Clonazione: etica, leggende, superstizione e realtà.

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Clonazione: etica, leggende, superstizione e realtà.
Clonazione: etica, leggende, superstizione e realtà.
La scelta di un titolo non è mai casuale. Il nostro approccio verso la clonazione, in effetti, è infarcito
di “leggende” e di superstizioni che hanno lontane origini.
Innanzi tutto, che cos’è un clone?
Un clone è un essere vivente che ha patrimonio genetico uguale ad un altro.
Quando pensiamo alla clonazione immaginiamo un laboratorio modernissimo popolato da uomini
in camice bianco o in “scafandri” di plastica e gomma.
In realtà la clonazione non è così lontana dalle pratiche del cittadino comune. Chi pratica
giardinaggio avrà senz’altro replicato alcune piantine per talea. La piantina così generata ha in
comune con la pianta madre tutto il patrimonio genetico, perciò è a tutti gli effetti un clone.
Esistono “cloni” naturali e sono talmente diffusi che spesso non ce ne rendiamo conto. La forma più
vicina a noi è rappresentata dai gemelli monozigoti, meglio noti come “gemelli identici”.
Quindi i cloni umani o animali potrebbero essere definiti “gemelli monozigoti diacronici”.
Sono gemelli monozigoti in quanto non c’è alcuna differenza dal punto di vista teorico tra un
gemello “naturale” e uno artificiale. Sia un clone sia un gemello monovulare sono individui che
condividono con un altro tutto il patrimonio genetico (almeno in teoria). Quindi valgono le stesse
considerazioni in entrambi i casi, cioè possiamo applicare ai cloni le stesse considerazioni dei
gemelli. Le uniche differenze sono l’artificiosità e la diacronicità, cioè esiste un “gemello” più
vecchio e uno più giovane di anni.
Ovviamente il lettore penserà che voglia parlare di clonazione umana poiché è l’ambito applicativo
più preoccupante e “chiacchierato”.
Non è mia intenzione farlo. Affrontare questo (ipotetico) impiego ci permetterà di analizzare più a
fondo il fenomeno clonazione. Se due individui molto simili ma comunque diversi come i gemelli
monozigoti ci sembrano, a torto, identici, non potremmo certo affrontare il nostro ragionamento
prendendo come esempio varietà animali e vegetali di cui percepiamo in modo molto ridotto le
peculiarità individuali.
Abbiamo precedentemente assimilato i cloni ai gemelli identici. Questa scelta non rispecchia
solamente criteri biologici, ma anche la stessa tendenza a generare leggende. L’uomo di fronte ad
un parto gemellare, anche se eterozigote, accomuna i due individui allo stesso destino. Presso
alcune popolazioni i gemelli sono considerati come un solo essere vivente: devono fare tutto
assieme e se, per esempio, uno piange deve piangere anche l’altro, magari picchiandolo, o alla
morte prematura di uno dei due, si sostituisce il gemello mancato con un simulacro che dovrà
accompagnare l’altro per tutta la vita.
A maggior ragione, di fronte a gemelli identici la fantasia corre senza freno. Anche presso di noi
c’era chi sosteneva (chi sostiene tuttora) che siano telepatici o che possano provare a distanza ciò
che sente l’altro.
Tutte sciocchezze dovute alla stessa nascita e all’apparente identicità di due individui. E’,
all’incirca, lo stesso meccanismo cultural-psicologico che ci porta a credere che rompere uno
specchio sia fonte di guai (danneggi la tua immagine riflessa, cioè il tuo doppio al di là dello
specchio).
In effetti, i gemelli “identici” non sono identici. E’ la nostra limitata capacità di osservazione a
renderli indistinguibili. Non è un caso che, nelle prime pagine de “La Diversità Umana”, Richard
Lewontin parli proprio del riconoscimento degli individui. L’autore afferma che distinguere le
persone all’interno di un gruppo etnico che non è familiare per molti può risultare difficile. Non è
solo un problema di possibilità o di pratica, ma è soprattutto di attenzione e volontà. Nella
distinzione degli individui all’interno di “spazzi” sociali o gruppi etnici spesso si è ostacolati dalla
tendenza alla stereotipizzazione.
Se ci sbagliamo tra individui molto diversi che dire di individui molto simili. Eppure genitori,
fratelli e amici intimi riescono a distinguere due gemelli monovulari, proprio perché esistono delle
differenze percettibili.
Quindi né i gemelli né i cloni possono essere perfettamente identici, né alla nascita né più tardi. Non
solo nel corso della vita le pressioni ambientali possono produrre profondi cambiamenti (pensate ad
un diverso taglio di capelli o a uno sfregio sul viso), ma fin dalla nascita esistono delle importanti
differenze per un fenomeno conosciuto come “rumore dello sviluppo”.
Il “rumore dello sviluppo”, in parole povere, consiste nella casualità. Ad esempio nelle colture di
moscerini della frutta, la larva cresciuta in provetta può avere un numero diverso di setole
sternopleurali tra la parte destra e quella sinistra. Quest’asimmetricità si riscontra in individui
geneticamente identici e sviluppati nello stadio di pupa in provetta (quindi ambiente controllato,
standardizzato e asettico).
Il patrimonio genetico lascia alcune cose al caso, come l’esatta disposizione dei follicoli piliferi o le
varie pieghe della pelle (come le impronte digitali), i nei o le “voglie”, che non sono certamente
ereditabili.
Quindi sono leggende che il clone abbia un identico modo di parlare (e pensare) o addirittura le
stesse impronte digitali!
Le differenze “caratteriali” tra individui con lo stesso patrimonio genetico sono ancora più marcate
di quelle fisiche.
Già dai primi mesi di vita, cioè quando l’ambiente non ha differenziato molto i due gemelli, si
possono notare importanti differenze. E’ noto che nella coppia c’è un gemello più attivo,
comunemente detto “dominante”. Così anche l’orologio biologico (il ritmo sonno-veglia) è fin dai
primi giorni diverso, anche se ovviamente i pianti dell’uno sveglieranno anche l’altro!
Con il trascorrere della vita le differenze saranno più marcate, benché i due si possano influenzare
reciprocamente. Sebbene possano esistere delle “predisposizioni”, queste potranno svilupparsi o no,
così come prendere questa o quella “forma” in base alle scelte motivazionali dei singoli individui.
Brevemente si può affermare che il genotipo determina la norma di reazione, il fenotipo è l’aspetto
costituito dell’organismo in reazione con l’ambiente (norma di reazione + ambiente). Il fenotipo di
un organismo non può essere completamente specificato neppure quando sono noti e controllabili
genotipo e ambiente di sviluppo. La terza causa di variazione è, appunto, il “rumore dello
sviluppo”.
Il clone, a maggior ragione, risente maggiormente delle differenziazioni dell’ambiente, in
quanto non condivide lo stesso metabolismo ospite. Nella maggior parte dei casi i gemelli
monozigoti condividono la stessa sacca coriale e hanno già delle differenze, che possono aumentare
se la divisione della cellula non avviene circa all’ottavo giorno: se è molto più precoce ci saranno
due sacche e due placente, se avviene entro i primi tre giorni ci sarà una sola placenta e due sacche,
in entrambi i casi si avranno maggiori differenze.
Cosa dire di un ambiente completamente diverso? Inoltre la differenza di anni tra l’originale e il
clone ed il conseguente cambiamento “ambientale” influiranno in maniera considerevole sullo
sviluppo psico-fisico.
Ma l’immaginario collettivo continua a vedere nella clonazione l’arte di creare replicanti, cioè
individui già adulti che sanno tutto ciò che sa l’originale.
Se bastasse il DNA per condividere tutto il sapere avremmo la scienza infusa! Se fosse così,
saremmo davvero degli stupidi a perdere i nostri migliori anni dietro i banchi di scuola per
apprendere quello che già sappiamo, non vi pare?
Che dire di Platone?
La sua maieutica sarebbe l’unico metodo didattico veramente efficace, alla faccia di tutti,
pedagogisti o insegnanti che siano!
Un clone ha bisogno (almeno per ora) dello stesso tempo per crescere di ogni altro essere vivente
della sua specie. Se si potesse manipolare il patrimonio genetico per accelerare lo sviluppo, se si
potesse trasferire una matrice di pensiero in un altro corpo sarebbe una manipolazione notevolmente
più complessa della clonazione!
L’immaginario collettivo spesso ha più talento di Mary Shelley: che ne dite della folle idea di creare
dei corpi clonati senza testa per essere una banca d’organi? E chi li nutre fino all’età adulta (senza
testa poi!)?
Anche verso la clonazione bloccata ai primo stadio di sviluppo c’è molta confusione. In questo caso
abbiamo solo un gruppo di cellule e non un essere vivente. Il fatto che sia coinvolta una parte
potenzialmente può dare origine ad un essere vivente non giustifica tanta eccitazione, soprattutto
in paesi dove l’aborto è legale.
Possiamo affermare che ogni giorno perdiamo capelli, peli e scaglie di pelle. Spingendosi oltre si
potrebbero menzionare le polluzioni notturne. Insomma, ogni giorno perdiamo una parte di noi,
ma quella parte non siamo noi. Una parte non è il tutto!
Riassumendo:
1. I cloni sono autentici esseri viventi, quindi i cloni umani sono esseri umani, i cloni animali
sono animali e così via.
2. Gli individui identici (cloni o gemelli) si differenziano fin dal concepimento.
3. Un clone può essere maggiormente differenziato a causa del diverso ambiente di sviluppo
prenatale.
4. Un clone non è un replicante, ma un individuo.
5. La parte non è il tutto.
6. Chi pretende di clonare l’animale domestico o il parente morto per “riaverlo” è un illuso ed
è in grave errore.
7. Chi si facesse clonare per ottenere l’immortalità, rimarrebbe molto deluso!
Dal punto di vista etico è difficile dare una risposta alle domande sollevate dalla clonazione in sé.
Obiettivamente la morale non è un metro di giudizio costante nel tempo, globalmente condiviso e
molto spesso (ahimè) si dimostra un criterio poco oggettivo. Esistono, nel mondo, dottrine morali
alternative e contrastanti tra loro. Tutte queste dottrine hanno la pretesa di essere nel giusto. Altre
norme, invece, sono state decise “a tavolino” per il bene comune, ma ciò non toglie che possano
essere considerate “retrograde”, “bigotte”, “barbare” o semplicemente “insensate” e quindi possano
essere modificate appena la situazione lo permetta. Allora, non avendo risposte, non mi resta che
formulare una domanda:
A che serve la clonazione?
Insomma qual è la sua utilità per l’uomo e quale la dannosità?
Ad un’attenta analisi, se escludiamo le posizioni religiose, è come chiedersi se il denaro è buono o
cattivo. Di per se non è né uno né l’altro: dipende dall’uso e dalle circostanze!
Riguardo all’uomo, la clonazione d’individui completi è assolutamente inutile, mentre è vitale
quella parziale o semplicemente cellulare (riprodurre un organo o le cellule staminali).
Allo stato attuale, poi, i metodi di clonazione sono ancora imperfetti, quindi è prematuro fare un
bilancio sulla “bontà” dei risultati.
Possiamo, invece, domandarci sulle possibilità offerte dalle applicazioni “ridotte” della tecnica di
clonazione e su quali sono le ragioni che spingono alcuni scienziati a riprodurre esseri viventi
identici e le aspettative collegate a questa tecnologia?
Forse l’attenzione e il clamore suscitati dalla clonazione dipendono dall’attuale tendenza a
standardizzare, a rendere tutto settoriale, specifico e uniforme per ottimizzare il rendimento o per
ottimizzare il raggiungimento di uno scopo. Così si può essere tentati standardizzare varietà
animali, vegetali ed esseri umani. Certamente tutto ciò risente del “gusto” moderno, troppo
influenzato dalla scienza e dalla tecnica. Ma è la diversità, la variazione casuale, la voce fuori
dal coro che ha sempre dato le migliori risposte nell’evoluzione e nel progresso.
Ad esempio, gli uomini che hanno dato di più al genere umano con le loro scoperte o con le loro
imprese (ad esempio i record) sono spesso stati considerati “difettosi” e molti di loro, in natura,
potrebbero essere tali effettivamente. Solo il miglioramento delle condizioni di vita ha dato loro la
possibilità di vivere ed esprimersi al meglio. Molte menti geniali erano affette da malformazioni,
perfino da follia (in modo più o meno marcato). Molti grandi sportivi avevano dei “difetti” fisici
che superati e sfruttati a proprio vantaggio davano risultati eccezionali.
Non sono le domande di tipo etico né quelle sui “costi-benefici” a permettere una migliore analisi di
tale tecnologia, ma solo quelle formulate in termini ecologici, quindi chiedersi quale sarebbe
l’impatto di un massiccio impiego della clonazione.
La natura e l’evoluzione, avendo a che fare con l’universo e non con la predizione scientifica,
adottano la tecnica della differenziazione.
Sicuramente le tecniche standardizzanti come la clonazione danno buoni risultati in breve tempo,
accelerando una pratica più lenta come la selezione (naturale o artificiale). L’allevatore o il
consumatore può trovarsi di fronte ad un certo tipo di prodotto che risponde sempre a precisi
criteri. Sulla lunga distanza, invece, ci si potrebbe trovare di fronte ad un impoverimento delle biodiversità, con conseguenze ovvie.
La selezione tradizionale operata dagli allevatori, per quanto più lenta, è comunque un approccio
più rispettoso e in parte reversibile (cfr. gli studi di C. Darwin sui piccioni).
E’ noto che i geni recessivi (quelli che potremmo definire le “qualità” nascoste) svolgono
un’importante funzione di risorsa evolutiva. In pratica, se le condizioni che favorivano un
determinato gene dominante venissero meno o dovessero cambiare, il suo omologo recessivo
potrebbe fornire una valida alternativa. Inoltre per ogni gene dominante possono esisterne diversi
recessivi. Se tutti i recessivi fossero eliminati sarebbe necessaria una mutazione vantaggiosa, che,
purtroppo, ha dei tempi di realizzo molto lunghi. Ma avremmo tutto questo tempo o rischieremmo
l’estinzione d’intere forme di vita, compromettendo a tal punto l’ecosistema da provocare anche la
nostra estinzione?
Da un punto di vista filosofico più vicino a quello delle origini, ritengo sia necessaria un’ultima
osservazione, incorporando in essa l’argomento “manipolazione di cellule germinali” in generale.
Questa non era la mia intenzione iniziale, ma…!
La totale incoerenza legislativa e ideologica nei confronti di questa branca tecnico-scientifica
fomenta sospetti e paure, genera falsi miti, “colpi di testa” e confusione, impedendo non solo “il
progresso”, ma anche il normale sviluppo della società e della scienza medica più rigorosa.
La scarsa coerenza delle norme, se da un lato può essere considerata un effetto della confusione in
materia biologica, dall’altro è generatrice potenziale di future incomprensioni.
In alcuni paesi dove è ammesso l’aborto (cioè uccidere un feto non è considerato omicidio in quanto
non si riconosce nel gruppo di cellule germinate lo status di essere umano vivente o comunque di
“persona”), viene vietata o fortemente limitata la clonazione “terapeutica” e la selezione medica del
materiale genico, limiti o divieti motivati (sorprendentemente) dal fatto di considerare quel
gruppetto di cellule “umano” o “vivente” e appartenente ad una persona fisica (futura o potenziale).
Si riscontrano i medesimi problemi nel trattamento degli ovuli fecondati in soprannumero,
“materiale di scarto”, per così dire, delle pratiche di fecondazione assistita.
Sarebbe coerente, invece, considerare il gruppo di cellule germinate “in vitro” alla stessa
stregua di quelle impiantate nell’utero.
Occorre una sola legge che preveda, ragionevolmente e in modo generale (così sono le leggi), le
regole da applicare per i singoli fatti reali, presenti e futuri. In questo modo sarà già presente una
base legislativa e ideologica con cui trattare in futuro le gravidanze affidate ad uteri artificiali, cioè
alle macchine (sperando che vi si ricorra solo in casi particolari).
Per ciò che riguarda la manipolazione genetica, bisognerebbe applicare le stesse leggi che
prevedono la responsabilità del medico per danni al nascituro. Quindi se un genetista producesse un
uomo-talpa sarebbe punibile, con l’aggravante della volontarietà. Stessa cosa dicasi per
l’eugenetica, paragonabile al medico che prescrive farmaci “dopanti” o altro, cioè all’uso
“diversamente finalizzato” dell’arte medica. Ciò lascia aperta una porta nel caso che la situazione
richiedesse provvedimenti drastici: se il futuro dell’uomo fosse l’oceano, non sarebbe certamente
punibile lo scienziato che producesse un uomo-pesce, dato che gli garantirebbe quella
sopravvivenza che altrimenti non avrebbe (e come se fosse una cura un po’ drastica, ma
necessaria…ovviamente speriamo che ciò non accada MAI).
Per quanto riguarda la vendita degli ovuli, degli spermatozoi o del materiale genico in genere,
occorre parificarla alle rispettive leggi: nel caso dell’uomo a quella della donazione del sangue o
degli organi (sarebbero quindi non commerciabili), nel caso degli animali siano applicate le leggi
che regolano l’allevamento (quindi sarebbe possibile il commercio), per quanto non sia
personalmente d’accordo nel “brevettare” la natura, in sé libera e bene comune.
Il caso degli ibridi genetici è forse il più difficile ed è un caso a cui va applicata una decisione
arbitraria (cioè è una questione di scelta legislativa).
Comunque il nostro “senso comune” ci fornisce un esempio: non è ammesso trapiantare un organo
umano in un animale…ma non ci sarebbe nulla di male se l’animale venisse usato come terreno di
coltura per un lembo di pelle umana…
Infine, LA LEGGE PIÙ IMPORTANTE PER IL NOSTRO FUTURO È IL PIENO RICONOSCIMENTO DELLO
STATUS DI INDIVIDUO sia all’essere naturale sia a quello “assistito artificialmente”! Questa legge
proibirebbe la temuta e ventilata riduzione in schiavitù dei cloni o degli uomini manipolati
geneticamente così come future discriminazioni per chi non avrà la fortuna di poter nascere
naturalmente. I problemi riproduttivi che la razza umana sembra incontrare più evolve potranno
forzare la situazione verso le tecniche genetiche, di fecondazione assistita o affini.
I rimedi (sostanze) isolabili in natura stanno diventando sempre meno, perciò buona parte del futuro
della medicina sarà occupato dalla manipolazione biologica.
E’ meglio essere lungimiranti, ma la scarsa coerenza legislativa a riguardo non fa altro che produrre
nuovi timori, nuove incertezze che si ripercuotono sull’attività di coloro che si cimentano in una
seria ricerca medico-scientifica e sul nostro futuro.
dott. Antonio C. Codazzi
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