libro_PICO - BCC Gradara

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libro_PICO - BCC Gradara
PICO
FOTOGRAFO A RICCIONE
PREFAZIONE DI GIANFRANCO ANGELUCCI
PICO
FOTOGRAFO A RICCIONE
PREFAZIONE DI GIANFRANCO ANGELUCCI
Gli scatti di Pico
sono il nostro Istituto Luce.
Ogni foto un racconto,
un personaggio, una storia.
L’archivio fotografico che Pico, all’anagrafe Epimaco Zangheri, ha raccolto su Riccione in oltre sessant’anni di scatti è un po’ il nostro Istituto Luce. Non c’è personaggio,
cantante, attore, personalità, evento, inaugurazione, spettacolo, persino alluvioni e calamità, come il fortunale del 1964, che mise sottosopra la spiaggia ed il lungomare, che
Pico non abbia “coperto”, vuoi per il Carlino, vuoi per incarico ricevuto, molto spesso
per semplice piacere personale. Per l’orgoglio, quello del cronista ma anche del fotoreporter, di essere sempre sul pezzo. Là dove qualcosa di interessante si muove e merita
di essere raccontato per immagini. Una passione, quella di Pico per il suo lavoro, che lo
ha portato spesso anche a mettere in secondo piano l’interesse commerciale. Sempre
pronto a offrire qualche scatto d’annata a qualche giornale, o a qualche redazione televisiva, ricavandoci a volte poco più del costo della semplice pellicola. Non è diventato
ricco, Pico. Però ha reso più ricca la sua città. Ricca di un patrimonio di immagini
fotografiche dove tutti, ma proprio tutti, i protagonisti degli anni d’oro del Dancing
Savioli, hanno lasciato la propria traccia. Da Mina a Walter Chiari, da Pelé a Don
Backy, da Gloria Gaynor a Raoul Casadei, Lola Falana, Raffaella Carrà e Lucio Dalla.
E chissà quanti ne rimangono fuori, quanti torti negli elenchi incompiuti: Claudio
Villa, il Quartetto Cetra, Iva Zanicchi, Rita Pavone, giovanissima, con Teddy Reno,
un Gianni Morandi imberbe che suona la chitarra per i bimbi ospiti di una colonia
estiva, Adriano Celentano che gira in giostra con i suoi figli, Vittorio De Sica e Gino
Cervi, fino a Jovanotti, Fiorello e, orgoglio riccionese, Martina Colombari. L’Archivio
fotografico di Pico deve essere considerato come un vero e proprio archivio storico, e
come tale dovrà essere tutelato, inventariato, catalogato, digitalizzato e reso fruibile
da tutti. L’impegno è stato preso ed espresso con chiarezza da me in diverse occasioni
pubbliche. Quelle immagini acquistano valore ogni giorno che passa. C’è dentro sessant’anni di vita di questa città, ogni foto un racconto. Riccione è una città ambiziosa,
lo sappiamo. Ma ci possiamo spingere avanti solo se abbiamo la giusta considerazione
di ciò che siamo stati e da dove veniamo. E a guardare bene, è tutto scritto negli scatti
di Pico, fotografo a Riccione.
Massimo Pironi - Sindaco di Riccione
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Presentazione
Questa ristampa, o meglio rivisitazione, di un importante libro illustrato sulla Riccione degli ‘anni ruggenti’, è il regalo di Natale che la BCC di Gradara desidera affidare
ai riccionesi senza distinzione di età: i più maturi rivivranno momenti ben conosciuti
di esaltazione generale in una lunga stagione fortunata, i più giovani, che per ragioni
anagrafiche non possono ricordare quegli anni, troveranno nelle immagini di Epimaco
Zangheri lo stimolo a prendere in mano il proprio destino con lo slancio e la passione
di allora.
Abbiamo affidato con piacere i testi di questa nuova edizione a Gianfranco Angelucci,
noto scrittore, giornalista, regista, che ha avuto il privilegio di diventare sceneggiatore
e amico del genio romagnolo Federico Fellini. Era necessaria la sua penna gentile per
restituire, in un attraente racconto, gli anni della Dolce Vita e dei decenni che ne sono
seguiti, durante i quali Riccione ha saputo tenere un ruolo da protagonista sulla scena
italiana. Angelucci ne ha tratteggiato il sembiante regalandoci la memoria di un’epoca
con il suo scintillio, ma riuscendo anche a far parlare Pico, figura di artigiano-artista di
poche parole, capace tuttavia con la sua macchina fotografica di racchiudere in centinaia di migliaia di rullini il film della nostra vita.
La Banca di Credito Cooperativo di Gradara è una banca ultracentenaria che, proprio
grazie alla forza e all’esperienza dell’età, in una congiuntura di gravissima crisi generale
è riuscita a difendere e a mantenere vivi i principi, vorrei dire i valori, dai quali l’Istituto prende origini e significato. Un’idea radicata di banca organica al territorio che ha
caratterizzato da sempre il suo operato.
La BCC di Gradara è presente nelle Province di Rimini e di Pesaro-Urbino, con venti
filiali che servono una collettività di oltre 350 mila persone.
Questo Istituto di credito, accanto all’attività bancaria vera e propria, svolge una funzione accessoria molto intensa, ricca di iniziative e di promozioni a beneficio di tutti
i soci; estesa anche alla clientela comune e concepita come particolare supporto alle
Istituzioni: scuole, parrocchie, associazioni, ospedali, sanno di poter contare sulla presenza attenta e costante di una banca dalla precisa vocazione territoriale.
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Dopo tre anni dal libro sulla marineria curato da Carlo Volpe, con la direzione scientifica
della Professoressa Maria Lucia De Nicolò, la BCC di Gradara promuove questa volta una
prestigiosa pubblicazione su Riccione, dove da un anno ha inaugurato un nuovo sportello.
In sinergia con l’Amministrazione Comunale, abbiamo colto con gioia l’opportunità
di ristampare il volume su Epimaco Zangheri, “fotografo di Riccione”, che presenta
una doviziosa scelta di immagini di almeno tre decenni, gli anni ‘60, ‘70 e ‘80, nei quali
tutta la riviera romagnola ed in particolare Riccione era la meta prediletta di un gran
numero di personalità del mondo dello spettacolo, della cultura e dello sport. Si tratta
di un affascinante viaggio nel recente passato per progettare un futuro almeno altrettanto propizio in particolare per le nuove generazioni.
La storia di Pico da garzone di bottega a memoria vivente del tragitto compiuto, con
sacrificio ma anche con tante soddisfazioni, ci ricolma di fiducia e ancora una volta ci
insegna che non esistono limiti alla volontà dell’uomo che crede nell’impegno, nella
disciplina, nel lavoro, nell’umiltà.
Pico con il suo sorriso, la naturale gentilezza, la scrupolosa professionalità, ci ricorda
che ogni sogno è possibile quando si tengono i piedi ben appoggiati a terra.
Questa iniziativa vuole essere un omaggio alla maestria di un artigiano di successo e
nello stesso tempo alla città di Riccione che ha rappresentato per lui l’amore esclusivo
dell’intera esistenza.
Come Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Gradara, convinto della fruttuosa alleanza tra cultura e impresa, formulo il mio auspicio più sincero perché questa
pubblicazione possa ravvivare un sentimento di contagioso ottimismo per l’intero tessuto economico della città.
Fausto Caldari
Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Gradara
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LA
RICCIONE
DELLA
DOLCE
VITA
di Gianfranco Angelucci
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Gli anni delle dolcezza
A rivedere oggi le fotografie in bianco e nero di Epimaco Zangheri detto Pico, che
vengono ristampate dal Comune di Riccione e dalla BCC di Gradara a quindici anni
dalla precedente edizione, si prova una dolce, vaga vertigine da ottovolante. Con l’avvento del nuovo millennio ci siamo lasciati alle spalle non soltanto il ‘secolo breve’ ma
anche i connotati di una stagione a cui oggi ci rivolgiamo con qualche incertezza, avvolti da una lieve caligine; c’è bisogno di una costante messa a fuoco, come girando la
rotella di un binocolo, o agitando i frammenti colorati di un caleidoscopio. E trovo che
sia il fascino maggiore del libro, opportunamente rivisitato anche nella veste grafica di
copertina, nell’impaginazione, nei testi che lo accompagnano.
Le nuove generazioni, i ragazzi che hanno visto la luce nel 2000 e che adesso sono
già alle scuole superiori, ignorano quasi completamente ciò che li ha preceduti; il loro
sguardo si posa disincantato su un’era decisamente remota. Col passare dei decenni si
sono sfocati nella memoria persino gli anni della ricostruzione, in cui il Paese uscito
dalla guerra ricomponeva i cocci, riedificava insieme alle case, alle strade, alle fabbriche, anche il proprio destino.
La voglia di farcela, la voglia di vivere, era esuberante, dominava in ogni campo. Il cinema di quel periodo, gli anni Cinquanta e Sessanta, è capace di restituircene la verità
e il sapore meglio dei libri di storia; le immagini dello schermo, non diversamente dagli
archivi fotografici, compiono più facilmente il miracolo di renderci familiare e ancora
palpitante un’Italia lontana ormai anni luce, che sembra appartenere a un’altra galassia.
Quando all’Accademia di Belle Arti proietto ai miei studenti “Una vita difficile” di
Dino Risi, “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti, “C’eravamo tanto amati” di
Ettore Scola, capolavori che hanno segnato gli anni della nostra formazione, capita che
commentandoli mi si spezzi a tradimento la voce e non di rado sono costretto a ingoiare di nascosto qualche lacrima; i ragazzi all’apparenza rimangono inerti, ma in realtà
sono coinvolti più di quanto appaia da quei ‘reperti archeologici’ che li disorienta, li
pone davanti a una scoperta inattesa; per la prima volta percepiscono l’esistenza di un
popolo, un’arte, una cultura a cui appartengono e della quale non avevano il minimo
sospetto.
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La civiltà del superfluo
Questa frattura tra il prima e il dopo è il fenomeno forse più appariscente della nostra
epoca, a cui l’accelerazione impressa dalla tecnologia, dalla scienza, dal consumismo, ha
sottratto il senso della continuità. Così come ci liberiamo senza indugio degli oggetti
non più utili o non più alla moda, alla stessa maniera siamo tentati di comportarci con
i ricordi: non servono, appesantiscono, creano disagio. Gettarsi il superfluo alle spalle
è l’imperativo della nostra esistenza; dietro di noi si creerà un accumulo indifferenziato
di detriti che qualcuno provvederà a spazzar via con noncuranza.
Il Web (Internet, la ‘Rete’) sopperisce a ogni necessità; se abbiamo bisogno di notizie o
di immagini ce le fornisce all’istante; la posta elettronica ci consente di comunicare in
tempo reale con chiunque, e l’attesa anche di un solo giorno per l’arrivo di una lettera
ci appare una pratica inconcepibile. Per spostarci acquistiamo voli a poche decine di
euro che ci consentono di visitare luoghi e città fino a ieri solo vagheggiate, e anche in
età matura ci si imbarca senza bagaglio, con il disinvolto zainetto in spalla, viaggiando
in economia, scomodamente ma con rapidità. Il turismo a tutti i costi ha tarantolato
le masse con una sorta di eccitazione irrefrenabile alla partenza; che non sarebbe stata
per nulla condivisa da Giacomo Leopardi per il quale “conosciuto il mondo non cresce,
anzi si scema”.
Lo spostamento geografico, cioè saltare da un punto all’altro della superficie terrestre,
ha abolito il concetto di viaggio inteso come scivolamento progressivo attraverso un
paesaggio in mutamento, cullati da visioni, odori, scenari, fantasie, sembianti, abiti diversi che si accumulano man mano nella nostra anima. Finalmente, dopo tanta attesa,
i treni ad alta velocità ci portano in meno di tre ore da Roma a Milano senza fermate
intermedie; una specie di volo radente sui binari a cui tuttavia non facciamo caso, la
testa china sui nostri sofisticati gingilli che intanto ci stanno scodellando il mondo a
domicilio, proprio lì, sul sedile che ci avvolge. Ciò che in “2001 Odissea nello spazio”
ci sembrava pura fantascienza, il protagonista che dall’astronave parlava attraverso un
videoschermo con la moglie e il figlio rimasti a casa, oggi è ciò che ognuno fa quotidianamente con Skype o Face Time da una città all’altra, da un continente all’altro. Il
tempo si è contratto, fuori e dentro di noi, siamo diventati impazienti di ogni attesa, e
senza lo smartphone incollato all’orecchio che ci assicura di essere ancora vivi, saremmo smarriti e infelici.
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Un benessere senza precedenti
Non vorrei essere frainteso: sono appagato dalla mia epoca, anzi non sarò mai abbastanza grato alla rivoluzione digitale che in un paio di decenni ha cambiato integralmente il mondo intorno a noi; la vivo ancora con la stupefazione di un selvaggio e da
scrittore quasi non riesco a credere di poter disporre di un programma di scrittura
che mi consenta di correggere all’infinito, tutte le volte che voglio, le righe che ho
allineato sul foglio rappresentato dallo schermo luminoso del pc; ma ancor più mi
incanta la possibilità di disporre a piacimento, come fossi un semidio, di quello sterminato deposito del sapere costituito dalla memoria ininterrottamente aggiornata della
rete, eternamente onnipresente, pulsante e consultabile. Sono convinto che senza quel
piccolo e goffo personal computer in linguaggio MS-DOS, comprato a Los Angeles
molti anni fa, non avrei scritto il mio primo romanzo. Tuttavia provengo anch’io dalla
Olivetti Lettera 22, la leggerissima, elegante macchina da scrivere portatile che aveva
sovvertito le abitudini degli italiani affermandosi in tutto il mondo, al punto che un
esemplare viene conservato al Museo d’Arte Moderna di NY. Gli intellettuali, in molti
casi, usavano ancora la penna stilografica, e i più fortunati dettavano a una dattilografa
(questa sì una grave perdita dell’immaginario erotico; andrebbe rivisto “Nelly e monsieur Arnaud” il film di Claude Sautet, con Emmanuelle Béart e Michel Serrault).
Montanelli teneva la Lettera 22 appoggiata sulle ginocchia per battere in diretta il reportage di guerra, Fellini l’ha usata fino agli ultimi mesi di vita. La creatività letteraria
era associata al crepitio dei tasti, al foglio che veniva strappato e appallottolato dopo
ogni errore, al cri cri del carrello che ingoiava la carta immacolata. La mia non è la
solita lode del passato, non credo affatto che si vivesse meglio quando si viveva peggio,
lascio questo vacillante giudizio ai poeti, o alle insidie della nostalgia. Provengo tuttavia da una stagione di tumultuosa trasformazione della quale sarebbe inutile negare
l’importanza. Ho provato nel cuore un’emozione quasi incontenibile quando vidi mio
padre tornare a casa alla guida della prima auto di famiglia, una Giardinetta FIAT con
il muso della Topolino e la carrozzeria di legno, le frecce di direzione che si alzavano
all’esterno manovrate da una manopola e la leva del cambio tra i due sedili anteriori
lunga quanto un’alabarda. Ricordo ancora distintamente l’odore dell’abitacolo, lo associo alla conquista sociale: salire in macchina per andare a messa la domenica, che lusso
spropositato! Sembrava di essere entrati a far parte di un film americano.
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L’Italia della Dolce Vita
Si ama ripetere normalmente una frase attribuita a Talleyrand, statista francese, vescovo di Autun e ministro di Luigi XVI, il quale affermava: “Chi non ha vissuto negli anni
prima della Rivoluzione non può capire che cosa sia la dolcezza del vivere. » (Qui n’a
pas connu l’Ancien Régime, n’a pas connu la douceur de vivre).
Molto più modestamente in Italia potremmo applicare la massima ai ‘favolosi anni
Sessanta’, gli anni della Dolce Vita.
Le fotografie di Pico ristampate in questo volume hanno il pregio di ricucire le smagliature del tessuto fragilissimo della memoria, di lasciar riaffiorare un mondo scomparso, benché gli ultimi scatti della raccolta non siano poi così distanti da noi; ma la
patina del tempo è la medesima. C’è Martina Colombari con in testa la coroncina di
Miss Italia, ci guarda da un primo piano così intenso che riesce tutt’oggi a turbarci, a
farci battere il cuore: gli occhi sgranati sotto le sopracciglia folte, le labbra accostate in
un disegno sinuoso e perfetto, da ninfa fatale: siamo soltanto nel 1991, sembrano mille
anni fa. E si arriva all’ultima fotografia del 1999 dove Papa Wojtyla, Giovanni Paolo
II, porge la mano a Pico il quale intimidito la sfiora incredulo, con cautela, gli occhi
bassi, la macchina fotografica appesa al collo.
E il secolo si chiude.
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Paparazzo a sua insaputa
Nel suo stile gentile e riguardoso, Pico apparteneva solo idealmente alla categoria dei
Paparazzi, cioè ai fotoreporter d’assalto chiamati così dal nome del fotografo che ne
“La dolce vita” di Fellini accompagna come un’ombra Marcello, giornalista di cronaca
rosa, nelle sue scorribande per Roma. Nella Capitale i colleghi di Pico si chiamavano
Tazio Secchiaroli, Pierluigi Praturlon , Franco Pinna, Marcello Geppetti, buon ultimo
Rino Barillari, l’unico ancora sulla breccia, la cui faccia è replicata in qualche vetrina
di Via Veneto. Erano instancabili cacciatori di frodo, felici di scambiare la notte per
il giorno, di affrontare la scazzottata con gli amanti infuriati o con i mariti gelosi, correndo il rischio di farsi frantumare la macchina sotto i piedi. Sottoponevano le prede a
estenuanti pedinamenti e non c’era avvenimento di bianca, di rosa o di nera che non li
vedesse sul posto, implacabili.
L’Italia inaugurava la stagione dei primi rotocalchi popolari in cui la cronaca veniva
raccontata dalle pagine fotografiche prima ancora che dagli articolisti, e le copie in
carta lucida andavano a ruba. Fellini aveva adocchiato su un settimanale l’istantanea
di una bionda svedese, creatura di avvenenza venusiana, sorpresa a scivolare a cavalcioni lungo il mancorrente di una scala stretto fra le cosce; travolto dalla conturbante
visione aveva mormorato: “Dio mio, non fatemela incontrare mai!”
Avrebbe scritto in seguito: “Quel senso di meraviglia, di stupore rapito, di incredulità
che si prova davanti alle creature eccezionali come la giraffa, l’elefante, il baobab lo
riprovai anni dopo quando nel giardino dell’Hotel de la Ville la vidi avanzare verso di
me preceduta, seguita, affiancata da tre o quattro ometti, il marito, gli agenti, che sparivano come ombre attorno all’alone di una sorgente luminosa. Sostengo che la Ekberg,
oltretutto, è fosforescente”.
Stava soltanto anticipando il medesimo sentimento di smarrimento, di ebbrezza panica, che in seguito metterà in bocca a Marcello Mastroianni nella sequenza della Fontana di Trevi; quando il protagonista entra interamente vestito nell’acqua per raggiungere quella dea in terra che gli si era manifestata durante la festa in un locale notturno,
e alla quale rivolge parole febbricitanti: “Tu sei tutto… you are everything. You are the
first woman of the first day of the earth … You are Eve.. You are mother, sister, sei
l’amante, la femmina…sei un angelo… il diavolo…la terra, la casa… Home… Perché
sei venuta? Torna in America…Cosa faccio adesso io?”
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Il miracolo economico
Intorno al ‘caso’ “La Dolce Vita” si dipanano le vicende di quell’annus mirabilis, il
1960, che segna simbolicamente il passaggio dell’Italia da un’epoca all’altra, dalla società ancora vetero rurale alla modernità industriale, dalla sobrietà al consumismo.
Il 1960 è l’anno del miracolo economico; a Roma si disputano le Olimpiadi, nell’universo
della musica leggera irrompono gli ‘urlatori’, al Festival di Sanremo Mina giunge in finale
con la canzone “E’vero” e su La Domenica del Corriere Walter Molino le dedica la copertina
accanto alla divina e superata Nilla Pizzi. Nelle case entrano televisori e frigoriferi Telefunken. Il mondo dell’automobile compie un salto di qualità; dall’utilitaria si passa alle vetture
più importanti, vengono immesse sul mercato la Lancia Flavia, pezzo di listino 1.800.000
lire, la Giulietta Sprint Speciale, la Fiat Abarth 1600, e anche la Innocenti A 40, tipica familiare da 880.000 lire. Il 25 marzo sale al governo Fernando Tambroni con una coalizione di
centro destra che include il Movimento Sociale; dopo il tragico luglio con i morti in piazza
a Milano si aprirà la svolta del centro sinistra con il gabinetto Fanfani. Il cattolico John F.
Kennedy è eletto a novembre il nuovo presidente democratico degli Stati Uniti battendo per
un soffio Richard Nixon. I lutti si susseguono. Stroncato da un terribile male in Africa, esce
di scena Fausto Coppi il Campionissimo. In Francia lo scrittore Premio Nobel Albert Camus
muore in uno scontro automobilistico. E in Italia la stessa sorte tocca a Fred Buscaglione
falciato da un incidente d’auto a soli 38 anni. Per una banale caduta dal palco dell’Arena di
Verona scompare anche Mario Riva, il più amato presentatore televisivo, l’amico del sabato
sera che a conclusione del “Musichiere”cantava “Domenica è sempre domenica si sveglia la
città con le campane…” mentre Gorni Kramer dirigeva l’orchestra con i baffetti atteggiati
all’inalterabile sorriso. In campo letterario prendono congedo Sibilla Aleramo e Massimo
Bontempelli. In compenso il cinema alimenta ogni giorno la cronaca mondana; Via Veneto
è la strada più celebrata del pianeta, a dispetto del poeta Vincenzo Cardarelli che la marchia
senza pietà: “Questa strada antipatica, maledetta e senza passato.” Le star d’oltreoceano fanno a gara per venire a girare in Italia e Domenico Meccoli in un’inchiesta su Epoca rivela
che “non pagano tasse e mangiano spaghetti.” La quotazione di Gregory Peck per un film è
di 250.000 dollari, più pagato di Humphrey Bogart e Ava Gardner; Shelley Winters ne percepisce appena 60.000.
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Hollywood sul Tevere
“Tra le molte cravatte a fiori che verso l’ora dell’aperitivo scendono da via Veneto verso
piazza Barberini (cravatte – ci sia permesso dirlo – che rendono penosamente superflue le
ricerche dei nostri pittori astrattisti), alcune appartengono a gentiluomini americani venuti in
Italia per affari cinematografici.” Così sorrideva Ennio Flaiano in Ombre fatte a macchina. In
circa venti anni gli ‘americani a Roma’ sarebbero diventati un esercito, una colonia; l’elenco
dei loro nomi sembra non avere più fine. A Cinecittà accorrono le troupe e i divi d’oltreoceano e Roma viene ribattezzata la “Hollywood sul Tevere” con una formula felicemente
inventata dalla leggendaria coppia di agenti cinematografici Hank Kaufman e Gene Lerner.
Lando Buzzanca arrivato dalla Sicilia nella Capitale senza quattrini e con una faccia visibilmente da affamato, era riuscito a farsi reclutare tra le comparse di “Ben Hur” (è provato,
esiste la fotografia); il kolossal del 1959 interpretato da Charlton Heston è una pacchia per
i generici di Cinecittà, ma mai quanto “Cleopatra” con Richard Burton e Elisabeth Taylor,
costato ben 44 milioni di dollari di allora; di cui 250.000 spesi durante la lavorazione soltanto per l’acquisto di acqua minerale e 194.800 per i fastosi costumi della capricciosa Liz.
Dichiarò il suo regista Joseph L. Mankiewicz: “Cleopatra è stato concepito nell’isteria, girato
nel casino, montato nel panico”. Il film è celebre per aver quasi mandato in fallimento la
20th Century Fox, se si pensa che l’impegno finanziario è equivalente a più di 300 milioni di
dollari attuali, situando la pellicola al terzo posto tra i film più costosi prodotti nel mondo e
al secondo tra quelli prodotti negli Stati Uniti.
I soggetti storici furoreggiavano a Roma; il clima per gli esterni era clemente, i costi competitivi, e le maestranze capaci di ogni prodigio di abilità. L’ideale per storie a forti tinte passionali ambientate nell’antica Roma, chiamate dagli americani ‘peplum’ (dall’abbigliamento
dei protagonisti) e da noi più modestamente “sandaloni”.
Le Major Company hollywoodiane aprivano gli uffici a Roma impegnandosi, con la legge
varata da Giulio Andreotti, a reinvestire i guadagni nell’industria italiana della celluloide.
Spiegava allora Ennio Flaiano: “L’Italia è il posto dove un generico viene pagato un terzo
di quello che viene pagato ad Hollywood. Dove un grande attore prende ciò che prende un
caratterista americano; dove quel delizioso romanzo di Luigi Bartolini che è “Ladri di biciclette” può essere acquistato per il cinema con centomila lire, visto che nessuno lo legge;
mentre ad Hollywood per “Maria Antonietta” di Stefan Zweig si arrivano a pagare 250 mila
dollari cioè 150 milioni di lire.”
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Del lauto banchetto beneficiavano in molti. Le gigantesche costruzioni scenografiche dei
kolossal, appena un po’ ritoccate, venivano riutilizzate dalle produzioni minori per girare in
fretta altri film casalinghi, con tanti Ercole, Ursus, Maciste nostrani, e vestali discinte al punto giusto “per esigenze di copione”; e gli incassi premiavano l’intraprendenza italica. Dino
De Laurentiis pensava invece già in grande, da napoletano con il cuore in America. I suoi
titoli attraversavano l’oceano: “Ulisse” con Kirk Douglas (scontento e sgarbato, aveva fatto
impazzire il regista Mario Camerini), Silvana Mangano nel doppio ruolo di Penelope e della
Maga Circe, e Rossana Podestà innocente Nausicaa; “Barabba”, con Anthony Quinn; “La
Bibbia”, diretta da John Huston, anche interprete con la barba di Noè. Per non parlare di un
capolavoro immortale della letteratura come “Guerra e Pace”, a proposito del quale fiorivano
le maldicenze: “Ponti e De Laurentiis producono Guerra e Pace, ma Ponti ha letto solo il primo volume e De Laurentiis il secondo.” Però Audrey Hepburn incarnava impareggiabilmente
l’incantevole, irrequieta Nataša Rostova.‎
I grandi divi arrivavano a Ciampino con i poderosi quadrimotori della LAI (Linee Aeree Italiane) non ancora Alitalia, e in cima alla scaletta posavano per i fotografi assiepati sulla pista,
proprio come Sylvia (Anita Ekberg) immortalata da Fellini nella sequenza di “La Dolce
Vita”.
E la sera si andava in Via Veneto, centro della mondanità, dei paparazzi, degli esibizionismi,
delle gelosie, degli accapigliamenti, degli scandali. Ava Gardner, ‘La Contessa scalza’, pur
innamorata di suo marito Frank Sinatra, era troppo bella e troppo corrotta dalla propria avvenenza per resistere all’assedio incessante dei nostri latin lover, Walter Chiari in testa. Ricorda
Luciano Vincenzoni: “Compagno di una notte di Ava poteva essere chiunque, conoscenza,
amico, ‘chum’ o favorito del momento… Poteva immergersi sempre più nei fumi dell’alcool
fino a perdere i contatti con chi le stava attorno… Quando capitava ‘una notte di Ava’, riprendersi non era cosa facile.”.
Roma rappresentava un territorio franco dove nel tepore dell’aria, nell’ebbrezza dei sapori e
del vino, si sgretolavano le barriere morali e tante proibizioni diventavano lecite: i divi esibivano atteggiamenti di chi abita in colonia. Kirk Douglas “Ulisse” con occhiali da sole e atteggiamento strafottente; Ava Gardner con collana di perle e sigaretta tra le dita. Non mancava
nessuno: Humphrey Bogart, Henry Fonda, Marlon Brando, Robert Mitchum, Orson Welles,
Tyron Power e Linda Christian, Alfred Hitchcock, Danny Key, John Wayne, Jane Mansfield,
Gary Cooper, Ingrid Bergman, Clark Gable, Kim Novak, Cary Grant, Sean Connery: un
Olimpo disceso tra i ruderi!
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Il film dello scandalo
Con “La dolce vita” Fellini realizza il celebre, impareggiabile affresco cinematografico che
ancora oggi rende mitici quegli anni; tre ore di spettacolo in cui succede di tutto, un inarrestabile riflusso di vita che fa gridare allo scandalo, e allarma specialmente le gerarchie ecclesiastiche preoccupate del crollo della morale e dell’avvento di una nuova Sodoma e Gomorra.
L’Osservatore Romano, il quotidiano della curia, condanna il film gridando in prima pagina:
“Basta”, “Vergogna”. In una parrocchia veneta del padovano vengono appesi manifesti listati
a lutto in cui si esortano i fedeli a “pregare per il pubblico peccatore Federico Fellini”. A Rimini la signora Ida Barbiani, madre del regista, viene allontanata con ostilità durante la messa
domenicale e dalla vergogna è costretta in seguito a rifugiarsi per pregare in una chiesa di
periferia. In parlamento c’erano state furiose interpellanze del MSI, la nobiltà nera del Vaticano aveva ufficialmente protestato per essere stata messa alla berlina nel film (ma Giovanni
XXIII, il Papa Buono, due anni dopo ne abolirà l’ordine); un padre gesuita inventore dei
Cineforum, Angelo Arpa s.j., che aveva osato difendere pubblicamente l’opera di Fellini, era
stato condannato al silenzio dalle gerarchie ecclesiastiche, e privato della facoltà di scrivere
o parlare di cinema in pubblico per vari anni, con la minaccia in caso di disobbedienza di
essere ‘sospeso a divinis’, cioè di non poter più recitare messa.
Alla prima milanese alcuni irriducibili benpensanti si erano fatti largo nella ressa per
sputare addosso a Mastroianni e Fellini che si recavano in sala tra due ali di folla. Ma
il successo era stato straripante, il pubblico si assiepava senza interruzione ai botteghini, a Roma e in molte altre città italiane i gestori erano stati costretti a tenere aperti i
cinema notte e giorno, per 24 ore; e Ugo Gregoretti ne “I nuovi angeli” (1962) aveva
mostrato alcuni giovani in Sicilia che durante la proiezione della pellicola, in preda a
incontenibile eccitazione, prendevano a morsi e rodevano le spalliere in legno dei sedili
di fronte. Sequenza dopo sequenza il film immergeva gli spettatori in un affresco sconvolgente, in cui sembravano non esserci più limiti alla licenza: spogliarelli di viziose
seducenti signore, balletti di travestiti, orge, perversioni, falsi miracoli al Santuario del
Divino Amore, la morte di Steiner, un intellettuale che uccide i due piccoli figli adorati
e si spara un colpo alla tempia; il fallimento di un giornalista che vorrebbe diventare
scrittore senza riuscirci e che non si decide a sposare la sua fidanzata, avvenente ma
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troppo possessiva, travolto dalle avventure femminili che la Capitale gli offre in una
interminabile lusinga. Alla fine appare un pesce mostruoso arenato sul bagnasciuga
di Fregene con il suo occhio vitreo e spalancato; un simbolo di putredine. Qualche
critico si affrettò a interpretarlo come un terribile anatema rivolto alla comitiva di
scioperati che all’alba si allontana lungo la spiaggia, iniziando un nuovo giorno senza
mai prendere coscienza del proprio vuoto. Dunque una visione pessimista del mondo,
a cominciare dal titolo che nel giudizio dei quaresimalisti suonava intenzionalmente
ironico, anzi di aperta condanna. Proposito del tutto assente nell’autore che tenne
invece a precisare: “Non c’erano in me intenzioni sarcastiche né moralistiche, volevo
semplicemente dire che la vita può essere bella nonostante tutto.”
Dopo l’uscita del film e lo scandalo che ne seguì, Federico Fellini dichiarò a Giorgio
Bocca su L’Europeo: “Sono un peccatore anch’io”.
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La necessità del superfluo
Il film di Fellini rende universalmente popolare la figura del paparazzo, non più scattino e non ancora fotoreporter: il vero cronista dei tempi che riempie con le sue istantanee le pagine dei giornali. Titoli, flash, momenti indimenticabili, scintillanti emozioni,
frammenti di memoria, di cui Epimaco Zangheri è il custode riccionese.
L’Italia in pieno boom economico si posizionava nella classifica alta dei paesi industriali, sperimentava un’appagante prosperità; la popolazione uscita dalla morsa dei
bisogni elementari e improrogabili, assaporava il benessere, scoprendo l’esattezza del
celebre aforisma di Oscar Wilde: “Nulla è più necessario del superfluo.”
Iniziava in quegli anni la motorizzazione di massa e il primo turismo familiare; ed è in tale
filosofia che si situa anche la rapida ascesa di Riccione tra le mete vacanziere più ambite.
La stazione balneare viene presto riconosciuta come capitale dei locali notturni, delle feste,
dei premi roboanti, delle gare motociclistiche e di tutti quegli avvenimenti nei quali non
possono mancare procaci presenze femminili. Nel ’60 Pico ha trent’anni, l’età giusta per il
salto professionale; da garzone di bottega ha imparato a puntino il mestiere, gli obiettivi,
le pose, l’uso delle pellicole. E’ pronto per l’avventura che l’aspetta in una cittadina graziosa
e raccolta, prescelta come tappa immancabile dal caravanserraglio della mondanità. I fasti
di Roma si riverberano sempre più spesso sulla “perla verde dell’Adriatico”, e Dino Risi vi
ambienta nel 1965 “L’ombrellone”, immortalandone nell’immaginario collettivo l’allegra
trasgressione. Il fortunato autore di “Il sorpasso” cambia mare, passando dalla costa viareggina alla Riviera romagnola; segno dei tempi.
Affrancata da Rimini e promossa a comune autonomo con Regio Decreto del 19 ottobre 1922, Riccione aveva trovato molto rapidamente una propria personalità, competitiva non soltanto con la diretta concorrente che pulsava ai confini, ma con le più
nobili e famose spiagge d’Italia, dell’uno e dell’altro versante.
Nel 2012 ha festeggiato il suo novantesimo compleanno e nel 2014 ricorreranno gli
ottanta anni da quando Benito Mussolini, nel 1934, costruì la ben nota villa sul lungomare; qualcuno ancora rammenta che quando il Duce arrivava per passare i bagni, un
incrociatore della Marina stazionava al largo, per proteggere la sua vacanza.
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Passerella di personaggi famosi
Da fotografo da spiaggia che mette in posa i bagnanti per la cartolina ricordo, Epimaco
diventa il fotoreporter de Il Resto del Carlino e il cantore di una stagione irripetibile
per la quantità e la notorietà dei personaggi che ne sono stati i protagonisti. Attori, calciatori, cantanti, comici, centauri, campioni dell’atletica, bagnini, maggiorate, i primi
nudi; ritroviamo in queste pagine tutta la nostra storia, aggiornata ai nomi che ancora
oggi fanno notizia. Totò e Walter Chiari, Anita Ekberg e Mina, Villaggio e Lucio
Dalla. Ci sono attori leggendari come Amedeo Nazzari, Eleonora Rossi Drago, Raf
Vallone; sfilano davanti a nostri occhi Nunzio Filogamo a fianco di Raffaella Carrà,
Teddy Reno insieme a Rita Pavone, Claudio Villa e Florinda Bolkan, Ugo Tognazzi
e Roberto Benigni, Vittorio De Sica e Gino Cervi; la ‘bersagliera’ Gina Lollobrigida,
la morbida Ave Ninchi, Liana Orfei radiosa al braccio di Arnoldo Foà, Renato Rascel
con la giovanissima Giuditta Saltarini di cui era innamorato perso, Sylva Koscina
allo stesso tavolo con Ernest Borgnine, Isabella Biagini, Pier Paolo Pasolini, persino
Cicciolina che stringe tra le braccia un enorme orsacchiotto, e un’anonima bionda in
calzamaglia ‘ramage’che esibisce un fondoschiena per il quale Totò avrebbe esclamato:
“Questa faccia non mi è nuova!”. La acerba e già seducente Ambra Orfei posa in costume circense, Adriano Celentano ciondola al bar intorno a Claudia Mori in audace
déshabillé, “la coppia più bella del mondo”, Gianni Morandi sfodera la sua faccia pulita da bravo ragazzo ‘che amava i Beatles e i Rolling Stone’. Scopriamo Don Backy,
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Bobby Solo, Franco Franchi e Alighiero Noschese, Patty Pravo torbida musa del Piper.
Si farebbe prima a nominare gli assenti. Una legione sono le bellezze da spiaggia, con
o senza reggiseno e la fascia d’ordinanza di Miss a tracolla; non mancano i primi tanga
per “mostrar le chiappe chiare”, secondo i gorgheggi di Gabriella Ferri; non mancano
le corse di cavalli e i tornei di football, né le gare di nuoto nel porto canale; spicca con
il suo sorriso malandrino Giacomo Agostini a cavallo della MV Agusta, e su tutti
il grande Pelé campione dal sorriso malinconico. Incontriamo il maratoneta istriano
Abdon Pamich, Eddy Merks e Felice Gimondi, perfino Alberto Tomba sui pattini a
rotelle, forse per acciuffare meglio la Colombari. E chissà quanti ne sto tralasciando.
Ma che volete il libro è poderoso, da sfogliare e risfogliare a sazietà. Nell’ultima sezione
appaiono perfino gli scenari delle calamità naturali: l’inondazione del 1954, causata
dallo straripamento del Rio Melo che trasformò Riccione in una laguna; la tromba
d’aria del ’64 che devastò la spiaggia e il litorale; infine la ghiacciata del ’66 con la neve
alta un metro e gli slittini per le strade. Quanti ricordi, quante facce, quante splendide
gambe, quante arrostite di pesce in riva al mare! Si arriva di slancio ai volti di ieri e di
oggi: il Cardinal Tonini, Vittorio Sgarbi insieme a Federico Zeri nemici per la pelle,
don Antonio Mazzi, Carla Fracci, Oliviero Toscani, Charles Aznavour, Renzo Arbore,
Jovanotti e tanti tanti altri ancora. Ognuno pescherà all’amo la sua emozione, il suo
idolo, la sua privata nostalgia.
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Si apre una nuova era
Epimaco Zangheri non si è risparmiato; del resto il suo nome deriva dal greco antico
e viene letteralmente tradotto “colui che assiste nelle avversità”. Ma può avere anche
significati più estesi: il verbo “machomai” vuol dire combattere, pugnare; mache è la
lotta, e il prefisso “epì” che lo precede indica lo star sopra, il sovrastare l’avversario, e
quindi vincere facilmente”. Nel nome si prefigura un destino di successo. C’è anche un
santo che si chiama Epimaco, martirizzato ad Alessandria nel 250 d. C. e festeggiato
il 12 dicembre.
Oggi che Pico ha quasi 84 anni, la sua città gli è debitrice di una documentazione vasta
e preziosa e questo libro rinnova legittimamente l’orgoglio riccionese nel cuore degli
abitanti, lanciando un ponte verso le generazioni future. L’attuale ristampa riflette la
risolutezza dell’amministrazione comunale nel prepararsi all’imminente celebrazione
del secolo di vita della città con le radici ben affondate nella propria tradizione: la migliore assicurazione nei confronti di qualsiasi avvenire.
Mi sembra particolarmente ben augurante l’alleanza produttiva - e creativa - con la
BCC di Gradara, una banca locale che a sua volta ha già festeggiato i Cento Anni di
vita e di successi, e i cui clienti, i comuni risparmiatori, sono in gran parte soci nell’impresa. Un bel segno di fiducia nei confronti di un Istituto di credito che nasce per
aiutare l’imprenditore agricolo, l’artigiano, il commerciante, l’impiegato; per sostenere
la famiglia e la comunità, per supportare lo studente, l’artista, l’inventore; per dare
credito alla volontà di riscatto di ogni essere umano, di ogni cittadino. E che nel proprio statuto contiene a chiare lettere l’impegno, invariabilmente onorato, allo sviluppo
economico del territorio in cui opera.
Il libro di Pico ci parla dunque anche di un’Italia della solidarietà, della consapevolezza, della sussidiarietà, della cultura; di un Paese che non ha paura, perché conosce bene
il valore del sacrificio e la gioia di farcela nonostante tutto. Sfogliare queste pagine intrise del profumo di un tempo che c’era e non c’è più, ci aiuterà a credere in una nuova
stagione di immancabili traguardi; la quale non avrà nulla da invidiare al passato che
tanto ci intenerisce.
Propongo anzi un copyright da depositare al più presto: “Profumo di Riccione”, un’essenza inebriante le cui gocce, imprigionate in un flacone prezioso, ci aiutino ad amare
la vita.
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PICO
Premio Riccione
Il Premio Riccione per il mondo dello spettacolo organizzato
da Renato Morazzani, in collaborazione con Azienda
Autonoma di Soggiorno ed il Dancing Savioli, per oltre
vent’anni ha rappresentato l’avvenimento mondano per
eccellenza della nostra città.
Per comprenderne appieno l’importanza occorre ricordare
che numerosi personaggi, noti o meno noti, convergevano
insieme nel centro di Riccione e sfilavano su carrozze a
cavalli scoperte fra due ali di folla entusiasta che scandiva i
loro nomi e applaudiva. Le foto che seguono sono solo una
campionatura delle migliaia di immagini riprese in quegli
anni, apparse spesso su quotidiani e riviste.
Totò insieme
ad un folto gruppo di
artisti
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Anita Ekberg
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Viale Dante: l’incontenibile folla di fans per ore in attesa degli artisti, di
fronte all’ingresso del Savioli Dancing
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Un simpatico per eccellenza: Walter Chiari
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Carrozzella a sorpresa: un giovane Paolo Villaggio insieme alla coppia Ric e Gian
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Il Quartetto Cetra
Iva Zanicchi
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Il ricercato look di Lucio Dalla
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Raf Vallone e Florinda Bolkan
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Eleonora Rossi Drago e Cecchi Gori
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Una coppia che ha fatto sensazione:
Teddy Reno e Rita Pavone
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Una giovanissima ed esuberante Raffaella Carrà
Claudio Villa
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Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò
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Walter Chiari in una
delle sue più note imitazioni:
la scimmia
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Ugo Tognazzi
L’imprevedibile, incorreggibile Roberto Benigni
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Amedeo Nazzari
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Vittorio De Sica
Gino Cervi accanto al presentatore per eccellenza Nunzio Filogamo
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Gina Lollobrigida
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Ave Ninchi
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La sempre giovane Paola Borboni
Liana Orfei e Arnoldo Foà
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Renato Rascel con la giovane moglie Giuditta Saltarini
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Un gruppo di artisti (Vallone, Borgnine, Koscina)
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Ernest Borgnine e Silva Koscina
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Isabella Biagini
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Pier Paolo Pasolini con il sindaco Biagio Cenni e l’avvocato
Giuseppe Mengozzi presidente dell’Azienda di Soggiorno
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Mina
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Il Comm. Bepi Savioli con la figlia Roberta e Lola Falana
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Ilona Staller in arte Cicciolina agli esordi, sotto lo sguardo perplesso di Osvaldo Bevilacqua
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Tre giovani cantanti: Mal, Don Backy Massimo Ranieri
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Serafino e Luciana Turina
Il Circo di Ambra Orfei
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PICO
Personaggi e Varietà
Tanti, tantissimi personaggi hanno soggiornato a Riccione,
alcuni per lavoro, altri perché invitati ed altri ancora per
trascorrere un periodo di vacanza insieme ad amici o parenti.
Dario Fo
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La Famiglia Celentano, per anni assidua frequentatrice di Riccione
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Il matrimonio di Don Backy con Liliana Petralia
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Gianni Morandi alla colonia marina Mater Dei si esibisce per i giovani ospiti
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Lucio Dalla al ristorante “Da Fino”
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Bobby Solo attorniato dai fans sotto lo sguardo vigile di Cappuccini
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Il Premio Riccione
per il teatro
è la manifestazione
più affermata
dell’immediato
dopoguerra.
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Riunione dell’appena costituita Associazione Sindacale degli Autori di Teatro.
Tra gli altri si riconoscono Eduardo De Filippo ed un giovanissimo Dario Fo (1967)
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Franco Franchi
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L’indimenticabile Alighiero Noschese, maestro indiscusso di tutti gli imitatori
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Nini Rosso e la sua tromba, qui ripreso insieme
a Giorgio Leardini ed al portiere del Milan Vecchi
Loredana Berté a Radio Sabbia
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Patty Pravo
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Filo diretto con Raffaella Carrà
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Alla fine degli anni ’80 nasce a Riccione Aquafan, il primo parco divertimenti dedicato
ai giochi d’acqua. Il suo direttore, Luciano Tirincanti, è qui ripreso insieme a Claudio
Cecchetto e all’allora semisconosciuto Jovanotti
Carrellata di artisti per una serata di Gala
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Negli anni a cavallo
del 1970 una manifestazione
di successo è il “Festival
della bellezza tedesca”,
organizzato dall’Azienda
di Soggiorno, dalla rivista
Neue Illustrierte ed il
fotografo Paolo Costa.
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Ma ad ogni estate e
da sempre è tutto un
susseguirsi di “Reginette di
bellezza”, di “Miss”, di belle
donne con tanto di fascia
e non, in pose impacciate
o disinvolte, languide o
aggressive, comunque
sorridenti e testimoni di
quella gioia di vivere così
naturale durante le vacanze
a Riccione.
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Il “Gran Bal en Tête”,
tradizionale manifestazione
estiva degli anni Cinquanta
al Savioli Dancing.
L’acconciatura bizzarra,
ancor più dell’abito, faceva
sensazione. Era una gara
di eccentricità ed eleganza,
un severo impegno per
parrucchieri, sarte e belle
donne.
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Tipi da spiaggia
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Tipi da spiaggia
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PICO
Lo Sport
Riccione è oggi una città dotata di impianti sportivi moderni
ed efficienti. La passione per lo sport ha solide radici, cresce
il numero delle società sportive, aumentano i tesserati e i
praticanti. La Romagna inoltre, si sa, è terra di motori, e
Riccione ha contribuito ad alimentare l’entusiasmo per il
motociclismo. Basti pensare che nell’arco di tempo di un
decennio si passò dalle gare libere a quelle di campionato
italiano e internazionali con i piloti più affermati a livello
mondiale. Chi potrà mai dimenticare gli entusiasmanti duelli
fra Giacomo Agostini e Renzo Pasolini?
Tarquinio Provini
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Il podio della premiazione per una vittoria di Libero Liberati
Pronti... via!
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“Ago” e “Paso”
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Agostini e Bergamonti alla partenza in quella tragica domenica di primavera del 1972
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Giacomo Agostini, primatista assoluto di vittorie
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“Maratona Adriatica di nuoto”, manifestazione internazionale sponsorizzata
dalla famiglia Manicone, svoltasi a mare aperto fino a metà degli anni Settanta
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Corse al trotto a campo Ceschina in località Abissinia
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L’Inter di Helenio Herrera alla partita inaugurale del nuovo centro sportivo (1962)
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Edson Arantes do Nascimiento in arte Pelé in viaggio di nozze a Riccione (1966). È accompagnato
da Roland Hendler e festeggiato dalle autorità, dai marinai e dalla banda municipale.
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Arturo Antonelli, presidente dell’Associazione Calcio Riccione,
porge gli omaggi a Pelé
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Haller e Pelé con i rappresentanti della stampa e delle società sportive cittadine
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Gianni Rivera
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Un supertifoso del Riccione si reca allo stadio per il derby con il Rimini
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La squadra del Riccione promossa in serie C (1973)
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Rivera e Schnellinger con il presidente del Riccione Calcio in occasione di una partita di precampionato
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Abdon Pamich durante una gara del campionato italiano
Gli Harlem Globetrotters in tournée
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Il Giro d’Italia fa tappa a Riccione (1967)
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Eddy Merckx
Felice Gimondi
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Helmut Haller in vacanza con i figli
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Pierino Prati
Il Santos di Pelé (1968)
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Francesco Moser
Emerson Fittipaldi e Ronnie Peterson
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Alberto Tomba
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PICO
Gli eventi
Date importanti,
anniversari,
cose diverse
L’inondazione del 1954
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Lo straripamento del Rio Melo
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Tanti allagamenti a causa dei temporali estivi
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Anche Riccione sotto la neve: immagini del 1966
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8 giugno 1964: una tromba d’aria
di grande estensione e potenza,
accompagnata da onde anomale,
fa piazza pulita della spiaggia e
del litorale. I danni sono ingenti,
l’attrezzatura balneare è pressoché
dispersa o distrutta. Occorre ricostruire
e in fretta, poiché la stagione estiva è
già iniziata. Dopo un primo momento
di smarrimento, molti degli sbigottiti
turisti collaborano attivamente alla
raccolta ed alla pulizia dei materiali,
al ripristino delle cabine, tende e
ombrelloni. È una gara di solidarietà
che entusiasma. Gli operatori di
spiaggia non lo dimenticano. Nasce
così la “Rustida”, festa gastronomica a
base di pesce, cucinato ed offerto gratis
a tutti gli ospiti di Riccione.
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La Rustida è tradizione dal 1965
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Pubblicità d’altri tempi
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Quando Beppe Brilli era di casa “sul” Viale Ceccarini
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La Rosa d’inverno: tradizionale serata di gala al Grand Hotel,
organizzata dal Moto Club Celeste Berardi
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Le moto di grossa cilindrata sono il nuovo “status symbol”
Quante gimkane!
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Pubblicità d’altri tempi
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Nel 1972 Riccione compie cinquant’anni: il Sindaco Biagio Cenni spegne le simboliche candeline
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Si inaugura l’impianto di depurazione delle acque: il Sindaco dà prova di coraggio
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“Fenomeni” a passeggio: uno è Jimmy, l’altro, l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Onorevole
Senatore Giovanni Spadolini
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Luglio 1982: in piena stagione turistica la nazionale italiana di calcio è campione del
mondo. Una folla incontenibile si abbandona per ore ed ore in caroselli di gioia
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Omaggio della città ad Alberto Sordi
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Il Premio Nobel Rita Levi Montalcini posa la prima pietra
del costruendo Liceo Scientifico “Alessandro Volta”
il Sindaco Terzo Pierani al taglio della torta per il sessantesimo compleanno di Riccione: è il 1982
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Alla fine degli anni Ottanta Viale Ceccarini si rifà il look consolidando
la sua vocazione di salotto cittadino
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La concittadina
Martina Colombari
viene eletta
Miss Italia 1991
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PICO
Anni Novanta
Saranno ricordati per i grandi spettacoli televisivi, trasmessi
dalle maggiori reti nazionali. Una grande kermesse che,
soprattutto d’estate, ha catturato l’attenzione di migliaia
d’italiani, facendo impennare l’audience delle tv. Non solo
intrattenimento. Altri eventi hanno infatti segnato la storia
di Riccione.
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Gli eventi atmosferici
trasformano completamente il luogo dei ricordi estivi: con le mareggiate che lasciano grandi ferite alla
spiaggia, prontamente rifatta per accogliere l’arrivo della nuova estate.
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Le nevicate cadute abbondanti negli inverni dell’85 e del 91
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La solidarietà
La catena umanitaria ha coinvolto numerose associazioni e gruppi di volontari. Obiettivo: aiutare persone
bisognose, case famiglia e vittime di calamità naturali. Calcando le orme di Maria Boorman Ceccarini,
la città si è mobilitata per dotare l’ospedale riccionese di attrezzature all’avanguardia per lo svolgimento
dell’attività sanitaria.
Il Presidente della Famija Arciunesa Renzo Manaresi consegna al Pronto Soccorso una costosa attrezzatura
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Martina Colombari e Billy Costacurta assieme a Miloud Oukili, fondatore
dell’Associazione Parada, alla cene di beneficienza per i bambini di Bucarest (Romania)
La conferenza stampa di una delle tante partite di beneficienza, che hanno portato
a Riccione le squadre della Nazionale cantanti, attori e attrici, modelli, DJ, atleti e
altre star
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La cultura
Il premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, nato per ricordare la giovane giornalista uccisa a Mogadiscio
(Somalia) insieme all’operatore Miran Hrovatin, è diventato un importante punto d’incontro per i famosi
giornalisti italiani e stranieri
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Tra gli ospiti illustri figurano anche scrittori, uomini di cultura e prelati, che hanno scelto il pulpito
della Perla non solo per parlare ad una vasta platea, ma anche per presentare le loro opere e
mostre. Claudio Cecchetto, il Mons. Emmanuel Milingo e il Sindaco Massimo Masini
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Alberto Bevilacqua
Folco Quilici
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Mons. Ersilio Tonini
Don Antonio Mazzi
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Vittorio Sgarbi
Federico Zeri
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Oliviero Toscani
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Carla Fracci
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Gli spettacoli trasmessi sia dalle reti
Rai, che da Mediaset e Cecchi Gori,
hanno portato Riccione sul piccolo
schermo in tutti i periodi dell’anno:
Domenica in, Il Processo di Biscardi,
Piacere Rai Uno, Karaoke, Maurizio
Costanzo Show, Taxi, Un Disco per
l’Estate, Sapore di Mare, Tra Mare e
Stelle, Capodanno in Tv, Cronaca in
Diretta, Linea Blu e altri ancora.
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Personaggi famosi come Fiorello,
ma anche spettacoli come i concerti
della Banda dei Carabinieri o la
banda in concerto sulla barca, i
defilés di Riccione Moda Italia
con il concorso per giovani stilisti,
hanno fatto di Riccione un punto di
attrazione per tanti turisti.
Passeggiando per Riccione i turisti
hanno la possibilità di incontrare le
loro star: impegnate nelle riprese dei
vari spettacoli, film o videoclip, in
pieno relax a godersi la tranquillità di
qualche giorno di vacanza.
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Fiorello
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Concerto della Banda sulla barca
Concerto della Banda dei Carabinieri
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Riccione Moda Italia
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Il Processo di Biscardi
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Alberto Castagna, Simona Ventura, Maurizio Ferrini
Maurizio Costanzo, Fiorello, Maria De Filippi
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Renato Zero, Paolo Bonolis
Claudio Baglioni
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Francesco Guccini, Lucio Dalla
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Gloria Gaynor, Raoul Casadei
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Giacomo Agostini, Carol Alt
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Eros Ramazzotti, Michelle Hunziker
Luciano De Crescenzo
Renzo Arbore
181
Nino Benvenuti, Sandro Lo Popolo, Duilio Loi
(tre ex campione del mondo di boxe)
Fred Bongusto
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Fiorello, Paola Barale
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Claudio Brachino, Paolo Brosio
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Edoardo Bennato
185
Marco Pantani con il Sindaco Massimo Masini
Ciro Ferrara, Angelo Di Livio, Moreno Torricelli
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Alberto Tomba, Max Biaggi
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Pippo Inzaghi
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Idris
Carmen Russo
Jovanotti
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L’ANTIPAPARAZZO
EPIMACO
ZANGHERI
UN ARTIGIANO
CON IL CUORE
di Gianfranco Angelucci
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«Avrò avuto dodici, tredici anni, quando dovendo mettermi a lavorare perché mio padre era morto e in famiglia non c’erano soldi, pensavo di imbarcarmi come mio babbo, su piccole barche da pesca qui del posto; ma mia madre che non voleva lasciarmi
andare mi trovò un posto da garzone nell’unica bottega fotografica di Riccione, e lì
sono rimasto tutta la vita».
Epimaco Zangheri che oggi di
anni ne ha settanta in più essendo
quasi giunto alla felice tappa degli
84, conserva sorprendentemente
la candida espressione di quel se
stesso bambino di cui racconta
nell’intervista; ora il viso è ampio, solcato, ma lo sguardo mite
e sorridente è identico a quello
di allora, di chi non è invecchiato
perché ha vissuto in pace con se
stesso. Era il ‘43 quando andò a
imparare il mestiere di fotografo.
Poco prima che la guerra passasse con la sua distruzione:
«Il Grand Hotel era stato occupato e trasformato in circolo ufficiali per gli americani,
il negozio fu requisito per la documentazione militare. ‘Foto Riccione’, la bottega
fondata da Alfredo Ricci nel 1923, riaprì i battenti nel ‘46 ed io ero di nuovo al mio
posto».
Mi mostra le mani, belle, robuste, ma dalle dita deformate:
«Sono stati gli acidi – mi spiega – settant’anni di bagni nelle bacinelle le hanno ridotte
così.»
Nel 1947 Pico era già sulla spiaggia a scattare foto:
«Si andava di corsa, appena impressionati i rullini bisognava tornare in fretta in negozio a sviluppare i negativi e a stampare. La gente non aveva pazienza, era curiosa,
e dopo un’ora già si affacciavano i clienti per chiedere: «Sono pronte? Sono venute
bene?». Era una catena, non si finiva mai. Eravamo in cinque o sei e ognuno pensava
alle proprie pellicole».
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Ma per lei il lavoro era maggiore.
«Ero benvoluto da tutti i bagnini, che cercavano di favorirmi, di convincere i loro
bagnanti ad aspettare me per le foto ricordo: io arrivavo e riprendevo le signore, i loro bimbi, le coppiette. Li mettevo
in posa il più delle volte sul bagnasciuga,
o vicino all’ombrellone; ma capitava anche di dover entrare nell’acqua col pericolo di qualche spruzzo sull’obiettivo.
Inoltre avevo fatto amicizia con la famiglia Savioli, che mi aveva dato una sorta
di esclusiva per tutti i suoi locali. Poi nel
’58 con il Premio Riccione la mole di lavoro era aumentata enormemente».
E Pico era il più richiesto.
«A 18 anni il proprietario mi lasciò praticamente la responsabilità del negozio.
Suo figlio Edmondo Ricci non era interessato a quella vita, inseguiva un suo
sogno di regista, era andato a Roma. E
alla fine nel ’74 rilevai completamente
l’attività».
Come si svolgeva la sua giornata?
«Durante il giorno percorrevamo la spiaggia, si lavorava al mare, e la sera sviluppavamo a mano fino a ottanta, novanta rullini. Arrivavo a stampare anche 500 fotografie,
senza sosta».
Perché era tanto apprezzato, cosa la rendeva così speciale?
«Non sono stato mai invadente, cercavo di far bene la mia fotografia ma sempre in
punta di piedi, con rispetto delle persone. E in questo modo sono sempre riuscito a
portare a casa lo scatto che mi interessava».
194
Lavorava a luce naturale o
con le lampade?
«Quasi sempre a luce naturale. Per le foto posate ho usato anche i lampi di magnesio,
prima che arrivassero le lampade e poi un flash fatto venire
dall’America che però pesava
12 chili, era ingombrante portarselo dietro.»
Come misurava la luce per le
aperture di obiettivo?
«A occhio; le macchine allora non avevano esposimetro.»
Che macchina adoperava?
«All’inizio una Kodak Silette, quasi un giocattolo; poi la Leica sportiva, non ancora
reflex. In seguito ho usato anche la Rollei 6X6, soprattutto per riprendere i matrimoni. Abbiamo avuto di tutto, la Nikon, la Asahi Pentax, la Linhof 9X12. Mio figlio ha
comprato persino la Hasselblad.»
Ma la sua preferita qual era?
«È stata sempre la Nikon F2».
E adesso con il digitale come si trova?
«È un sistema automatico, mi limito a inquadrare. Al resto pensa mio figlio. Per me
conta ancora l’occhio con cui si scatta la fotografia, la tecnica viene dopo».
L’archivio di famiglia, curato dal figlio Gianni, vanta attualmente un milione
di negativi, che vanno dal 1954 a oggi. Un vero deposito di ricordi e di documentazione, ma anche un giacimento che vale una fortuna, da far fruttare commercialmente. Argomento del tutto estraneo alla mentalità di Epimaco; l’intero
fondo fotografico verrà probabilmente acquisito dal Comune come patrimonio
cittadino.
«Ci sono stati gli anni dello sport - riprende Epimaco con occhi raggianti di gioia - quando
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a Riccione c’era Pelé
col Santos, e venivano l’Inter e il Milan
a fare i ritiri, a disputare le amichevoli. I
giocatori mi volevano
talmente bene che dicevano: “Non è ancora arrivato Pico, non
cominciamo”. Mi aspettavano per dare il calcio d’inizio».
Qualsiasi avvenimento cittadino passava dal suo negozio:
«Spesso si affacciavano i fotografi che venivano da fuori: “Che c’è oggi a Riccione?”
Ero il referente. Molte volte anche il confidente.»
In che senso?
«Quando Tomba e la Martina (Colombari) si erano innamorati, facevano di tutto per
non farsi pescare. Una volta per festeggiare il compleanno di Tomba avevano affittato una motonave per stare tranquilli, lontani da occhi indiscreti, e avevano detto:
“Pico viene con noi”. Ero il fotografo di fiducia; così da un lato erano sicuri che ai
giornali sarebbero stati spediti soltanto gli scatti approvati; dall’altra portandomi via
con sé impedivano agli altri fotoreporter di seguirmi e di scoprirli. Sapevano che io
non li avrei mai traditi. Quando c’era Federica Panicucci a “Un disco per l’estate”,
la mattina verso le dieci, le undici al massimo, la vedevo comparire in negozio per
selezionare le pose, e sui provini segnavamo insieme quelle approvate. Anche Natalia
Estrada voleva che fossi io a fotografarla insieme ai bambini e ai delfini. La ragione
era sempre la stessa: sui giornali uscivano solo le foto più riuscite, mai quelle brutte,
o magari sguaiate che tanto vanno oggi di moda, con gli scatti rubati per mezzo dei
teleobiettivi.»
E la concorrenza?
«Ognuno si regolava come voleva. A Rimini Menghini, che era un’autorità in materia,
non si faceva tanti scrupoli. Io non ho mai dato via una foto senza permesso».
Le grandi dive facevano i capricci? Gina Lollobrigida come si comportava?
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«Mi voleva bene, si faceva
riprendere volentieri al Des
Bains».
Con i politici la vita era
meno complicata?
«Seguivo i consigli di Giovanni Spadolini che mi aveva detto: “Non faccia mai le
foto ai politici quando mangiano, per il resto può far tutto”. Un politico che mangia
autorizza facili allusioni, scherzava. Ma lui che era spiritoso e amante della sfoglia si
era fatto riprendere senza problemi con il mattarello in mano.»
Mussolini l’ha conosciuto?
«Sì, ero ancora un bambino nel ’38, ’39, facevo il raccattapalle nel campo da tennis. Ci
avevano dato i pantaloncini bianchi, la maglietta bianca Pirelli e le scarpe di gomma
e tela, che non avevo mai viste, non sapevo neppure qual era la destra e la sinistra.
Mussolini giocava con i pantaloni lunghi e io correvo a bordo campo o lungo la rete a
recuperare le palle da rimettere in gioco».
A Riccione lei era il fotoreporter del Resto del Carlino; veniva pagato bene?
«Pagato? Nessuno mi pagava. Qualche volta ricevevo un piccolo compenso dall’ufficio
stampa del Comune, oppure dall’Azienda Autonoma di Soggiorno. Ma al Carlino le
foto le mandavo gratis, soltanto per il nome. La domenica appena finita la partita di
calcio correvo a stampare, poi montavo in Vespa, andavo in stazione e spedivo le fotografie col treno, per fuorisacco. Allora si usava così.»
Le bastava vedere il suo nome stampato sotto la foto?
«Nel mio caso veramente la motivazione più forte era l’innamoramento che ho sempre
avuto per Riccione, volevo che la mia città figurasse ovunque il più possibile, questo era
il mio scopo e il mio orgoglio.»
Rifarebbe tutto da capo, alle stesse condizioni?
«Certo, era il mio mestiere! La fortuna è stata incontrare la moglie che ho avuto,
Agostina Ricci. Era di San Lorenzo, l’ho sposata che avevo ventisei anni; quando
197
ci siamo conosciuti Agostina ne aveva
sedici e io diciannove.
Tutto quello che ho
fatto lo devo a lei. E
a mia madre, che viveva in casa con noi e
quando mia moglie è
venuta ad aiutarmi in
negozio, ha pensato
a tirare su i nostri tre
figli. Io non c’ero mai,
non avevo orari, il lavoro e il negozio mi assorbivano completamente, come avrei potuto occuparmi della famiglia!»
Chi è la persona che l’ha aiutata di più?
«Bepi Savioli. Per me è stato come un padre. Pensi che i tanti fotografi degli altri giornali andavano da lui a offrirgli delle belle cifre pur di scattare servizi nei suoi locali,
ma lui rispondeva sempre: “Finché c’è Pico, viene lui”. E non accettava nessun altro.»
Tra tutte le belle donne che ha fotografato, chi le è restata nel cuore?
«La Hunziker, Michelle Hunziker è meravigliosa.»
E le altre?
«Ricordo Anna Falchi che era molto carina; Valeria Marini, disponibilissima, Emanuela Arcuri bella come una statua».
Dove le incontrava?
«Erano gli stessi ristoranti a chiamarmi se qualche personaggio andava a pranzo o
a cena. E io arrivavo subito. Anche quando a Riccione si giravano i video musicali,
venivo contattato in anticipo per realizzare i servizi fotografici. Senza contare che per
trent’anni non sono mai mancato alla vasca dei delfini, dove ho conosciuto personaggi
come Enzo Maiorca, Jacques Mayol».
Riccione pullulava di magnifiche fanciulle; nel suo libro ne appaiono di superlative
ma senza un nome.
«Erano in genere ragazze tedesche, finaliste in Germania di concorsi di bellezza, che
venivano ingaggiate d’estate. Servivano per far colore, suscitare allegria, portare un
po’ di eccitazione nei villeggianti. Si facevano vedere sulla spiaggia, alle sfilate delle
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automobili, nei dancing, a nuotare in piscina. E io le fotografavo.
Qualche volta si toglievano il pezzo sopra, si lasciavano riprendere a
seno nudo e allora le loro foto facevano il giro del mondo, uscivano
contemporaneamente su quaranta, cinquanta testate».
Una soddisfazione non da poco!
«Vivevo di soddisfazioni. Sono stato un gran lavoratore ma con
poca inclinazione a fare i conti. Non ho mai pensato al denaro, lavoravo per la mia città, perché desideravo che Riccione fosse sempre
più importante, sempre alla ribalta. Pensi che al tempo della mucillagine mi telefonò il Resto del Carlino per avere le foto del mare
marrone. Ma io non volevo che uscissero, non volevo che ne andasse
di mezzo il buon nome di Riccione e risposi che non le avevo. Insistettero: “Ma se ti
hanno visto sulla spiaggia a scattare”. Mentii, per tagliar corto: «Sì, è vero, ma non sono
venute bene.»
E i soldi per vivere da dove venivano?
«Dal negozio, dall’attività corrente. Accettavamo qualsiasi incarico: campionari di
scarpe, di abbigliamento, le immaginette dei santini per le chiese, cerimonie di ogni
tipo, battesimi, cresime, matrimoni. Persino i funerali. Molti volevano la fotografia
del caro estinto nel catafalco e noi facevamo anche quelle. Scherzando usavo dire: noi
siamo come il prete, vicino alla gente da quando nasce a quando muore.»
Come è successo che ha incontrato Papa Wojtyla?
«In Vaticano era stata organizzata una visita per i sindaci della Riviera, che hanno
voluto portarmi con sé, in delegazione, per via delle fotografie. Mai avrei potuto immaginare che Giovanni Paolo II mi tendesse la mano! Sono un cattolico, per me il Papa
è al di sopra di tutto, la massima autorità che esiste, e quel suo gesto così familiare, da
amico, mi ha colto alla sprovvista, mi ha lasciato proprio senza fiato».
Il suo negozio ha chiuso definitivamente nel 2012. Cosa c’è adesso al suo posto?
«Una gelateria. Quando ho chiuso, la gente di notte andava a scrivere sui vetri con il
pennarello, pensieri di saluto, di gratitudine, di amicizia. Proprio commoventi: il regalo
più grande dei riccionesi. Quelle frasi avrei dovuto raccoglierle, perché sono il vero
significato della mia vita.»
Come vorrebbe essere ricordato?
«Un artigiano con il cuore».
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Dicono
di lui
Pico - Favolista a Riccione
Di Epimaco Zangheri - in arte Pico - tanto si è scritto e, soprattutto tanto si è mostrato
perchè quando siamo nella necessità di trovare una immagine di Riccione che non sia banale, che non sia la solita, è d’obbligo ricorrere a lui... perchè Pico coi suoi scatti ha “scritto”
la favola di Riccione. È l’Esopo della Perla verde, con le immagini in luogo di parole, di
frasi, di concetti, di fatti, di avvenimenti.
Se quasi tremila anni fa, il favolista greco aveva come attori della sua prosa uomini, animali,
piante e dei, Pico per le sue immagini ha avuto ed ha gli spazi di Riccione e dei personaggi
che ci vivono o che, pur di passaggio, hanno lasciato una traccia, una impronta... e di questi
ne ha colto l’anima fiabesca.
Con la vastità delle sue foto Pico non “offre una morale” come “il grande greco” fa con le sue
favole, ma un grande insegnamento: se nel lavoro metti amore e la gentilezza di un sorriso
lo accompagna, si può dare valore a questa vita.
Giuseppe Lo Magro - Presidente di Famija Arciunesa
Prendete un buon fotografo di quelli che vanno di moda adesso: se state intervistando
qualcuno lo vedrete immediatamente di spalle, fra voi e la persona con la quale stavate parlando. E il nostro interlocutore sparirà in una selva di gomiti, giubbotti di sopravvivenza,
macchine, teleobbiettivi, esposimetri e non so quale altra diavoleria. Ecco, Pico è tutto il
contrario. Arriva in punta di piedi e com’è venuto se ne va senza disturbare nessuno. E con
l’immagine giusta nel rullino. Lavoro con Pico da sei anni e non conosco neppure il suo
cognome. Ma Pico è del “Carlino”. Anzi è il “Carlino”. E guai a chi lo tocca.
Il Resto del Carlino – Pierluigi Martelli
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Aspettavo da tempo questa simpatica iniziativa di Pico, coetaneo e amico carissimo. Insieme abbiamo percorso, tra gioie e dolori, gli ultimi quarant’anni dello sport riccionese, e
questo revival del suo magico obiettivo mi coinvolge ancora di più. L’amico Pico ha fermato nel tempo, fra uno scatto e l’altro, con la sua enorme passione di puntuale testimone dei
fatti di casa sua, gli eventi, belli e brutti, della sua amatissima città. È anche commovente
vederci com’eravamo, grazie al clic curioso di un bravissimo comunicatore di immagini che
da oltre mezzo secolo vive per raccontarci la nostra città.
Corriere dello Sport Stadio – Giuseppe Angelini
Cinquant’anni di storia attraverso l’obiettivo e la lente d’ingrandimento. Con la sensibilità dell’artista, Pico ha saputo imprimere nella nostra memoria i personaggi, gli
avvenimenti sportivi e mondani che non potranno mai essere dimenticati perché appartengono a tutti noi, patrimonio culturale di un’epoca irripetibile per le sue contraddizioni, fascino e gioia di vivere; i momenti più significativi, quindi, di questo ultimi
cinquant’anni, di un’epoca pronta ormai a cedere il passo ad un’altra generazione di
navigatori e perché no di… santi. Ed i prossimi anni potrebbero essere gli anni della
spiritualità e della poesia, una poesia non solo di parole ma soprattutto di gesti come
quelli nati dalla fantasia di un fotografo ispirato come Epimaco “Pico” Zangheri.
La Gazzetta di Rimini – Giorgio Betti
Lo chiamavano affettuosamente Rubartelli, il fotografo delle dive all’epoca della “Dolce
vita” di Fellini, con la differenza che Pico la interpretava con più amore, con più dolcezza,
facendo della donna, una figura da osservare e da ammirare. Non solo donne, ovviamente,
davanti all’obiettivo di Pico, ma tutto quello che Riccione, la sua città, la nostra città, proponeva e propone. Il mare, gli ospiti, famosi e non, sono stati e sono per lui tutti da immortalare con le sue Nikon, con la passione e l’amore da lui così profondamente espressi come da
nessun’altro. Grazie Pico, te lo dice un riccionese autentico, il tuo sorriso, la tua professionalità, sempre e ovunque ti avrebbero fatto grande anche se non lo fossi stato! Ad Maiora.
Tele Sanmarino – Marzio Cesarini
Cinquant’anni di carriera, mezzo secolo di testimonianze fotografiche riferite alle realtà più diverse di una comunità. Osservando le immagini di questa rassegna si nota
come gli anni producono mutamenti di straordinaria evidenza, come gli uomini e le
cose seguono il passo del tempo provocandoci sensazioni spesso malinconiche, qualche
volta divertenti. Anni ancora così vicino a noi eppure segnati impietosamente da mode
impensabili (le basette lunghe, i pantaloni a zampa di elefante, le giacche strette) e da
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mezzi di locomozione (il “Cucciolo” o il “Mosquito” oppure le “Douphine”, le “Prinz”,
le “Fiat 600”), sono riferimenti annotati in un calendario lungo più di cinquant’anni.
Ma quanti particolari avevamo perduto, quanti dettagli il tempo aveva offuscato o fatto completamente sparire! L’obiettivo di Pico, fedele, costante e preciso, ha fermato nel
breve tempo di un centoventicinquesimo di secondo fatti ed episodi ormai lontani a
volte preziosi, a volte no, ma sempre importanti per ricostruire la memoria della nostra
vita, la storia della nostra città. Ai giovani lo spaccato variamente ricco mostrato con
l’efficacia della testimonianza diretta, quasi un racconto che nessuno scrittore o cronista potrebbe con tanta fedeltà rappresentare. Per tutto questo, per l’impegno da sempre
profuso in cinquant’anni di giornaliera dedizione. Grazie Pico!
VGA Telerimini – Edmo Vandi
Epimaco Zangheri, pochi lo conoscono per nome e cognome, esattamente da mezzo
secolo è per Riccione quello che è stato, sempre per cinquant’anni, Davide Minghini
per Rimini: il testimone puntuale e riservato di ogni avvenimento, la memoria di fatti
e personaggi che hanno segnato la vita politica e sociale della propria città. Chi scrive può dirlo con certezza sapendo oltretutto di fare un onore ad entrambi, anche se
“Mingo” purtroppo non c’è più: le somiglianze tra Pico e Minghini sono tante e profonde e le loro carriere scorrono come parallele. Sempre in prima fila eppure mai ingombranti, totalmente dediti al loro lavoro, innamorati della propria città, puntuali con
l’inseparabile macchina fotografica, cordiali, schivi, disponibili. Pico torna ad esporre
alcune delle sue foto, da vero cronista, in bianco e nero. Non riusciamo nemmeno ad
immaginare quanta fatica gli sia costato sacrificare decine di migliaia di immagini
per sceglierne 300 o poco più. Nel suo prezioso archivio c’è la storia, dal ’53 ad oggi,
di Riccione, da quando era la dolce perla verde fino al boom del turismo e purtroppo,
del cemento. Una storia di avvenimenti, personaggi, soprattutto da ripercorrere con
immagini che suscitano ora ricordi, ora sorprese, ora commozione, ricche sempre di
sensibile umanità: Pelé e la Carrà, Tomba e Gina Lollobrigida, Spadolini ed Emilio
Amati. Una vita, quella di Pico, passata nel negozio di via Gramsci oppure in spiaggia,
in Comune o alla Fiera del francobollo, e sempre comunque, di notte, al Savioli. Così
da cinquant’anni e sempre al servizio della sua città. Ecco perché Pico è il fotografo di
Riccione. Anzi per generazioni di turisti, il signor Foto Riccione.
Il Messaggiero – Andrea Basagni
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Grafica: Michele Balducci
Stampa: Grapho 5 Service - Fano - Dicembre 2013