la scapigliatura - Collegio San Giuseppe

Transcript

la scapigliatura - Collegio San Giuseppe
Reazione al Romanticismo
Realismo (Naturalismo
e Verismo)
Classicismo di Carducci
Scapigliatura
La Scapigliatura
La Scapigliatura per l’Italia rappresenta
l’antesignana delle cosiddette
avanguardie storiche, sorta dal calo di
tensione etica postrisorgimentale e,
come in altri Paesi europei, dalla
dissoluzione del Romanticismo. Non a
caso ha radici milanesi.
Il termine "Scapigliatura" deriva dal titolo del
romanzo di Cletto Arrighi (giornalista, scrittore e
patriota) La Scapigliatura e il 6 febbraio (1861-62),
in cui, con i toni passionali del racconto popolare,
si narra la vicenda milanese di un gruppo di
scontenti e ribelli, "vero pandemonio del secolo …
serbatoio…dello spirito di rivolta e di opposizione
a tutti gli ordini stabiliti", che finiscono con il
sacrificare la vita nei moti antiaustriaci del 1853.
Il movimento raccolse personalità libere, unite dall’insofferenza e dalla
volontà di scandalizzare i benpensanti. Pittori, scultori, scrittori,
musicisti o gente di teatro, voci spregiudicate e indipendenti, con
atteggiamenti bohémien ed esistenze sofferte che contrastarono il
conformismo borghese. Questi artisti combattono l’accademismo, si
radunano nelle osterie, contestano la nascente società d’impronta sabauda.
Emilio Praga
•
Emilio Praga nacque a Gorla, in provincia di Milano, nel 1839
•
Famiglia borghese benestante (viaggiò a lungo per l’Europa durante gli anni
giovanili, venendo in contatto soprattutto con l’ambiente parigino).
•
La morte del padre e il dissesto dell’azienda familiare lo spinsero sulla
strada del bisogno: Emilio Praga non seppe adattarsi ad un lavoro regolare
e si diede così all’alcool e a una vita misera e disordinata.
Incarna il modello del poeta maledetto: intellettuale sensibile e colto,
che non accetta di piegarsi alle convenzionalità dello stile di vita
borghese e che lotta contro ogni regola.
Morì poverissimo, distrutto dall’alcoolismo, a soli 36 anni. Era il
1875.
Emilio Praga
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto poeta che l 'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!... Degli anticristi è
l'ora!
Cristo è rimorto !
PRELUDIO
Consapevolezza della FINE DI
UN’EPOCA e DI UNA CIVILTA’
LINGUAGGIO BLASFEMO, che utilizza
immagini della religione, ma ne nega i
contenuti.
Polemica contro Manzoni,
considerato il simbolo dei valori
della borghesia ottocentesca
Charles Baudelaire pubblica nel 1857 I
fiori del male (Les fleurs du Mal) una
raccolta poetica divisa in 6 sezioni: la
prima è intitolata Spleen et ideal. Qui
Baudelaire esprime lo stato di
Ambiguità del rapporto con
malessere del poeta: è uno spirito
l’interlocutore, che non è più il
superiore capace d'elevarsi al di
popolo da educare, ma un uomo
sopra degli uomini e di percepire con
che condivide con il poeta
la sua sensibilità innata la segreta vita
l’incertezza della vita.
del mondo, ma, proprio a causa delle
sue capacità, è maledetto dalla società
e diventa oggetto di scherno per gli
uomini comuni (v. L'albatros) La causa
della sofferenza del poeta è lo spleen,
un’angoscia esistenziale profonda e
disperata che lo proietta in uno stato di
perenne disagio
Denuncia dell’ipocrisia della società
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il
tuo cielo, e il tuo loto !
Canto litane di martire e d'empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un
tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni
d'azzurro,
e l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango :
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al
pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
L’albatros
Per dilettarsi, sovente, le ciurme
Catturano degli albatri, grandi uccelli marini,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
il bastimento che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell'azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti,
le candide e grandi ali. Com'è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore!
Lui, poco fa sì bello, come è brutto
e comico! Qualcuno con la pipa
il becco qui gli stuzzica; là un altro
l'infermo che volava, zoppicando mima.
Come il principe delle nubi
è il poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni ,
le sue ali di gigante gli impediscono di
camminare
Baudelaire
Iginio Ugo Tarchetti
Da famiglia benestante, Iginio
Ugo Tarchetti nacque a San
Salvatore Monferrato nel
1841. Terminati gli studi
classici intraprese la carriera
militare, che poi abbandonò
per dedicarsi alla scrittura.
Stabilitosi a Milano, collaborò
a riviste e giornali, e qui morì,
nel 1869.
Iginio Ugo Tarchetti FOSCA
Romanzo considerato il capolavoro di
Tarchetti, che morì di tifo prima di
portare all'epilogo la storia.
La vicenda ruota attorno alla torbida
figura
di
Fosca,
una
donna
misteriosa ed inquietante, malata
nel corpo e nello spirito ma con
un'arcana
e
oscura
forza
magnetica, con la quale attrae a
sé Giorgio. Il mito del doppio,
dell'antitesi tra luce e buio, vita e
morte
raccontato.
è
magistralmente
Il romanzo narra le memorie di un giovane ufficiale, Giorgio, che rievoca un
periodo particolarmente doloroso della sua vita, caratterizzato dall'amore per
due donne dai caratteri antitetici: Clara e Fosca.
I ricordi iniziano quando il giovane, in congedo per malattia, si reca a Milano, a
far visita a un amico. Qui incontra Clara, una giovane donna bella e dolce, con
la quale inizia una tenera relazione amorosa (Clara è però sposata con un
impiegato). Dopo due mesi, però, Giorgio viene promosso capitano e destinato
ad un nuovo incarico.
Di stanza in un piccolo villaggio, Giorgio è spesso ospite nella casa del
colonnello, comandante della guarnigione. Proprio in questa casa conosce la
cugina del colonnello, Fosca, descritta dal medico come «la malattia
personificata, l'isterismo fatto donna, un miracolo vivente del sistema
nervoso». Fosca è una donna di rara bruttezza, affetta da una grave
malattia, ma allo stesso tempo dotata di un'acuta sensibilità e di una raffinata
cultura: Giorgio presto inizia a subirne l'oscuro fascino, tanto da non riuscire
ad evitarla e da essere costretto ad instaurare con la donna un morboso
legame sentimentale.
Da questa relazione Fosca sembra trarre nuovo vigore e quasi
guarire dalla sua malattia, a scapito però di Giorgio, che si sente
deperire e avvicinare alla morte. Con la complicità del medico, il
giovane riesce a ottenere un trasferimento provvisorio a Milano, che
in seguito dovrà diventare definitivo. Tuttavia, negli ultimi giorni di
soggiorno in casa del colonnello succede l'irreparabile: Fosca, alla
fine del romanzo, muore logorata dalla malattia in seguito ad una
morbosa nottata trascorsa con l'amato, mentre Giorgio, sfidato a
duello dal colonnello, è colto da un malore e si rende conto di essere
vittima della stessa malattia della donna.
Iginio Ugo Tarchetti
MEMENTO
Quando bacio il tuo labbro
profumato,
cara fanciulla non posso obliare
che un bianco teschio vi è sotto
celato.
Quando a me stringo il tuo corpo
vezzoso,
obliar non poss'io, cara fanciulla,
che vi è sotto uno scheletro
nascoso.
E nell'orrenda visione assorto,
dovunque o tocchi, o baci, o la
man posi,
sento sporger le fredde ossa di un
morto.
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto poeta che l 'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!... Degli anticristi è l'ora!
Cristo è rimorto !
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo
cielo, e il tuo loto !
Canto litane di martire e d'empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro,
e l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango :
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
1^ domanda: sintetizza il contenuto della poesia in un testo di 5-8 righe.
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto poeta che l 'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!... Degli anticristi è l'ora!
Cristo è rimorto !
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo
cielo, e il tuo loto !
Canto litane di martire e d'empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro,
e l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango :
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
2^ domanda: quale immagine del poeta emerge da questo testo? Qual è il
rapporto del poeta con il lettore? In quali aspetti tale rapporto si differenzia
da quello riconoscibile tra il poeta romantico e il suo pubblico?
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto poeta che l 'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!... Degli anticristi è l'ora!
Cristo è rimorto !
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo
cielo, e il tuo loto !
Canto litane di martire e d'empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro,
e l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango :
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
3^ domanda: nella poesia si notano numerosi vocaboli appartenenti al
campo semantico della religione: evidenzia i più significativi e spiega che
valore abbia questa scelta lessicale.
Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto poeta che l 'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!... Degli anticristi è l'ora!
Cristo è rimorto !
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo
cielo, e il tuo loto !
Canto litane di martire e d'empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.
Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro,
e l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango :
giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!
4^ domanda: il vero è indicato come oggetto della letteratura non solo
dagli Scapigliati, ma anche da altri autori e movimenti letterari che hai
studiato in quest’ anno: quali differenze ci sono però nell’interpretazione di
tale concetto?