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NUMERO 46 - LUGLIO 2010 SISE r e t t e l s w e n SOCIETÀ ITALIANA DEGLI STORICI ECONOMICI GIORNATA DI STUDIO SISE “ISTITUZIONI ED ECONOMIA” TRENTO, 12-13 NOVEMBRE 2010 IL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA DELL’UNIVERSITÀ DI TRENTO E LA RICERCA STORICO-ECONOMICA Il Convegno di Studi SISE autunnale sul tema Istituzioni ed Economia si svolgerà il 12-13 novembre 2010 a Trento presso la Facoltà di Economia in via Inama, 5. I lavori avranno inizio il 12 novembre 2010 alle ore 15 con i saluti delle autorità accademiche e la relazione introduttiva di GIORGIO FODOR (Università di Trento), seguirà la sessione dedicata a Istituzioni e territorio, articolata attraverso le relazioni di ANDREA LEONARDI (Università di Trento) su Istituzioni autonomistiche e sviluppo territoriale; di ALBERTO GUENZI (Università di Parma), su Istituzioni intermedie e sviluppo locale; di GIOVANNI FEDERICO (Università di Pisa) su Istituzioni fiscali e sviluppo economico dell’Italia preunitaria e di GIORGIO BORELLI (Università di Verona) su Istituzioni centrali e governo dell’economia nel periodo postunitario. Seguirà la discussione. Sabato 13 novembre il convegno riprenderà alle ore 9,30 con la sessione Regole e mercati. Sono previste le relazioni di VITO PIERGIOVANNI (Università di Genova) su Dai Tribunali di mercanzia alle Camere di Commercio; di ALFREDO GIGLIOBIANCO (Banca d’Italia) su Banca d’Italia e politica economica: un profilo storico; di AMEDEO LEPORE (Università di Bari) su Cassa del Mezzogiorno e politiche per lo sviluppo e di GIUSEPPE CONTI (Università di Pisa) su Istituzioni finanziarie e mercato mobiliare. Seguiranno la discussione e le conclusioni. Il Dipartimento di Economia è stato costituito nel 1974, in concomitanza con la fondazione della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Trento. Esso ha dalle origini la caratteristica di riunire al proprio interno docenti di più Facoltà (Economia, Sociologia, Giurisprudenza e Ingegneria), e competenze interdisciplinari che vanno dall’Economia in senso stretto, all’ Economia agraria, alla Storia economica e alla Statistica economica. La ricerca di carattere storico-economico, condotta da un professore ordinario – Andrea Leonardi – e due ricercatori – Andrea Bonoldi e Cinzia Lorandini – nell’ambito del Dipartimento di Economia, pur spaziando lungo varie direttrici, si è focalizzata prevalentemente attorno al tema della definizione dei paradigmi economici propri dell’area alpina in età moderna e contemporanea. Filo conduttore è stato quello dell’individuazione delle linee-guida capaci di spiegare le caratteristiche delle trasformazioni economiche intervenute nelle varie realtà della montagna alpina nel corso degli ultimi secoli, fino a spiegare le diverse traiettorie dello sviluppo seguite da queste regioni in rapporto con il processo di industrializzazione in atto nelle aree che tanto a Nord, quanto a Sud erano profondamente interrelate con i territori di montagna. L’analisi effettuata su un contesto territoriale, che tra il XVII secolo e il 1919 ha conosciuto profondi mutamenti nel proprio assetto istituzionale, ha inteso soffermarsi ad individuare come fino ad oggi siano state valutate le Avviamo da questo numero una ricognizione sulla ricerca storica-economica nei vari Dipartimenti universitari in cui sono attivi docenti e ricercatori della disciplina, iniziando dal Dipartimento di Economia dell’Università di Trento che organizza assieme alla SISE il prossimo convegno su “Istituzioni ed Economia”. PAG. 1 Attività SISE PAG. 3 Conferenze e convegni PAG. 14 Visto? PAG. 30 Eventi PAG. 32 Call for papers tter SISE e l s new interrelazioni, di ordine tanto economico quanto culturale, che hanno reso possibile un processo di crescita economica complesso ed articolato. Partendo dagli stimoli offerti dai più recenti lavori maturati nel contesto internazionale, si è indirizzata la ricerca verso il superamento di una serie di stereotipi, vecchi o nuovi che fossero, per produrre uno sforzo di sintesi in grado di offrire una nuova chiave di lettura di uno sviluppo diversificato dell’area alpina. Attraverso l’indagine su casi specifici, si sono considerate le modalità di formazione di aree economiche più o meno specializzate in determinati settori e si sono indagati gli ambiti relazionali, fino a rilevare alcuni precisi indicatori dello sviluppo. Si è poi approfondita l’influenza esercitata dalla mobilità del lavoro, ma anche di quella professionale, individuandola come possibile espressione di una mobilità imprenditoriale, collegata all’esistenza di insediamenti manifatturieri o turistici, così come a quella di un importante apparato di circolazione delle informazioni, con significative ricadute di carattere economico. Se tali elementi sono stati individuati come variabili importanti dello sviluppo spontaneo, altri fattori sono stati messi in luce nel contesto del cosiddetto sviluppo assistito. E’ stata così indagata la diseguale efficacia delle misure di politica economica, verificando come di fronte ad iniziative poste in essere dalle istituzioni pubbliche per riequilibrare il divario tra aree forti ed aree deboli, si siano verificate risposte diversificate. Specifica attenzione è stata dedicata all’individuazione di una vera a propria rete di rapporti che, nonostante il mutare dell’assetto istituzionale e lo spostamento dei confini, ha saputo influenzare la traiettoria della modernizzazione della montagna alpina, fino ad indirizzarla verso lo sviluppo industriale. Il gruppo di ricerca si è però anche occupato di alcuni particolari aspetti della storia finanziaria dell’Italia nel secolo XX, svolgendo una serie di ricerche in particolare presso l’Archivio storico della Banca d’Italia a Roma. Le indagini in questo campo si sono rivolte prevalentemente verso due distinti ambiti. Per un verso si sono infatti indirizzate a cogliere le caratteristiche operative del credito cooperativo dal momento dell’esordio delle Casse sociali di credito nel contesto tedesco di metà Ottocento, fino ai giorni nostri, procedendo anche all’esame di diversi casi aziendali. Per altro verso si sono finalizzate ad individuare il ruolo degli istituti di credito speciali operanti in Italia, soprattutto nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale. Una parte della ricerca si è pure indirizzata a ricostruire la rilevanza economica dell’espandersi del fenomeno turistico, specie nel contesto della montagna alpina europea. Si è in particolare studiata l’interazione tra domanda e offerta in campo turistico, sottolineando il ruolo assunto in questo settore da un’imprenditorialità di diversa origine. Recentemente all’interno del Dipartimento di Economia il gruppo di Storia economica si è anche impegnato su temi propri della Business History. Si sta infatti percor- 2 rendo un filone di indagine - inserito in programmi di ricerca di interesse nazionale e internazionale - mirato ad individuare il ruolo specifico di una particolare tipologia di impresa, vale a dire quella costituita dalle istituzioni di intermediazione finanziaria e creditizia, di fronte alle alterne vicende dell’economia italiana ed europea tra XIX e XX secolo. Un ulteriore settore di ricerca in cui il gruppo risulta impegnato, è finalizzato a cogliere la dinamica imprenditoriale nell’attivare nuovi percorsi di innovazione tecnologica, soprattutto nel campo dell’approvvigionamento energetico ed in quello della modernizzazione delle infrastrutture di comunicazione. Grazie alla costante collaborazione scientifica con l’Institut für Wirtschaftsgeschichte della Wirtschaftsuniversität di Vienna, nonché con l’Institut für Wirtschaftsund Sozialgeschichte della Sozial- und Wirtschaftswissenschaftliche Fakultät dell’Università di Innsbruck e con il Dipartimento di Storia della società e delle istituzioni dell’Università degli Studi di Milano, il gruppo degli storici economici del Dipartimento di Economia ha organizzato, a partire dal 1994, con il coordinamento scientifico di Andrea Leonardi, un Seminario permanente sulla storia dell’economia e dell’imprenditorialità nelle Alpi, di cui si sono finora tenute 10 sessioni di lavoro. In tale Seminario sono coinvolti numerosi studiosi di Storia economica, italiani, svizzeri, francesi, tedeschi e austriaci. Esso è diventato palestra di confronto tra studiosi che, utilizzando gli strumenti analitici proposti dalla metodologia storico-economica, rivolgono i propri studi prevalentemente a quella macro-area in cui si vivono popoli e culture diverse e si compenetrano situazioni economiche che ben si prestano ad analisi di carattere comparativo. I componenti del gruppo di storia economica hanno preso parte, in qualità di relatori, a numerosi convegni scientifici soprattutto di rilevanza internazionale, seguendo con particolare attenzione gli studi storico-economici nell’area di lingua tedesca. In diversi casi hanno direttamente organizzato convegni scientifici di rilevanza internazionale. A coronamento delle ricerche, svolte con metodologia di carattere scientifico, hanno prodotto numerose pubblicazioni, sia sotto forma di volumi monografici, che di saggi, apparsi in opere miscellanee e su riviste storiche ed economiche in Italia, Austria, Germania, Svizzera, Francia, Gran Bretagna e Spagna. 3 CONFERENZE E CONVEGNI Convegno internazionale di Studi: Autour de la manufacture Balsan. Châteauroux et les cités lanières d’Europe, Châteauroux (Indre), 5 maggio 2010. Organizzato dal Centre d’Etudes Supérieures che fa capo all’Università d’Orléans, in partenariato con altri soggetti pubblici e privati, il 5 maggio 2010 si è tenuto a Châteauroux (Indre) un convegno internazionale di studi dedicato all’evoluzione della grande manifattura Balsan nel quadro della storia del lanificio europeo. Situata al centro di una importante regione laniera francese, la città di Châteauroux ha assunto, nel corso della sua evoluzione urbana, il carattere di una vera e propria villeusine di pari passo con l’espansione dell’antica manufacture du Parc, creata dall’intendente delle finanze Trudaine nel 1751 ed acquisita nel 1856 da Pierre Balsan, che la fece rinascere e sviluppare fino a coprire più di 60 mila mq ad ovest della città. Nel sito in cui si conserva tuttora gran parte delle strutture industriali dismesse oramai da qualche decennio ed attualmente in corso di recupero e ristrut-turazione. Conosciuto come uno dei complessi industriali più moderni della Francia, lo stabilimento Balsan ha marcato l’esistenza di numerose generazioni di castelroussins divenendo un elemento centrale nel patrimonio storico e sociale della città, spazio di una memoria collettiva ancora viva ed operante nei saperi tecnico-produttivi sedimentati e insieme luogo di innovazione e modernizzazione urbana basate sulle nuove industrie di punta e su un’economia della conoscenza sviluppata attraverso uno stretto raccordo tra università, imprese e istituzioni. Il convegno celebrava anche il primo decennale dell’esposizione “Le città della lana in Europa”, concepita ed organizzata da GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova) e GÉRARD GAYOT (Université Lille3), di cui Fontana ha tracciato, in apertura dei lavori, un commosso ricordo a poco più di un anno dalla scomparsa. La mostra, arricchitasi nel corso del tempo e riproposta in occasione del convegno presso diverse strutture della città, è giunta a sua volta alla decima presentazione in altrettante “capitali” dell’industria laniera europea ed ha in programma numerose altre riedizioni in diversi paesi del vecchio continente. tter SISE e l s new La prima mezza giornata del convegno è stata aperta e presieduta da GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova), che, dopo l’omaggio a GÉRARD GAYOT, ha introdotto il tema L’industrie lainière et son territoire, sul quale – dopo i saluti d’apertura di Y OUSSOUFI TOURÉ, Presidente de l’Université d’Orléans, di ALAIN DAVESNE, Doyen de l’UFR Lettres, Langues, et Sciences humaines, e di JEAN-FRANÇOIS MAYET, Sénateur-Maire de Châteauroux – sono intervenuti, in successione, JEAN-FRANÇOIS BELHOSTE (EPHE, Paris I) su Manufactures de drap du XVIIIe siècle: un patrimoine varié encore à découvrir; GUILLAUME WROBLEWSKI (Université de Valenciennes) su Les destinées divergentes des territoires manufacturiers de Reims et d’Amiens; CHRISTINE MÉRYBARNABÉ (CILAC) su Manufacture royale et manufacture Balsan, un patrimoine industriel longtemps malmené; ALAIN B ECCHIA (Université de Savoie) su L’industrie textile d’Elbeuf (de la seconde moitié du XVIII e à la première moitié du XIX e siècle). Agli interventi dei relatori è seguito un vivace ed interessante dibattito con il folto pubblico presente in sala. La sessione pomeridiana, dedicata a Le monde lainier: une société interdipendente e presieduta da ALAIN BECCHIA (Université de Savoie), ha visto le relazioni di JEAN-MICHEL MINOVEZ (Université de Toulouse) su La naissance de la figure de l’entrepreneur dans la draperie du Midi; di JEANPIERRE SURRAULT (CREDI) su Les ouvriers de la manufacture du Parc à Châteauroux (vers 1780 - vers 1820); di SAMUEL GUICHETEAU (CERCHIO) su La laine et ses ouvriers à Nantes à la fin du XVIIIe siècle e di GIOVANNI LUIGI FONTANA su Patrons et ouvriers dans l’industrie lainière italienne à l’aube du XXe siècle. Al dibattito finale e alla chiusura dei lavori è seguita la visita all’area degli stabilimenti Balsan e alla mostra sulle città laniere d’Europa. Convegno di Studi: Merci, mercati, mercanti. Prospettive di Storia Globale, Padova, 13 maggio 2010. Organizzato e coordinato da GIOVANNI LUIGI FONTANA e CARLO FUMIAN (Università di Padova), si è tenuto a Padova il 13 maggio 2010, nell’ambito delle iniziative organizzate dalla Scuola di Dottorato in Scienze storiche, il Convegno di Studi Merci, mercati, mercanti. Prospettive di Storia Globale. CARLO FUMIAN (Università di Padova) ha tracciato il percorso che ha portato la Global History ad affermarsi come una delle correnti più innovative e promettenti nel campo delle discipline storiche, delineandone le origini e tter SISE e l s new le più recenti tendenze. Si è quindi soffermato sui diversi possibili approcci ad una visione globale della storia dell’umanità, dalla storia comparativa alla World History sino alla Global History, intesa come storia della circolazione di uomini, merci e capitali su scala internazionale, delle azioni e reazioni prodotte dai contatti tra civiltà diverse, vicine e lontane, richiamando infine alcuni tra i contributi più recenti, innovativi e stimolanti nel settore. CLAUDIO ZANIER (Università di Pisa) ha preso spunto dall’esperienza dell’insegnamento del corso di Storia dell’Asia orientale che tiene da anni presso l’Ateneo pisano, per sottolineare come ancor oggi manuali e libri di testo universitari restino legati ad una prospettiva eurocentrica e riservino uno spazio tutto sommato assai ridotto alla storia dei paesi e delle civiltà extraeuropee. Ciò pone seri limiti alla possibilità di approfondire lo studio di questi paesi anche all’interno di insegnamenti specialistici, in quanto gli studenti mancano delle conoscenze di base necessarie per affrontare lo studio di queste realtà e quindi buona parte del corso deve essere dedicata alla trasmissione di nozioni di base. In questo modo il potenziale offerto dalla storia dell’Asia orientale per analisi comparative di vasta portata viene di fatto mortificato, quando invece lo studio approfondito della storia della Cina e del Giappone mette in luce differenze ed analogie con lo sviluppo europeo che possono fornire materia per feconde analisi e riflessioni: basti pensare al ruolo delle forme di riproduzione dei ceti dirigenti in Europa e in Cina nel corso dell’età moderna, alla comparazione tra i livelli di sviluppo e la struttura delle economie europee ed orientali tra XVI e XIX secolo. MICHELE BERNARDINI (Istituto Orientale di Napoli) ha presentato il punto di vista di un orientalista sull’affermazione della Global History, constatando come i nuovi approcci abbiamo allargato le prospettive di una disciplina assai specialistica, contribuendo a indebolire le barriere che dividevano settori diversi, definiti in primo luogo sulla base delle competenze linguistiche, e favorendo la circolazione e lo scambio di informazioni e di idee tra esperti di diversa formazione. In vari campi gli studi comparati hanno avuto il merito di mettere in crisi interpretazioni consolidate, ma spesso discordanti, nelle diverse discipline. Un caso emblematico, in questo senso, è rappresentato dagli studi sulla prima espansione dell’Islam in Asia, all’interno dei quali l’irrompere delle suggestioni della Global History ha fatto si che venissero poste alle fonti nuove domande, portando ad una rilettura critica dell’apparente uniformità nello spazio e nelle sue articolazioni sociali dell’islamizzazione religiosa e politica. I lavori sono proseguiti nel pomeriggio con la presentazione e la discussione di alcune recenti pubblicazioni nel campo della Global History. GIORGIO RIELLO (Global History and Culture Centre, Warwick University) ha illustrato il lungo processo di ricerca, di discussione e di confronto tra 4 studiosi attivi in diversi continenti che si è svolto nell’ambito del progetto Global Economic History Network (GEHN) e con il sostegno del Leverhulme Fund, e che si è tradotto nella redazione di due volumi miscellanei dedicati alla storia globale del cotone e alla manifattura e commercio dei tessuti di cotone indiano. Attraverso un percorso veramente globale, articolato in tredici seminari internazionali tenuti in diversi punti del mondo, da Puna in India ad Aix-enProvence e a Padova, studiosi di paesi diversi hanno avuto la possibilità di mettere a confronto i risultati delle loro ricerche sui diversi aspetti, dalla produzione al commercio e al consumo, della storia di una delle principali fibre tessili. Ne sono derivati due volumi che affrontano il tema con prospettive e orizzonti diversi: il primo, a cura di Giorgio Riello e Prasannan Parthasarathi, The spinning world: a global history of cotton textiles, 1200-1850 (Oxford, 2009), adotta un’approccio di Global History prendendo in esame nella prima parte i caratteri della produzione e della lavorazione nei diversi continenti e paesi, nella seconda parte le direttrici e evoluzione dei commerci e nella terza le trasformazioni dei consumi. Il secondo volume, a cura di Giorgio Riello e Tirthankar Roy, How India Clothed the World. The World of South Asian Textiles, 1500-1850 (Leiden, 2009), si focalizza sul caso della manifattura dell’India, per secoli la principale zona di produzione di tessuti in cotone, affrontando i temi della fabbricazione e del commercio di questi beni con l’intento di spiegare all’interno di un quadro globale quando, come e perchè una grande industria di secolare tradizione si spostò dall’Oriente all’Occidente. PETER MCNEIL (University of Technology, Sidney) ha quindi esposto la sua esperienza nell’insegnamento della storia della moda in ambito autenticamente globale, diviso tra il corso di Design History presso la University of Technology di Sidney e il corso di Fashion Studies all’Università di Stoccolma ed ha presentato il volume curato da lui stesso e da Giorgio Riello, The Fashion History Reader. Global Perspectives, che ricostruisce attraverso una raccolta di saggi una storia complessiva e globale della moda dalla sua origine sino ai nostri giorni proponendosi come un opera di riferimento per gli studenti e gli studiosi che si avvicinano a questo settore di studi in rapida espansione. 5 Convegno di Studi: La Spagna e l’Italia dal nazionalismo economico alla globalizzazione, Roma, 24– 25 maggio 2010. Il Convegno si è proposto di intensificare la pluriennale collaborazione tra le università spagnole ed italiane, che ha già dato eccellenti risultati scientifici, didattici ed accademici. Vi hanno preso parte studiosi dell’Università Complutense e dell’Università Francisco de Vitoria di Madrid, della Facoltà di Economia dell’Università di Roma, La Sapienza, e del Servizio studi di struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia. L’evento è stato organizzato con la collaborazione dell’Ambasciata di Spagna in Italia e della Escuela Española de Historia y Arqueologia a Roma. È intervenuto il presidente della SISE ANTONIO DI VITTORIO. L’interesse culturale e scientifico del confronto Italia - Spagna è stato sottolineato sia dal Preside della Facoltà di Economia dell’Università la Sapienza, ATTILIO CELANT che dal Consigliere culturale dell’Ambasciata di Spagna in Italia, JORGE HEVIA. Nel corso delle quattro sessioni in cui si è articolato il convegno é stata analizzata l’evoluzione delle due economie mediterranee, confrontando singoli aspetti dei problemi connessi alle profonde trasformazioni verificatesi nella seconda metà del secolo ventesimo. La prima sessione è stata dedicata all’eredità del secolo diciannovesimo. TOMÁS GARCIACUENCA (Universidad de Castilla La Mancha) ha svolto una dettagliata analisi quantitativa dell’evoluzione dell’economia spagnola nella seconda metà dell’ottocento. Ha riferito che in questo periodo l’economia spagnola ha avuto profonde trasformazioni ed un certo grado di industrializzazione. Il suo tasso di crescita, però, é stato relativamente più basso di quello degli altri paesi industrializzati, con conseguente accentuazione della divergenza tra la Spagna e le altre nazioni industrializzate. Diversi partecipanti hanno trattato il problema della formazione degli squilibri regionali, che é stato affrontato da angolazioni. RAFAEL DOBADO GONZÁLEZ (Universidad Complutense, Madrid) ha esaminato l’influenza della geografia nella distribuzione dei fattori produttivi e, quindi, nella formazione degli squilibri regionali tra il secolo diciottesimo e la seconda metà del secolo ventesimo. JOSÉ JURADO SÁNCHEZ (Universidad Complutense, Madrid) ha riferito sulla formazione del debito pubblico spagnolo e sulla sua influenza nella politica monetaria. Si è soffermato sui diversi piani di conversione del debito da parte dei governi e sulle analisi teoriche effettuate dagli economisti contemporanei. Per quanto riguarda l’Italia, ROSA VACCARO (Università di Roma - La Sapienza) ha analizzato la politica economica dagli anni della Destra storica al periodo giolittiano. Sin dall’Unificazione furono chiaramente percepite due esigenze fondamentali: la necessità di sostenere la crescita delle aree arretrate e quella di intensificare l’industrializzazione del paese. Per raggiungere questi obiettivi i diversi governi unitari elaborarono forme complesse ed innovative di inter- tter SISE e l s new vento pubblico, ma dovettero fare i conti con i gravi problemi del bilancio dello Stato e con la formazione del debito pubblico. Questi vincoli limitarono considerevolmente l’efficacia delle proposte di politica economica. La seconda sessione del convegno è stata dedicata alla prima parte del secolo ventesimo, periodo di profonde trasformazioni e di difficili congiunture politiche per entrambi i paesi. LIDIA SCARPELLI (Università di Roma - La Sapienza) ha svolto una analisi di carattere geografico delle fasi iniziali dell’industrializzazione italiana, nel corso delle quali si avviano le misure di politica economica a sostegno dell’industrializzazione del Mezzogiorno. JOSÈ LUIS GARCIA RUIZ (Universidad Complutense, Madrid) ha analizzato i complessi legami tra banca e industria in Spagna, soffermandosi sul caso del Banco Popular nel periodo 19261957. È emerso che le politiche di industrializzazione nel periodo dominato dalla figura di Primo de Rivera furono sostenute dalla grande banca, che riuscì ad ottenere come contropartita un decisa riserva del mercato nazionale. Questi orientamenti di politica economica continuarono a prevalere anche durante il periodo franchista. Il rapporto tra la Spagna e l’Europa è tra gli argomenti che hanno suscitato maggiore interesse. LUIS PERDICES DE BLAS (Universidad Complutense, Madrid) ha esaminato le diverse posizioni assunte dagli economisti su questo problema. Nei primi anni del franchismo, la chiusura dell’economia spagnola ebbe costi sociali e politici elevatissimi. Fu, quindi, inevitabile avviare una politica di graduale apertura e integrazione, che ottenne i primi positivi risultati a partire dalla fine degli anni 50. Il periodo successivo, cioè quello della transizione dalla dittatura alla democrazia e dell’integrazione della Spagna nella comunità europea, è stato illustrato da JUAN HERNÀNDEZ ANDREU (Universidad Complutense, Madrid). Il suo contributo ha aperto la terza sessione del convegno, dedicata alla seconda metà del secolo ventesimo, riferendo sul difficile periodo compreso tra l’attuazione del programma di stabilizzazione monetaria, noto come Patti della Moncloa (1978), e gli ultimi decenni del secolo ventesimo, caratterizzati da tassi di crescita molto alti, ma anche da forti squilibri settoriali e da un elevato grado di instabilità. La relazione inviata da C ARLES M ANERA E RBINA (Universidad de les Illes Baleares), è imperniata sulla funzione centrale del turismo nello sviluppo economico della seconda metà del secolo ventesimo. YOLANDA RODRIGUEZ (Universidad Francisco de Vitoria, Madrid) ed EVA ASENSIO (Universidad Francisco de Vitoria, Madrid) hanno individuato alcuni degli elementi determinanti della crescita dell’economia spagnola nello stesso periodo. La prima ha esaminato il ruolo della dotazione di risorse naturali ed i problemi connessi alla sostenibilità della crescita, soprattutto a partire dalle crisi energetiche. La seconda ha preso in considerazione gli aspetti monetari soffermandosi sull’importanza per l’economia spagnola dell’incorporazione nel sistema di Bretton Woods e del- tter SISE e l s new la convertibilità della peseta che hanno consentito un maggiore inserimento nel mercato internazionale. SABRINA PASTORELLI (Banca d’Italia) ha analizzato il ruolo dell’innovazione nello sviluppo economico italiano nella seconda metà del secolo ventesimo. Ha rilevato che l’incremento di efficienza sperimentato dal sistema produttivo è stato in gran parte alimentato dall’adozione di tecnologie di provenienza estera, piuttosto che dall’autonoma generazione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche. Il limitato impegno finanziario nelle attività di sperimentazione, l’episodicità delle strategie di intervento pubblico, la mancata razionalizzazione degli assetti di governo della ricerca hanno condizionato la performance innovativa ed hanno influenzato negativamente il processo di sviluppo. MAURO ROTA (Università di Roma - La Sapienza) ha trattato della politica monetaria, sottolineando che l’Italia è stato uno dei paesi, tra quelli maggiormente sviluppati, con la dinamica inflazionista più accentuata. Ha individuato le condizioni che hanno concorso a determinarla nelle politiche di bilancio, nelle politiche valutarie e nel meccanismo della formazione dei salari. La quarta ed ultima sessione del convegno è stata dedicata alla valutazione della sfida che la globalizzazione ha rappresentato per i due paesi. J AVIER O YARZUN (Universidad Complutense, Madrid) si è soffermato sull’importanza fondamentale che ha assunto il problema dell’immigrazione in Spagna. Nel riferire che negli ultimi venti anni la percentuale di immigranti nella popolazione spagnola é aumentata dall’uno al dodici per cento, ha rilevato che le conseguenze sono state molto importanti sul contesto macroeconomico e sulle politiche del lavoro. ANNA SIMONAZZI (Università di Roma - La Sapienza) ha esaminato gli effetti della globalizzazione sull’economia italiana. Ha messo in evidenza la scarsa crescita della produttività che ha caratterizzato questo periodo, soffermandosi sul ruolo della tecnologia, dell’organizzazione produttiva e delle istituzioni nella spiegazione di questo fenomeno. PAOLA MORELLI (Università di Roma - La Sapienza), infine, ha analizzato il problema dei divari regionali italiani alla fine del secolo. Ha sostenuto che le politiche attuate per lo sviluppo del Mezzogiorno non hanno contribuito a ridurli, mentre i meccanismi che governano il mercato globale hanno determinano una competizione esasperata che ha rafforzato le differenziazioni territoriali. Le posizioni relative delle regioni periferiche, quindi, sono peggiorate ulteriormente. E LENA G ALLEGO A BAROA (Universidad Complutense, Madrid) ha chiuso il convegno con la presentazione del numero 852 della Rivista di Economia, Información Comercial Española, dedicato al contributo delle donne allo sviluppo della scienza economica. Queste giornate di studio hanno consentito una migliore conoscenza delle problematiche economiche della Spagna e dell’Italia negli ultimi decenni ed hanno messo, ancora una volta, in evidenza la grande utilità degli studi comparati. 6 Workshop: Arrighi in Padova. I cicli egemonici e il lavoro degli storici, Padova, 3 giugno 2010. Il 3 giugno 2010, presso il Dipartimento di Studi Internazionali e il Dipartimento di Storia dell’Università di Padova, si è tenuto il Workshop Arrighi in Padova. I cicli egemonici e il lavoro degli storici. Organizzato da MASSIMILIANO TRENTIN e da FRANCESCO PETRINI (Università di Padova), l’incontro mirava ad analizzare alcuni dei temi e categorie analitiche utilizzate dal sociologo-storico Giovanni Arrighi (1937-2009) in base alla più recente storiografia internazionale e alle ricerche svolte dai partecipanti. La prima sessione Arrighi nella storiografia e nella storia ha voluto situare in modo critico le opere di Arrighi nel contesto della storiografia internazionale contemporanea. Con la relazione Arrighi nella Storia delle relazioni internazionali MAURO CAMPUS (Università di Firenze) ha evidenziato il carattere non-paradigmatico della metodologia di Giovanni Arrighi che, per sua stessa ammissione, si situava più nell’ambito della Sociologia storica che non negli studi storici tout court. Campus ha sottolineato la problematicità che le previsioni di Arrighi nel Lungo XX secolo (Saggiatore, 1996) suscitarono nella comunità scientifica, ricordando però come le previsioni siano anche stimolo alla discussione e come l’opera sia innanzitutto di grande interesse per la centralità assegnata alla finanza nella storia delle relazioni internazionali. Successivamente, DAVID CELETTI (Università di Padova) ha focalizzato la sua relazione Arrighi nella Storia economica sul tema dei cicli di accumulazione e sul rapporto dinamico tra produzione agricola e industriale e finanza quali settori di accumulazione di ricchezza nelle diverse fasi storiche. Egli ha messo altresì in evidenza le differenze riscontrate nei passaggi dell’egemonia tra le potenze olandesi, inglesi e statunitensi, così come le peculiarità dei processi di integrazione subalterna nell’economia internazionale del continente africano, dell’India e della Cina nei secoli più recenti; peculiarità che mostrano le differenze ma anche i legami tra egemonia e dominio nell’espansione mondiale delle potenze occidentali. La relazione di FRANCESCO PETRINI (Università di Padova) intitolata Conflitto sociale e transizione egemonica ha analizzato il legame tra politica internazionale e dinamiche politiche e sociali nazionali, mettendo in risalto la centralità del timing del conflitto sociale a fronte della competizione tra diverse potenze economiche: ossia, di come il conflitto sociale - inteso come conflitto multiforme tra capitale e lavoro - sia diventato sempre più rilevante per le trasformazioni dei diversi cicli di accumulazione, anticipando le crisi sistemiche del XX secolo invece di seguirle come in passato. In tale prospettiva, si sono analizzate le strategie di contenimento del conflitto sociale legandole con le dinamiche della Guerra Fredda. Una critica è stata mossa invece circa la sottovalutazione di Arrighi della mobilità dei fattori produttivi quale motore e stimolo dei processi di crescita del- 7 l’economia internazionale. Nella sua relazione su Arrighi e gli Stati Uniti d’America, DUCCIO BASOSI (Università di Venezia - Ca’ Foscari) ha proseguito l’analisi concentrandosi sui fenomeni di stagflazione degli anni Settanta ed Ottanta e sulle politiche di aggiustamento strutturale: in particolare, si è soffermato sul dibattito e sullo scontro interno alla politica statunitense circa la politica economica e monetaria da attuare tra il 1977 e il 1979 e, dunque, sul significato del “Volcker shock” quale decisione economica e politica. La sessione pomeridiana su Arrighi nel XX secolo, svoltasi presso il Dipartimento di Storia, si è concentrata su altri temi delle opere di Giovani Arrighi. MARTA PETRUSEWICZ (City University of New York) nel suo contributo Arrighi e il Sud in Italia ha posto in luce la centralità del territorio e dello spazio sociale quali fattori condizionanti i processi di sviluppo, di proletarizzazione e di accumulazione: la ricerca sul campo svolta in Rhodesia e in Calabria portarono Arrighi a rielaborare la nozione di centro/periferia in termini più complessi e differenziati e a distinguere la “logica” territoriale che il potere e l’autorità politica possono assumere a fronte della “logica” extraterritoriale che, invece, contraddistingue il capitale. Su tale linea, la relazione di FERRUCCIO GAMBINO (Università di Padova), Arrighi e la crisi coloniale in Rhodesia, ha messo in luce il riconoscimento da parte di Arrighi della contraddittorietà dei processi di proletarizzazione e sviluppo moderno in Africa orientale, così come lo scontro e il fallimento a metà anni Sessanta dei tentativi riformisti di pacificazione tra le comunità nere e bianche in Rhodesia. A suo parere, l’utilizzo sistematico e mai rigido da parte di Giovanni Arrighi dell’analisi di classe gli nega il titolo di “geopolitico” nel senso comune del termine. Spostando l’attenzione sull’Asia orientale, SALVATORE CIRIACONO (Università di Padova) ha analizzato le diverse relazioni tra economia di mercato e sviluppo capitalistico nel Giappone della dinastia Meiji e nell’Inghilterra del XVIII e XIX secolo, evidenziandone i caratteri unici e soprattutto la centralità in termini reali dell’espansione del mercato interno. Sulla stessa linea, infine, ROBERTO PERUZZI (Università di Venezia - Ca’ Foscari) ha posto sotto esame i processi d’industrializzazione in Cina nel XIX e XX secolo, dando risalto al ruolo del warfare dispiegato per reprimere la rivolta dei Taiping nella storia economica del paese asiatico. Al contempo, ha sostenuto come fin dagli anni Ottanta del XX secolo, l’espansione del mercato interno abbia rappresentato il vero volano di sviluppo e crescita della Cina, ridimensionando quindi il ruolo degli investimenti esteri, il tutto sulla base della letteratura autoctona utilizzata sistematicamente da Giovanni Arrighi. In conclusione, alcuni dei temi comuni affrontati dai diversi relatori possono essere sintetizzati nel modo seguente: in primo luogo, il concetto e l’esperienza storica di “ciclo di accumulazione” che, lungi dal dispiegarsi in modo tter SISE e l s new lineare e deterministico, vede al contrario una notevole dinamicità dei fattori fondanti il suo sviluppo. Lo stesso concetto di egemonia in campo internazionale vede sì il recupero della nozione gramsciana, mettendo però in risalto la complessità della relazione tra piano nazionale e globale, tra consenso e dominio. Lo stesso rapporto tra capitalismo e autorità statale è stato descritto come affatto unilineare, dato che l’integrazione multiforme tra controllo politico del territorio e pratiche di accumulazione di capitale si traduce in molteplici forme di sovranità e sviluppo economico. Infine il tema recente dell’ascesa dell’Asia orientale e in particolare della Cina, affrontato nell’ultimo Adam Smith a Pechino. Genealogie de XXI secolo (Feltrinelli, 2008), integra le ricerche di storia economica e politica con gli odierni processi di cambiamento: quale assetto e quali caratteri potrà avere un mondo multi-regionale? E, ancora: come potrà ridefinirsi il rapporto tra capitalismo ed economia di mercato? Tutti quesiti affrontati nelle opere di Giovanni Arrighi e che rimangono oggetto cruciale d’indagine per chiunque voglia cimentarsi nella comprensione del passato e del presente con il rigore necessario alla ricerca scientifica. Convegno di Studi: Nobili imprenditori. Attività e imprese della nobiltà e dell’aristocrazia veneta in età moderna, Fanzolo, 12 giugno 2010. Il 12 giugno 2010 si è tenuto a Fanzolo (Treviso) presso la palladiana Villa Emo il Convegno di Studi Nobili imprenditori. Attività e imprese della nobiltà e dell’aristocrazia veneta in età moderna, organizzato dalla Fondazione Villa Emo e dal Dipartimento di Storia dell’Università di Padova. L’iniziativa ha inteso esplorare, attraverso inediti percorsi di analisi e ricerche innovative, il ruolo effettivamente svolto dalle aristocrazie urbane nell’ambito della vita economica della Terraferma veneta età moderna, prendendo in considerazione in primo luogo il patriziato veneziano, ma senza ignorare l’azione delle oligarchie delle città suddite. In particolare ci si è proposti di sottoporre alla prova la rappresentazione, a lungo dominante negli studi sulla realtà veneta, di un ceto patrizio quale corpo sostanzialmente parassitario, che rifuggiva dagli investimenti produttivi per sperperare in consumi di lusso e nel mantenimento di folle di servitori le entrate provenienti dalla rendita fondiaria e da stipendi e sovvenzioni pubbliche. Secondo questa concezione, in effetti, i ceti patrizi sono stati considerati quasi per definizione gruppi improduttivi, estranei alle dinamiche di crescita economica, marginali rispetto alle trasformazioni del sistema manifatturiero e a tutti i processi di rinnovamento e di sviluppo. Le interpretazioni emerse duranti i lavori del Convegno hanno invece sottolineato come in ambito veneto gli investimenti nobiliari si siano rivolti alla valorizzazione di specifici settori produttivi, spesso approfittando ad arte di condizioni ambientali favorevoli in termini di disponi- tter SISE e l s new 8 Via Stazione 5 • 31050 Fanzolo di Vedelago TV • tel +39 0423 476334 • [email protected] bilità di energie e di materie prime, sino a promuovere la nascita di specializzazioni produttive territoriali e a spargere il seme per lo sviluppo di aree a precoce industrializzazione. Si è potuto così da un lato ridimensionare le responsabilità del ceto dirigente sui ritardi dello sviluppo economico regionale, dall’altro evidenziare il collegamento di lungo periodo tra la creazione di ambiti manifatturieri anche di grande rilevanza durante il dominio della Serenissima e il processo di industrializzazione emerso nel corso del XIX e del XX secolo. Dopo i saluti portati dal Presidente della Fondazione Villa Emo NICOLA DI SANTO, i lavori sono stati avviati dall’ampia introduzione di GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova), che ha svolto una estesa ricognizione storiografica sul rapporto tra i ceti dirigenti dell’Europa e dell’Italia moderna e gli investimenti manifatturieri e commerciali. Nell’affrontare questo tema non si deve dimenticare che a Venezia, come a Firenze o a Genova, il coinvolgimento di membri del patriziato urbano nei traffici terrestri o marittimi si fondava su una tradizione plurisecolare e in qualche misura costituiva una parte integrante di un’identità cittadina e cetuale. sabato 12 giugno 2010 ore 9.30 - 13.00 Villa Emo Certo bisogna tener Fanzolo di Vedelago conto che le forme delConvegno di studi: “Nobili imprenditori” la partecipazione noAttività e imprese della nobiltà e dell’aristocrazia veneta in età moderna biliare alle attività Interventi di Giovanni Luigi Fontana, Davide Celetti, Luca Molà, Elisabetta Novello, Edoardo Demo, produttive non agricoFrancesco Vianello, Danilo Gasparini. le potevano cambiare con il tempo e con la congiuntura, passando dall’esercizio diretto del commercio all’acquisto di edifici e impianti adibiti ad usi manifatturieri che sarebbero stati affittati a mercanti o affidati a gestori, in modo da ridurre l’esposizione al rischio d’impresa. Ma sarebbe un errore ignorare l’apporto che gli investimenti patrizi diedero alla ripresa dell’economia veneta nel corso del Settecento finanziando la costruzione di gualchiere, mulini per la torcitura della seta, cartiere, nell’introduzione dall’estero di nuove tecnologie e con la fondazione di manifatture dai caratteri innovativi. La figura di Niccolò Tron, che chiamò a Schio e a Follina tecnici stranieri per avviare produzioni tessili di nuovo tipo, rappresentò la punta più avanzata, ma non certo la sola, di questo rinnovato interesse del patriziato per le manifatture ed il commercio. DAVID CELETTI (Università di Padova), nella sua relazione dal titolo Investimenti alternativi. Aspetti dell’investimento nobiliare veneziano nella Terraferma in età moderna ha quindi illustrato entro uno schema unitario i molteplici ambiti di investimento della nobiltà veneziana in età moderna, sottolineando come le famiglie patrizie impegnate nella costruzione di grandi proprietà fondiarie non abbiano trascurato di utilizzare i loro capitali anche nell’acquisto di immobili destinati ad attività manifatturiere, di diritti d’acqua per muovere seghe, mulini ed altri tipi di impianti produttivi, nello sfruttamento delle risorse della montagna e nel commercio di prodotti della silvicoltura e dell’allevamento. LUCA MOLÀ (Istituto Universitario Europeo), con la relazione Patriziato e impresa a Venezia nel Rinascimento, ha poi analizzato il rapporto tra patriziato e impresa nella capitale della Repubblica, passando in rassegna una serie di casi, alcuni celebri ed altri meno noti, di impegno diretto di figure di primo piano del ceto dirigente. Personaggi destinati a percorrere tutte le tappe del cursus honorum riservato ai patrizi impegnato in politica, sino ad assurgere alla massima carica della Repubblica, il dogado, non disdegnavano gli investimenti in attività produttive e il coinvolgimento in prima persona nel commercio. Le armi di una famiglia patrizia potevano divenire un marchio di fabbrica conosciuto e stimato in tutto il Mediterraneo, come accadde per il sapone dei Vendramini, ed il nome di un particolare impianto, come la complessa macchina che consentiva di caricare le barche che rifornivano Venezia di acqua dolce, poteva aggiungersi a quello della casata aristocratica che lo gestiva sino ad identificarne in modo indissolubile uno dei rami. ELISABETTA NOVELLO (Università di Padova) ha approfondito il tema delle bonifiche con specifico riferimento all’opera di Alvise Cornaro nella relazione Alvise Cornaro: interessi pubblici vs interessi privati nell’attuazione delle opere di bonifica in età moderna. Ripercorrendo la storia delle bonifiche nella pianura veneta tra XV e XVI secolo la relatrice ha sottolineato il passaggio da una fase dominata dall’iniziativa dei privati ad una successiva che vede la comparsa di consorzi obbligatori, promossi dallo Stato e sottoposti ad uno stretto controllo da parte delle magistrature veneziane. Pure in questo contesto, che vede un crescente ruolo dello Stato nel controllo e gestione del territorio, vi era chi, come Alvise Cornaro, guardava all’opera di bonifica da un punto di vista tipicamente imprenditoriale, come ad un processo in grado di trasformare delle aree umide in terreni di valore nettamente superiore, per realizzare quindi un ampio e prevedibile profitto. EDOARDO DEMO (Università di Verona) con un intervento dal titolo Nobili che trafficano. Esempi dalla Terraferma veneta della prima età moderna, secc. XV-XVI ha approfondito il tema, ancora poco esplorato, delle attività commerciali svolte da membri della nobiltà delle città venete. A fronte di una consolidata e pluridecennale tradizione di studi che ha descritto le oligarchie delle città di Terraferma come realtà chiuse e pregiudizialmente ostili all’esercizio del commercio e agli investimenti in attività 9 manifatturiere, lo spoglio degli archivi notarili e della documentazione prodotta dalle magistrature civili ha dimostrato che decine di grandi casate aristocratiche avevano interessi in iniziative imprenditoriali. La realizzazione che esponenti di spicco della nobiltà urbana, insigniti di cariche prestigiose ed accolti con un ruolo di primo piano nei più esclusivi circoli della socialità aristocratica, talvolta intrinseci di principi stranieri, operassero in prima persona in svariati rami del commercio con compagnie intestate a loro nome solleva dei problemi interpretativi di non facile soluzione riguardo al rapporto tra norme e pratiche, tra ideali e comportamenti nella società veneta della prima età moderna. FRANCESCO VIANELLO, (Università di Padova) nella sua relazione Investimenti privilegiati. Patrizi veneti e manifattura serica nel Bassanese, XVI-XVIII sec. ha ricostruito episodi e problemi del coinvolgimento dei patrizi veneziani nello sviluppo dell’industria serica nel Bassanese. Tra Cinquecento e Settecento il Bassanese si affermò come uno dei più importanti distretti per la lavorazione del filato di seta all’interno della Repubblica ed i patrizi veneziani, già presenti in zona fin dal tempo della dedizione del piccolo centro alla Serenissima, svolsero un ruolo cruciale nella diffusione di nuove tecnologie investendo i loro capitali nella costruzione dei mulini idraulici per la torcitura della seta. DANILO GASPARINI, (Università di Padova) infine ha approfondito il medesimo tema con riferimento all’esperienza sviluppatasi proprio a Ca’ Emo, trattando di Acqua e seta: l’edificio di Ca’ Emo a Caselle. La costruzione negli ultimi anni del Seicento di un grande torcitoio idraulico intrapresa dalla famiglia patrizia diede origine ad una specializzazione produttiva che nel corso del secolo successivo assunse sempre maggior rilievo. Alla fine del diciottesimo secolo, infatti, attorno al torcitoio si estendeva un complesso di edifici, ancor oggi in parte esistenti, che ospitavano oltre un centinaio di fornelli per la trattura della seta. Di notevole interesse si presentano anche le notizie raccolte sull’origine e sui movimenti della manodopera, dalle lavoratrici addette alla trattura ai tecnici impiegati nella costruzione e manutenzione delle macchine, che mettono in luce delle reti di circolazione delle competenze su scala regionale ed oltre. Convegno Internazionale di Studi: Les expositions universelles en France, au XIXe siècle. Techniques, publics, patrimoine, Parigi, 14–16 giugno 2010. Organizzato dal Centre d’histoire des techniques et de l’environnement (CDHTE-CNAM), dalla Bibliothèque del C NAM, dal Musée des arts et métiers e dalle Archives nationales, si è tenuto a Parigi dal 14 al 16 giugno 2010 il Convegno Internazionale di Studi: Les expositions universelles en France, au XIXe siècle. Techniques, publics, patrimoine, Fra i partners dell’importante iniziativa il tter SISE e l s new Bureau international des expositions (B IE ), il Centre Maurice-Halbwachs, la Centrale Histoire, il CNRS e il Centre Alexandre Koyré-Centre de recherches en histoire des sciences et des techniques (C AK -C RHST ), e infine l’Institut national de la propriété industrielle (INPI). Il convegno è stato concepito e programmato da un comitato organizzatore costituito da LILIANE PEREZ (Cdhte-Cnam), CHRISTIANE DEMEULENAERE-DOUYÈRE (Archives Nationales), ANNE-LAURE CARRÉ e MARIE-SOPHIE CORCY, con il contributo di un comitato scientifico internazionale di cui hanno fatto parte BRUNO BELHOSTE, JEAN-FRANÇOIS BELHOSTE, SERGE B ENOÎT , J EAN -L OUIS B ORDES , P ATRICE B RET , T HÉRÈSE CHARMASSON, GÉRARD EMPTOZ, IRINA GOUZÉVITCH, MIREILLE LE VAN HO, CHRISTINE MACLEOD, VALÉRIE MARCHAL, YANNICK M AREC , P ASCAL O RY , C HRISTOPHE P ROCHASSON , A NNE RASMUSSEN, BRIGITTE SCHROEDER, DENIS WORONOFF e, tra gli italiani, MARCO BELFANTI (Università di Brescia) e GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova). All’origine dell’iniziativa sta il rinnovato interresse della storiografia per le Esposizioni Universali del XIX secolo: per il loro prestigio internazionale, per l’attrazione che hanno esercitato sul mondo del commercio e dell’industria, per la loro capacità di riunire popoli e oggetti diversissimi fra loro, per i milioni di visitatori che sono state capaci di attrarre, le esposizioni universali sono considerate oggi come uno dei maggiori dispositivi mediatici messi in atto nel XIX secolo. Le esposizioni mobilitavano l’opinione pubblica in misura ancora oggi sorprendente, se si pensa ad esempio che all’esposizione parigina del 1900 si registrarono più di 50 milioni di ingressi paganti. Per quanto sia stato rivalutato il significato delle esposizioni in quanto network di relazioni su scala mondiale e in quanto mezzo di comunicazione capace di sostenere e incentivare la diffusione di altri media, resta tuttavia fondamentale oltre al medium anche il contenuto, cioè il tipo di messaggio che esse veicolavano a sostegno del modello di sviluppo socio-economico dominante all’epoca e dell’ideologia del progresso a questo correlata. Si trattava di un messaggio politicamente connotato, non solo quando era espresso in maniera esplicita e diretta, ma anche quando veniva diffuso indirettamente, in quanto era lo stesso impianto espositivo che stabiliva gerarchie, orientava gli sguardi, gestiva visibilità e silenzi. Il pubblico veniva at- tter SISE e l s new tratto sia dagli aspetti spettacolari, nuovi, sorprendenti, dell’innovazione tecnologica, sia dalla ricchezza e dalla caleidoscopica varietà di questi “paradisi delle merci”. A fronte di tutto ciò, tuttavia è ancora poco conosciuta l’articolazione e la reale estensione mediatica (nazionale e internazionale) nonché l’impatto effettivo che questi eventi e la loro pubblicizzazione ebbero su un pubblico culturalmente e socialmente differenziato. Per queste ragioni, le esposizioni, sono oggi al centro di un rinnovato interesse storiografico a favore della storia culturale e della storia culturale delle tecniche. Luoghi di culto del progresso, di sacralizzazione della tecnica e dell’invenzione del pubblico, esse offrono un campo di analisi che permette agli storici di interrogarsi concretamente sulle condizioni materiali dell’emergere di una cultura tecnica nel periodo della rivoluzione industriale. Di qui quindi l’interesse di un convegno in grado di mettere a confronto gli studiosi con i temi dell’impatto della tecnica sulla cultura dell’epoca, vista anche attraverso i successivi gradienti della sua diffusione e divulgazione a livelli sempre più ampi, e quindi dei diversi tipi di pubblico. Non meno interessante si presenta la tematica legata al patrimonio, dato che le Esposizioni, fenomeno apparentemente effimero e transitorio, hanno lasciato tracce evidenti e durature del loro passaggio, soprattutto in Francia. E proprio l’interesse per il processo “culturale” di creazione e diffusione di massa di una cultura tecnica e industriale nel XIX secolo, accanto all’interesse per lo specifico “patrimonio” culturale creato e tramandato nel corso di quel processo, hanno costituiscono le tematiche di fondo del convegno, riflettendo pienamente le tendenze e lo stadio attuale degli studi e delle questioni storiografiche. In virtù dell’impatto talvolta assai significativo esercitato sulle metropoli ospitanti, in un primo momento le esposizioni hanno attirato l’attenzione soprattutto degli storici dell’architettura. Più tardi, i sociologi le hanno invece interpretate quali prodromi del mondo dei consumi e dei processi di “vetrinizzazione” della società contemporanea. Recentemente si è sviluppata una corrente di studi propensa a vedere nelle esposizioni universali del XIX secolo “i precedenti storici dei processi contemporanei di globalizzazione, così come dei mondi visuali-virtuali della contemporaneità”. In quest’ottica si è osservato che, oltre ai prodotti e ai risultati tangibili generati da questi eventi – che esercitarono un profondo influsso sull’urbanistica e sullo sviluppo economico di alcune delle principali metropoli mondiali –, risultano particolarmente interessanti i processi ad essi correlati sul piano politico, socio-economico e culturale tecnologico più generale. Se le realizzazioni architettoniche, per l’audacia dei progetti degli ingegneri, hanno contribuito alla spettacolarizzazione e alla notorietà duratura del fenomeno, se i dibattiti sull’estetica e il valore degli oggetti hanno favorito e si sono accompagnati al crescere, durante il secolo, di 10 una visione “inclusiva” dell’industria, e al riconoscimento di uno specifico valore culturale al “patrimonio” tecnicoindustriale, altri percorsi di ricerca si sono rivolti a comprendere l’impatto delle esposizioni sullo spazio pubblico della tecnica, sia come campo culturale, strutturato dalle istituzioni, dalle reti, dalle pratiche e dagli immaginari, sia come luogo d’espressione in cui si autonomizza una facoltà di giudizio e si esercitano attitudini a scegliere comunità di linguaggio. A partire da queste premesse il Convegno, svoltosi su tre giornate e in tre differenti sedi istituzionali parigine, ha affrontato le due questioni fondamentali ponendo una serie di interrogativi. Da un lato il ruolo della tecnica e dei “suoi pubblici” all’interno delle esposizioni universali: qual è stato l’impatto reale delle esposizioni universali nell’emergere di un nuovo interesse per la tecnica? Quali mezzi sono stati utilizzati: che tipi di media, di retoriche visuali e spettacolari, di intermediazioni (scritti, immagini, stampa ecc). Quali tipi di forme di partecipazione collettiva sono state messi in opera? La messa in scena della tecnica ha contribuito a “democratizzare” quest’ultima aprendola ad pubblico di massa? Dall’altra parte il Convegno si è concentrato sui prodotti e soprattutto sulle collections techniques, con la duplice ambizione di interrogare la storia delle collezioni uscite dalle esposizioni universali e i loro modi di valorizzazione attuali in differenti istituzioni: qual è stato il ruolo delle esposizioni nella costituzione e nello sviluppo delle collezioni tecniche nel XIX secolo? In che modo le esposizioni universali hanno contribuito alla creazione di musei, biblioteche ecc., in che modo li hanno arricchiti? Questo arricchimento è stato il frutto di una politica pubblica determinata o l’effetto della “vanità” di soggetti singoli o collettivi desiderosi di vedere collocate le proprie opere in un museo? Il tema appartiene tanto alla storia delle istituzioni della cultura e delle pratiche culturali che a quella delle questioni simboliche come la ricerca di una validazione del proprio lavoro e di una propria identità duratura attraverso la trasmissione alla posterità. La prima giornata, svoltasi presso la sede centrale del Conservatoire National des Arts et Métiers e divisa in tre sessioni tematiche (Representation - Produits - Mediation), è stata inaugurata dalla Conférence di A NTOINE PICON (Harvard University ed Ecole Nationale des Ponts et 11 Chaussées). PICON ha centrato la sua relazione sul ruolo, molto più ampio e radicato di quanto non si potrebbe pensare a prima vista, degli utopisti (saint-simoniani, fouririesti e leplayani), nelle loro relazioni con la tecnica in seno alle esposizioni universali parigine del XIX secolo. La prima sessione dedicata alle rappresentazioni e presieduta da PATRICE BRET e CARLO BELFANTI ha visto il susseguirsi di tre comunicazioni: ANA CARDOSO DE MATOS (Università di Evora) ha centrato il suo intervento su diversi gruppi di visitatori portoghesi alle esposizioni parigine cercando di analizzare l’impatto di questi viaggi sullo sviluppo economico e tecnologico del Portogallo; M ARTHA CARION (Università di Losanna) si è interrogata sul ruolo dell’arte e degli artisti a partire dall’Esposizione di Parigi del 1855, la prima a ospitare una sezione espressamente dedicata all’arte; e NICOLAS WANLIN (Università dell’Artois) ha presentato un corpus di poemi sulle esposizioni universali scritti da filosofi materialisti e idealisti, che lungi dal manifestare un’opposizione frontale all’industrializzazione, al progresso tecnico e al positivismo manifestavano una volontà di integrazione con la cultura classica e gli immaginari tradizionali. La sessione dedicata ai prodotti, presieduta da ANNE RASMUSSEN e JEAN-LOUIS BORDES, ha visto il susseguirsi dei contributi di JEAN FRANÇOIS LUNEAU (Università Blaise Pascal, Clermont-Ferrand), dedicata ai peintres verriers francesi e al loro modo di presentare e sperimentare attraverso le esposizioni universali nuovi materiali e innovazioni tecniche, di JOËLLE PETIT (CDHTE-CNAM) sulle strategie di valorizzazione dei mestieri e delle tecniche del marmo alle esposizioni francesi del XIX secolo, di THIERY RENAUX (CNAM-Aquitaine) sulla storia dell’alluminio e su come questo materiale sia stato rivelato e presentato al pubblico attraverso le esposizioni universali, da quella del 1855 al 1889 ; la sessione è stata chiusa dalla relazione di SYLVIE VABRE sulla presentazione del Roquefort all’esposizione del 1867 e sulle strategie di comunicazione dell’impresa di produzione che ha fatto del formaggio un prodotto fortemente impregnato di pittoresco e indirizzato ad una clientela specifica. La sessione parallela dedicata al tema delle Médiations, presieduta da LILIANE PÉREZ, PASCAL ORY e CHRISTOPHE PROCHASSON, è stata aperta da MARION PERCEVAL (CDHTE-CNAM) con un contributo sul ruolo dello sviluppo delle tecniche fotografiche durante la seconda metà del XIX secolo e sulla pratica del fotografo amatore inscritta in un circuito commerciale e tecnico affermatosi in seguito e grazie all’esposizione parigina del 1900. MARIE-SOPHIE CORCY (Musée des Arts et Métiers, Paris), ha presentato le collezioni tecniche del Museo del Conservatoire des Arts e Métiers di Parigi; PAOLO BRENNI (CNR, Fondazione Scienza e Tecnica, Firenze) ha tracciato un quadro degli effetti speciali e delle attrazioni spettacolari alle esposizioni parigine della seconda metà del secolo e infine JEAN FRANÇOIS BELHOSTE tter SISE e l s new (E PHE , Paris) ha mostrato il ruolo degli ingegneri centraliens , ossia degli ingegneri formatisi presso l’Ecole centrale des Arts et Manufactures come Alexis Barrault, Henri di Dion e Gustave Eiffel, nelle esposizioni parigine dal 1855 in avanti. La seconda giornata, svoltasi presso la sede degli Archives Nationales, è stata interamente dedicata al patrimonio. La prima sessione, presieduta da G ÉRARD E MPTOZ e J EAN F RANÇOIS B ELHOSTE , è stata aperta da M IREILLE LE VAN HO (Biblioteca del CNAM, Paris), che ha presentato la biblioteca digitale dedicata alla storia delle scienze e della tecnica costituita dal fondo patrimoniale della biblioteca del Conservatoire National des Arts et Mètiers. CHRISTIANE DEMEULENAERE-DOUYÈRE (Archives Nationales), ha presentato Les Albums du Parc dell’Esposizione del 1867, due preziosi volumi concepiti per l’imperatore Napoleone III, ricchissimi di disegni e acquerelli, che oggi sono in via di digitalizzazione e già in linea sul sito degli Archives Nationales. B RIGITTE LEBHAR (E MOC Paris) ha presentato i documenti degli archivi delle esposizioni universali conservati al Grand Palais e PIETRO R EDONDI ha esposto gli affascinati risultati di una mostra digitale sulle immagini del mondo sottomarino alle esposizioni universali dal 1867 al 1906. La seconda sessione, presieduta da MIREILLE LE V AN HO e PIETRO R EDONDI è stata inaugurata dalle immagini in 3D della Vieux Paris d’Albert Robida all’Esposizione del 1900, è stata seguita dalla relazione di MARIA ELIZA L. BORGES (Università de Minas Gerais, Brasile) sull’impatto dell’Esposizione universale del 1867 di Parigi, sulla creazione e l’organizzazione del Museu commercial di Rio de Janeiro; SOPHIE DE BAUNE (Università di Lione 3), ha presentato una collezione di oggetti venus d’ailleurs alla Esposizione di Lione del 1894. La giornata è stata chiusa da una conferenza finale presieduta dal fotografo parigino SYLVAIN A GEORGES, il quale ha presentato la sua collezione di foto delle tracce e dei segni delle esposizioni universali rimasti a Parigi. L’ultima giornata, svoltasi presso la sede della Cité des sciences et de l’industrie è stata divisa in 5 sessioni (Innovations et savoirs tecniques – Produits 2Représentations 2 – Délegués ouvriers – Les Centraliens). La prima sessione, dedicata alle innovazioni e ai saperi tecnici, presieduta da T HÉRESE C HARMASSON e D ENIS WORONOFF, è stata inaugurata da PAULO COELHO MESQUITA SANTOS (Università di Campinas, Brasile) che ha messo in luce i rapporti tra l’Ecole des Mines d’Ouro Preto e l’Esposizione universale del 1889, mentre GUILLAUME EVRAD (Università di Edinburgo), ha presentato il padiglione di alcuni costruttori innovatori inglesi a Parigi nel 1878, tra i quali Dulton, Lascelles e Cubbit. CLAUDINE FONTANON (EHESS - Parigi) ha rievocato i congressi dedicati all’aereonautica nelle esposizioni universali all’inizio del XX secolo e CHRISTIAN CARLETTI (Università di Milano - Bicocca) ha espo- tter SISE e l s new sto un contributo sull’attività inventiva nel Lombardo Veneto prima dell’unificazione nazionale, i rapporti con il contesto internazionale e le prime esposizioni universali. Il pomeriggio si è sviluppato su quattro sessioni parallele. Una sessione dedicata ai delegati operai alle esposizioni con contributi di PHILIPPE ALEXANDRE (Università di Nancy) sui delegati operai e agricoli di Lorena, di ANNA PELLEGRINO (Università di Padova – CDHTE-CNAM Parigi), sulla tecnologia e il progresso alle esposizioni parigine viste dagli operai italiani, e di JEAN-CHARLES GESLAT (Università di Versailles) sulle politiche culturali e pedagogiche de Secondo Impero; un’altra dedicata al ruolo dei centraliens alle esposizioni, con contributi di JEAN LOUIS BORDES (Centrale Histoire Paris) sui centraliens stranieri alle esposizioni, di ANNIE LAGARDE-FOUQUET (Centrale Histoire Paris) sul ruolo di Jules Charton all’Esposizione universale del 1889, di JEAN YVES DUPONT (INRP, Paris) sul padiglione delle macchine alle esposizioni parigine e infine di M ICHEL JACOTY (Centrale Histoire Paris) sui centraliens e l’architettura metallica alle esposizioni. Le ultime due sessioni, infine, hanno replicato e ampliato due sessioni tematiche della prima giornata: la prima, dedicata ai prodotti, presieduta da GIOVANNI LUIGI FONTANA e JEAN-LOUIS BORDES, ha visto il succedersi delle relazioni di EUGÉNIE BRIOT (Università de Marne-la Vallée), sulla profumeria parigina alle esposizioni universali parigine del XIX secolo, di ANNE HOUSSAY (CDHTE-CNAM Paris) sulle risorse forestali alle esposizioni universali e quella di BERNARD JACQUÉ (Università dell’Alta Alsazia), sulle carte da parati in mostra alle esposizioni attraverso i prodotti della manifattura Jean Zuber et C. La seconda ed ultima sessione dedicata alle rappresentazioni, è stata aperta dalla relazione di GÉRALD SAWIKI (Università di Nancy 2), centrata sull’Esposizione internazionale dell’Est della Francia tenutasi a Nancy nel 1909, e seguita dalle relazioni di MANUEL CHARPY (Università di ToursLione 2) sulle tecniche arcaiche e i prodotti artigianali alle esposizioni universali e da quella di FRANÇOIS JARRIGE sullo spettacolo delle macchine in movimento all’esposizione del 1855 e i connessi rischi tecnici. Ha chiuso il convegno un rappresentante del BIE, GABRIELE F ASAN, che, a nome del segretario generale M. V ICENTE GONZALEZ L OSCERTALES , ha proposto alcune linee interpretative per comprendere le esposizioni di ieri e di oggi : il significato storico delle esposizioni, gli scopi degli organizzatori antiche e nuovi, il ruolo dell’innovazione, della comunicazione e dei media, il ruolo dei cittadini/visitatori e quello delle città/metropoli nella promozione e messa in scena delle esposizioni odierne. Ogni sezione ha visto un serrato dibattito, con la partecipazione di discussants, che è qui impossibile sintetizzare, ma che ci si augura possa essere disponibile molto presto agli studiosi attraverso la pubblicazione degli atti. 12 Incontro internazionale di Studi: One-Day Workshop on the History of Statistics, Venezia, 21 giugno 2010. Lo scorso 21 giugno 2010 si è tenuta a Venezia, nella sede di San Giobbe della Facoltà di Economia dell’Università Ca’ Foscari, una giornata di studi sulla storia della statistica organizzata da GIOVANNI FAVERO (Università di Venezia - Ca’ Foscari), cui hanno preso parte come relatori JEAN-GUY PRÉVOST (Université de Québec, Montréal) e THEODORE M. PORTER (University of California, Los Angeles). Nel corso della discussione, sono intervenuti ALBERTO B AFFIGI (Banca d’Italia), L UC B ERLIVET (C NRS , École Française de Rome) e MARIA LETIZIA D’AUTILIA (ISTAT), nonché MANFREDI ALBERTI (Università di Firenze) e alcuni studenti del dottorato in Economia di Venezia. PAOLA LANARO ha dato il benvenuto ai partecipanti e testimoniato del forte interesse suscitato dal tema. Nella mattinata, JEAN-GUY PRÉVOST ha presentato un intervento dal titolo Strategies, Logics and Effects: Italian Statistics as a Field, 1900-1945, in cui ha discusso l’impostazione e i risultati del suo recente libro dedicato appunto alla statistica italiana (J.-G. PRÉVOST, A Total Science: Italian Statistics, 1900-1945, Montreal: McGillQueen’s University Press 2009). Nel corso del dibattito, l’attenzione si è concentrata soprattutto sul concetto di “campo”, elaborato da Pierre Bourdieu e utilizzato dal relatore come chiave di lettura per interpretare la conquista e il consolidamento di una autonomia disciplinare da parte della statistica italiana nella prima metà del Novecento, e sulla difficoltà di conciliarlo con altri modelli interpretativi già utilizzati nello studio del rapporto tra la statistica come disciplina scientifica e come pratica amministrativa, in particolare con il concetto di “dispositivo”, così come definito da Michel Foucault, e più in generale con la complessa articolazione di tale rapporto. Nel pomeriggio, THEODORE M. PORTER ha proposto una prima sintesi di una sua ricerca in corso, dal titolo Asylum Statistics and the New Science of Human Heredity, 1830-1915. L’indagine da lui condotta sulle origini degli studi sull’ereditarietà umana in Europa e nel Nord America ha concentrato l’attenzione non solo sul loro ben noto rapporto con lo sviluppo della teoria statistica della correlazione, ma ancor prima con l’ossessione per la raccolta di dati concernenti gli ospiti delle istituzioni sanitarie e assistenziali. I numerosi spunti problematici emersi nel corso della discussione hanno riguardato il diverso nesso fra lo studio descrittivo dell’ereditarietà e l’elaborazione di strumenti atti a modificarne gli effetti sulla popolazione e sugli individui, così come concepito nell’eugenetica di primo Novecento e nell’attuale genetica umana. Quel che PORTER ha posto in evidenza è l’immane sforzo di misurazione e classificazione della popolazione manicomiale, ospedaliera e scolastica condotto a partire dal primo Ottocento allo scopo di rintracciare regolarità nelle manifestazioni “patologiche” de- 13 gli individui e di individuarne le cause ambientali e soprattutto quelle collegabili alle loro caratteristiche ereditarie. La giornata si è chiusa con una visita al campus di San Giobbe e alla Biblioteca di Economia (BEC), nella quale è stata allestita una piccola esposizione di documenti tratti dall’archivio di Alfonso de Pietri-Tonelli (1883-1952), a lungo docente di Politica economica e Statistica e per un breve periodo rettore a Ca’ Foscari, recentemente donato dal figlio Pietro alla BEC. Convegno Internazionale di Studi: L’eredità del mondo classico nella cultura europea del XVIII secolo, Mosca, 28-30 giugno 2010. Anche gli aspetti economici hanno avuto un loro spazio nel convegno di studi L’eredità del mondo classico nella cultura europea del XVIII secolo organizzato a Mosca dal 28 al 30 giugno 2010 per iniziativa del Centro di studi del XVIII secolo, dell’Istituto di Storia Universale dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russia, del Museo di Ostankino, dell’Istituto Storico Tedesco di Mosca, dell’Istituto di Storia del Pensiero Classico ENS di Lione (Francia) e della Commissione di Studio della Cultura Illuminista presso il Consiglio Scientifico di Storia della Cultura Mondiale dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russia. Il convegno, coordinato da SERGUEÏ KARP (Istituto di Storia Universale dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russa, Mosca), ha voluto riunire contributi provenienti da studiosi di diverse discipline entro un unico schema di analisi, volto ad evidenziare i molteplici aspetti dell’influenza che il mondo classico ha esercitato su quello occidentale nell’età dei lumi. L’approccio interdisciplinare mirante a superare i confini normalmente stabiliti tra materie e discipline di studio diverse ha permesso non soltanto di stabilire un dialogo tra ricercatori formatisi in differenti ambiti, aree, nazioni, ma anche di sottolineare la pluralità dei contributi e delle influenze che l’antichità greco-romana ha apportato non solo alla pratica culturale, ma anche a quella materiale ad esempio alla disciplina dell’economia o alla produzione agricola dell’occidente del XVIII secolo. Il convegno è stato suddiviso in 8 sezioni succedutesi nei tre giorni di lavori. Numerosi i contributi alla prima sezione, presieduta da ALEXANDRE GAVRILOV (Istituto di Storia dell’Accedemia delle Scienze della Federazione Russa, San Pietroburgo), dedicata al tema Du mythe au savoir. Anche la seconda sezione, presieduta da PIERRE BRIANT (Collège de France, Parigi), sul tema Quel statut pour l’héritage antique? Nouveaux horizons,ha accolto interessanti apporti, ripresi anche dalla sezione successiva, presieduta da SERGUEÏ KARP (Istituto di Storia Universale dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russa, Mosca). La quarta sezione, presieduta da INGRID SCHIERLE (Istituto Storico Tedesco a Mosca), ha approfondito gli aspetti politici ed economici dell’eredità classica grazie ai contri- tter SISE e l s new buti di H ANS ERICH BÖDEKER (Max Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte, Berlino), Greek democracy and Roman republicanism in the discourse of the German Enlightenment in the second half of the eighteenth century; SVEN GÜNTHER (Università Johannes Gutenberg, Magonza), Between Imperium and Libertas. Understanding, utilization and diversity of interpretation of Roman power and moral Concepts on European medals and seals in the eighteenth century; W YGER V ELEMA (Università di Amsterdam), Classical antiquity contested. Ancient Greece and Rome in eighteenth-century Dutch political thought; KOEN STAPELBROEK (Università di Rotterdam), Antiquity and the challenges of modernity : the political thought of Ferdinando Galiani reconsidered; DAVID CELETTI (Università di Padova), L’héritage classique dans la pensée et la pratique agronomiques du XVIIIe siècle. La sezione successiva, presieduta da CATHERINE VOLPILHAC-AUGER (ENS, Lione) ha esaminato la ricezione di aspetti del pensiero classico presso alcuni letterati settecenteschi, mentre la sesta parte del convegno, presieduta da GUENNADI VDOVINE (Musée d’Ostankino), è stata dedicata al tema Les pratiques culturelles. La nouvelle esthétique. La settima sezione si è concentrata sul lato più direttamente artistico dell’eredità classica, con tematiche ulteriormente approfondite anche nell’ultima sessione. Alla discussione delle relazioni è seguita la visita al castello e al parco di Ostankino. Congresso Internazionale: XVI Congresso Internazionale di Storia Orale, Praga, 7-11 luglio 2010. Dal 7 all’11 luglio 2010 si è tenuto a Praga il XVI congresso internazionale di Storia Orale organizzato dalla International Oral History Association. Le relazioni sono state inserite in 108 sessioni, a loro volta collegate a 14 assi tematici: Memorie di violenza, guerra e totalitarismo. I perseguitati, diritti civili, trauma e oblio; Memoria e politica: esperienza di partecipazione politica; Isole di libertà: il ruolo della subcoltura, del folklore e della tradizione orale nella società; Culture alternative, musica, danza e identità; Memorie di famiglia: maternità, paternità e scambio generazionale; Migrazioni: esilio, movimenti migratori, dispora e ricerca di identità; Il mondo del lavoro: memorie e esperienze. Genere e percezione del lavoro; Genere, memoria e la creazione della identità sessuale. Storia orale di omosessuli e lesbiche; Salute e cura: centri di cura, anziani e disabili; i lavoratori della salute; Ecologia e disastri: questioni ambientali, patrimonio naturale e trasformazioni culturali; Condividere/ereditare la fede: religione e storia orale; Organizzare la storia orale: istituzioni, archivi, musei, organizzazioni e movimenti di base. Questioni di metodo, archivi e tecnologia; Teoria e metodo nella storia orale. Questioni legali e etiche; Insegnare la storia orale: esperienze nell’educazione formale e informale; Storia orale e media. La presentazione delle singole ricerche è stata preceduta da una giornata dedicata alle “classi magistrali”, tter SISE e l s new di cui due in spagnolo (LAUDA BENADIBA, Historia Orale y Educación: metodología y análisis de la entrevista audiovisua; MIREN LLONA, Historia Oral y Subjetividad,) e quattro in inglese (RON ADAMS, Evidence for what?; SELMA LEYDESDORFF, Oral History Interview and people with (severe) trauma, ALEXANDER V. PLATO, ALEXANDER FREUD, The Life-Story Interview: Method and Interpretation; ALESSANDRO PORTELLI (Università di Roma - La Sapienza) Memory as Process). Il convegno, svoltosi presso le strutture della Facoltà di Economia dell’Università di Praga, si è aperto con una cerimonia ufficiale presso il Karolinum, la sala storica dell’Università della capitale ceca, tenutasi la sera del 9 luglio 2010. Alla conferenza hanno partecipato studiosi provenienti circa 80 nazioni. I ricercatori italiani membri dell’Associazione italiana di Storia orale (AISO) sono stati presenti, oltre che nelle master classes grazie all’impegno di ALESSANDRO PORTELLI, in due diversi panel ed hanno contribuito allo svolgimento dei lavori presiedendo altrettante sessioni. DAVID CELETTI (Università di Padova) ha presentato una ricerca dal titolo Dying of work: the company, asbestos and the workers, nell’undicesima sessione dell’8 luglio, mentre nella settantanovesima sessione del 10 luglio hanno esposto le proprie ricerche RAYA COHEN (Università di Napoli e Tel-Aviv), Nakba and Istraeli Society: disputed histories and memorie of 1948; GABRIELLA GRIBAUDI (Università di Napoli), The Memories of Violence from Opposing Sides: the Civilian Population in no Man’s Land. Italy’s Southern Front, 1943-1944; ALESSANDRO CATTUNER (Università di Firenze), Multiple Violence and Disputed Memories in Borderland. The Border between Italy and Yugoslavia, Apri-June 1945; ANDREA BRAZZODURO (Università di Parigi X), Postcolonial Memories of the Independence Algerian War, 1955-2010. Nel corso della sessione, presieduta da GABRIELLA GRIBAUDI, ha esposto il suo lavoro sul tema Narrating Violence, remembering trauma. The construction of the past on the Italo-Slovene border anche la ricercatrice slovena KAJA SIROK (Università di Lubiana), le cui analisi sulla memoria nelle terre di confine italoslovene integrano e completano le ricerche di ALESSANDRO CATTUNER. GABRIELLA GRIBAUDI, Presidente dell’AISO, ha inoltre diretto la sedicesima sessione, dedicata alla memoria della violenza e del totalitarismo, mentre DAVID CELETTI, membro del Comitato Direttivo dell’AISO, ha presieduto la trentottesima sessione, dedicata alle migrazioni, esilio, movimenti migratori, diaspora e ricerca di identità. Per quanto attiene ai lavori di storia economica e sociale, oltre alla ricerca presentata da DAVID CELETTI, segnaliamo gli studi presentati nella 67a sessione del 10 luglio da JAMES KARMEL, Oral History and Economic Crisis: Personal and Collective Esperieces e LIANA MÜLLER, South African Mission Schools – Oral History Documentation Linking tangible and Intangible Dimensions of Place, oltre a quelli esposti nella ottantacinquesima sessione della 14 medesima giornata da RICARDO PIMENTA e MARCO SANTANA, Oral History and workers’ social memory projects: the Brazilian Unions’ experiences; CORINA ANDREA CIMPOIERU, Narrating Labour in Postsocialist Romania: the Case Study of the Industrial City of Rovinari; DANIELA FLEISS, Economic Structural Change and Change of Identity. An Oral History Analysis of the Perception of Deindustrialisation; JANA N OSKOVÁ , Revolutionary Trade Union Movementi in Czechoslovakia and its Image in Biographical Interviews with Workers and Intelligentsia. A Coercive Tool in the Communist Regime or a Harmless VISTO? G UIDO A LFANI , Il Grand Tour dei Cavalieri dell’Apocalisse. L’Italia del «lungo Cinquecento» (1494-1629), Venezia, Marsilio, 2010, pp. 304. Un tempo oggetto di studi classici di storia economica, quali La Mediterranée di Fernand Braudel, il Cinquecento è stato progressivamente trascurato dalla storiografia. Se Domenico Sella, alcuni decenni or sono, sottolineava a ragione la carenza di studi relativi al Seicento, ormai da vari anni Alfani suggerisce che il titolo di vero “secolo dimenticato” dalla storiografia economica italiana vada oggi attribuito al Cinquecento: periodo che peraltro presenta molteplici nodi storiografici irrisolti. L’autore si propone di affrontarne alcuni dei principali, con l’intento dichiarato “non (...) di concludere (e quindi di chiudere) un fronte di ricerca, quanto piuttosto di aprirlo: e, forse, di stimolare nuove ricerche sulla popolazione e l’economia di questo periodo trascurato” (p. 27). La chiave di lettura che Alfani propone è quella dell’impatto, demografico ed economico, delle calamità sulle tendenze di fondo della popolazione e delle economie italiane. La scelta di partire dalla popolazione per illuminare le dinamiche economiche si giustifica con la disponibilità di dati assai più abbondanti (e l’autore propone ampie ed articolate ricostruzioni demografiche, specie per l’Italia settentrionale, pubblicando anche alcune delle serie più rilevanti in Appendice e rendendole quindi disponibili ad altri studiosi interessati a questo periodo), tali da consentire non solo di pervenire a conclusioni solide sotto il profilo statistico, ma anche di procedere ad estese comparazioni. L’approccio comparativo, che caratterizza tutto il libro integrandosi armoniosamente con svariati case study, trova piena espressione nei grafici per macro-aree impiegati nel quinto e ultimo capitolo. Sono però le mappe a costituire il vero cuore del libro nonché uno dei suoi aspetti più innovativi sotto il profilo metodologico. Per il loro tramite, Alfani riesce non solo a valutare l’estensione territoriale e l’intensità delle principali crisi del secolo (la 15 peste detta “di San Carlo” del 1575-77 nell’Italia settentrionale; la “crisi alimentare ed epidemiologica” del 152729; la grande carestia del 1590-93, e così via), ma anche a tracciare spazialmente le dinamiche demografiche – sintomo di economie vivaci o stagnanti – tramite il confronto, condotto comunità per comunità, delle generazioni di nati a scadenze selezionate opportunamente. La rappresentazione spaziale degli eventi e del loro impatto è per Alfani lo strumento sia per confrontarne l’incidenza in aree diverse della penisola, sia per affrontare il nodo cruciale delle conseguenze redistributive delle calamità. Se la distruzione di uomini, mezzi e capitali è senz’altro caratteristica dell’azione dei Cavalieri dell’Apocalisse, quella stessa azione non mancò di fornire opportunità economiche assai rilevanti a chi si trovò nelle condizioni di poterne approfittare. Un capitolo specifico, intitolato “Vincitori e vinti”, è dedicato espressamente al tema della redistribuzione: mostrando ad esempio il modo in cui la grande carestia di fine secolo poté risolvere scompensi (demografici ed economici) accumulatisi nei decessi successivi alla fine delle Guerre d’Italia (pace di Cateau-Cambrésis del 1559). Questo percorso a ritroso, dall’ultimo capitolo ai primi, ci porta infine all’ampia parte del libro che Alfani dedica all’azione di ciascuno dei Cavalieri: nell’ordine impiegato nell’esposizione, Guerra, Carestia e Peste. In questi capitoli tematici, l’autore sviluppa un “approccio olistico allo studio delle catastrofi: vale a dire una lettura delle loro conseguenze economiche e demografiche che non trascuri gli aspetti sociali, culturali, psicologico-comportamentali così come istituzionali (le istituzioni, anzi, saranno assunte come categoria analitica fondamentale in quanto condizionano sviluppo e conseguenze degli eventi calamitosi, e in quanto le crisi più terribili si configurano sempre anche come fallimenti istituzionali)” (pp. 28-29). Capitolo per capitolo, dunque, i danni umani e materiali causati dai Cavalieri dell’Apocalisse vengono analizzati secondo complesse direttrici interpretative che si spingono fino a fornire una valutazione della mortalità non solo nei termini del numero di vittime, ma anche dei danni al capitale umano; a misurare l’efficacia e le modalità dell’intervento delle istituzioni al pari dei costi da esso comportati; a chiarire le già menzionate conseguenze redistributive degli eventi. L’analisi, dunque, condotta alla luce della ricca tradizione storico-economica italiana così come della storiografia internazionale più recente, e costantemente arricchita dei molti nuovi dati raccolti da Alfani nel corso delle sue proprie indagini archivistiche, fornisce sia un quadro sintetico dell’azione di guerra, carestia e peste nella prima Età moderna, sia un’interpretazione complessiva, sia infine molti spunti per ricerche future. La tesi conclusiva di Alfani, in questo libro che pure parte dalle calamità e dalle loro conseguenze, è però che l’azione dei Cavalieri dell’Apocalisse, contrariamente a quanto suggerito da una parte importante della storiografia tter SISE e l s new e in particolare dalla ricostruzione classica di Carlo M. Cipolla, non intaccò profondamente né durevolmente la salute economica della penisola. In questa interpretazione troviamo la vera chiave di lettura del titolo che ALFANI ha voluto dare al volume: “In questi anni assisteremo all’arrivo in Italia dei Cavalieri dell’Apocalisse, forieri di morte e devastazione. Tuttavia, come colpiti dalla bellezza, dalla ricchezza e dal bel vivere delle terre in cui si erano avventurati, i Cavalieri si mostrarono clementi e, piuttosto che mietere tutti coloro che gli si pararono sul cammino e distruggere quanto incontrarono, approfittarono dell’occasione per fare il loro Grand Tour. Visitarono quasi ogni angolo dell’Italia, lasciandola però in larga parte intatta” (p. 32). Questa tesi, che i dati e le analisi proposti da Alfani supportano in modo assai efficace sia dal punto di vista demografico sia da quello economico (come suggerito da Lorenzo Del Panta nella sua prefazione al volume), induce Alfani a rifiutare la tesi tradizionale dell’“estate di San Martino” e l’idea che le radici della “crisi del Seicento” (per quanto relativa e parziale, come mostrato da molti storici economici a partire da Domenico Sella fino a Paolo Malanima e altri) vadano ritrovate nel secolo precedente. Nella sua conclusione, Alfani individua ipoteticamente nelle pandemie pestilenziali secentesche il punto di svolta: “se immaginiamo di collocarci negli anni a cavallo dei due secoli, per trovare il principale responsabile delle difficoltà secentesche dovremmo piuttosto guardare al futuro: non però alla crisi degli anni venti, bensì alle terribili pandemie del 1629-1631 e del 1656-1657, che assieme coinvolsero quasi tutta la penisola. (...) Il lungo Cinquecento [14941629] e il breve Seicento [1630-1700], dunque, sarebbero separati in modo netto da una «caduta» (una catastrofe), di popolazione e di prodotto, di cui la peste fu la principale responsabile.” (p. 265). Si tratta in questo caso di un’affascinante ipotesi di ricerca che, come l’Autore riconosce apertamente, necessiterà di ricerche future per trovare piena conferma: ricerche che peraltro, come questo libro ci lascia intuire, egli ha già avviato. D ANIELE A NDREOZZI , L OREDANA P ANARITI . C LAUDIO ZACCARIA (a cura di), Acque, terre e spazi dei mercanti. Istituzioni, gerarchie, conflitti e pratiche dello scambio dall’età antica alla modernità, Trieste, Editreg, 2009, pp. 332. Il volume, che raccoglie gli atti del Convegno tenuto a Trieste il 23 e 24 febbraio 2008, affronta il tema del commercio marittimo e della portualità nel bacino del Mediterraneo tra l’antichità e l’avvento della navigazione a vapore. Negli interventi raccolti dai curatori il mondo del commercio marittimo viene colto attraverso le relazioni di scambio - non solo economico - intessute da mercanti e navigatori, come pure attraverso le politiche e le pratiche messe in atto dalle autorità pubbliche, che a diversi livelli si sforzarono di indirizzare, disciplinare e spesso di piega- tter SISE e l s new re ai propri interessi l’azione degli operatori commerciali. Gli spazi del commercio terrestre e marittimo appaiono soggetti a continue trasformazioni, che ne alterano la struttura, infittiscono o diradano le reti dei rapporti tra mercanti e la frequentazione delle rotte, mentre all’interno delle città e dei centri portuali i confini e gli usi degli spazi riservati allo scambio e alle attività connesse alla marineria vengono costantemente ridefiniti. Aperto da un’introduzione dei curatori, il volume comprende i saggi di Biagio Salvemini, Spazi del mercato, spazi della città: gerarchie sociali ed istituzioni a Marsiglia fra la Fronda e la Rivoluzione; Arnaud Bartolomei, Le port, la baie et la côte: les usages différenciés des espaces portuaires de Cadix à la fin du XVIIIe siècle; Carlo Gatti, «Liberamente habitare». Spazi degli ebrei, spazi dei mercanti e spazi dei cittadini nella Trieste del ‘700; Marco Moroni, Reti commerciali e spazi costieri: il caso di Ancona fra XVII e XVIII secolo; Daniele Andreozzi, «Qual generatione di fiera si possi introdurre». Spazi dei commerci e pratiche dei mercanti a Trieste e nel Litorale austriaco nei primi decenni del Settecento; Salvatore Pappalardo, Ambizione politica, commercio e diplomazia alla fine del XVI secolo: Carlo Cicala; Maria Montacutelli, Navigando in un mare senza stelle. A proposito della Nautica mediterranea di Bartolomeo Romano e dei suoi ‘debiti’; Charikleia Papageorgiadou-Banis, Roman trading and traders across the Ionian and Adriatic Sea. The evidence from settlements and coins; Claudio Zaccaria, “Multa peragratus ego terraque marique”. Lo spazio dilatato del mercante romano tra acque e terre visto dall’osservatorio di Aquileia; Edoardo Demo, Dalla Terraferma al Mediterraneo. Traffici, vie d’acqua e porti dell’Italia centro-meridionale nelle strategie dei mercanti delle città del dominio veneziano (secc. XV-XVII); Donata Degrassi, Lo spazio altoadriatico nel medioevo e gli scambi tra mondo mediterraneo e mondo centro-europeo (XII-XV secolo); Andrea Mozzato, Scelte produttive e commerciali dei drappieri di Venezia in area adriatica e levantina fra Tre e Quattrocento. G IAN L UIGI B ASINI , L UCIANO S EGRETO , Credito Emiliano, 1910-2010. Dalle radici agricole alla diffusione nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 609. Il Credito Emiliano, o CREDEM, costituisce un’eccezione nel panorama del sistema bancario italiano, essendo uno dei pochissimi istituti sopravvissuti alla crisi degli anni Trenta e rimasti sempre al di fuori del controllo pubblico e della sfera delle partecipazioni statali. La storia di questa banca, nata nel 1910 con il nome di “Banca Agricola Commerciale di Reggio Emilia”, attesta il legame profondo con il territorio in cui essa è sorta e si è radicata. Il volume, appartenente alla collana Storia delle banche in Italia, ne segue l’evoluzione e le trasformazioni, tracciando il percorso che dall’iniziale specializzazione come banca al servizio dell’agricoltura, istituita per sostenere il processo di 16 modernizzazione e commercializzazione del settore vinicolo e caseario nel periodo prebellico, ha portato il Credito Emiliano ad accompagnare i cambiamenti di struttura economica e sociale che hanno interessato la regione nel corso del secondo dopoguerra e della rinascita economica. Fino alle trasformazioni del sistema bancario degli ultimi vent’anni, che hanno visto l’istituto emiliano protagonista di un’espansione estesa a tutta Italia, con una successione di acquisizioni e fusioni che hanno teso a “deterritorializzare” la banca per poi “ri-localizzarla” sull’interno territorio nazionale. SALVATORE BONO, Lumi e corsari. Europa e Maghreb nel Settecento, Perugia, Morlacchi, 2005, pp. 311. Il volume, che raccoglie saggi pubblicati dagli anni sessanta in poi, rivisti ed aggiornati dall’Autore, è dedicato alle relazioni tra Europa e paesi del Maghreb nel corso del Settecento. Dopo essere stati protagonisti della “grande storia” nel corso del Cinquecento, dall’ascesa dei grandi capi corsari, da Barbarossa a Uccialì, alle spedizioni di Carlo V a Tunisi ed Algeri, all’attacco turco a Malta, i paesi del Maghreb sembrano relegati ad un ruolo marginale, quando non a scomparire sullo sfondo di una storiografia ormai dominata dalle vicende che interessano i paesi europei. Eppure, come documenta con abbondanza di riferimenti l’Autore, nel corso del Settecento l’attività corsara si riduce ma non scompare, le navi algerine, tunisine e tripolitane continuano a percorrere il Mediterraneo in cerca di prede e le loro audaci incursioni alla ricerca di uomini e donne da ridurre in schiavitù mantengono nell’insicurezza le coste spagnole ed italiane. E molti stati europei intessono rapporti più stretti che nel passato con le reggenze barbaresche, concludendo trattati a tutela del loro commercio marittimo, con l’effetto indiretto di restringere il numero delle prede potenziali, e di concentrare l’aggressività dei corsari sul naviglio e sui sudditi dei paesi meno accondiscendenti alle richieste algerine, tunisine e tripolitane. La violenza di arrembaggi e delle razzie ed il ricorso alle sottigliezze del diritto per stabilire la legittimità o meno delle prede o per ottenere il completo pagamento di un riscatto, il conflitto tra religioni e le espressioni di amicizia contenute nei trattati, la persistenza della schiavitù su entrambe le rive del mare interno ed il mantenimento di un sistema di istituzioni e di relazioni con gli “infedeli” 17 per ottenere la liberazione dei prigioni costituiscono solo alcune delle polarità, apparentemente contrapposte ma di fatto complementari, che caratterizzano una realtà complessa e di non facile lettura, tanto per lo storico contemporaneo quanto per gli europei dell’epoca. Un mondo quindi di cui è difficile definire i caratteri in senso generale, ma che l’autore indaga attraverso la ricostruzione di percorsi di vita e di narrazioni individuali, da quelli dei semplici marinai e viaggiatori ridotti in schiavitù al ricchissimo principe di Paternò catturato al tramonto del Settecento. Dei caratteri e dei mutamenti subiti dalla visione del mondo barbaresco nel corso del Settecento e in seguito alla diffusione dell’illuminismo l’Autore dà conto nelle pagine dedicate al console austriaco ad Algeri Carlo Antonio Stendardi, agli Anecdotes Africaines di Jean Gaspard Fontanelle, alla Summarische Geschichte von Nord-Afrika di A. L. Schölzer. Di particolare interesse si rivela la lettura – o meglio la rilettura alla luce degli esiti del processo di decolonizzazione – delle parti del trattato dell’abate Reynal dedicate alle reggenze barbaresche. L’esponente del tardo illuminismo francese, noto per la sua posizione critica sul colonialismo in Asia, si fa sostenitore di un’intervento comune europeo con l’obiettivo di “civilizzare” i popoli del Maghreb, secondo logiche che prenderanno piede nel secolo successivo e verranno utilizzate per giustificare e legittimare l’occupazione di gran parte del globo da parte delle potenze del vecchio continente. BRUNO BRACALENTE, LUCA FERRUCCI (a cura di), Eventi culturali e sviluppo economico locale. Dalla valutazione d’impatto alle implicazioni di policy in alcune esperienze umbre, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 291. Il volume è pubblicato nella collana “Economia e management della cultura e delle arti” – nata su iniziativa dell’International Center of Art Economics (ICARE), creato nel 1991 dall’Università Ca’ Foscari e dall’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) – che costituisce un utile strumento per approfondire i meccanismi materiali della produzione, distribuzione e consumo delle attività e dei beni artistici e culturali. Questa ricerca muove dalla necessità di un’organica riflessione teorica e metodologica, a partire da esperienze concrete, sul tema della valutazione economica dell’impatto a livello locale degli eventi culturali, di grande importanza per l’Italia e non solo per gli studiosi, ma anche per i policy makers, gli operatori economici e le community locali. Essa colma una lacuna, in quanto le verifiche empiriche su casi specifici da noi sono state rare; non si tratta, infatti solo di valutare gli effetti economici della spesa dei turisti attratti dagli eventi culturali (questione sempre più indagata anche nel nostro Paese), ma di esaminare diversi altri aspetti relativi alla fase dell’organizzazione degli eventi, da cui pure dipende la capacità degli stessi e della relativa spesa di tter SISE e l s new essere un reale volano dello sviluppo locale (analisi dei loro costi e ricavi, forme di finanziamento, completezza o carenza delle filiere di approvvigionamento di beni e servizi attivate localmente). I saggi del libro, effettuati da economisti, statistici ed aziendalisti, riguardano una città, Perugia, e una regione, l’Umbria, caratterizzata da un assetto insediativo fondato su piccoli centri urbani e su un capitale sociale, consolidatosi storicamente, che ha stimolato la nascita di un diffuso associazionismo locale promotore di molteplici eventi collettivi, talvolta assai dispensiosi, ma in grado di contribuire a mantenere l’identità dei suddetti centri. Si tratta di iniziative ricorrenti, quali il Festival dei Due Mondi e Umbria Jazz, oppure di episodiche mostre, che hanno rafforzato la capacità di attrarre i flussi di turismo culturale. In particolare, l’attenzione degli Autori si è rivolta a monitorare e a stimare la ricaduta economica di tre principali manifestazioni culturali e di spettacolo organizzate negli ultimi due anni a Perugia: il festival musicale Umbria Jazz e le mostre Pintoricchio e Da Corot a Picasso, da Fattori a De Pisis. La convizione, sul piano generale, che esiste un legame virtuoso fra politica culturale e crescita economica si è tradotta, dati alla mano, nella conferma che esse, oltre a rappresentare uno straordinario veicolo promozionale e d’immagine, si confermano anche un potente stimolo alle attività legate non soltanto al turismo, ma anche, ad esempio, al commercio e all’artigianato. I contributi – che consentono di riflettere sulle potenzialità del terziario, di cui il turismo è componente essenziale, per favorire l’espansione dell’economia umbra – sono: Bruno Bracalente e Luca Ferrucci, Eventi culturali e sviluppo locale: una introduzione; Cecilia Chirieleison, Il turismo culturale: una risorsa per lo sviluppo economico locale; Cecilia Chirieleison, Massimo Cossignani, Luca Ferrucci e Marina Gigliotti, Il festival musicale Umbria Jazz; La mostra del Pintoricchio e la mostra Da Corot a Picasso, da Fattori a De Pisis; Massimo Cossignani e Maria Giovanna Ranalli, La segmentazione dei visitatori; Bruno Bracalente e Massimo Cossignani, L’impatto economico della spesa; Bruno Bracalente e Luca Ferrucci, Eventi culturali, sviluppo economico locale e implicazioni di policy; Maria Giovanna Ranalli, Appendice. La metodologia delle indagini campionarie sui visitatori. ANTONIO DI VITTORIO (a cura di), Patrimonio industriale e funzione economica sull’Adriatico. L’area nord pugliese-molisana, Bari, Cacucci, 2009. Il volume raccoglie i risultati delle ricerche svolte sotto il coordinamento di Antonio Di Vittorio dall’Unità di ricerca costituita presso l’Università di Bari nell’ambito del Progetto europeo quadriennale Interadria - Interreg III A Transfrontaliero Adriatico conclusosi nel 2008. Le indagini condotte nell’ambito del progetto hanno permesso di descrivere nella sua ricchezza e complessità il patri- tter SISE e l s new monio di archeologia marittima di una regione caratterizzata da un’importante sviluppo costiero e da una forte proiezione verso il mare. Tra i 54 siti censiti e sottoposti a schedatura sono rappresentate strutture di epoca differente, dal medioevo all’età moderna all’Otto-Novecento, e dalle funzioni assai diversificate. Alcune di esse si presentano più direttamente legate ad un’economia marittima quali porti, saline, magazzini, dogane, cantieri navali e mercati ittici, mentre altre, pur affacciandosi sul mare, erano espressione di un’economia di terra, è il caso delle masserie e abbazie fortificate, dei conventi e degli ospedali crociati. Un patrimonio archeologico-industriale da tutelare e da promuovere attraverso un’adeguata opera di valorizzazione anche a fini turistici, dato l’elevato valore storico-economico, artistico ed architettonico di molte strutture. Il volume, corredato da un ricco apparato iconografico, si compone dei saggi di Antonio Di Vittorio, Il patrimonio industriale marittimo nord pugliese-molisano. Metodologia di una ricerca; Giulio Fenicia, L’economia della fascia litoranea sud barese; Maurizio Gangemi, Il mare e l’economia barese tra Ottocento e Novecento; Alessandra Tessari, A nord di Bari: un’economia volta al mare tra Bisceglie e Giovinazzo; Potito Quercia, L’economia pugliese dell’area Tavoliere-Nord barese; Ezio Ritrovato, L’economia garganico-molisana e il mare (XIX-XX secolo). TOMMASO FANFANI, CHIARA MANI, ELENA COLOMBINI (a cura di), Gente di Piaggio. 200 immagini per riconoscersi, Pontedera, Tipografia Bandecchi & Vivaldi, 2010, pp. 227. Il volume è il catalogo della Mostra organizzata dalla Fondazione Piaggio presso il Museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli” a Pontedera dal 12 febbraio al 10 aprile 2010. Nata nel 1884, la Piaggio si è insediata nella città toscana nel 1924: da allora l’azienda specializzata in aerei da competizione, quadrimotori e potenti motori aeronautici “stellari” ha mutato l’oggetto della produzione, passando nel 1946 a Vespa – un vero simbolo del miracolo economico italiano e della modernizzazione del Paese –, nel 1947 ad Ape e poi a una lunga serie di veicoli a due, tre e quattro ruote che hanno scritto pagine decisive nella storia della mobilità leggera a livello mondiale e nell’organizzazione e nella crescita dell’economia e della società civile. Con questa esposizione la Fondazione ha inteso ricostruire attraverso il lavoro le fasi espansive, ma anche quelle di criticità economiche, di tensioni sociali, di lotta 18 contro le avversità naturali, quali l’alluvione del 1966 che colpì anche lo stabilimento. Al materiale, conservato nel Fondo iconografico dell’Archivio Storico Piaggio e nel fondo librario della biblioteca, si sono aggiunte le fotografie messe a disposizione dalla “Gente di Piaggio”. Dopo l’Introduzione di Tommaso Fanfani e la Prefazione dei curatori, l’Anteprima 1930-1980. 200 immagini per riconoscersi , a cui corrispondeva il corpus principale della mostra, sono riportate cento immagini in ordine cronologico. Il saggio Territorio e società di Elena Colombini testimonia, mediante alcune delle più significative occasioni celebrative dell’azienda a Pontedera, le ricadute che l’attività dell’impresa ha avuto sul circondario; Piaggio nel mondo di Elena Colombini documenta l’internazionalizzazione di Piaggio e il successo di Vespa. Seguono i contributi di Chiara Mani, Tradizione e innovazione, di Elena Colombini …essere competitivi e nuovamente di Chiara Mani, Senso di appartenenza e Il lavoro raccontato. ALESSIO GAGLIARDI, L’impossibile autarchia. La politica economica del fascismo e il Ministero scambi e valute, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, pp. 231. Il volume ha, come oggetto di studio, l’operato del Ministero per gli scambi e le valuta, durante il periodo che va dalla nascita, nel 1935, fino all’inizio della II Guerra Mondiale, quando uscì di scena il suo massimo dirigente, Felice Guarneri, ed il ruolo di questo organismo subì un forte ridimensionamento. Fra gli strumenti utilizzati in questa ricerca, oltre alla documentazione archivistica, è stato “riscoperto” il libro di memorie di Guarneri, edito nel ’53, che descrive la vicenda da un punto di vista soggettivo e dal quale Gagliardi attinge, pur mantenendo le distanze dal taglio cronachistico e talvolta aneddotico che caratterizza quel volume, solo allo scopo di trovare eventuali conferme ai dati archivistici e ricercarvi riscontri di eventuali processi strategici omessi dal Guarneri. Nonostante il breve periodo di attività del ministero, la legislazione in materia economica, valutaria e nel campo del commercio con l’estero cui l’istituzione diede impulso manifestò una intensa progettualità e produttività. Sono altresì poste in evidenza l’impatto e l’incidenza delle disposizioni di legge in materia, sia sull’economia che sulla politica italiane. Inevitabilmente, infatti, l’azione legislativa condizionò quella imperialista e ne fu condizionata, dovendo confrontarsi con un eficit della bilancia dei pagamenti, che indeboliva l’immagine dell’Italia a livello internazionale. Nella sua analisi l’Autore si ripropone di evitare una lettura dei fatti storici che privilegi la sola logica economica, rendendola avulsa dal contesto politico-istituzionale e socio-culturale dell’epoca, e al pari rifugge da un’interpretazione che valorizzi unicamente l’autoreferenzialità del soggetto politico. Sceglie, pertanto, di sottolineare 19 l’interazione fra decisioni politiche e necessità economiche e i profondi legami esistenti fra gli attori delle due aree, quella istituzionale e la comunità economica, che pure non furono sempre unite da obiettivi strategici comuni. A partire da questa impostazione metodologica il libro non si limita a ripercorrere la politica economica di quella fase storica, ma prende in esame anche la struttura del Ministero, la sua organizzazione e il suo funzionamento, oltre alla composizione e alla formazione culturale del suo gruppo dirigente. Affianca, cioè, una “storia interna” dell’istituzione a quella “esterna”, costituita dalle conseguenze, a breve e medio termine, che il suo operato ebbe sulla società e sulle sue varie categorie di rappresentanza. Emergono alla luce, dalla lettura del testo, alcune tematiche storiografiche cruciali. A partire da quella che riguarda la relazione tra gli apparati e le politiche messe in atto, cioè tra struttura e strategia. Un altro tema importante posto in rilievo è quello della centralità delle trasformazioni, che ebbero luogo negli anni ’30, fra potere pubblico e soggetti economici privati, nonché quello dell’uso di mediazioni di tipo corporativistico. L’Autore non trascura di sottolineare come, all’interno dell’organizzazione statale mussoliniana, non vi fosse un programma strategico monolitico ma, al contrario, la presenza di posizioni diversificate e di più scelte e politiche alternative in merito alle questioni economiche. Infine, si pone l’attenzione sull’intreccio problematico fra decisioni di politica economica e di politica estera, analizzando come e quando esigenze di carattere economico potessero influire sulle decisioni di tipo politico-diplomatiche. PAOLA LANARO, ELENA SVALDUZ (a cura di), Le reti dello scambio. Uomini, merci, architettura (XV-XIX sec.), «Cheiron», anno XXV, n. 50, 2008. Interdisciplinarità e lungo periodo sono le parole-chiave di questo numero di Cheiron curato da Paola Lanaro ed Elena Svalduz. Naturale sviluppo di quanto emerso nella macrosezione Le reti dello scambio del IV congresso dell’Associazione Italiana di Storia Urbana (AISU) tenutosi a Milano nel febbraio 2009, il volume raccoglie saggi di storici dell’economia (Andrea Caracausi, Giovanni Favero, Marina Romani e Rachele Scuro) e storici dell’architettura (Valeria Frignani, Stefano Zaggia, Tommaso Zampagni e Stefano Croce) e copre un’arco cronologico che va dal periodo medievale all’età contemporanea. Il concetto di rete è il tema d’indagine, che viene tuttavia declinato, come affermano le curatrici nel saggio introduttivo, Uomini, merci, architetture: dalla bottega al grande magazzino, “sulla concretezza fisica della città, che nella visione luzzatiana, alla quale si vuole fare riferimento, appare del tutto contigua alla concretezza economica” (p. 7). Reti formali e informali vengono quindi analizzate nel loro intrecciarsi secondo dinamiche che coinvolgono i centri urbani su piani regionali, nazionali e internazionali. tter SISE e l s new La costruzione di una rete di città è il tema su cui si concentra l’attenzione dello studio di Andrea Caracausi, Mercanti e manifatture tessili fra Padova e Venezia. Reti di scambio e specializzazioni produttive in Età Moderna, che esamina le interdipendenze tra Padova e Venezia relativamente alle vicende attraversate dalle manifatture tessili in età premoderna. La costruzione di reti di scambio e i conseguenti processi di specializzazione produttiva e divisione del lavoro furono il risultato, oltre che delle caratteristiche del territorio e delle trasformazioni dei mercati internazionali, anche del rapporto tra strategie degli operatori e contesto istituzionale e della capacità di quest’ultimo di favorirne o limitarne lo sviluppo. Se la produzione e la commercializzazione di manufatti tessili nell’entroterra trovò a livello macroeconomico un fattore di sviluppo determinante nell’emporio realtino, quest’ultimo non impedì la formazione di reti slegate da Venezia in grado di connettere la città patavina ai mercati dell’Europa centrale e dell’Italia meridionale. A livello microeconomico, tuttavia, i mercanti sfruttarono le opportunità offerte dalla congiuntura internazionale attraverso la creazione di “reti di scambio infracittadine che incisero sulle strutture economiche dei territori, favorendo specializzazioni produttive a livello locale e incoraggiando la circolazione della manodopera in ambito regionale” (p. 30). Che la dotazione infrastrutturale rappresenti un elemento imprescindibile per la città e il territorio è una considerazione che, seppur non manifestata in modo esplicito, permea tutto il discorso di Caracausi. A focalizzare comunque la trattazione su questa tematica è Giovanni Favero con l’intervento Le province «venete» dalla caduta della Repubblica all’unità: la metamorfosi di uno spazio regionale, col quale, spostando l’arco di tempo analizzato all’Ottocento preunitario, si interroga sul “passaggio dalla compresenza di diverse aree economicamente integrate, disposte lungo linee approssimativamente coincidenti con i principali bacini fluviali, a un policentrismo a corridoio che privilegia i principali centri della pianura” (p. 31). L’attenzione dell’autore si concentra sul processo di riorganizzazione territoriale guidato dalla politica delle autorità asburgiche, i cui interventi economici e infrastrutturali favorirono l’affermazione di vivaci centri manifatturieri accanto a zone agricole ed aree depresse lungo la linea stradale e ferroviaria che collegava Venezia a Milano. A ciò contribuì in misura non secondaria la forte integrazione economica e finanziaria tra l’area veneta e quella lombarda, che nel periodo tra il 1859 e il 1866 favorì non poco “il diffondersi dell’irredentismo anche tra i ceti possidenti, tradizionalmente più moderati” (p. 45). I lavori di Frignani e Zaggia offrono la possibilità di affrontare il tema comune a tutti i saggi del volume attraverso l’occhio dell’architetto. Le diverse dinamiche del rapporto tra momento economico e struttura urbanistica vissute da Milano e Mantova costituiscono l’oggetto dell’ana- tter SISE e l s new lisi di Valeria Frignani, Giustizia e commercio, palazzo pubblico e ragioni private: commistioni a Mantova e Milano fra Basso Medioevo ed Età Moderna, che nota come gli spazi dell’attività economica nella città meneghina si inserirono e sovrapposero al tessuto urbano dei grandi edifici pubblici seguendo un criterio di netta separazione tra luogo istituzionale e spazio economico-commerciale. Diverso è il caso di Mantova dove l’iniziativa privata di artigiani e commercianti favorì una forte compenetrazione tra la componente architettonica commerciale e quella destinata allo svolgimento dell’ufficio politico-istituzionale. Il tema della permanenza e della trasformazione del tessuto urbano è al centro dello studio di Stefano Zaggia, Palazzi pubblici e spazi urbani mercantili: permanenze e trasformazioni in Età Moderna, che si pone in un rapporto di stretta complementarietà con il lavoro di Frignani. Il conflitto tra la volontà di procedere ad un ridisegno complessivo dello spazio urbano e le resistenze opposte a questi progetti molto spesso trovò sintesi in una “semplice ridefinizione degli ambiti funzionali e delle attività comunitarie” (p. 61) come dimostra, tra gli altri, il caso del Palazzo della ragione, o dei Trecento, di Treviso. La formazione di reti nel mondo ebraico è il focus dei saggi di Scuro e Romani. Rachele Scuro nel contributo intitolato Reti bancarie, reti commerciali, reti familiari. Scambi all’interno delle comunità ebraiche della Terraferma veneta quattrocentesca articola il suo ragionamento su tre piani d’analisi che trattano la dimensione internazionale e trans-regionale, quella regionale e quella urbana. Se il matrimonio è il fulcro di un plesso di reti parentali, finanziarie e culturali, il legame con la terra d’origine e i correligionari di vicina nascita sono gli elementi portanti della struttura di relazioni organizzata dalle comunità ebraiche nello spazio internazionale. La situazione non è diversa a livello regionale, dove acquistano un’importanza fondamentale i banchi aperti nei centri minori soprattutto in seguito all’espulsione delle comunità ebraiche dalle città più importanti. A livello urbano la rete emerge nella sua doppia valenza di network economico (nel senso di una compartecipazione di diverse famiglie nei banchi) e materiale. Per quanto riguarda questo secondo aspetto è interessante notare come la scelta della localizzazione dei banchi emergesse da un contrasto tra la necessità economica e il bisogno di auto-rappresentazione all’interno della città, entro un perimetro segnato dai vincoli legislativi che precludevano l’accesso ai luoghi simbolicamente più significativi come la piazza principale e le zone prossime ad edifici sacri. Reti cristiane e reti ebraiche costituiscono il tema indagato da Marina Romani nel saggio Reti socioeconomiche cristiane e reti socioeconomiche ebraiche nelle città dell’Italia centro-settentrionale tra basso medioevo e prima età moderna: un raffronto possibile? La diversità delle precondizioni per la costituzione di reti e capitale sociale 20 (l’assenza nel mondo ebraico delle cosiddette nationes e di un’autorità statale di riferimento) condizionano la struttura e le finalità dei network predisposti dalle due comunità sia in senso orizzontale che verticale (se per gli ebrei si trattava di mitigare la posizione di contraente debole oggetto del pregiudizio del microcosmo che lo circondava, per la compagnia mercantile l’obiettivo era l’ottenimento del privilegio dall’autorità statuale). Anche i diversi effetti patrimoniali del matrimonio determinarono disegni strategici differenti, favorendo nel mondo cristiano una forte compenetrazione tra famiglia e azienda (dalla forma unitaria alla holding) agevolata dalla cancellazione dell’autonomia patrimoniale della sposa; la donna ebraica invece “poteva, almeno potenzialmente, modellare e rimodellare alleanze e costituire, quindi, un tassello attivo della rete” (p. 107). Da questi presupposti discende quindi la differente natura della rete che per il cristiano, garantito dalla presenza di un’autorità statale, diveniva uno strumento sopratutto economico, mentre per l’ebreo era il mezzo che “consentiva l’integrazione senza l’assimilazione e da qui l’autopoiesi, il continuo rigenerarsi, della costellazione unitaria” (p. 114). L’indagine varca i confini italiani per studiare l’intreccio di cambiamenti sociali e urbani a Costantinopoli nel saggio di Tommaso Zampagni su Commercio e finanza: l’immagine della cultura europea nel sistema architettonico di Costantinopoli nella seconda metà del XIX secolo.L’architettura svolge qui il ruolo di binario di un’europeizzazione che venne giudicata alternativa migliore rispetto alla elaborazione di soluzioni originali da parte di un cosmo socio-economico incapace di sostenere le sfide dei nuovi processi di sviluppo. Il lavoro finale di Stefano Croce, La galleria contemporanea: evoluzione compositivo-tipologico-funzionale di un principio organizzatore spaziale, porta l’attenzione sul luogo dello scambio che forse maggiormente costituisce la sintesi delle dinamiche evolutive vissute dai processi economici di distribuzione commerciale e dello sviluppo del pensiero compositivo-architettonico. Gli esempi proposti dall’autore indicano che, pur all’interno dei vincoli posti dalle strategie commerciali della committenza, l’opera architettonica può ancora mostrare quei caratteri di varietà e qualità in un connubio che unisce i caratteri della galleria tradizionale ad altri principi topologici non di rado opposti. P IERGIORGIO L AVERDA , Le macchine agricole Laverda. La storia, i protagonisti e tutti i modelli prodotti a Breganze dal 1873, Dueville, Agorà Factory, 2009. Il volume, riccamente illustrato, ripercorre la storia della Laverda sotto tutti i punti di vista, ma con particolare riferimento alle macchine agricole, in cui fin dalle origini la ditta di Breganze si specializzò. La narrazione pren- 21 de le mosse dai natali del fondatore Pietro Laverda, nel 1845, e arriva fino al 2008, che segna l’uscita della mietitrebbia n. 5000 costruita dal Gruppo, nel nuovo assetto societario, terzo al mondo nel campo della meccanizzazione agricola. Al racconto, anche fotografico, di oltre un secolo e mezzo di storia si accosta l’importante e completa catalogazione dei prodotti Laverda dalle origini fino ad oggi. Questo meticoloso lavoro di catalogazione ha risposto, nelle intenzioni dell’Autore, ad una duplice esigenza: da un lato dar conto del percorso di sviluppo tecnologico delle macchine Laverda, dell’ampio spettro tipologico della produzione e del suo stretto rapporto con l’evoluzione della meccanizzazione agricola in Italia (e non solo); dall’altro fornire un supporto conoscitivo ai collezionisti di attrezzature e macchine agricole d’epoca utile all’identificazione dei diversi modelli, al loro restauro e alla loro conservazione. Naturalmente, non si può parlare delle macchine agricole Laverda prescindendo da una accurata e completa ricostruzione della storia dell’azienda, compito di cui l’Autore si dà carico, facendo riferimento ai lavori precedenti, alle fonti e alle testimonianze, in primo luogo di famiglia. Più in generale, infatti, la pubblicazione è nata dall’esigenza di valorizzare la grande mole di documenti, immagini e notizie raccolte da quindici anni di ricerche dedicate, in particolare da Giovanni Luigi Fontana e dallo stesso Piergiorgio Laverda, alla storia della famiglia e dell’omonima industria meccanica. La Laverda è la più antica azienda italiana produttrice di macchine agricole ancora in attività e la sua storia in buona misura coincide con la storia stessa dell’agricoltura italiana e, in particolare, della sua progressiva meccanizzazione. Dal libro emerge un profilo aziendale tutto improntato da una “meccanica di perfezione” che non si esaurisce nelle macchine agricole, come evidenzia icasticamente il bel manifesto pubblicitario del 1973 con il quale la Laverda celebrava i suoi primi cento anni di vita nel campo della meccanica: “100 anni di solide esperienze, di continue ricerche, di tecnologia avanzata, Laverda è ‘creatività meccanica’: crea sempre nuovi prodotti nei tre settori in cui opera: macchine agricole, moto, roulottes. La Laverda è infatti strutturata in tre aziende che operano indipendentemente l’una dall’altra, con un continuo scambio di esperienze. Macchine agricole Laverda: perfetti complessi meccanici che aiutano l’uomo a produrre per l’uo- tter SISE e l s new mo. Moto Laverda: le prestigiose 750 e 1000 cc che hanno creato uno stile italiano in questo settore. Roulottes Laverda: tecnicamente studiate per un confortevole tempo libero. Laverda è qualcosa in più: 4 stabilimenti, 1700 dipendenti”. Così la Laverda a 100 anni dalla sua fondazione, dei quali i primi venticinque passati da Pietro Laverda a produrre torchi da vinacce, pigiatrici per uva, sgranatoi per pannocchie, trebbiatrici manuali per le piccole gestioni contadine (tutti repertoriati nel libro, con molte interessanti notazioni), con l’ausilio di una locomobile a vapore per azionare le macchine utensili presso l’officina nella parte alta di Breganze, dove si trasferì nel 1884 su sollecitazione dei famosi monsignori Scotton, fino al grande balzo a cavallo del ‘900, propiziato dalla produzione dei cannoni grandinifughi, iniziata nel 1898 e perfezionata nel 1901 con il modello brevettato Laverda di cannone antigrandine a mortaio-bossolo, fornito con successo a numerosi consorzi grandinifughi allora in piena espansione su tutto il territorio veneto. A cavallo del secolo a Pietro Laverda si affiancano i figli Francesco, elettromeccanico, ed Antonio, principale collaboratore del padre, che nel 1904 si occupa del passaggio nel grande stabile in centro a Breganze, dove la fabbrica avrà sede fino alla conclusione degli anni ’70. Appena un anno dopo si perfeziona l’accordo commerciale con la Federazione dei Comizi Agrari, poi Federconsorzi, che sarà per quasi 80 anni distributrice esclusiva delle macchine Laverda in Italia. L’altro passaggio importante nell’evoluzione tecnologica della ditta è costituito dall’esperienza delle forniture per l’esercito durante la prima guerra mondiale, quando la lavorazione di proiettili (1916) verrà decentrata a Mandriola, vicino a Padova, e dopo Caporetto a Pistoia, mentre la produzione di macchine agricole e di altri materiali per l’Esercito resta a Breganze. Perduto prematuramente il figlio Antonio, Pietro prosegue nella gestione della ditta assieme all’altro figlio Giovanni fino alla morte nel maggio 1930, quando, nel pieno della crisi, l’azienda viene affidata ai due giovani nipoti Pietro Jr e Giovanni Battista, figli di Antonio, che negli anni successivi saranno coadiuvati dai fratelli Angelina, Francesco e Giorgio. Sono Pietro e Giovanni Battista gli artefici delle scelte decisive per uscire dalla grave crisi economica e per imprimere alla Laverda una “svolta storica”, sancita nel ’32 dalla costituzione della ditta Pietro Laverda Sas, accomandita di famiglia con presidente Giovanni Battista Laverda. Nel 1934 nasce nelle officine breganzesi la prima falciatrice meccanica italiana a traino animale, vero e proprio tornante produttivo nella storia della Laverda. Nel 1938 viene presentata la prima mietilegatrice, la ML 6, capostipite di una fortunata serie di macchine da raccolto. Attraversata, tra molte difficoltà, ma senza danni, la seconda guerra mondiale, l’azienda presenta nel 1947 la prima motofalciatrice progettata da Francesco Laverda. E’ lo tter SISE e l s new stesso Francesco, che in una nuova fase di acuta crisi economica, ad avviare la diversificazione nel settore delle motociclette, creando nel 1949 la Moto Laverda Sas i cui modelli avranno grande successo nei decenni a venire. Un’ulteriore svolta si ha nel 1956, quando entra in produzione la mietitrebbia Laverda M60, prima macchina semovente di questo genere costruita in serie in Italia, con la quale inizia una nuova stagione produttiva che caratterizzerà la successiva storia aziendale. Sull’onda di questi successi, la ditta cresce di dimensioni e nel 1960 si inaugura il grande stabilimento per la produzione di mietitrebbie all’esterno del centro di Breganze. Il ’66 segna l’apertura della terza linea di prodotti con l’acquisizione dello stabilimento aeronautico Caproni di Trento e con la costituzione, ad opera di Francesco Laverda, della consociata Laverda SpA Trento per la fabbricazione di aerei da turismo, roulottes ed altri prodotti per il tempo libero. Le innovazioni si susseguono con crescente intensità. Appena un anno dopo con l’autofalciatrice condizionatrice AFC 110 la Laverda entra con forza nel mercato delle grandi macchine foraggere e a distanza di altri tre anni, nel 1970, nasce la M 100 AL, prima macchina autolivellante mondiale, creata per le zone collinari italiane. In questo modo Laverda diventa leader assoluto di questa macchine ad alta specializzazione. Al traguardo del primo centenario di vita, l’azienda breganzese è il maggiore produttore italiano di macchine da raccolto ed uno dei maggiori del mondo. I suoi prodotti arrivano a coprire il 60% del mercato italiano e sono esportati in decine di paesi stranieri. Nel ’75 l’antica “Pietro Laverda” diventa società per azioni, ma il ’77 segna l’inizio di una nuova fase storica, segnato dall’accordo commerciale tra Laverda e Fiat Trattori con il passaggio del 25% del pacchetto azionario all’azienda di Modena. Le performance tecnologiche dell’azienda continuano, ma dal 1981 l’impresa viene a gravitare interamente nell’orbita di Fiat Trattori SpA, cui la famiglia Laverda cede l’intero pacchetto azionario. Il 1983 segna, al contempo, l’epilogo della presenza attiva dei Laverda nell’azienda e la sua trasformazione in multinazionale: Laverda acquisisce infatti la Hesston S.A. e la francese Braud, produttrice di macchine per la vendemmia. Nel 1987 Laverda SpA viene incorporata assieme a Fiat Trattori nella holding Fiat Geotech. Il percorso si completa nel 1992 con l’ingresso dello stabilimento di Breganze nella multinazionale New Holland. Il processo di innovazione tecnologica tuttavia non si interrompe: lo stesso anno, infatti, viene presentata la nuova gamma di mietitrebbie serie L, tra cui spicca il modello integrale con un innovativo sistema di livellamento. Nel 2000, infine, si attua un nuovo fondamentale passaggio, una sorta di ritorno alle origini: la holding New Holland cede lo stabilimento di Breganze alla società Argo della famiglia Morra. Il marchio Laverda torna sul mercato con una nuova gamma di mietitrebbie. Nel 2004, l’inau- 22 gurazione del museo aziendale, una rivisitazione della gloriosa storia Laverda, coincide con l’acquisizione di un’altra storica azienda europea di macchine da fienagione, la tedesca Fella Werke GmbH, che dà ulteriore impulso allo sviluppo del percorso di rinnovamento della gamma. E si arriva così, nel 2007, alla ricollocazione della Laverda ai vertici mondiali del settore con la cessione da parte di Argo del 50% del pacchetto azionario ad Agco, una corporation americana, realizzando la saldatura di due storie della meccanizzazione, quella europea e quella americana, e costituendo il terzo gruppo mondiale nel settore della meccanizzazione agricola. FABIO LAVISTA, La stagione della programmazione. Grandi imprese e Stato dal dopoguerra agli anni Settanta, Bologna, Il Mulino, 2010. Il volume analizza uno dei nodi cruciali, dal punto di vista economico e politico, che caratterizzò una lunga fase della storia italiana, compresa tra la fine della II Guerra Mondiale e la metà degli anni Settanta circa: quello relativo alla programmazione economica. Se inizialmente questo approccio rispondeva ad un’esigenza operativa dei soggetti incaricati di erogare i finanziamenti internazionali per la ricostruzione post-bellica, negli anni Sessanta esso divenne uno dei cavalli di battaglia della nuova coalizione governativa di centro-sinistra. L’approccio interpretativo dichiarato dall’Autore si avvale di una duplice chiave di lettura, che esamina le ragioni della scelta di tale indirizzo da parte della classe politica e il dibattito che si svolse all’interno alla dirigenza delle grandi imprese, soprattutto di quelle pubbliche. Infatti, proprio questo tipo di azienda era già abituata a tenere in considerazione una rigorosa programmazione, a causa della necessità di pianificare la produzione riuscendo, preventivamente, a “indovinare” lo scenario futuro dei mercati internazionali. Partendo da esempi concreti, come quello della Olivetti e del suo Ufficio Studi Economici, vengono ricostruiti dunque dibattiti e realizzazioni, quando e dove ve ne furono, di quegli anni proficui di studi e progettualità, precursori anche di sviluppi che poi diverrano temi centrali nella programmazione più strettamente territoriale e settoriale. È bene tener presente, inoltre, come quello italiano sia stato un caso atipico nel campo della programmazione, in quanto i piani economici nazionali non vennero poi attuati, ma si limitarono a fornire l’occasione per esprimere posizioni di principio e concludere accordi tra forze politiche e sociali. Pur tuttavia, nei casi in cui si riuscì a tradurre questa pianificazione in una pratica industriale, essa dette modo alle aziende interessate di approdare ad una modernizzazione effettiva, nella loro struttura e nei processi produttivi. A fare da contraltare rimasero però i gravi disequilibri economici, regionali e settoriali dovuti alla mancata attuazione di una programmazione economica 23 nazionale. Non bisogna poi dimenticare che si verificò anche una degenerazione del sistema, laddove gli strumenti operativi previsti vennero sì istituiti, ma furono utilizzati solo per raggiungere obiettivi elettorali e clientelari. Il libro si conclude mettendo in evidenza i fattori che fecero naufragare il progetto industriale che stava alla base della programmazione. In primo luogo, si sottolinea il disaccordo, su alcune delle modalità per la sua realizzazione, fra correnti politiche diverse: fra chi propendeva maggiormente verso gli interessi dell’imprenditoria privata e chi invece sosteneva le richieste dei sindacati. In secondo luogo, pesò la volontà di primeggiare delle diverse tipologie di istituzione investite, a vario titolo, del compito di programmare, e realizzare, la politica economica: Bilancio, Tesoro, Banca d’Italia, CIPE. Come ultimo elemento, a partire dagli anni Sessanta, influì anche la congiuntura economica, che cominciò a diventare sempre più negativa, fino alla crisi degli anni Settanta. Tutti questi fattori, facendo fallire il progetto di programmazione, determineranno negli anni successivi il rallentamento significativo dello sviluppo italiano, e non solo dal punto di vista economico. L’Autore è convinto, in ogni caso, della validità di questo esperimento che, pur con tutte i limiti elencati, costituì probabilmente l’ultimo progetto sul paese di stampo “unitario” volto, a partire da una ristrutturazione economica, a rinforzare il valore della democrazia mediante lo sviluppo di una società più moderna. CORINE MAITTE, ISSIAKA MANDE, MANUELA MARTINI, DIDIER TERRIER (a cura di), Entreprises en mouvement. Migrants, pratiques entrepreneuriales et diversités culturelles dans le monde (XV e -XX e siècles), Valenciennes, Presses Universitaires de Valenciennes, 2009, pp. 450. Il tema dell’emigrazione imprenditoriale e delle diaspore mercantili è uno dei più classici e meglio esplorati nel campo della storia economica dell’età medievale e moderna, basti pensare alle pagine scritte da Sapori nell’immediato dopoguerra sui mercanti italiani in Europa. Ma assume carattere di pressante attualità se si tiene conto delle grandi correnti di emigrazione che nel corso degli ultimi decenni hanno portato milioni di persone a trasferirsi dai paesi in via di sviluppo nell’Occidente industrializzato. L’intento dei curatori del volume è stato quello di ricorrere alla storia economica per far emergere nuove questioni e problemi, sino ad ora trascurati da una sociologia del lavoro che tende a descrivere la condizione dell’emigrato come bloccata in ruoli subordinati, quando non condannata ad un destino di sfruttamento senza uscita. Questa visione pessimistica trascura il ruolo del lavoro, e quindi dell’azienda, come principale ambito di integrazione economico-sociale dei migranti. Essenziale per cogliere questa dimensione del mondo del lavoro è il superare una concezione riduttiva del- tter SISE e l s new l’impresa come realtà puramente economica, per prendere coscienza della sua natura di micro-società fondata su rappresentazioni collettive, comportamenti ed abitudini consolidate e su un grado più o meno ampio e partecipato di consenso. Una chiave per penetrare in questa dimensione complessa dell’esistenza dell’azienda e dei rapporti di lavoro, dei fenomeni di mobilità imprenditoriale e dell’emigrazione, può essere rappresentata, secondo i curatori, dal concetto di cultura d’impresa, di cui finora è stata scarsamente approfondita la dimensione storica. Il volume, aperto da un’introduzione dei curatori Corinne Maitte e Manuela Martini, si divide in tre sezioni. La prima, dal titolo Entrepreneurs migrants, cultures de l’entreprise et lieux d’accueil, raccoglie i contributi di Catherine Verna e Anthony Pinto, Les Basques dans les forges de Catalogne: migration, culture technique et industrie rurale (XIVe-début XVIe siècle); Marie-Louise PelusKaplan, Migrations, mobilité et culture d’entreprise dans les villes de la Hanse au XVIe siècle; Vincent Demont, Apport de savoir ou perturbation des pratiques? Marchands migrants et pratiques comptables a Hambourg au XVIIe siècle; Gérard Gayot, Verleger et Verlagssystem hors de leur territoire dans l’Europe mercantiliste; Ibrahima Thioub, Les Libano-Syriens en Afrique de l’Ouest. De la fin du XIXe siècle à nos jours; Claire Zalc, Partenaires économiques et insertion locale. Une entrepreneuse immigrée à Lens dans l’après-guerre; Olga Alexeeva, Les entreprises chinoises en Russie et la dynamique relationelle entre les entrepreneurs chinois et les employés russes. La seconda parte, Education, formation et integration a l’entreprise, è formata dai saggi di Mary Louise Nagata, Migration et entreprise à Kyoto au début de l’époque moderne; Didier Terrier, Main-d’œuvre immigrée et patrons du textile à Foumiers à la fin du XIXe siècle; Jean-Paul Depretto, L’intégration des migrants dans l’entreprise à Moscou dans les années 1930; Mariela Ceva, Les migrants et la construction de l’espace de travail en Argentine. Deux études de cas: La Fábrica argentina de Alpargatas et l’Algodonera Flandria, 1884-1960; Claude Hamon, Coolies, gangmasters, travailleurs à régime spécial (Thesu gongren): migrants en Mandchourie aux houillères de Fushun; Issiaka Mandé, Gérer l’entreprise coloniale: le colonat européen et la question de la main-d’œuvre migrante en Côte d’Ivoire, 1936-1945; Laurence Marfaing, Pêcheur sénégalais et contrats de pêche en Mauritanie. Identites, Cosmopolitisme et multiculturalisme dans l’entreprise è il titolo della terza parte che raccoglie contributi di Laurence Fontaine, La gestion des appartenances dans les réseaux de marchands migrants: l’Europe moderne au miroir des analyses contemporaines; María Inés Barbero, Stratégies d’entrepreneurs italiens en Argentine. Le Grupo Devoto; Antoine Pécoud, Le cosmopolitisme des entrepreneurs turcs a Berlin; Dennis D. Cordell, Entreprises, immigrés et statuts d’immigration: trois entrepreneurs nigérians à Dallas/Fort Worth, Texas; Marin Pâquet, Immigrants, investisseurs au tter SISE e l s new Québec. Objectifs et stratégies provinciales, 1830-1960; Sébastien Arcand, Joseph Facal, L’Entrepreneurship immigrant dans une société nationale minoritaire: le cas du modèle quebécois; Gilles Guiheux, Entrepreneurs transnationaux, le cas du détroit de Taiwan. Roberto Parisi (a cura di), Paesaggi del lavoro in Molise. Itinerari culturali tra storia e valorizzazione, Roma, Aracne, 2009. Archeologia industriale o memoria del lavoro? La lettura di questo volume, che riunisce contributi e materiale documentario su una delle regioni meno conosciute d’Italia, ci consegna questo stimolante interrogativo, al quale si aggiungono una serie di questioni storiografiche e politiche che qui vengono messe alla prova della ricerca sul campo: i segni industriali in una terra senza industrializzazione, il processo di costruzione del paesaggio, la patrimonializzazione dei beni storici, il rapporto tra tutela e valorizzazione e quello tra patrimonio culturale e turismo. Per questi motivi il lavoro curato da Roberto Parisi riveste un particolare valore non soltanto per i contenuti originali delle ricerche, ma anche perché rappresenta una operazione culturale degna di nota in quanto frutto della collaborazione di giovani studiosi, quasi tutti alle prime armi, attorno a un’idea di fondo che a ben pensare può essere assunta come utile indicazione metodologica, valida anche aldilà dello specifico contesto locale: collegare la conoscenza storica alla valorizzazione turistica del patrimonio protoindustriale e industriale di una regione, sfruttando a tal fine una proficua sinergia tra didattica e ricerca. L’esperienza del Molise sembra indicare che non c’è un rapporto scontato e univoco tra industria e industrializzazione, nel senso che ci può essere industria senza industrializzazione. Le ricerche qui raccolte dimostrano come anche il piccolo e arretrato Molise, dove l’arretratezza e l’isolamento hanno finito per diventare griglie interpretative forse troppo rigide, può offrire la possibilità di ricostruire un panorama industriale e protoindustriale incentrato sul lavoro. Il “lavoro come bene culturale” – dice Parisi – e in questo mutamento di prospettiva (dall’impresa al lavoro) sta a mio parere il merito della più recente evoluzione disciplinare dell’archeologia industriale, che ai resti architettonici e alle macchine viste nel loro significato monumentale, tende ad aggiungere gli uomini, le pratiche, le abitudini di intere generazioni di lavoratori, di imprenditori e di maestranze. L’obiettivo del volume è quello di seguire le tracce che il lavoro dell’uomo ha lasciato nel paesaggio, contribuendo a costruirlo insieme al più pervasivo apporto dell’attività agricola, e proponendo una conoscenza sistematica di questo insieme di segni che si fanno patrimonio culturale e che, in quanto tali, finiscono per rappresentare una risorsa di base per lo sviluppo di un turismo diffuso in grado di portare linfa vitale alla povera, ma non irrimediabilmente perduta, economia regio- 24 nale. Però questo patrimonio non è ancora sufficientemente conosciuto. Da qui la necessità e la proposta di un censimento di queste emergenze, di cui le stesse ricerche degli autori, con la schedatura di oltre 130 siti disseminati nelle due province di Isernia e Campobasso, rappresentano un primo e significativo passo. Si tratta di strutture puntuali o diffuse, opifici e infrastrutture, percorsi e insediamenti che nel tempo hanno modificato il territorio e che oggi attendono una più organica rilettura. Alcuni di questi casi sono descritti nei cinque contributi che compongono l’opera e riassunti e interpretati nel saggio introduttivo del curatore. I numerosi ponti che nel tempo hanno consentito ai molisani di passare da una parte all’altra del Biferno, il fiume che divide in due la regione, spesso distrutti e ricostruiti, in molti casi semplici passerelle e in altri architetture complesse, si rivelano nell’analisi di Maddalena Chimisso come elementi di connessione di un sistema territoriale, economico e culturale. Un insieme di manufatti che costituiscono anch’essi oggetti di archeologia industriale da censire e studiare, non solo come monumenti alle tecniche infrastrutturali tradizionali, ma anche come punti nodali di accesso al più vasto patrimonio dei beni culturali diffusi sul territorio, offrendo materia utile per un it“ inerario attrezzato nell’ottica di un turismo culturale e ambientale attento al territorio e ai segni della sua antropizzazione. Il fiume è un elemento vivo. Oltre ai ponti che nelle varie epoche l’hanno attraversato, il Biferno, come altri corsi d’acqua minori, ha visto sorgere lungo le sue sponde numerosi mulini che sfruttando l’energia idromeccanica hanno esercitato un ruolo importante nell’economia regionale. Attraverso una ricerca archivistica e puntuali indagini sul campo, Francesca Annecchini ne mette in luce le funzioni, le tipologie costruttive, i legami con l’agricoltura locale fino alla trasformazione dei principali impianti in centrali idroelettriche ai primi del Novecento. Una rassegna di alcuni casi, che mette in luce anche lo stato di conservazione dei vecchi mulini, prelude all’idea di un museo dell’acqua come perno di itinerari sul territorio incentrati su tematismi storico-ambientali. Dati statistici (ISTAT) e analisi degli strumenti urbanistici offrono invece a Camillo Marracino la possibilità di studiare il patrimonio edilizio di alcuni comuni dell’Alto Molise (Agnone, Capracotta, Pescopennataro, Pietrabbondante, Vastogirardi) nei quali le diverse ondate di emigrazione transoceanica, da quella tardo ottocentesca a quella del secondo dopoguerra, hanno lasciato una diffusa eredità di case vuote, una sorta di “paesi fantasma” che hanno subito un fenomeno di dismissione abitativa e che oggi pongono invece il tema del riuso di questo patrimonio architettonico e sociale, di cui occorre tenere conto nella rivalutazione turistica dei territori, ma in primo luogo nella elaborazione dei nuovi piani urbanistici, che dovranno sem- 25 pre più orientarsi alla tutela e al recupero del patrimonio edilizio esistente, piuttosto che alla previsione di nuovi interventi. In un altro saggio Paola Palombino, partendo dai concetti e dalle implicazione normative delle esperienze europee e italiane di ecomuseo e di museo diffuso, focalizza l’attenzione sulla transumanza, una attività che assieme a quella molitoria ha costituito per secoli l’asse portante dell’economia molisana e meridionale. Ne scaturisce la proposta di un ecomuseo dei tratturi, intesi non soltanto nel loro valore documentale, ma come pluralità di elementi (percorsi, taverne, riposi, mulini, impianti di lavorazione della lana, ecc.) che soprattutto dalla fine del medioevo all’800 hanno contribuito in misura fondamentale a definire il sistema infrastrutturale e insediativo del Molise. Il progetto, che non risparmia critiche alle normative regionali in materia, si articola in una serie di itinerari (della lana, dei mulini, delle taverne, dell’arte sacra, dell’archeologia) che nel loro insieme consentirebbero una ricomposizione culturale e testimoniale di tutto ciò che ha caratterizzato il paesaggio della fascia di territorio compresa tra i due grandi tratturi Castel di Sangro-Lucera e Pescasseroli-Candela, che insieme a quello reale L’AquilaFoggia legavano strettamente le montagne abruzzesi con il Tavoliere delle Puglie. L’ultimo contributo è dedicato al mare e alla costa, un breve tratto di territorio con al centro la città di Termoli che permette al Molise di affacciarsi sull’Adriatico e che ha rivestito in diversi periodi storici (si pensi all’egemonia commerciale veneziana, ma per certi versi anche all’attuale regione euroadriatica) una finestra sul vivace sistema di scambi economici e culturali tra l’Italia e i Balcani. Lucia Checchia ripercorre così l’importanza degli approdi minori (Campomarino e Petacciato) e soprattutto dello scalo Termoli che dopo la lunga parentesi dell’età moderna, in cui svolse al massimo la funzione di “caricatoio”, dovette subire tra Ottocento e Novecento un travagliato iter progettuale per poter finalmente riacquistare la dignità di porto solo intorno alla metà del secolo scorso. Le torri costiere, gli approdi, i primi stabilimenti balneari e quelle particolari e suggestive “macchine da pesca” che erano i “trabucchi”, dei quali ormai restano poche tracce, sembrano anche in questo caso prefigurare le condizioni per progettare un polo museale del mare, anche in relazione agli altri musei marittimi esistenti sulle coste adriatiche che opportunamente l’autrice passa in rassegna. Alle appendici iconografiche di ciascun contributo, si aggiunge un report fotografico finale sul patrimonio industriale del Molise, realizzato da Giuseppe Lamelza, che va a costituire il primo catalogo illustrato delle emergenze di archeologia industriale della Regione nell’ottica di quel censimento ripetutamente proposto e che rappresenterebbe una base essenziale di conoscenza, non solo per gli studi, ma anche per buone politiche pubbliche territoriali e tter SISE e l s new culturali di cui, in Molise come nell’intero Paese, si avverte sempre più uno stringente bisogno. GIORGIO RIELLO, TIRTHANKAR ROY (a cura di), How India Clothed the World. The World of South Asian Textiles, 1500-1850, Leiden, Brill, 2009, pp. 489. I saggi raccolti nel volume, rielaborazione delle comunicazioni e degli interventi presentati alle conferenze organizzate a Puna, Aix-en-Provence e Padova dal Global Economic History Network (GEHN) nell’ambito di una ricerca promossa dalla London School of Economics tra 2003 e 2007 e sostenuta dal Leverhulme Trust, affrontano il tema della produzione, commercio e consumo dei tessuti in cotone indiani come caso paradigmatico per lo studio della storia dello sviluppo industriale su scala globale. Il processo di globalizzazione, sostengono i curatori, è stato oggetto di analisi svolte prevalentemente nell’ambito delle scienze sociali, con un approccio privo di profondità temporale. Affrontare la questione di quando, come e perché si è verificata la “grande divergenza” tra Oriente ed Occidente e chiedersi per quali motivi i centri della produzione di tessuti in cotone si spostano da est ad ovest è, in questa prospettiva, un modo per riportare la storia ad una prospettiva globale. All’inizio del Cinquecento, quando i primi navigatori europei si affacciarono sull’Oceano indiano, i tessuti in cotone erano al centro della attività manifatturiera del subcontinente ed alimentavano una rete di traffici a lunga distanza che si estendeva dall’Indonesia e dal Giappone sino all’Arabia e alle coste dell’Africa. Nel commercio di questi prodotti erano coinvolti una moltitudine di intermediari e reti commerciali ben più ampie di quelle formate dalle comunità mercantili originarie dell’India. Lo scambio tra i tessuti di cotone indiani e le spezie era, come scoprirono ben presto i colonizzatori europei, un passaggio chiave nella lunga catena di transazioni che legava l’Insulindia, l’Asia meridionale, il Vicino Oriente e, ultima e per lungo tempo marginale appendice di questo sistema di circolazione di beni e capitali, il Mediterraneo. Il crescente coinvolgi-mento in questi traffici delle compagnie commerciali anglo-olandesi nel corso del Seicento aprì nuovi sbocchi alla produzione indiana, ma ancora nel secondo Settecento, quando l’Inghilterra muoveva i primi passi nel processo di industrializzazione, si stima che nei paesi affacciati sull’Oceano in- tter SISE e l s new diano si concentrasse forse un quarto della produzione tessile mondiale e di una porzione ancora maggiore del commercio di questi beni. Il volume, aperto dall’introduzione dei curatori e dotato di una sezione iconografica che consente al lettore di cogliere appieno l’altissimo livello di qualità raggiunto dalle produzioni tessili dell’India moderna, si divide in tre parti. Nella prima, intitolata Regions of Exchange: Textiles in the Indian Ocean and Beyond, sono compresi i saggi di Anthony Reid, Southeast Asian Consumption of Indian and British Cotton Cloth, 1600-1850; Pedro Machado, Cloths of a New Fashion: Indian Ocean Networks of Exchange and Cloth Zones of Contact in Africa and India in the Eighteenth and Nineteenth Centuries; Joseph E. Inikori, English versus Indian Cotton Textiles: the Impact of Imports on Cotton Textile Production in West Africa; H.V. Bowen, British Exports of Raw Cotton from India to China during the Late Eighteenth and Early Nineteenth Centuries; Kaoru Sugihara, The Resurgence of Intra-Asian Trade, 1800-1850. La seconda parte del volume è dedicata al tema Regions of Production: Textiles in South Asia e si articola nei saggi di David Washbrook, The Textile Industry and the Economy of South India, 1500-1800; Ian C. Wendt, Four Centuries of Decline? Understanding the Changing Structure of the South Indian Textile Industry; Om Prakash, From MarketDetermined to Coercion-Based: Textile Manufacturing in Eigheenth-Century Bengala; Lakshmi Subramanian, The Political Economy of Textile in Western India: Weavers, Merchants and the Transition to a Colonial Economy; Bishnupriya Gupta, Competition and Control in the Market for Textiles: Indian Weavers and the English East India Company in the Eighteenth Century. Nella terza ed ultima parte della raccolta, Regions of Change: Indian Textiles and European Development, la questione dei rapporti tra le produzioni tessili del subcontinente e le compagnie commerciali, i mercati ed i manufatti europei viene affrontata nei saggi di Giorgio Riello, The Indian Apprenticeschip: the Trade of Indian Textiles and the Making of European Cottons; George Bryan Souza, The French Connection: Indian Cottons and their Early Modern Technology; Bervely Lemire, Fashioning Global Trade: Indian Textiles, Gender Meanings and European Consumers, 1500-1800; Maxine Berg, Quality, Cotton and the Global Luxury Trade; Prasannan Parthasarathi, Historical Issues of Deindustrialization in Nineteenth-Century South India. Il Rinascimento italiano e l’Europa, opera in XII voll. diretta da GIOVANNI LUIGI FONTANA e LUCA MOLÀ, vol. VI: Luoghi, spazi, architetture, a cura di DONATELLA C ALABI e ELENA S VALDUZ, Costabissara (Vicenza) Treviso, Colla Editore - Fondazione Cassamarca, 2010. Il volume affronta il tema dell’architettura del Rinascimento a partire dall’analisi del modo in cui venne concepita l’organizzazione degli spazi e degli ambienti nei di- 26 versi contesti. I curatori si sono quindi posti il problema di confrontare i metodi ed i percorsi utilizzati per riorganizzare gli insediamenti e per elaborare nuovi modelli e nuove convenzioni formali, in grado di operare un recupero dell’eredità classica in forme adeguate ai contesti culturali e alle esigenze sociali del tempo. Una prima sezione dell’opera è dedicata alla città, ai modi di rappresentarla e descriverla, alle nuove fondazioni urbane e alle trasformazioni cui sono oggetto i centri tardomedievali. Si passa quindi a cogliere i nuovi modi di organizzare gli spazi urbani nelle nuove o rinnovate funzioni svolte durante l’età del Rinascimento, dallo scambio di beni e di denaro nei mercati, nelle fiere, nelle borse e nei fondaci, ai luoghi legati al potere, quali i palazzi pubblici o del governo, ai luoghi della cultura, i teatri, le biblioteche, le università e gli studi. Centri di elaborazione culturale, di sperimentazione e diffusione di nuovi linguaggi architettonici e visivi sono le corti, da quella papale ai circoli artistici che si riuniscono attorno a principi e signori italiani. Le grandi monarchie europee, in un secondo tempo, svolgeranno un ruolo di collegamento tra la cultura dell’umanesimo italiano e le tradizioni costruttive locali operando sintesi originali tra il gotico e il recupero della classicità. Particolare attenzione viene riservata alla affermazione e diffusione del palazzo, fattore di distinzione sociale e elemento chiave nei processi di trasformazione della ricchezza e del potere in prestigio e status sociale. L’influsso del Rinascimento si proietta anche fuori dal mondo occidentale, attraverso le descrizioi e le rappresentazioni dei centri urbani orientali ed extraeuropei. Una sezione a parte è stata riservata specificatamente all’architettura religiosa, dalla straordinaria fioritura della Roma capitale della Controriforma, alle diverse interpretazioni delle suggestioni italiane date nei paesi cattolici e riformati, per prendere quindi in considerazione le specificità dell’edilizia dei luoghi di pellegrinaggio. Aperto dall’introduzione di Donatella Calabi e di Elena Svalduz il volume si divide in sei sezioni. La prima, dal titolo La città e i suoi limiti, è formata dai saggi di Lucia Nuti, La rappresentazione della città: ricerche, soluzioni, prototipi; Donatella Calabi, Le città nuove in Europa; Elisabetta Molteni, Le cinte murarie urbane. Innovazioni tecniche per un tema antico. Ai Luoghi urbani di uso colletti- 27 vo è dedicata la seconda sezione, che comprende contributi di Evelyn Welch, Luoghi e spazi di mercati e fiere; Donatella Calabi, Le banche, le borse e le vie del denaro; Uwe Israel, Fondaci: città nelle città sulle sponde del Mediterraneo; Elena Svalduz, Palazzi pubblici: i luoghi di governo e le sedi dell’amministrazione cittadina; Maria Ida Biggi, Il teatro italiano e l’Europa; Elisabetta Molteni; Ospedali e ospizi: carità pubblica. La terza sezione, I luoghi del sapere, si articola nei saggi di Joseph Connors e Angela Dressen, Biblioteche: l’architettura e l’ordinamento del sapere; di Stefano Zaggia, Architetture universitarie: collegi per studenti e palazzi dello Studio; Rosella Lauber, «Dritto al mio studio»: un percorso dallo studiolo verso la galleria. Il tema della quarta parte è Le corti, con interventi di Monique Chatenet, La corte del re di Francia; di Fernando Marías, Il palazzo di Carlo V a Granada e l’Escorial; di Deborah Howard, «Un compendio del mondo intero»: l’architettura di corte nei paesi del Mare del Nord; di Marco Folin, La dimora del principe negli Stati italiani; di Andrea Spiriti, La corte dei governatori spagnoli a Milano; di Francesco Ceccarelli, Architettura, fortificazioni e città nei piccoli principati padani; di Claudia Conforti, La corte vaticana e le famiglie cardinalizie a Roma; di Maria Giuffrè, Nel Regno delle Due Sicilie. A Case, ville e quartieri degli stranieri è dedicata la quinta parte, con saggi di Bianca de Divitiis, I palazzi dei nobili e dei mercanti; di Howard Burns, Castelli travestiti? Ville e residenze di campagna nel Rinascimento italiano; di Donatella Calabi, La città degli ebrei in Europa; di Heleni Portfyriou, La presenza greca in Italia: chiese, confraternite, collegi; di Donata Battilotti, Una città internazionale: il caso di Livorno; di Jelle de Rock, Jeroen Puttevils e Peter Stabel, Stranieri ad Anversa: mercanti, commercio e luoghi commerciali, di Lud’a Klusáková, Lo sguardo dell’altro: l’Europa centrale e i Balcani. La sesta sezione, Architettura religiosa e luoghi dei pellegrinaggi, si articola nei saggi di Claudia Conforti e Micaela Antonucci, Architettura religiosa a Roma; di Gianmario Guidarelli, Le chiese in Europa; di Eva Renzulli, Pellegrini, pellegrinaggi e santuari cristiani, cui fa seguito l’atlante delle immagini e gli indici. EMANUELA SCARPELLINI, L’Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. IX-316. I beni di consumo sono apparsi a società diverse dalla nostra e, in particolare, a quelle non sviluppate, come l’aspetto più macroscopico ed anche più desiderabile della moderna civiltà occidentale. Tuttavia, nonostante la sua rilevanza e la sua pervasività, il tema ha ricevuto relativamente scarsa attenzione o, almeno, “non è stato considerato come una categoria autonoma degna di entrare nella ‘narrativa’ della storia contemporanea”. Questo è, invece, quanto si propone di fare l’Autrice che guarda al consumo come un elemento centrale nella vita del nostro Paese, dalla lotta contro la tter SISE e l s new povertà dei governi liberali postunitari, durante il fascismo (quando entra nella politica di italianizzazione del regime e nell’autarchia), nei lunghi decenni repubblicani, fino ad arrivare alle politiche del welfare e ai movimenti del consumo critico dei nostri giorni. La tesi centrale del libro è che “la cultura materiale legata ai consumi si è dimostrata in grado di strutturare la società, di marcare i confini di classe, genere, generazione e le differenziaioni regionali; ha avuto riflessi nel mondo dell’arte e della letteratura; è stata parte integrante dei processi di produzione economica, come pure del mondo commerciale; infine ha ispirato le politiche di governo”. Una storia dei consumi, dunque, che si snoda in parallelo con le grandi linee di sviluppo della storia politica, economica, sociale e culturale. A tal fine, l’Autrice si è concentrata principalmente sui beni materiali e in parte su quelli immateriali e i servizi, purché fossero davvero alla base della vita quotidiana; non si è limitata alla fase finale del consumo, l’acquisto e la ‘distruzione’ del bene, ricostruendone il ciclo completo - si vedano le pagine dedicate al mondo della produzione e agli spazi del commercio (mercati, negozi, botteghe, grandi magazzini); ha utilizzato una prospettiva interdisciplinare allo scopo di ricreare le molteplici sfaccettature delle pratiche di consumo; si è misurata con il carattere fortemente transanazionale del mondo del consumo (le merci circolano, le tecnologie si trasferiscono, i modelli e gli spazi di vendita si internazio-nalizzano, i consumatori si spostano). Riguardo, infine, alla questione se sia possibile parlare di una vera e propria rivoluzione dei consumi e, in caso di risposta affermativa, in quale periodo essa si collochi, ha individuato, più che un unico momento in cui i consumi “esplodono”, una serie di tappe significative tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XXI secolo. In altre parole, “come un filo rosso, i consumi corrono lungo tutte le vicende del paese, contribuendo a creare un’identità e a dare un linguaggio comune agli italiani”. THOMAS A. STAPLEFORD, The Cost of Living in America: A Political History of Economic Statistics, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, pp. 421. Si potrebbe dire che questo libro offre un resoconto affascinante delle trasformazioni storiche della filiera produttiva che collega la rilevazione, l’elaborazione e la pubblicazione di informazioni quantitative sul costo della vita negli Stati Uniti al loro uso amministrativo e consumo pubblico. Fuor di metafora, questa è una storia delle definizioni e degli impieghi mutevoli del principale indicatore statistico prodotto dal Bureau of Labor Statistics (BLS), vale a dire l’indice dei prezzi al consumo o Consumer Price Index (CPI), come venne infine denominato nel 1946. La storia delle statistiche sul costo della vita negli Stati Uniti è seguita da Stapleford a partire dalla costituzione del BLS nel 1884 in un contesto di crescente attenzione alle condizioni dei lavoratori da parte dei fautori delle riforme sociali. La prima guerra mondiale, favorendo l’ado- tter SISE e l s new zione generalizzata nelle industrie mobilitate di arbitrati salariali collegati all’indice nazionale dei prezzi, spinse il BLS a concentrare la propria attività sulla produzione di dati su salari e prezzi utili come punto di riferimento nelle relazioni industriali. Tuttavia, il rudimentale sistema di concertazione industriale emerso durante la guerra finì per disgregarsi rapidamente una volta chiusa la fase di emergenza legata al conflitto. Solo con la Grande Depressione e con l’affermarsi di una interpretazione sotto-consumistica della crisi, le statistiche federali dei prezzi recuperarono una funzione cruciale per la definizione delle politiche economiche di sostegno alla domanda avviate con il New Deal, favorendo nuove dotazioni di bilancio e una completa riorganizzazione del B LS . Durante la seconda guerra mondiale, emerse una contraddizione nell’uso fatto delle statistiche del costo della vita sia per adeguare i salari che per monitorare l’inflazione, che fu all’origine di un’aspra polemica tra il sindacato e gli uffici statistici governativi. Nel tentativo di evitare l’insorgere di conflitti simili, nel dopoguerra venne dato un nuovo nome all’indice dei prezzi (CPI) e furono istituiti due commissioni parallele, una per i sindacati (LRAC) e l’altra per gli industriali (BRAC), cui furono affidati compiti consultivi sull’attività del BLS. Questi sviluppi andarono di pari passo con l’introduzione di clausole di indicizzazione dei salari al costo della vita (cost-of-living adjustment, COLA) nei contratti di lavoro riguardanti le grandi imprese fortemente sindacalizzate. Nei decenni successivi, gli usi amministrativi dell’indice dei prezzi si estesero dalle relazioni industriali ai programmi sociali federali (pensioni e sussidi) e alle politiche fiscali, mentre la crescente attenzione della teoria economica per gli aspetti relativi alla crescita favorì fondamentali cambiamenti nella stessa concezione dell’indice. Al dibattito teorico sul concetto di indice dei prezzi come misura del prezzo variabile di un ammontare costante di beni, piuttosto che di una utilità costante per il consumatore, Stapleford dedica pagine notevoli per la capacità di evitare tecnicismi senza semplificare eccessivamente i termini della questione. Data la natura interdisciplinare del suo oggetto, il libro deve tenere assieme diversi approcci specialistici, ricorrendo a una letteratura che spazia dalla storia dell’amministrazione a quella del lavoro, fino alla storia del pensiero economico e statistico. Dal punto di vista teorico, i riferimenti vanno dal dibattito storico e filosofico sulla quantificazione e sull’oggettività fino alle recenti discussioni in ambito economico su possibili misure alternative della ricchezza e del reddito. Le precedenti ricostruzioni della storia del Bls sono poste sotto attento scrutinio, spesso proponendo spiegazioni alternative dei fatti fondate su nuove fonti primarie, comprendenti documenti ufficiali, corrispondenza privata e archivi di storia orale. Stapleford mette abilmente insieme questi materiali per ottenere una 28 thick description di come l’indice del costo della vita sia stato costruito e modificato nel tempo. La ricostruzione che il libro propone di questi sviluppi costituisce un caso di studio esemplare dell’emergere degli indicatori statistici in quanto strumenti privilegiati per la razionalizzazione del governo dell’economia in America. Stapleford spiega bene come, a fronte di una crescente concentrazione del potere a livello federale nel corso del Novecento, il ricorso ai dati quantitativi abbia potuto fornire un espediente per depoliticizzare l’intervento dello Stato nella vita economica, offrendo al tempo stesso un comodo mezzo per limitare i conflitti all’interno di un quadro fortemente regolamentato. Il vero scopo del libro è però di mostrare la natura contingente di questa strategia, inevitabilmente legata alla contraddizione implicita nel tentativo di usare le statistiche come strumento per depoliticizzare le questioni più scottanti, facendone allo stesso tempo uno degli elementi più rilevanti per le stesse scelte politiche. Le ambiguità che caratterizzano la definizione statistica di concetti come il costo della vita emergono ogniqualvolta questi vengono utilizzati in termini operativi, mostrando le conseguenze politiche di quelle stesse definizioni e dando origine a polemiche che finiscono per mettere in discussione i loro presupposti metodologici. Da questo punto di vista, il sottotitolo corrisponde in pieno al contenuto del libro, che è davvero una storia politica delle statistiche economiche, capace di mostrare quanta politica c’è dentro la costruzione statistica degli indici dei prezzi. La soluzione che Stapleford propone per risolvere operativamente il problema di questo ambiguo rapporto tra statistica e politica consiste nel riconoscere esplicitamente la necessità di tener conto appunto del significato politico di scelte che a prima vista potrebbero sembrare di pertinenza esclusivamente tecnica. Per farlo, ritiene necessario da un lato coinvolgere istituzionalmente le “parti sociali” nella costruzione delle statistiche pubbliche, e dall’altro lavorare sulla formazione universitaria degli statistici e degli econometristi, che dovrebbe fornire loro non solo competenze tecniche specifiche, ma anche la capacità di riconoscere le modalità con cui posizioni ideologiche o scelte politiche possono giungere a influenzare procedure di calcolo apparentemente neutrali. A questo scopo, la storia delle scienze sociali e dei loro artefatti concettuali può fornire una palestra insostituibile. DONATELLA STRANGIO, Decolonizzazione e sviluppo economico. Dalla Cassa per la circolazione monetaria della Somalia alla Banca nazionale somala: il ruolo della Banca d’Italia (1947-1960), Milano, Franco Angeli, 2010, pp. 95. Sia gli storici che gli economisti hanno mostrato in questi ultimi anni un rinnovato e significativo interesse per le vicende coloniali del nostro Paese, non più focalizzato 29 sulla politica espansionistica ottocentesca o sull’imperialismo fascista. Con un approccio volto a tener conto, da un lato, del punto di vista dei territori africani, dall’altro, delle dinamiche e degli equilibri politici ed economici internazionali, si sono affermati nuovi indirizzi tematici e differenti metodologie. L’attento studio di Donatella Strangio, che si avvale delle fonti conservate presso l’Archivio Storico della Banca d’Italia e si inserisce nel filone di ricerche volto ad indagare i meccanismi di funzionamento propri del sistema coloniale, mira a ricostruire alcuni decisivi passaggi del processo di decolonizzazione somalo, in particolare la questione monetaria, per certi versi cruciale dell’amministrazione fiduciaria italiana fra il 1950 e il ‘60. In tal modo, il ruolo della nostra Banca centrale viene letto nel quadro della riorganizzazione del sistema monetario della Somalia, delle relazioni fra i due Paesi, del contesto internazionale e dei cambiamenti nell’economia mondiale del secondo dopoguerra, i cui effetti si fanno oggi sentire sul processo di globalizzazione. L’Autrice si sofferma sulla storia della presenza bancaria italiana in Somalia, sui rapporti fra le nostre istituzioni e quelle del paese africano, sulle scelte politico-monetarie italiane durante la ricostruzione e il primo miracolo economico ed evidenzia come tutto ciò non avvenga in maniera lineare e priva di zone d’ombra. Nonostante la scelta della Banca d’Italia di creare in Somalia un sistema monetario stabile e un istituto centrale che fosse espressione delle forze locali e in cui la popolazione autoctona potesse riconoscersi, pesarono negativamente la precaria situazione dell’economia reale somala e la volontà del governo di controllare la nuova banca di emissione. Malgrado i miglioramenti realizzati dalla Somalia nel decennio preso in esame, la storia dell’impegno italiano nell’ultimo periodo dell’amministrazione coloniale appare quella di un insuccesso economico, legato alla realtà somala, alle caratteristiche del mandato ricevuto dall’ONU, al clima internazionale influenzato dalla guerra fredda. Del resto, come ben chiarisce il lavoro, l’Italia vi era ritornata senza alcun preciso disegno di ordine politico, economico e sociale, il che originò difficoltà, incertezze e ritardi nelle decisioni assunte a Roma, tanto più che i nostri interessi economici in Somalia erano alquanto scarsi e non tali da giustificare da soli una politica di aiuti (tutte le attività produttive, sia agricole che industriali, erano andate distrutte durante il conflitto e la presenza italiana non superava le 5.000 unità). In ultima analisi, la restituzione, in amministrazione fiduciaria, della Somalia all’Italia ebbe “il carattere di un compenso psicologico e di prestigio di fronte alle nazioni vincitrici e fu alimentata da motivi ideologici e tradizionali più che economici”. Come ha osservato Angelo Del Boca, era “un mediocre esame di riparazione (…) per dimostrare al mondo che eravamo in grado di inaugurare nel paese una politica nuova, non più di sfruttamento, ma di collaborazione. Il nostro successo in Somalia ci avrebbe offerto il miglior ti- tter SISE e l s new tolo per una pacifica penetrazione in Africa”. Le cose andarono, invece, diversamente e – conclude l’Autrice - la regione “ancora reca, oltre alle cicatrici della presenza italiana, anche le tracce dei suoi errori, del suo dilettantismo, tutti elementi che hanno contribuito a rendere più intricata la matassa del Corno d’Africa”. DONATELLA STRANGIO, Turismo e sviluppo economico. Latina e il suo territorio, Roma, Casa Editrice Università La Sapienza, 2008, pp. 271. Nella storia dell’Italia repubblicana e delle diverse direttrici di sviluppo che si sono succedute, il turismo si presenta “come mediatore glolocal dei problemi di crescita produttiva ecosostenibile e diffusa sul territorio del cosiddetto made in Italy degli anni Duemila”. Il settore, però, nonostante sia sostenuto da enormi potenzialità competitive, richiede, per espandersi ed esercitare appieno la propria azione propulsiva, “una trasversalità degli indirizzi normativi e delle azioni (dalla formazione al marketing, dalle politiche per gli ostelli alla tutela dei prodotti tipici, dall’ecosostenibilità alla promozione della certificazione)”. L’Autrice ha ben presente tutto questo e ricostruisce il turismo nella provincia di Latina che costituisce un interessante case study; analizza i diversi segmenti e le rispettive potenzialità di espansione, mettendo in evidenza la complessità del fenomeno. Nelle Note introduttive si sofferma sulla ricerca e la definizione di una regione – il Lazio – e sul ruolo dei suoi “territori”; a queste seguono: Da Littoria a Latina, L’organizzazione istituzionale del turismo; Il turismo e le caratteristiche della provincia di Latina; Il fenomeno turistico nella provincia di Latina e la sua evoluzione, capitoli corredati da tre appendici ricche di dati quantitativi. GIULIA VERTECCHI, Il «masser ai formenti in Terra Nova». Il ruolo delle scorte granarie a Venezia nel XVIII secolo, Roma, Università Roma Tre-Croma, 2009, pp. 195 Obiettivo del volume è di mettere in luce che il sistema di stoccaggio del grano, oltre ad essere regolato dagli indirizzi della politica economica, si basava su aspetti tecnici e su figure professionali altamente specializzate. La costituzione delle scorte granarie, strettamente connessa alle caratteristiche del territorio e alle scelte del governo in materia di politica economica, permetteva di compensare le fluttuazioni dovute all’imprevedibilità dei raccolti quando ad un’annata di abbondanza seguiva un’altra relativamente scarsa. Ma che cosa succedeva invece quando ad una congiuntura, di penuria o di abbondanza, ne seguiva un’altra uguale, evento tutt’altro che raro? Per quanto tempo si poteva conservare il grano e come avveniva la rotazione e il ricambio delle partite di grano nei magazzini? tter SISE e l s new Gli studi sull’annona si sono per lo più concentrati sulle crisi di sussistenza e sulle carestie che hanno afflitto le città: in tale prospettiva quindi il funzionamento dei magazzini e il ruolo delle scorte è stato visto come uno strumento di governo e un sistema, per sua stessa costituzione, sempre in perdita, perché finalizzato a vendere il grano a prezzo più basso di quello di mercato nei momenti in cui il prodotto scarseggiava. Poca attenzione è stata dedicata alle congiunture eccedentarie che si verificavano quando, alla sutura dell’anno agricolo, nei magazzini il livello delle scorte era ancora alto. Come smaltire il surplus e come evitare che il prezzo del grano scendesse con gravi conseguenze per l’economia? Il volume intende fornire, attraverso l’esempio di Venezia, elementi che possono contribuire a chiarire il complesso ruolo delle scorte. L’analisi si basa su una ricca documentazione d’archivio che è rimasta fino ad oggi per lo più inedita e che invece è di enorme valore, perché entra nel vivo della modalità di gestione delle scorte e rende conto degli ampi dibattiti che attorno a questo tema si sviluppavano in Senato. Nelle deliberazioni settecentesche del Senato e nelle scritture delle magistrature, vi sono chiari riferimenti al dibattito sulla libertà del commercio del grano rispetto al quale la Repubblica aveva adottato, come affermano i Provveditori alle Biave nel 1769, “un rimedio che è tutto suo”. Amministrare le scorte significava sostenere costi e rischi talvolta elevati: la deteriorabilità del grano, l’incertezza dei raccolti, la manutenzione dei magazzini, il personale, erano alcuni dei fattori con cui il governo si doveva costantemente confrontare. All’interno del complesso apparato amministrativo veneziano emergono impiegati e funzionari che ricoprivano cariche più o meno prestigiose e remunerative, tra le quali in particolar modo si distingue la figura di “masser ai formenti in Terra Nova”, ovvero l’amministratore di tutti i granai pubblici. A questa carica erano affidati compiti di grande responsabilità che comportavano un’alta preparazione tecnica: tra le sue competenze, la più rilevante era sicuramente quella legata alla conservazione del grano. La buona conservazione del grano era infatti una condizione indispensabile per la costituzione di consistenti scorte granarie. Nonostante questo argomento sia ben presente a che iunque si sia occupato di sistemi annonari o di commercio del grano, esso occupa spesso un posto marginale nelle trattazioni e non è sviluppato in tutte le sue implicazioni, forse anche per mancanza di una sufficiente documentazione archivistica di supporto. Eppure, disporre di qualità di grano idonee ad essere conservate per lunghi periodi di tempo piuttosto che di mediocre o cattiva qualità, influiva non poco nel determinare le decisioni e le strategie della politica economica. 30 EVENTI Reusing the Industrial Past. First joint conference of ICOTECH- TICCIH-Worklab. Tampere, Finland, 10- 15 agosto 2010 La città di Tampere, importante polo industriale legato alla produzione di energia idroelettrica e scenario di rilevanti casi di riuso e di valorizzazione del patrimonio industriale, ospita, nelle sedi dell’Università di Tampere e della Finlayson factory, la prima joint conference di The International Committee for the History of Technology History (ICOTECH), The International Committee for the Conservation of the Industrial Heritage (TICCIH) e Worklab - International association of labour museums. La cerimonia di apertura, che si terrà il 10 agosto presso l’Università di Tampere, avrà inizio con il discorso di benvenuto del, il professor Pertii Haapala, vice rettore dell’Università di Tampere e presidente del local organising committee; seguiranno le presentazioni di Icotech, TICCIH, Worklab. Ad introdurre il tema del convegno sarà la Kranzberg Lecture dal titolo Reusing the Industrial PastThe Challenges of Interpretations, presentata dal professor Hakon With Andersen (NTNU, Norway). I lavori avranno inizio il giorno 11 agosto e proseguiranno fino al giorno 15 agosto, integrando, alle oltre 90 sessioni parallele previste, la possibilità di conoscere e visitare il patrimonio culturale locale, tra cui Verla Mill, patrimonio dell’Umanità UNESCO, e di svolgere attività di workshop. Una joint conference dai contenuti ampi, volta ad accogliere i differenti approcci al tema di quasi 290 partecipanti, quali docenti, ricercatori e studenti, di provenienza europea ed extraeuropea. Ci limitiamo qui a dare conto della presenza di studiosi di università e istituti di ricerca italiani. La prima sezione W1 avrà inizio il giorno 11 agosto presso il Main Building dell’Università di Tampere; l’intervento conclusivo della sessione W1E, Room C8. In or out of the global box? Industrial heritage from different perspectives, organizzata da Gyorgyi Nemeth (University of Miskolc, Hungary) e da B. Smith (TICCIH Secretary, UK), sarà ad opera di Francesco Calzolaio (Venti di Cultura, Consorzio Venezia Nuova), che alle ore 9,30 presenterà Global Cultural Frameworks for Local Industrial Patrimony. Alla seconda sezione T1, che si terrà il giorno 12 agosto presso il Main Building dell’Università di Tampere, parteciperà Ciro Paoletti, con un intervento d’apertura della sessione T1B, Room A4: Symposium on the social history of military technology III, organizzata e presenziata da Barton C. Hacker (Smithsonian Institution, USA), presentando una relazione dal titolo Introducing Torpedoes in the Italian Royal Navy. 31 Parallelamente, si svolgerà la sessione T1C, Room C5 :Valuation and Reuse I, organizzata da Tuija-Liisa Soininen (Pirkanmaa Provincial Museum, Finland) e presieduta da Massimo Negri (European Museum Academy, The Netherlands), che, dalle ore 9, 30 alle ore 10,00 ospiterà interventi di: Mikko Järvi (City of Tampere, Finland), The History and Reuse of the Industrial Buildings on the Banks of Tammerkoski In the Centre of Tampere; Seija Linnanmäki (National Board of Antiquites, Finland), Architectural and Historical Values of the Technical Services in the Reuse of Industrial Buildings; Ulla Lähdesmäki e Vadim Adel (Pirkanmaa Provincial Museum, Finland), Archaelogical Approach to Reusing Industrial Past. Discussing the Valuation of the 19th Century Pulp Factory by the Tammerkoski Rapids; alla precedente, succederà la seconda sessione T2C: Valuation and Reuse II, dalle ore 10,30 alle ore 12,00, con interventi di Mark Watson (Historic Scotland, UK), Cotton Mill Cities and Power Canals in Scotland, Finland, Estonia and America; Maria Leus (Artesis University College Antwerp, Belgium), Reuse Concepts and Models as Instruments for Industrial Heritage Regeneration; Aida Štelbienè (Centre of Architecture, Lithuania), Emphasis on Sublime of Industrial Heritage- the Best Way for Its Reuse. Durante la sezione S1 conclusiva del convegno, che si aprirà il giorno 14 agosto alle ore 8.30, presso la Finlayson Area si terrà la sessione S1A. Narratives and experiences at the industrial museums, presso il Werstas Auditorium, e vedrà gli interventi di René Capovin (Fondazione Micheletti), Mirror effects. Advertising and Targets at the Museum; e di Rosaria de Fazio, che presenterà una relazione dal titolo The Museum of the Post Time after Time. Analogamente, Francesco Gerali (Accademia Luningianese di Scienze), parteciperà alle ore 9,00 alla sessione S1B. Technology of oil and gas II, presso la Vooninki Hall, presentando Hint on the Development of the Italian Oil Industry in the Emilian Apennines. European Business History Association, 14th Annual Conference, Glasgow, 26-28 agosto 2010. Il Centre for Business History in Scotland dell’Università di Glasgow ospita il quattordicesimo convegno annuale della European Business History Association, che si aprirà il 26 agosto presso la Lilybank House con la registrazione dei partecipanti, la riunione del Consiglio dell’Associazione, la reception e la cena sociale. Il 27 agosto i lavori avranno inizio con i saluti e l’apertura di Anton Muscatelli, Principal e Vice-Chancellor dell’Università di Glasgow, di Albert Carreras (Presidente EBHA, Università Pompeu Fabra, Barcellona), di Ray Stokes (Direttore del Centre for Business History in Scotland), per proseguire poi in più sessioni parallele. Ci limitamo qui a dare conto della presenza di studiosi di università e istituti di ricerca italiani. Alla prima sezione, che avrà ini- tter SISE e l s new zio alle ore 9,30 del 27 agosto, parteciperà alla sessione 1G. Embeddedness of firms Valerio Varini (Università Bocconi, Milano) con la relazione Firms and welfare: Company towns in Italy (19th-20th century). Alla seconda sezione, a partire dalle ore 11,30, parteciperanno nella sessione 2C: Philanthropy and entreprenurship I Monika Poettinger (Università Bocconi, Milano), From economy to philantropy and back: business organization in 19th century Milan; nella sessione 2F: Management, competitiveness and context, Alan Mantoan (Università Bocconi, Milano), Localizing scientific management: Alfa Romeo in southern Italy, 1838-1943; nella sessione 2G: Business operations in international context, Luciano Segreto (Università di Firenze), The international timber trade in Europe: organisational capabilities and business strategies, 1870-1939. Nella terza sezione, che si svolgerà nel pomeriggio dalle ore 14,45 alle ore 16,45 saranno presenti nella sessione 3A: Entrepreneurs, Statistics and the Problem of Uncertainty, Maria Letizia D’Autilia (ISTAT), Statistics. The Ideas and Actions of Giovanni Montemartini to Modernize Government e Simone Misiani (Università di Teramo), The culture of national accounting and the emergence of the “Southern Question” in Fascist Italy; nella sessione 3B: Aspects of Gender and Business History: 16th to 20th Centuries coordinata da Paola Lanaro (Università di Venezia - Ca’ Foscari) parteciperanno Andrea Caracausi (Università di Venezia - Ca’ Foscari), Disciplining work. Women and children in premodern Italy e Stefania Licini (Università di Bergamo), Behind the scenes: women in business in 19th century; nella sezione 3G: Business, politics and economic development Franco Amatori (Università Bocconi, Milano) e Daniela Felsini (Università di Roma) presenteranno una relazione dal titolo From corporations to agencies for Italy’s economic development: Iri (1950-1980). Il 28 agosto i lavori del convegno riprenderanno alle ore 9 con la quarta sezione alla quale parteciperanno nella sessione 4C: Business and fashion Carlo Belfanti (Università di Brescia), Renaissance and Made in Italy: History as an intangible asset for the fashion business; Francesca Polese e Marina Nicoli (Università Bocconi, Milano), Identifying an industry: the building of a successful international image of creativity: the case of italian fashion and cinema; Elisabetta Merlo e Mario Perugini (Università Bocconi, Milano), Pucci: the revival of a fashion brand as a collaborative innovation; della sessione 4D. European car multinationals and the crisis of the 1970 fa parte la relazione di Sigfrido M. Ramierz Pérez (Università Bocconi, Milano), The european automobile industry between economic crisis and european integration (1973-1981); la sessione 4F: Business and merchant networks in historical perspective: toward a formal approach presieduta da Andrea Caracausi (Università di Venezia - Ca’ Foscari) con discussant Giovanni Favero (Università di Venezia - Ca’ tter SISE e l s new Foscari) vedrà la partecipazione di Anna Moretti e Michele Tamma (Università di Venezia - Ca’ Foscari), Networks of complementarities. Alla sesta sezione, dalle ore 14,30 alle ore 16, nella sessione 6C: Not for profit sono raggruppati gli interventi di Riccardo Cella (Università di Verona), Accounting for philantropy: the development of accounting practices in the Italian non-profit sector e di Francesca Fauri (Università di Bologna), Non-profit aims in Italy’s industrial policy toward the engineering sector after the Second World War, mentre Francesca Polese (Università Bocconi, Milano) sarà discussant della sezione 6F: Retailing, licit and illicit e nella sessione 6G: Pictures and stories Marina Nicoli (Università Bocconi, Milano) presenterà la relazione The commoditization of images: the changing landscape of photojournalism. La sezione conclusiva, che si aprirà alle ore 16,30, vedrà Andrea Colli presiedere la sessione 7B: The family firm mentre nella sessione 7D: Politics, planning and industrial structures Fabio Lavista e Giandomenico Piluso (Università Bocconi, Milano) presenteranno la relazione Can managers ignore debts? Politics, planning and governance of state-owned firms in Italy, 1955-1981. International Symposium: Sesto San Giovanni. A History and a Future Industrial Heritage for the Whole World, Sesto San Giovanni, 24-26 settembre 2010. Si svolgerà a Sesto San Giovanni dal 24 al 26 settembre 2010 il Simposio Internazionale Sesto San Giovanni. A History and a Future Industrial Heritage for the Whole World organizzato e promosso dal Comune di Sesto San Giovanni e dal Comitato Sesto San Giovanni per l’UNESCO. I lavori si apriranno alle ore 9,15 di venerdì 24 settembre presso la Sala consiliare del Palazzo Comunale in Piazza della Resistenza, 5. Dopo i saluti di Felice Cagliari, Presidente del Consiglio comunale di Sesto San Giovanni e della Commissione consiliare speciale per l’UNESCO, avrà inizio la prima sessione dal titolo Per Sesto San Giovanni patrimonio mondiale dell’umanita. Il perimetro della candidatura e le parti costitutive del dossier, presieduta da Maria Bonfanti, Presidente del Comitato di sostegno e nella quale interverranno Federico Ottolenghi, (responsabile del progetto di candidatura, Città di Sesto San Giovanni), Louis Bergeron (Presidente onorario T ICCIH ), Jean-Daniel Jeanneret (La Chaux de Fons, Svizzera), Sachiko Ishibashi (Prefettura di Gunma, Giappone), Marie Patou (Bassin Minier Uni, Francia), Giovanna Rosa (Università di Milano), Adele Cesi (Ministero dei Beni e Attività Culturali). Nel pomeriggio l’attività convegnistica riprenderà con la seconda sessione Memoria del futuro: la città fra identità e sviluppo, presieduta da Monica Chittò (Assessore all’Educazione e Cultura, Comune di Sesto San Giovanni) e articolata attraverso le relazioni di Gianni Cervetti (Presidente della Fondazione ISEC), Alberto Bassi (Archivio Giovanni Sacchi), Paolo Cavallo (Galleria Campari), Anto- 32 nio Valentino (Presidente Istituto Spinelli), Angelo Cappellini (Società per le Belle arti ed Esposizione permanente), Renato Covino (Presidente AIPAI, Università di Perugia), Ewa Bergdahl (Capo dipartimento del pubblico dei musei svedesi), Belem Oviedo (Museo delle miniere di argento di Pachuca, Messico). Sabato 25 settembre i lavori riprenderanno alle ore 9 presso lo Spazio MIL - Archivio Giovanni Sacchi in via Granelli con la terza sessione, Il patrimonio industriale, una risorsa strategica per lo sviluppo urbano, presieduta da Demetrio Morabito (Vicesindaco e assessore all’urbanistica del Comune di Sesto San Giovanni). Sono previste relazioni di Fernando Barreiro (Responsabile scientifico del progetto europeo NET-TOPIC), Federico Oliva (Presidente INU, Politecnico di Milano), Giancarlo Consonni (Politecnico di Milano), Massimo Preite (TICCIH Board, Università di Firenze), Klaus R. Kunzmann (Technische Universität Dortmund), Carolina di Biase (Politecnico di Milano), Luciano Crespi (Politecnico di Milano). La quarta sessione, Un patto per il riuso, avrà inizio alle ore 14 e sarà presieduta da Maria Teresa Pontois (EHESS, Paris) con le relazioni di Carlo Lio (Milano Metropoli agenzia di sviluppo), Giovanni Luigi Fontana (Past President A IPAI , Università di Padova), Renzo Piano Building Workshop, Multiplicity Lav, Aspasia Louvi (Fondazione culturale della Banca del Pireo), Pierre-Antoine Gatier, (ICOMOS). Seguiranno le conclusioni di Giorgio Oldrini, Sindaco di Sesto San Giovanni, e alle ore 18 l’inaugurazione della sede della Fondazione ISEC a villa Mylius in Largo La Marmora. Domenica 26 settembre alle ore 10 si terrà una visita al patrimonio industriale di Sesto San Giovanni. Centro Interuniversitario di Ricerca per la Storia Finanziaria Italiana (CIRSFI), VIII Seminario, Cassino, 25-26 ottobre 2010. Il 25 e 26 ottobre 2010 si svolgerà, con il patrocinio della SISE, l’VIII Seminario CIRSFI organizzato in occasione del 150° anniversario dell’incontro di Teano (26 ottobre 1860) e in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Cassino. La giornata di studio si focalizzerà sulla situazione finanziaria delle diverse aree e regioni del nostro Paese a ridosso dell’Unificazione concentrandosi sull’impatto, le novità e le conseguenze di questo processo sui diversi contesti territoriali. CALL FOR PAPERS V Congresso dell’Associazione Italiana di Storia Urbana (AISU), Fuori dall’ordinario: la città di fronte a catastrofi ed eventi eccezionali, Roma, 8-10 settembre 2011. Al centro dell’attenzione del V Congresso dell’AISU dedicato al tema Fuori dall’ordinario: la città di fronte a 33 tter SISE e l s new catastrofi ed eventi eccezionali vi è tutto ciò che va a sconvolgere l’ordinaria amministrazione: non soltanto disastri naturali e fatti calamitosi, come terremoti, eruzioni e incendi, ma anche episodi di carattere eccezionale, come il trasferimento della capitale, il repentino mutamento di un quadro politico, l’assegnazione di un grande evento come olimpiadi, esposizioni universali. Quel che interessa non è tanto la descrizione dell’episodio in sé, quanto il meccanismo che ha consentito di fare fronte all’emergenza e il processo di adattamento che ne è seguito: ovvero le trasformazioni avvenute su più livelli (amministrativo/normativo, economico/sociale, fisico/edilizio) di fronte ad un mutato quadro di riferimento. Al centro dell’interesse, più che l’evento traumatico, vi saranno perciò le sue conseguenze soprattutto sul medio e sul lungo periodo. Formulata diversamente, la domanda di fondo può essere così riassunta: in che modo e con quale grado di profondità, l’episodio calamitoso o eccezionale ha modificato la città (o le città) non soltanto nei suoi indirizzi strategici e nei suoi meccanismi decisionali, ma anche nel suo assetto sociale ed economico, nella sua fisionomia bi e tri-dimensionale, nei suoi rapporti con l’intorno territoriale? Nell’ambito di questa tematica generale sono aperte Call for Session (scadenza 10 ottobre 2010) per le seguenti quattro sezioni in cui saranno divisi i lavori del Convegno: Geofisica e Vulcanologia) [email protected]; Melania Nucifora (Università di Catania) [email protected]. I disastri di origine naturale. Soprattutto se di elevata entità, distruzioni sismiche, eruzioni, maremoti e inondazioni assumono un forte ruolo periodizzante nella storia delle città. Tali impatti la riplasmano sul piano materiale e immateriale, costituendo importanti occasioni di ripensamento della sua stessa immagine; profilano nuove dimensioni (non sempre in senso migliorativo), facendo emergere in modi diversi l° identità locale, il rapporto fra i poteri, il dialogo fra culture urbane e comunità scientifiche. La sessione mira ad analizzare le risposte elaborate da istituzioni pubbliche, comunità, protagonisti privati di fronte alle calamità che colpiscono gli ambienti urbani: dal ridisegno della città ad eventuali politiche di prevenzione, dall’impatto economico e sociale a quello culturale, dal rapporto centro-periferia all’uso politico dei disastri. L’arco temporale è esteso dall’antichità ai giorni nostri. Possibili temi oggetto di sotto-sessioni verteranno sulla gestione dell’emergenza (gli aiuti, la solidarietà, il ruolo di città, stato, comunità internazionale), sulla ricostruzione (poteri straordinari, piani e progetti, trasformazioni urbane, urbanistica e prevenzione), sulla società postcataclisma (gli impatti sociali, politici e culturali della catastrofe), sulla percezione della catastrofe (premonizioni, credenze, responsabilità: dalla punizione divina alla lettura scientifica del rapporto uomo-ambiente). Coordinatori: Marco Folin (Università di Genova) [email protected]; Emanuela Guidoboni (Istituto Nazionale di Le congiunture. Rientrano fra i temi della sessione improvvise impennate o decrescite demografiche legate a epidemie, guerre e carestie o, ancora, crisi e boom congiunturali connessi all’inversione del ciclo economico generale e/o locale: i primi (gli shock demografici) in epoca medievale-moderna, le seconde (le congiunture economiche) su un arco cronologico anche contemporaneo. Al centro dell’interesse vi sono, ugualmente, cambi di rotta suscettibili di produrre ascese o declini di città-emporio e/o di città capolinea, colti nelle loro molteplici conseguenze sociali, economiche, politico-amministrative, architettoniche e materiali. Particolare attenzione sarà anche dedicata al ruolo dei fattori congiunturali nel sovvertire gerarchie urbane pre-esistenti o nel crearne di nuove.Vi rientrano boom e crisi demografiche legate a epidemie, carestie, o a fattori economici: le prime collocata in epoca medievalemoderna, i secondi su di un arco cronologico anche contemporaneo. Vi rientrano anche cambi di rotta alln:’origine di ascese e declini di città-emporio e/o di città capolinea. Coordinatori: Michela Barbot (Università Bocconi, Milano), [email protected]; Aldo Castellano (Politecnico di Milano) [email protected]; Paola Lanaro (Università di Venezia - Ca’ Foscari) [email protected]. Gli incendi. Il fuoco e gli incendi hanno avuto un grande impatto sulla storia delle città e rappresentano una costante di lunghissimo periodo che va dalla Roma di Nerone alla Londra del XVII secolo alla Dresda del secolo scorso. Trattare degli incendi urbani significa in primo luogo affrontare gli aspetti negativi del fuoco come elemento di distruzione. In proposito diversi sono gli approfondimenti possibili, dagli aspetti normativi e tecnici di prevenzione, alle cause degli incendi (che possono anche non essere casuali) e alla loro estensione, fino a un tema rilevante come la memoria e la rappresentazione (il fuoco nelle fonti iconografiche, narrative e nei più recenti dispositivi multimediali). Al tempo stesso però gli incendi, denotando una natura ambivalente, sono anche portatori di un aspetto positivo legato alla ri-costruzione. Al riguardo paiono di notevole interesse sia le ricadute economiche (nuovi edifici, assicurazioni ecc.) sia quelle politico-urbanistiche, visto che le distruzioni degli incendi offrono una delle occasioni più importanti per ridisegnare la città. Coordinatori: Andrea Caracausi (Università di Venezia - Ca’ Foscari) [email protected]; Luca Mocarelli (Università di Milano-Bicocca) [email protected]; Elena Svalduz (Università di Padova) [email protected] Gli eventi straordinari. La sessione si propone di studiare il rapporto tra città ed eventi straordinari e in particolare di osservare l’impatto di questi ultimi su un tter SISE e l s new ampio spettro di fenomeni urbani, tra i quali la costruzione fisica degli spazi e delle architetture, le forme dell’economia e della società, le forme della governance, l’uso e la percezione dei luoghi, i mutamenti delle culture e degli stili di vita, distribuiti nel lungo periodo fra medioevo e contemporaneità. Ci si propone in particolare di indagare: a) gli aspetti progettuali legati alla preparazione di un evento, risultato di programmi che già nella fase di ideazione si pongono, tra gli obiettivi generali, l’instaurazione di un carattere di straordinarietà; b) la circolazione dei possibili modelli organizzativi e di intervento e il diverso ruolo che eventi straordinari tra loro comparabili possono svolgere all’interno di diversi contesti locali; c) il rapporto tra le forme di razionalità legate all’evento straordinario e quelle legate all’ordinario e il modo in cui queste si influenzano e si intrecciano reciprocamente. Tra i possibili oggetti di interesse si segnalano: il trasferimento o la creazione di città capitali; le esposizioni universali, mondiali o nazionali; i grandi eventi sportivi; le fiere e altre grandi manifestazioni commerciali; i grandi eventi collegati alla sfera religiosa; le grandi manifestazioni culturali. Coordinatori: Filippo De Pieri (Politecnico di Torino) [email protected]; Roberta Morelli (Università di Roma - Tor Vergata) [email protected]; Donatella Strangio (Università di Roma - La Sapienza) [email protected]. Le guerre, le rivoluzioni, le invasioni. Gli eventi straordinari attinenti alla sfera politica e militare pongono le città e i loro abitanti di fronte a situazioni eccezionali e spesso drammatiche. Al tempo stesso, essi possono produrre fermenti di innovazione di natura sia teorica che pratica e determinano processi di adattamento e trasformazione a livello economico, sociale, culturale e amministrativo, oltre che nella struttura fisica degli aggregati urbani. Oggetto della sessione sono dunque le rivoluzioni (intese in senso ampio, comprendendo anche quelle economiche, legislative e/o di riforma religiosa) e i cambi di regime, le perdite e/o acquisizioni di nuovo status, le invasioni, i saccheggi, le occupazioni militari, i bombardamenti, le guerriglie, gli attentati e gli atti terroristici, considerati nelle loro complesse relazioni con i contesti urbani e con la vita dei cittadini. Ritrovare le tracce delle mutazioni dovute a questi eventi, nel breve e nel lungo periodo, richiede infatti una riflessione intorno ai temi proposti, ricchi di contaminazioni e che possono spaziare dall’età dei miti agli eventi degli anni recenti, sia intrecciando meccanismi, processi e forme degli stessi sia affrontando i nodi del dibattito delle avvenute mutazioni. Coordinatori: Bruno Bonomo (Università di Roma La Sapienza) [email protected]; Maria Luisa Neri (Università di Camerino) [email protected]; Gian Luca Podestà (Università di Parma) [email protected]. 34 VIII Congresso dell’Associazione Internazionale per la Storia delle Alpi (AISA), Terre alte, terre basse: storia delle disparità, Ascona - Monte Verità (Svizzera), 17-19 agosto 2011. Quando, nel 1934, il geografo francese Jules Blache pubblicò il suo studio pionieristico L’homme et la Montagne, espresse il suo scetticismo in merito alle prospettive di sviluppo delle regioni di montagna. Egli credeva che alcune delle loro caratteristiche e, soprattutto, i loro aspri rilievi rappresentassero un impedimento per la loro economia e le comunicazioni. Inoltre, questi svantaggi sarebbero cresciuti nel tempo, in particolare durante il processo di modernizzazione, accentuando le disparità tra le terre alte e le terre basse, tanto che: “Dopo aver svolto, agli inizi dell’insediamento, un ruolo preponderante, sembra che le montagne siano state trascurate dagli uomini.” Sulla scia di J. Blache, numerose inchieste si sono occupate delle disparità tra le terre alte e le terre basse. Studi recenti suggeriscono che la tesi di Blache rimanga un valido punto di partenza per ulteriori interrogazioni. Essa fa scaturire una serie di interessanti questioni tra cui: le disparità tra le terre alte e quelle basse sono aumentate nel tempo e come si possono verificare queste tendenze? Ci sono significative controtendenze a livello micro, meso o macro? Come appaiono le disparità tra terre alte e terre basse se confrontate con altre disparità (zone rurali/urbane, costiere/dell’entroterra, deserte/umide, ecc.?) Quali sono le implicazioni delle disparità fra terre alte e terre basse nell’ambito politico e culturale? L’ottava conferenza dell’Associazione Internazionale per la Storia delle Alpi ha lo scopo di dare risposta a queste domande articolandole in diversi campi e in diverse dimensioni cronologiche e geografiche. 1. Ambiti: i contributi possono riguardare, per esempio, la demografia, l’urbanizzazione, l’economia ed estendersi alla politica e alla cultura (o viceversa). 2. Cronologia: gli interventi possono riguardare differenti periodi storici e prendere in esame periodizzazioni di lungo termine o rapidi cambiamenti e repentine evoluzioni nel corso di brevi periodi storici. 3. Geografia: le presentazioni possono trattare di disparità regionali nelle Alpi e nei loro dintorni, nei sistemi montuosi europei, anche con indirizzi intercontinentali e globali. Nel suo insieme, il Convegno intende essere un momento di indagine e fornire un importante punto di vista sia per gli studiosi/ricercatori che per il grande pubblico. Esso si svolgerà ad Ascona (Monte Verità), dal 17 al 19 agosto 2011. Vi invitiamo a trasmetterci la vostra proposta che dovrà consistere in un titolo e in un testo di 2.500 caratteri entro il primo dicembre 2010 a: [email protected]. Ai relatori invitati saranno rimborsate le spese di viaggio e soggiorno proporzionalmente alle risorse finanziarie a disposizione degli organizzatori. 35 tter SISE e l s new RICORDO DI ENRICO STUMPO Si è spento il 13 giugno, per una malattia che lo aveva costretto al pensionamento anticipato nel marzo scorso, l’amico e collega Enrico Stumpo, studioso acuto e dotato di insaziabile curiosità intellettuale, docente disponibile e dalla efficace comunicativa, animatore instancabile di iniziative scientifiche e culturali, uomo dalla cordialità prorompente ma garbata, appassionato e sincero, sensibile e generoso. Era nato nel 1946 da una famiglia di origini siciliane; dal padre, Tenente Colonnello della Marina Militare, aveva ereditato un grande amore per il mare e la vela. Lascia la moglie Irene Cotta, i figli Elisabetta e Michele e la nipotina Viola. E lascia un vuoto incolmabile, scientifico e affettivo, in tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato e che con lui hanno condiviso il senso dell’impegno del mestiere di storico. Enrico Stumpo si era formato alla scuola di grandi storici: Rosario Romeo, col quale si era laureato nel 1969; Armando Saitta, che aveva frequentato nei cinque anni di permanenza all’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea; Marino Berengo, al quale lo legava un rapporto profondo di stima e di amicizia; Alberto Tenenti e Fernand Braudel, con i quali aveva collaborato a Parigi con una borsa di studio del CNR nel 1981. Dopo una breve esperienza di insegnamento nei licei e un periodo di lavoro negli Archivi di Stato di Torino e Firenze, nel 1978 aveva iniziato la sua carriera accademica insegnando Storia Economica all’Università di Sassari dapprima come professore incaricato, poi come associato e infine come professore ordinario. Dal 1988 è stato docente prima di Storia economica e poi, dal 2001, di Storia moderna presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo dell’Università di Siena. I suoi interessi di ricerca lo hanno condotto ad approfondire temi quali la fiscalità dello Stato Pontificio, lo sviluppo dello Stato Sabaudo, il primato dell’economia italiana nella prima età moderna, la storia della medicina con particolare riguardo alla malattia mentale, la storia militare intesa anche dal punto di vista politico, economico e sociale, con un taglio di carattere interdisciplinare. Oltre a nume- rosi saggi sulle principali riviste storiche, in atti di convegno o in volumi collettanei, si possono ricordare le monografie Finanza e Stato moderno nel Piemonte del Seicento (Roma, 1979), Il capitale finanziario a Roma tra Cinque e Seicento (Milano, 1985), I bambini innocenti: storia della malattia mentale in età moderna (Firenze, 2000). È stato inoltre autore di apprezzati manuali di storia per la Scuola Media Inferiore (La memoria e la storia), gli Istituti Tecnici e i Licei (Le parole della storia; Nuova storia) e l’Università (Il mondo moderno). A partire dall’importante seminario di riflessione sulle problematiche degli Antichi Stati italiani tenuto presso l’abbazia di Farfa sul finire degli anni Settanta, Enrico Stumpo ha dato prova di notevoli capacità di organizzatore culturale: socio della SISE fino dalla sua fondazione, è stato eletto nel Consiglio direttivo per due quadrienni (1993-96 e 20012004) sotto la presidenza di Antonio Di Vittorio; fondatore e animatore del Centro Interdipartimentale per lo Studio delle Malattie Mentali presso l’Università di Siena; fondatore, nel 2003, e per un biennio vicepresidente della Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna (SISEM); membro del CIRSFI, Centro Interuniversitario per la Storia della Finanza Pubblica; socio della Deputazione di Storia Patria della Toscana; membro del comitato scientifico della Fondazione Mario Tobino; nel comitato scientifico della rivista «Studi storici Luigi Simeoni»; fondatore e coordinatore degli Annali di storia militare europea «Guerra e pace in età moderna», edita da FrancoAngeli con il contributo del Dipartimento di Studi storico-sociali e filosofici di Arezzo. Grande attenzione Enrico Stumpo ha sempre generosamente prestato ai giovani studiosi: moltissimi di loro hanno avuto modo di apprezzare il suo costante incoraggiamento e le innumerevoli occasioni di sostegno alla ricerca che ha saputo organizzare, anche come impegnato docente del Dottorato in Storia Economica con sede presso l’Università di Verona. Per questo, a lui sarà dedicata l’iniziativa “Attraverso la Storia” organizzata dalla S ISEM presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo nei giorni 23, 24 e 25 Settembre 2010: tre giornate nelle quali presenteranno le loro ricerche ben ottanta giovani dottori in storia. tter SISE e l s new PATRIMONIO INDUSTRIALE – A. IV N. 5/2010 RIVISTA SEMESTRALE DELL’AIPAI È finalmente nata la nuova rivista sul patrimonio industriale italiano, “Patrimonio Industriale”, rivista semestrale dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale-AIPAI, diffusa inizialmente come notiziario on line e dal n. 4/2009 edita a stampa dalla casa editrice Crace di Perugia. Questo nuovo numero della rivista, che si è ora dotata di un comitato scientifico internazionale, si apre con un editoriale di Roberto Parisi su Archeologia industriale, beni culturali e turismo, mentre la parte monografica, curata da Roberto Giulianelli, è dedicata al tema Economia e architettura del mare. Cantieri navali, arsenali e porti nell’Italia del XIX-XX secolo con saggi di Francesca Castanò (Castellammare), Sara De Maestri (La Spezia), Pasquale Ventrice (Venezia), Renato Covino con Antonio Monte (Taranto e Brindisi), Marco Doria (Genova), Angelo Nesti (Livorno), Giulio Mellinato (Monfalcone) e lo stesso Giulianelli sul cantiere e il porto di Ancona. Seguono, nella rubrica “Salvaguardia e tutela”, i saggi della De Maestri su Sistemi Informativi Integrati per la salvaguardia del patrimonio industriale ligure, un interessante sollecitazione critica della giovane storica Ewa Kawamura sul patrimonio industriale alberghiero giapponese e un articolo di AntoConsiglio direttivo della SISE Prof. Antonio Di Vittorio, Presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Bari Prof.ssa Paola Massa Piergiovanni, Vice-presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Genova Prof. Andrea Leonardi, Vice-presidente. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Trento Prof. Nicola Ostuni, Segretario. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Catanzaro Prof. Carlo Marco Belfanti, Tesoriere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Brescia Prof. Giovanni Luigi Fontana, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Padova Prof. Paolo Frascani, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Napoli “L’Orientale” Prof. Angelo Moioli, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Prof. Giampiero Nigro, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Firenze Collegio dei Revisori dei Conti Prof. Luciano Palermo. Associato di Storia Economica presso l’Università “Guido Carli” di Roma Prof.ssa Paola Pierucci. Ordinario di Storia Economica presso l’Università di Chieti, sede di Pescara Prof. Mario Taccolini, Ordinario di Storia Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia Presidenza Università di Bari, Dipartimento di Studi Europei - Sezione di Storia Economica, via Camillo Rosalba 53, 70124 Bari; tel. 080 504 92 26; fax 080 504 92 27 36 nio David Fiore sul regolatore di luci del Teatro dell’Opera di Roma. Nella rubrica “Itinerari e destinazioni”, Manuel Ramello propone alcune schede sugli interventi di recupero architettonico e urbanistico condotti sul patrimonio industriale esistente nel quartiere Poblenau di Barcellona, mentre la nuova rubrica “Heritage Forum”, curata da Massimo Preite e destinata a raccogliere contributi di esperti stranieri nel settore, viene inaugurata con un saggio di Miljenco Smokvina, della Society for Promoting and Preserving Rijeka’s Industrial Heritage, sulla storia della fabbrica di siluri di Rijeka in Croazia. La seconda parte della rivista, come di consueto e sempre all’interno di spazi dedicati, raccoglie più brevi articoli e segnalazioni su tesi di laurea discusse negli atenei italiani (Claudio Cordella e Carmelina Amico sul Canapificio di Crocetta al Montello), su archivi e musei (Concetta Damiani sull’archivio della Camera di Commercio di Napoli e Claudia Bottini con Chiara Berichillo sul Museo del Vetro di Piegaro), ai quali si aggiungono alcune rassegne sulle risorse on line (Maddalena Chimisso sugli archivi digitali), su convegni e mostre organizzate nel corso nell’ultimo semestre e su “libri e segnalazioni”. Infine, il numero si chiude con alcune riprese di Mario Ferrara nei siti di Sparanise (Caserta, stabilimento Richard Ginori) e di Falconara Marittima (Ancona, stabilimento ex Montecatini). Comitato di redazione Giulio Fenicia, Giovanni Luigi Fontana, Renato Giannetti, Carlo Maria Travaglini Coordinatore Giovanni Luigi Fontana Redazione Università di Padova, Dipartimento di Storia, Via del Vescovado 30, 35141 Padova; tel. 049 827 85 01 / 85 59; fax 049 827 85 02 / 85 42 Segreteria di redazione: Francesco Vianello Hanno contribuito a questo numero: Guido Alfani, Cristina Badon, Erika Bossum, Andrea Caracausi, David Celetti, Riccardo Cella, Giuseppe De Luca, Giovanni Favero, Andrea Leonardi, Daniela Manetti, Federico Ottolenghi, Roberto Parisi, Anna Pellegrino, Roberto Pazzagli, Renzo Sabbatini, Mara Tommasi, Rosa Vaccaro, Giulia Vertecchi, Francesco Vianello. SISE Newsletter è pubblicata ogni 4 mesi: marzo, luglio e novembre. Tutti i soci della SISE la ricevono gratuitamente in formato elettronico. È inoltre disponibile sul sito internet della società: http://www.sisenet.it Pubblicazione quadrimestrale della Società Italiana degli Storici Economici Direttore Responsabile: Giovanni Luigi Fontana Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2226 Tip.: CLEUP sc, via G. Belzoni 118/3, Padova. Tel. 049 65 02 61