Il gioiello dell`Arco reale

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Il gioiello dell`Arco reale
Il gioiello dell’Arco reale
Antonello Zucco
La Massoneria azzurra non prevede un gioiello per i fratelli dei tre gradi. Distingue soltanto gli
Ufficiali di Loggia e di Gran Loggia che vengono insigniti del gioiello correlato alla carica che
ricoprono e autorizzati a fregiarsene per il tempo del loro incarico. L’Arco Reale invece affida a
tutti i compagni che vi appartengono un gioiello che simbolizza la loro appartenenza a quest’Ordine
e che ne è rappresentativo nel suo complesso, distinguendo le cariche, ricoperte anche in
precedenza, soltanto attraverso i colori dei nastri che sorreggono il gioiello stesso e che permettono
ai compagni d’indossarlo.
I gioielli della Libera Muratoria risalgono al 1727, quando ai Maestri e ai Custodi delle Logge
veniva ordinato d’indossare «i gioielli della Massoneria appesi a un nastro bianco». La prima
autorizzazione a indossare un gioiello dell’Arco Reale, il distintivo dell’Ordine, una sua
rappresentazione grafica e una sua spiegazione illustrativa, risalgono invece al 1764, alla Charter of
Compact. Prima del 1764 e della Charter of Compact non esisteva in Inghilterra un vero e proprio
Ordine dell’Arco Reale. La Massoneria inglese a quel tempo era ancora divisa tra le Logge dei
Moderni e degli Antichi. I Moderni non avevano ancora istituito l’Ordine dell’Arco Reale, mentre
gli Antichi lo praticavano fin dal 1750 circa.
Tuttavia alcuni appartenenti alle Logge dei Moderni e soprattutto alcuni Grandi Ufficiali di quella
Gran Loggia avevano aderito all’ordine dell’Arco Reale, sia pure a titolo personale. Nel 1766
proprio alcuni Grandi Ufficiali della Gran Loggia dei Moderni allestirono un corpo che chiamarono
Grande e Reale Capitolo dell’Arco Reale di Gerusalemme. Il documento che istituì questo corpo fu
la Charter of Compact. Al margine di questo documento venne disegnata la forma e la figura che
doveva avere il gioiello con le relative spiegazioni. Il gioiello che appare per la prima volta in
questo documento è praticamente uguale a quello tutt’oggi in uso.
L’importanza che il gioiello rivestiva fin da quei tempi la segnala la seconda clausola della Carta,
mentre la prima determina i poteri del Deputy Grand Master in assenza del Gran Maestro. Altro
fattore che sottolinea l’importanza del gioiello è il fatto che viene menzionato prima ancora della
sciarpa e del grembiule. Ancor oggi, d’altra parte, durante il rito di esaltazione, il Primo Principale
appunta sul petto dell’esaltato prima il gioiello e poi lo cinge con il grembiule e la sciarpa
dell’Ordine.
Nel 1813 quando le due Gran Logge degli Antichi e dei Moderni si fusero nella Gran Loggia Unita
d’Inghilterra, l’Arco Reale venne riconosciuto come parte «dell’antica e pura Massoneria», e tutti i
compagni furono autorizzati a portare il gioiello che è da presumere fosse quello illustrato nella
Charter of Compact.
Il gioiello del Sacro Arco Reale di Gerusalemme è formato da un cerchio entro il quale si
intersecano due triangoli equilateri. Uno ha un vertice rivolto verso l’alto, l’altro verso il basso. I
triangoli così disposti originano un esalfa, spesso chiamato anche scudo o stella di David; ma il
nome con il quale è più conosciuto è quello di «Sigillo di Salomone». In fondo al cerchio vi è un
rotolo, sempre di metallo, al quale è attaccato un altro cerchio più piccolo che racchiude al suo
interno una triplice «Tau». Nel mezzo del cosiddetto sigillo di Salomone vi è un altro triangolo
equilatero più piccolo, con il simbolo del sole e del compasso che trattiene un globo. Completano il
gioiello alcune iscrizioni.
Il gioiello non fu rappresentato sempre nello stesso modo. Nel corso degli anni talvolta fu
interpretato in maniera diversa e presso il Museo della Gran Loggia Unita d’Inghilterra è possibile
vederne alcuni esemplari che differiscono notevolmente da quelli che siamo abituati a conoscere.
Tuttavia dopo il 1815 in Inghilterra, dall’ormai Gran Loggia Unita venne adottato definitivamente
quello che ho descritto e che ancora oggi usano tutti i compagni dell’Ordine, in qualunque paese del
mondo operino.
Il cerchio che circoscrive il cosiddetto sigillo di Salomone è nella Massoneria dell’Arco Reale il
primo simbolo: raffigura l’eternità che non ha inizio né fine e indica anche un Dio senza tempo. Ma
è originariamente pure immagine del sole, e diviene per questo simbolo dell’oro puro. John Read
sostiene che anticamente si pensava vi fosse un rapporto mistico tra il simbolo dell’oro puro e il
Tetragrammaton, il Nome Ineffabile. A livello popolare al cerchio venivano attribuite proprietà
magiche, cosicché bracciali, collane, anelli e cavigliere, ora indossati come ornamenti, erano in
origine considerati quali simboli che proteggevano dal male. Il cerchio era spesso rappresentato nel
passato come un serpente che si mangia la coda. Il serpente stesso è simbolo della vita e
nell’antichità doveva essere anche emblema della saggezza. Ancora oggi il ferma-cintura del
grembiule massonico conserva la forma di un serpente.
Il serpente che si mangia la coda e il cerchio sono simboli soprattutto della vita e della creazione,
dell’eternità e dell’immortalità e quindi dell’attività della saggezza divina. Filosofi e alchimisti
indagarono a lungo nell’antichità sulle proprietà e sull’essenza del cerchio e ne cercarono il
rapporto affascinante tra la sua circonferenza e il suo raggio per tentare di risolvere il famoso
problema della quadratura del cerchio. Ne abbiamo testimonianza in un testo del diciassettesimo
secolo di un importante alchimista Rosacroce, Michael Maier, che mostra uno studente mentre
manovra potenti compassi nell’atto di generare la quadratura del cerchio. Alcune illustrazioni
alchimistiche mostrano figure geometriche note al massone dell’Arco Reale. Queste illustrazioni
datano al 1620 circa, epoca di fondamentale importanza per la Libera Muratoria.
D’altra parte riferimenti al cerchio sono presenti nel rituale di esaltazione con una particolare
significazione. Il compagno Guardiano dice che il candidato spera di ottenere i privilegi di questo
Supremo Grado con l’ausilio del Circolo e del Triangolo, come dire la divinità e i suoi attributi e
poteri più completi. Il sigillo di Salomone è comparabile con le sei Luci che vediamo intorno
all’Ara del Tempio. La disposizione delle Luci maggiori rappresenta un triangolo equilatero con un
vertice rivolto verso l’alto, verso cioè i troni dei tre Principali. Le Luci minori formano anch’esse un
triangolo, anche se questo, pur avendo un vertice rivolto verso il basso, verso i Soggiornanti, in
effetti lo ha sul segmento che è la base del triangolo formato dalle Luci maggiori. Non è
esattamente un sigillo di Salomone, quanto piuttosto un pentalfa, quello che così si forma.
È utile precisare, con una notazione storica, la disposizione delle Luci maggiori e di quelle minori.
Ancora una volta è importante la distinzione che vi era in Inghilterra tra le Logge degli Antichi e
quelle dei Moderni prima del 1813. Mentre questi ultimi, infatti, avevano come emblema l’esalfa
che è rappresentanto nel gioiello, gli Antichi avevano come emblema il pentalfa. Può darsi che la
disposizione pentalfica delle Luci sia da attribuirsi a una sorta di riconoscimento anche della
simbologia di questi ultimi che così, in qualche modo, veniva rispettata e salvaguardata.
L’origine di ambedue i simboli è remotissima. Sappiamo però che l’esalfa è sicuramente un antico
emblema ebraico che si trova anche inciso nella fortezza di Meggido a Cana, costruita 800-1500
anni prima di Cristo, fortezza che doveva rivestire una grande importanza, visti i molti riferimenti
dei primi libri della Bibbia. Nella Massoneria azzurra il pentalfa è il simbolo del secondo grado e
rappresenta già la manifestazione dei poteri della divinità, rispetto invece al singolo triangolo,
semplice attestazione della stessa, che è presente nel grado di apprendista.
Tuttavia è importante sottolineare come i triangoli sovrapposti siano immagini tratte dall’alchimia,
dove probabilmente le ha tratte la Massoneria, e come anche la stessa alchimia le ha tratte da quel
gran corpo del sapere tradizionale che ha sempre attribuito proprietà sacre e magiche al triangolo e
in particolare ai triangoli sovrapposti, da tutti ritenuti simbolo della verità sempiterna della divinità,
che dispiegatosi dai Caldei attraverso i Pitagorici, è approdato infine al cristianesimo, all’interno del
quale questi divennero anche simboli di Cristo.
Il gioiello presenta due facce sulle quali sono riportate delle iscrizioni in latino, greco e inglese. Dai
regolamenti dell’Arco Reale non è possibile stabilire quale sia il diritto e quale il rovescio. Tuttavia
quello che portano i compagni dell’Arco Reale italiano, per come viene indossato e per il fatto che è
fissato al nastro in un certo modo, indica di fatto un diritto e un rovescio.
La faccia più importante, quella che chiameremo per brevità diritto, reca incise scritte che sono
senza dubbio più significative anche rispetto alla filosofia dell’Arco. Sul cerchio maggiore troviamo
incisa la seguente frase: «Si talia jungere possis sit tibi scire satis», che tradotta liberamente
significa: «Se puoi comprendere queste cose, conosci abbastanza». Sempre sul cerchio maggiore in
fondo è inciso «A.L.» e «A.D.», abbreviazioni di Anno di Vera Luce e Anno Domini, con uno
spazio riservato alla data massonica e a quella dell’era volgare, evidentemente, dell’esaltazione del
compagno.
Sul triangolo con un vertice verso l’alto, inscritto dentro il cerchio maggiore, troviamo riportate tre
parole che hanno lo stesso significato in greco, latino e inglese. In greco troviamo scritto
«Eurekamen», in latino «Invenimus» e in inglese «We have found» che significano «abbiamo
trovato»; sull’altro triangolo, quello che ha un vertice rivolto verso il basso, troviamo un’altra scritta
in latino su due lati, mentre il terzo è libero. La scritta è: «Cultor Dei» sul secondo lato e «Civis
Mundi» sul terzo. Sembra certo che su questo triangolo anticamente venisse riportato il nome del
compagno e che quindi l’iscrizione su tutto il triangolo venisse letta: «A.B. adoratore di Dio,
cittadino del mondo», intendendo quindi che il compagno dell’Arco Reale è un credente in Dio e
cittadino del mondo, e sottolineando con questo l’universalità della Massoneria e di quella
dell’Arco Reale in particolare.
Sul rotolo che divide il cerchio più grande da quello più piccolo, e intorno al cerchio piccolo stesso,
vi è un’altra iscrizione molto importante. «Nil nisi clavis deest» che può essere tradotta abbastanza
liberamente con: «Non manca nulla se non la chiave». E la chiave è evidentemente la triplice «Tau»
che è iscritta nel cerchio piccolo.
Vi è ribadita non solo la credenza nel G.A.D.U., ma viene affermato che il compagno esaltato è
stato trovato credente in Dio e cittadino del mondo. Anche la frase riportata sul cerchio maggiore è
di notevole importanza. «Se puoi congiungere queste cose, conosci abbastanza» ha una
significazione importante per colui che ricerca. Se ha già congiunto e compreso, almeno i simboli,
la sua conoscenza è tale che già di per sé è sufficiente. E tutto viene riconfermato dall’iscrizione sul
cerchio minore. Mentre sull’altra faccia, come vedremo, non presenta nessuna iscrizione, su questa,
invece, viene addirittura detto che nulla è possibile se manca la chiave. E la chiave stessa sembra
essere proprio la triplice «Tau».
Nella parte posteriore, in quella che chiameremo per brevità rovescio, appaiono le seguenti
iscrizioni: sul cerchio maggiore, entro il quale sono inseriti i due triangoli formanti il sigillo di
Salomone, vi è la scritta in latino: «Deo Regi Fratribus honor fidelitas benevolentia». Una
traduzione letterale è: «A Dio al Re ai Fratelli onore lealtà benevolenza». Una traduzione più libera,
ma più aderente, a mio avviso, al significato vero della frase potrebbe essere questa: «Onore a Dio
lealtà al Re benevolenza ai Fratelli», anche perché sappiamo che una frase simile: «Onore alla
Fratellanza reverenza a Dio onore al Re» era spesso scritta sugli antichi certificati di Loggia intorno
al 1800.
All’interno del cerchio, sul triangolo del quale uno dei vertici è rivolto verso l’alto, troviamo scritto,
sui lati: «pace concordia verità», mentre sul triangolo con un vertice rivolto verso il basso, troviamo
scritto: «saggezza forza bellezza». Non solo nelle Logge inglesi, infatti, ma anche e soprattutto nelle
nostre, la forza, la bellezza e la saggezza sono attributi conferiti alle tre colonne che sorreggono il
Tempio e cioé il Secondo Sorvegliante, il Primo e il Maestro Venerabile e sono gli attributi di
Ercole, Venere e Minerva che presiedono, nell’ordine, alle azioni dei tre Ufficiali della Loggia. Per
quanto riguarda il rituale dell’Arco Reale, la forza e la saggezza hanno riferimenti precisi, durante
la cerimonia di esaltazione, nelle letture del Vecchio Testamento. Per l’altra triade di parole, pace,
concordia e verità, non c’è un immediato riscontro nel rituale, anche se ogni tanto vengono
menzionate sia la pace che la concordia tra gli uomini come fattori importanti per la crescita
dell’Umanità e della Massoneria in particolare. La verità, pur non essendo menzionata, è tuttavia
uno dei tre grandi Principî sui quali si fonda l’Ordine.
Nel mezzo del sigillo di Salomone è visibile un triangolo, simbolo della divinità, sul quale poggia
un sole che sovrasta un compasso le cui aste trattengono un globo. È sempre la divinità che
attraverso i propri strumenti, rappresentati dal compasso, anch’esso in definitiva un triangolo aperto
all’infinito, e il sole, simbolo della vita, mostra la sua volontà creatrice con il globo, simbolo della
manifestazione.
Il rotolo che divide il cerchio maggiore o cerchio dell’Universo, dal cerchio più piccolo, che
racchiude la triplice «Tau», reca scritto in inglese sulla parte sinistra la parola «esaltato», mentre la
parte destra è lasciata in bianco evidentemente per potervi incidere la data di esaltazione del
compagno.
Il simbolo che ho lasciato per ultimo, quello che è considerato uno degli emblemi più importanti
della Massoneria dell’Arco Reale e del quale ho già detto che sul gioiello stesso viene considerato
come la chiave, è la triplice «Tau». Anticamente il «T» geroglifico stava ad indicare la divinità.
Nell’alfabeto greco, del quale è la diciannovesima lettera, era considerato un segno o simbolo della
vita, al contrario dell’altra lettera, foneticamente simile, «Thta», ottava lettera di quell’alfabeto, che
era invece considerata simbolo della morte.
Graficamente la «Tau» è una forma primitiva di croce ed era considerata simbolo sacro fin dai
tempi pagani, come sappiamo dai ritrovamenti archeologici, anche se le sue rappresentazioni spesso
sono delle varianti del simbolo stesso. Sembra addirittura che ne esistano oltre trecento, e una di
queste, lo swastika, in origine doveva essere anch’esso simbolo della divinità. La sua antichità è
confermata dai ritrovamenti di vecchie costruzioni caldee e delle rovine della Troia di 2500 anni a.
C..
In ebraico la parola «tau», che si pronuncia «tov», ha il significato di segnare, indicare, delineare e
anticamente i guerrieri che sopravvivevano onorevolmente alle battaglie potevano anteporre una
«T» al proprio nome come segno distintivo del loro valore e della loro salvezza. Nel rituale una tale
pratica viene menzionata proprio a proposito dei guerrieri, ai quali veniva imposta sulla fronte.
Tre «Tau» formano la triplice «Tau». Questa rappresentazione simbolica, così come la vediamo
oggi, non ci viene però dall’antichità: la sua nascita risale al 1820 circa (in realtà compare già nel
manoscritto Trinity College, catechismo massonico del 1711, sopra la scritta Under no less a
penalty, n.d.r.). Né deriva dalla semplice unione di tre «Tau». In origine, e comunque prima del
1800, la triplice «Tau» nasceva dall’apposizione di una «T» su una «H», maiuscole dello
stampatello latino. Uno dei significati possibili è quello che indicasse il «Templum Hierosolymae»
(il Tempio di Gerusalemme). Esistono anche documenti riguardanti questo simbolo che lo
raffigurano con l’aggiunta di una «E» che si diparte dall’asta destra della «H». In questo modo
verrebbe a significare «Templum Hierosolymae Eques», Cavaliere del Tempio di Gerusalemme o
Cavaliere Templare, come furono sempre definiti, ed era una forma di titolo che precedeva la firma
del Cavaliere.
Ancora potremmo ipotizzare che il «TH» stesse a indicare il «tesoro» e che la rappresentazione
grafica fosse essa stessa la «chiave». Sul gioiello infatti la scritta intorno alla triplice «Tau» indica
appunto la chiave. Nello stesso tempo il «tesoro» che è nascosto e la «chiave» che può far accedere
al tesoro medesimo, potrebbero suggerire anche il luogo dove si conserva il Sacro Nome, la «parola
sacra» per eccellenza, e la chiave per accedervi. D’altra parte tutta la simbologia dell’Arco riporta
alla «chiave». La chiave di volta, per esempio, che viene tolta, come è indicato nel rituale, e che
scopre la cripta dove in effetti è conservato il «Sacro e Mistico nome dell’Altissimo». La chiave è il
mezzo che l’iniziato deve usare per raggiungere le «verità», nascoste e soprattutto il Maestro
dell’Arco Reale che in tutta la Massoneria è l’unico che conosce la «parola perduta», perché la
ritrova, e che solo a quel punto riconosce la propria discendenza divina.
Lo stesso simbolo ebbe e ha particolare importanza anche per i cristiani, seppure con diversa
significazione. La «Tau» sulla «H» venne interpretata come l’unione mistica tra il Figlio e il Padre,
come pure finì per essere il simbolo geroglifico di Cristo, come testimoniano le innumerevoli
rappresentazioni che si trovano in tutta l’iconografia cristiana. È anche un simbolo che appare sulla
«stola» dei preti. Spesso la si trova unitamente all’agnello sacrificale che di per sé già il sacrificio di
Cristo. E i due simboli appaiono insieme sui vestimenti sacerdotali proprio nel periodo pasquale.
Così come la vediamo rappresentata oggi, la triplice «Tau» ha perso molto della figurazione della
«T» sulla «H». Ha preso un aspetto più geometrico, essendo cadute le terminazioni della «H» e
della «T». Tale trasformazione comincia a verificarsi intorno al 1817 e si conclude definitivamente
intorno al 1834-35, quando fu promulgato il nuovo rituale dopo la fusione delle due Grandi Logge.
Infatti, sebbene già s’incontri in alcuni documenti intorno al 1820, non sembra che avesse carattere
ufficiale prima dell’emissione dei nuovi regolamenti, nel 1830.
È possibile che questa definitiva trasformazione sia avvenuta, come altre che abbiamo già visto, in
relazione a tutto il movimento di pensiero che presiedette, dopo la unificazione degli Antichi e dei
Moderni, alla rivisitazione di Rituali e Regolamenti e che portò alla progressiva eliminazione di
tutte quelle parti che, erano marcatamente portatrici di elementi cristiani, perché provenienti più
probabilmente dalle Logge degli Antichi. Nel tentativo di rendere la Libera Muratoria il più
possibile svincolata da qualsivoglia religione i ritualisti e i costituenti si avvicinarono di più a una
linea della «Tradizione» che fosse senz’altro legata a quella antica del vicino Oriente e dell’area
mediterranea e che, proprio per questo motivo, fosse lontana anche filosoficamente dalle nuove, si
fa per dire, grandi religioni delle stesse aree, la cristiana cioè, e l’islamica. I continui riferimenti alla
Bibbia, infatti, più che essere ripresi dalla tradizione della religione ebraica, indicano invece proprio
quella «Tradizione» mediorientale mediterranea, che è alla base della spiritualità e della cultura di
tutti quei popoli che da queste aree trassero vita.
Evidentemente il gioiello di per sé è simbolo che rappresenta la chiave per penetrare i misteri celati
dell’Arco e che nel rituale di esaltazione vengono raffigurati con la scoperta che fa il soggiornante
che scende nella cripta, quando ritrova il «Mistico Nome dell’Altissimo», cioè la parola perduta.
Ma racchiude in sé anche tutti gli insegnamenti tradizionali che la Massoneria professa da antichi
tempi. Tutte le iscrizioni che abbiamo visto prima riconfermano da una parte la credenza in un Dio,
dall’altra ammoniscono che se manca la chiave non è possibile comprendere e che solo attraverso il
congiungimento e la comprensione della simbologia è possibile avanzare sulla via della
comprensione del «mistero».