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Dopo essersi affermato in tutto il mondo come pianista, nel 1990 ha fondato la
Russian National Orchestra, prima orchestra indipendente della storia russa. In
qualità di direttore ospite appare regolarmente con orchestre quali la Philharmonia
di Londra, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra del Concertgebouw, la
London Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic Orchestra. Nel 2008
è stato nominato primo direttore ospite dell’Orchestra della Svizzera Italiana a
Lugano. Le sue incisioni hanno ricevuto numerosi riconoscimenti prestigiosi: in
particolare il disco che contiene il suo arrangiamento per due pianoforti della
Cenerentola di Prokof ’ev, eseguito con Martha Argerich, ha vinto nel 2005 il
Grammy Award. Membro del Consiglio Culturale Russo, nel 2007 ha ricevuto un
Premio Presidenziale per i suoi contributi alla vita artistica della nazione.
Testi di Andrea Malvano
RUSSIAN NATIONAL ORCHESTRA
Fondata a Mosca nel 1990, è stata la prima orchestra russa a suonare in Vaticano
e in Israele. Ospite dei maggiori festival, dal 1999 è protagonista di una tournée
annuale negli Stati Uniti. Vanta una grande popolarità tra il pubblico radiofonico
di tutto il mondo e i suoi concerti vengono regolarmente trasmessi dalla National
Public Radio negli Stati Uniti e dalla European Broadcasting Union. Ha inciso più
di trenta dischi per Deutsche Grammophon e PentaTone Classics, con direttori
quali Mikhail Pletnev, Vladimir Jurowski, Mstislav Rostropovič, Kent Nagano,
Alexander Vedernikov e Paavo Berglund.
Nel 2004 l’orchestra ha vinto il Grammy Award per una registrazione di Pierino e
il lupo di Prokof ’ev e Wolf Tracks di Beintus con Kent Nagano. I suoi programmi
artistici vengono impaginati da un gruppo di direttori di fama internazionale
(RNO Conductor Collegium), e riceve il sostegno di molte associazioni, tra cui
la Russian National Orchestra Trust, la Russian Arts Foundation e l’American
Council of the RNO.
GIDON KREMER
Nato a Riga, in Lituania, a sedici anni ha ricevuto il Primo Premio della Repubblica
Lituana e due anni dopo ha iniziato a studiare con David Oistrakh, al Conservatorio
di Mosca. Ha vinto premi prestigiosi ai Concorsi «Queen Elisabeth», «Paganini»
e «Čajkovskij». Il suo repertorio spazia dal classicismo al periodo contemporaneo.
Ha collaborato con svariati compositori tra cui Alfred Schnittke, Arvo Pärt, Giya
Kancheli, Sofia Gubaidulina, Valentin Silvestrov, Luigi Nono, Aribert Reimann,
Peteris Vasks, John Adams e Astor Piazzolla. Ha registrato più di cento album,
molti dei quali hanno vinto riconoscimenti internazionali. Nel febbraio 2002 è
stato insignito, insieme con la Kremerata Baltica, del Grammy Award per il disco
After Mozart (Nonesuch) nella categoria «Best small Ensemble Performance». Il
disco ha ricevuto l’ECHO Prize, nello stesso anno, in Germania.
Nel 1981 Kremer ha fondato Lockenhaus, un festival di musica da camera che si
svolge ogni estate in Austria. Nel 1997 ha fondato l’orchestra da camera Kremerata
Baltica con lo scopo di promuovere giovani musicisti talentuosi provenienti dalla
penisola baltica. Dal 2002 al 2006 è stato il direttore artistico del festival «Les
muséiques» a Basilea.
Suona un violino Nicola Amati del 1641.
Stagione 2010/2011
15 - 16 dicembre - ore 9.00 e 11.00 Prosa
15 dicembre - ore 17.00 per le famiglie
Teatro per la scuola
IL GRAN TEATRO DEL MONDO
Percorso spettacolare:
con il teatro di Shakespeare alla scoperta
del Teatro di Udine
coordinamento drammaturgico e registico
Stefano Andreoli, Mario Bianchi,
Marco Continanza
con Marco Continanza, Elisa Carnelli,
Ivana Franceschini, Gabriele Penner,
Stefano Bresciani, Davide Marranchelli
luci e suoni di Stefano Andreoli
una produzione: Teatro Città Murata
età consigliata: dagli 8 ai 13 anni
venerdì 17 dicembre - ore 20.45 Musica
MARTHA ARGERICH & FRIENDS
Martha Argerich pianoforte
Gabriele Baldocci pianoforte
Daniel Rivera pianoforte
Barbara Luccini soprano
musiche di Mozart, Rachmaninov, Liszt,
Offenbach, Lopez Buchardo, Ravel,
Bacalov, Bolcom, Milhaud
martedì 21 dicembre - ore 20.45 Musica
MISA CRIOLLA Y NAVIDAD
Orquesta Juvenil de la Universidad
Nacional de Tucumán
Coro Costanzo Porta
Emir Saul direttore
Antonio Greco maestro del coro
musiche di Alcorta, Esnaol, Alberti,
Gianneo, Ramirez, Piazzolla, Aguierre
martedì 28 dicembre - ore 21.00 Teatro&
I NOMADI in Concerto
Tour teatrale 2010
venerdì 31 dicembre - ore 18.00 Musica
Concerto di Fine Anno
TRAUMBILDER: SOGNI, VISIONI,
FANTASIE...
Strauss Festival Orchester Wien
Peter Guth direttore e violino solista
Mara Mastalir soprano
Daniel Serafin tenore
domenica 9 gennaio - ore 15.00 e 17.00
A Teatro da Giovanni
IL BRUTTO ANATROCCOLO
regia di Maurizio Bercini
con Elena Gaffuri, Piergiorgio Gallicani,
Claudio Guain
luci di Christian Peuckert
scene di Maurizio Bercini e Serena De Gier
una produzione: Teatro delle Briciole - Solares
Fondazione delle Arti
in coproduzione con T.J.P - Centre Dramatique
National di Strasburgo
stampa: Grafiche Filacorda
Čajkovskij era facilmente influenzabile dall’opinione del pubblico. Molto spesso,
di fronte a una reazione tiepida, veniva assalito da dubbi e incertezze; è il caso
della Quinta sinfonia, che dopo l’insuccesso di San Pietroburgo, divenne fonte
di gravi insoddisfazioni: «Ogni volta mi convinco sempre più che la mia ultima
sinfonia sia un’opera infelice e questa consapevolezza di un possibile insuccesso
(e forse un declino delle mie capacità) mi amareggia molto. La sinfonia è riuscita
troppo eterogenea, massiccia, insincera e prolissa, in generale molto sgradevole.
Con l’eccezione di Taneev che insiste testardamente nel dire che la Quinta è la
migliore delle mie composizioni, tutti i miei sostenitori onesti e sinceri hanno
maturato la convinzione che sia mediocre. Davvero, come si dice, mi sono esaurito?
Davvero ha già avuto fine le commencemente de la fin? Se è così, è terribile. Il futuro
mostrerà se le mie paure sono errate o no, ma in ogni caso è un peccato che una
sinfonia scritta nel 1888 sia peggiore di quella del 1877».
Ph. Kassakara/EMC Records
MIKHAIL PLETNEV
© Studio Patrizia Novajra
ČAJKOVSKIJ SULLA SUA QUINTA SINFONIA
A TEATRO
PER STARE BENE
età consigliata: dai 3 anni
Ad ogni spettacolo potranno accedere al
massimo 80 persone, tra adulti e bambini
lunedì 10 gennaio - ore 20.45 Musica
Shlomo Mintz violino
Petr Jiřikovsky pianoforte
Ludwig van Beethoven
Sonata n. 3 in mi bemolle maggiore op. 12 n. 3
Sonata n. 7 in do minore op. 30 n. 2
Sonata n. 10 in sol maggiore op. 96
Biglietteria on line:
[email protected]
www.teatroudine.it
www.vivaticket.it
Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Via Trento, 4 - 33100 Udine
Tel. 0432 248411
[email protected] - www.teatroudine.it
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Prevendite per gli spettacoli
di gennaio dal 20 dicembre
9-12-2010 17:10:22
lunedì 13 dicembre 2010 - ore 20.45
Russian National Orchestra
Mikhail Pletnev direttore
Gidon Kremer violino
Antonín Dvořák (1841-1904)
Danze slave op. 46
n. 4 in fa maggiore
n. 2 in mi minore
n. 8 in sol minore
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893)
Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35
Allegro moderato
Canzonetta. Andante
Finale. Vivacissimo
***
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Andante - Allegro con anima
Andante cantabile, con alcuna licenza
Valse. Allegro moderato
Finale. Andante maestoso - Allegro vivace
ANTONÍN DVOŘÁK
Danze slave op. 46 (nn. 2, 4, 8)
Per un giovane nato in un tranquillo paesino della Boemia, che fin da piccolo
era stato destinato a rilevare la trattoria del padre, non era certo facile imboccare
la strada della composizione. Ma Dvořák fin da adolescente dimostrò uno
straordinario talento. Per la sua famiglia la musica non era altro che un piacevole
intrattenimento da offrire agli avventori del ristorante. Fu quindi un generoso zio a
farsi carico di un ciclo di studi musicali a Praga, dove Dvořák trovò presto il modo
per mantenersi, suonando nell’orchestra del Teatro Nazionale. Fino al 1873 la sua
vita fu piuttosto dura: la necessità di lavorare gli rendeva pressoché impossibile
comporre. Ma nel 1875 Johannes Brahms e l’autorevole critico Eduard Hanslick
conferirono a Dvořák una prestigiosa borsa di studio bandita dal governo austriaco:
un riconoscimento destinato a dare una solida iniezione di fiducia in un musicista
arrivato in punta di piedi della periferia dell’Europa.
Proprio in quel periodo Dvořák cominciò a mietere successi clamorosi; primo fra
tutti quello delle Danze slave, pubblicate nel 1878 per pianoforte a quattro mani,
e successivamente trascritte per orchestra: lavori che scoppiano di energia, che
non lasciano alcuno spazio alle calcolate geometrie della tradizione viennese, che
profumano di terra e di tradizioni antiche, proprio come se fossero appena stati
rubati alla vitalità furente di una comunità contadina. Ecco il segreto del successo;
qualcosa che Dvořák si portava dentro, fin dai tempi della trattoria paterna, e che
a Vienna rischiava di essere schiacciato dal peso delle esperienze nate in giacca e
cravatta. Succede nella seconda danza dell’op. 46, con il suo incedere zoppicante
come il passo di chi ha alzato un po’ troppo il gomito in osteria, nella quarta, con
quell’impasto timbrico dominato da strumenti nati per strada come i legni, ma
soprattutto nell’ottavo brano della raccolta, quando il tema principale barcolla
maliziosamente tra modo maggiore e minore.
PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ
Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35
Čajkovskij dovette faticare non poco per far digerire ai contemporanei quelli
che sarebbero diventati i suoi più celebri Concerti. Nel 1874 il Primo Concerto
per pianoforte e orchestra fu accolto con freddezza da un decano come Nikolaj
Rubinštein; e nel 1881 il Concerto per violino e orchestra fu salutato come «musica
puzzolente»: parola di Eduard Hanslick, che recensì il lavoro rilevandovi poco
più che rozzezza, barbarie e totale mancanza di gusto. Čajkovskij fece poco
caso a quell’articolo di giornale; del resto già davanti alle correzioni suggerite
da Rubinštein al Primo concerto pianistico aveva reagito con un secco: «Non
cambierò nemmeno una nota del mio lavoro». Le osservazioni di un critico un
po’ parruccone, che si sapeva sciogliere solo davanti alla musica di Brahms, non
potevano certo impensierire un compositore che aveva già rifiutato senza troppi
complimenti la revisione del grande violinista Leopold Auer: anche alle osservazioni
di quest’ultimo, circa la possibilità di rendere «più eseguibili» alcuni passaggi,
Čajkovskij aveva reagito da par suo, infischiandosene, e cercando un altro artista
disposto a suonare la sua musica. Fu così che il 22 novembre del 1881, a Vienna,
la partitura prese vita grazie all’interpretazione solistica del giovane Adolf Brodskij,
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l’unico che ebbe il coraggio, o meglio l’incoscienza, di affrontare un Concerto già
rifiutato da nomi illustri (anche Josif Kotek, inizialmente, era stato coinvolto nella
stesura del lavoro, ma poi si fece da parte confessando di non essere in grado di
eseguire l’ultimo movimento).
A stupire il pubblico delle prime esecuzioni fu un trattamento davvero senza
precedenti del violino, capace di passare dal lirismo mellifluo alla furia grottesca
nel giro di poche pagine: qualcosa che si nota subito, fin dall’Allegro moderato
nel quale si alternano idee rassicuranti come una parola materna, baratri di
malinconia (il secondo tema in particolare), scatti di nervi imprevedibili, slanci
epici. Hanslick alla fine del movimento sentì lo strumento solista «ragliare, stridere
e ruggire»; non era certo un complimento, ma in realtà quelle parole coglievano
e contrario la grandezza del Concerto op. 35, un’opera in cui il violino si contorce
pur di esprimere emozioni intense e di emanciparsi dalla tradizionale etichetta di
strumento melodico (la cadenza solistica, incastonata al centro del brano, come
nell’analogo lavoro di Mendelssohn, è forse il momento più rappresentativo di
questo credo estetico).
La Canzonetta comparve solo nella seconda stesura della composizione (un
precedente Andante fu espunto in corso d’opera). Qui la vena melodica dello
strumento si fa vedere; ma Čajkovskij non si mette a tavolino per pensare e
costruire; preferisce rievocare la cantabilità primordiale del violino, riuscendo a
pennellare il ritratto meraviglioso di una cultura - quella russa naturalmente - in
cui la scrittura colta vive sempre in simbiosi con il materiale di origine popolare.
La conferma viene dall’ultimo movimento in cui il solista barcolla con ruspante
vivacità sul filo che separa l’esaltazione dalla disperazione; proprio come succede
a chiunque cerchi lo stordimento per dimenticare qualche dolore straziante.
PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Nel 1888 Čajkovskij era quasi arrivato al capolinea; dietro alle sue spalle c’era
un vita piena di occasioni mancate: un matrimonio di circostanza messo in piedi
solo per cercare di compiacere le buone maniere; un’omosessualità soffocata fino
agli estremi della disperazione; e un’amicizia conturbante, mai andata al di là
della corrispondenza epistolare, con la fascinosa contessa Nadejda von Meck.
Tutte faticose rinunce, destinate a riflettersi tra le pieghe dell’arte. In quel periodo
Čajkovskij sentiva l’esigenza di mettere tutto per iscritto, in una serie di lavori
(due Sinfonie, la Dama di picche, la Bella addormentata) che si sarebbero goduti
l’ultimo raggio di sole del tardo romanticismo.
L’ispirazione venne a Frovloskoe, in una dacia di campagna, lontano da Mosca:
non troppo, ma quel tanto che bastava per avvertire un impellente desiderio di
comporre. Le cose, in realtà, non furono affatto facili; a maggio Čajkovskij temeva
di aver definitivamente prosciugato la vena creativa: «Non ho più nulla da dire?
Nessun progetto, nessun impulso? Sono terribilmente ansioso di provare non solo
agli altri, ma anche a me stesso, che non sono ancora finito come compositore».
La smentita arrivò poco dopo, quando cominciò a prendere forma quella che
presto sarebbe diventata la Quinta sinfonia. In agosto la partitura era completata,
e a dicembre il pubblico di San Pietroburgo conosceva per la prima volta la nuova
composizione sotto la direzione dell’autore: l’accoglienza alla prima fu tiepida,
ma pochi anni dopo la Quinta cominciò a circolare frequentemente per le sale da
concerto d’Europa, garantendosi un posto accanto alla Sesta sinfonia “Patetica”.
Dieci anni dopo la stesura della Quarta sinfonia, Čajkovskij sentiva l’esigenza di
continuare quel percorso fatto di visioni abbaglianti, sapienti articolazioni formali,
introspezioni malinconiche, echi di una narrazione piena di emozioni intense.
Nella Quinta c’è addirittura un tema ricorrente, come un personaggio che ogni
tanto ricompare tra le pieghe del romanzo: lo stesso Čajkovskij, in un appunto,
disse di avervi impresso «la totale sottomissione davanti al Fato, oppure - il che è lo
stesso - agli imperscrutabili disegni della Provvidenza»; motivo per cui la Sinfonia
viene spesso considerata il riflesso di uno spirito rinunciatario, che preferiva lasciarsi
investire dagli eventi, piuttosto che lottare per cambiare il corso delle cose.
Naturalmente si tratta di un’interpretazione molto riduttiva della Quinta sinfonia;
perché il tono epico della partitura sembra alludere a un’epoca estinta, lontana
nel tempo e forse dallo stesso Čajkovskij: più il ritratto di una collettività carica
di storia che una pagina di diario (come sarebbe stata la Sesta) da collegare a una
dimensione squisitamente individuale. Il tema conduttore - lo stesso su cui si apre
il primo movimento - nasconde qualcosa di cavalleresco, proprio come il tono
leggendario di una ballata. Il suo ritmo puntato si prolunga sull’idea principale
dell’Allegro con anima: senza dubbio una pennellata che allude alla gloriosa
eredità del popolo russo. Naturalmente non mancano particolari che indugiano
su un’emotività più appartata (il secondo tema degli archi), o accenni di popolarità
strappati al mondo contadino (il borbottio di legni e corni). Ma a tenere le fila di
tutto è il ritmo incalzante del primo tema, con quello sguardo deciso che si può
permettere solo chi si sente fiero del proprio passato.
L’Andante cantabile è il ritratto di un intero popolo: gente con la malinconia
negli occhi, incapace di sciogliersi in un sorriso completamente spensierato. La
memorabile melodia del corno sembra aprire uno squarcio all’aria aperta; proprio
come se la collettività russa, per mostrare se stessa, non fosse assolutamente in
grado di rinunciare al contatto con la natura. Il posto dello Scherzo è occupato
da un valzer, che riecheggia con dolente nostalgia i fasti di una tradizione ormai
estinta; mentre il Finale rinforza il tono epico della Sinfonia, articolando un
percorso dal basso verso l’alto, che parte dai colori sinistri del tema ciclico per
arrivare a infiammarsi in un clima di eccitato profetismo. Il motivo conduttore di
tanto in tanto si fa sentire per cercare di dare qualche pennellata scura all’affresco
globale; ma alla fine, dopo una lunga pausa, anche lui contribuisce a scolpire una
monumentale perorazione, che si lascia alle spalle ogni forma di pessimismo.
9-12-2010 17:10:22