Denunciare i colleghi non è fare la spia

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Denunciare i colleghi non è fare la spia
Corriere della Sera, 28 febbraio 2015
Denunciare i colleghi non è fare la spia
di Marilisa Palumbo
Con una lettera e un manualetto di quindici pagine Rossella Orlandi potrebbe aver
rotto un tabù. La direttrice dell’Agenzia delle Entrate ha deciso di «dare il buon
esempio» nella «lotta all’illegalità fiscale» incentivando le denunce dei dipendenti sui
comportamenti illeciti o fraudolenti dei colleghi.
Il riflesso condizionato di molti è: non sarà delazione? Perché la questione morale è,
anche, una questione culturale. Fin da bambini impariamo che denunciare i compagni
che copiano è un po’ da «infami», e magari aiutarli a barare ci rende piccoli eroi. In
molti Paesi, Stati Uniti in testa, è vero il contrario. E non perché siano una società di
delatori, ma comunità che tentano di basarsi sul merito, dove copiare è imbrogliare
(infatti si usa il verbo cheat, non copy), ed è concorrenza sleale. Come, oltre a essere
illegale, è concorrenza sleale non pagare le tasse, corrompere, farsi corrompere in
cambio di un dono più o meno «pesante». Non un atto di furbizia ma un danno
inferto al bene comune e all’interesse pubblico.
Ecco perché negli Stati Uniti non esiste solo un programma di whistleblower (colui che
soffia il fischietto, dunque segnala il fallo) ormai trentennale per le amministrazioni
pubbliche, ma anche uno che tocca i privati: l’Internal revenue service, la loro Agenzia
delle Entrate, consente dal 2006 di denunciare le grandi evasioni societarie o il vicino
o il collega evasori. Con tanto di ricompensa. E se l’idea mette un po’ di disagio perché
ricorda il sistema delle taglie, consideriamo qualche numero. Nel 2013 l’Irs ha
attribuito 122 «premi» a cittadini le cui denunce, verificate, abbiano consentito allo
Stato di recuperare soldi evasi. Il riconoscimento in media è di 435 mila dollari, per un
totale di 53 milioni. Ma il totale delle somme recuperate è 367 milioni. Con il False
Claim Act, quello che riguarda i dipendenti che evitano frodi allo Stato e si avvicina allo
schema previsto dalla legge Severino (che il commissario anticorruzione Raffaele
Cantone vorrebbe applicato in tutta la Pa), si sono recuperati dall’86 a oggi miliardi di
dollari.
E se la denuncia per evasione, atti illeciti o corruzione o frode diventa persecuzione,
strumento di vendetta contro il collega antipatico, o più bravo di noi, o il vicino
maleducato? I mezzi per evitarlo ci sono. Il Comune di Milano, tra i primi in Italia, a
metà gennaio, a introdurre la procedura del whisteblowing, ha istituito un comitato di
garanzia che valuti quanto sono circostanziate le segnalazioni (ancora solo 5 o 6,
fanno sapere con un po’ di disappunto). E semmai all’estero le preoccupazioni, come
risulta da uno studio di inizio febbraio sul servizio sanitario nazionale britannico, e da
inchieste in alcune agenzie federali statunitensi, riguardano la tutela da ritorsioni di
chi ha il coraggio di indicare un comportamento scorretto. Modelli, come dice Orlandi,
non spie.