energia elettrica si è interrotta (black
out), in quanto, pur essendo installate tutte le protezioni prescritte, numerose importanti apparecchiature elettriche in cabina
sono rimaste danneggiate
dall’energia elettrica passante,
perché era divampato un rogo
protrattosi per molte ore, nonostante gli interventi di numerose
squadre dei Vigili del fuoco.
Il caso preso in esame costituisce un insegnamento valido non
solo per impianti elettrici di considerevole potenza ed estensione,
ma anche per quelli di minore
consistenza e perfino per quelli
domestici.
Si tratta di un caso emblematico che, benché insolito nelle
ANTINCENDIO febbraio 1997
conclusioni, ma non nelle cause
iniziali, deve insegnare quali sono tutte le conseguenze, anche
quelle rilevabili non immediatamente, dell’energia transitoria
passante, e quindi può essere
utile:
- sia a prevenire ogni possibile
causa di corto circuito, abbandonando l’errata convinzione che
”tanto ci sono le protezioni“ che,
con il loro intervento, garantiscono sempre e totalmente da ogni
conseguenza negativa;
- sia a sensibilizzare sul fatto
gravissimo che anche i corti circuiti che si concludono, per l’intervento delle protezioni senza
incendi ed esplosioni immediate,
sono essi stessi suscettibili di recare danni che, pur non essendo
immediatamente e direttamente
accertabili, tuttavia sono in grado
di provocare un’accelerazione
nella riduzione della vita utile delle apparecchiature elettriche e
quindi, in definitiva, anche una
loro possibile futura esplosione e
incendio.
Ciò significa che ancora oggi
occorre affrontare i fenomeni
connessi al corto circuito non in
maniera scontata, ma avvalendosi di ogni aggiornata risorsa
fornita dalla dottrina e con ogni
utile approfondimento tecnico.
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IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
Il corto circuito elettrico
Fin dai primordi delle applicazioni industriali, l’elettrotecnica si
è occupata delle conseguenze
del cosiddetto corto circuito franco di impedenza nulla, in breve il
temutissimo ”corto circuito“, vale
a dire quella condizione di funzionamento in cui la tensione
crolla localmente a zero, a partire dal valore di normale esercizio, e la corrente assume valori
abnormi.
Come è noto, viene detta corrente di corto circuito quella circolante nelle omonime condizioni, distinguibile nelle due componenti a regime permanente e in
regime transitorio.
L’ampiezza della corrente di
corto circuito permanente, variabile in funzione dell’istante in cui
viene considerata e dell’istante di
cortocircuitazione, dipende da
numerosi fattori, come nel caso
di linea elettrica collegata ad una
rete di media tensione di grande
potenza attraverso un trasformatore, la lunghezza e potenza della linea, la potenza del nodo di
alimentazione, ecc.
In condizioni particolarmente
”sfavorevoli“ di linea corta, di piccola potenza e alimentata da un
nodo di grande potenza, la corrente di corto circuito permanente può risultare anche oltre 100
volte superiore a quella di carico
normale.
Di fatto si ha che la tensione
di alimentazione della linea in
corto circuito non viene mantenuta indefinitamente, proprio perché si ha l’intervento delle protezioni.
Anche la componente transitoria della corrente di corto circuito
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dipende, tra l’altro, dall’istante di
cortocicuitazione, e la situazione
più gravosa è quella in cui tale
istante coincide con quello di
tensione nulla: si tratta del noto
”effetto di raddoppio“, cosiddetto
in quanto si raddoppia il valore
della corrente.
Poiché l’elettrodinamica insegna che gli sforzi meccanici provocati dal passaggio della corrente sono proporzionali al quadrato del valore della corrente
stessa, è facile calcolare che tali
sforzi, nel caso sfavorevole di
”effetto di raddoppio“, possono
arrivare ad essere (Stigant &
Franklin, Transformer Book, pag.
536) circa 1600 volte superiori a
quelli nelle normali condizioni di
funzionamento.
Ciò ha portato da tempo gli ingegneri elettromeccanici a concludere che il fenomeno maggiormente temibile per il trasformatore in caso di corto circuito di
linea è proprio quello degli enormi sforzi meccanici radiali e assiali ai quali devono fare fronte le
strutture elettriche e meccaniche
del trasformatore stesso, e nonostante le innumerevoli soluzioni
progettuali attuate, restano ancora da registrare taluni casi di distruzione di trasformatori da sforzi meccanici.
Si deve qui sottolineare che, in
generale, le apparecchiature
elettriche offrono una capacità di
resistenza ad un guasto singolo
che è di gran lunga superiore a
quella offerta ad una serie o ”treni“ di guasti: il progressivo indebolimento che si presenta nella
apparecchiatura fa sì che di due
guasti uguali, quello che avviene
per secondo causa un danno
maggiore del primo (non distruttiANTINCENDIO febbraio 1997
vo), e ciò viene normalmente attribuito alla ”memoria dinamica“
della apparecchiatura elettrica (la
letteratura tecnica anglosassone
stabilisce che tali macchine non
sono ”memory-less“).
Ciò ha anche portato come diretta conseguenza ad estendere,
molto opportunamente, il semplice concetto di ”resistenza
meccanica al corto circuito“ a
quello più complesso (oggetto di
recenti ricerche) di ”durata della
vita tecnica“, in particolare sotto
corto circuito.
La moderna tecnica, introdotto
in generale il concetto della ”durata della vita utile“ (working life),
o semplicemente ”vita“ delle apparecchiature in genere, ha formulato teorie, leggi (per esempio
la legge della potenza inversa
”inverse power law“), equazioni
fondamentali dell’invecchiamento
e modelli (per esempio, il modello di Eyring), essenzialmente stabilendo che la vita delle apparecchiature elettriche dipende fortemente dalla vita del suo isolamento. Questa dipende fortemente dal tipo e ampiezza delle
tensioni e temperature a cui è
sottoposto, le cause dell’invecchiamento, che a loro volta sono
molteplici e di varia natura, dipendendo sia da guasti, sia da
normali operazioni di manovra
(inclusi anche i cicli di sovraccarico affrontati).
In conclusione sul punto, le numerose variabili in gioco (istante
di cortocircuitazione, impedenza
di corto circuito, numero delle fasi/terra cortocircuitate, potenza in
gioco, condizioni del sistema
elettrico, ecc.) comportano che
ogni corto circuito è diverso
dall’altro: anche a parità di siste-
IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
ma elettrico linea - protezioni apparecchiatura si possono avere diverse correnti di corto circuito, e quindi conseguentemente si
hanno sempre eventi dannosi,
ma di diversa entità.
Ciò spiega convincentemente
perché, in concomitanza ad
esempio di tranciamento di cavi
ovvero manovre di richiusura,
non si ha sempre la stessa conseguenza dell’evento dannoso,
potendo talvolta l’intervento delle
protezioni spesso contenerla a
danni non immediatamente rilevabili a vista, ma potendosi anche avere in taluni casi, nonostante il loro intervento, conseguenze catastrofiche.
L’onda di corrente
di corto circuito
E’ ben noto che i fenomeni
elettrici nel vuoto si ”propagano“
alla velocità del suono di
300.000 Km/sec. Meno noto è
che:
- tale velocità non può essere
superata dalle correnti elettriche
nei conduttori: in questi ultimi,
con riferimento al caso qui in
esame di un cavo, la rispettiva
velocità di propagazione è
dell’ordine di circa 150.000
Km/sec;
- che al crearsi di una situazione di corto circuito, due onde migranti di tensione e corrente iniziano la loro propagazione lungo
il conduttore (linea aerea o cavo), e ad esse è associata una
consistente energia viaggiante
(travelling);
- che tale energia è solo in piccola parte dissipata lungo il percorso, sicché può produrre danni
considerevoli alle apparecchiature elettriche investite, che quindi
da un lato sono già in fase di
progetto sovradimensionate per
fare fronte alle sollecitazioni
massime prevedibili, dall’altro in
fase di installazione sono protette da protezioni ”ad hoc“.
La teoria delle onde viaggianti
ha completamente spiegato, con
i fondamentali contributi di R.
Rudenberg e C.P. Steinmetz la
complessa fenomenologia che si
verifica per il caso delle onde di
tensione/correnti migranti, che
riescono a raggiungere e quindi
”colpiscono“ l’apparecchiatura in
testa linea (ad esempio, gli avvolgimenti di trasformatori di linea). In sintesi:
- le onde incidenti, attenuate e
distorte nel percorrere il tratto tra
la loro origine e il trasformatore,
giunte al punto di entrata del trasformatore penetrano all’interno
solo per la parte relativa alle frequenze inferiori alla cosiddetta
”frequenza critica“ degli avvolgimenti trifase dell’avvolgimento
(che viene quindi da loro percorso ad una velocità di circa 160
metri al microsecondo), mentre
la parte a frequenze ipercritiche
viene riflessa sulla linea: di qui la
riscontrata e tipica fenomenologia delle oscillazioni che causa
frequenti sovratensioni;
- le onde di corrente e tensione impulsive (”step impulse“) che
penetrano all’interno dell’avvolgimento, anche se in parte limitate
dagli effetti magnetici, sono molANTINCENDIO febbraio 1997
to pericolose per le spire d’ingresso, e - come già espresso in
precedenza - per fare fronte a
queste sollecitazioni è buona
norma, come prima protezione di
tipo cosiddetto ”passivo“, rinforzare le prime spire d’avvolgimento del 10% circa;
- le onde di corrente e tensione
impulsive a treni (”periodic impulse trains“) penetrano facilmente
e con modesta attenuazione
all’interno dell’avvolgimento, e se
l’isolamento delle spire intermedie a mezza lunghezza d’onda
del treno periodico è al di sotto
della rigidità dielettrica (qui si dovrebbe porre la distinzione tra rigidità a breve ovvero lungo termine), si può avere il cedimento
dell’isolamento con formazione
d’arco.
Spesso si verifica che tale arco
non è sostenuto dalla tensione
nominale, e tutto si risolve con
una ”offesa“ al trasformatore.
Questa apparentemente non
ne pregiudica l’immediato funzionamento, ma in realtà ha degradato l’isolamento e accelerato
l’invecchiamento, vale a dire che
ha predisposto una maggiore
vulnerabilità agli shock successivi. In buona sostanza, si deve
qui ritenere che l’energia passante relativa alle correnti di corto circuito produce tre effetti dannosi:
a) effetto termico, con l’aumen to progressivo della temperatura
del rame e dei materiali isolanti
circostanti, con conseguente
possibile fusione del rame, formazione di gas e carbonizzazione degli isolanti organici se non
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IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
si provvede ad interrompere entro brevissimo tempo tali sovracorrenti, alle quali sono legate in
parte sia le ”micro-scariche“ o
”scariche parziali“, sia in parte la
cosiddetta ”energia d’arco“, se e
quando l’arco elettrico si manifesta;
b) effetto meccanico, con ingenti ed istantanei sforzi elettrodinamici, soprattutto nel primo
semiperiodo del fenomeno (cioè,
a 50 Hz, nei primi millesimi di secondo), vale a dire prima del
possibile intervento delle protezioni: per fronteggiare tali inevitabili sforzi è buona norma sovradimensionare tutte le parti dell’impianto elettrico dal punto di vista
meccanico, in modo da sopportare con minimo danno gli sforzi
meccanici prevedibili nelle peggiori condizioni di anomalo funzionamento;
c) effetto di sovraccarico di linee/apparecchiature non direttamente colpite dal guasto, se non
si attua il coordinamento della
selettività delle protezioni, con
conseguente allargamento progressivo delle utenze non servite
(trattasi, nel caso estremo, del
raro e ben noto fenomeno del
black out delle reti elettriche).
Ai primi due effetti sono da
ascrivere le conseguenze dannose che, immediatamente ovvero
cumulandosi nel tempo per la
predetta ”memoria dinamica“,
causano eventi calamitosi, suscettibili di diversa evoluzione in
dipendenza della combustibilità
delle sostanze interessate.
Coerentemente, per i trasformatori elettrici di potenza le Nor60
me IEC 76-5 del Comitato Elettrotecnico Internazionale distinguono espressamente (Parte 5:
Abilità a sostenere corti circuiti)
le sollecitazioni termiche, dalle
sollecitazioni dinamiche.
Le protezioni
di linea e di macchina
Un problema tipico dell’esercizio delle reti elettriche di distribuzione MT è quello della eliminazione dei guasti permanenti su linee radiali ramificate, e quindi
della relativa ricerca del guasto,
in particolare in condizioni sotto
guasto persistente.
Contro i due guasti più comunemente registrati sulle linee MT,
due sono le protezioni impiegate:
- relè di massima corrente bipolare a tempo indipendente,
con due soglie d’intervento, contro le sovracorrenti di linea;
- relè direzionali di terra a sensibilità varmetrica, contro le sovratensioni che si stabiliscono
nei sistemi a neutro isolato in caso di guasto tra una fase e terra,
e conseguente grave squilibrio
nelle tensioni verso terra.
Per inquadrare il problema delle protezioni nel tema qui considerato, occorre dire che l’eliminazione del guasto presenta diversi aspetti, in quanto deve essere:
- la più rapida possibile, per
contenere al minimo il disagio
degli utenti e il mancato collocamento d’energia da fatturare, così è stato introdotto il parametro
ANTINCENDIO febbraio 1997
del tempo medio tra guasti
MTBF anche a questo scopo,
nella più vasta problematica della qualità del servizio di fornitura
elettrica;
- la più precisa possibile, come
individuazione topologica per
contenere l’impegno delle squadre d’intervento;
- la più avanzata tecnicamente
per ridurre il numero delle manovre e l’accelerato logorio degli
apparecchi di manovra e degli
impianti elettrici;
- e ultima, ma prima per importanza, la più sicura sia per gli
utenti che per le apparecchiature.
Criteri economici di gestione e
affidabilità degli impianti, in termini di qualità dell’energia venduta, determinano in pratica il
compromesso tra i diversi requisiti anche per quanto riguarda la
scelta di quello che viene detto il
”sistema di telecontrollo e di teleoperazione“.
Essenzialmente, i requisiti in
questione sono:
- l’affidabilità, intesa come attitudine ad intervenire in tutti i casi
in cui la grandezza controllata
della protezione raggiunge i limiti
di taratura;
- la selettività, che nelle rete radiali è l’attitudine del sistema a
mettere fuori servizio soltanto il
componente in avaria dell’impianto: la selettività è detta ”totale“ se il guasto verificatosi in un
punto della linea è eliminato dal
IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
solo dispositivo di protezione posto immediatamente a monte del
guasto, così realizzando la salvaguardia della continuità del
servizio per la restante parte
dell’impianto;
- la rapidità d’intervento, come
capacità di eliminare l’anomalia
nel più breve tempo possibile, allo scopo di contenere al minimo i
danni, senza pregiudicare la selettività della protezione.
La rapidità d’intervento di apertura del circuito in avaria, anche
quella ottenibile con più moderni
interruttori automatici detti talvolta ”a scatto istantaneo“, non può
mai essere istantanea:
il tempo di selettività che intercorre tra il verificarsi del guasto e
la effettiva apertura del circuito è
la somma del tempo di transito
dell’onda di corrente dal punto di
guasto al punto di installazione
della protezione, dei ”tempi propri“ di funzionamento dell’interruttore vero e proprio e dei relé
ausiliari, del tempo di taratura
della protezione, e dal tempo ”c“
coefficiente di sicurezza fissato
dal costruttore per tenere conto
delle varie precisioni degli organi
interessati e di eventuali alterazioni per vetustà.
- la sensibilità a rilevare anche
piccole variazioni della grandezza controllata;
- la semplicità, la robustezza e
costi moderati.
I due requisiti fondamentali
delle protezioni ampermetriche
(per le sovracorrenti) sono la
sensibilità (attitudine a interveni-
re quando la grandezza da controllare supera il valore di taratura di soglia) e il tempo di intervento (istantaneamente o con ritardo).
Più precisamente, gli interruttori automatici di massima corrente, fondamentali per la protezione dei circuiti elettrici contro le
sovracorrenti, proprio per evitare
gli scatti intempestivi, non sono
del tipo ”a tempo di funzionamento Istantaneo“, ma ”Ritardati“
(o a tempo costante indipendente dalla grandezza da controllare; ovvero a tempo dipendente
dalla grandezza da controllare,
con ritardi regolabili, tanto più
piccoli quanto maggiore è il valore della corrente), così:
Nei tempi propri di intervento
delle protezioni (di linea e di
macchina) a tempo di funzionamento istantaneo (e quindi a
maggior ragione anche in quelli a
tempo di intervento ritardato) si
ha che il circuito ”protetto“ non è
protetto, ma è attraversato dalla
piena corrente di guasto.
Orbene, nei tempi d’intervento
(che come minimo sono quelli
”propri“, mai nulli) si sviluppa una
quantità di energia meccanica e
di energia termica, che sono
quelle ”lasciate passare“ dal dispositivo di protezione, che sollecitano termicamente e meccanicamente le parti dell’impianto da
proteggere: come ben noto, a tale energia è stato dato appropriatamente il nome di ”energia passante“ (ovvero ”energia specifica
passante“, se espressa per unità
di resistenza), e viene semplicemente indicata di norma con ”i
quadrato per t“ ovvero ”Ampère
quadrato per secondo“, dal termine sottostante il noto integrale
ANTINCENDIO febbraio 1997
di Joule.
Se, con licenza, si volesse
usare un linguaggio da divulgazione scientifica, si potrebbe ben
dire che una protezione a relé
non deve essere considerata come ”un ombrello sempre aperto“,
ma come un ”ombrello che necessita di un tempo minimo di
apertura“, durante il quale la funzione protettiva non si esplica.
E’ quindi un errore fondamentale ritenere che una protezione
funzionante lasci sempre (e per
di più totalmente) integra l’apparecchiatura ”protetta“, questa risultando nel caso migliore solo
parzialmente protetta, avendo
cioè solo limitato il danno.
Per di più, anche nel caso di
intervento della protezione apparentemente senza danno, si deve ricordare che in realtà l’apparecchiatura, a causa della predetta ”energia specifica passante“, ha subito una qualche offesa, che sommandosi alle precedenti, accorcia la vita utile
dell’apparecchiatura stessa, secondo il concetto precedentemente ricordato della ”memoria
dinamica“ della macchina: in ciò
consiste la combinazione dei due
concetti autonomi di energia passante e memoria che, combinandosi, danno luogo al concetto cumulativo di ”offese memorizzate“
cioè offese prodotte dall’energia
passante e memorizzate per effetto memoria che funge da totalizzatore delle offese.
Sicché, la didattica elettrotecnica si sforza ad ogni livello di
addestrare gli operatori anche
non elettrotecnici a tenere sempre conto dell’”energia specifica
passante“ e quindi a non sollecitare le ”protezioni“ e i sistemi
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IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
protetti con tentativi di prove che
potrebbero essere razionalmente
evitati, per non accorciare inutilmente la durata della vita tecnica
delle apparecchiature, nel migliore dei casi.
Del pari, non può essere semplicemente imputabile a ”sfortuna“ l’avere provocato un corto
circuito che, con minima diligenza e responsabilità (come ad
esempio una semplice ricognizione delle mappe catastali disponibili o qualche semplice misura) sarebbe stato evitabile,
nella convinzione che tutt’al più
la corrente di un accidentale corto circuito avrebbe potuto provocare un semplice scatto di un interruttore e nessun danno alle
macchine elettriche a monte perché tutte nuovissime e ”a protezione integrale“ !
Ogni corto circuito è diverso
dall’altro, come l’ampia disamina
precedentemente volta ha evidenziato, e anche le ripercussione dello stesso corto circuito è
diversa da macchina a macchina
colpita: il corretto funzionamento
dei dispositivi di sicurezza non è
quindi una costante, e tantomeno una costante a garanzia di
copertura assoluta da ogni rischio di danno, stante la ”energia
specifica passante“.
Per quanto riguarda le perturbazioni sulle linee elettriche, a
seguito di accurati rilievi statistici
è derivata la distinzione tra guasti transitori e semipermanenti
(che si autoeliminano togliendo
la tensione di alimentazione alla
linea interessata per qualche decimo di secondo) e guasti permanenti (che si eliminano solo
con l’intervento di squadre d’intervento sul posto del guasto).
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Mentre sulle linee aeree i guasti più frequenti sono quelli transitori e semipermanenti (che si
autoeliminano in quanto la disalimentazione consente la naturale
deionizzazione dell’arco prodottosi localmente da fulminazioni
atmosferiche, rami d’albero, colpi
di frusta per caduta di manicotti
di ghiaccio, ecc.), sulle linee in
cavo la quasi totalità dei guasti è
di tipo permanente.
La ricerca ed eliminazione rapida dei guasti richiede idonei protocolli di richiusura automatica e
quindi i relativi dispositivi atti a
pilotare prestabiliti cicli di richiusure automatiche dell’interruttore
di linea, dopo che questo ha eseguito un primo scatto per l’intervento dei relé di protezione.
Proprio in considerazione delle
diverse rilevazioni statistiche di
guasto sulle linee aeree e in cavo, tali protocolli sono diversi nei
due casi, e precisamente le linee
MT in cavo non attuano richiusure automatiche.
Nel caso della distribuzione urbana, si notano tre circostanze di
tipo prudenziale:
a) il dispositivo di richiusura
automatica a corredo della protezione viene di norma escluso sistematicamente;
b) le procedure di richiusura
sono di tipo manuale, non affidate quindi ad automatismi ma ad
operatori istruiti alle diverse situazioni di guasto;
c) le predette procedure manuali per cavi hanno tempi di attuazione molto più lunghi di quelli
per linee aeree. Infatti, per i cavi
la prima richiusura rapida dell’inANTINCENDIO febbraio 1997
terruttore è di norma prevista dopo un minuto dalla prima apertura dell’interruttore di linea (contro
il mezzo secondo circa generalmente usato per le linee aeree);
mentre, sempre per i cavi, la seconda richiusura lenta dell’interruttore è prevista dopo tre minuti
dalla seconda apertura dell’interruttore di linea (contro il mezzo
minuto circa generalmente usato
per le linee aeree).
Nonostante i criteri di maggiore
prudenza sopra indicati per i cavi, resta che le due richiusure sono effettuate ”alla cieca“, in modo che la relativa energia passante si scarica su apparecchiature elettriche che potrebbero già
essere prossime al collasso.
Sulla questione della affidabilità dei complessi di protezione,
un indice rilevante è quello della
cosiddetta ”sicurezza semplice
(n-1)“, secondo cui, in caso di distacco di un qualsiasi elemento
della rete (linea, trasformatore,
sbarre), i restanti omologhi elementi debbono reintegrare quelli
fuori uso, per evitare strozzature
intollerabili al flusso energetico.
I dati statistici aggiornati forniti
dagli esercenti europei hanno
evidenziato un valore medio ritenuto buono, attestandosi su
10/1000 aperture intempestive e
su 3/1000 aperture non effettuate o troppo temporizzate.
E’ noto che l’apertura intempestiva è meno gravida di conseguenze della non apertura per il
rispetto del principio di sicurezza
(n-1): tuttavia, in entrambi i casi
si registra ancora energia passante, pregiudizievole per l’apparecchiatura elettrica.
Risulta di tutta evidenza che
IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
una protezione soddisfacente
deve evitare i cosiddetti ”scatti
intempestivi“, vale a dire quelli in
corrispondenza di sovraccarichi
che possono essere sopportati
dalla apparecchiatura da proteggere perché contenuti entro limiti
tollerabili di tempo e ampiezza
della quantità da controllare.
Si deve qui anche ribadire il
carattere particolarmente insidioso delle ”scariche parziali“, che
non sono rilevate dai relé (p.e.
quelli a gas) finché non si superano i valori convenzionali d’intervento.
Occorre considerare anzitutto
che la questione che qui si pone
è nota in elettrotecnica come
”scariche parziali“ ovvero ”microscariche“, che ricade nel capitolo
del cosiddetto ”comportamento
di conduttore in un mezzo dielettrico imperfetto“, ed è stata risolta nel senso che il conduttore di
rame sotto ipotesi di imperfetta
aderenza con il dielettrico (perché sottoposto alle azioni ponderomotrici delle correnti di corto
circuito) dà luogo a linee di forza
del vettore densità di corrente
che penetrano nel dielettrico e
rientrano nel conduttore in punti
a potenziale inferiore a quello dei
punti dai quali escono, dando
luogo alle cosiddette correnti
elettriche di dispersione, le quali
dissipano potenza elettrica per
effetto Joule nel dielettrico stesso, sopraelevandone la temperatura.
Ciò posto, occorre richiamare
alcuni fondamenti della scarica
elettrica , intendendo per ”scarica“ i fenomeni associati al passaggio della corrente elettrica in
mezzi che in condizioni di normale esercizio sono isolanti.
L’elettrotecnica, che distingue
tra ”scarica intrinseca“ che avviene per fenomeni d’instabilità elettronica, e ”scarica termica“ dovuta a instabilità termica dovuta a
insufficiente capacità del dielettrico di smaltire il calore, stabilisce
che entrambe possono divenire
”scarica disruptiva“ in corrispondenza al passaggio (molto spesso distruttivo, da cui il termine) di
corrente elettrica attraverso un
mezzo isolante, causato da perdita di isolamento nello spazio
(detto ”intervallo spinterometrico“) in cui avviene la scarica provocata da tensione superiore a
quella massima ammissibile, riferita all’unità di lunghezza, che
viene detta ”rigidità dielettrica“ e
misurata in kV/cm.
La teoria dei dielettrici spiega
la cosiddetta ”scarica termica“ in
quanto all’aumentare del campo
elettrico applicato ad un dielettrico, questo ha un progressivo aumento di temperatura che porta
al suo cedimento, in conseguenza all’enorme aumento di portatori di carica per ionizzazione termica o per collisione con altri
portatori accelerati dal campo
applicato, vale a dire, nel caso di
campi elettrici alternativi sinusoidali, per effetto dell’isteresi dielettrica dovuta al ritardo con cui
la polarizzazione dipolare segue
la variazione del campo.
Per le miscele liquido-gassose,
la ”tensione di innesco“ della
scarica disruptiva dipende da numerosi fattori: dal tipo di miscela,
dalla superficie e dalla distanza
degli elettrodi, dalla forma dei volumi in gioco, dall’andamento nel
tempo della differenza di potenziale applicata agli elettrodi, da
costituzione, temperatura e presANTINCENDIO febbraio 1997
sione della miscela , ed entro
certi limiti, dalla corrente esistente prima del verificarsi della scarica.
Le scariche parziali sono così
dette in quanto il loro percorso si
sviluppa solamente su parte della distanza spinterometrica, potendosi esplicare sia in prossimità dei conduttori (scariche parziali Superficiali), sia all’interno
del dielettrico (s.p. Interne), sia in
corrente continua che alternata.
In quest’ultimo caso il fenomeno
delle scariche parziali acquista
una importanza preminente nel
fenomeno di scarica, in quanto,
se sussistono le condizioni, basta che una scarica si manifesti
perché ad essa ne seguano altre, il numero di scariche in un
periodo via via aumenta (il campo esistente nel vacuolo essendo la somma del campo applicato e del campo inverso), esaltandosi più o meno rapidamente,
portando alla rottura o cedimento
finale (final breakdown).
Si deve anche qui precisare
che i vacuoli possono esistere
nel dielettrico fin dall’origine della
costruzione del trasformatore per
imperfezioni costruttive iniziali,
ma più spesso si formano, e comunque si aggravano, con ”l’invecchiamento“ a causa delle sollecitazioni alle quali il dielettrico
viene sottoposto durante l’esercizio, sia normale che anormale.
Si può facilmente concludere
da quanto molto sinteticamente
riassunto (non è questa la sede
adatta per intrattenersi sulla legge di Paschen o sul meccanismo
di breakdown di Townsend, né
sulle cariche spaziali, ovvero la
colonna positiva, gli spazi detti
oscuri - ma che totalmente oscuri
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IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
non sono - di Crookes e di Faraday, sulla legge di Weibull generalizzata per la funzione di distribuzione della probabilità di guasto e così via) che è assai complesso lo studio delle scariche
nella miscela in cui si possono
trovare almeno in parte gli avvolgimenti di un trasformatore soggetto ad energia passante transitoria, e che esso richiede la conoscenza di elementi di non facile o addirittura impossibile determinazione per l’evento calamitoso.
Tuttavia, per esso si deve convenire che al verificarsi del progressivo aumento della corrente
negli avvolgimenti in rame, si determina una deformazione degli
stessi con conseguente discontinuità di isolamento all’interno
delle spire dell’avvolgimento, sotto forma di vacuoli (ovvero di lame) pieni di miscela aeriforme,
discontinuità che a sua volta ha
prodotto - proprio in corrispondenza di detta discontinuità- addensamenti del gradiente di tensione del tutto nuovi rispetto alla
situazione preesistente di normale funzionamento, nella quale
l’insieme dielettrico, seppure a
strati strutturalmente disomogenei e differenziati, teoricamente
escludeva discontinuità o vacuoli, e praticamente, semmai vi fossero stati, consentiva l’esercizio.
Tali addensamenti di gradiente
diventano pericolosi sia in regime permanente (in particolare sinusoidale), sia in regime transitorio: in ciò risiede il carattere particolarmente insidioso delle scariche parziali, che possono dare
luogo a ”tempi di cova“ durante i
quali non si avverte la sintomatologia del fenomeno in progres64
sione, finché non si perviene al
cedimento finale.
La pericolosità deriva dal fatto,
ben noto agli elettrotecnici, che a
parità di spazio tra gli elettrodi e
di tensione applicata, non è vero
che due dielettrici sono meglio di
uno: vero è invece che l’occupazione dello spazio interelettrodico di due dielettrici comporta che
il gradiente di potenziale è maggiore nel mezzo avente costante
dielettrica minore, vale a dire che
aggrava le sollecitazioni sul dielettrico a minore costante dielettrica e diminuisce le sollecitazioni
sul dielettrico a maggiore costante dielettrica.
Nel caso del passaggio da
esclusivo dielettrico (avente costante dielettrica relativa di qualche decina), a dielettrico in serie
con miscela gassosa e con aria
(con costante dielettrica relativa
pari a circa l’unità il sottile strato
(almeno inizialmente) di dielettrico misto a vapori è sottoposto ad
un gradiente notevolmente superiore alla propria rigidità dielettrica (di circa 30 kV/cm), con i fenomeni distruttivi di perdita delle
proprietà isolanti che ne conseguono.
L’esempio di scuola dell’accoppiamento di due condensatori
piani in serie (a campo uniforme)
con dielettrici carta impregnata e
aria mostra, stante la rigidità dielettrica della carta variabile da
200 a 1200 kV/cm circa in funzione dell’essiccamento, degassazione, uniformità e compattezza), come fatto più probabile da
attendersi il cedimento dell’aria e
non della carta, per piccoli spessori di aria come i vacuoli per
l’appunto.
ANTINCENDIO febbraio 1997
Conclusioni
Con l’effetto totalizzante, combinazione dei concetti dell’energia transitoria passante e della
memoria dinamica delle apparecchiature elettriche, si possono spiegare dalla genesi tutti i
fenomeni causati da un corto circuito, e quindi è possibile prevenirne gli effetti calamitosi.
Con riferimento al caso generalizzato di corto circuito localizzato a distanza (e quindi non necessariamente all’interno) di apparecchiatura elettrica, si è stabilito che:
a) ogni corto circuito è diverso
dall’altro: non solo perché diverse possono essere le cause scatenanti, ma anche perché, a parità di sistema elettrico linea-protezioni-apparecchiatura, si possono avere diverse correnti di
corto circuito, e quindi conseguenze diverse.
b) nei tempi propri di intervento
delle protezioni a tempo di funzionamento istantaneo (e quindi
a maggior ragione anche in quelli
a tempo di intervento ritardato) si
ha che il circuito - che si ritiene
”protetto“ - in realtà non è protetto, ma è attraversato dalla piena
corrente di guasto.
Orbene, nei tempi d’intervento
(che come minimo sono quelli
”propri“ mai nulli) si sviluppa una
quantità di energia meccanica e
di energia termica, che sono
quelle ”lasciate passare“ dal dispositivo di protezione, che sollecitano termicamente e meccanicamente le parti dell’impianto da
proteggere: a tale energia è stato
IL CORTO CIRCUITO
ELETTRICO
dato appropriatamente, come già
detto, il nome di ”energia passante“.
E’ quindi un errore fondamentale ritenere che una protezione
funzionante lasci sempre (e per
di più totalmente) integra l’apparecchiatura ”protetta“, questa risultando nel caso migliore solo
parzialmente protetta, avendo
cioè solo limitato il danno.
3) Per di più, anche nel caso di
intervento della protezione apparentemente senza danno, si deve ricordare che in realtà l’apparecchiatura - a causa della predetta ”energia passante“ - ha subito una qualche ”offesa“, diversa di volta in volta secondo i
meccanismi delle scariche parziali, dei tempi di cova e dell’arco
sopra richiamati.
4) Ogni ”offesa“, sommandosi
alle precedenti secondo il concetto totalizzatore della ”memoria
dinamica“ dell’apparecchiatura,
contribuisce ad accorciare la vita
utile dell’apparecchiatura stessa,
e quindi risulta tanto più pericolosa e anticipatrice del collasso
dell’apparecchiatura, quanto
maggiore è l’entità delle ”offese
memorizzate“ dall’apparecchiatura stessa.
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