Il ruolo dell`Assistente Sanitario in una missione

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Il ruolo dell`Assistente Sanitario in una missione
Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche
Corso di Laurea in Assistenza Sanitaria
Coordinatore: Prof. Filippo Ansaldi
Tesi di Laurea
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria:
l’esperienza in Rwanda
Relatore
Prof.ssa A.S. Stefania Venuti
Correlatore
Prof.ssa A.S. Isabella Scopsi
Candidata
Silvia Pastorini
Anno Accademico 2012-2013
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
All’Africa, a Gatare, a Hope, a tutti gli altri bambini e ai loro sorrisi,
con la speranza di rivederli al più presto.
“L'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere.
E' un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo.
E' solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa.
A parte la sua denominazione geografica, in realtà l'Africa non esiste”.
Ryszard Kapuściński, Ebano
“Siate sempre capaci di sentire
nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia
commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo:
è la qualità più bella di un rivoluzionario”.
Ernesto Che Guevara
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INDICE
Introduzione
5
CAPITOLO 1 RWANDA: IL PAESE DALLE MILLE COLLINE
1.1 Il territorio e la Popolazione
10
1.2 Cenni Storici
12
1.2.1
Il Precolonialismo e il Colonialismo
12
1.2.2
Il Postcolonialismo
14
1.2.3
Il Bilancio del Genocidio
19
1.3 I principali ostacoli allo Sviluppo
20
CAPITOLO 2 L’EMERGENZA SANITARIA IN AFRICA SUB-SAHARIANA
2.1 Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
23
2.2 I Risultati Raggiunti
25
2.3 L’Africa Sub-Sahariana: una sfida ancora aperta
34
2.4 Focus sul Rwanda
35
CAPITOLO 3 RIDURRE LA MORTALITA’ INFANTILE: 4 Millenium Goal
3.1 Evoluzione Storica dell’approccio alla salute infantile
44
3.2 La Malnutrizione: strategie d’intervento
46
3.2.1
La Malnutrizione proteico-calorica
47
3.2.2
IMCI : Integrated Management of Childhood Illness
50
3.2.3
Curare la Malnutrizione
53
3.3 Il Complesso Malnutrizione, Infezioni ed Epidemia da Hiv /Aids
56
3.4 HIV/AIDS: prevenzione e cura
58
3.4.1 Strategie preventive della trasmissione verticale dell'infezione da HIV
60
CAPITOLO 4 IL RUOLO DELL’ASSISTENTE SANITARIO IN UNA MISSIONE
UMANITARIA
4.1 La Cooperazione Internazionale allo Sviluppo
64
4.2 L’Associazione Komera Rwanda
68
4.3 La Missione e il Centro di Sanità Rugege
70
4.4 Il Progetto Igiene
72
4.4.1 Prima fase del progetto: formazione del personale locale
73
4.4.2 Seconda fase del progetto: monitoraggio e rinforzo
73
4.4.3 Terza fase del progetto: analisi di contesto e identificazione dei bisogni
74
4.5 Il Progetto Malnutrizione
80
4.5.1 Prima fase del progetto: Programmazione del follow up di bambini da 0 a 5 anni
80
4.4.2 Seconda fase del progetto: Raccolta e analisi dei dati
82
4.6 Il Progetto HIV-AIDS
86
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4.6.1 Attività consultoriale per la prevenzione e la cura dell’AIDS
86
4.6.2 Attività di screening nei villaggi
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4.6.3 Attività di counselling domiciliare
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CONCLUSIONI
94
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
95
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INTRODUZIONE
Questo elaborato nasce grazie alla realizzazione di un sogno. Un sogno iniziato ad
appena 15/16 anni, quando tra i banchi del Liceo, un’insegnante, ci leggeva le
avventure di una sua amica, partita alla volta del Continente Nero, con poche
intenzioni di ritornare alla nostra realtà. Quelle letture, quelle parole, avevano la
capacità di rapirmi, di farmi viaggiare con la mente, di farmi riflettere, facendomi
ogni volta consolidare sempre di più, la decisione che un giorno, anch’io, avrei
potuto incontrare e vivere l’Africa. Quelle lettere, hanno dato il via ad un profondo
ed importante cammino personale, che ha portato a far sì che la mia strada, per
quaranta giorni, sia stata ricoperta dalla caratteristica terra rossa del Rwanda, quella
terra di cui è fatta la lunga strada che attraversa le mille colline e che porta a Gatare.
Il mio sogno è diventato realtà in questo modo, quando, nel Settembre del 2011, ho
aperto gli occhi e finalmente, anch’io, ero pronta a partire alla volta dell’Africa. Non
sto parlando dell’Africa turistica, dell’Africa dalle spiagge bianche e dalle acque
limpide. Non mi riferisco all'Africa “degli occidentali”, all'oasi per il relax, alla
migliore offerta sul catalogo in agenzia, io volevo andare oltre, volevo assaporare
l’Africa fino in fondo, conoscere l’Africa “vera”.
Il Paese che ho scelto, è poco, se non per nulla, conosciuto in Italia, la sua trattazione
non rientra generalmente nei programmi di storia delle nostre scuole e tra gli interessi
occidentali in generale. Qualcuno ne ha sentito parlare a causa delle drammatiche
vicende legate al genocidio del 1994, che si è consumato tra hutu e tutsi.
E’ stato grazie ai membri dell’Associazione “Komera Rwanda” che il mio sogno
finalmente si è trasformato in realtà: sono partita alla volta del Rwanda, sono arrivata
a Gatare, e quella è stata la mia casa per più di un mese. La mia scelta di partecipare
ad una missione umanitaria non è stata guidata solo da una volontà caritatevole, ma
anche da un senso di profondo rispetto e dalla speranza di poter essere un piccolo
strumento per la realizzazione di un mondo più giusto e, quindi, più pacifico e sicuro.
L’azione umanitaria, infatti, rientra a pieno titolo negli obiettivi della Cooperazione
Internazionale che regola tutti quei rapporti di solidarietà internazionale, di
promozione della pace e dei diritti umani, promossi dai Paesi industrializzati ed
economicamente ricchi per aiutare e sostenere le popolazioni che vivono in maniera
disagiata o in stato di emergenza. La cooperazione internazionale sta assumendo
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sempre più una connotazione giuridica e si realizza con il sostegno del Ministero
degli Affari Esteri o, attraverso le Associazioni e le Organizzazioni non Governative
(ONG),
sia
laiche
che
religiose.
L’Associazione
“Komera
Rwanda”
è
un’Associazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS), nata a Genova nel
maggio 2005.
Nel Primo Capitolo ho descritto il Rwanda dal punto di vista geografico e storico e
ho analizzato i principali ostacoli allo sviluppo emersi nel periodo postcoloniale. E’
soprattutto l’elemento culturale che blocca lo sviluppo dei Paesi Africani. “I quattro
pilastri del sottosviluppo africano sono il fatalismo, i militari, la corruzione
dell’amministrazione statale e, soprattutto, l’ignoranza. C’è sempre la paura di
offendere
gli
spiriti,
se
si
fa
qualcosa
di
diverso
dalla
tradizione”.
Nel Secondo Capitolo ho affrontato l’argomento della “Dichiarazione del Millennio”
(United Nations Millennium Declaration) redatta dai Capi di Stato e di Governo di
tutti gli Stati membri dell'ONU, riuniti dal 6 all'8 settembre 2000 a New York nel
"Vertice del Millennio". In quell'occasione, i leader mondiali affermarono la
loro responsabilità, non soltanto nei confronti dei rispettivi popoli, ma verso l'intera
specie umana, definendo una serie di ambiziosi propositi da conseguire, a livello
mondiale, entro il 2015. Ho analizzato in particolare l’attuale situazione dell’Africa
Sub-Sahariana e, più nello specifico, del Rwanda. E’ emerso che oggi, il Rwanda è
un Paese pacifico pieno di promesse e di speranze, con un’economia tra le più
dinamiche a livello globale e con uno Stato che ha scelto di investire nel progresso,
nel futuro e nella sanità.
Nel Terzo Capitolo, ho scelto di approfondire il Quarto Obiettivo del Millennio,
quello riguardante la riduzione della Mortalità Infantile. La morte, ogni anno, di circa
12 milioni di bambini prima del quinto compleanno, ha portato alla realizzazione di
questo obiettivo: la riduzione di due terzi della mortalità infantile, sotto i 5 anni di
età, entro il 2015, rispetto ai dati del 1990. Per quanto riguarda questo ambito, il
Rwanda, ha riportato risultati eccellenti, collocandosi al primo posto tra i 10 paesi
dell’Africa Sub-Sahariana che hanno avuto maggiori progressi nella riduzione della
mortalità infantile e dimostrando che né l'appartenenza ad una specifica area
geografica né lo status economico devono essere considerati ostacolo alla riduzione
del tasso di mortalità infantile. Nonostante i buoni risultati, ogni giorno muoiono
ancora migliaia e migliaia di bambini in tutto il territorio rwandese, quindi
l’attenzione deve rimanere alta.
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Le principali cause di mortalità infantile sono: la polmonite (18%), le complicanze
per parti pre-termine (14%), la diarrea (11%), le complicanze durante il parto (9%) e
la malaria (7%). A livello mondiale, più di un terzo delle morti sotto i cinque anni è
legato alla malnutrizione e il 50% dei bambini con infezione da HIV, senza adeguate
cure, muore prima dei 2 anni. Anche le malattie infettive, in gran parte prevedibili,
hanno una grande rilevanza nella mortalità infantile.
Nell’ultimo capitolo ho descritto la mia esperienza a Gatare, dove ho frequentato il
Centro Sanitario Rugege e la scuola materna. La scuola materna accoglie 340
bambini tra i 4 e i 6 anni, che pur non avendo quasi nulla, sono felici anche solo di
una carezza, di una caramella o di una foto scattata e fatta rivedere. Mi chiamavano
“umusungu”, “viso bianco” e il ricordo del sorriso sui loro volti mi riempie il cuore
di gioia.
Nel Centro Sanitario ho seguito in particolare tre progetti: il Progetto Igiene, il
Progetto Malnutrizione e il Progetto HIV-AIDS, strettamente legati alle
problematiche che contribuiscono a mantenere alto il numero delle morti dei bambini
sotto i cinque anni.
Con il Progetto Igiene mi sono posta l’obiettivo di valutare il livello igienicosanitario raggiunto nei vari ambienti (scuola, cucine, Centro Sanitario) e valutare le
acquisizioni delle norme igieniche da parte dei bambini, delle famiglie assistite e del
personale locale. Dall’analisi di contesto sono emersi alcuni comportamenti che
abbiamo ritenuto a rischio per la salute dei bambini, allora ho sviluppato un progetto
di educazione sanitaria: ho creato un libretto rivolto a tutti i bambini della scuola che
mostri i corretti comportamenti da adottare per prevenire la trasmissione delle
malattie infettive. Attraverso una grafica accattivante spero che i bambini possano,
divertendosi, assimilare le norme igieniche e diffonderle alle loro famiglie.
Il Progetto Malnutrizione consiste in un programma di follow up rivolto alle famiglie
dei bambini al di sotto dei cinque anni per monitorare le condizioni di salute e le loro
abitudini alimentari e mettere in atto le misure necessarie ad eliminare i fattori di
rischio di malnutrizione e garantire a tutti i bambini una crescita soddisfacente. Mi
sono occupata della registrazione dei dati raccolti durante la mia permanenza e del
loro confronto con i dati rilevati due anni prima per avere un’ampia visione dello
stato nutrizionale dei bambini della zona e valutare l’utilità del programma nella
riduzione dell’incidenza della malnutrizione. Dal confronto dei dati è emerso che
sono nettamente aumentati i bambini che presentano una crescita soddisfacente e,
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drasticamente ridotti, quelli che presentano disturbi nell’accrescimento. In
particolare, i bambini che si collocano sotto il 3° centile rappresentano solo il 2.58%
rispetto al 18.75% di due anni prima.
Infine il Progetto HIV-AIDS si pone l’obiettivo di diffondere le conoscenze riguardo
la malattia, le modalità di trasmissione e le possibilità di prevenzione e di cura. Il
Rwanda è un Paese che ha investito molto nella Prevenzione e nella Cura dell’AIDS
e ciò ha permesso, nell’ultimo decennio, una drastica riduzione dell’incidenza di
questa patologia. Nel 2012 sono state registrate 170.000 persone che vivono con
l’HIV contro le 400.000 del 2001 e le morti sono scese dalle 40.000 del 1999 alle
4.100 attuali. Attualmente la percentuale dell’HIV si è stabilizzata intorno al 3% della
popolazione. A Gatare tra il 14 gennaio 2011 e il 12 settembre 2011, su 1680
campioni prelevati, 9 di questi risultavano positivi alla malattia, quindi solo l’0,53%.
Nel mese di settembre 2011, durante la mia permanenza a Gatare, sono stati
esaminati 370 pazienti, di cui 200 maschi e 170 femmine, che sono risultati tutti
negativi.
Oltre all’Attività consultoriale, che ho potuto seguire nel Centro Sanitario Rugege,
ho partecipato anche a spedizioni nei villaggi circostanti, volute dalle autorità
sanitarie rwandesi, per poter attuare una campagna preventiva e uno screening, anche
di quella parte di popolazione che non ha la possibilità di recarsi ai Centri Sanitari.
Estremamente utile, inoltre, si è dimostrata l’attività di counselling domiciliare.
Questa attività permette di seguire i pazienti più bisognosi nel loro percorso di vita,
facendosi carico sia delle problematiche sanitarie, sia di quelle psico-sociali. Per fare
ciò è spesso necessario recarsi all’abitazione del paziente per constatare quali siano
le sue condizioni di salute e verificare l’aderenza al programma terapeutico. In queste
occasioni possono emergere dei problemi e si può essere di grande aiuto al paziente
nel cercare di risolverli insieme. E’ stato proprio durante le visite domiciliari che mi
sono accorta del dramma di molte famiglie vittime non solo della malattia, ma
soprattutto della paura della sanzione sociale, dei pregiudizi e dell’isolamento dalla
comunità. Il pregiudizio nasce come reazione di paura nei confronti delle persone
sieropositive, considerate pericolose e sembra essere più forte del buon senso, capace
di superare le certezze cliniche sulla trasmissione dell’infezione e di ignorare le
campagne di sensibilizzazione: è radicato nel popolo africano al di là di ogni
razionale smentita scientifica. Affrontare il tema del pregiudizio non è solo un
imperativo etico e sociale, è anche una necessità organizzativa ed economica: è
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necessario investire in programmi di prevenzione non solo dell’infezione, ma anche
del pregiudizio.
L’esperienza vissuta a Gatare è stata determinante per comprendere quanto le
competenze dell’Assistente Sanitario possano rappresentare un preziosissimo
contributo per le attività che vengono svolte in una missione umanitaria, ma le
competenze tecniche devono essere necessariamente accompagnate da una forte
motivazione a lavorare in aiuto alle popolazioni povere, dalla consapevolezza del
valore delle differenze culturali, da una predisposizione al lavoro in team e alla
collaborazione, da una buona capacità di leggere il contesto in cui ci si trova ad
operare, a risolvere i problemi e ad affrontare le situazioni impreviste e,
naturalmente, da un buon livello di riconoscimento e gestione dello stress.
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Capitolo 1
RWANDA: IL PAESE DALLE MILLE COLLINE
“Non può esserci pace, nella casa comune di questo mondo, se anche uno solo dei popoli,
fosse pure il più piccolo, venisse dimenticato o addirittura escluso” (Giovanni Paolo II)
1.1 IL TERRITORIO E LA POPOLAZIONE
Il Rwanda è uno stato dell’Africa centrale, privo di sbocco sul mare. La capitale è
Kigali. Confina a nord con l’Uganda, a est con la Tanzania, a sud con il Burundi e a
ovest con la Repubblica democratica del Congo. E’ uno dei paesi più piccoli del
mondo ha, infatti, una superficie di soli 26.338 Kmq., tuttavia è il paese più popoloso
dell’Africa: 300 abitanti per Kmq.1
Figura 1 Posizione geografica del Rwanda
E’ occupato, nella zona centrale, da un altopiano con un’altitudine media di 1.700
metri che, a est, si abbassa verso un’area solcata da laghi e depressioni paludose
lungo il corso superiore del fiume Kagera, mentre, a ovest, si eleva verso una catena
montuosa, alta in media circa 2.700 metri, che fa da spartiacque tra i bacini del Nilo e
del Congo. Le propaggini settentrionali della catena si collegano al sistema vulcanico
dei monti Virunga (la cui vetta più alta è il Karisimbi, con 4.507 m.); quelle
occidentali scendono a un livello di circa 1.460 m. nella regione del lago Kivu.
Le foreste, un tempo estesissime, sono oggi concentrate sui versanti dei monti
Virunga e nell’area circostante il lago Kivu. Il territorio del Rwanda è un susseguirsi
di declivi terrazzati, di piccoli centri abitati, di campi coltivati, di alberi di eucalipto,
di piantagioni di tè e di caffè e ovunque si possono trovare banani. E’ un paese ricco
1
“The Economist”, Il mondo in cifre, Internazionale, Roma 2003, p.234
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di alture e di altipiani ricoperti di savana, e questo gli è valso il poetico nome di
“paese dalle mille colline”. La maggioranza delle persone, infatti, vive sulle colline:
la “collina” per i rwandesi è come il “villaggio” per gli altri africani, è il terreno della
propria comunità.
Figura 2 La collina rwandese
Gli abitanti originari del Rwanda furono i twa, un gruppo di pigmei che viveva
prevalentemente grazie alla caccia. Successivamente giunsero gli hutu dal Camerun
portando il ferro, l’agricoltura e l’allevamento. Infine, presumibilmente tra il XIII e il
XIV sec., arrivarono dal nord i tutsi, pastori-guerrieri nomadi. L’incontro tra queste
differenti popolazioni generò una struttura sociale che collocò i twa al livello più
basso. I tutsi, essenzialmente allevatori, ebbero maggiore facilità di arricchirsi e di
diventare potenti; costituirono, così, un’élite che si trasformò, via, via, in una vera e
propria monarchia. Gli hutu costituivano, invece, la grande massa dei contadini.
La distinzione fra i tre gruppi assunse nel tempo il valore di casta, piuttosto che di
etnia pura e semplice.2
Figura 3 Abitanti originari del Rwanda
2
M.Fusaschi, Hutu-Tutsi: alle radici del ginocidio ruandese, Bollati Boringhieri, Torino 2000, pp. 24-27
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1.2 CENNI STORICI
1.2.1 Il Precolonialismo e il Colonialismo
In Rwanda l’idea del popolo-nazione si sviluppò con grande anticipo rispetto a
quanto accadde negli altri paesi africani. Grazie a ciò, il paese costituì una specie di
isola felice, esclusa dal commercio degli schiavi che ha devastato per secoli l’Africa.
Il regno del Rwanda si costituì a poco a poco assumendo una struttura complessa,
articolata e stabile, incentrata sulla figura del monarca assoluto, il mwami.
Nel 1885, alla Conferenza di Berlino, convocata per definire l’assetto geopolitico dei
paesi europei e dei loro territori d’influenza, i rappresentanti delle maggiori potenze
si spartirono l’Africa. Il Rwanda e il Burundi vennero assegnati alla Germania, ma
solo nel 1894 un uomo bianco prese per la prima volta contatto con i regnanti
rwandesi, ignari delle decisioni della Conferenza di Berlino.
Nel 1900 arrivarono in Rwanda anche i primi missionari, i cattolici Padri Bianchi.
I tedeschi imposero un regime di protettorato che mantenne la monarchia e vide una
parte di tutsi rimanere al potere, sotto forma di “amministratori locali”.
Nel 1916, durante la Prima Guerra Mondiale, il paese passò nelle mani dei belgi che,
nel 1922, ottennero dalla Società delle Nazioni un mandato per la gestione del
“Regno di Urundi”, vale a dire Rwanda e Burundi insieme. A differenza della
Germania, il Belgio si impegnò molto per dare al paese una struttura amministrativa
maggiormente controllabile. Con l’attiva collaborazione delle missioni cattoliche, i
belgi definirono i confini di alcune province, provvidero direttamente all’elezione dei
governatori locali, determinarono cambiamenti in tutto il paese. Confermarono la
politica del protettorato, insistendo nel creare una classe amministrativa indigena,
sotto il diretto controllo dei funzionari della potenza coloniale. Per motivare la scelta
della classe dirigente, il re del Belgio inviò in Rwanda scienziati armati di bilance,
metri e compassi che iniziarono a pesare la gente, misurare i crani e, soprattutto, a
valutare le forme dei nasi.3 Proprio nel naso venne trovata la prova secondo cui “i
tutsi sono i migliori, i più attivi, i più determinati e quindi destinati a regnare”. Il tutsi
medio aveva un naso più lungo di 2,5 mm. e più stretto di 5 mm. di quello di un hutu
medio: una incontrovertibile prova di superiorità, secondo i belgi. I belgi aggiunsero,
inoltre, che i tutsi erano distinti, riservati, cortesi e con modi eleganti, mentre gli hutu
“sono negri con tutte le caratteristiche negroidi […] sono infantili, sia timidi sia pigri
3
P.Gourevitch, Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie: storie dal Rwanda, Einaudi, Torino
2000, p.55
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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e, più spesso che no, estremamente sporchi”.4 La convinzione dell’esistenza di due
etnie, l’una superiore all’altra, con il tempo mise radici così sempre più profonde.
L’altezza dei tutsi, la loro figura solitamente più slanciata, diventò addirittura un
mito popolare, di cui anche in Italia giunse notizia e ispirò la famosa canzone “I
Watussi”. In realtà tra tutsi e hutu non esiste alcuna differenza etnica. Parlano la
stessa lingua, il kinyarwanda, hanno la stessa affiliazione religiosa tradizionale, gli
stessi miti. Hanno condiviso per secoli regole di convivenza sociale, riti matrimoniali
e funerari. I belgi, invece, generarono tensioni drammatiche tra hutu e tutsi e, la
chiesa cattolica, con il vescovo Leon Classe, capo della chiesa cattolica in Rwanda,
contribuì ad accentuare la divisione. I belgi cercarono di impedire in modo
sistematico agli hutu di giungere ai posti di potere, escludendoli sistematicamente dai
posti pubblici e dal mondo dell’istruzione. In tutto il paese i tutsi non superavano il
15%, ma componevano il 95% della popolazione impiegata nella funzione pubblica.
Tra il 1932 e il 1957 più dei tre quarti degli studenti dell’unica scuola secondaria
nella città di Butare erano tutsi.
I colonizzatori confermarono però un fatto: i twa rimanevano al gradino più basso
nella scala sociale del paese. Nel 1932 i belgi erano così convinti della necessità di
dividere i ruoli nel paese da arrivare al punto di introdurre la “carta d’identità etnica”.
Su questo documento veniva scritto se si era hutu, tutsi o twa e non c’era più alcun
modo di passare da un gruppo all’altro, come era stato possibile in passato. Gli hutu
dell’epoca vissero questa innovazione come l’ennesima azione discriminatoria a
favore dei tutsi.
Dopo la morte di padre Leon Classe, nel 1945, in Rwanda giunse una nuova
generazione di missionari, più disposta a prendere in considerazione le lamentele
degli hutu. La chiesa iniziò a concedere terreni e risorse a gruppi di hutu che si
organizzarono in cooperative e riuscirono così ad accrescere il loro potere economico
e politico. Così, all’inizio degli anni ’50, i dirigenti indigeni del paese erano
rappresentati ancora da una stretta élite di tutsi, ma, parallelamente, si stava
formando un gruppo elitario anche tra gli hutu. “Il Gazzettiere”, il giornale più antico
del paese, fondato nel 1932 dalla Conferenza episcopale rwandese, iniziò ad
occuparsi delle problematiche sociali e politiche degli hutu.
4
F.Keane, Season of blood. A rwandan journey, Penguin Book, London 1996, p.14
~ 13 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Nel 1957 fu pubblicata la “Nota sull’aspetto sociale del problema razziale in
Rwanda”, noto come il “Manifesto Bahutu”.5 Era un testo con il quale gli hutu
rivendicavano
il
riconoscimento
dei
loro
diritti,
protestavano
contro
la
discriminazione di cui erano vittime e accusavano palesemente i tutsi di essere
responsabili di tutti i problemi del paese. Nella storia del Rwanda fu un momento
cruciale: il Manifesto Bahutu fu il primo importante documento scritto da rwandesi
in cui venne utilizzato il concetto europeo di razza. A fine anni ’50, l’ondata di
nazionalismo contro il colonialismo che travolse l’Africa coinvolse anche il Rwanda,
ma qui la lotta per l’indipendenza non si rivolse contro gli europei colonizzatori, ma
all’opposto contro i tutsi. Nacquero partiti e movimenti politici che affermavano il
diritto degli hutu a riprendersi il paese, sottratto con l’inganno dai tutsi. La situazione
divenne molto tesa e scoppiarono i primi disordini tra gruppi politici hutu e tutsi. I
belgi, questa volta, si schierarono, senza esitazioni, dalla parte degli hutu: fu un
cambiamento di fronte stupefacente, dovuto al guastarsi dei rapporti tra belgi ed élite
tutsi a causa dell’insistenza di quest’ultimi ad ottenere l’indipendenza. Scoppiò così
la rivoluzione sociale, durante la quale gli hutu, con la collaborazione dei belgi,
smontarono le strutture di potere costruite dai tutsi, eliminando fisicamente chi
occupava i posti di responsabilità. I tutsi furono costretti a fuggire nei paesi limitrofi.
I capi della ribellione hutu sostenevano che i tutsi altri non erano che una minoranza
di invasori infiltrata nel paese dove, da sempre, vivevano in pace gli hutu.
I gruppi di potere hutu proclamarono la Repubblica il 28 gennaio 1961.
I funzionari e i militari belgi tornarono a casa e, il 1° luglio 1962, Kayibanda venne
nominato primo presidente rwandese. Alla chiesa cattolica, che, per prima, aveva
ascoltato le richieste degli hutu, fu concesso di rimanere e continuare a svilupparsi.
1.2.2 Il Postcolonialismo
Il primo obiettivo del presidente Kayibanda fu quello di mettere i tutsi in condizione
di non nuocere, possibilmente facendoli tornare in Etiopia, da cui, secondo gli
europei, provenivano. Inoltre scatenò rappresaglie contro di loro e li costrinse a
rifugiarsi oltre confine.
In Rwanda la situazione non cambiò fino al 1973, anno in cui, con un colpo di stato,
salì al potere il generale Habyarimana. Habyarimana fu rieletto nel 1980, nell’83 e
5
Fusaschi, op. cit., pag. 132
~ 14 ~
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nuovamente nel 1988. Tra le varie priorità del paese Habyarimana ne perseguì, in
particolare, due: allentare le tensioni con i tutsi e migliorare i rapporti con il Burundi,
paese con il quale, nell’epoca del post colonialismo, si erano verificate molte
rappresaglie. Habyarimana riuscì a migliorare questa situazione. Sotto la sua
presidenza, almeno fino alla fine degli anni ’80, la violenza nel paese si ridusse
molto e i rapporti con il Burundi si fecero meno tesi. Quando Habyarimana prese il
potere, nel 1973, il Rwanda aveva il prodotto interno pro capite più basso della
regione. Verso la seconda metà degli anni ’80,
esso divenne il più alto. Con
l’avvento di Habyarimana, le condizioni sociali degli abitanti cambiarono
decisamente in meglio: si abbassò la mortalità, crebbe il numero di ragazzi che
frequentavano
la scuola e, in generale, diminuì la povertà. Le diplomazie
internazionali iniziarono a parlare del Rwanda come della “Svizzera africana”.
Habyarimana era aperto e modernizzatore tanto quanto il suo predecessore era stato
chiuso e conservatore. Il presidente godeva di un elevato consenso popolare e anche
la chiesa cattolica era dalla sua parte. Anche sulla scena internazionale, egli divenne
sempre più forte e sempre più legittimato. La giornalista belga Colette Braeckman
definì con sarcasmo il regime instaurato in Rwanda “una dittatura in odore di
santità”.6 Dal punto di vista economico, però, il governo promosse una produzione
agricola di sussistenza, consentendo al Rwanda di produrre il necessario per la
popolazione, ma impedendo la crescita dell’industria e del settore dei servizi. Il paese
perse così molte occasioni di sviluppo e divenne estremamente dipendente dal
mercato mondiale di caffè, tè e stagno. A metà del 1989, durante un incontro
internazionale di produttori, il prezzo del caffè venne dimezzato.
Tra il 1985 e il 1993 gli introiti del Rwanda realizzati con la vendita all’estero di
questo prodotto si ridussero di cinque volte. La povertà aumentò rapidamente e il
paese divenne sempre più dipendente dagli aiuti esterni. Inoltre, l’aumento
demografico e la siccità peggiorarono la carestia. Centinaia di persone morirono di
fame, decine di migliaia di famiglie piombarono nell’indigenza. Tra il 1985 al il
1990 il Rwanda si qualificò tra i paesi del mondo con il più basso indice di sviluppo.
Insieme alla povertà crebbero le disuguaglianze: la popolazione divenne sempre più
povera, l’élite governativa, in compenso, sempre più ricca.
6
C.Braeckman, Rwanda, Histoire d’un genocide, Fayard, Paris 1994 p.98
~ 15 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Nel 1987 si costituì il Fronte Patriottico rwandese, un’organizzazione, per metà
partito e per metà esercito. Questo movimento fu creato dai figli dell’esilio, cioè da
quei giovani nati dai tutsi fuggiti dal Rwanda durante i massacri voluti da Kayibanda.
Le sue basi erano in Uganda, paese in cui i tutsi non riuscirono mai ad ambientarsi
perché perseguitati anche dal governo ugandese.
Nel 1988 gli esponenti del Fronte Patriottico si ritrovarono a Washington, dove
affermarono il loro diritto di ritornare in Rwanda, anche usando la forza.
Il Fronte, che non comprendeva solo tutsi, aveva un progetto politico, costituito da
otto punti essenziali, tra cui la richiesta di democrazia e l’opposizione alle divisioni
etniche, iniziando proprio dall’abolizione delle carte d’identità. I guerriglieri
ottennero equipaggiamento e armi dai paesi dell’ex Patto di Varsavia: l’arma più
diffusa tra loro divenne il kalashnikov, di fabbricazione rumena.
Nel 1990 ebbe inizio la guerra civile. Capo militare del Fronte divenne Paul Kagame,
attuale presidente del Rwanda, un tutsi scappato con la sua famiglia, quando aveva
solo tre anni. Il fatto di aver seguito un programma di addestramento nella scuola
militare di Ford Leaven Worth nel Kansas gli permise di trasformare i guerriglieri in
un vero e proprio esercito efficiente e disciplinato di quindicimila unità.
In Rwanda iniziò una vera e propria corsa agli armamenti. Nonostante la carestia, in
tre anni, le spese per le forze armate crebbero dall’1.6 al 7% del prodotto interno
lordo. Il Rwanda divenne il terzo paese importatore di armi dell’Africa. Quando il
ministro della Difesa si rese conto che la spesa per gli armamenti aumentava troppo,
decise di acquistare armi più economiche e, tra il gennaio del 1993 e il marzo 1994,
furono acquistati 581.000 machete, in massima parte dalla Cina.7
La guerra civile peggiorò la già fragile situazione sociale ed economica del paese.
I tutsi che vivevano nel paese vennero presentati come i fiancheggiatori del Fronte
Patriottico rwandese e la causa dei peggiori problemi del paese. L’odio contro di loro
che, negli anni ’70 e ’80, si era notevolmente affievolito, si riaccese in tutta la
nazione e si scatenò la violenza. Nel 1992 Amnesty International denunciò le
sistematiche aggressioni ai tutsi e ai partiti di opposizione e chiese al governo di
coalizione di mobilitarsi, affinché venissero interrotte le repressioni nei confronti dei
cittadini di minoranza, ma purtroppo la violenza contro i tutsi continuò a salire.
7
Federation Internationale des ligues des droits de l’Homme, Leave none to Tell the Story. Genocide in Rwanda, H.R.W., 1999
~ 16 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
I paesi occidentali premevano affinché il presidente Habyarimana si impegnasse in
una trattativa di pace e, nel gennaio 1993, fu siglato l’accordo ad Arusha, in
Tanzania. I firmatari chiesero il supporto delle Nazioni Unite, affinché giungesse al
più presto una forza multinazionale di pace. Nell’aprile del 1993, arrivarono in
Rwanda i caschi blu dell’ONU, guidati dal generale canadese Romeo Dallaire. Il loro
compito era di analizzare la situazione alla luce del “cessate il fuoco”, siglato tra il
Fronte Patriottico e il governo di Kigali. Sulla base delle osservazioni fatte, il
Dipartimento
per le
operazioni
di
peacekeeping dell’ONU,
guidato dal
sottosegretario generale Kofi Annan, elaborò una proposta di missione per il Rwanda
che il Segretario generale Boutros Ghali presentò al Consiglio di sicurezza nel
settembre 1993. L’UNAMIR (United Nations Assistance Mission In Rwanda)
avrebbe aiutato il Rwanda a organizzare le elezioni pluripartitiche, previste per il
1995. In tutto, la missione sarebbe durata due anni.
In Tanzania vennero presi solenni impegni sotto gli occhi di molti osservatori
internazionali, ma i “cessate il fuoco” vennero sistematicamente violati.
E’ difficile identificare il momento preciso in cui questa violenza fece il salto di
qualità e si trasformò in genocidio. Per anni, i militari regolari dell’esercito avevano
addestrato e fornito di armi e munizioni migliaia di uomini, dando vita alle milizie
urbane che, a loro volta, avevano addestrato altre migliaia di uomini, ufficialmente
con l’intento di proteggere Kigali dall’assedio del Fronte Patriottico, ma, in realtà,
con l’obiettivo di sterminare tutti i tutsi. Né il Fronte Patriottico, né i tutsi che
vivevano in Rwanda sospettavano che fosse stata programmata la loro totale
cancellazione.
Nei primi giorni, ci fu l’uccisione sistematica di tutti i moderati e dei possibili
oppositori al genocidio; successivamente, lo sterminio dei tutsi si consumò per le
strade. Le vie di comunicazione vennero riempite di posti di blocco per poter fermare
e controllare chiunque. Queste barriere erano presidiate da giovani che avevano,
finalmente, la possibilità di mettere in pratica l’addestramento ricevuto negli ultimi
anni. Ai passanti veniva chiesta la carta d’identità e, se c’era scritto “tutsi”, questi
veniva immediatamente ucciso. Erano sostenuti da Radio Televisione Libera Mille
Colline (RTLM), strumento nelle mani dei partiti più estremisti e razzisti del
governo, che incitavano all’odio e alla caccia ai tutsi. Con questo sistema, gli
organizzatori del genocidio seppero mobilitare centinaia di migliaia di cittadini,
~ 17 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
facendo loro credere che lo sterminio dei tutsi fosse un’azione indispensabile per la
difesa del paese. Nella terza fase, il genocidio si consumò in luoghi chiusi perché il
governo rwandese cominciò a porsi il problema della sua immagine all’estero e così
cambiò strategia. Il cattolicissimo Rwanda è pieno di chiese che si prestavano molto
bene a questa funzione. Così RTLM cominciò ad invitare i tutsi a ripararsi nei luoghi
di culto, poi arrivavano i miliziani e i poliziotti armati di fucili e granate e le chiese si
trasformavano in campi di sterminio. Nelle chiese di tutto il Randa, vennero uccise
decine di migliaia di persone.
In Occidente, si continuava a negare che ci fosse un vero e proprio genocidio in atto,
anche perché, secondo l’art. 8 della “Convenzione per la prevenzione e la repressione
del crimine di genocidio”, approvata con risoluzione dell’Assemblea Generale
dell'ONU n. 260 A (III) del 9 dicembre 1948 ed entrata in vigore il 12 gennaio 1951,
i paesi firmatari avrebbero avuto il dovere di intervenire. Il primo ad avere il
coraggio di usare la parola “genocidio” fu il papa che, il 3 maggio, condannò con
forza il tentativo di eliminazione totale dei tutsi. Il 4 luglio, il Fronte Patriottico
conquistò la capitale, Paul Kagame dichiarò la fine della guerra civile e con essa
terminò anche il genocidio. Presidente della Repubblica fu nominato Pasteaur
Bizimungu, un hutu unitosi al Fronte dal 1990. Il governo abolì immediatamente le
carte d’identità etniche. Nel 1994, una commissione di esperti, incaricata dall’ ONU
di verificare eventuali violazioni dei diritti umani in Randa, denunciava la
consumazione di un genocidio attuato dagli hutu contro i tutsi. Quindi fu istituito il
tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, che tenne la sua prima riunione, a
gennaio 1996, nella sede di Arusha, in Tanzania. Ad Arusha, fu pronunciata la prima
condanna per genocidio della storia, la prima condanna di un capo dello stato. Fu
condannato il colonnello Bagosora, ritenuto il vero stratega dei massacri, il
pianificatore dello sterminio dei tutsi, e ci fu anche il processo agli speaker di
RTLM, definiti i “media dell’odio”. Parallelamente ai lavori del Tribunale
Internazionale, si attivò anche la giustizia rwandese. Nelle carceri di quest’ultimo
paese, la maggioranza dei decessi fu causata dal sovraffollamento, dalle scarse
condizioni igienico sanitarie e dall’uso della tortura. Inoltre, nel 1998, fu portata a
termine termine l’esecuzione pubblica di 22 hutu, ritenuti diretti responsabili del
genocidio dalle corti rwandesi.8
8
D.Scaglione, Istruzioni per un genocidio. Rwanda: cronache di un massacro evitabile EGA Ed. 2003 pp.172-174
~ 18 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Nel 2000, il governo provvisorio elesse Paul Kagame alla presidenza del paese,
dopo che Bizimungu si era dimesso. Le prime elezioni post-genocidio si tennero
nell’agosto del 2003, Paul Kagame fu eletto presidente dopo una campagna elettorale
fatta di minacce e di intimidazioni, ma, nonostante le premesse non siano state
affatto democratiche, la sua attuale politica mostra di voler promuovere la pace, la
stabilità e la crescita economica del paese.
1.2.3 Il Bilancio del Genocidio
Dallaire e i suoi uomini fecero molto per difendere i civili rwandesi: infatti,
nonostante la riduzione del contingente, la mancanza di armi, di equipaggiamento, di
medicinali, di un numero adeguato di veicoli, riuscirono a salvare tra le 20-25.000
persone. Conclusa la missione in Rwanda, il generale cercò di continuare la sua
carriera militare, ma più il tempo passava, più Dallaire si sentiva male. Non riusciva
a dormire, soffriva di forte stress, depressione, stati confusionali. Dallaire fu
chiamato a testimoniare ad Arusha e, questa esperienza rappresentò l’inizio del
deterioramento della sua salute mentale. La sua mente lo riportò indietro ai fiumi di
cadaveri che aveva visto e fu assalito dalla cosiddetta Sindrome da stress posttraumatico. La sua salute continuò a peggiorare e, nell’aprile del 2000, a soli 54 anni,
fu costretto a lasciare le forze armate. Inoltre, alcuni mesi dopo la sua deposizione ad
Arusha, la teoria di Dallaire secondo cui con 5.000 soldati avrebbe potuto fermare il
genocidio, venne analizzata da un gruppo di lavoro composto dalla commissione per
la prevenzione dei conflitti armati, dall’Istituto per gli studi diplomatici della
Georgetown University di Washington e da alcuni esperti dell’esercito statunitense
che giunse alla conclusione che, effettivamente, 5.000 militari, bene armati e con un
mandato adeguato, avrebbero potuto cambiare in modo significativo le sorti del
Rwanda.
Il numero esatto delle vittime del genocidio è difficile da valutare. La cifra più
accreditata è di 800.000 morti, che corrisponde al 10% della popolazione totale di cui
¾ circa erano registrati come tutsi. Le persone fuggite dal paese furono circa due
milioni e altrettante abbandonarono le loro case, pur rimanendo all’interno del paese.
Bambini e adolescenti sono stati esposti come mai in età moderna a eventi di natura
traumatica. Da una indagine compiuta nel maggio del 1995, dove vengono
intervistati 3.030 giovani di età compresa tra gli 8 e i 19 anni, risulta che l’80% di
loro ha avuto almeno un morto in famiglia; il 40% ha perso entrambi i genitori; il
~ 19 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
95% ha assistito a scene di violenza, il 70% ha visto uccidere o ferire gravemente
una persona; il 30% è stato testimone di stupri; il 35% ha visto altri bambini
partecipare ai massacri. L’80% di questi ragazzi, durante il genocidio, ha dovuto
nascondersi, nella metà dei casi, per un periodo di tempo di almeno 4-8 settimane.
Un ragazzino su quattro è rimasto nascosto, completamente solo, il 16% delle volte
sotto a cadaveri di parenti e di amici.9
La violenza sessuale è uno dei crimini, perpetrati durante i genocidi, destinato ad
avere più conseguenze sul futuro del Rwanda. Gli autori del genocidio formarono
squadre di stupratori scelti tra i tanti maschi infetti dal virus dell’HIV: le donne
violentate venivano lasciate in vita affinché potessero diffondere il male nelle loro
famiglie, nelle loro comunità.10 Le Nazioni Unite stimano che le donne vittime di
violenza sessuale siano state circa 250.000. Tra le sopravvissute il 70% ha contratto
l’AIDS.11
Si stima che, in tutto il paese, i “bambini dell’odio” siano tra i 2.000 e i 5.000.
Le conseguenze di questo dramma, ovunque ancora molto evidenti, si ripercuotono
pesantemente sugli abitanti e, soprattutto, sui giovani adulti.
Durante la mia permanenza in Rwanda, mi sono recata a Kigali a visitare il
Memoriale del Genocidio, un luogo creato per non dimenticare l’atrocità e l’orrenda
violenza che si sono consumate in quei giorni e sono stata assalita da una profonda
inquietudine. Con le persone che ho incontrato non ho mai toccato l’argomento. E’
come se tutti volessero buttarsi alle spalle un fardello molto scomodo e imbarazzante,
come se non volessero essere giudicati né vittime, né carnefici, ma solo un popolo
con una grande speranza nel futuro e una grande voglia di evolversi verso un più alto
livello di umanità.
1.3 I PRINCIPALI OSTACOLI ALLO SVILUPPO
L’Africa è ricchissima di materie prime: c’è petrolio in Nigeria, Angola e Gabon,
oltre che nel Nord Africa. Ci sono i maggiori giacimenti mondiali di diamanti in
Sudafrica, Namibia, Botswana, ma anche in Africa centro-occidentale, Ghana, Sierra
Leone, Liberia e Congo. Inoltre sono presenti oro, rame, stagno, zinco, piombo,
9
Dr. Leila Gupta, UNICEF Trauma Recovery Programme, Exposure to War Related Violence Among Rwandan Children and
Adolescents. A Brief Report on the National Baseline Trauma Survey, febbraio 1996
10
The International Panel of Eminent Personalities to Investigate the 1994 Genocide in Rwanda, Rwanda: The Preventable
Genocide, maggio 2000
11
P. Landesman, Lo stupro come arma di guerra, pubblicato da “Internazionale”, n.467 del 13 dicembre 2002, pp 31-34
~ 20 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
manganese, bauxite, uranio, nichel, antimonio, tungsteno, cromo. In sostanza
l’Africa produce ed esporta più di 60 metalli e altri prodotti minerari. Grandi aree del
continente, da questo punto di vista, risultano ancora parzialmente inesplorate. Si
ritiene, comunque, che il continente contenga, nel suo sottosuolo, almeno il 30%
delle riserve minerali del pianeta, incluso il 40% di oro, il 60% di cobalto e il 90% di
minerali “polimetallici” (nichel, rame e cobalto)12
Nonostante tutte queste ricchezze, i più poveri tra i paesi sottosviluppati, quelli che
vengono definiti “in via di sviluppo”, sono proprio, per la maggior parte, le ex
colonie dell’Africa Nera. Le cause di questo perdurante sottosviluppo vanno ricercate
nel risultato dell’intreccio tra un gran numero di fattori: da un lato, lo sfruttamento
dell’Occidente, vale a dire il colonialismo e il neocolonialismo, il debito estero e
l’impreparazione degli africani, lasciati a se stessi troppo presto, ma, dall’altro, non
bisogna sottovalutare le cause intrinseche alla cultura del continente nero. Secoli
prima dell’inizio delle conquiste coloniali, l’Africa nera era il territorio più arretrato
del pianeta, dal punto di vista delle tecnologie disponibili, che erano quelle di
duemila anni prima, ferme all’età del ferro. Mentre altre culture elaboravano tecniche
sempre più complesse ed efficaci per trarre dalla terra risorse sicure e abbondanti, gli
africani lavoravano suoli, resi sempre più poveri di humus, perché sfruttati senza
apporti di fertilizzanti, senza effettuare opere di bonifica, di raccolta e di
canalizzazione delle acque piovane, senza nessun aiuto animale, né meccanico,
utilizzando attrezzi rudimentali.13 L’agricoltura africana soffre anche per l’assenza di
una rete stradale che consenta ai piccoli produttori agricoli di portare al mercato le
loro merci: nell’Africa Sub-Sahariana quasi il 70% delle persone che vivono in zone
rurali si trovano ad oltre mezz’ora a piedi dalla più vicina strada praticabile.14
Alla luce di ciò, invece di descrivere i modi attraverso i quali oggi la globalizzazione
impedirebbe il progresso dell’Africa, è necessario chiedersi il perché di questa totale
assenza di progresso, “malgrado” la colonizzazione: infatti le potenze coloniali
importarono in Africa tecnologie agricole e minerarie, costruirono città, strade, ponti,
ferrovie, porti, acquedotti; introdussero norme igieniche e servizi sanitari, aprirono
scuole. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, tutte le colonie ottennero l’indipendenza:
sei paesi negli anni ’50, trentatré negli anni ’60, otto negli anni ’70 e solo due più
tardi, ma le speranze riposte nella liberazione dal giogo coloniale andarono deluse.
12
G.Lizza, Scenari geopolitici, Utet De Agostini, Novara, 2009, pp.198-199
A.Bono, La nostra Africa, Il Segnalibro, Torino, 1995, p.84
14
K.F. Nwanze, presidente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. “La Stampa”, 9-9-10
13
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
E’ l’elemento culturale che blocca lo sviluppo. “I quattro pilastri del sottosviluppo
africano sono il fatalismo, i militari, la corruzione dell’amministrazione statale e,
soprattutto, l’ignoranza. C’è sempre la paura di offendere gli spiriti, se si fa qualcosa
di diverso dalla tradizione”.15 I dati mostrano che decine di paesi, per lo più
nell’Africa Sub-Sahariana, sono incapaci di produrre anche un minimo ordine
politico e tecnico interno e, per questo, milioni di persone sono esposte a guerre e a
povertà assoluta, portatrice di denutrizione e di malattie che le uccidono.
La situazione dell’Africa Nera è particolarmente drammatica dal punto di vista
sanitario:
Aids,
tubercolosi
e
malaria
mietono
milioni
di
vittime.
Oggi, in Africa, si trovano 32 dei 45 paesi più poveri del mondo. Le prospettive per il
futuro sono drammatiche: la popolazione del continente africano ha un ritmo di
crescita che è il più alto del pianeta. Povertà e denutrizione sono, quindi, destinate a
peggiorare.16 L’Africa si sta trasformando in un mondo di bambini e di adolescenti
che, naturalmente, sono anche le prime vittime della situazione, determinata da
questa crescita della popolazione. Così descrive l’Africa un grande reporter: “Metà
della popolazione africana è al di sotto dei quindici anni. Tutti gli eserciti sono pieni
di bambini, nei campi profughi la maggioranza è composta di bambini, nei campi
lavorano i bambini, al mercato commerciano i bambini. A casa è al bambino che
tocca il ruolo più importante, la responsabilità di procurare l’acqua. Per troppi
bambini la fame è uno stato abituale, una forma di vita, una seconda natura”.17
Figura 4 bambino rwandese
15
P.Gheddo, intervistato da A. Carboni, “Il Sole 24 Ore”, 20-1-2002
A.Meldolesi, Organismi geneticamente modificati, Einaudi, Torino, 2001, p.185
17
R.Kapuscinski, citato da W.Veltroni in: No global, Zelig, Milano, 2001, p.334
16
~ 22 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Capitolo 2
L’ EMERGENZA SANITARIA IN AFRICA SUB-SAHARIANA
“ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano,ma se questa goccia non ci fosse,
all’oceano mancherebbe”(Madre Teresa di Calcutta)
I dati statistici più accreditati sulla situazione socio economica e sanitaria di ogni
Paese, Territorio e Regione del mondo ci vengono offerti, annualmente, dai rapporti
di autorevoli Agenzie. UNICEF è la principale agenzia responsabile del
monitoraggio globale degli obiettivi riguardanti l’infanzia, contenuti nella
Dichiarazione del Millennio e, dal 1980, pubblica annualmente “La Condizione
dell’infanzia nel Mondo”. Supporta i Paesi nella raccolta di dati, statisticamente
efficaci e comparabili, a livello internazionale, attraverso le “Indagini Campione a
Indicatori Multipli” (MICS) e le Indagini demografiche e sanitarie (DHS). Dal 1995,
sono state condotte quasi 230 ricerche in circa 100 Paesi e Territori. Le MICS sono
fra le principali fonti di dati per monitorare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo
per l’infanzia, concordati a livello internazionale, compresi gli Obiettivi di Sviluppo
del Millennio (OSM). UNICEF è anche partner chiave nel lavoro delle Nazioni
Unite, OMS e Banca Mondiale sul monitoraggio di questi obiettivi e indicatori.
2.1 GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENIO
Il mondo ha la possibilità di sconfiggere la povertà estrema, le malattie,
l'inquinamento ambientale e di innalzare la qualità della vita di ogni essere umano
che abita il pianeta.
La civiltà globalizzata del terzo millennio possiede la ricchezza, la conoscenza e i
mezzi per coronare il sogno di un'umanità affrancata dalla miseria e dalla mancanza
dei bisogni di base.
Questa è la filosofia che spinse i Capi di Stato e di Governo di tutti gli Stati membri
dell'ONU, riuniti dal 6 all'8 settembre 2000 a New York nel "Vertice del
Millennio", la più ampia riunione di leader della storia, a porre la propria firma in
calce alla "Dichiarazione del Millennio"(United Nations Millennium Declaration).
In quell'occasione, i leader mondiali affermarono la loro responsabilità, non soltanto
~ 23 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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nei confronti dei rispettivi popoli, ma verso l'intera specie umana, definendo una
serie di ambiziosi propositi da conseguire entro il 2015.
Da queste affermazioni, attraverso successivi incontri diplomatici, con la
partecipazione delle principali agenzie delle Nazioni Unite, presero corpo gli
otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) (fig.5): otto traguardi misurabili e
inequivocabili, vincolanti per l'intera comunità internazionale, che affidavano
all'ONU un ruolo centrale nella gestione del processo della globalizzazione.
Per il miliardo di esseri umani che vivono al di sotto della soglia di povertà, senza
accesso all'acqua potabile o ai servizi sanitari e per i bambini che, di questa schiera,
costituiscono la fragile maggioranza, l'unica speranza per un futuro migliore risiede
nella capacità dei leader mondiali di essere fedeli alla promessa fatta nel 200018.
Gli OSM prevedono l’impegno congiunto dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri. Quelli
con maggiori risorse, in base all’impegno preso, dovrebbero arrivare, allo scadere del
2015, a dare lo 0,7 del prodotto interno lordo per l’aiuto pubblico, con una buona
politica di cooperazione e di aiuto allo sviluppo, con caratteristiche di qualità ed
equità, in modo che sia vantaggiosa per i beneficiari e che non segua logiche
commerciali. Ma viene chiesto un impegno anche ai Paesi poveri, uno sforzo per
raggiungere gli obiettivi, con strategie adeguate e buon governo.19
Figura 5 Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) UNICEF
18
19
http://unicef/gli obiettivi di sviluppo del millennio.it
http://www.unimondo.org/temi/sviluppo/obiettivi-del-millennio
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
2.2 I RISULTATI RAGGIUNTI
Obiettivo 1: povertà e fame
Il primo obiettivo si occupa della povertà e della fame. Il risultato da raggiungere
entro il 2015, rispetto ai dati del 1990, è dimezzare la percentuale di persone che
vivono in condizioni di povertà grave (con meno di un dollaro al giorno) e che
soffrono la fame. Secondo le ultime statistiche, pubblicate nel 2012 dalla Banca
Mondiale, questo obiettivo sarebbe stato raggiunto con ben cinque anni di anticipo,
seppur con differenze da zona a zona. Nel 1990 le persone costrette a vivere con
meno di 1,25 dollari al giorno erano oltre 2 miliardi, nel 2008 1,4 miliardi.
Percentualmente e considerando anche il fatto che, nel frattempo, la popolazione
mondiale è aumentata, siamo passati dal 47 al 22,4%. Il contributo maggiore alla
lotta alla povertà lo ha dato la Cina (negli anni ‘80 il 77% dei poveri del mondo
viveva nella Repubblica Popolare, oggi questa percentuale è scesa al 14%), ma, tra il
2008 e il 2010, anche Africa e America Latina sono riuscite a ottenere un discreto
risultato. La prima, grazie al successo di alcuni programmi di sviluppo su piccola
scala, su cui ben pochi economisti occidentali avrebbero mai scommesso. La
seconda, adottando una serie di iniziative sociali, pensate proprio per limitare
l’impatto della crisi sulla popolazione. Certo, i risultati ottenuti in queste due regioni
del mondo non sono così significativi come quelli raggiunti dalla Cina, ma è
certamente positivo il fatto che, in anni tanto difficili, la povertà non sia aumentata e
che, per la prima volta, il numero degli indigenti in Africa sia sceso sotto il 50%.
Per dare un’immagine più bilanciata di come stia andando avanti la campagna
globale contro la povertà, è opportuno aggiungere che, alla marcata riduzione del
numero di persone che sopravvivono con meno di 1,25 dollari al giorno, non ne è
seguita una altrettanto significativa nella quota di persone che vive con appena 2
dollari al giorno (2,59 miliardi nel 1981; 2,92 nel 1999 e 2,44 miliardi nel 2008). Il
che significa che molti “poverissimi” sono diventati “poveri”, ma anche che per
aiutare questi ultimi c’è ancora molto da fare.20
Per quanto riguarda la fame, invece, le più recenti stime della FAO sulla denutrizione
mostrano che, nel periodo dal 2006 al 2009, nel mondo, 850 milioni di persone
vivevano nella fame, il 15,5% della popolazione mondiale. Questo livello, che resta
costantemente elevato, riflette la mancanza di progressi contro la fame in diverse
20
http://economia.panorama.it
~ 25 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Regioni, anche se è diminuita la povertà. I miglioramenti nella denutrizione dei
bambini sono stati lenti, i risultati del 2011 relativi alla situazione in Africa SubSahariana, mostrano una riduzione dal 33 al 20% dei bambini sottopeso moderato e/o
grave con meno di 5 anni. Una situazione ancora peggiore si registra in Asia del Sud
e in Africa Occidentale e Centrale (42 e 23%); si calcola che, se le cose non
migliorano, l’obiettivo non verrà raggiunto per 30 milioni di bambini.21
Obiettivo 2: istruzione per tutti
Il secondo obiettivo si prefigge, sempre entro il 2015, di dare a tutti i bambini,
maschi e femmine, ovunque nel mondo, la possibilità di completare la scuola
primaria. Questo significa avere le strutture ove i bambini possano studiare, la
disponibilità di insegnanti, la possibilità di accesso per tutti, indipendentemente dalle
possibilità economiche e dalla distanza dalle scuole. Qualcosa è cambiato dal 1990 e
il Rapporto UNICEF del 2012 afferma che, nelle regioni in Via di Sviluppo, il tasso
netto di iscrizione dei bambini alla scuola primaria è cresciuto passando dall'82% al
90% tra il 1999 e il 2010. Molti dei Paesi, che dovevano fronteggiare le difficoltà
maggiori, hanno registrato progressi significativi verso l'istruzione primaria
universale.
Il tasso di iscrizione di bambini in età scolare è aumentato considerevolmente
nell'Africa Sub-Sahariana, passando dal 58% al 76%, tra il 1999 e il 2010. Nella
Regione, il numero complessivo dei bambini in età scolare iscritti alle scuole
primarie è aumentato di oltre due terzi, con 43 milioni di iscritti. I vari Paesi sono
riusciti a ridurre il numero di bambini che non frequenta la scuola, anche a fronte di
una notevole crescita della popolazione in età scolare, crescita che è stata di più di un
quarto tra il 1999 e il 2010 (del 28%, pari a 31 milioni di bambini).
Nel 2010, non considerando l'Africa Sub-Sahariana, più del 90% dei bambini sono
stati iscritti nelle scuole primarie o secondarie.
In quattro regioni in Via di Sviluppo (Nord Africa, Asia orientale, America Latina e
Caraibi e Sud-Est Asia), almeno il 95% dei bambini frequentavano le scuole.
Ancora una volta, l’Africa Sub-Sahariana, registrando circa il 30% dei bambini che
non frequenta la scuola, rimane indietro rispetto alle altre zone. Mentre le regioni più
vicine al traguardo sono l’America latina e i Caraibi, con il 97%.22
21
22
Dati tratti da: "Rapporto ONU 2012 sugli Obiettivi del Millennio” United Nations New York, Giugno 2012
Dati tratti da: “La condizione dell’infanzia nel mondo 2012” United Nations Children’s Fund (UNICEF) Febbraio 2012
~ 26 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Obiettivo 3: uguaglianza tra maschi e femmine e maggiori opportunità per le
donne
Uguali trattamenti e possibilità per le donne, rispetto agli uomini, è il tema del terzo
obiettivo. In particolare, questo chiede di eliminare le differenze, nelle possibilità di
istruzione primaria e secondaria, entro il 2005, e a tutti i livelli di istruzione, entro il
2015.
Spinti da iniziative nazionali e internazionali e dalla campagna Millenium
Development Goals (MDGs), sempre più bambini nel mondo sono stati iscritti alla
scuola primaria, soprattutto a partire dal 2000, e le ragazze sono state le maggiori
beneficiarie. Per tutte le regioni in Via di Sviluppo, il rapporto tra il tasso di
iscrizione delle ragazze e quello dei ragazzi è passato dal 91% del 1999 al 97% del
2010.
Il valore di 97%, per l'indice della parità di genere, ricade nel margine del più-omeno 3% rispetto al 100%, che è il margine accettato nel raggiungimento
dell'obiettivo di parità. The Millenium Development Goals Report, pubblicato
dall’ONU nel giugno 2012, mette in risalto, quindi, come queste differenze si stiano
annullando: ragazze e ragazzi hanno probabilità simili di completamento della scuola
primaria in tutte le regioni, ad eccezione dell'Africa Sub-Sahariana e dell'Asia
Occidentale, dove il rapporto tra il tasso di iscrizione delle ragazze rispetto ai
coetanei maschi è passato dall’85% al 93%. Nell'Africa Sub-Sahariana, infatti, i
ragazzi hanno più probabilità rispetto alle ragazze di completare l'istruzione primaria
in 25 dei 43 Paesi di cui si hanno dati disponibili. Solo in 10 di questi Paesi entrambi
i gruppi hanno pari opportunità di finire la scuola elementare. Ma è da notare che, in
8 paesi dell'Africa Sub-Sahariana, più ragazze che ragazzi stanno, attualmente,
completando l'istruzione primaria, anche se questa disparità mostra di essere meno
elevata di quella rilevata nei confronti delle ragazze.
L'analisi dei dati, raccolti da indagini sulle famiglie, svolte tra il 2005 e il 2010 in 55
Paesi in Via di Sviluppo, mostra che l'esclusione dall'istruzione si verifica più spesso
tra i bambini appartenenti a gruppi svantaggiati. La povertà emerge come un fattore
determinante di esclusione dei giovani dalla scuola secondaria inferiore.
Gli adolescenti delle famiglie più povere hanno tre volte più probabilità di non
frequentare la scuola, rispetto a quelli delle famiglie più ricche. Tuttavia, le ragazze
hanno più probabilità di non frequentare la scuola rispetto ai ragazzi, a prescindere
dalla ricchezza della famiglia o dalla zona dove essa vive. Nel 2010, c'erano ancora
~ 27 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
122 milioni di persone tra i 15 e i 24 anni di età, 74 milioni donne e 48 milioni
uomini, che erano incapaci di leggere e scrivere una sia pur breve e semplice frase
riguardante la loro vita quotidiana.
La grande maggioranza di questi giovani adulti vivono in Asia meridionale (62
milioni) e nell'Africa Sub-Sahariana (45 milioni).
In queste Regioni, seppur globalmente qualche passo vi sia stato, la disuguaglianza
di genere persiste e le donne continuano a subire discriminazioni, in materia di
accesso all'istruzione, al lavoro e alle attività economiche e politiche.
Un grande ostacolo è rappresentato dalle molestie e dalle violenze sessuali: la
violenza contro le donne, infatti, continua a minare gli sforzi per raggiungere tutti gli
obiettivi. Gli ulteriori progressi fino al 2015 e oltre dipenderanno in gran parte dal
successo in queste sfide correlate.23
Obiettivo 4: riduzione della mortalità infantile
La morte, ogni anno, di circa 12 milioni di bambini prima del quinto compleanno, ha
portato al quarto obiettivo: la riduzione di due terzi della mortalità infantile, sotto i 5
anni di età, entro il 2015, rispetto ai dati del 1990.
Ogni anno, ne La condizione dell’infanzia nel mondo24, l’UNICEF riporta una serie
di stime sulla mortalità infantile che includono il tasso annuale di mortalità, il tasso
di mortalità sotto i 5 anni e il numero di decessi sotto i 5 anni, per almeno due anni di
riferimento.
Attualmente, il numero di bambini, sotto i cinque anni, che muoiono ogni anno è
sceso dai circa 12 milioni del 1990 a meno di 6,9 milioni nel 2011. Ciò significa che
ogni giorno sopravvivono circa 14.000 bambini in più, rispetto a due decenni fa.
Eppure, quotidianamente, muoiono ancora 19.000 bambini sotto i cinque anni.
Il tasso mondiale di mortalità infantile, sotto i 5 anni, è sceso da 88 decessi ogni
1.000 nati vivi nel 1990 a 51 nel 2011.
I progressi più significativi nella riduzione della mortalità infantile (almeno il 50%)
dal 1990 al 2011 si sono verificati in quattro regioni: America Latina e Caraibi; Asia
Orientale e Pacifico; Europa centrale e orientale e Comunità degli Stati Indipendenti;
Medio Oriente e Nord Africa. Venti Stati con alte percentuali di mortalità infantile
23
24
Dati tratti da: "Rapporto ONU 2012 sugli Obiettivi del Millennio” United Nations New York, Giugno 2012
"La Condizione dell'infanzia nel mondo" è il rapporto globale che l'UNICEF pubblica ogni anno sin dal 1980
~ 28 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
hanno ridotto i tassi di oltre la metà rispetto al 1990, in particolare, quattro paesi
hanno ottenuto una riduzione di almeno due terzi: Repubblica Democratica Popolare
del Laos (-72%), Timor- Est (-70%), Liberia (-68%) e Bangladesh (-67%).
Nel 2011, circa il 50% delle morti sotto i cinque anni si è verificato in soli cinque
paesi: India, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Pakistan e Cina.
In alcuni paesi, il numero totale di decessi sotto i cinque anni è addirittura aumentato:
nella Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Somalia, Mali, Camerun e Burkina
Faso dove fra il 1990 e il 2011, si è registrato un numero di decessi, sotto questa
soglia di età, di circa 10.000 o più. In 8 dei 10 paesi con i più alti tassi di mortalità
sotto i cinque anni sono in corso conflitti o situazioni di forte instabilità.
L’Africa Sub-Sahariana, anche se in ritardo rispetto alle altre regioni, ha registrato un
calo del 39% del tasso di mortalità sotto i 5 anni fra il 1990 e il 2011.
Il decremento globale nei tassi di mortalità infantile, negli ultimi due decenni, si basa
soprattutto sugli eccezionali progressi fatti segnare da Paesi a basso reddito di Africa
e Asia, che hanno investito nella salute e nel benessere della prima infanzia.
Va rilevato che, per molti tra questi Paesi, come Angola, Mozambico, Rwanda,
Liberia e altri, il crollo nei tassi di mortalità infantile è ascrivibile alla cessazione di
conflitti armati, spesso di lunga durata. I paesi con il più basso tasso di mortalità
sotto i cinque anni sono Singapore, i paesi nordici, alcuni paesi europei e il
Giappone. Nel confronto dei dati dal 1970 al 2011 un miglioramento globale vi è
stato, tale da dimostrare che, gli interventi possibili, come l’introduzione delle
campagne vaccinali contro il morbillo, risultano efficaci. A settembre 2007,
l’UNICEF ha segnalato la discesa della mortalità infantile, per la prima volta, sotto i
10 milioni l’anno: 9,7 milioni. Le stime sul tasso di mortalità, riportate nel Rapporto
2012, parlano di una percentuale a livello mondiale passata dal 139 per mille del
1970 al 51 per mille del 2011. Ma, nonostante l’evoluzione positiva, in alcune zone,
come l’Africa Sub-Sahariana e l’Africa Occidentale e Centrale, si registrano ancora
tassi di mortalità troppo elevati: rispettivamente del 121 per mille e del 143 per mille.
La meta quindi rimane lontana: l’Africa Sub-Sahariana copre da sola la metà delle
morti prima dei cinque anni, e potrebbe arrivare al 60 per cento nel 2015 se la
situazione non cambia25. “Il lavoro”, spiega Anthony Lake, direttore generale
dell’Unicef, “non è ancora terminato: milioni di bambini sotto i 5 anni continuano a
morire ogni anno per cause in gran parte prevenibili, per le quali esistono soluzioni
25
Dati tratti da: “La Condizione dell’infanzia nel Mondo 2012” UNICEF febbraio 2012
~ 29 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
accessibili e a basso costo. Queste vite potrebbero essere salvate grazie a vaccini,
nutrizione adeguata, assistenza medica di base e materna. Il mondo ha le tecnologie e
le conoscenze per farlo”.
Obiettivo 5: migliorare la salute materna
Figura 6 Mamma rwandese
Sulla salute delle mamme si concentra il quinto obiettivo, che si pone la meta della
riduzione di tre quarti della mortalità materna fra il 1990 e il 2015. Ci sono stati
importanti miglioramenti, rispetto alla salute e alla riduzione della mortalità materna,
ma i progressi sono ancora lenti. Le gravidanze in età adolescenziale continuano a
diminuire e cresce l'uso di contraccettivi, ma, a partire dal 2000, ad un ritmo più
lento che nel corso del decennio precedente. Secondo il Rapporto UNICEF del 2012,
più di 350.000 donne sono morte durante la gravidanza o il parto e, ogni anno, molte
di più soffrono di problemi di salute, come la fistola ostetrica, che possono
trasformarsi in disabilità invalidanti per tutta la vita. La maggior parte dei decessi è
provocata da emorragia, alta pressione sanguigna, aborto non sicuro o sepsi. Molte di
queste lesioni o morti si potrebbero evitare se le madri in attesa ricevessero
assistenza da professionisti qualificati, dotati di attrezzature e farmaci adeguati, e se
potessero contare sull’assistenza ostetrica d’emergenza.
La maggior parte dei decessi si verifica nell’Asia Meridionale e nell’Africa Orientale
e Meridionale, dove vi sono anche le percentuali più basse di parti seguiti da
personale sanitario qualificato (rispettivamente 48 e 49%). In Africa Occidentale e
Centrale e in Africa Sub-Sahariana, il rischio per una donna di morire per tali cause
~ 30 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
nel corso della sua vita è quantificato rispettivamente come pari a 1 su 26 e a 1 su 31,
mentre nei Paesi Industrializzati è di 1 su 4.300.26
Obiettivo 6: contrastare Hiv/Aids, malaria e altre malattie
Bloccare le malattie infettive che seminano morte e sofferenza, invertirne la tendenza
alla diffusione. Questo è l’impegno del sesto obiettivo. Il 22 novembre 2012 è stato
presentato a Ginevra dall’UNAIDS il nuovo rapporto mondiale sull’AIDS, “World
AIDS Day report: Results” che delinea alcuni significativi progressi nella lotta
contro l’AIDS, negli ultimi anni. Il rapporto mostra una riduzione di più del 50% del
tasso di nuove infezioni da HIV, in 25 paesi a medio e basso reddito, di cui più della
metà in Africa Sub-Sahariana, la regione più colpita dall’HIV. In Africa SubSahariana si sono ridotte del 32%, dal 2005 al 2011, le morti per malattie AIDScorrelate ed è aumentato il numero di persone in trattamento antiretrovirale. Il
maggior successo è stato forse raggiunto tra i bambini: il 50% della riduzione
dell’incidenza mondiale dell’infezione da HIV è infatti avvenuto tra i più piccoli,
grazie ai programmi di prevenzione verticale madre-figlio. In particolare, in 6 Paesi
dell’Africa Sub-Sahariana, Burundi, Kenya, Namibia, Sudafrica, Togo e Zambia, tale
numero è diminuito del 40% tra il 2009 e il 2011.
Mancano 1000 giorni al raggiungimento degli obiettivi prefissati:
zero nuove
infezioni, zero discriminazioni, zero morti AIDS-correlate. La strada per raggiungere
il “Getting to zero”, sebbene si inizino a vedere i primi risultati, è ancora lunga.
In tutto il mondo, sono ancora 34 milioni le persone che convivono con l’HIV (il
59% in Africa Sub-Sahariana), si sono registrati 2,5 milioni di nuove infezioni e 1,7
milioni di morti, per malattie AIDS-correlate.
L’obiettivo di garantire l’accesso universale alle cure contro l’AIDS entro il 2010,
richiesto dall’OMS non è stato raggiunto, ma si sono conseguiti importanti risultati
nella riduzione della mortalità, mediante la terapia antiretrovirale, alla quale hanno
accesso un numero sempre crescente di malati. I dati sull’introduzione dei farmaci
antiretrovirali, nei Paesi a basso e medio reddito, infatti, rivelano che, dal 1995, sono
stati evitati 2,5 milioni di decessi, con un’efficacia in aumento che ha portato, nel
2010, a registrare oltre 700 mila decessi in meno, rispetto alle stime precedenti. La
lotta all’AIDS deve passare attraverso l’accesso ai farmaci antiretrovirali, efficaci
26
Dati tratti da: “La Condizione dell’infanzia nel Mondo 2012” UNICEF febbraio 2012
~ 31 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
non solo nel trattamento, ma anche nella prevenzione della trasmissione dell’HIV.
In tutto il mondo, sono aumentate del 63% le persone in trattamento, incluse le donne
in gravidanza, tuttavia sono ancora 6,8 milioni coloro che dovrebbero beneficiare
della terapia, ma che non hanno accesso alla cura.27 E’necessario, quindi, mantenere
e rafforzare tutte le attività del programma globale in corso, intensificando
ulteriormente la prevenzione dell’infezione.
Ogni anno, vi sono poi circa 216 milioni di casi di malaria registrati nel mondo, di
cui 174 milioni segnalati nella regione africana con circa 655 mila decessi: viene
calcolato che la malattia uccida un bambino ogni minuto. Qualche segnale positivo
viene, tuttavia, riportato sulla diffusione di interventi importanti per il controllo della
malaria e di ingenti investimenti per la prevenzione della malattia nelle madri e nei
bambini (zanzariere trattate con insetticida), in gravidanza (trattamento intermittente
a scopo profilattico) e nella sostituzione dei farmaci antimalarici classici con farmaci
maggiormente efficaci (combinazioni a base di Artemisina), che stanno producendo
una notevole riduzione dell’incidenza e della mortalità, dovuta a malaria, nella
maggior parte dell’Africa Sub-Sahariana, l’area di maggior diffusione della malaria
da P. Falciparum. A partire dal 2000, l’incidenza di questa malattia è calata del 17%
e la sua mortalità del 26%. Il 91% dei decessi sono stati registrati in Africa e circa
l’85% è avvenuto tra bambini di età inferiore ai 5 anni.28
Con 8,8 milioni di casi segnalati, i dati del 2011 confermano la riduzione
dell’incidenza di casi di tubercolosi, registrata a partire dal 2002. Sebbene gli ultimi
dati riportino un rallentamento nella diffusione, il progresso non è abbastanza veloce
e la diffusione di forme di Tbc resistenti ai farmaci costituisce un’ulteriore sfida per
il controllo della malattia, così come la prevenzione della Tbc nei pazienti HIV
positivi.29
Obiettivo 7: assicurare la sostenibilità dell’ambiente
E’ l’ambiente il protagonista del settimo obiettivo, con i suoi collegamenti alla vita e
alla salute dell’uomo. La meta da perseguire è far sì che, nelle politiche attuate dai
Paesi, vi siano i principi di uno sviluppo sostenibile, che freni la distruzione e la
perdita dei beni ambientali, quali foreste, specie animali e vegetali, che presti
27
http://www. Unaids.org/country progress report
Dati tratti da: “World Malaria Report” OMS dicembre 2011
29
Dati tratti da: “Global Tubercolosis Control 2011” OMS ottobre 2011
28
~ 32 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
attenzione alla biodiversità, ai rischi del cambiamento climatico, all’inquinamento
dell’aria.
Accanto a questi principi più teorici, viene posto anche un obiettivo concreto e
misurabile: dimezzare, entro il 2015, la proporzione di persone senza accesso
all’acqua pulita e sicura e senza servizi igienici adeguati, come pure, entro il 2020,
migliorare le condizioni di vita di almeno 100 milioni di abitanti delle periferie
povere delle città. Già alla fine del 2010, l’Obiettivo del Millennio riguardante
l’acqua potabile è stato raggiunto: l’89% della popolazione mondiale, ossia 6,1
miliardi di persone, ha ricevuto l’accesso a fonti adeguate di acqua potabile.
Tuttavia 783 milioni sono ancora prive di fonti adeguate e, di queste, 653 milioni
vive in aree rurali. Il quadro risulta ancora peggiore per i servizi igienici: a livello
globale, il 79% della popolazione urbana utilizza servizi igienici adeguati, rispetto al
47% della popolazione rurale. Ciò significa che il 72% di coloro che non hanno
accesso a servizi igienici adeguati, circa 1,8 miliardi di persone, vive in zone rurali.
UNICEF afferma che il divario tra città e campagna, nella disponibilità di acqua
potabile, è particolarmente acuto nei Paesi più poveri. Nei Paesi meno sviluppati, 97
abitanti su 100, nelle zone rurali, non hanno un sistema di tubazioni che permetta di
avere l’acqua in casa, con tutti i rischi per la salute collegati all’acqua non sicura,
all’igiene scarsa e alla mancanza di sistemi fognari: condizioni che hanno un effetto
sull’88% delle morti per diarrea, prima dei cinque anni di età.30
Obiettivo 8: sviluppare alleanze globali per lo sviluppo
Infine, l’ottavo obiettivo: l’unione delle forze, la collaborazione, l’impegno da parte
di tutti, ricchi e poveri, per il raggiungimento degli altri obiettivi. Dalle regole
finanziarie e di commercio al buon governo, dall’impegno nei confronti dei Paesi con
particolari necessità alla questione del debito, dalle strategie per il lavoro per i
giovani a quelle per l’accesso ai farmaci essenziali e alle nuove tecnologie, in
collaborazione, rispettivamente, con le compagnie farmaceutiche e i settori privati
specifici. I Paesi che si sono impegnati nel 2000 vengono richiamati, con l’obiettivo
numero 8, a una collaborazione attiva. Ognuno per la sua parte, perché tanti buoni
propositi non restino confinati al foglio scritto.
30
Dati tratti da: “Progress on Drinking Water and Sanitation 2012” UNICEF and World Health Organization 2012
~ 33 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
“La relazione di quest'anno sui progressi verso gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio (MDGs) mostra come siano state superate numerose tappe fondamentali.
L'obiettivo di ridurre della metà la povertà estrema è stato raggiunto con cinque
anni di anticipo rispetto alla scadenza del 2015, così come l'obiettivo di dimezzare la
percentuale di persone che hanno scarsa possibilità di accesso a accresciute fonti di
acqua potabile.
Sono state migliorate le condizioni di oltre 200 milioni di persone che vivono nelle
baraccopoli, doppiando l'obiettivo per il 2020.
Il tasso di iscrizione alla scuola primaria delle bambine è pari a quello dei maschi, e
abbiamo visto accelerare i progressi nel ridurre la mortalità infantile e materna.
Questi risultati rappresentano una enorme riduzione della sofferenza umana e sono
una chiara conferma per il metodo incorporato negli obiettivi MDGs. Ma, non sono
un motivo per rilassarsi. Le proiezioni indicano che, nel 2015, oltre 600 milioni di
persone, in tutto il mondo, utilizzeranno ancora fonti d'acqua non migliorate, che
quasi un miliardo di persone saranno destinate a vivere con meno di 1,25 dollari al
giorno, che le madri continueranno inutilmente a morire di parto, e che i bambini
soffriranno e moriranno per malattie che possono essere prevenute.
La fame rimane una sfida globale, e garantire che tutti i bambini siano in grado di
completare l'istruzione primaria resta un fondamentale, ma, incompiuto, obiettivo,
che ha un impatto su tutti gli altri Obiettivi del Millennio. La mancanza di servizi
igienico-sanitari sicuri sta ostacolando i progressi in materia di salute e nutrizione,
la perdita di biodiversità continua a ritmo sostenuto e le emissioni di gas serra
continuano a rappresentare una grave minaccia per le persone e per gli ecosistemi.
L'obiettivo della parità di genere rimane non realizzato, anche in questo caso con
ampie conseguenze negative sul raggiungimento degli MDGs che dipende moltissimo
dall'emancipazione e dalla parità di accesso delle donne all'istruzione, al lavoro,
alle cure sanitarie e ai processi decisionali. Dobbiamo anche rilevare le disparità
del progresso all'interno dei Paesi e delle regioni, e le gravi disuguaglianze che
esistono tra le popolazioni, soprattutto tra aree rurali e urbane.
Il raggiungimento degli MDGs entro il 2015 è una sfida impegnativa, ma possibile.
Molto dipende dal rispetto dell'Obiettivo n. 8 - il partenariato globale per lo
sviluppo. Non dobbiamo consentire alle attuali crisi economiche che affliggono gran
parte del mondo sviluppato di rallentare o invertire i progressi compiuti. Dobbiamo
costruire sui successi che abbiamo raggiunto finora, e non dobbiamo rallentare fino
a quando tutti gli obiettivi MDGs non saranno stati raggiunti.
(Ban Ki-moon Segretario-Generale, Nazioni Unite)
2.3 L’AFRICA SUB-SAHARIANA: UNA SFIDA ANCORA APERTA
Il progresso nel raggiungimento degli Obiettivi non può essere definito uniforme.
Ci sono enormi disparità, sia tra i diversi Paesi, sia all’interno di essi. Qualche Paese
è sulla buona strada per adempiere tutti gli Obiettivi del Millennio, mentre altri
riusciranno a malapena a raggiungerne alcuni. L’Africa Sub-Sahariana resta
l’epicentro della crisi, con una povertà sempre crescente e sbalorditivi tassi di
mortalità infantile e materna. I tassi di mortalità infantile sono globalmente calati,
tuttavia il progresso ha subito un rallentamento in diverse parti del mondo e si sono
~ 34 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
registrate inversioni di tendenza proprio nell’Africa Sub-Sahariana. Così come il
numero di bambini sottonutriti sta aumentando in molti Paesi dell’Africa SubSahariana, mentre sta calando in ogni altra regione del mondo. La mortalità materna
rimane a livelli inaccettabili in tutte le regioni in via di sviluppo, riflettendo così la
bassa attenzione pubblica rivolta ai bisogni della donna e l’inadeguato accesso ai
servizi sanitari ginecologici, come i servizi di ostetricia.
Nel campo dell’istruzione primaria, si registra un certo progresso nella maggior parte
delle regioni, mentre l’Africa Sub-Sahariana è ancora decisamente fuori strada.
Anche la parità dei sessi rimane un obiettivo non raggiunto.
Il virus HIV/AIDS è pandemico nell’Africa Sub-Sahariana meridionale e costituisce
una seria minaccia, in modo particolare per donne e adolescenti.
L’Africa Sub-Sahariana, quindi, è senza dubbio il Territorio del mondo più in
difficoltà, su cui devono essere concentrati maggiormente degli aiuti.
Ogni bambino di questa Regione testimonia lo scandalo morale del non riuscire a
garantire il suo diritto a sopravvivere, a crescere e a partecipare alla vita della
società. In questo senso, ogni bambino escluso rappresenta un’opportunità perduta,
perché quando non riesce a estendere ai bambini i servizi e le tutele che
permetterebbero loro di svilupparsi come individui produttivi e creativi, la società
perde i contributi sociali, culturali ed economici che questi bambini potrebbero
dare.( Anthony Lake Direttore Generale, UNICEF)
2.4 FOCUS SUL RWANDA
Il Rwanda, nonostante appartenga geograficamente all’Africa Sub-Sahariana, mostra
uno scenario decisamente diverso e lascia intravedere positive prospettive sociosanitarie ed economiche per il futuro.
Oggi, il Rwanda è un Paese pacifico pieno di promesse e di speranza, con
Figura 7 Prodotto Interno Lordo per anni (PIL) (miliardi di dollari)
Fonte: CIA World Factbook, aggiornato a Gennaio 2011
~ 35 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
un’economia tra le più dinamiche a livello globale e un prodotto interno lordo in
continua crescita dal 2007. (fig.7)
Il Presidente Paul Kagame quando liberò il Paese con il suo esercito aveva solo 36
anni, oggi ne ha 54 e il suo mandato terminerà nel 2017. Le politiche realizzate dal
1994 ad oggi sono state tante. È stata tolta la denominazione etnica dalle carte
d’identità ed è vietato nominare chiunque con l’etnia di appartenenza.
È stata abolita la pena di morte. Nel 2007 il Presidente è stato insignito del premio
“abolizionista dell’anno” da parte dell’Associazione radicale “Nessuno tocchi
Caino”. Il parlamento rwandese è l’assemblea politica, a livello mondiale, dove le
donne sono maggiormente rappresentate (66% rispetto all’11% dell’Italia).
La corruzione in Rwanda, secondo le classifiche di Trasparency International, è scesa
ai livelli europei. È il primo paese africano ad aver introdotto la rintracciabilità del
denaro dal privato al pubblico e tutti i versamenti avvengono, obbligatoriamente, via
banca. Per garantire la massima sicurezza, è stato dispiegato l’esercito sul territorio,
24 ore su 24. Così è venuta meno non solo la microcriminalità ma anche la
criminalità organizzata.
Dal punto di vista ambientale, è stato introdotto un programma di riforestazione, ma
anche di pulizia e di raccolta rifiuti. E’ l’unico paese al mondo che non permette
l’entrata nei propri confini dei sacchetti di plastica.
Ci sono molte scuole superiori e Università che hanno standard d’insegnamento
invidiabili da parte di paesi avanzati come il Sudafrica. Condizione fondamentale per
raggiungere gli Obiettivi del Millennio di cui, Paul Kagame è co-presidente.31
Il Tasso di Alfabetizzazione è passato dal 48% del 1995 al 71,1% del 2010. (fig.8)
Figura 8 Tasso di Alfabetizzazione (%)
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
31
http://www.unimondo.org/notizie/lettera aperta a Paul Kagame
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
L’edizione del 28 ottobre 2012 de The New Times celebra i progressi della sanità
rwandese definendoli “tra i più spettacolari che il mondo abbia visto negli ultimi 50
anni”. Dal momento in cui è stata introdotta l’assicurazione sanitaria obbligatoria
con tre tariffazioni differenti, rispettivamente per i dipendenti pubblici, per i militari
e per la popolazione rimanente, il 91% della popolazione rwandese è coperto dalla
“mutuelle”, “una percentuale maggiore di moltissimi paesi, compresi gli Stati Uniti”
rileva l’editorialista.
Le conseguenze non si sono fatte attendere: l’aspettativa di vita alla nascita è passata
da meno di 30 anni nel 1995 ai 58 anni attuali (fig.9),
Figura 9: Speranza di vita alla nascita (anni)
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
le morti di bambini sotto i 5 anni si sono dimezzate negli ultimi cinque anni, i morti
per malaria sono scesi di circa due terzi, mentre il 70% delle donne rwandesi ora
partoriscono in strutture sanitarie a fronte del 10% dell’anno 2000. L’integrazione dei
servizi per le malattie infettive e le cure primarie ha contribuito ad alcuni tra i più
rapidi cali di mortalità infantile e materna mai osservati.
Grazie ai finanziamenti offerti dal Fondo Globale e alla scelta politica dello Stato di
investire nel progresso, nel futuro e nella sanità (9% PIL per le spese per la salute in
Rwanda, 5,1% PIL in Italia) è stato possibile raggiungere l’accesso universale alla
terapia antiretrovirale per le persone che vivono con l’HIV e la percentuale dell’HIV
si è stabilizzata intorno al 3% della popolazione. (fig.10)
~ 37 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Figura 10: HIV/AIDS Tasso di prevalenza su adulto (%)
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
Nel 2012 sono state registrate 170.000 persone che vivono con l’HIV contro le
400.000 del 2001 (fig.11) e le morti sono scese dalle 40.000 del 1999 alle 4.100
attuali. (fig. 12)
Figura 11 Gente che vive con HIV-AIDS
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
Figura 12 HIV-AIDS morti per anni
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Il programma anti tubercolosi del Rwanda è diventato un modello per l’Africa, e
tutte le famiglie rwandesi hanno ora accesso a zanzariere trattate con insetticida per
prevenire la malaria, contribuendo a un calo dell’87% dei casi negli ultimi sette
anni.32
La fotografia della popolazione rwandese che ci viene offerta dall’elaborazione dei
dati del quarto censimento rwandese tenutosi nell’agosto 2012 mostra quanto segue:
il Rwanda possiede una popolazione di 11.689.696 persone di cui solo il 2,4% è
maggiore di 64 anni. In particolare i bambini al di sotto dei 14 anni rappresentano il
42,9% della popolazione e i giovani adulti il 54,7%. (fig.13)
Distribuzione per età
60
40
54,7
0-14
42,9
15-64
20
2,4
0
0-14
15-64
> 64
> 64
Figura 13 distribuzione per età
Fonte: Profilo 2012indexmundi Rwanda Popolazione
Il Tasso di Crescita si è stabilizzato dal 2007 attorno al 2,75% (fig.14), con un
Quoziente di Fecondità in costante calo, passato da 5,6 nel 2003 al 4,81 nel 2012
(fig.15) e si è registrata una costante riduzione del numero di persone che vive sotto
la linea di povertà, dal 70% del 2000 all’attuale 44,9%. (fig.16)
Figura 14 Tasso di crescita (%)
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
32
La Stampa del 22-07-12 pag.27 “Aiuti alla salute è l’ora delle scelte” Agnes Binagwaho
~ 39 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Figura 15 Quoziente di fecondità (bambini nati/donna)
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
Figura 16 Popolazione sotto la linea di povertà
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
I dati esaminati ci permettono di essere ottimisti nei confronti delle prospettive di
sviluppo di questo Paese, ma il cammino è ancora molto lungo. Basti pensare che la
densità dei medici per il numero degli abitanti è solo di 0,024/1000 abitanti rispetto
ai 4,24/1000 abitanti dell’Italia e i posti letto ospedalieri per abitanti sono 1,6/1000
abitanti in Rwanda rispetto ai 3,7/1000 in Italia. Inoltre i progressi non sono stati
uniformi e le cifre possono oscurare le grandi disparità ancora esistenti tra la
popolazione che vive nei centri urbani e quella che invece risiede nei villaggi rurali,
poiché le medie raggruppano tutti senza distinzioni, la povertà di alcuni è oscurata
dalla ricchezza di altri. Nei centri urbani, sono concentrati i servizi, le strutture
educative, mediche e ricreative, nei villaggi rurali, invece, la maggior parte della
popolazione è esclusa dai servizi essenziali e vive in condizioni di miseria e
vulnerabilità. Le difficili condizioni di vita vengono esacerbate dalle disagiate vie di
comunicazione che rendono difficoltosi i trasferimenti, allontanando la popolazione
dei villaggi rurali dalla possibilità di fruizione dei servizi.
~ 40 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Rispetto al raggiungimento del quarto Obiettivo di Sviluppo del Millennio, ossia alla
lotta alla mortalità infantile, i risultati raggiunti dal Rwanda sono incoraggianti,
(fig.17) ma ogni bambino escluso rappresenta un’opportunità perduta, perché quando
non si riescono a estendere a tutti i bambini i servizi e le tutele che permetterebbero
loro di svilupparsi come individui produttivi e creativi, la società perde i contributi
sociali, culturali ed economici che questi bambini potrebbero dare.
E’ necessario, quindi, fare di più per raggiungere tutti i bambini bisognosi, dovunque
vivano, dovunque vengano esclusi e lasciati indietro.
Figura 17: Tasso di mortalità infantile (deceduti/1000 nati vivi )
Fonte: CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
~ 41 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Capitolo 3
RIDURRE LA MORTALITA’ INFANTILE:
4 MILLENIUM GOAL
“Solo chi è così folle da pensare di cambiare
il mondo lo cambia davvero” (A. Einstein)
Il Rwanda ha riportato risultati eccellenti nella lotta alla mortalità infantile (fig. 18)
dimostrando che né l'appartenenza ad una specifica area geografica né lo status
economico devono essere considerati ostacolo alla riduzione del tasso di mortalità
dei bambini. Si tratta di vittorie certamente importanti, ma bisogna ricordare che
sono parziali. Ogni giorno, infatti, continuano a morire 19 mila bambini sotto i
cinque anni per cause prevenibili e curabili con soluzioni a basso costo. Queste vite
potrebbero essere salvate grazie a vaccini, nutrizione adeguata, assistenza medica di
base e materna.
Figura 18 Top Ten dei Paesi con i migliori risultati nella mortalità infantile
Fonte: Progress Report 2012 UNICEF
Le principali cause di mortalità infantile a livello globale sono: la polmonite (18%),
le complicanze per parti pre-termine (14%), la diarrea (11%), le complicanze
durante il parto (9%) e la malaria (7%) (fig.2). A livello mondiale, più di un terzo
delle morti sotto i cinque anni è legato alla malnutrizione e il 50% dei bambini con
infezione da HIV, senza adeguate cure, muore prima dei 2 anni33. Anche le malattie
infettive, in gran parte prevedibili, hanno una grande rilevanza nella mortalità
infantile. Esse sono definite “malattie dell'iniquità” poiché colpiscono soprattutto le
33
Galileo-Giornale di Scienza “UNICEF: la mortalità infantile è in calo” R.Pizzolante 14-09-12
~ 42 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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popolazioni povere e vulnerabili che non hanno accesso alle cure di base e agli
interventi di prevenzione.
Figura 19 Cause di Mortalità Infantile
Fonte: Progress Report 2012 UNICEF
Sarebbe però pericoloso e fuorviante restringere l’analisi delle cause della mortalità
infantile alle semplici malattie, senza sottolineare a sufficienza le cause strutturali e
più generali. Queste determinate affezioni devono essere infatti considerate come
conseguenza quasi inevitabile di fattori ben più ampi: oltre all’incidenza che può
esercitare sulla salute di un bambino la presenza o meno di conflitti armati nell’area
in cui vive, bisogna ricordare la denutrizione e la malnutrizione, il grado di facilità di
accesso ai servizi per la salute materno - infantile e la loro qualità, la possibilità di
accesso per le madri alle informazioni e alle conoscenze di carattere sanitario
basilare, la disponibilità di acqua potabile sicura e la presenza di servizi igienicosanitari di base e il grado di disuguaglianza sia economica che di genere all’interno
dei diversi Paesi. Per raggiungere il quarto Obiettivo di Sviluppo del Millennio entro
il 2015 sarà perciò necessario, compiere fondamentali passi verso l’accesso
universale ai sistemi sanitari, attraverso: un rafforzamento delle strutture sanitarie e
un ripensamento della loro collocazione (queste sono infatti spesso situate nelle aree
urbane mal collegate con quelle rurali); la formazione di personale specializzato; la
fornitura di servizi completi per la salute sessuale e riproduttiva, compreso l’accesso
a un’informazione particolareggiata sui metodi di pianificazione familiare e ai diversi
strumenti di contraccezione. Ad esempio, una contraccezione efficace, aiuterebbe a
prevenire nascite troppo ravvicinate che mettono spesso a rischio la vita sia delle
madri che dei neonati34.
34
Davanzo R., (2004) Newborns in adverse conditions: issues, challenges, and interventions. Journal of Midwifery & Women’s
Health 2004;49(4)suppl.1:29-35
~ 43 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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3.1 EVOLUZIONE STORICA DELL’APPROCCIO ALLA SALUTE
INFANTILE
Gli anni Settanta e Ottanta videro come protagonisti della lotta alla mortalità infantile
le cosiddette campagne di massa. Sulla base della positiva esperienza della
“Campagna per il debellamento del vaiolo”, l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) promosse infatti nel 1974 il Programma esteso di immunizzazione (EPIExpanded Programme on Immunization), con l’obiettivo di controllare, a livello
mondiale, le sei malattie con gli indici più elevati di mortalità e morbilità: difterite,
pertosse, tetano, morbillo, poliomielite e tubercolosi.
L’EPI rappresenta, probabilmente ancor’oggi, l’esempio più positivo e di maggior
successo di un programma sanitario pubblico di prevenzione. Come riportato
dall’UNICEF, quando il Programma venne attivato, nel mondo, il tasso di bambini
che erano stati vaccinati contro queste malattie non raggiungeva il 5%. Le ultime
statistiche a disposizione, invece, dimostrano che oggi più del 75% dei bambini su
scala mondiale è immunizzata rispetto alla difterite, al tetano e alla pertosse.
Figura 20 Vaccinazione
Nel 1982, partendo dalla considerazione che la maggior parte dei decessi infantili è
provocata da un numero ristretto di malattie e che la vaccinazione costituisce il
metodo più semplice e a basso costo per prevenirle, venne lanciata dall’UNICEF
l’iniziativa GOBI (Growth monitoring, Oral rehydratation, Breastfeeding,
Immunization – monitoraggio della crescita al fine di combattere la denutrizione,
terapia di reidratazione orale contro la dissenteria infantile, allattamento al seno per
garantire la salute dei bambini piccoli e vaccinazione contro le sei malattie infantili
letali). La strategia alla base di questa campagna si basava appunto sulla
constatazione che la vaccinazione, l’allattamento al seno, la reidratazione orale e i
farmaci antimalarici avrebbero potuto combattere gran parte dei decessi infantili con
~ 44 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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spese minime. Queste tipologie di intervento vengono definite come approccio
verticale poiché tutti gli sforzi vengono indirizzati alla cura di determinate malattie.
Gli anni ’90 furono invece caratterizzati dalla ricerca di un approccio orizzontale,
ossia rappresentato da interventi sul servizio sanitario di base. Così nel 1987 i
governi africani e l’OMS lanciarono l’Iniziativa di Bamako, una strategia per
intensificare l’assistenza sanitaria primaria soprattutto attraverso la riorganizzazione
dei propri sistemi sanitari, al fine di assicurarne l’accesso universale e permanente
per le madri e i bambini. Per il successo dell’iniziativa vennero individuate tre
condizioni fondamentali: miglioramento dell’efficacia del servizio, riduzione dei
costi, assicurazione della sostenibilità del servizio stesso.
Negli anni 2000 per ottenere il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio si è deciso di utilizzare un approccio denominato trasversale, ossia in
grado di integrare i punti di forza di quello verticale e di quello orizzontale.
All’approccio verticale, utilizzato oggi soprattutto per combattere malattie quali
l’Hiv/Aids, la malaria e la tubercolosi, viene infatti affiancato non solo il tentativo di
miglioramento dei sistemi sanitari di base, ma anche un’attenzione agli altri aspetti
dello sviluppo, come la questione alimentare o l’accesso ai servizi igienico-sanitari.
Come sottolineato dall’Ecosoc, però, affinché questo approccio sia vincente sarà
necessario che gli Stati donatori eroghino finanziamenti efficaci, ma soprattutto
prevedibili a lungo termine e che i Paesi in via di sviluppo, da un lato, elaborino delle
politiche e dei budget finalizzati agli obiettivi di sviluppo sanitari e dall’altro
comprendano pienamente che il ruolo giocato dalla società civile e dal settore privato
risulterà decisivo per il successo delle varie iniziative35.
L’approccio alla malnutrizione e all’infezione da HIV/AIDS, merita una particolare
attenzione nell’ottica della riduzione dell’incidenza della mortalità infantile. Tali
problematiche presentano, infatti, molti elementi comuni e necessitano entrambe di
strategie complessive di accompagnamento, che focalizzino l'attenzione non solo
sullo specifico sintomo, ma sul soggetto nella sua globalità. Tali strategie devono
considerare i sintomi clinici, le paure, i bisogni quotidiani e la dimensione
relazionale ed affettiva del malato e della sua famiglia e prevedere, quindi,
un’assistenza offerta da un team multidisciplinare che si faccia carico sia degli
aspetti di natura sanitaria sia di natura psicosociale. Le iniziative dovranno prevedere
35
http:www.unimondo.org/Guide/Salute/Mortalità Infantile
~ 45 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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un'organica distribuzione dei compiti riguardanti le attività di prevenzione e
assistenza, nonché lo svolgimento di programmi di informazione e di interventi, sia
individuali che di gruppo, aventi lo scopo di diffondere le conoscenze e facilitare le
procedure di accesso ai servizi di diagnosi e cura. A tale scopo l’Assistente Sanitario,
professionista addetto alla prevenzione, alla promozione e all’educazione alla salute,
può offrire un significativo contributo nel portare a termine con successo le
iniziative.
3.2 LA MALNUTRIZIONE: strategie d’intervento
Figura 21 Bambino rwandese
Il termine malnutrizione è spesso usato come sinonimo di fame e ciò è dovuto
all’utilizzo improprio da parte dei mass media di slogan quali “lotta alla fame nel
mondo” o “nutrire il mondo”. Interpretazioni erronee contribuiscono a dare una
definizione inadeguata alla malnutrizione. È, quindi, cruciale distinguere tra
malnutrizione e fame, poiché la malnutrizione richiede una risposta complessa che
deve andare al di là dei soli aiuti alimentari.
La fame è normalmente definita come una deficienza di apporto calorico. Una
persona che quotidianamente assume una quantità di Calorie inferiore a quella
definita come quota minima di 2.100 kilocalorie (Fonte: ACNUR) è considerata
come persona che “soffre la fame”, o sottonutrita. La risposta corretta alla fame è
determinata dall’integrazione con aiuti alimentari che ripristinano il corretto apporto
calorico quotidiano per quel soggetto.
La malnutrizione, invece, non è semplicemente la conseguenza della scarsità di cibo
assunto. È una patologia causata principalmente dalla mancanza di sostanze nutritive
essenziali. Gli aiuti alimentari possono costituire una risposta inadeguata alla
~ 46 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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malnutrizione se non forniscono un quantitativo sufficiente di sostanze nutritive
essenziali o se tali nutrienti non sono assunti correttamente dall’organismo o sono
inattivati da metodi inadeguati di cottura. La malnutrizione colpisce anzitutto
bambini sotto i tre anni, ma anche adolescenti, donne gravide e nutrici, anziani,
malati cronici ed in particolare soggetti affetti da HIV/AIDS e TBC.
I bambini sono esposti al rischio di alterazioni della crescita specialmente durante i
primi due anni di vita e nella fase in cui alimenti supplementari dovrebbero integrare
l’allattamento al seno.
I persistenti alti tassi di mortalità infantile nell’Africa Sub-Sahariana non saranno
ridotti se la malnutrizione non sarà affrontata in modo efficace e determinato per
quello che è: una vera emergenza medica. Quando il regime alimentare di un
bambino non riesce a fornire tutti i nutrienti di cui l’organismo ha bisogno per la
naturale omeostasi, non solo può verificarsi un rallentamento di crescita staturoponderale, ma aumenta anche il rischio di infezioni e di patologie. La malnutrizione
diventa, quindi, la causa principale di suscettibilità alle malattie, contribuendo al
60% dei decessi. 36 La malnutrizione indebolisce le difese immunitarie e aumenta il
rischio di morte per polmonite, diarrea, malaria, morbillo e AIDS. Cinque malattie
che ogni anno sono responsabili della maggior parte dei decessi di bambini al di sotto
dei cinque anni.
Quando le carenze nutrizionali diventano troppo incisive il bambino comincia a
deperire, a discapito della massa tissutale.
Il deperimento è un segnale acuto di malnutrizione.
3.2.1 La Malnutrizione proteico-calorica
La malnutrizione è definita in tre modi: rapporto peso / altezza di una popolazione di
riferimento; perimetro brachiale; presenza di edemi localizzati a piedi e volto.
Se le deficienze alimentari permangono, i bambini presentano un ritardo della
crescita (altezza insufficiente rispetto all’età). Questo viene definito come
malnutrizione cronica. Se i bambini presentano perdita di peso o sono emaciati
(peso insufficiente rispetto all’altezza), sono descritti come sofferenti di
malnutrizione acuta. Entrambe queste manifestazioni della malnutrizione possono
essere ulteriormente classificate come moderata o severa. La definizione di
malnutrizione proteico-calorica (MNPC) nei bambini è stabilita dall’OMS come il
36
The Bellagio Study Group on Child Survival. Knowledge into action for child survival. Lancet 2003; 362: 323-27.
~ 47 ~
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cadere al di sotto di 2 deviazioni standard (SD) rispetto al valore normale del peso
per l’età (“underweight”), dell’altezza per l’età (“stunting”) e del peso per altezza
(“wasting”). Si definisce come MNPC severa la presenza di peso per altezza inferiore
al 70% della mediana oppure al di sotto di 3 SD e/o la presenza di edema declive37.
Il termine marasma identifica bambini con basso peso per altezza, per
kwashiorkor/marasma si intende la contemporanea presenza di edema e basso peso
per altezza, per kwashiorkor si intende la malnutrizione associata ad edemi, la cui
etimologia deriva dalla omonima parola ghanese usata quando la madre trascura il
proprio bambino per l’inizio di una nuova gravidanza.
La MNPC si manifesta generalmente in età precoce, per lo più tra i 6 mesi ed i 2 anni
di vita38. I fattori determinanti sono infatti riconducibili alle seguenti problematiche:
→ precoce svezzamento
→ introduzione ritardata di alimenti alternativi
→ insufficiente apporto Energetico e Proteico sotto i 2 anni di vita
→ infezioni ricorrenti
Oltre alla povertà l’alta prevalenza di infezioni batteriche e parassitarie nei Paesi in
Via di Sviluppo contribuisce grandemente al mantenimento di uno stato nutrizionale
insoddisfacente e nello stesso tempo la MNPC stessa riduce l’efficienza del sistema
immunitario e aumenta la suscettibilità alle infezioni e la loro gravità 39. La MNPC
rappresenta uno dei principali fattori determinanti morbilità e mortalità nei Paesi in
Via di Sviluppo, aggravando la prognosi. E’ la causa diretta di circa 300.000
morti/anno mentre è cofattore responsabile indirettamente del 53% di tutte le morti
dei bambini al di sotto dei 5 anni. Il rischio di morte è correlato alla gravità della
MNPC40. I due aspetti fondamentali della MNPC sono il ridotto apporto di proteine,
carboidrati e grassi ed il ricorrere di infezioni croniche e gravi, soprattutto con
sintomatologia
diarroica.
Le
infezioni
determinano
anoressia,
riduzione
dell’assorbimento intestinale e aumento dei fabbisogni metabolici.
Il deficit proteico ed energetico riduce la funzionalità immunitaria. I bambini
malnutriti presentano spesso infezioni asintomatiche a seguito di difettosa
37
World Health Organization. Management of the child with a serious infection or severe malnutrition. Geneva, 2000.
Muller O, Krawinkel M. Malnutrition and health in developing countries. CMAJ 2005;173:279-86.
39
Rice AL, Sacco L, Hyder A, Black PE. Malnutrition as an underlying cause of childhood death associated with infectious
disease in developing country. Bull World Health Organ 2000;78:1207-21.
40
Bryce J, Boschi-Pinto C, Shibuya K, Black R et al. WHO estimates of the causes of death in children. Lancet 2005;365:114752.
38
~ 48 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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chemiotassi e fagocitosi di batteri, virus e funghi tale da ridurre la produzione di
citochine che determinano la risposta febbrile.
Inoltre si verifica la degenerazione grassa di diversi organi, in primis cuore e fegato.
Ciò determina insufficienza cardiaca che se non corretta, associata all’introduzione
iatrogena di fluidi, rapidamente esita in scompenso cardiaco.
La perdita del grasso sottocutaneo riduce la capacità di termoregolazione e di
immagazzinare acqua: i bambini malnutriti sono a rischio di ipotermia, ipoglicemia e
disidratazione.
Si determina un’atrofia della mucosa duodenale ed ileale con conseguente
malassorbimento.
L’ipovolemia cronica porta ad iperaldosteronismo secondario e ad uno squilibrio
della compartimentazione dei liquidi e degli elettroliti. La perdita di tessuto
muscolare si associa a mobilizzazione di potassio che viene poi escreto attraverso i
reni, determinando iperkaliemia relativa e successiva ipokaliemia vera.
Un bambino affetto da marasma si presenta con tessuto sottocutaneo e muscolare
atrofico per la mobilizzazione endogena di tutti i substrati in grado di produrre
energia, il volto assume la caratteristica forma triangolare (nota come “Siamese catlike”), l’addome è disteso per l’ipotonia muscolare, spesso è presente ernia
ombelicale. Sono bambini irritabili e/o apatici.
Un bambino affetto da kwashiorkor presenta edemi a livello degli arti inferiori,
alterazioni del colorito dei capelli e della pelle, lesioni cutanee (depigmentazione,
desquamazione), anemia, epatomegalia, letargia.
Il marasma è legato ad una dieta insufficiente nel contenuto energetico, mentre il
quadro del kwashiorkor sembra essere l’esito di un difetto del contenuto di proteine
oltre che di energia. Che cosa determini le differenze tra marasma e kwashiorkor non
è ancora stato ben definito. Di fatto quando l’apporto proteico è insufficiente rispetto
a quello dei carboidrati si determinano delle alterazioni metaboliche complesse che
inducono l’edema.
La diagnosi di MNPC avviene attraverso la valutazione delle misure antropometriche
e soprattutto sulla base dell’esame clinico41.
41
Monte CM. Malnutrition: a secular challenge to child nutrition. Jornal de Pediatria 2000;76:S285-S297.
~ 49 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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3.2.2 IMCI : Integrated Management of Childhood Illness
A metà degli anni ‘90 è stato prodotto, dalla collaborazione tra OMS e UNICEF, il
programma IMCI : « Integrated management of childhood illness ».
Il programma, ad oggi adottato da più di cento paesi nel mondo, si è occupato, da un
lato, di formare operatori sanitari nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), dall’altro di
strutturare delle Linee Guida Internazionali allo scopo di razionalizzare i
procedimenti diagnostici e terapeutici da applicare alle malattie dell’infanzia più
diffuse nei PVS, utilizzando conoscenze facilmente applicabili in questi contesti.
Risultato di questo sforzo è stata la pubblicazione nel 2000 del Manuale,
«Managament of the child with a serious infection or severe malnutrition». Il
manuale costituisce un’arma efficace in mano a medici e personale sanitario per
affrontare le patologie pediatriche e per prevenire la malnutrizione nel terzo mondo.
In particolare in merito alla MNPC grave, il trattamento si articola in 10 passi che si
dividono in una prima fase di stabilizzazione (prima settimana), durante la quale si
affrontano le complicanze acute e una seconda fase di riabilitazione (seconda-sesta
settimana), nella quale si continuano alimentazione e stimolazione sensoriale fino al
completo recupero nutrizionale e si istruisce la famiglia in fase di dimissione42.
I “dieci passi” del trattamento del bambino con MNPC severa43
1. Ipoglicemia
L’ipoglicemia nel malnutrito rappresenta un rischio serio e può essere asintomatica:
come terapia viene somministrata soluzione glucosata al 10% per via orale.
2. Ipotermia
I bambini con MNPC grave presentano un’alterata termogenesi, quindi non sono in
grado di mantenere l’omeostasi della temperatura corporea; paradossalmente può
interessare anche i bambini dei Paesi a clima caldo. La profilassi dell’ipotermia va
fatta garantendo che il bambino sia ben coperto con abiti o coperte asciutte, con
particolare attenzione alla testa e cambiando spesso il pannolino per evitare
dispersione di calore. Le madri vanno educate con semplici e precise informazioni e
42
World Health Organization. Management of the child with a serious infection or severe malnutrition. Geneva, 2000.
World Health Organization. Severe malnutrition. In: Hospital care for children. Guidelines for the management of common
illnesses with limited resources. Geneva, 2005: 173-96.
43
~ 50 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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responsabilizzate. Nei primi giorni dalla diagnosi può essere opportuno proibire il
bagno.
3. Disidratazione
Il riconoscimento della disidratazione in un bambino malnutrito è generalmente di
difficile rilevazione. La cute si presenta anelastica per l’assenza di tessuto
sottocutaneo, le mucose sono secche per l’atrofia delle ghiandole salivari e lacrimali,
gli occhi sono infossati per l’assenza di grasso retroculare. Una reidratazione troppo
generosa espone questi bambini al rischio di insufficienza cardiaca quindi è
consigliato privilegiare la reidratazione orale o tramite sonda naso-gastrica anche nei
casi di disidratazione grave, lasciando la reidratazione endovenosa solo per i casi di
shock, associati a letargia o perdita di coscienza.
La velocità di somministrazione dei fluidi nei malnutriti deve essere molto lenta ed è
fondamentale insegnare alle giovani madri le modalità e la corretta frequenza con cui
reidratare il proprio bambino.
4. Disturbi elettrolitici
A causa del malfunzionamento della pompa Na-K ATPasi presente nel marasma o
all’alterazione della permeabilità della membrana cellulare nel kwashiorkor si assiste
ad un’importante alterazione elettrolitica a cui si può supplire aumentando l’apporto
di potassio e magnesio e riducendo l’introito di sodio.
5. Infezioni
Le infezioni nei soggetti con MNPC sono estremamente frequenti e spesso non
danno segni di sé per l’incapacità di attivare una reazione infiammatoria:
convenzionalmente si è concordato di trattare tutti i bambini con MNPC severa come
infetti a priori, tramite somministrazione di antibiotici a largo spettro.
6. Difetto di micronutrienti
Recentemente si è compresa l’importanza della carenza di minerali quali ferro, rame
e zinco e di vitamine, in particolare di vitamina A, sia nella patogenesi della
malnutrizione che nell’alta ricorrenza e mortalità legate alle infezioni.
7. Alimentazione iniziale
Si raccomanda un inizio immediato ma graduale dell’alimentazione, con piccoli pasti
frequenti. Sono opportuni inizialmente pasti ogni 2 ore, poi distanziati di 3 ore anche
durante la notte. Tuttavia per non sovraffaticare un organismo che lavora a basso
regime e riesce ad adattarsi positivamente con l’introduzione alimentare di piccoli
quantitativi è molto importante che il pasto sia offerto quanto prima per via orale,
~ 51 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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utilizzando inizialmente la sonda naso-gastrica in caso di anoressia grave. Se il
bambino è allattato al seno, offrire al pasto prima la formula lattea e poi il seno per
assicurarsi il corretto apporto calorico. Nei climi caldi offrire al neonato acqua oltre
alla formula. Gradualmente aumentare il volume totale di alimento offerto e
distanziare i pasti.
8. Alimentazione per la crescita rapida
Il recupero dell’appetito, che avviene in media dopo una settimana di trattamento, o
la riduzione degli edemi nel kwashiorkor, segnano l’inizio della fase di riabilitazione
durante la quale l’obiettivo è di raggiungere ritmi di crescita ponderale adeguati ed il
recupero psico-fisico. Successivamente si può nutrire il bambino a richiesta e quindi
ad limitum. E’possibile sostituire la formula lattea con le pappe preparate in modo
adeguato.
9. Stimolazione sensoriale e supporto emozionale
La MNPC grave determina spesso ritardo dello sviluppo mentale e comportamentale.
Parte fondamentale del trattamento, quindi, è la disponibilità di un ambiente
accogliente e stimolante, cure affettuose e massimo coinvolgimento possibile dei
famigliari, in particolare della madre, che creano il miglior contesto. Fondamentale è
garantire la promozione dell’attività motoria prima possibile, organizzare il momento
del gioco (play-therapy strutturata per 15-30 minuti al giorno) e promuovere
l’interazione con la mamma e, per i bambini oltre l’anno di vita, con i loro coetanei.
Nelle IMCI sono inoltre contenuti numerosi suggerimenti su come costruire ed
allestire semplici giocattoli utilizzando i materiali e le risorse del luogo.
10. Preparazione per il follow-up
Figura 22 Mamma che allatta
~ 52 ~
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La dimissione non dovrebbe avvenire prima del recupero nutrizionale e quindi del
raggiungimento del 90% del peso per altezza rispetto alla mediana. Questo obiettivo
richiede spesso diverse settimane di ricovero. Una dimissione anticipata viene spesso
richiesta dai genitori o dalla necessità di posti-letto, ma dovrebbe essere presa in
considerazione solo nei casi a minor rischio una volta che le complicanze mediche
siano state risolte e fino a che il bambino abbia interamente recuperato l’appetito e le
condizioni logistico-ambientali risultino favorevoli (affidabilità della famiglia,
possibilità di follow-up domiciliare). Il rischio di ricaduta e di decesso dopo la
dimissione è molto elevato se la dimissione è stata troppo precoce. Parte
fondamentale del trattamento è l’educazione sanitaria della famiglia sui temi
dell’alimentazione e della stimolazione del bambino, esplicitando molto chiaramente
che il lavoro iniziato in ospedale deve proseguire a domicilio. In particolare vanno
dati suggerimenti sulla composizione dei pasti tali da fornire un adeguato apporto
calorico e proteico con le risorse disponibili, sulla loro frequenza, modalità e sulle
posture da utilizzare. Si raccomanda uno stretto follow-up inizialmente settimanale e
poi mensile, da effettuare per i primi sei mesi dalla dimissione per monitorare
l’evoluzione e controllare che vengano rispettate le scadenze delle vaccinazioni
(morbillo in particolare) e la somministrazione di vitamina A.
3.2.3. Curare la Malnutrizione
Nel 1994 Action Contre la Faim (ACF) utilizzò per la prima volta il Latte terapeutico
F100 per la cura della malnutrizione severa acuta. Il Latte terapeutico F100 è
utilizzato nei Centri Nutrizionali Terapeutici dove i bambini sono ricoverati. Il latte
necessita di una preparazione precedente con l’aggiunta di acqua igienicamente
adeguata e a temperatura corretta tale che possa essere somministrato ai bambini.
Nel 1997 partendo dall’esperienza di ACF, un ricercatore medico francese
dell’Institut de Recherche pour le Développement di Parigi, insieme alla compagnia
francese Nutriset, riuscì a creare una crema densa di elementi nutritivi per la cura
della malnutrizione acuta severa. La crema contiene latte in polvere, grassi vegetali,
arachidi e zucchero ed è arricchita di vitamine e sali minerali. Il prodotto ha le stesse
specifiche della formula F100, ma con vantaggi tecnico-nutrizionali: è pronto all’uso,
può essere conservato anche in climi tropicali e non necessita di preparazione.
~ 53 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Nacque così il RUFT, cibo terapeutico pronto all’uso (Ready to Use Therapeutic
Food). Nel 1998 la prima crema RUTF commerciale venne messa in commercio
sotto il nome di Plumpy Nut.
Figura 23 RUFT (Ready to Use Therapeutic Food)
Nel 2000 i RUTF diventano uno strumento essenziale per curare i bambini affetti la
malnutrizione. La remora principale a questo nuovo approccio era rappresentata
dall’assenza di ricovero: i medici temevano di non essere in grado di monitorare i
bambini e di non poter offrire cure adeguate in caso di complicanze che potevano
verificarsi a domicilio: ma ben presto i risultati eccellenti hanno dimostrato che le
paure erano del tutto infondate.
Molti dei programmi pensati per ridurre la mortalità per malnutrizione dei bambini al
di sotto dei 5 anni sono focalizzati sul cambiamento dei comportamenti delle madri.
Prevedono la distribuzione di farine arricchite di elementi nutritivi e puntano sulla
lotta alla povertà e/o sulla sicurezza alimentare. Queste strategie sono importanti ma
non soddisfano completamente i bisogni dei bambini malnutriti al di sotto dei tre
anni. Le madri hanno bisogno non solamente di consigli su come alimentare i loro
bambini, ma anche di ricevere alimenti dall’alto contenuto nutritivo.
Mettendo a confronto le miscele di cibo, per la maggior parte in forma di una miscela
di grano e soia, utilizzate tradizionalmente per migliorare la dieta dei bambini con i
RUFT, possiamo osservare che le prime presentano una serie di limitazioni che le
rendono meno efficaci nella cura della malnutrizione dei bambini sotto i tre anni:
 Sebbene le combinazioni di cibo siano arricchite di sostanze nutrienti,
raramente includono tutti gli elementi necessari a un bambino malnutrito e i
livelli di fortificazione sono spesso inadeguati. Inoltre, i composti a base di
cereali e soia possono rendere difficile l’assorbimento dei componenti
nutrizionali. Se uno qualunque dei quaranta componenti nutrizionali
essenziali manca nella dieta di un bambino, questa carenza avrà un grave
~ 54 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
impatto sul funzionamento del suo sistema immunitario e sulla sua abilità di
combattere la malattia.
 Al contrario, gli ingredienti dei RUTF sono più adatti ai bisogni dei bambini.
Le creme dense di sostanze nutrienti sono più efficaci nel fornire in maniera
sicura l’intera gamma di minerali, aminoacidi essenziali e lipidi e altri
componenti nutrizionali necessari ai bambini piccoli che stanno rapidamente
crescendo. Sono saporiti, densi in calorie e ideali per i bambini piccoli con
volume dello stomaco ridotto.
 I RUTF durano di più, sono più sicuri e più facili da usare. Non c’è bisogno
di preparare un composto tipo semolino né di aggiungere acqua, il che
elimina il rischio di contaminazioni.
 Il confezionamento dei RUTF permette, inoltre, la conservazione per lunghi
periodi anche in climi caldi o umidi. Le miscele fortificate di cibo, invece,
hanno bisogno di acqua e di lunghe preparazioni per la cottura, rischiano un
sottodosaggio o sovradosaggio, possono essere conservate per poco tempo e
sono facilmente deteriorabili o a rischio di infestazione.
 L’esperienza dimostra come il RUTF renda più facile curare un bambino
perché è distribuito in pacchetti monodose. Distribuire quantità di miscele
arricchite di cibo a una famiglia significa rischiare che il cibo sia diviso da
tutta la famiglia, e il bambino non ne usufruisca sufficientemente.
 I pacchetti di RUTF sono facili da conservare e trasportare. I RUTF sono più
leggeri e meno voluminosi, necessitano di minore spazio in magazzino e sono
facilmente trasportabili dal sito di produzione al domicilio del bambino.
I risultati ottenuti con i RUTF per i bambini moderatamente malnutriti sono di gran
lunga superiori ai molti programmi di nutrizione supplementare d’emergenza
realizzati con le miscele di cibo. Uno studio condotto su bambini sotto i cinque anni
che ha analizzato l’impatto di 82 programmi di nutrizione supplementare
d’emergenza, condotti da 16 Agenzie in 22 paesi, mostra risultati preoccupanti. Solo
il 41% hanno raggiunto standard accettabili riguardo all’impatto a livello
individuale44.
44
Field Exchange; Emergency Nutrition Network; Issue 31; September 2007; p. 1
~ 55 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Negli ultimi 5 anni l’uso degli alimenti terapeutici pronti all’uso ha radicalmente
cambiato l’approccio al trattamento della malnutrizione grave nei bambini.
Considerando i vantaggi e l’efficacia dei RUTF, per salvare la vita ai bambini di età
compresa tra 6 mesi e 3 anni affetti da forme gravi di malnutrizione, tali alimenti
terapeutici, pronti all’uso, devono essere considerati come un farmaco essenziale
disponibile e facilmente reperibile.
Come esposto, grazie ai RUTF, oggi è possibile trattare i bambini gravemente
malnutriti senza ospedalizzarli, purché non presentino complicazioni mediche. La
grande maggioranza dei bambini malnutriti può ora esser curato a casa con la
supervisione della madre. E’ inoltre possibile promuovere un approccio alla malattia
quando è in uno stadio non ancora grave e introdurre i RUFT nell’alimentazione
delle donne in gravidanza per prevenire basso peso alla nascita dei neonati,
condizione che li rende ancor più vulnerabili.
3.3 IL COMPLESSO MALNUTRIZIONE, INFEZIONI ED EPIDEMIA DA
HIV /AIDS.
Nel 1968 la comunità scientifica internazionale riconosce, con ragionevole chiarezza,
la relazione sinergica che lega lo stato di nutrizione alle infezioni e come le carenze
nutrizionali, in particolare le carenze multiple, aumentino la letalità, la severità e la
durata di molte malattie infettive. Pertanto i programmi di Sanità Pubblica sono stati
con forza orientati ad intervenire in entrambe le direzioni: correggere gli stati di
malnutrizione e combattere le infezioni.
La malnutrizione è per lo più individuata come la risultante di una combinazione di
malattie infettive e carenze alimentari che interagiscono mutuamente e si rinforzano
a vicenda. La malnutrizione abbassa le difese immunitarie e aumenta il rischio e la
severità delle infezioni. Sebbene una dieta inadeguata possa da sola costituire causa
di
morte
e,
parallelamente,
le
malattie
infettive
possano
essere
letali
indipendentemente dallo stato nutrizionale, più frequentemente la causa di morte, nei
paesi poveri, è dovuta alla interazione tra un insufficiente intake e una patologia
infettiva. Il processo infettivo esacerba la perdita di nutrienti sia per la risposta
metabolica dell’ospite che per le perdite tessutali, come quelle intestinali. Questi
fattori peggiorano la malnutrizione e arrecano un ulteriore danno alle difese
dell’organismo. Questo ciclo è responsabile degli alti tassi di mortalità e morbosità
~ 56 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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nelle popolazioni africane fortemente esposte a malattie infettive e a carenze
alimentari. La complessa natura di tali interazioni rende realmente difficile riuscire a
distinguere la causa dall’effetto. Tali considerazioni conducono a riflettere sulle
grandi dimensioni che l’epidemia HIV/AIDS assume nell’Africa Sub-Sahariana e,
ben sapendo che le popolazioni più povere e malnutrite tendono ad essere le più
colpite dall’HIV, mostrano chiaramente come la malnutrizione sia uno dei fattori di
rischio decisivi nella diffusione dell’epidemia.
Il circolo vizioso che lega malnutrizione, AIDS, deficit del sistema immunitario,
insorgenza di altre malattie infettive, si attiva con grande agilità in ambienti
favorevoli come quello delle fragili società africane provocando, annualmente,
milioni di morti.
HIV
IMMUNO
DEPRESSIONE
MALNUTRIZIONE
MALATTIE
INFETTIVE
Figura 24 Circolo vizioso che unisce HIV/AIDS, Malnutrizione, altre infezioni e sistema immunitario.
Fonte: WR Beisel 1996
Si evidenzia che:
 L’HIV inizia il ciclo indebolendo il sistema immunitario
 Il deficit immunitario porta ad un incremento delle malattie infettive che
peggiorano la malnutrizione
 La Malnutrizione riconduce ad un ulteriore deficit del sistema immunitario la
cui debolezza peggiora gli effetti dell’infezione da HIV
 Il ciclo accelera la progressione dell’infezione da HIV verso l’AIDS.45
45
Comunità di Sant’Egidio “Dream Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrition” Leonardo International 2003
~ 57 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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3.5 HIV/AIDS: prevenzione e cura
L’AIDS, a partire dagli inizi degli anni ’80, ha avuto uno sviluppo che non ha
paragoni nella storia delle patologie umane. Con l’AIDS si è andato sviluppando nel
mondo qualcosa di totalmente nuovo e fino ad allora sconosciuto.
Infatti decine di milioni di persone colpite in tutti i paesi del mondo sono la
testimonianza di una pandemia che rappresenta a buon diritto la prima patologia
dell’era della globalizzazione. Oltre i due terzi delle persone viventi con HIV/AIDS
risiede in Africa.
L'AIDS è stata riconosciuta come una nuova e distinta entità clinica nel 1981 negli
Stati Uniti d'America in seguito al riscontro, nelle aree di New York, Los Angeles e
San Francisco, di numerosissimi casi di un particolare tipo di tumore, il sarcoma di
Kaposi e di una particolare forma di polmonite, la polmonite da pneumocystis
jirovecii in giovani maschi omosessuali. Nel sangue di tali pazienti veniva
costantemente isolato un nuovo virus capace di infettare i linfociti umani, che venne
successivamente denominato virus HIV e riconosciuto quale agente responsabile
della malattia.
Molti sono i dubbi sull'origine del virus HIV, ma l'opinione più diffusa è che esso
abbia avuto origine in Africa all'inizio degli anni '30 in seguito all'adattamento
del virus dell'immunodeficienza delle scimmie (SIV, Simian Immunodeficiency Virus)
alla specie umana, dopo la trasmissione dalla scimmia all'uomo attraverso modalità
non note, ma rese possibili dallo stretto contatto che l'uomo aveva con il sangue di
tali animali (pratiche alimentari, sacrificali ecc). L'infezione si sarebbe poi diffusa al
continente europeo ed agli Stati Uniti soprattutto per mezzo dei flussi migratori.
Il virus HIV viene trasmesso attraverso il contatto con il sangue, le secrezioni
genitali o l'ingestione di latte materno di individui infetti. Modalità di trasmissione
sono dunque quella sessuale, attraverso rapporti omo- ed eterosessuali non protetti da
contraccettivi di barriera, quella parenterale, attraverso l’esposizione a sangue infetto
mediante trasfusioni, uso di siringhe, aghi, lamette e altri oggetti taglienti
contaminati e quella verticale attraverso la trasmissione del virus dalla madre al feto
durante la gravidanza o al figlio durante il parto e l'allattamento.
L’HIV è responsabile di una progressiva riduzione delle difese immunitarie
dell'individuo infetto fino a un livello tale da esporre l'organismo a infezioni o
neoplasie opportunistiche (che colpiscono cioè solamente in casi di riduzione delle
~ 58 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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difese immunitarie, non rappresentando invece un pericolo negli individui con
sistema immunitario integro o competente), comportando il passaggio degli individui
infetti da una prima fase di sieropositività al virus dell'HIV, in cui l'unica
manifestazione di malattia è rappresentata dalla positività al test dell'HIV, ad una ben
più grave fase di AIDS conclamato, in cui si ha una drammatica riduzione delle
difese immunitarie dell'organismo con comparsa di manifestazioni cliniche gravi che,
se non tempestivamente riconosciute e trattate, portano il soggetto a morte in breve
tempo.
Il metodo più semplice e rapido per mettere in evidenza l’eventuale presenza di
anticorpi HIV-specifici nel sangue di un soggetto è il test chiamato Enzyme-Linked
Immuno-Sorbent Assay (ELISA). Riesce a mostrare, colorandole, le molecole che si
legano in modo specifico ad alcune proteine dell’HIV. In alcuni casi, però, questa
ricerca può dare risultati inesatti, i cosiddetti falsi positivi. Per questo si utilizza,
come conferma, un altro test, il Western Blot, che permette di precisare contro quali
proteine
virali
sono
diretti
gli
anticorpi
rintracciati
nel
sangue.
Non è il virus stesso che determina la morte e il progressivo decadimento fisico,
questi sono causati da una ampia gamma di malattie opportunistiche, che
aggrediscono il sistema immunitario lasciato quasi completamente vulnerabile dal
virus HIV. La sindrome AIDS comprende, appunto, una gamma di malattie
opportunistiche le quali, solamente quando si riscontra nel soggetto una condizione
di sieropositività, vengono definite come AIDS.
Non esiste, al momento, un vaccino in grado di prevenire la trasmissione
dell'infezione né una terapia efficace che ne permetta la guarigione46.
L’avvento, a metà degli anni ’90, dell’ HAART (Highly Active Anti-Retroviral
Therapy) ha radicalmente modificato la storia naturale della malattia, trasformando
l’AIDS in una patologia a decorso cronico. Ma, allo stesso tempo, la terapia AntiRetro-Virale (ARV) ha posto delle nuove necessità. Proprio questa terapia, infatti,
per poter dare risultati ottimali, ha bisogno di metodologie diagnostiche e di
monitoraggio tecnologicamente avanzati e di raggiungere capillarmente la
popolazione: occorre cioè coniugare la disponibilità di centri altamente specializzati
con il massimo della diffusione e dell’accessibilità. La terapia HAART viene, infatti,
proposta alle persone sieropositive sulla base dei valori dei linfociti T CD4+ e della
46
http://www.treccani.it
~ 59 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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carica virale (numero di copie per millilitro di sangue). La terapia è in genere
composta da più farmaci Anti-Retro-Virali: sono previste associazioni di almeno tre
differenti farmaci, che permettono di ridurre la carica virale e migliorare la situazione
immunitaria con l’aumento dei linfociti CD4. Si parla anche di “terapia combinata” o
“combinazione”
o
“triplice”.
Il virus HIV utilizza il linfocita CD4 per replicarsi e moltiplicarsi. La maggior parte
dei farmaci agisce dentro questa cellula (azione intracellulare) mentre, ad oggi, un
solo farmaco agisce all’esterno della cellula (azione extracellulare). I farmaci
intracellulari, detti “inibitori enzimatici”, inibiscono l’azione di quella sostanza
chimica, l’enzima, mediante la quale avviene il processo della replicazione virale.
In commercio ci sono quattro diverse tipologie di farmaci, dette “classi”:
- IF : inibitori della fusione, cioè inibitori di ingresso
- N(t)RTI : inibitori della trascrittasi inversa, nucleosidici e nucleotidici
- NNRTI : inibitori della trascrittasi inversa, non nucleosidici
- IP : inibitori della proteasi47
Ad oggi non è previsto un termine per l'assunzione della terapia una volta che questa
sia stata intrapresa.
3.4.1 Strategie preventive della trasmissione verticale dell'infezione da HIV
Quasi il 58% degli africani che vivono con l’HIV/AIDS sono donne. Le giovani
donne sono spesso forzate ad avere rapporti sessuali e, solitamente, sono incapaci a
negoziare per avere rapporti sessuali protetti trovandosi in rapporti di potere
asimmetrici dove rappresentano la controparte più vulnerabile. Ogni anno si stima
che 2.2 milioni di donne HIV positive partoriscano. Quattro milioni di bambini sono
stati infettati con l’HIV nell’ultimo ventennio. In quasi tutti questi casi il virus è
trasmesso da madre a figlio durante la gravidanza, al momento del parto o durante
l’allattamento. Si stima che l’HIV/AIDS abbia reso più di 14 milioni di bambini
orfani nel mondo, la maggior parte in Africa. Essere orfani in Africa non è
semplicemente una condizione sfavorevole dal punto di vista umano e psicologico.
È un fattore di rischio. Rischio di morire più facilmente degli altri bambini. Rischio
di non andare a scuola perché la famiglia non ce la fa a garantire il necessario per
47
http://www.sieropositivo.it/area-medica/haart.html
~ 60 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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l’iscrizione. In Africa la percentuale di bambini che frequenta la scuola tra gli orfani
scende mediamente di circa due terzi.
Figura 25 Bambino Rwandese
Il trattamento profilattico con i farmaci Anti-Retro-Virali, in combinazione con altri
interventi ha quasi completamente eliminato il rischio di infezione verticale da madre
a figlio nei paesi industrializzati. Ciò non avviene nei paesi più poveri dove la
possibilità di cura è carente, i farmaci spesso inaccessibili e l’informazione
insufficiente.
Se la terapia nelle persone con HIV/AIDS ha l’obiettivo di contrastare il progredire
dell’infezione, nelle donne con HIV in stato di gravidanza ha anche l’obiettivo di
evitare la trasmissione del virus al feto. In questo senso la carica virale assume, se
possibile, un valore ancora più rilevante. Infatti rappresenta l’elemento chiave che
condiziona il rischio di infezione del feto da parte della madre anche se
evidentemente non è l’unico. A parità di carica virale, infatti, vi sono diversi fattori
di rischio per la trasmissione dell’HIV dalla madre al bambino. Tra questi la
malnutrizione, la presenza di ulcere genitali, di Malattie a Trasmissione Sessuale
(MTS), la rottura prolungata delle membrane, le lacerazioni vaginali, e poi,
successivamente al parto, l’allattamento48. Sono tutti elementi che vanno presi in
considerazione e sui quali, se possibile, bisogna intervenire.
La tri-terapia è un trattamento altamente efficace capace di abbattere la carica virale
per ridurre il rischio di trasmissione in maniera consistente. La durata media del
trattamento pre-parto non dovrebbe essere inferiore ai due mesi per avere la
ragionevole certezza di scendere sotto le 1.000 copie/ml.
Un altro elemento da tenere in considerazione nel disegnare il protocollo terapeutico
di prevenzione della trasmissione materno infantile è la tendenza al parto prematuro
48
Mock PA, Shaffer N, Bhadrakom C et al. Maternal viral load and timing of mother-to-child- transmission, Bangkok, Thailand.
Bangkok Collaborative Perinatal HIV transmission Study Group. AIDS 1999 Feb 25;13(3): 407-14
~ 61 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
tipica delle donne HIV-positive. Ciò comporta la necessità di iniziare la terapia per
tutte le donne alla 25a settimana.
Durante la gravidanza, inoltre, la gestante deve ricevere un sostegno nutrizionale ed
un supplemento polivitaminico, con l’obiettivo di contrastare la malnutrizione e
l’anemia, ridurre la quota di parti prematuri (vitamina A) e l’incidenza qualiquantitativa del basso peso alla nascita. Inoltre, considerando lo stress costituito
dall’infezione da HIV dal punto di vista proteo-energetico per l’organismo, la
supplementazione assume un ruolo centrale nel sostenere la lotta al virus49.
Entro le 72 ore successive al parto il neonato deve ricevere una dose di Nevirapina
con l’obiettivo di proteggerlo nel momento di maggiore vulnerabilità nel caso di
allattamento naturale. La madre dovrebbe continuare a ricevere sostegno alimentare e
vitaminico anche durante il periodo post-partum.
Affinché i progetti di prevenzione funzionino è necessario, innanzi tutto, diffondere
tra la gente, ed in primo luogo tra le donne, il desiderio di lottare contro l’AIDS e
soprattutto la speranza che questa lotta si può vincere. Assicurarsi che le donne,
quando diventano sessualmente attive,
abbiano le conoscenze e le competenze
necessarie per evitare l’infezione da HIV.
Oggi che tutto questo è possibile a costi relativamente contenuti, la cura delle madri,
oltre ad essere un imperativo etico, è anche una scelta di buon senso.
L’ABC, ovvero l’alfabeto della prevenzione: abstinence, behavior, condom
(astinenza, fedeltà, preservativo): comportamenti responsabili più preservativo,
hanno portato a una significativa revisione delle politiche di educazione e
prevenzione, che restano la prima e indispensabile arma contro l’AIDS.
Tuttavia impostare le politiche di informazione ed educazione sanitaria circa la
trasmissione del virus sull’Abc della prevenzione non basta, perché la questione
dell’AIDS, e il suo legame con la sessualità, chiamano in causa implicazioni socioculturali molto complesse ed estremamente delicate. E’ necessario confrontarsi con
gli equivoci sorti attorno all’AIDS e agli atteggiamenti distruttivi come il pregiudizio
e lo stigma sociale, la paura di essere etichettati e ostracizzati. Non è quindi
sufficiente offrire conforto, sostegno, informazione e cura a coloro che sono colpiti
dall’AIDS, ma informazione e cura diventano fondamentali anche per combattere lo
stigma che è ancora forte e che rappresenta il peso più grande per le famiglie, talvolta
addirittura un peso maggiore del malato stesso. Lavoro che presuppone la capacità di
49
Fawzi WW, Msamanga GI, Spiegelman D, Urassa EJ, Hunter DJ. Rationale and design of the Tanzania Vitamin and HIV
Infection Trial. Control Clin Trials. 1999 Feb;20(1): 75-90
~ 62 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
calarsi nelle culture, di lavorare sui tempi lunghi, di aspettare i cambiamenti graduali,
che passano anche attraverso la proposta di modelli di comportamento che
propugnano una sessualità più consapevole e una maggior fedeltà tra partner, come
garanzia di autenticità del rapporto che, di conseguenza, è anche meno «a rischio».
La prevenzione, riconosce anche Unaids, è il fondamento della risposta all’AIDS.
Programmi completi di prevenzione permetterebbero di evitare 29 dei 54 milioni di
nuovi contagi che si produrranno, secondo le proiezioni, nel corso di questo
decennio. Non è infatti pensabile, secondo gli esperti di Unaids, che un accesso più
ampio ai farmaci Anti-Retro-Virali possa essere mantenuto se il numero di nuove
infezioni non viene nettamente diminuito.
La prevenzione continua ad essere più che mai necessaria, ma da sola non è
sufficiente. Anzi, l’assenza di speranza di accesso e di disponibilità della terapia
rischia di limitare drasticamente l’efficacia della stessa prevenzione, riducendo
l’interesse a conoscere la propria condizione rispetto all’infezione: essere informati
senza terapia disponibile, infatti, rischia di diventare la notizia drammatica e
insostenibile di una fine prematura, spesso preceduta da isolamento e sanzione
sociale.
Queste necessità implicano interventi economici e politici ad ampio spettro, così
come una programmazione sanitaria e una organizzazione dei servizi molto articolata
e innovativa: un intervento di lotta all’AIDS deve essere basato su immediatezza e
lungimiranza.
~ 63 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Capitolo 4
IL RUOLO DELL’ASSISTENTE SANITARIO IN UNA
MISSIONE UMANITARIA
“costruire un corpo di assistenti sanitarie aventi per compito di ricercare e curare, fin dai primi
sintomi, fra il popolo, le malattie, e di prevenirne la diffusione per mezzo di insegnamenti pratici
di profilassi e di igiene” (Frezza, 1920).
4.1 LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ALLO SILUPPO
La disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, la convinzione che questa disparità sia
di fatto un’ingiustizia, così come la consapevolezza che un mondo in cui ci sia una
più equa ripartizione delle risorse e in cui tutti abbiano le stesse possibilità per
sviluppare le proprie potenzialità sarebbe un mondo più sicuro, stanno alla base della
nascita e della crescita della solidarietà internazionale e della cooperazione allo
sviluppo. La solidarietà internazionale non è solo una questione caritativa, ma sta
assumendo sempre più la connotazione di un vero e proprio dovere giuridico e, al
tempo stesso, rappresenta un investimento in un mondo più giusto e, quindi, più
pacifico e sicuro.
Per Cooperazione Internazionale s’intendono tutti quei rapporti di solidarietà
internazionale, di promozione della pace e dei diritti umani, di aiuti umanitari
promossi dai Paesi industrializzati ed economicamente ricchi per aiutare e sostenere
le popolazioni che vivono in maniera disagiata o in stato di emergenza. Questi
rapporti di collaborazione si concretizzano nel finanziamento e nel sostegno di
progetti di sviluppo finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita delle
popolazioni in difficoltà, favorendone la crescita e il benessere sociale, a breve e a
lungo termine, attraverso la scolarizzazione, la formazione professionale, la
costruzione di infrastrutture, il sostegno per lo sviluppo delle risorse naturali, il
micro-credito, l’assistenza sanitaria, la salute e l’alimentazione.
Si parla di Cooperazione allo Sviluppo, quindi, come l’insieme di politiche attuate da
un governo, o da una organizzazione internazionale, che mirano a creare le
condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale, duraturo e sostenibile, di
un altro Paese.
~ 64 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Il termine “cooperazione” implica un’interazione tra due soggetti per il
raggiungimento di uno scopo condiviso. Implica, quindi, che il processo di sviluppo
non deve e non può essere promosso e realizzato unilateralmente, ma devono essere
coinvolti anche i soggetti che appartengono al Paese beneficiario, sia per poter
individuare al meglio gli interventi da realizzare, sia per garantire che detti interventi
siano duraturi e rispettosi della cultura locale50.
Le popolazioni, le loro necessità e la loro dignità sono la priorità.
La cooperazione internazionale si realizza con il sostegno del Ministero degli Affari
Esteri o, attraverso le Associazioni e le Organizzazioni non Governative (ONG), sia
laiche che religiose. Le ONG sono Organizzazioni di volontariato e cooperazione
internazionale indipendenti dal potere pubblico o governo, dal quale, però, sono
riconosciute e possono ricevere finanziamenti per progetti specifici. In Italia, oggi, le
ONG riconosciute dal Ministero sono 256 e molte di loro si riuniscono in
aggregazioni o federazioni per condivisione di valori o di linee operative.
L’Unione Europea le definisce anche “Non State Actors”, Attori non Statali.
In Italia vi è una differenza specifica tra le Associazioni di Solidarietà, le ONLUS e
le ONG. Le prime, di solito, nascono in modo spontaneo intorno all’ideazione e alla
gestione di un progetto specifico; le ONG, invece, hanno una vera e propria
organizzazione con una struttura operativa e devono ottenere un riconoscimento
specifico dal Ministero degli Affari Esteri sulla base della legge 49 del 1987 che
ancora oggi regola la materia della cooperazione italiana. Caratteristica comune a
entrambe è il fatto di essere no profit51.
Il Diritto Internazionale Umanitario e la Convenzione di Ginevra conferiscono alle
organizzazioni umanitarie indipendenti la legittimità per portare a buon fine l’aiuto
umanitario.
I principi su cui si fonda l’azione umanitaria sono:
Indipendenza
L’azione umanitaria deve essere indipendente da ogni potere politico, economico e
militare. Il suo unico obiettivo deve essere la difesa degli esseri umani. Le
organizzazioni umanitarie devono essere prima di tutto in grado di provare la loro
totale indipendenza da ogni costrizione esterna e le operazioni di soccorso devono
essere indipendenti da ogni pressione militare, politica, ideologica o economica.
50
51
M.C.Martinez, S.Belli, S.Galgani, S.Lauri, L.Sbrana, M.Leone “L’assistente sanitario nella cooperazione internazionale” 2013
Ibidem
~ 65 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Imparzialità
Questo principio stabilisce che l’azione umanitaria deve essere condotta senza
discriminazioni perché tutti gli individui sono uguali davanti alla sofferenza.
Nessuno può essere privato dell’aiuto di cui ha bisogno.
Neutralità
Essere neutrali significa non prendere posizione in un conflitto. Il concetto di
neutralità dell’azione umanitaria consiste nel far accettare alle parti in guerra che, per
loro natura, le azioni di soccorso non rappresentano azioni ostili e non sono
contributi agli sforzi bellici di uno dei belligeranti.
Figura 26 Solidarietà
Per essere qualificati come operatori umanitari, quindi, due sono i principi da
rispettare: imparzialità e umanità.
Fornire assistenza indipendente basandosi esclusivamente sui bisogni, nel totale
rispetto della dignità di ogni essere umano, con il solo scopo di alleviare la
sofferenza umana52.
Gli operatori impegnati nei Paesi in Via di Sviluppo sono protagonisti e testimoni del
dialogo fra Nord e Sud del mondo ed incarnano, nel loro lavoro quotidiano, la
funzione più specifica e cruciale di ogni ONG, che non si limita ad alleviare le
situazioni di povertà, disagio e sofferenza, ma tende ad inserirsi e ad incidere
concretamente nei processi sociali e politici delle comunità in cui opera. Le attività di
cooperazione, infatti, si inseriscono in ciascuna realtà locale che è fatta di relazioni
politiche, sociali, economiche e istituzionali a cui si può accedere solo attraverso il
pieno coinvolgimento, la mediazione e il supporto delle comunità locali e le loro
organizzazioni, che di quelle realtà sono parte integrante e ne conoscono, quindi,
meglio di chiunque altro, i problemi e le necessità. Ecco perché il lavoro delle ONG
è un lavoro di relazione e le risorse umane delle ONG sono l’insieme di operatori
ospiti e di quelli del mondo in cui si sceglie di intervenire, per cercare di capire e
52
definizione del 1986 da parte della Corte Internazionale di Giustizia
~ 66 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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rimuovere le cause che impediscono o frenano lo sviluppo, per favorire un clima di
pace e di convivenza sociale che dello sviluppo è prerequisito essenziale.
Oggi il concetto di sviluppo generalmente accettato è quello di sviluppo umano.
L’approccio allo sviluppo umano trova il suo fondamento nella convinzione che
debbano essere ampliate le opportunità a disposizione dei singoli individui che
appartengono ai Paesi più poveri, attraverso la formazione e il potenziamento delle
capacità umane. Ogni individuo, secondo questo approccio, deve essere messo nella
condizione di condurre una vita sana, di acquisire competenze e di accedere alle
risorse necessarie per condurre una vita degna e per contribuire allo sviluppo del suo
Paese. A questo scopo ogni operatore della solidarietà internazionale deve mettere a
disposizione professionalità e personalità. Deve possedere competenze tecniche e
relazionali che lo rendano capace di intervenire in tutti i contesti in cui è necessario il
suo apporto, competenze specifiche della propria professione e competenze
trasversali, comuni invece a tutti i profili.
Generalmente, a un cooperante, è richiesta la conoscenza a livello avanzato di una o
più lingue, una forte motivazione a lavorare in aiuto alle popolazioni povere, una
buona capacità di leggere il contesto in cui si trova ad operare, risolvere problemi e
affrontare situazioni impreviste.
A tutti è infatti richiesto di avere:
 orientamento al risultato e alla qualità;
 capacità di pianificazione e di organizzazione;
 spirito di iniziativa e attitudine all'innovazione;
 capacità relazionali e interpersonali;
 capacità di lavoro in team e attitudine alla collaborazione;
 consapevolezza del valore delle differenze culturali;
 flessibilità comportamentale;
 capacità di riconoscimento e gestione dello stress;
 capacità di analisi di contesto, in particolare, capacità di individuare aree di
criticità per concorrere alla loro riduzione o eliminazione;
 consapevolezza dell’importanza della sicurezza sul lavoro.53
53
http://www.medicisenzafrontiere.it
~ 67 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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L’ Assistente Sanitario è il professionista sanitario con competenze specifiche sulla
prevenzione, sulla promozione e l’educazione alla salute. La sua attività è rivolta alla
persona, alla famiglia, alla collettività; individua i bisogni di salute e le priorità di
intervento preventivo, educativo e di recupero.54 E’ in possesso, quindi, di tutti i
requisiti necessari per partecipare attivamente alla realizzazione e alla pianificazione
di progetti umanitari e rientra a pieno titolo nelle attività di cooperazione.
Nel Settembre del 2011 ho svolto parte del mio tirocinio formativo in Rwanda,
partecipando alla XVI missione organizzata dall’Associazione Komera Rwanda,
insieme ad altre due studentesse tirocinanti del Corso di Laurea in Infermieristica
Pediatrica, ad un pediatra, ad un ginecologo e a due ostetriche.
E’ stata un’esperienza molto arricchente, sia dal punto di vista professionale che
umano, grazie alla quale ho potuto constatare, nonostante non fossi ancora abilitata a
svolgere la professione, quanto l’Assistente Sanitario possa contribuire, avvalendosi
delle sue competenze professionali, a varie iniziative dirette alla tutela dei diritti
umani, con particolare riferimento alla promozione della salute.
4.2 L’ASSOCIAZIONE KOMERA RWANDA
Komera Rwanda è un'organizzazione di volontariato genovese che ha lo scopo di
promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e sanitarie della fascia più
povera della popolazione dei Paesi a risorse limitate. Attualmente, si occupa,
prevalentemente, di quella di Gatare, un centro abitativo rurale di montagna
localizzato ai margini della foresta equatoriale di Nyungwe e di Butare, entrambi nel
sud del Rwanda, in Africa centrale. Il termine Komera! è una parola della Lingua
kinyarwanda, parlata in Rwanda, ed è una forma comune di saluto che
significa "Coraggio!", "Sii forte!".
L’associazione nasce per iniziativa di un gruppo di famiglie genovesi che, nel luglio
2004, ha condiviso le giornate e le attività presso la missione delle suore "Figlie del
Divino Zelo" a Gatare, in una tra le zone più povere e sperdute del Rwanda.
“Komera Rwanda” è stata costituita in Organizzazione Non Lucrativa di Utilità
Sociale (ONLUS)
a Genova nel maggio 2005.
Dal febbraio 2006 è
iscritta
al
Registro Regionale delle organizzazioni di volontariato della Regione Liguria con il
numero SS-GE-140-2006 ai sensi dell'art. 3 della legge regionale n°15/92.
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Job Description Assistente Sanitario Volume I Regione Toscana pag. 19
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Komera Rwanda è un'organizzazione di volontariato indipendente rispetto a governi
e partiti politici e agisce senza porre discriminazioni di razza, sesso, religione ed
opinione.
Obiettivi dell'Organizzazione sono:
 Collaborazione continuativa con la missione delle suore Figlie del Divino
Zelo di Gatare e di Butare, in Rwanda, con lo scopo di migliorare le
condizioni di vita della popolazione;
 Sostegno finanziario, organizzativo e scientifico al Centro di Sanità “Rugege”
di Gatare allo scopo di migliorare le condizioni di assistenza sanitaria alla
popolazione;
 Testimonianza e sensibilizzazione sulle condizioni di vita in Rwanda e in
particolare nelle località di Gatare e Butare.
A tal fine l'Organizzazione promuove:
 L'elaborazione di progetti di intervento locale di carattere sociale, sanitario,
tecnico e agricolo;
 Iniziative, servizi e manifestazioni in Italia al fine di raccogliere fondi per
sostenere i progetti riguardanti Gatare e Butare;
 La formazione di personale sanitario locale e il sostegno scientifico al Centro
di Sanità e Nutrizione "Rugege" di Gatare, attraverso l'organizzazione
periodica di missioni in loco, coordinate da medici volontari in gran parte
appartenenti all’IRCCS Giannina Gaslini di Genova;
 Il reclutamento di volontari disposti a prestare la loro opera a titolo gratuito
presso la sede della Missione di Gatare;
 L'attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai problemi socio-sanitari
della regione di Gatare anche attraverso l'utilizzo della Rete nella quale
l'Associazione è presente con un sito proprio. Komera Rwanda è inoltre
presente nel social-network "Facebook"55.
55
http://www.komerarwanda.org
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
4.3 LA MISSIONE E IL CENTRO DI SANITA’ RUGEGE
Gatare si trova nel sud-ovest del Rwanda, non lontano dal confine con il Congo, in
una località di alta montagna, a 2500 metri di altitudine, nella prefettura di
Gikongoro, comune di Musebeya, a circa 5 ore di distanza da Kigali.
Gatare è situata nella foresta di Nyungwe, sulla montagna del Crete-Zaire-Nil.
Il clima è mite, nel corso dell’anno le piogge sono abbondanti e l’estate è breve.
Il territorio di Gatare è molto simile a quello del resto del Rwanda occidentale: è
costituito da colline ed avvallamenti che rendono lunghe e difficili le comunicazioni
e gli spostamenti, soprattutto in caso di pioggia.
Estremamente modesta è, infatti, la presenza di infrastrutture. L’unica strada
utilizzabile è quella che collega la zona con la città di Gikongoro, asfaltata solo per
un breve tratto e in condizioni di percorribilità precarie.
Non esiste alcun sistema di collegamento e di comunicazione dovuti all’ assenza di
linee telefoniche ordinarie e di una copertura di rete per la telefonia mobile; tale
situazione appare molto grave soprattutto per le comunicazioni riguardanti le
urgenze e le emergenze sanitarie.
La missione è stata istituita nel 1990 per iniziativa della congregazione religiosa
delle "Figlie del Divino Zelo". Le stesse suore hanno numerose case in Italia e molte
altre missioni sparse in tutti i continenti.
La missione comprende il centro nutrizionale e di sanità Rugege e la scuola materna.
Il centro di sanità Rugege, serve 15000 abitanti, di cui il 65% analfabeti.
La popolazione vive di agricoltura e di allevamento e abita in case sparse.
All’interno del centro opera un Coordinatore Socio-Sanitario che si occupa di seguire
i pazienti più bisognosi nel loro percorso di vita, facendosi carico sia degli aspetti
sanitari sia di quelli psico-sociali. Si occupa della comunicazione delle diagnosi, dei
programmi educativi sui temi di igiene, sanità e nutrizione e del counselling
domiciliare.
L’altra figura sanitaria rappresentata è quella dell’infermiere: il medico è presente
solo una volta alla settimana e, per questo motivo, sono gli infermieri che, in genere,
si occupano di fare diagnosi, prescrivere le terapie e portare a termine pratiche
mediche complesse come l’estrazione dentale, il parto e l’assistenza al neonato e alla
donna nelle prime settantadue ore dopo la nascita.
L’ospedale più vicino, dove si può trovare assistenza medica, si trova a Kigeme, a
due ore e mezza di distanza.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Il centro è dotato di 31 posti letto per l’ospedalizzazione, suddivisi in 3 stanze da 4
posti per la degenza pediatrica, 2 stanze di degenza per adulti, 1 stanza per la
degenza delle donne al termine della gravidanza e 1 stanza per le neomamme e per i
loro neonati. Vi è inoltre la sala parto con annessa una stanza dedicata al travaglio.
Nei posti letto di degenza pediatrica e per adulti, i pazienti sostano, di solito, per 3
giorni, durante i quali ricevono le cure necessarie; dopo di che, se non presentano
miglioramenti, vengono trasferiti all’ospedale di riferimento a Kaduha, che dista 4
ore di fuoristrada.
L’attività al centro sanitario inizia alle 7.30 di mattina con il passaggio delle
consegne e prosegue con il giro visite, seguito dalle attività programmate per la
giornata.
I turni degli infermieri sono molto simili agli orari che venivano applicati in Italia
fino a qualche tempo fa: pomeriggio, mattina e nella stessa giornata anche la notte.
La turnazione prevede la presenza di due infermieri nei turni diurni e uno in quello
notturno.
L’orario del turno diurno è dalle 7.30 alle 17.
Quello del turno notturno dalle 17 alle 7.30.
L’infermiere del turno diurno che dovrà coprire anche il turno notturno, ha una
riduzione di orario e lavora fino alle ore 14, con 3 ore di pausa prima dell’inizio del
turno successivo.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, il Ministero della Salute Rwandese ha imposto
la divisa di colore bianco, (casacca e pantaloni senza camice), a partire dal 1 ottobre
2011.
I servizi prestati alla popolazione sono:
- consultazione curativa e preventiva pre e post natale;
- consultazione curativa e preventiva dentistica;
- consultazione curativa e preventiva pediatrica;
- ambulatorio vaccinale;
- ambulatorio nutrizionale;
- ambulatorio HIV e servizio di distribuzione farmaci;
- laboratorio;
- pianificazione familiare;
- assistenza socio-sanitaria;
- sala parto e degenza.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Durante la mia permanenza a Gatare ho seguito in particolare tre progetti: il Progetto
Igiene, il Progetto Malnutrizione e il Progetto HIV-AIDS. Queste tematiche,
estremamente complesse, richiedono un approccio multidisciplinare, ma certamente
si avvalgono del contributo offerto dalle specifiche competenze e dalle caratteristiche
professionali dell’Assistente Sanitario.
4.4 IL PROGETTO IGIENE
Il progetto Igiene è nato nel 2004, anno in cui è cominciata la collaborazione tra
l’associazione Komera Rwanda e il Centro Sanitario Rugege di Gatare.
Il progetto riguarda l’igiene scolastica, personale e ambientale; l’obiettivo è quello di
sensibilizzare il personale locale e, in particolare, le maestre della scuola materna di
Gatare, affinché possano migliorare le conoscenze, le abitudini e la sensibilità degli
allievi su questi temi.
La maggior parte degli abitanti di Gatare ha scarse conoscenze sulle norme igieniche
di base, quindi la pulizia personale e della casa è poco praticata. Molti di loro
mangiano con le mani sporche e camminano a piedi nudi, entrando così in contatto
con pulci e microbi che causano infezioni. Inoltre, le famiglie vivono in case fatte di
fango, spesso sprovviste di latrine pulite e sicure e dello smaltimento delle acque
nere, contribuendo così alla trasmissione di agenti patogeni attraverso le feci.
La scarsità dei servizi igienici, seguita dalla carenza di igiene personale, di acqua,
degli alimenti e dalla precaria condizione delle abitazioni incrementano le cause di
morte dei bambini, poiché contribuiscono alla diffusione delle infezioni e delle
malattie diarroiche.
Per questo motivo, l’associazione ha deciso di intervenire con un programma di
prevenzione tra gli abitanti del villaggio di Gatare. Inizialmente, però, i volontari
hanno incontrato una certa diffidenza culturale: infatti, i microbi che vengono
trasmessi con una cattiva o addirittura con la mancanza di igiene sono microrganismi
invisibili e quindi, per le persone comuni restavano un concetto astratto. Le regole di
igiene venivano pertanto recepite dalla popolazione locale solo come il rituale di una
cultura straniera.
Per combattere questa diffidenza culturale, i membri dell’ associazione Komera
Rwanda hanno pensato di insegnare e promuovere le norme igieniche essenziali ai
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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bambini della scuola materna, con la collaborazione delle maestre, attraverso il
gioco e la favola.
Il fine ultimo di questo progetto è quello di fornire nozioni pratiche di igiene
personale e ambientale ai bambini affinché possano estenderle anche ai loro genitori,
rendendo così questa pratica una routine quotidiana all’interno delle mura
domestiche di ciascuna famiglia.
4.4.1 Prima fase del progetto: formazione del personale locale.
La prima parte del progetto è iniziata nella primavera 2007, quando un gruppo
facente parte dell’Associazione Komera Rwanda ha organizzato a Gatare uno stage
di formazione rivolto alle maestre della scuola materna della missione.
L’obiettivo era quello di formare le maestre per migliorare le conoscenze e le
abitudini dei bambini nella pratica dell’igiene.
Durante lo stage sono state spiegate le nozioni generali di igiene: i microbi (cosa
sono, dove si trovano, come evitare la loro diffusione), l’igiene dell’acqua
(importanza e utilizzo di acqua pulita e potabile, i pericoli e la malattie causate
dall’acqua non potabile e stagnante), l’igiene ambientale (l’igiene della casa, della
scuola, l’eliminazione dei rifiuti, l’utilizzo delle latrine) e infine l’igiene orale
(l’importanza di lavarsi i denti e come utilizzare lo spazzolino).
Al termine della formazione, le maestre sono state in grado di trasmettere ai bambini
delle loro classi tutto ciò che avevano appreso e hanno introdotto nuove regole, come
per esempio quella del lavaggio dei denti e delle mani.
Per aiutare i bambini a comprendere e interiorizzare queste nuove regole igieniche, il
progetto si è valso di alcuni strumenti didattici: sono stati appositamente elaborati
cartelloni esplicativi, giochi (di società, di animazione e di carte), canzoni e una
favola. Nel suo lavoro didattico, ogni maestra ha sviluppato liberamente questi
strumenti nella lingua ruandese, creandone anche di nuovi.
4.4.2 Seconda fase del progetto: monitoraggio e rinforzo.
Dopo alcuni mesi l’associazione è partita con una nuova missione durante la quale ha
monitorato l’evolversi di questo progetto.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Lo strumento che si è dimostrato più utile per rinforzare le informazioni fornite nella
prima fase del progetto e che ha coinvolto maggiormente i bambini, è stata la
creazione di un cortometraggio che rappresentava una favola sull’igiene. Una delle
maestre vestiva i panni della “Fata Gocciolina” e spiegava ai bambini come lavarsi le
mani, le unghie, il viso e i denti, mostrando lo spazzolino e spiegandone l’uso.
Nella seconda parte il video trattava dell’igiene della casa e quindi della necessità di
tenere pulita la propria abitazione, di lavare i vestiti e dell’importanza dell’utilizzo
delle latrine e della loro ubicazione, separata dalle zone dove si mangia e si dorme.
Credo che il successo di questo filmato derivi dal fatto che sia i bambini sia le
maestre sono stati direttamente coinvolti, riuscendo quindi ad assorbire pienamente il
messaggio che si voleva trasmettere loro: quanto siano importanti le norme igieniche
di base per ridurre le malattie e la mortalità infantile.
Anche i genitori sono stati invitati ad assistere alla visione del filmato, che è stata
preceduta da un discorso introduttivo sull’esistenza dei microbi, sulle malattie che
essi possono provocare e sulle regole per evitare il contagio.
L’evento ha suscitato molto interesse e curiosità, è stato molto apprezzato sia dai
bambini che dalle loro famiglie e sicuramente ha costituito motivo di riflessione sui
comportamenti abitualmente adottati da adulti e bambini.
4.4.3 Terza fase del progetto: analisi di contesto e identificazione dei
bisogni.
Il cambiamento è un processo che richiede molto tempo e gradualità e questo
principio è ancor più vero in Africa dove l’immobilismo e la resistenza al
cambiamento appartengono proprio alla cultura del popolo africano. Dopo
innumerevoli monitoraggi offerti dai volontari che, via, via si succedevano nelle
varie missioni, nel settembre del 2011, a distanza di quattro anni dall’inizio del
progetto ci siamo posti il seguente obiettivo:
Obiettivo:
valutare il livello igienico-sanitario raggiunto nei vari ambienti (scuola, cucine,
Centro Sanitario) e le acquisizioni delle norme igieniche da parte dei bambini, delle
famiglie assistite e del personale locale.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Metodologia d’intervento:
Analisi di contesto, identificazione dei bisogni, educazione sanitaria e formazione al
personale locale
Dalla nostra osservazione è emerso quanto segue:
Lo scenario attuale:
 Aule e servizi
Figura 27 Scuola Materna
Per quanto riguarda le condizioni igieniche, è importante sottolineare che la severa e
frequente supervisione delle suore nel centro ha fatto migliorare di molto la pulizia
dei locali, sia per quanto riguarda il centro sanitario che la scuola materna.
Attualmente 300 bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni frequentano la Scuola
Materna di Gatare e sono suddivisi in 6 classi.
Per prima cosa abbiamo controllato la capienza delle aule che misurano circa 8x8
metri. Secondo i canoni europei, queste misure sarebbero insufficienti a contenere
senza sovraffollamento l’attuale numero di bambini, infatti, il rapporto tra mq e
alunni non raggiunge gli standard minimi di 1.80 mq/alunno raccomandati dal
Decreto Ministeriale del 18/12/1975, recante le norme tecniche relative all’edilizia
scolastica rispetto a sicurezza e igiene.
Le aule sono arredate con tavolini e sedie di legno, non si presentano spoglie, ma
sono colme di giochi e di materiale didattico come libri o cartelloni appesi alle pareti.
Il tutto è ben conservato, i ripiani e i locali sono puliti, nonostante i bambini
consumino sia la colazione, sia il pranzo, nella stessa aula nella quale trascorrono
tutta la mattina.
I bagni sono collocati in un terreno sottostante alle classi, all’interno di una piccola
costruzione in mattoni, protetta da una tettoia e chiusa da sei porticine di legno. In
considerazione dell’esiguo numero di bagni, durante la ricreazione, si formano
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
inevitabilmente lunghe code di bambini in attesa del proprio turno. I gabinetti sono
costituiti semplicemente da un buco nel terreno con due tavolette di legno ai lati,
dove i bambini devono tenere i piedi per non scivolare nella piccola fossa. La
costruzione in muratura è abbastanza recente, quindi ancora non logorata dal tempo.
Il punto debole è rappresentato dalla mancanza di un apparecchio adibito allo scarico
dell’acqua subito dopo ogni utilizzo della latrina, infatti, proprio per questo, la zona
limitrofa ai bagni presenta un odore molto forte e pungente. Inoltre, la presenza delle
tavole in legno, pur garantendo la sicurezza dei bambini, non garantisce una perfetta
igiene a causa del materiale poroso e assorbente.
L’ambiente della cucina si è rivelato superiore alle aspettative dal punto di vista
igienico: gli spazi sono puliti e ordinati. Abbiamo avuto modo di osservare anche la
preparazione della colazione e del pranzo. Ci ha sorprese il fatto che fosse una
“cucina all’aperto”, molto vicina alla zona delle classi, dove due cuoche, guidate da
una suora, sono circondate da grandi pentoloni che consentono di cuocere
velocemente grandi quantità di cibo. Durante la preparazione dei pasti si crea
inevitabilmente un po’ di confusione, considerando il numero di bambini a cui si
deve provvedere ma, subito dopo il pranzo, c’è molta cura nella pulizia e nel
riordino.
Figura 28 Cucina
 Igiene personale
I bambini a scuola indossano una divisa blu acceso, le femmine portano la gonna e i
maschi dei pantaloncini color sabbia. Escono di casa in divisa e giungono a scuola
dopo aver percorso anche lunghi tragitti. Come per tutti i bambini, le occasioni per
sporcare la divisa non mancano mai, ma le maestre sono molto attente e severe al
riguardo: è capitato, infatti, che alcuni bambini rientrassero a scuola, dopo la pausa
del fine settimana, con la divisa sporca e che siano stati rimandati a casa.
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 Norme igieniche
Nelle vicinanze delle classi è presente un grosso lavandino, con un paio di rubinetti
dove avviene il lavaggio delle mani e dei denti da parte tutti i bimbi. Ciò accade
durante la ricreazione e subito dopo la colazione. I bambini si dispongono in fila
indiana e ricevevano il loro spazzolino personale, ma non viene utilizzato né sapone
né dentifricio.
 Educazione sanitaria
Dalla nostra osservazione sono emersi alcuni bisogni che abbiamo ritenuto prioritari.
Il nostro obiettivo è stato quello di intervenire su alcuni comportamenti che abbiamo
individuato come a rischio per la trasmissione delle infezioni.
Il nostro mini-progetto consisteva nell’insegnare ai bambini a lavarsi le mani prima
dei pasti e non solo dopo, e a tossire con la mano davanti alla bocca.
Per comunicare con i bambini abbiamo coinvolto le maestre che traducevano le
nostre spiegazioni in ruandese. Gli strumenti didattici di cui ci siamo servite sono
stati la drammatizzazione e alcuni cartelloni esplicativi. In ognuna delle classi
abbiamo recitato una scenetta in cui abbiamo mimato una persona con la tosse che, a
volte, portava la mano alla bocca e, altre volte, no. I bambini dovevano individuare il
comportamento corretto e mimarlo a loro volta.
Alla fine della nostra piccola lezione di educazione sanitaria, abbiamo appeso nelle
aule un cartellone che rappresentava le due diverse modalità di comportamento, il
bambino che tossiva senza portare la mano alla bocca era contrassegnato da un
cartello rosso di divieto, viceversa l’altro, era contrassegnato da un cartello verde
perché eseguiva il comportamento corretto.
 Centro Sanitario
L’igiene ambientale del Centro Sanitario è molto migliorata rispetto agli anni
precedenti, ma non è ancora del tutto soddisfacente.
In certi casi non vengono rispettate le norme basilari di sterilità: per esempio, gli
infermieri, con i guanti sporchi di sangue, toccano qualsiasi cosa, compresi i ferri
chirurgici che non sono in uso in quel momento (in quanto vengono conservati tutti
assieme e non suddivisi per procedura). Tra un parto e l’altro la pulizia dei locali è
superficiale, non vengono, abitualmente, disinfettati i presidi come il fonendoscopio,
il metro, l’isola neonatale dove viene posto il neonato alla nascita, né le zone e i
materiali che sono stati contaminati in precedenza, toccandoli con i guanti sporchi.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Mancava l’attenzione al benessere del neonato che rimaneva avvolto nel telino
sporco e bagnato per tutto il tempo delle procedure pediatriche e, comunque, fino al
termine del secondamento della mamma.
Con la massima cura e attenzione nel rapportarci con il personale locale nel pieno
rispetto e con atteggiamento assolutamente non giudicante, il nostro intervento è
stato quello di dimostrare i vantaggi che si sarebbero potuti ottenere nel modificare
alcuni comportamenti che ci sono sembrati scorretti. Vantaggi sia nei confronti
dell’utenza, sia degli operatori stessi. A partire dal rispetto del neonato e dei suoi
bisogni, al miglioramento, in generale, della qualità delle prestazioni erogate,
ottenendo come risultato una maggiore soddisfazione e gratificazione per gli
operatori, fino a dimostrare il miglioramento dell’organizzazione del lavoro e il
risparmio delle risorse e del tempo impiegato nelle procedure. Naturalmente, il
nostro fine ultimo, è stato quello di sensibilizzare gli infermieri sull’importanza della
disinfezione di strumenti, e dei locali in genere, per contrastare le infezioni.
Per tutto il tempo della nostra permanenza a Gatare le nostre linee guida sono state
seguite dagli addetti all’assistenza.
 Il ruolo dell’Assistente Sanitario nel Progetto Igiene
Le competenze dell’Assistente Sanitario possono offrire un grande contributo al
Progetto Igiene. Innanzi tutto nell’osservazione, nella valutazione e nella
sorveglianza dell’igiene ambientale e del rischio infettivo; nell’identificazione dei
bisogni di salute e nella formazione e nell’aggiornamento del personale scolastico e
sanitario.
Durante i quaranta giorni che ho trascorso a Gatare mi sono occupata
prevalentemente dell’osservazione e della valutazione dell’ambiente e dei
comportamenti, attraverso la rilevazione di parametri specifici, lavorando poi in
equipe sul miglioramento delle aree critiche rilevate.
Una volta poi, identificati i bisogni prioritari ho sviluppato un progetto di educazione
sanitaria che prevede la produzione di materiale cartaceo da distribuire in una
“missione” successiva. In particolare ho creato un libretto rivolto a tutti i bambini
della scuola che mostri i corretti comportamenti da adottare per prevenire la
trasmissione delle malattie infettive. Attraverso una grafica accattivante spero che i
bambini possano, divertendosi, assimilare le norme igieniche e diffonderle alle loro
famiglie.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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Sarebbe auspicabile prevedere, nelle prossime missioni, visite domiciliari per
condividere i contenuti del libretto. Questo per creare un collegamento concreto fra
materiali, che propongono comportamenti sicuramente sostenuti da basi scientifiche,
e il contesto della reale vita quotidiana di queste persone. Quindi trovare il modo di
scegliere insieme alle famiglie ciò che a casa è possibile attuare di quello che il
libretto contiene, sia da un punto di vista concreto che culturale, riflettendo sulle
differenze fra ciò che noi proponiamo e ciò che culturalmente e tradizionalmente li
sostiene in tema di salute. Obiettivo di questo intervento domiciliare è sostenere un
mantenimento dei comportamenti oltre la presenza degli operatori esterni.
Allo stesso modo per il Centro Sanitario potrebbe essere utile definire un Protocollo
per ogni procedura, condiviso con il personale sanitario locale. In modo semplice e
sintetico si potrebbe creare un elenco di raccomandazioni da appendere alle pareti
per mantenere viva l’attenzione sulla corretta esecuzione delle procedure, formando
il personale a riunioni periodiche di autovalutazione sull’utilizzo di determinate
procedure e la progettazione di miglioramenti.
In sintesi:
Ruolo dell’Assistente Sanitario nel Progetto Igiene

Sorveglianza dell’igiene ambientale e del rischio infettivo nella comunità e nelle
strutture sanitarie

Identificazione dei bisogni di salute e dei fattori biologici e sociali di rischio

Formazione ed educazione del personale locale sanitario e scolastico

Progettazione di programmi e campagne per la promozione e l’educazione sanitaria

Attivazione di interventi di educazione alla salute alle famiglie e alla comunità in
collaborazione con altri profili professionali

56
Attivazione di risorse di rete e di collegamento tra le diverse figure professionali
Job Description Assistente Sanitario Volume I Regione Toscana pag. 19
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56
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
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4.5 IL PROGETTO MALNUTRIZIONE
Nei Paesi in Via di Sviluppo la popolazione infantile sotto i cinque anni di età è
quella maggiormente colpita dalla problematica della malnutrizione. In Rwanda il
18% dei bambini di questa fascia di età è sottopeso.57
4.5.1 Prima fase del progetto: Programmazione delle attività di follow up
dei bambini da 0 a 5 anni.
Tutti i bambini di Gatare che accedono al Centro Sanitario Rugege sono stati inclusi
nel programma di monitoraggio allo scopo di controllare la loro crescita fisica e lo
stato nutrizionale.
Obiettivo :
Monitorare le condizioni di salute e le abitudini alimentari dei bambini per poter
mettere in atto le misure necessarie ad eliminare i fattori di rischio di malnutrizione
e garantire a tutti una crescita soddisfacente.
Metodologia d’intervento :
Ogni bambino è dotato di un libretto sanitario che raccoglie informazioni utili rivolte
alle mamme per la corretta alimentazione del bambino a seconda dell’età e dove
vengono registrati tutti gli interventi e le procedure a cui viene sottoposto:
somministrazioni di vitamina A, vaccinazioni e misure staturo-ponderali.
Alla mamma viene consigliato di allattare il suo bambino e di non somministrargli
altri liquidi almeno fino ai sei mesi, e di continuare l’allattamento al seno,
possibilmente fino ai due anni, associato ad altri alimenti per completare il
fabbisogno nutrizionale del bambino.
La vitamina A viene somministrata semestralmente ai bambini dall’età di sei mesi
fino ai cinque anni.
Infine viene raccomandato alle mamme di vaccinare il bambino fin dalla nascita, di
rispettare i richiami, come previsti dal programma e di presentare il libretto sanitario
del bambino ogni qual volta questi venga accompagnato al Centro Sanitario.
57
Indexmundi Rwanda Popolazione Profilo 2012
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Il programma di monitoraggio comprende visite gratuite mensili presso gli
ambulatori del Centro Rugege fino al termine del quarto anno di vita. L’ambulatorio
dedicato alla cura e alla prevenzione della Malnutrizione, è aperto quattro giorni alla
settimana, non prevede alcun appuntamento e vi è molta affluenza.
Ad ogni visita viene effettuata una valutazione che integra informazioni di carattere
alimentare, antropometrico e clinico.
Figura 29 Misurazione parametri staturo-ponderali
Anamnesi nutrizionale ed esame clinico:
L’infermiere effettua un’accurata indagine sulla storia alimentare del bambino e
valuta la qualità e la quantità della dieta cercando di individuare eventuali errori,
carenze e bisogni educativi ed assistenziali.
In sede di esame clinico si segnalano anche segni e sintomi quali: nausea, vomito,
diarrea, steatorrea, disfagia, ecc.
Parametri antropometrici:
La misurazione del peso, dell’altezza e il calcolo del BMI sono elementi
fondamentali e vanno rilevati periodicamente per permettere il loro costante
monitoraggio. La misura della circonferenza del braccio, della sua lunghezza dalla
spalla al gomito e della plica tricipitale si integra ai parametri essenziali per una
migliore valutazione della composizione corporea.
Per i bambini, in accordo con le indicazioni dell’UNICEF, la valutazione
antropometrica si effettua, in particolare nei primi due anni di vita, con il calcolo del
peso per età in relazione ai valori di riferimento NCHS/WHO monitorando lo
sviluppo con l’uso della curva di crescita e provvedendo alla compilazione delle
schede grafiche.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
A questo segue il controllo del percentile di crescita. Ogni paziente, sulla base della
valutazione del suo stato nutrizionale e dei bisogni sociali e familiari, è inserito
nell’itinerario di assistenza alimentare personalizzato.
Se il bambino rientra nell’area verde, compresa tra il 10° e 97° centile, è considerato
in buone condizioni e per questo verrà fissata un’altra visita di controllo dopo un
mese. Nel caso invece rientrasse nell’area rossa, ossia sotto il 3° centile, il bambino è
considerato malnutrito. In questo caso viene consegnato alla famiglia un quantitativo
di integratori alimentari (RUFT) pari a coprire i bisogni di una settimana, dopo la
quale il bambino dovrà ripresentarsi per un’ulteriore visita di controllo.
Qualora il bambino rientrasse nell’area gialla, posta tra le due precedenti, per poter
adottare le misure assistenziali più idonee, sarà necessario valutare se è in fase di
miglioramento o in fase di peggioramento e quindi a rischio di denutrizione.
Se il bambino è stato valutato malnutrito o a rischio di malnutrizione la sua famiglia
viene invitata a partecipare agli incontri dedicati all’educazione nutrizionale che
promuove una sana ed equilibrata alimentazione. Le sessioni si svolgono in varie
occasioni, al day hospital, al centro materno-infantile e a volte anche a casa dei
malati coinvolgendo la famiglia e i vicini.
L’Associazione Komera Rwanda, inoltre, ha offerto un prezioso contributo alla lotta
alla Malnutrizione con il Progetto “Vaches Laitiéres”. Sono state donate delle vacche
da latte a 37 famiglie identificate tra le più povere di Gatare e con bambini denutriti,
con l’intento di utilizzare il latte per integrare l’alimentazione dei bambini e di tutti i
membri della famiglia. Periodicamente i bambini dovranno essere accompagnati al
Centro e sottoposti al monitoraggio delle loro condizioni di salute secondo il
Programma di Prevenzione della Malnutrizione. Inoltre i responsabili del Progetto
effettueranno visite domiciliari per verificare il benessere delle famiglie.
4.5.2 Seconda fase del Progetto: Raccolta e analisi dei dati
Durante la mia permanenza a Gatare ho assistito a tutte le fasi del Programma di
Monitoraggio e Prevenzione della Malnutrizione dei bambini da zero a cinque anni.
Ho collaborato alla raccolta dei dati anamnestici e antropometrici e ho assistito alle
sedute di educazione nutrizionale che sono state effettuate nel Centro Sanitario e a
domicilio. Durante la mia permanenza nel Centro sono state organizzate sei sessioni
di gruppo a cui hanno partecipato in totale 200 persone e mi sono recata al domicilio
di 3 pazienti insieme al Coordinatore Socio-Sanitario e all’Infermiere.
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Infine mi sono occupata della registrazione dei dati raccolti durante la mia
permanenza e del loro confronto con i precedenti per avere un’ampia visione dello
stato nutrizionale dei bambini della zona e valutare l’utilità del programma nella
riduzione dell’incidenza della malnutrizione.
Risultati:
SETT.11
0-11
12-23
24-35
36-59
SETT.09
PESATI
VERDE
GIALLO ROSSO
138
127
10
90
72
15
81
55
23
39
35
2
348
289
50
83.04% 14.36% 2.58%
PESATI
0-11
12-23
24-35
36-59
VERDE
31
85
42
82
240
GIALLO
24
32
20
29
1
3
3
2
9
ROSSO
5
45
12
28
2
8
10
25
105
90
45
43.75% 37.5%
18.75%
Dal confronto dei dati emerge quanto segue:
 Il numero totale dei bambini visitati è nettamente aumentato
 In particolare la fascia dei bambini più piccoli rappresenta un numero 4 volte
superiore rispetto a quello di 2 anni prima
 E’ raddoppiata la percentuale di bambini corrispondenti alla fascia verde
 Più che dimezzata la percentuale di bambini corrispondenti alla fascia gialla
 Drasticamente ridotta la percentuale di bambini corrispondenti alla fascia
rossa
~ 83 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Discussione:
Dal confronto dei dati si evince che nel tempo l’affluenza al Centro si sta
intensificando. Questo può significare che la popolazione di Gatare acquista sempre
più fiducia nei professionisti sanitari che vi operano. La fascia di bambini più
rappresentata è quella più piccola, da zero a undici mesi, questo può significare che
c’è stato un incremento delle nascite e che il Percorso Nascita incanali
automaticamente le puerpere anche nel Programma di Follow up e di educazione
nutrizionale. Ma i dati più significativi sono quelli che si riferiscono alle percentuali
dei bambini appartenenti alle diverse fasce di crescita. Sono, infatti, nettamente
aumentati i bambini che presentano una crescita soddisfacente e, drasticamente
ridotti quelli che presentano disturbi nell’accrescimento. In particolare, i bambini
sotto il 3° percentile rappresentano solo il 2.58% rispetto al 18.75% di due anni
prima. Questi risultati, sono molto confortanti e dimostrano che il programma che
viene proposto al Centro Sanitario Rugege è di grande utilità.
Figura 30 Mamma e bambino
Il punto di forza di questo programma è il livello molto alto di coinvolgimento della
comunità con una partecipazione attiva e costruttiva nel seguire la crescita dei propri
figli. Ritengo molto positivo il coinvolgimento delle mamme che frequentano il
Centro ogni mese, perché viene loro offerta la possibilità di apprendere e consolidare
le conoscenze di base della nutrizione del bambino, di prendere coscienza della
crescita dei loro figli e di essere partecipi di un intercambio di idee e di relazioni
sociali che stimolano una maggiore consapevolezza, elemento fondamentale per il
mantenimento della salute come bene irrinunciabile. Le visite domiciliari, invece,
~ 84 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
possono essere occasione per conoscere le abitudini alimentari e la salubrità delle
abitazioni e per veicolare informazioni e consigli su come migliorare la propria
alimentazione e l’igiene degli alimenti. L’obiettivo di tutto l’itinerario di assistenza
nutrizionale è di lasciare alle famiglie la responsabilità di proseguire il progetto
autonomamente anche se la percezione dei cambiamenti delle abitudini alimentari
richiederà tempi lunghi per una serie di convinzioni tramandate da generazioni.
In sintesi:
Ruolo dell’Assistente Sanitario nel Progetto Malnutrizione

Attivazione di inchieste epidemiologiche e indagini sullo stato della nutrizione

Accoglienza dei pazienti, raccolta dell’anamnesi familiare e personale remota e
prossima e di ogni altro dato utile per l’orientamento della diagnosi e l’impostazione del
caso assistenziale
58

Progettazione di programmi di educazione e promozione della salute personalizzati

Sorveglianza nutrizionale e promozione della sicurezza alimentare

Compilazione, controllo e raccolta dei documenti sanitari

Raccolta, elaborazione ed esposizione dei dati statistici 58
Job Description Assistente Sanitario Volume I Regione Toscana pag. 19
~ 85 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
4.6 IL PROGETTO HIV-AIDS
Il Rwanda è un Paese che ha investito molto nella Prevenzione e nella Cura
dell’AIDS e ciò ha permesso, nell’ultimo decennio, una drastica riduzione
dell’incidenza di questa patologia. Nel 2012 sono state registrate 170.000 persone
che vivono con l’HIV contro le 400.000 del 2001 e le morti sono scese dalle 40.000
del 1999 alle 4.100 attuali. Attualmente la percentuale dell’HIV si è stabilizzata
intorno al 3% della popolazione.59 A Gatare tra il 14 gennaio 2011 e il 12 settembre
2011, su 1680 campioni prelevati, 9 di questi risultavano positivi alla malattia, quindi
solo l’0,53%.
Obiettivi:
Mantenere alta l’attenzione della popolazione rispetto alle problematiche legate
all’infezione da HIV-AIDS per ridurre ulteriormente l’incidenza della diffusione.
Diffondere le conoscenze riguardo la malattia, la modalità di trasmissione e le
possibilità di cura. Trasmettere le modalità di prevenzione. Attraverso una corretta
azione educativa estirpare dalla popolazione i pregiudizi discriminatori nei confronti
degli ammalati o dei sieropositivi.
Metodologia d’intervento:
Attività consultoriale per la Prevenzione e la Cura dell’AIDS
Attività di screening nei villaggi
Attività di counselling domiciliare
4.6.1 Attività consultoriale per la Prevenzione e la Cura dell’AIDS
Nel Centro Sanitario Rugege è presente un Consultorio per la Prevenzione e la Cura
dell’AIDS aperto due giorni alla settimana per tutti coloro che vogliano sottoporsi ad
un controllo. Il servizio è gratuito e l’affluenza è di circa venti persone al giorno. La
popolazione che accede al servizio è composta sia da adulti che da bambini e da
gravide, ma, a questi ultimi, è offerto uno spazio dedicato.
La sede del consultorio è dotata di due stanze collegate tra loro da un corridoio,
attrezzato con sedie e panche, che viene usato come sala d’attesa. La prima stanza è
59
CIA World Factbook aggiornato a Gennaio 2011
~ 86 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
utilizzata per il counselling pre-test dove vengono accolti i pazienti, informati sulle
vie di trasmissione della malattia e sulle norme di prevenzione, sui rischi che
comporta l’eventuale positività e sul percorso di cura.
Figura 31 Counselling ed Educazione Sanitaria
Ogni paziente viene registrato e gli viene richiesto il consenso informato. Poi viene
fatto accomodare in sala d’aspetto in attesa del prelievo ematico che viene effettuato
nella seconda stanza. I pazienti rimangono in attesa dei risultati fino al primo
pomeriggio e poi vengono chiamati uno ad uno per la consegna del referto. Alle
persone non ancora sposate viene consegnato un documento in cui si attesta che è
stato eseguito il test dell’HIV; tale certificato dovrà essere presentato in caso di
matrimonio. Se il paziente risulta positivo al test, viene informato del percorso di
cura e del supporto psicologico offerti dal centro. Nel mese di settembre 2011,
durante la mia permanenza a Gatare, sono stati esaminati 370 pazienti, di cui 200
maschi e 170 femmine, che sono risultati tutti negativi.
Un giorno alla settimana viene proiettato un filmato, per le coppie, allo scopo di
informarle sulle modalità di trasmissione dell’AIDS tra mamma e bambino, e sui
comportamenti da adottare in caso di positività della coppia e in caso di contagio del
feto.
Per i bambini affetti da AIDS, invece, il sabato mattina, è attivo un servizio di
counselling, coordinato da un’infermiera e da una suora. La prima parte della
mattinata è dedicata al gioco, al salto alla corda e al pallone. Nella seconda parte
della mattinata, invece, i bambini vengono accolti in una sala, dove le due operatrici
svolgono una lezione informativa sull’AIDS, sui virus e sui batteri supportandosi con
disegni e lasciando ampio spazio alle domande e all’interazione. Prima di congedare
i bambini vengono loro offerti succhi di frutta e biscotti ricchi di vitamine, calcio e
altri nutrienti. Nel mese di settembre 2011 sono stati seguiti 38 bambini (< 15 anni),
di cui 16 maschi e 22 femmine, la cui diagnosi era già stata accertata in precedenza.
~ 87 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Di questi 38 bambini, 21 venivano trattati con terapia antiretrovirale, 5 con terapia
specifica per le infezioni opportunistiche, 2 con antibiotici contro le Malattie
Sessualmente Trasmissibili, 37 con terapia antibatterica (Bactrim) e 4 venivano
curati per la tubercolosi.
Anche i pazienti che presentano l’associazione AIDS-Malnutrizione hanno una
giornata alla settimana a loro dedicata. La mattinata in questo ambulatorio inizia con
un appello dei presenti, a cui segue la registrazione di peso e altezza di ognuno sul
registro. Con questi dati viene calcolato l’IMC ( Kg/m2=IMC ), se il risultato è
compreso tra 19 e 21, il paziente è considerato in buone condizioni, se il risultato è al
di sotto di 19, il paziente risulterà malnutrito. In quest’ultimo caso verranno
consegnati ai pazienti: farina, olio e zucchero per coprire il fabbisogno di un mese,
fino alla visita successiva. I pazienti trovati in uno stato di malnutrizione grave
vengono trasferiti all’ospedale di Kaduha, ospedale di riferimento per il centro
sanitario Rugege. Vengono, inoltre, eseguiti gli esami ematici e portati all’ospedale
di Kigeme per essere analizzati. I risultati dell’esame delle CD4, espressi in mm3
nell’adulto e in % per i bambini, vengono poi registrati e consegnati al paziente in
busta chiusa.
Un giorno alla settimana è presente al Centro Sanitario un medico proveniente
dall’ospedale di Kaduha, il quale porta le scorte dei medicinali per l’AIDS e visita i
pazienti. A tutti i malati viene dato un appuntamento con il medico, ogni tre mesi,
per discutere della propria salute e di eventuali problematiche. L’esame clinico viene
registrato, viene prescritta la terapia e concordato un appuntamento successivo. Il
medico dell’ospedale di Kaduha si occupa, inoltre, della formazione continua degli
infermieri dei vari centri sanitari. Attraverso questa formazione gli infermieri
acquisiscono la facoltà di presa in carico globale dei pazienti HIV positivi, nonché
l’autorizzazione alla prescrizione della terapia.
Nel caso particolare della prevenzione della trasmissione materno-fetale, alla donna
viene prescritta la terapia antiretrovirale da assumere dalla 14^ settimana di
gravidanza. Se, invece, era già in terapia prima dell’inizio della gravidanza continua
la sua terapia di base. Viene permesso alla donna di far nascere il proprio bambino
con parto naturale e non le viene proibito l’allattamento al seno. In Italia, invece, in
caso di positività, la donna comincia la terapia alla 16^ settimana di gravidanza, non
~ 88 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
le viene permesso di far nascere il proprio bambino per via vaginale e le viene
proibito l’allattamento al seno.
In una struttura esterna al Centro Sanitario è presente un Ambulatorio per la
Pianificazione Familiare. Si tratta di un progetto imposto dalle Autorità sanitarie
statali e finanziato dall’America con lo scopo di contenere le nascite. E’ stato posto
all’esterno del centro per incompatibilità con la fede cristiana che viene professata
dalle suore che dirigono il Centro Sanitario. Questo ambulatorio è aperto alla
popolazione tutti i giorni della settimana esclusi il sabato e la domenica e offre un
servizio di informazione/educazione riguardante l’utilizzo di metodi contraccettivi
che vengono forniti gratuitamente anche a coloro che non sono in possesso di
mutuelle. In base ad un esame clinico e alle esigenze personali, viene stabilito quale
tipo di contraccettivo è più adatto alla coppia. Se si tratta di un primo ingresso
vengono donati i contraccettivi per un intero mese, dopo di che la coppia dovrà
ripresentarsi per un controllo. Se al controllo successivo non vengono segnalati
problemi in merito all’utilizzo del metodo contraccettivo scelto, viene stabilito un
controllo periodico ogni tre mesi.
4.6.2. Attività di screening nei villaggi
Le autorità sanitarie rwandesi, per garantire una maggiore diffusione del messaggio
preventivo e attuare uno screening della popolazione, hanno predisposto delle
spedizioni nei vari villaggi per poter raggiungere anche quella parte di popolazione
che non ha le possibilità di recarsi ai Centri Sanitari.
Figura 32 Attività nei villaggi
Il team di professionisti sanitari che partecipa alle spedizioni è composto da
infermieri, dal Coordinatore Socio-Sanitario e alcune suore. Durante la mia
permanenza a Gatare ho partecipato ad alcune spedizioni. In queste occasioni viene
~ 89 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
fatta una campagna di informazione sui rischi dell’AIDS distribuendo opuscoli
informativi e viene effettuato il test rapido per l’HIV. Il test rapido e la sua analisi
vengono effettuati all’aperto, ma nonostante ciò, mi ha favorevolmente colpito la
particolare attenzione rivolta alla salvaguardia della privacy durante la consegna del
referto. Il Coordinatore Socio-Sanitario, addetto alla comunicazione, si dispone
dietro una casa, in disparte, e chiama ad uno ad uno i pazienti in modo che i dati
riguardanti la sieropositività rimangano riservati.
Questo sottolinea il riconoscimento e la tutela della dignità dell’individuo da parte di
una società ancora in evoluzione sociale e politica, ma sotto questo aspetto, in linea
con gli ordinamenti giuridici dei paesi più evoluti.
4.6.3. Attività di counselling domiciliare
Un importante compito del Coordinatore Socio-Sanitario del centro è di seguire i
pazienti più bisognosi nel loro percorso di vita, facendosi carico sia delle
problematiche sanitarie sia di quelle psico-sociali. Per fare ciò è spesso necessario
recarsi all’abitazione del paziente per constatare quali siano le sue condizioni di
salute e verificare l’aderenza al programma terapeutico. In queste occasioni possono
emergere dei problemi e si può essere di grande aiuto al paziente nel cercare di
risolverli insieme.
Durante il mio periodo di volontariato mi è capitato spesso di accompagnare il
Coordinatore Socio-Sanitario durante le visite domiciliari e ho assistito al dramma
vissuto da molte famiglie che hanno al loro interno uno o più malati. Riduzione delle
risorse
economiche,
sottoalimentazione,
impossibilità
di
provvedere
alla
manutenzione e all’igiene ordinaria della propria abitazione, mancate registrazioni
anagrafiche, abbandono scolastico, impossibilità di accedere anche alle cure di base:
il cumulo di queste circostanze è spesso un dato di partenza e la terapia domiciliare si
associa a interventi volti a ricercare una sostenibilità ambientale indispensabile al
miglioramento delle condizioni di vita e alla praticabilità della terapia. E’ necessario
il massimo rispetto quando si entra nelle abitazioni dei pazienti con il delicato
compito di prendersi cura dei tanti aspetti precedentemente descritti. La cortesia, la
riservatezza, la delicatezza nel proporre soluzioni ed interventi, sono fondamentali
per il rispetto della dignità di ciascuno e per l’efficacia di tutto l’intervento.
~ 90 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
L’aderenza alla terapia è stata ritenuta per molto tempo uno dei principali ostacoli
all’introduzione della terapia antiretrovirale nei paesi a risorse limitate. Una strada
efficace e percorribile per superare proprio lo scoglio dell’aderenza alle terapie e
sciogliere queste preoccupazioni, consiste nell’accurata comunicazione di messaggi
positivi.
La sieropositività non è una condanna: a ciascun paziente viene spiegato che oggi i
farmaci disponibili permettono una cura efficace a garantire un buono standard di
vita. Sieropositività, grazie alla terapia, non significa una condanna definitiva.
Ogni paziente non viene lasciato solo, ma è accompagnato nel suo itinerario clinicodiagnostico: riceve spiegazioni sul tipo di analisi da effettuare e su come esse siano
importanti per identificare la terapia più efficace; viene guidato alla regolare
assunzione dei farmaci attraverso la massima semplificazione della terapia; viene
invitato a rivolgersi al centro per qualsiasi problema insorga, telefonicamente, se ne
ha la possibilità, o di persona.
La garanzia della riservatezza, il rispetto di cui ciascuno viene circondato, la cortesia
e la disponibilità degli operatori, l’inserimento in un ambiente piacevole ed
accogliente, sono motivi che aiutano a scegliere di ritornare.
La ritrovata speranza di vita, il rapido miglioramento delle condizioni cliniche, la
possibilità per molti di ritornare ad una vita sociale e lavorativa normale,
rappresentano una testimonianza trainante per tutto l’ambiente in cui vive il malato e
sono la migliore garanzia dell’aderenza ai programmi di prevenzione.
Negli interventi domiciliari, inoltre, la capacità di ascolto e l’empatia sono
assolutamente fondamentali per rendere fluida la relazione tra l’operatore sanitario e
“l’altro”, che è una persona caratterizzata da una storia personale e collettiva
complessa, portatrice di timori e di bisogni articolati.
Tra tutti i drammi famigliari a cui ho assistito durante le visite domiciliari, uno tra
tutti mi ha profondamente colpito perché ritengo sia emblematico della cultura del
popolo africano. La famiglia che ci ha accolto nella sua casa non era solo vittima
della malattia, ma soprattutto della paura della sanzione sociale, dei pregiudizi e
dell’isolamento dalla comunità.
CASO CLINICO
L’uomo che ci ha accolte a casa sua ha cominciato a parlare del suo problema e, in
un secondo momento, il professionista sanitario è riuscito a spiegarmi, traducendo
ciò che si erano detti, quale fosse la questione.
~ 91 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Quest’uomo e sua moglie si erano sottoposti agli esami ematici per la ricerca del
virus dell’HIV, lui era risultato negativo, mentre la moglie era risultata positiva.
Il grosso problema emerso è stato il fatto che la donna aveva partorito da poche
settimane e rifiutava le cure per lei e per il piccolo in quanto non voleva far sapere
alla comunità di essere sieropositiva.
Alla visita domiciliare era presente solamente il marito. Il coordinatore SocioSanitario aveva cercato in tutti i modi di convincerlo dell’importanza di far curare la
moglie e della responsabilità che avevano nei confronti del bambino. Aveva spiegato
che la profilassi, in caso di positività, può debellare il virus nel bambino ancora
piccolo. Gli aveva proposto di recarsi lui stesso al centro per ritirare i farmaci per
la moglie e per il neonato e lo aveva informato del fatto che, al compimento dei due
mesi di vita, avrebbe dovuto portare il bambino, a fare il test per l’AIDS
obbligatorio per tutti i lattanti in caso di familiarità positiva.
L’AIDS non è assolutamente, nell’immaginario collettivo, una malattia come le altre.
L’esistenza del pregiudizio sociale comporta forti ripercussioni sull’andamento della
epidemia e sui costi sociali ed economici subiti per arginarla e combatterla.
Un elemento importante per combattere l’AIDS, come noto, è individuarlo
tempestivamente, e uno dei motivi che impediscono la cura tempestiva è proprio il
fatto che molte persone a rischio non fanno il test per scoprire se sono o meno
sieropositive, nonostante la gratuità dell’esame e l’assoluta garanzia di riservatezza.
Il pregiudizio, inoltre, incide negativamente non solo sulla propensione delle persone
a fare il test, ma anche sulla loro disponibilità a curarsi una volta scoperto di essere
sieropositive, ed infine sull’aderenza alla terapia. Proprio come è successo alla
famiglia sopra descritta. Il pregiudizio nasce come reazione di paura alla presenza di
persone sieropositive considerate pericolose e finisce per aumentare il rischio che
queste persone diventino effettivamente un canale di trasmissione del virus.
I pregiudizi verso le persone sieropositive, d’altra parte, sembrano essere più forti del
buon senso, capaci di superare le certezze cliniche sulla trasmissione dell’infezione e
di ignorare le campagne di sensibilizzazione: sono radicati nel popolo africano al di
là di ogni razionale smentita scientifica. Questo rende obiettivamente difficile
intervenire in modo efficace per rimuovere o almeno contenere questi fenomeni ed è
per questo che il pregiudizio sociale andrebbe monitorato e analizzato in modo più
mirato. Questo fenomeno, infatti, è meno elementare di quanto non si possa pensare
~ 92 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
e ha motivazioni culturali e psicologiche difficili da rimuovere. Purtroppo le
campagne di informazione mirate possono far aumentare la paura e il rifiuto,
soprattutto tra chi vive situazioni di paura e pregiudizio. Il problema andrebbe
trattato anche dal punto di vista sociale affrontando le difficoltà che le persone
sieropositive incontrano a curarsi e a condurre una vita normale. A livello
psicologico è molto importante riuscire a trasmettere il concetto che l’AIDS si cura,
ma che è importante accedere alle cure non tardivamente; il messaggio da veicolare è
che oggi fare il test non è l’anticamera della morte, che sapere di essere sieropositivi
per tempo aiuta a vivere meglio e a lungo e che oggi proteggersi è una responsabilità
di tutti nei confronti di tutti. Questo potrebbe aiutare a far diminuire la paura, ma non
l’attenzione, nei confronti della malattia, smorzando la propensione al pregiudizio
difensivo e consentendo di ragionare di HIV e AIDS nei termini di una malattia
come le altre. Tanto più la sieropositività verrà considerata una malattia difficile da
curare ma cronica, infatti, tanto più si evidenzierà l’assurdità dei pregiudizi nei
confronti delle persone sieropositive.
A livello di programmazione è necessario assumere una logica di medio-lungo
periodo, investendo in programmi di prevenzione non solo dell’infezione, ma anche
del pregiudizio. Affrontare il tema del pregiudizio non è solo un imperativo etico e
sociale, è anche una necessità organizzativa ed economica: investire sulla
prevenzione, aiutare le persone a superare i timori nei confronti del test, insistere sul
fatto che tutti possono contrarre il virus dell’HIV, è l’unica strada da percorrere per
non abbassare il livello di guardia nei confronti dell’AIDS che è una malattia che
oggi si cura, ma di cui ancora si muore.
In sintesi:
Ruolo dell’Assistente Sanitario nel Progetto HIV-AIDS

Attività di ricerca e di verifica dell’incidenza dell’infezione del virus HIV

Formazione del personale locale

Progettazione di programmi di educazione sanitaria alla popolazione

Campagne di informazione e prevenzione

Attività di screening della popolazione

Progettazione di programmi di prevenzione del pregiudizio nei confronti della
sieropositività
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
CONCLUSIONI
La prima volta che si partecipa ad una missione umanitaria in Africa è impossibile
non farsi travolgere dalle emozioni. A Gatare ho condiviso momenti di grande gioia
e momenti di disperazione, ho visto nascere e ho visto morire. Tra tutti noi volontari
si era creata una grande solidarietà e una grande intesa. Così come tra noi volontari e
il personale locale e così come tra noi e i pazienti. Le nostre azioni erano guidate più
dal cuore che dalla testa. Non esistevano più i ruoli o le gerarchie, ma tutti facevano
tutto ciò che si rendeva necessario fare in quel momento. Il concetto di
“multidisciplinarità” acquista un significato molto più profondo e sincero in Africa.
E’ stato solo a posteriori, grazie alla stesura di questa tesi, che ho potuto riflettere su
ciò che avevo visto e su ciò che avevo fatto. Ho potuto far ordine tra tutte le
emozioni vissute e razionalizzare, dando un senso logico a tutte le nostre azioni.
Ora sono assolutamente convinta che i talenti e le competenze dell’Assistente
Sanitario possano rappresentare un preziosissimo contributo per le attività che
vengono svolte in una missione umanitaria, ma credo anche, che sia un’esperienza
che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero vivere.
“Anche se quello che si può fare è solo una goccia d’acqua nell’oceano, ma è quella
che dà significato alla nostra vita”. Albert Schweitzer
~ 94 ~
Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
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Silvia Pastorini
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46.
47.
48.
http://economia.panorama.it
http://www.komerarwanda.org
http://www.medicisenzafrontiere.it
http://www. Unaids.org/country progress report
http://unicef/gli obiettivi di sviluppo del millennio.it
http:www.unimondo.org/Guide/Salute/Mortalità Infantile
http://www.unimondo.org/notizie/lettera aperta a Paul Kagame
http://www.unimondo.org/temi/sviluppo/obiettivi-del-millennio
http://www.sieropositivo.it/area-medica/haart.html
http://www.treccani.it
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
RINGRAZIAMENTI
E’ una sensazione strana quella che si prova all’idea di essere arrivata fino qui.
Con il viaggio a Gatare ho coronato un sogno. Con questa tesi concludo un lungo e
importante ciclo della mia vita.
Non è facile citare e ringraziare, in poche righe, tutte le persone che hanno
contribuito alla nascita e allo sviluppo di questo elaborato: chi con una
collaborazione costante, chi con un supporto morale o materiale, chi con consigli,
suggerimenti o solo con parole di incoraggiamento, sono stati davvero in tanti a dare
il proprio apporto alla mia carriera universitaria e a questo lavoro.
Ringrazio in primo luogo la mia Relatrice, Stefania Venuti, per avermi dato la
possibilità di conciliare questa esperienza in Rwanda con il tirocinio universitario,
per aver accolto subito questa idea con il suo solito grande entusiasmo, con la sua
positività e per avermi ispirata con le sue parole.
Ringrazio anche la mia Correlatrice, Isabella Scopsi, per i suoi insegnamenti, per le
risposte puntuali che ha dato a tutti i miei dubbi, e per il suo grande aiuto che ha fatto
sì che questa tesi si realizzasse.
Un grazie ai docenti che durante la mia carriera scolastica mi hanno realmente
insegnato qualcosa, e non mi riferisco alle semplici nozioni imparate a memoria.
Grazie a chi mi ha incoraggiata ad inseguire i miei sogni, e grazie anche a chi ha
tentato di ostacolarmi in vari modi, perché mi ha resa più forte e determinata.
Grazie alle mie compagne, Erika, Marzia e Daniela, per aver condiviso con me questi
tre anni, per la complicità che ci ha unite e per aver fatto sì che il nostro rapporto, la
nostra amicizia, andasse oltre agli impegni universitari.
Un grazie speciale ai membri dell’Associazione “Komera Rwanda”, in particolare ad
Enrico, Giorgio ed Emanuele, che sarà nei cuori di tutti noi per sempre: mi avete
guidato alla scoperta dell’Africa. Grazie anche ai Muganga, Giovanni e Franco, alla
Roxi e alla Selli, per avermi accompagnata in questo fantastico viaggio e aver vissuto
con me le cose positive, ma anche quelle un po’ più tristi, di questa esperienza.
Grazie mille ai miei genitori; a te mamma, per i consigli, per il tuo infinito sostegno,
per aver gioito con me dei miei successi e per avermi consolata dopo le amare
sconfitte. La prima telefonata dopo gli esami era sempre per te!
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Il ruolo dell’Assistente Sanitario in una missione umanitaria
Silvia Pastorini
Grazie al mio papino, nonostante il tuo “mugugnare”, mi hai sempre ascoltata,
accettando le mie scelte e accontentando ogni mio desiderio anche se magari non eri
completamente d’accordo.
Grazie anche alla mia Iaia, per esserci sempre stata e per aver condiviso tutto con me,
gioie, nervosismi, sfoghi… è impossibile rendere conto di quanto tu sia importante
per me, per cui mi limito a dirti che non ti cambierei con nessun’altra, mai!
Un grazie “particolare” alla mia Meredith, con le tue fusa hai sempre avuto la
capacità di calmarmi.
Ringrazio la mia famiglia, nonni e zii per la loro presenza e il loro interessamento
sull’andamento dei miei esami; grazie ai miei nonnini, persone semplici e
coraggiose, che attraverso la loro storia mi hanno insegnato il valore della vita, del
lavoro e della costanza. Un forte abbraccio alla nonna Alma, sono sicura che saresti
orgogliosa di me.
Un grazie grande grande al mio Amore, per esserci sempre stato, anche quando
dicevo che non ce l’avrei fatta, per tutto quello che mi stai regalando di giorno in
giorno, per aver camminato al mio fianco dall’inizio alla fine, nonostante tutto. Non
so come avrei fatto senza di te, Andre. Grazie anche alla tua famiglia, che ha sempre
la capacità di farmi sentire “a casa”.
Grazie ai miei Amici, a quelli nuovi e a quelli vecchi, a quelli che non mi sono più
vicini e a quelli che ci sono sempre stati. Grazie alla Obi, alla Chia, alla Miki e alla
Caru per essere quello che siete, le migliori amiche che una persona potrebbe
desiderare, senza di voi non so proprio dove sarei in questo momento; grazie a Pitto,
a Noa, a Davide, a Simo e a Manciu, per farmi rimanere sempre della convinzione
che l’amicizia tra uomo e donna esiste davvero; grazie agli amici di Quinto, alla Elli,
a Sammi, a Diddo, a Peppo e a tutti gli altri, per farmi sempre passare delle serate in
allegria; grazie alle mie due pulcine, Sara e Stella, per non avermi abbandonata dopo
che avevo capito che le nostre strade si sarebbero divise.
Un enorme Grazie a tutte le persone che mi sono state vicine, con affetto sincero,
condividendo le tappe di questo percorso e comprendendo il grande valore che per
me, ha avuto questo indimenticabile viaggio.
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