Marzo 2012 - Fondazione March
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Marzo 2012 - Fondazione March
Motore di ricerca Issue 02 Riccardo Giacconi Aleesa Vostiklap Progetto annuale / Yearly project fondazione march www.fondazionemarch.org [email protected] Grafica / Graphic design Paolo Fontana / Signaletic Impaginazione / Graphic layout Enoch Battagin Direzione / Director Silvia Ferri de Lazara Copertina / Cover design Giacomo Dell’Orco Redazione / Editorial staff Enoch Battagin Susanna Boetto Chiara De Cristan Francesca Vason Artisti invitati / Guest artists Traduzione testo di Aleesa Vostiklap / Translation of Aleesa Vostiklap’s text Giulia d’Amaro Valle Traduzione testo di Riccardo Giacconi / Translation of Riccardo Giacconi’s text Riccardo Giacconi Riccardo Giacconi Aleesa Vostiklap Mi sento fortunato / I’m feeling lucky Testo / Text Intervista di Dennis Braithwaite a Glenn Gould, “Toronto Daily Star”, 28 marzo 1959 Interview by Dennis Braithwaite to Glenn Gould, “Toronto Daily Star”, 28th march 1959 Immagini a cura di / Images by Enoch Battagin Susanna Boetto Sara Busato Giulia d’Amaro Valle Chiara De Cristan Francesca Vason Motore di ricerca Issue 02 Progetto a cura di fondazione march Project by fondazione march Mi sento fortunato Rubrica a cura di fondazione march I’m feeling lucky Column by fondazione march Estratto dell’intervista concessa da Glenn Gould a Dennis Braithwaite per il quotidiano “Toronto Daily Star” il 28 marzo 1959. Excerpt of the interview granted by Glenn Gould to Dennis Braithwaite for the newspaper “Toronto Daily Star”, March 28th, 1959. Dennis Braithwaite - Ricorda un momento particolare in cui la musica è entrata a far parte della sua esistenza? Glenn Gould - No, non mi ricordo niente di particolarmente straordinario. Da quando mi hanno mandato a scuola sono stato assalito da sentimenti molto contrastanti. La scuola stessa fu per me un’esperienza assai difficile, visto che c’è sempre stata un’orribile incomprensione con la maggior parte dei professori e con tutti i compagni di classe. Credo che scegliere di mettermi al pianoforte, quando rientravo a casa, invece di andare a giocare a hockey come tutti gli altri, mi abbia procurato la convinzione che la musica fosse una cosa a parte, non necessariamente buona o cattiva in sé, ma semplicemente a parte, e che quindi rappresentasse un modo per isolarsi, il che mi sembrava terribilmente importante a quel tempo, tenuto conto che avevo un carattere piuttosto difficile. Dennis Braithwaite - Do you remember a particular moment in which music became part of your life? Glenn Gould - No, I do not remember anything particularly extraordinary. Ever since I was sent to school, I was overwhelmed with very mixed feelings. School itself has been a very difficult experience, because there always were horrible misunderstandings with most of the professors and all of the classmates. I believe that choosing to sit down at the piano, when I returned home, instead of going to play hockey like everyone else, convinced me that music was something apart, not necessarily good or bad, but simply apart, and thus represented a way to isolate oneself, which seemed terribly important at the time, considering my difficult personality. D.B. - L’hanno definita un genio. E’ convinto di ciò e, se sì, quando se ne è reso conto? G.G. - Ecco una domanda veramente ripugnante. Una parola come questa la prendo in considerazione solo con grande sospetto. Non mi sono mai abituato a usarla, meno che mai nei miei confronti, e molto raramente a proposito di qualcun altro. Quando, nonostante tutto, la utilizzo si tratta in genere di persone morte e sepolte da diversi lustri e quasi sempre di compositori. Non ricordo di aver mai applicato questo termine a un pianista, per cui io non lo merito in alcun caso e, molto francamente, non so per la verità cosa questa parola voglia D.B. - They called you a genius. Are you convinced of this and, if so, when did you realize? G.G. - Here’s a truly disgusting question. A word like this I take into account only with great suspicion. I have never got into the habit of using it, least of all referring to myself, and very rarely to someone else. When, in spite of all, I use it, it is usually for people who have been dead and buried for several decades – almost always composers. I don’t remember ever having used this term to describe a pianist, so I do not deserve it either in any case and, quite frankly, I do not know what this word means. I think it’s much better, in this regard, to use more relative terms. dire. Penso che sia molto meglio, a questo proposito, limitarsi a termini più relativi. D.B. - E l’avvenire? Ho sentito dire che Lei considera i concerti come un mezzo per guadagnare denaro per un certo periodo, ma che ha altre ambizioni per l’avvenire. G.G. - Sì, è perfettamente vero; questo peraltro non vuole dire che quando suono in concerto non lo faccia con il massimo impegno. Forse è prematuro parlarne, ma spero proprio di essere in grado di ritirarmi quando avrò trentacinque anni. Se ciò non dovesse accadere sarei molto deluso di me stesso e non so veramente cosa farei: potrei diventare agente di assicurazioni o qualcosa del genere. No, voglio assolutamente mettermi in condizione di poter smettere del tutto di suonare il pianoforte in pubblico. Continuerei, ovviamente, a suonarlo per me stesso e a incidere: è di gran lunga la mia attività preferita, perché è quella che si avvicina di più alla creazione. Voglio anche riservarmi del tempo per comporre, più tempo in ogni caso di quello di cui dispongo oggi. D.B. - E’ impossibile non fare cenno a quelle che sono state definite le sue eccentricità, sapendo che va in giro con la sua sedia personale e che porta guanti, stivali da neve e un soprabito in estate. Si tratta di affettazione o c’è qualcosa di serio dietro tutto ciò? G.G. - Tanto per cominciare, tutte queste cose sono state terribilmente esagerate dalla stampa: io non porto mai stivali da neve quando non nevica. A volte si fanno battute su di me per cose che non hanno niente a che vedere con la musica, ma perlopiù si parla di cose che hanno un rapporto diretto con il fatto che suono il pianoforte. Ebbene sì, porto praticamente sempre i guanti, e a volte anche due paia insieme: ma io mi guadagno il pane grazie alle mie mani e mi sembra naturale volerle proteggere. La sedia poi mi è assolutamente indispensabile. D.B. - And the future? I heard you consider concerts as a means to make money for a certain period, but you have other ambitions for the future. G.G. - Yes, it is perfectly true, although this does not mean that when I play in concerts I don’t do it with the maximum commitment. Perhaps it is premature to talk about it, but I hope to be able to retire when I turn thirtyfive. If this does not happen I would be very disappointed in myself and I don’t really know what I would do: I could become an insurance agent or something. No, I definitely want to put myself in the position to totally stop playing the piano in public. I would continue, of course, to play to myself and to record: it is my favorite activity because it is the one that is closest to creation. I also want to allow myself some time to compose, anyhow more time than I have today. D.B. - It’s impossible not to mention those that have been defined your eccentricities, knowing that you go around in your personal chair and that you wear gloves, snow boots and a coat in summer. Is it affectation or is there something serious behind all this? G.G. - To begin with, all these things have been terribly exaggerated by the press: I never wear snow boots when it’s not snowing. Sometimes they make jokes about me for things that have nothing to do with music, but they mostly talk about things that have a direct connection with the fact that I play the piano. Yes, I almost always wear gloves, and sometimes two pairs together, but I bring home the bacon with my hands and it seems natural to want to protect them. And the chair is absolutely indispensable. Ten years I’ve been using it and it is now totally shattered, but I will not change it as I have never found anything else with such perfect contours. Sooner or later I’ll have to change it, Sono dieci anni che la uso e adesso è completamente sfasciata, ma non la cambierò perché non ho mai trovato niente che abbia contorni perfetti come i suoi. Presto o tardi bisognerà cambiarla, ma spero bene di essere a quel punto in grado di ritirarmi. Tutto ciò riguarda il mio modo di suonare il pianoforte e, anche se questo modo sembra strano a qualcuno, non vedo come tutto ciò possa costituire affettazione. Non si tratta assolutamente di questo: è troppo importante. but I hope at that point I’ll be able to retire. It is all about the way I play the piano and, although someone might find it strange, I don’t see how this can be affectation. It‘s nothing like that: it’s too important. In senso orario / Clockwise Glenn Gould, foto di / photo by mtsrs on www.flickr.com Glenn Gould as a child, at his piano, foto di / photo by Gordon W. Powley Glenn, foto di / photo by Stefan Powell In senso orario / Clockwise tvdead, da / from signoramaria.wordpress.com Giuro, da / from www.pimpmytrain.com Markham suburbs, foto di / photo by IDuke riccardo giacconi L’ALTRA FACCIA DELLA SPIRALE Riccardo Giacconi Nel 2005 Gabriele Pedullà termina la stesura di un saggio che farà da introduzione ad una nuova edizione Einaudi del libro Una questione privata, di Beppe Fenoglio. Una porzione importante del saggio verte sulla posizione del romanzo nella vita del suo autore e nello svolgersi della letteratura italiana. Una questione privata esce in Italia nel 1963. Dopo la fiammata iniziale, negli anni compresi grosso modo tra il 1945 e il 1949, e la stasi del decennio successivo, assistiamo a una seconda proliferazione di romanzi partigiani all’inizio degli anni Sessanta […] Si trattava, a tutti gli effetti, degli ultimi fuochi di una stagione ormai sul punto di concludersi: con l’eccezione di alcuni racconti sparsi di Calvino, Levi, Bilenchi e Rigoni Stern, dopo Il partigiano Johnny, uscito postumo nel 1968, non sarebbe stato pubblicato più nessun altro testo di rilievo sulla Resistenza. Il saggio di Pedullà utilizza una prospettiva sul “romanzo di Resistenza” che fu impostata da Italo Calvino in due tempi. In un suo saggio del 1949 viene, al contempo, fornita una valutazione su una porzione della produzione letteraria italiana e aperto il campo per un’aspettativa: A chi si chieda se la letteratura italiana ha dato qualche opera in cui si possa riconosce- re “tutta la Resistenza” (e intendo “tutta” anche parlando di un solo villaggio, di un solo gruppo, “tutta” come spirito), un’opera letteraria che possa dire veramente di sé: “io rappresento la Resistenza”, l’indubbia risposta è: “Purtroppo non ancora”. Quindici anni dopo, nella introduzione ad una nuova edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno, Calvino traccia la conclusione del discorso. Secondo lui, al tempo in cui il suo libro fu scritto, creare una «letteratura della Resistenza» era ancora un problema aperto, scrivere «il romanzo della Resistenza» si poneva come un imperativo […] Non che fossi così culturalmente sprovveduto da non sapere che l’influenza della storia sulla letteratura è indiretta, lenta e spesso contraddittoria; sapevo bene che tanti grandi avvenimenti storici sono passati senza ispirare nessun grande romanzo, e questo anche durante il «secolo del romanzo» per eccellenza; sapevo che il grande romanzo del Risorgimento non è mai stato scritto… Sapevamo tutto, non eravamo ingenui a tal punto: ma credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale […] Già negli anni Cinquanta il quadro era cambiato, a cominciare dai maestri: Pavese morto, Vittorini chiuso in un silenzio d’opposizione, Moravia che in un contesto diverso veniva acquistando un altro significato (non più esistenziale ma naturalistico) e il romanzo italiano prendeva il suo corso elegiaco-moderato-sociologico in cui tutti finimmo per scavarci una nicchia più o meno comoda (o per trovare le nostre scappatoie). Ma ci fu chi continuò sulla via di quella prima frammentaria epopea: in genere furono i più isolati, i meno «inseriti» a conservare questa forza. E fu il più solitario di tutti a riuscire a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se lo aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita. Calvino pone il libro di Fenoglio come il fuoco della veduta prospettica che aveva impostato quindici anni prima. Si tratta di una sorta di proclamazione di Una questione privata come atto messianico, come il colpo di coda che inaspettatamente porta con sé la redenzione per il tempo passato da scrittori italiani a lavorare su quella “letteratura della Resistenza” che, solo adesso, trova la giustificazione al suo imperativo. Tale imperativo può essere rintracciato nella pratica di Fenoglio, e in particolare in una sua dichiarazione del marzo 1959, di poco successiva alla svolta che separa da una parte gli scritti raccolti separatamente in Primavera di bellezza (uscito nel 1959) e in Il partigiano Johnny (uscito postumo nel 1968), e dall’altra il materiale che andrà a comporre Una questione privata: Il nuovo libro, anziché consistere in una cavalcata 1943-1945, si concentrerà in un unico episodio, fissato nella estate del 1944, nel quale io cercherò di far confluire tutti gli elementi e gli aspetti della guerra civile. Nel marzo del 1960, in una lettera al suo editore Livio Garzanti, Fenoglio aggiunge, a proposito della sua svolta: D’improvviso ho mutato idea e linea. Mi saltò in mente una nuova storia, individuale, un intreccio romantico, non già sullo sfondo della guerra civile in Italia, ma nel fitto di detta guerra. Mi appassionò immediatamente e ancora mi appassiona. Come la storia entra nella Storia? Questa sembra essere la questione fondamentale della svolta di Fenoglio: da una parte c’è Il partigiano Johnny, in cui la Storia è costantemente incollata alla vicenda del protagonista, il quale la percorre in una maniera che ci permette di assistere costantemente ai fatti, come per una volontà di documento. Dall’altra parte, il considerare Una questione privata come la perfetta coniugazione della forma del romanzo con la Resistenza, deriva precisamente dall’articolazione fra figura e sfondo che Fenoglio riesce a (ha il coraggio di) mettere a punto. La Storia, in questo caso, viene raccontata soltanto in funzione della vicenda del protagonista. Tuttavia non si tratta soltanto di una perdita di dati riguardanti lo sfondo storico perché invece, come afferma Calvino, in Una questione privata “c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente”. Pedullà aggiunge: “la questione privata di Milton giungeva ad illuminare le grandi passioni collettive di quella stagione meglio di qualsiasi grande affresco complessivo, proprio come Fenoglio non era mai stato tanto fedele alla verità storica quanto nel momento in cui aveva deciso di sacrificare alla libertà del romanziere il culto dell’esperienza vissuta”. Una questione privata (come sembra indicare il titolo stesso, che potrebbe non essere di Fenoglio) contiene tutta la Resistenza a titolo di esempio – termine su cui Giorgio Agamben scrive: il paradigma è un caso singolo che viene isolato dal contesto di cui fa parte, soltanto nella misura in cui esso, esibendo la propria singolarità, rende intelligibile un nuovo insieme, la cui omogeneità è esso stesso a costituire. Fare un esempio è, cioè, un atto complesso, che suppone che il termine che funge da paradigma sia disattivato dal suo uso normale, non per essere spostato in un altro ambito, ma, al contrario, per mostrare il canone di quell’uso, che non è possibile esibire in altro modo. Il paradosso implicito nell’espressione “romanzo storico” rivela l’impossibilità di una relazione stabile e paritaria fra i due termini. Si tratta di un’articolazione mobile fra figura e sfondo, che può assumere diverse conformazioni. La Trilogia della Fondazione di Isaac Asimov esce in Italia nella collana di fantascienza “Urania” della casa editrice Mondadori. La traduzione del primo libro (Foundation, 1951) ha come titolo Cronache della Galassia, ed esce nel 1963, lo stesso anno di Una questione privata. Gli altri due libri escono nel 1964, e vengono intitolati rispettivamente Il crollo della Galassia centrale e L’altra faccia della spirale. Tutti sono tradotti da Cesare Scaglia. Carlo Fruttero dirige la collana “Urania” dal 1961; nel 1964 viene affiancato da Franco Lucentini. Nell’introduzione ad una riedizione dei tre libri, Fruttero e Lucentini scriveranno: Dov’è allora il fascino di questo immenso affresco galattico, che cosa lo rende così irresistibilmente leggibile? Anzitutto, proprio la sua immensità, o meglio, l’impressione d’immensità che riesce a suscitare. L’andamento ponderoso dei periodi, […] il maestoso orbitare dell’intreccio, creano un indefinibile, suggestionante effetto di “dilatazione”, una specie di sterminato sfondo verbale nel quale il lettore si lascia pian piano irretire […] Stabilito il tono (l’unico possibile) per trattare una materia fredda e remota per definizione, […] Asimov mette in moto la sua vasta trama, ispiratagli, come egli stesso ammette, dalla Decadenza e caduta dell’Impero Romano, di [Edward] Gibbon. […] Non c’è dubbio che la ragione fondamentale del successo della Trilogia sta nel fatto che si tratta di un libro di storia. Da Fruttero e Lucentini, la trilogia di Asimov è descritta come un affresco storico. Si tratta di una declinazione del rapporto fra figura e sfondo completamente diversa da quella che utilizza Fenoglio (non solo in Una questione privata). Quella di Asimov è una saga corale, costituita da molteplici episodi indipendenti con personaggi diversi: l’adozione di tale modalità dipende dal fatto che ciascuno dei tre libri è composto da differenti frammenti usciti singolarmente su riviste, a puntate. Trattandosi di un romanzo d’invenzione, ci si può chiedere come si possa giustificare l’aggettivo “storico” che viene usato da Fruttero e Lucentini. Esso viene derivato dal metodo di Asimov di utilizzare una successione di vicende e di personaggi differenti, per fornire una pluralità di punti di vista da cui scorgere il dipanarsi di un racconto molto più ampio (che coinvolge, appunto, un’intera galassia). Tale sfondo può essere descritto come storico (seppur non realistico) proprio in virtù della sua natura di contesto di riferimento per lo svolgersi di molte vicende diverse. Eppure in quest’opera di Asimov è proprio tale contesto che si intende narrare, e a questo servono le singole vicende e i singoli personaggi – che a questo sfondo “storico” sono subordinati. Lo strumento dell’esempio e l’indagine sull’articolazione fra storia e Storia – fra figura e sfondo – richiedono l’introduzione del concetto di “genere”. Si è spesso parlato della possibilità di considerare la letteratura di Resistenza come un genere letterario e delle eventuali conseguenze nefaste di tale possibilità, legate alla perdita, data dall’astrazione e dal fissaggio del quadro storico, di una valenza eticopolitica del racconto. Parlando dell’inaugurazione, con Una questione privata, di un nuovo rapporto fra figura e sfondo nella narrazione partigiana, Pedullà afferma che per Fenoglio la lotta partigiana veniva ad assumere di colpo ai suoi occhi un significato completamente diverso. Non più un tema, fosse anche il tema privilegiato, ma una grande metafora della condizione umana: impossibile da esaurire perché, almeno in potenza, suscettibile di ospitare al proprio interno qualsiasi storia. Qualcosa, insomma, di sempre più simile a quello che i viaggi per mare e la dimensione oceanica avevano costituito per l’amato Conrad: un attributo dello spirito, un demone esigente, un esperimento con l’uomo. Il genere presuppone certamente la capacità di una serie di elementi di “ospitare al proprio interno qualsiasi storia”. La Resistenza nella letteratura diviene un paesaggio, un contesto narrativo i cui valori sono condivisi da una cultura, che riceve le opere e le fa sue. È riferendosi ad un particolare ambiente (l’Italia del dopoguerra) che i riferimenti dei valori, per la letteratura di Resistenza, sono effettivi. Ed è soltanto dopo, nel momento in cui tali valori sono, al contempo, sufficientemente precisati (da una esperienza quasi ventennale di letteratura) e allontanati (da una prospettiva storica), che si può parlare di genere: nel 1963, dalla fine della guerra sono passati quasi vent’anni e innumerevoli libri. Il modo in cui Una questione privata articola vicenda e Storia inaugura, e allo stesso tempo verosimilmente termina, il genere della “letteratura di Resistenza”. La responsabilità, l’imperativo, il dovere, la spinta di cui parla Calvino sono legati all’“imperativo” di proporre alla società una matrice di valori, un orizzonte comune su cui si possono costruire storie. Una volta che tale orizzonte comune è stato installato e stabilizzato nella società, ecco che viene a prodursi il genere nella letteratura di Resistenza, a prendere, in una certa misura, distanza dai fatti vissuti. L’introduzione di Calvino al Sentiero termina con un’amarezza che sembra serbare in sé il rammarico di aver ridotto, attraverso una sorta d’effetto collaterale di uno sforzo comune (a molti scrittori italiani del dopoguerra), una spinta etica in un genere letterario. volti e ammonimenti e paesaggi e pensieri ed episodi e parole e commozioni: e tutto è lontano e nebbioso, e le pagine scritte sono lì nella loro sfacciata sicurezza che so bene ingannevole, le pagine scritte già in polemica con una memoria che era ancora un fatto presente, massiccio, che pareva stabile, dato una volta per tutte, l’esperienza, – e non mi servono, avrei bisogno di tutto il resto, proprio di quello che lì non c’è. Il genere parla alla società a cui si rivolge e nella quale riscuote successo; allo stesso modo, però, parla di essa. La società italiana dei primi anni Sessanta riceveva, assieme, la seconda onda dei romanzi partigiani e i libri della Trilogia della Fondazione di Asimov. La ricezione di Asimov è legata al genere della fantascienza, esplicitamente trattato dalla collana “Urania” della Mondadori (che nasce nel 1952). Come già detto, la ricezione di un genere è legata ad un orizzonte di valori che una società assimila, ad una serie di riferimenti. Anche la fantascienza, come il romanzo partigiano, ha a che fare con la produzione di un contesto dove inquadrare una serie di azioni. Inoltre, nel caso particolare dei tre romanzi di Asimov vi è la definizione piuttosto precisa di un quadro storico. Lo statuto di “genere”, per quanto riguarda il romanzo di fantascienza e quello di Resistenza, presuppone una stabilizzazione del quadro storico a cui si fa riferimento nell’intreccio, e quindi una certa presa di distanza da esso. Essendo la medesima società a ricevere, negli stessi anni, Una questione privata e la Trilogia della Fondazione, è lecito chiedersi in che misura le due opere facessero leva sullo stesso paesaggio culturale, sullo stesso ambiente di valori. Nei primi anni Sessanta, fantascienza e Resistenza furono due generi che coabitarono nel medesimo panorama letterario. Così mi guardo indietro, a quella stagione che mi si presentò gremita di immagini e di significati: la guerra partigiana, i mesi che hanno contato per anni e da cui per tutta la vita si dovrebbe poter continuare a tirar fuori Riccardo Giacconi, 2011 Edizione realizzata con il supporto di École nationale supérieure des beaux-arts de Lyon THE OTHER SIDE OF THE SPIRAL Riccardo Giacconi In 2005 Gabriele Pedullà completes an essay, which will become the introduction to a new edition of Beppe Fenoglio’s book Una questione privata (“A Private Affair”), published by Einaudi. A significant portion of Pedullà’s essay focuses on the place the novel held in the author’s life and in the history of Italian literature. Una questione privata was first published in 1963. After the initial wave of novels about the Partisan movement which occurred between approximately 1945 and 1949 and a lull the following decade, we witness a second wave of novels centred on the Italian Resistance in the beginning of the 1960’s. […] This last phase however was the final one in a declining movement and with the exception of a few short stories by Calvino, Levi, Bilenchi and Rigoni Sern, after the publication of Il partigiano Johnny (“Johnny the Partisan”), published posthumously in 1968, no further significant literature was published on the subject of the Italian Resistance. Pedullà’s essay uses a perspective, which was formulated in two phases by Italo Calvino to discuss the ‘Resistance novel’. In an essay of his written in 1949, Calvino both provides an evaluation of a part of the Italian literary output as well as opening up a sense of expectation: To those who ask if Italian literature has produced a novel that encompasses “all of the Italian Resistance” (and I mean “all”, whether discussing a single village, or a single group, I mean “all” as in its essence), a work of literature that can honestly claim, “I represent the Resistance”, the answer is unequivocally, “Unfortunately, not yet”. Fifteen years later, in the introduction to the 1964 re-edition of Il sentiero dei nidi di ragno (“The Path to the Spiders’ Nest”), Calvino completes the former thought expressed above. According to him, when his book was written, creating a ‘literature of the Resistance’ was still a wide open question; writing ‘the Resistance novel’ was imperative. […] Not that I was so culturally ill-informed to not know that history’s influence over literature is indirect, slow and often contradictory; I knew full well that many great historical events had transpired without inspiring a Great Novel which would capture them, and this was also true of the “century of the novel” par excellence; I was aware that the great Risorgimento novel [Risorgimento being the movement which led to the unification of Italy] had never been written…We all knew that, we weren’t that naïve: but I think that once one has witnessed or taken an active part in a significant time in history, he feels the weight of a unique responsi- bility […] By the 1950’s the general landscape had changed, starting with the Italian literary masters: Pavese had died, Vittorini closed himself off in silent protest, Moravia in this new context grew to acquire a different significance (no longer existentialist but naturalist), and the Italian novel was moving down its moderate-elegiac-sociological path which we all took and where we all carved out more or less comfortable niches for ourselves (or where we looked for escape routes). But some writers stayed the course of this fragmentary epic moment: generally, it was the more isolated writers, the ones who were not so ‘well-introduced’ the ones who kept their momentum. And it was the most solitary of them all who managed to write the novel we all dreamt of writing, when none of us was expecting it to materialise, it was Beppe Fenoglio, who managed to write it but not even finish it (Una questione privata) and he died in his 40’s before seeing it in print. The book our generation wanted to write now exists, and all of our work makes sense only now; thanks to Fenoglio we can say that an era has been completed, and it is only now that we are certain that that moment in time truly existed. Calvino sees Fenoglio’s novel as the crystallization of the thesis he had laid out fifteen years earlier. He proclaims Una questione privata to be a messianic work, a last ditch, defiant gesture that was unexpected but which brought redemption to all the time Italian writers had spent working on the creation of a ‘Resistance literature’; the book gave meaning to their imperative beliefs. Said imperative can be specifically traced back to a statement Fenoglio made in May 1959, a watershed moment that separated his 1959 collection of stories, Primavera di bellezza (“Spring of Beauty”), together with Il partigiano Johnny (“Johnny the Partisan” – which was published posthumously in 1968) from the material that would later become Una questione privata: The new book, instead of giving an overview from 1943-1945, will focus on a sin- gle episode that takes place in the summer of 1944, and I will attempt to make all the details and facets of the civil war flow into this one episode. In March 1960, in a letter to his editor Livio Garzanti, Fenoglio adds another thought to his change of course: I have suddenly changed my mind and line of thought. A new story jumped into my head, a story that stands on its own, a romantic entanglement, not with the Italian civil war as a background, but a story that unfolds right in the midst of said war. I instantly felt passionate about it, and I still do. How does Story become part of History? This seems to be the fundamental crux of Fenoglio’s change of direction: on the one hand is Il partigiano Johnny, in which History is perpetually glued to the main character’s life, a protagonist who lives his story in a way which allows us to witness the facts of the war as if it were a historical document. On the other, Una questione privata is the perfect connection between the Resistance and the shape of a novel insofar as it comes precisely from the articulation of figure and ground that Fenoglio manages (and has the courage) to fine tune. History, in this case unfolds purely in function of the events, which touch the main character. However, it is not simply a loss of information about the historical backdrop of the novel, because as Calvino said, in Una questione privata “the Resistance is portrayed exactly as it was, on the inside and out, written so truly, as it never had been written about before, limpidly conserved for years”. Gabriele Pedullà adds: “Milton’s private affair lit up the great collective passion of the time, better than any overview, just like Fenoglio had never been so true to the historic truth as when he decided to sacrifice the cult of lived experience to a writer’s freedom”. Una questione privata (as its title implies, a title which may not be Fenoglio’s) holds all the Italian Resistance by way of example – a term which Giorgio Agamben says the following of: The paradigm is an isolated case that is removed from its context, only in the measure that it, in showing its singularity, makes a new whole comprehensible, a new whole, which the very paradigm builds. Hence, making an example is complex, it presupposes that the term which functions as the paradigm is deactivated from its normal usage, not so it can be moved to another context, but on the contrary, to show the canon of its usage, that is not possible to show otherwise. The implicit paradox in the term ‘historical novel’ unmasks the impossibility of a stable and equal relationship between the two terms. It is a fluid articulation between character and background that can assume different shapes. Isaac Asimov’s Foundation Trilogy was published in Italy by Mondadori under the science fiction series, “Urania”. The Italian translation of the first book (Foundation, 1951), entitled Cronache della Galassia (“Chronicles from the Galaxy”), was published in 1963, the same year Una questione privata came out. The two subsequent books were published in 1964 under the titles Il crollo della Galassia centrale (“The Collapse of the Central Galaxy”) and L’altra faccia della spirale (“The Other Side of the Spiral”). They were all translated by Cesare Scaglia. From 1961 Carlo Fruttero was the editor of the “Urania” series, and in 1964 he was joined by Franco Lucentini. In the introduction to a re-edition of the trilogy, Fruttero and Lucentini have the following to write: Where does the fascination with this immense galactic fresco come from, what makes it so irresistibly readable? First and foremost, it is its very immensity, or rather the impression of immensity that it manages to evoke. The ponderous passage of time, […] the masterful orbiting of intrigues create an indefinable, suggestive sense of ‘expansion’, a sort of infinite background of words, that the reader slowly gets ensnared by. [… ] Once he has established the tone (the only tone possible) to convey a remote and cold subject matter by definition, […] Asimov puts his vast storyline into place, a storyline inspired – as he himself admitted – by [Edward] Gibbon’s The History of the Decline and Fall of the Roman Empire. [… ] There is no doubt that the fundamental reason the Trilogy is such a success is the fact that it is a history book. Fruttero and Lucentini describe Asimov’s trilogy as a historical novel. It is a completely different figure-ground organization from Fenoglio’s (not only in Una questione privata). Asimov’s work is a choral saga, made up of independent episodes with distinct characters: this format is a consequence of the fact that each of the three books was first published in episodes in magazines. Since Asimov’s novel is fiction, one wonders how to justify the term ‘historical’ used by Fruttero and Lucentini. In fact, Asimov employs a series of several events and characters in order to provide the reader with multiple points of view from which to observe a much wider story (literally involving an entire galaxy) unfolding. This background can be described as historical (even if not realistic) by virtue of its operating as a context where various events completely independent of one another occur. And yet in Asimov’s Trilogy it is that very context which the author wishes to address – the single events and individual characters being subordinate to the ‘historical’ background. The paradigm device and the study of the articulation of Story and History call for the introduction of the concept of ‘genre’. The possibility of viewing Resistance literature as a literary genre has often been discussed, as have been the possible inauspicious consequences of such a possibility, in terms of loss of an ethical-political worth caused by abstracting and fixing the historical framework. Speaking of the start of a new relationship between figure and ground with reference to Una questione privata and Resistance narrative, Pedullà claims that for Fenoglio, the fight of the Italian Resistance suddenly took on a completely new meaning in his eyes. No longer the theme, even if it was the privileged theme, but a huge metaphor of the human condition: an inexhaustible subject, at least in terms of potential, since capable of hosting any story within it. Something that was increasingly similar to what seafaring and the vast ocean meant to his beloved Conrad: a symbol of the spirit, a demanding demon, an experiment with man. A genre undoubtedly presupposes the potential of a series of elements to “host any story within it”. The Resistance in literature becomes a landscape, a narrative context whose values are shared by a culture, which receives the works and makes them their own. It is by referring to a specific environment (post-war Italy), that the references to values become effective for Resistance literature. And it is only later, when those values are both sufficiently clarified (by almost two decades of literature) and distant (thanks to historical perspective) that one can speak of genre: by 1963, twenty years have passed since the war and a countless number of books have been published on the subject. The way in which Una questione privata articulates storyline and History gives life to (while also ostensibly putting an end to) the ‘Resistance literature genre’. The responsibility, the imperative, the duty and the drive of which Calvino speaks are tied to the ‘imperative’ of providing society with a pattern of values, a shared horizon where stories can be crafted. Once such shared horizon has been instilled and established in society, then Resistance literature starts including an element of genre that, to a certain extent, moves it away from lived experience. Calvino’s introduction to Il sentiero dei nidi di ragno ends with a bitterness which seems to hold on to a sense of regret for having reduced the ethical thrust into a literary genre, through the collateral effect of a group effort shared by many post-war writers. So I look back on my life, to that time which was filled with images and meaning: the partisan fight, the months that counted like years and from which we should have been able to cull faces and warnings and landscapes and thoughts and episodes and words and emotions: it’s all distant and foggy, the pages are there with unabashed assuredness that I know too well to be deceptive, the pages that had already been written in conflict with the memories of an event still present, huge, which had seemed stable once and for all: the experience – and I don’t need them, I need everything else, precisely what is missing. The genre speaks to the society it addresses and in which it finds success; at the same time however, it speaks of itself. In the early Sixties, Italian society received the second wave of books on the subject of Italian Resistance and Asimov’s Foundation Trilogy at the same time. The reception Asimov received is tied to the science fiction genre on which Mondadori’s “Urania” series (started in 1952) was focused. As already stated, the reception a book receives is tied to a series of values that a society assimilates and to a series of reference points. Science fiction, just like Resistance literature, concerns itself with the creation of a context where to situate a series of actions. Furthermore, in the specific case of Asimov’s novels there is a somewhat precise definition of historical framework. The status of ‘genre’, in terms of both sci-fi novel and Resistance novel, presupposes a stabilization of the historical framework in which the plot is placed, and therefore a certain distance from it. Seeing that the same society, in the same time frame received both Una questione privata and the Foundation Trilogy, it is legitimate to question whether both works drew on the same cultural landscape and on the same set of values. In the early Sixties, science fiction and Resistance were two genres, which inhabited the same literary panorama. Riccardo Giacconi, 2011 Publication produced with the support of École nationale supérieure des beaux-arts de Lyon In senso orario / Clockwise The Hunter (from the Trap volume)_bw : The Hunter (Trap volume), c-print,2011, foto di / photo by aleesa vostiklap From the Intention series_2_bw : From the Intention volume, drawing on paper, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap From the Intention series_1_bw : From the Intention volume, drawing on paper, 2007, foto di / photo by aleesa vostiklap aleesa vostiklap Aleesa Vostiklap Quesiti su un piattino-souvenir Aleesa Vostiklap Questions to a souvenir plate Si prenda uno stato mentale attivo che non sia solo dell’intelletto, ma piuttosto di una sostanza informe che è in parte materia sensuale, in parte arzigogolo verbale simile al pensiero e ancora in parte lo stampo della cosa materiale sul punto di emergere. Given an active mental state that is not solely that of the intellect, but rather of a formless substance that is in part sensual matter, in part thought-like verbal convolute and in part the mould of the material thing about to emerge. Quale stato psicofisico ha portato, per esempio, l’inventore del piattino-souvenir all’articolazione di un oggetto che ora popola il mondo? E come può questo piattino, appeso a un chiodo sul muro, infiltrarsi insidioso e trasformare la nostra sfera mentale, senza che ce ne accorgiamo? Ho fede nei dettagli del mio ambiente abitativo. Credo che questi oggetti siano altamente performativi. Come una parola ripetuta spesso, che per un istante perde di significato, questi oggetti quotidiani possiedono in sé il potere della trasformazione. Le superfici non appariscenti, i semplici materiali, gli articoli di uso giornaliero mi incantano con la loro schiettezza. Costantemente attraggono e provocano, con la loro ostinata presenza e la propria indubbia concretezza, scambi istantanei con le sostanze fluttuanti del pensiero in un processo di articolazione e riarticolazione a circuito chiuso – diventando così co-autori del visibile. Un contatto candido che un’opera d’arte voglio che invochi nello spazio attivo di sua ricezione. What psychophysical state lead the inventor of a decorative souvenir plate, for example, to the articulation of an object that now populates our world? And how does this plate, hanging on a nail on a wall, infiltrate and transform our mental spheres underhand, without us taking notice? I have faith in the details of my living environment. I trust these things to deliver a great performance. Like a word so often repeated, that for an instance it looses meaning, these everyday things posess in them the power of transformation. The inconspicuous surfaces, plain materials, articles of daily use entrap me by their bluntness. They permanently entice, through their obstinate presence, their unquestionable concreteness, instant exchanges with the fluctuating mental substance in a closed-circuit process of articulation and rearticulation – thus becoming co-authors of the visible. A candid contact I want an artwork to invoke in the activated space of its reception. Costruire e utilizzare miracle machines fai-date mi permette di avvicinarmi un poco a questa trasformazione di ciò che è fluido e in un certo qual modo intellettuale in ciò che è fisso e quasi accessorio. Il che mi porta a domandarmi: «Come può l’intellettuale essere accessorio quando la direzione dell’articolazione è invertita?». I pensieri hanno a volte una qualità solida specifica, una intrinseca sensazione di distanza o di vicinanza, o una certa colorazione di suono, come se venissero dal mondo dei contorni visibili. Le intenzioni di qualcun altro mescolate alle mie... Da qualche parte tra me e l’oggetto avviene l’attesa. Sono convinta ci sia un modo di integrare costruttivamente nel quotidiano più d’uno di questi stati di pura attesa, aperti, positivi e di larghe vedute. Meccanismi di generazione di forma della sfera intellettuale che si distaccano dalle loro funzioni attraverso l’esperienza dell’attendere una qualsiasi cosa – qualsiasi essa sia. La mia più recente miracle machine è una trappola d’anticipazione mobile, aggiustabile e personale. Il piattino-souvenir potrebbe ammorbidirsi e la sua rappresentazione sciogliersi e liquefarsi, o parimenti la proiezione intellettuale potrebbe cadere dal chiodo – solo per l’istante di uno sguardo. Building and using do-it-yourself miracle machines allows me to get a bit closer to this exchange of that which is fluid and somehow mental, into that which is set and somehow a prop. Which leads me to the question: «How is the mental a prop when the direction of the articulation is inversed?». Thoughts sometimes have a solid, specific quality, an embedded distance or closenessfeeling, or a certain sound colouration, like they were coming from the world of visible contours. Someone else’s intentions meshed into my own... Somewhere between me and the object, anticipation takes place. I’m convinced that there must be a way to constructively integrate more of these open, positive and non-judgemental states of pure anticipation into the everyday. Form-generating mechanisms of the mental sphere taking a break from their functions through the experience of anticipation of anything – anything that might be the case. My latest miracle machine is a mobile, adjustable personal anticipation trap. The souvenir plate might soften up and its representation melt and liquify, or the mental formation might just as well fall from its nail – just for an instant of a gaze. In senso orario / Clockwise From the Trap volume_bw : From the Trap volume, c-print, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap Messia Machina_still_2_bw : Messia Machina, video still, 2009, foto di / photo by aleesa vostiklap Messia Machina_still_1_bw : Messia Machina, video still, 2009, foto di / photo by aleesa vostiklap In senso orario / Clockwise Mobile prototype_1_bw : Mobile prototype, documentation, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap Mobile prototype_2_bw : Mobile prototype, documentation, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap Mobile prototype_3_bw : Mobile prototype, documentation, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap Being Set_bw : Being Set, c-print, 2010, foto di / photo by aleesa vostiklap fondazione march collabora con / collaborates with: A12 Associati Alhäuser Sonja Ambrosone Maria Giovanna Ambrosini Alessandro Anagoor Ancarani Jury Angiuli Nico Anoardi Marianna Antonello Nadia Anziché Paola Baldaro Roberta Barbò Bartana Yael Bellan Alex Benassi Riccardo Benfatto Elisabetta Berta Filippo Bettale Nicola Biccheri Francesco Biscotti Rossella Bittente Alvise Boldrin Massimo Bresciani Ana María Bruguera Tania Buckius Sarah Budde Nine Caglioni Diego Caldana Elisa Calò Andreotta Giorgio Canziani Cecilia Carbotta Ludovica Carone Francesco Carrara Antonia Castellani Lisa Castillo Deball Mariana Cavallini Vittorio Chiariello Piero Chung T-yong Ciaramitaro Mario Civiletti Gaia Ippolita Collettivo Raudì Curandi Valentina De Luca Tomaso De Vivo Silke Desortes Elisa Doimo Mauro Eldagsen Boris Favini Ettore Fliri Michael Fragnito Maddalena Freixes Ribera Gerard Galassini Roberta Galtarossa Anna Garutti Alberto Genovese Nicola Giacconi Riccardo Gonzalez Daniel Gonzalez Suero Anna Grasso Sabrina Grecu Mihai Guiotto Antonio Hardy Stacy Hiroko Goda Huang Ran Katz Nathaniel Kihlberg Karin + Reuben Henry Knorr Daniel Laita Alessandro Lazzaretto Dario Lemeh 42 Leotta Renato Logan Kevin Lorini Bruno Lovatel Laura Macinino Maffia Rocca Maldini Marta Manos Buckius Cooperative Marti Dani Marullo Fabio Mele Pietro Meneghini Katia Menin Federica Messali Alessandra Montagnani Andrea Nark BKB Nassiri Tabibzadeh Alessandro Nunziata Nicola Nuzzi Mariagiovanna Paci Adrian Patrono Silvia Pedone Tommaso Perico Umberto Perjovschi Lia Pesce Lucilla Piazza Arianna fondazione march collabora con / collaborates with: Picchiotti Lorenzo Piccinini Serena Pietroiusti Cesare Pontorno Mariagrazia Rauch Philipp Rivalta Davide Rodrigo Daniel Rosado Rios Marxz Rossini Claudia Rotondella Umberto Roubini Maicol Sakalauskas Rimas Salani Folco Salottobuono Saquel Carolina Scalfi Eghenter Anna Schmidt Stephana Sergio Aldo Serpieri Eleuteri Virginia Strappato Marco Strinna Elisa Suite-Case Tadiello Alberto Tankboys Tealdi Enrico Toffolini Nicola Tomaiuolo Davide Tonus Diego Trevisani Luca Tweedy Ian Tykka Salla Usunier Sophie Urban Code Vaccari Franco Vestrucci Serena Vetturi Valentina Vezzi Enrico Viel Cesare Vitone Luca Vostiklap Aleesa Vrizzi Debora Walker Katri Anna Willgren Tina Wolfson Jordan Zanfrisco Liana Zanirato Catrina Zanni Carlo Zoico Daniele Zuelli Diego In senso orario / Clockwise Superboy, da / from authenticlifeconsulting.wordpress.com Untitled, da / from www.orto47.wordpress.com Elemosina a Torino, da / from unduetrebloggete.blogspot.com © 2012 fondazione march www.fondazionemarch.org