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Commentary, 29 febbraio 2016
AIUTI MILITARI AL LIBANO,
L’ARABIA SAUDITA AVVERTE HEZBOLLAH
ELEONORA ARDEMAGNI
’Arabia Saudita ha bloccato gli aiuti militari al
Libano, inviando così un forte messaggio al
Hezbollah.
L
Nel 2014, Riyadh si era impegnata a rafforzare sia le
forze armate che quelle di sicurezza interne (ISF) libanesi, mediante due assegni: il primo, da 3 miliardi di dollari,
era legato a un contratto di fornitura militare dalla Francia
per le Lebanese Armed Forces (LAF, 2,2 miliardi per
l’acquisto di armi, i restanti per la manutenzione delle
stesse); l’assegno da un miliardo di dollari era diretto alle
Internal Security Forces (ISF). Dopo una lunga e complicata trattativa, il contratto franco-libanese-saudita era
stato siglato alla fine del 2014.
©ISPI2016
I fatti si inseriscono a detta di molti osservatori nelle vicende degli attacchi alle sedi diplomatiche saudite in Iran
avvenuti all’indomani dell’esecuzione, da parte del regno
wahhabita, del religioso sciita e oppositore saudita Nimr
al-Nimr, che il Libano non ha mai condannato. Infatti, il
ministro degli Esteri libanese, Gibran Bassil (Free Patriotic Movement, l’alleato cristiano di Hezbollah) non ha
infatti firmato né la risoluzione di condanna della Lega
araba (Cairo, 10 gennaio), né quella dell’Organizzazione
della cooperazione islamica (Jedda, 22 gennaio).
Tuttavia, la tempistica della ritorsione non convince fino
in fondo: perché, se questa decisione è direttamente legata agli eventi del caso al-Nimr, i sauditi hanno aspettato
oltre un mese prima di bloccare gli aiuti militari al Libano? E ancor di più, perché Arabia Saudita, Emirati
Arabi Uniti (Eau), Qatar, Kuwait, Bahrain hanno inoltre
invitato i loro cittadini a lasciare il territorio libanese e a
non recarvisi, tanto che il comunicato dell’agenzia di
stampa ufficiale saudita scrive di una “revisione comprensiva” delle relazioni con la repubblica libanese?
Certo, il crollo del prezzo del petrolio e la conseguente
riduzione della rendita energetica costringe Riyadh e le
monarchie del Golfo a rivedere la politica regionale degli
aiuti, anche militari: l’uso strategico della rendita (aiuti
militari e allo sviluppo) è stato il principale vettore della
politica estera saudita dopo le rivolte arabe del 2011.
Però, questo fattore, seppur importante, non spiega perché l’Arabia Saudita blocchi gli aiuti militari al Libano
poche settimane dopo aver siglato un accordo da 22 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’industria militare del
Marocco e aver rimpinguato le esauste casse del Sudan
con 5 miliardi di dollari in aiuti militari1.
1
Saudi Arabia to Provide $ 22 Billion to Morocco’s Military Industry, Morocco World News, January 17, 2015; Saudi-Sudan alliance
reportedly cemented with $ 5bn in military aid, IHS Jane’s 360,
February 23, 2016.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente. Gulf Analyst per la Nato Defense College
Foundation.
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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nei fatti – la distinzione fra queste due categorie teoricamente antitetiche. I sauditi, nonché gli israeliani, hanno
sempre temuto che le armi francesi dell’accordo finissero
per cadere nelle mani della milizia filo-iraniana e non
dell’esercito regolare. L’aumento degli ufficiali sciiti
nelle Laf, nonché la tacita accettazione se non cooperazione fra esercito e “partito di Dio” a protezione del confine siro-libanese (sempre più destabilizzato da attacchi
jihadisti e massiccio afflusso di profughi siriani) mettono
in luce la complessità delle relazioni civili-militari in
Libano.
La questione di fondo è dunque, ancora una volta, geopolitica e attiene ai due teatri regionali dello scontro fra
Arabia Saudita e Iran, ovvero la Siria e lo Yemen; il
bersaglio si chiama invece Hezbollah, il partito-milizia
sciita libanese.
Dal 2012, la campagna di Siria ha modificato ragion
d’essere e profilo operativo di Hezbollah, non più solo
difensore del sud libanese dalle incursioni dell’esercito di
Israele, ma garante della sicurezza dell’intera repubblica
dalla minaccia jihadista, nonché attore militare transnazionale direttamente impegnato in suolo siriano. Una
metamorfosi di non facile gestione, che ha saldato
l’alleanza politica fra Hezbollah, regime di Bashar
al-Assad, Iran e avviato una fase di cooperazione militare
con la Russia. Fra gennaio e febbraio, l’intensificarsi
della battaglia per Aleppo ha visto i miliziani sciiti libanesi partecipare all’offensiva contro l’opposizione siriana, nonché indebolire le posizioni dei ribelli filo-sauditi
fra Damasco e Dara’a.
Se il blocco degli aiuti militari sarà, come sembra, confermato, gli effetti di questa decisione saranno almeno
due. L’Arabia Saudita tornerà a privilegiare il sostegno
finanziario e militare agli attori non-statali del Libano, sia
cristiani sia sunniti. Questi ultimi, mossi più
dall’avversione nei confronti di Hezbollah che dalla volontà di contrasto delle sacche jihadiste, guardano ai predicatori salafiti libanesi appoggiati da Riyadh. Senza il
sostegno economico della regione del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), le istituzioni del Libano –
seppur destinatarie dell’aiuto militare degli Stati Uniti –
non potranno che cercare il soccorso di Iran e Russia,
innescando così un effetto esattamente contrario a quello
auspicato dai sauditi.
Dopo l’annuncio dello stop agli aiuti militari, l’Arabia
Saudita ha pesantemente accusato miliziani di Hezbollah
di pianificare attacchi, dallo Yemen, contro il confine
saudita, addestrando inoltre il movimento houthi di Ansarullah: Riyadh sostiene di aver trasmesso alle Nazioni
unite “prove inequivocabili” circa il coinvolgimento della
milizia libanese. Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah,
ha da mesi alzato i toni contro l’Arabia Saudita e
l’operazione militare in Yemen.
Per il Libano, il blocco degli aiuti militari sauditi rischia
di avere ripercussioni politiche ancora più gravi di quelle
militari, adesso che l’asse militarista e politicamente divisivo di Mohammed bin Salman-Mohammed bin Zayed
(vice principe ereditario saudita e principe ereditario degli Eau) muove ormai i fili della strategia regionale delle
monarchie del Golfo. Perché le istituzioni di Beirut (tra
cui le forze armate) si fondano su delicati equilibri di
quote confessionali. Nonostante l’impasse politica e le
tante spinte destabilizzanti (sia endogene sia esogene), la
democrazia consociativa libanese ha dato prova di una
resilienza per certi versi sorprendente, a cinque anni
dall’inizio della guerra civile in Siria, così come il suo
esercito si è mostrato coeso, anche in operazioni difficili.
©ISPI2016
Occorre quindi guardare agli ultimi sviluppi regionali per
inquadrare la ritorsione saudita, che colpisce pericolosamente le istituzioni del Libano per mandare un messaggio a Hezbollah, magari in vista di un’operazione di
terra turco-saudita in Siria.
Torna dunque in primo piano la cronica anomalia del
Libano. Le forze armate hanno il monopolio legittimo
della violenza ma è la milizia Hezbollah ad averne il
monopolio effettivo: un attore non-statuale che agisce, su
molte aree del territorio, come uno stato, incrociando –
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Il modello di “settarizzazione della difesa” proposto da
Arabia Saudita ed Eau mediante improbabili “alleanze
islamiche” contro il terrorismo che, nei fatti, si configurano come “alleanze sunnite” in chiave anti-sciita, mette
in difficoltà i paesi con società frammentate lungo faglie
confessionali, come Iraq, Pakistan e, appunto, Libano. Il
“paese dei cedri” è stato inserito nella lista dell’alleanza
islamica, a dispetto delle proteste del suo governo: Beirut,
dove la taifiyya (settarismo) prevale sulla wataniyya (nazione) scandendo i ritmi e le modalità del vivere insieme,
è dunque strutturalmente incompatibile al disegno di
“alleanze settarie per la sicurezza” messo a punto dalla
nuova leadership di Riyadh. Specialmente a causa dello
strapotere di Hezbollah.
©ISPI2016
La necessaria revisione della politica regionale degli aiuti
dell’Arabia Saudita, causata dalla contrazione della rendita petrolifera, va dunque di pari passo con un’attenta
valutazione, da parte del regno, del grado di “fedeltà
geopolitica” dei suoi tanti clients. Un esame che Beirut
non ha superato.
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