Unità 2, Oltre la tradizione cortese

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Unità 2, Oltre la tradizione cortese
Unità 2, Oltre la tradizione cortese
AMÉLIE NOTHOMB
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fu il otto
libro
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La Catilinarie
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L’autrice e l’opera
Nata a Kobe, in Giappone, nel 1967, Amélie Nothomb
è belga di lingua francese. Nel 1991, tornata in Belgio,
ha pubblicato Igiene dell’assassino, il suo primo successo letterario. Stabilitasi tra Parigi e Bruxelles, pubblica un romanzo all’anno. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: Sabotaggio d’amore (1993), Le Catilinarie
(1995), Attentato (1997), Mercurio (1998), Stupore
e tremore (1999), Acido solforico (2005).
L’edizione
Roma, Voland, 1998 (titolo originale Les Catilinaires,
Francia, 1995).
Il genere
Romanzo sentimentale-satirico.
Trama essenziale
Juliette ed Émile, due coniugi ultrasessantenni, hanno finalmente acquistato la casa dei loro sogni, una
splendida abitazione di campagna spaziosa e coperta
di glicine. Qui si rifugiano, godendo di una ritrovata
intimità in una dimensione senza tempo. Nei pressi vi
è solo un’altra casa, dove risiede da quarant’anni il dottor Palamède Bernardin. Le sue visite quotidiane diventano l’incubo di Juliette ed Émile che non sanno più come liberarsi di lui e dei suoi terribili silenzi: il dottore risponde
infatti solo per monosillabi, e non dice sostanzialmente nulla. Vani sono i tentativi di liberarsi di lui... fino a un finale inatteso, con toni di noir, che ovviamente non possiamo
anticipare al lettore.
Il narratore
La voce narrante è interna e appartiene a Émile
I personaggi
Due sono le coppie presenti nel libro: a Juliette ed Émile si contrappongono Palamède
e l’«immensa» moglie, descritta con spietatezza come una «protuberanza» con «tentacoli» e una «bocca di piovra», una «massa di carne», una «cisti» deambulante.
Lo spazio e il tempo
Due sono le case presenti nel testo: la casa dei sogni di Juliette ed Émile, connotata almeno all’inizio come un autentico Paradiso, e quella, sporca e trascurata, di Palamède e della moglie.
La vicenda occupa circa un anno, ma i fatti salienti avvengono il 2-3 aprile e il 21 giugno.
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Unità 2, Oltre la tradizione cortese
Un grottesco invito a cena
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Il signor Bernardin ci fece l’effetto di essere esile e loquace. Era dimagrito, aveva imparato a parlare? Neanche per sogno.
Solo, avevamo visto sua moglie.
Molto tempo prima eravamo andati a vedere il Satiricon di Fellini. Juliette mi aveva stretto la mano per tutto il tempo, come se stessero proiettando
Il ritorno dei morti viventi. Al momento della scoperta dell’ermafrodita nella grotta, avevo creduto che lasciasse la sala, tanto aveva paura.
Quando la signora Bernardin era entrata, avevamo smesso di respirare.
Era spaventosa quanto la creatura felliniana. Non che le assomigliasse, questo no, ma come l’altra era al limite dell’umano.
Il vicino aveva varcato la nostra soglia, poi aveva teso la mano verso l’esterno: aveva tirato dentro qualcosa di enorme e di lento. Si trattava di una massa di carne che indossava un vestito, o piuttosto che era stata avvolta in una
pezza di stoffa.
Bisognava arrendersi all’evidenza. Visto che non c’era nient’altro insieme
al dottore, dovevamo concludere che quella protuberanza fosse Bernadette
Bernardin.
In fondo, no: la parola protuberanza non era adatta. La sua ciccia era troppo liscia e bianca per evocare quel genere di efflorescenza.
Una cisti, quella cosa era una cisti. Eva fu tratta da una costola di Adamo.
La signora Bernardin era probabilmente fiorita come una cisti nel ventre del
nostro persecutore. A volte, alcuni malati vengono operati di cisti interne che
pesano il doppio, il triplo del loro peso: Palamède aveva sposato il pezzo di
carne di cui lo avevano liberato.
Da parte mia, questa spiegazione era semplice elucubrazione, certo. Tutto considerato, però, sembrava più verosimile della versione “razionale”: che
quella tumefazione avesse potuto un giorno essere una donna – al punto di
essere chiesta in matrimonio – no. La mente non poteva accettare una possibilità del genere.
Non era il momento di pensare: dovevamo
accogliere i coniugi in casa nostra. Juliette si
condusse da eroina. Fronteggiò la cisti e le
La citazione
tese la mano dicendo:
In verità, il s
ignor Bernard
«Cara signora, che gioia conoscerla».
in
stava a l mond
o solo per rom
Con mia grande sorpresa, un tentacolo di
pere le scatole
grasso si staccò dalla massa e si lasciò tocca. [...] Il fatto p
iù
grave è che n
re dalle dita di mia moglie. Non trovai il coragon trovava pia
cere neanche
gio di imitarla. Portai in salotto i due pesi
a scocciare. [...
massimi.
]
Aveva l’aria d
i trovare molt
La signora si accatastò sul divano. Il signoo
scocciante sc
occiare.
re si accomodò nella sua poltrona. Non si
mossero più e tacquero.
Eravamo costernati. Io, soprattutto, che ero
all’origine di quell’invasione – di quella irruzione di adipe sotto il nostro tetto. E dire che avevo preso quell’iniziativa per mettere a disagio il nostro vicino!
Bernadette non possedeva naso; vaghi pertugi sostituivano le narici. AlcuQuesta pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico © 2010 Loescher Editore - Torino
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ne fessure sottili situate più in alto comprendevano i globi oculari: forse occhi,
di cui nulla permetteva di affermare che vedessero. Quello che mi faceva più
impressione era la bocca: la si sarebbe detta quella di una piovra. Mi chiedevo se quell’orifizio avesse la facoltà di produrre suoni.
Molto civilmente, mi rivolsi a lei con una naturalezza che sorprese me per
primo.
«Cara signora, cosa posso offrirle? Un kir? Due dita di sherry? Un po’ di
porto?»
Successe una cosa terrificante: la massa si girò verso il marito e gli eruttò
qualche grugnito soffocato. Palamède, che sembrava esperto in borborigmi,
tradusse:
«Niente alcol».
Sconcertato, insistetti:
«Un succo di frutta? Arancia, mela, pomodoro?»
Nuova scarica di rumori. L’interprete trasmise:
«Un bicchiere di latte. Caldo e senza zucchero».
Aggiunse dopo dieci secondi di imbarazzo:
«Per me un kir».
Io e Juliette eravamo felicissimi di avere un’occasione per rifugiarci in cucina. Mentre il latte si scaldava, non osammo guardarci. Per distendere l’atmosfera, mormorai:
«Glielo mettiamo in un biberon?»
Riso convulso della bimba dai capelli bianchi.
Il tentacolo di grasso mi sfiorò la mano quando gli porsi il bicchiere. Un
brivido di disgusto mi percorse la schiena.
E fu nulla in confronto alla repulsione che mi contrasse le mascelle quando il bicchiere le si inserì in bocca. L’orifizio ripiegò ciò che fungeva da labbra e si mise ad aspirare. Il latte fu succhiato in un sol colpo, ma ingoiato a
più riprese; ogni deglutizione produceva il rumore di una ventosa di gomma
che sturasse un lavandino. Ero inorridito. Presto, parlare, dire una cosa qualsiasi.
«Da quanto tempo siete sposati?»
Era sempre indiscreto il mio inconscio, quando lo lasciavo libero di esprimersi.
Dopo quindici secondi, il marito rispose:
«Quarantacinque anni».
Quarantacinque anni con quella cisti. Cominciavo a capire meglio lo stato
mentale di quell’uomo.
«Due più di noi» dissi, ammirato di quella longevità coniugale.
Sentivo che la mia voce suonava falsa. Per questo non riuscivo più a controllare le mie parole. E feci una domanda mostruosa:
«Avete figli?»
Un attimo dopo, mi maledissi. Avere figli con quella...? Però, la reazione
del signor Bernardin mi sbalordì. Si fece rosso di collera e disse con voce
furiosa:
«Mi ha già fatto questa domanda! Il primo giorno».
Ansimava di rabbia. Visibilmente, ciò che lo faceva uscire dai gangheri non
era la crudeltà avventata della mia domanda, quanto il fatto di avermi già
risposto. Alla luce di questa esplosione, mi resi conto dell’eccezionale memoQuesta pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico © 2010 Loescher Editore - Torino
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ria del nostro persecutore. Facoltà che gli serviva solo ad arrabbiarsi quando coglieva in fallo i ricordi di un altro.
Bofonchiai una scusa. Silenzio. Non osavo più parlare. Non potevo impedirmi di contemplare la signora Bernardin. Mi avevano insegnato, da sempre,
che gli anormali non si dovevano guardare. Tuttavia, era più forte di me.
Mi accorsi che quella cosa, che doveva avere settant’anni, non dimostrava affatto la sua età. La sua pelle – insomma, la membrana che circondava
quel pezzo di grasso – era liscia e senza rughe. In testa aveva una bella chioma nera, sana e senza il minimo capello bianco.
Una voce interiore e diabolica mi sussurrò: “Sì, Bernadette è fresca come
il primo giorno”. Mi morsi le labbra per frenare un riso incoercibile. Fu allora che notai il nastro azzurro cielo con il quale qualcuno – Palamède, probabilmente – le aveva legato qualche ciocca di capelli. Questa civetteria diede
il colpo di grazia alla mia resistenza: mi venne un singhiozzo pietoso, morboso.
Quando trovai la forza di smetterla, vidi il signor Bernardin fissarmi con
aria scontenta.
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