Marzo 2012 - Fondazione March

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Marzo 2012 - Fondazione March
Motore di ricerca
Issue 02
Riccardo Giacconi
Aleesa Vostiklap
Progetto annuale / Yearly project
fondazione march
www.fondazionemarch.org
[email protected]
Grafica / Graphic design
Paolo Fontana / Signaletic
Impaginazione / Graphic layout
Enoch Battagin
Direzione / Director
Silvia Ferri de Lazara
Copertina / Cover design
Giacomo Dell’Orco
Redazione / Editorial staff
Enoch Battagin
Susanna Boetto
Chiara De Cristan
Francesca Vason
Artisti invitati / Guest artists
Traduzione testo di Aleesa Vostiklap /
Translation of Aleesa Vostiklap’s text
Giulia d’Amaro Valle
Traduzione testo di Riccardo Giacconi /
Translation of Riccardo Giacconi’s text
Riccardo Giacconi
Riccardo Giacconi
Aleesa Vostiklap
Mi sento fortunato / I’m feeling lucky
Testo / Text
Intervista di Dennis Braithwaite a Glenn
Gould, “Toronto Daily Star”, 28 marzo 1959
Interview by Dennis Braithwaite to Glenn
Gould, “Toronto Daily Star”, 28th march 1959
Immagini a cura di / Images by
Enoch Battagin
Susanna Boetto
Sara Busato
Giulia d’Amaro Valle
Chiara De Cristan
Francesca Vason
Motore di ricerca
Issue 02
Progetto a cura di fondazione march
Project by fondazione march
Mi sento fortunato
Rubrica a cura di fondazione march
I’m feeling lucky
Column by fondazione march
Estratto dell’intervista concessa da Glenn
Gould a Dennis Braithwaite per il quotidiano
“Toronto Daily Star” il 28 marzo 1959.
Excerpt of the interview granted by Glenn
Gould to Dennis Braithwaite for the newspaper
“Toronto Daily Star”, March 28th, 1959.
Dennis Braithwaite - Ricorda un momento
particolare in cui la musica è entrata a far parte
della sua esistenza?
Glenn Gould - No, non mi ricordo niente di
particolarmente straordinario. Da quando mi
hanno mandato a scuola sono stato assalito
da sentimenti molto contrastanti. La scuola
stessa fu per me un’esperienza assai difficile,
visto che c’è sempre stata un’orribile incomprensione con la maggior parte dei professori
e con tutti i compagni di classe. Credo che
scegliere di mettermi al pianoforte, quando
rientravo a casa, invece di andare a giocare a
hockey come tutti gli altri, mi abbia procurato
la convinzione che la musica fosse una cosa
a parte, non necessariamente buona o cattiva
in sé, ma semplicemente a parte, e che quindi
rappresentasse un modo per isolarsi, il che
mi sembrava terribilmente importante a quel
tempo, tenuto conto che avevo un carattere
piuttosto difficile.
Dennis Braithwaite - Do you remember a
particular moment in which music became part
of your life?
Glenn Gould - No, I do not remember anything
particularly extraordinary. Ever since I was
sent to school, I was overwhelmed with very
mixed feelings. School itself has been a very
difficult experience, because there always were
horrible misunderstandings with most of the
professors and all of the classmates. I believe
that choosing to sit down at the piano, when I
returned home, instead of going to play hockey
like everyone else, convinced me that music
was something apart, not necessarily good or
bad, but simply apart, and thus represented a
way to isolate oneself, which seemed terribly
important at the time, considering my difficult
personality.
D.B. - L’hanno definita un genio. E’ convinto di
ciò e, se sì, quando se ne è reso conto?
G.G. - Ecco una domanda veramente ripugnante. Una parola come questa la prendo in
considerazione solo con grande sospetto. Non
mi sono mai abituato a usarla, meno che mai
nei miei confronti, e molto raramente a proposito di qualcun altro. Quando, nonostante tutto,
la utilizzo si tratta in genere di persone morte
e sepolte da diversi lustri e quasi sempre di
compositori. Non ricordo di aver mai applicato
questo termine a un pianista, per cui io non lo
merito in alcun caso e, molto francamente, non
so per la verità cosa questa parola voglia
D.B. - They called you a genius. Are you
convinced of this and, if so, when did you
realize?
G.G. - Here’s a truly disgusting question. A
word like this I take into account only with great
suspicion. I have never got into the habit of
using it, least of all referring to myself, and very
rarely to someone else. When, in spite of all,
I use it, it is usually for people who have been
dead and buried for several decades – almost
always composers. I don’t remember ever
having used this term to describe a pianist, so
I do not deserve it either in any case and, quite
frankly, I do not know what this word means.
I think it’s much better, in this regard, to use
more relative terms.
dire. Penso che sia molto meglio, a questo
proposito, limitarsi a termini più relativi.
D.B. - E l’avvenire? Ho sentito dire che Lei
considera i concerti come un mezzo per guadagnare denaro per un certo periodo, ma che
ha altre ambizioni per l’avvenire.
G.G. - Sì, è perfettamente vero; questo peraltro
non vuole dire che quando suono in concerto
non lo faccia con il massimo impegno. Forse è
prematuro parlarne, ma spero proprio di essere
in grado di ritirarmi quando avrò trentacinque
anni. Se ciò non dovesse accadere sarei molto
deluso di me stesso e non so veramente cosa
farei: potrei diventare agente di assicurazioni o
qualcosa del genere. No, voglio assolutamente
mettermi in condizione di poter smettere del
tutto di suonare il pianoforte in pubblico. Continuerei, ovviamente, a suonarlo per me stesso
e a incidere: è di gran lunga la mia attività preferita, perché è quella che si avvicina di più alla
creazione. Voglio anche riservarmi del tempo
per comporre, più tempo in ogni caso di quello
di cui dispongo oggi.
D.B. - E’ impossibile non fare cenno a quelle
che sono state definite le sue eccentricità,
sapendo che va in giro con la sua sedia personale e che porta guanti, stivali da neve e un
soprabito in estate. Si tratta di affettazione o
c’è qualcosa di serio dietro tutto ciò?
G.G. - Tanto per cominciare, tutte queste cose
sono state terribilmente esagerate dalla stampa: io non porto mai stivali da neve quando non
nevica. A volte si fanno battute su di me per
cose che non hanno niente a che vedere con la
musica, ma perlopiù si parla di cose che hanno
un rapporto diretto con il fatto che suono il pianoforte. Ebbene sì, porto praticamente sempre
i guanti, e a volte anche due paia insieme: ma
io mi guadagno il pane grazie alle mie mani
e mi sembra naturale volerle proteggere. La
sedia poi mi è assolutamente indispensabile.
D.B. - And the future? I heard you consider
concerts as a means to make money for a
certain period, but you have other ambitions for
the future.
G.G. - Yes, it is perfectly true, although this
does not mean that when I play in concerts
I don’t do it with the maximum commitment.
Perhaps it is premature to talk about it, but
I hope to be able to retire when I turn thirtyfive. If this does not happen I would be very
disappointed in myself and I don’t really know
what I would do: I could become an insurance
agent or something. No, I definitely want to put
myself in the position to totally stop playing the
piano in public. I would continue, of course, to
play to myself and to record: it is my favorite
activity because it is the one that is closest to
creation. I also want to allow myself some time
to compose, anyhow more time than I have
today.
D.B. - It’s impossible not to mention those that
have been defined your eccentricities, knowing
that you go around in your personal chair and
that you wear gloves, snow boots and a coat in
summer. Is it affectation or is there something
serious behind all this?
G.G. - To begin with, all these things have been
terribly exaggerated by the press: I never wear
snow boots when it’s not snowing. Sometimes
they make jokes about me for things that have
nothing to do with music, but they mostly talk
about things that have a direct connection with
the fact that I play the piano.
Yes, I almost always wear gloves, and
sometimes two pairs together, but I bring
home the bacon with my hands and it seems
natural to want to protect them. And the chair is
absolutely indispensable.
Ten years I’ve been using it and it is now totally
shattered, but I will not change it as I have
never found anything else with such perfect
contours. Sooner or later I’ll have to change it,
Sono dieci anni che la uso e adesso è completamente sfasciata, ma non la cambierò perché
non ho mai trovato niente che abbia contorni
perfetti come i suoi. Presto o tardi bisognerà
cambiarla, ma spero bene di essere a quel
punto in grado di ritirarmi. Tutto ciò riguarda il
mio modo di suonare il pianoforte e, anche se
questo modo sembra strano a qualcuno, non
vedo come tutto ciò possa costituire affettazione. Non si tratta assolutamente di questo: è
troppo importante.
but I hope at that point I’ll be able to retire. It is
all about the way I play the piano and, although
someone might find it strange, I don’t see how
this can be affectation. It‘s nothing like that: it’s
too important.
In senso orario / Clockwise
Glenn Gould, foto di / photo by mtsrs on www.flickr.com
Glenn Gould as a child, at his piano, foto di / photo by Gordon W. Powley
Glenn, foto di / photo by Stefan Powell
In senso orario / Clockwise
tvdead, da / from signoramaria.wordpress.com
Giuro, da / from www.pimpmytrain.com
Markham suburbs, foto di / photo by IDuke
riccardo
giacconi
L’ALTRA FACCIA
DELLA SPIRALE
Riccardo Giacconi
Nel 2005 Gabriele Pedullà termina la stesura di un saggio che farà da introduzione
ad una nuova edizione Einaudi del libro
Una questione privata, di Beppe Fenoglio.
Una porzione importante del saggio verte
sulla posizione del romanzo nella vita del
suo autore e nello svolgersi della letteratura italiana. Una questione privata esce in
Italia nel 1963.
Dopo la fiammata iniziale, negli anni compresi grosso modo tra il 1945 e il 1949, e
la stasi del decennio successivo, assistiamo a
una seconda proliferazione di romanzi partigiani all’inizio degli anni Sessanta […]
Si trattava, a tutti gli effetti, degli ultimi
fuochi di una stagione ormai sul punto di
concludersi: con l’eccezione di alcuni racconti sparsi di Calvino, Levi, Bilenchi e Rigoni Stern, dopo Il partigiano Johnny,
uscito postumo nel 1968, non sarebbe stato
pubblicato più nessun altro testo di rilievo
sulla Resistenza.
Il saggio di Pedullà utilizza una prospettiva sul “romanzo di Resistenza” che fu impostata da Italo Calvino in due tempi. In
un suo saggio del 1949 viene, al contempo, fornita una valutazione su una porzione della produzione letteraria italiana e
aperto il campo per un’aspettativa:
A chi si chieda se la letteratura italiana ha
dato qualche opera in cui si possa riconosce-
re “tutta la Resistenza” (e intendo “tutta”
anche parlando di un solo villaggio, di un
solo gruppo, “tutta” come spirito), un’opera
letteraria che possa dire veramente di sé: “io
rappresento la Resistenza”, l’indubbia risposta è: “Purtroppo non ancora”.
Quindici anni dopo, nella introduzione ad
una nuova edizione del 1964 de Il sentiero
dei nidi di ragno, Calvino traccia la conclusione del discorso. Secondo lui, al tempo
in cui il suo libro fu scritto,
creare una «letteratura della Resistenza»
era ancora un problema aperto, scrivere «il
romanzo della Resistenza» si poneva come
un imperativo […] Non che fossi così culturalmente sprovveduto da non sapere che
l’influenza della storia sulla letteratura è
indiretta, lenta e spesso contraddittoria; sapevo bene che tanti grandi avvenimenti storici sono passati senza ispirare nessun grande
romanzo, e questo anche durante il «secolo
del romanzo» per eccellenza; sapevo che il
grande romanzo del Risorgimento non è mai
stato scritto… Sapevamo tutto, non eravamo
ingenui a tal punto: ma credo che ogni volta
che si è stati testimoni o attori di un’epoca
storica ci si sente presi da una responsabilità
speciale […] Già negli anni Cinquanta il
quadro era cambiato, a cominciare dai maestri: Pavese morto, Vittorini chiuso in un
silenzio d’opposizione, Moravia che in un
contesto diverso veniva acquistando un altro
significato (non più esistenziale ma naturalistico) e il romanzo italiano prendeva il
suo corso elegiaco-moderato-sociologico in
cui tutti finimmo per scavarci una nicchia
più o meno comoda (o per trovare le nostre
scappatoie).
Ma ci fu chi continuò sulla via di quella
prima frammentaria epopea: in genere furono i più isolati, i meno «inseriti» a conservare questa forza. E fu il più solitario
di tutti a riuscire a fare il romanzo che tutti
avevamo sognato, quando nessuno più se lo
aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione
privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la
nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e
il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo
dire che una stagione è compiuta, solo ora
siamo certi che è veramente esistita.
Calvino pone il libro di Fenoglio come il
fuoco della veduta prospettica che aveva
impostato quindici anni prima. Si tratta
di una sorta di proclamazione di Una questione privata come atto messianico, come
il colpo di coda che inaspettatamente
porta con sé la redenzione per il tempo
passato da scrittori italiani a lavorare su
quella “letteratura della Resistenza” che,
solo adesso, trova la giustificazione al suo
imperativo. Tale imperativo può essere
rintracciato nella pratica di Fenoglio, e in
particolare in una sua dichiarazione del
marzo 1959, di poco successiva alla svolta
che separa da una parte gli scritti raccolti
separatamente in Primavera di bellezza (uscito nel 1959) e in Il partigiano Johnny (uscito
postumo nel 1968), e dall’altra il materiale
che andrà a comporre Una questione privata:
Il nuovo libro, anziché consistere in una cavalcata 1943-1945, si concentrerà in un
unico episodio, fissato nella estate del 1944,
nel quale io cercherò di far confluire tutti gli
elementi e gli aspetti della guerra civile.
Nel marzo del 1960, in una lettera al suo
editore Livio Garzanti, Fenoglio aggiunge, a proposito della sua svolta:
D’improvviso ho mutato idea e linea. Mi
saltò in mente una nuova storia, individuale, un intreccio romantico, non già sullo
sfondo della guerra civile in Italia, ma nel
fitto di detta guerra. Mi appassionò immediatamente e ancora mi appassiona.
Come la storia entra nella Storia? Questa
sembra essere la questione fondamentale della svolta di Fenoglio: da una parte
c’è Il partigiano Johnny, in cui la Storia è
costantemente incollata alla vicenda del
protagonista, il quale la percorre in una
maniera che ci permette di assistere costantemente ai fatti, come per una volontà
di documento. Dall’altra parte, il considerare Una questione privata come la perfetta
coniugazione della forma del romanzo
con la Resistenza, deriva precisamente
dall’articolazione fra figura e sfondo che
Fenoglio riesce a (ha il coraggio di) mettere a punto. La Storia, in questo caso,
viene raccontata soltanto in funzione della vicenda del protagonista. Tuttavia non
si tratta soltanto di una perdita di dati riguardanti lo sfondo storico perché invece,
come afferma Calvino, in Una questione privata “c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro
e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata
per tanti anni limpidamente”. Pedullà aggiunge: “la questione privata di Milton giungeva ad
illuminare le grandi passioni collettive di quella
stagione meglio di qualsiasi grande affresco complessivo, proprio come Fenoglio non era mai stato
tanto fedele alla verità storica quanto nel momento in cui aveva deciso di sacrificare alla libertà
del romanziere il culto dell’esperienza vissuta”.
Una questione privata (come sembra indicare il titolo stesso, che potrebbe non essere
di Fenoglio) contiene tutta la Resistenza a
titolo di esempio – termine su cui Giorgio
Agamben scrive:
il paradigma è un caso singolo che viene
isolato dal contesto di cui fa parte, soltanto
nella misura in cui esso, esibendo la propria singolarità, rende intelligibile un nuovo
insieme, la cui omogeneità è esso stesso a
costituire. Fare un esempio è, cioè, un atto
complesso, che suppone che il termine che
funge da paradigma sia disattivato dal suo
uso normale, non per essere spostato in un
altro ambito, ma, al contrario, per mostrare
il canone di quell’uso, che non è possibile
esibire in altro modo.
Il paradosso implicito nell’espressione
“romanzo storico” rivela l’impossibilità di
una relazione stabile e paritaria fra i due
termini. Si tratta di un’articolazione mobile fra figura e sfondo, che può assumere diverse conformazioni. La Trilogia della
Fondazione di Isaac Asimov esce in Italia
nella collana di fantascienza “Urania”
della casa editrice Mondadori. La traduzione del primo libro (Foundation, 1951) ha
come titolo Cronache della Galassia, ed esce
nel 1963, lo stesso anno di Una questione privata. Gli altri due libri escono nel 1964, e
vengono intitolati rispettivamente Il crollo
della Galassia centrale e L’altra faccia della spirale. Tutti sono tradotti da Cesare Scaglia.
Carlo Fruttero dirige la collana “Urania”
dal 1961; nel 1964 viene affiancato da
Franco Lucentini. Nell’introduzione ad
una riedizione dei tre libri, Fruttero e Lucentini scriveranno:
Dov’è allora il fascino di questo immenso
affresco galattico, che cosa lo rende così irresistibilmente leggibile? Anzitutto, proprio
la sua immensità, o meglio, l’impressione
d’immensità che riesce a suscitare. L’andamento ponderoso dei periodi, […] il
maestoso orbitare dell’intreccio, creano un
indefinibile, suggestionante effetto di “dilatazione”, una specie di sterminato sfondo verbale nel quale il lettore si lascia pian
piano irretire […] Stabilito il tono (l’unico
possibile) per trattare una materia fredda e
remota per definizione, […] Asimov mette in moto la sua vasta trama, ispiratagli,
come egli stesso ammette, dalla Decadenza e caduta dell’Impero Romano, di
[Edward] Gibbon. […] Non c’è dubbio
che la ragione fondamentale del successo
della Trilogia sta nel fatto che si tratta di
un libro di storia.
Da Fruttero e Lucentini, la trilogia di Asimov è descritta come un affresco storico.
Si tratta di una declinazione del rapporto
fra figura e sfondo completamente diversa
da quella che utilizza Fenoglio (non solo
in Una questione privata). Quella di Asimov
è una saga corale, costituita da molteplici
episodi indipendenti con personaggi diversi: l’adozione di tale modalità dipende dal fatto che ciascuno dei tre libri è
composto da differenti frammenti usciti
singolarmente su riviste, a puntate. Trattandosi di un romanzo d’invenzione, ci
si può chiedere come si possa giustificare l’aggettivo “storico” che viene usato da
Fruttero e Lucentini. Esso viene derivato
dal metodo di Asimov di utilizzare una
successione di vicende e di personaggi differenti, per fornire una pluralità di punti
di vista da cui scorgere il dipanarsi di un
racconto molto più ampio (che coinvolge,
appunto, un’intera galassia). Tale sfondo
può essere descritto come storico (seppur
non realistico) proprio in virtù della sua
natura di contesto di riferimento per lo
svolgersi di molte vicende diverse. Eppure in quest’opera di Asimov è proprio tale
contesto che si intende narrare, e a questo
servono le singole vicende e i singoli personaggi – che a questo sfondo “storico”
sono subordinati.
Lo strumento dell’esempio e l’indagine
sull’articolazione fra storia e Storia – fra
figura e sfondo – richiedono l’introduzione del concetto di “genere”. Si è spesso
parlato della possibilità di considerare la
letteratura di Resistenza come un genere
letterario e delle eventuali conseguenze
nefaste di tale possibilità, legate alla perdita, data dall’astrazione e dal fissaggio
del quadro storico, di una valenza eticopolitica del racconto. Parlando dell’inaugurazione, con Una questione privata, di un
nuovo rapporto fra figura e sfondo nella
narrazione partigiana, Pedullà afferma
che per Fenoglio
la lotta partigiana veniva ad assumere di
colpo ai suoi occhi un significato completamente diverso. Non più un tema, fosse anche
il tema privilegiato, ma una grande metafora della condizione umana: impossibile da
esaurire perché, almeno in potenza, suscettibile di ospitare al proprio interno qualsiasi
storia. Qualcosa, insomma, di sempre più
simile a quello che i viaggi per mare e la
dimensione oceanica avevano costituito per
l’amato Conrad: un attributo dello spirito, un demone esigente, un esperimento con
l’uomo.
Il genere presuppone certamente la capacità di una serie di elementi di “ospitare al proprio interno qualsiasi storia”.
La Resistenza nella letteratura diviene
un paesaggio, un contesto narrativo i cui
valori sono condivisi da una cultura, che
riceve le opere e le fa sue. È riferendosi ad
un particolare ambiente (l’Italia del dopoguerra) che i riferimenti dei valori, per
la letteratura di Resistenza, sono effettivi.
Ed è soltanto dopo, nel momento in cui
tali valori sono, al contempo, sufficientemente precisati (da una esperienza quasi
ventennale di letteratura) e allontanati (da
una prospettiva storica), che si può parlare
di genere: nel 1963, dalla fine della guerra
sono passati quasi vent’anni e innumerevoli libri. Il modo in cui Una questione privata articola vicenda e Storia inaugura, e
allo stesso tempo verosimilmente termina,
il genere della “letteratura di Resistenza”.
La responsabilità, l’imperativo, il dovere,
la spinta di cui parla Calvino sono legati
all’“imperativo” di proporre alla società
una matrice di valori, un orizzonte comune su cui si possono costruire storie.
Una volta che tale orizzonte comune è
stato installato e stabilizzato nella società,
ecco che viene a prodursi il genere nella
letteratura di Resistenza, a prendere, in
una certa misura, distanza dai fatti vissuti. L’introduzione di Calvino al Sentiero termina con un’amarezza che sembra
serbare in sé il rammarico di aver ridotto,
attraverso una sorta d’effetto collaterale di
uno sforzo comune (a molti scrittori italiani del dopoguerra), una spinta etica in un
genere letterario.
volti e ammonimenti e paesaggi e pensieri
ed episodi e parole e commozioni: e tutto è
lontano e nebbioso, e le pagine scritte sono
lì nella loro sfacciata sicurezza che so bene
ingannevole, le pagine scritte già in polemica
con una memoria che era ancora un fatto
presente, massiccio, che pareva stabile, dato
una volta per tutte, l’esperienza, – e non
mi servono, avrei bisogno di tutto il resto,
proprio di quello che lì non c’è.
Il genere parla alla società a cui si rivolge
e nella quale riscuote successo; allo stesso
modo, però, parla di essa. La società italiana dei primi anni Sessanta riceveva, assieme, la seconda onda dei romanzi partigiani e i libri della Trilogia della Fondazione
di Asimov. La ricezione di Asimov è legata
al genere della fantascienza, esplicitamente trattato dalla collana “Urania” della
Mondadori (che nasce nel 1952). Come
già detto, la ricezione di un genere è legata
ad un orizzonte di valori che una società
assimila, ad una serie di riferimenti. Anche la fantascienza, come il romanzo partigiano, ha a che fare con la produzione
di un contesto dove inquadrare una serie
di azioni. Inoltre, nel caso particolare dei
tre romanzi di Asimov vi è la definizione
piuttosto precisa di un quadro storico. Lo
statuto di “genere”, per quanto riguarda
il romanzo di fantascienza e quello di Resistenza, presuppone una stabilizzazione
del quadro storico a cui si fa riferimento
nell’intreccio, e quindi una certa presa di
distanza da esso.
Essendo la medesima società a ricevere,
negli stessi anni, Una questione privata e la
Trilogia della Fondazione, è lecito chiedersi in
che misura le due opere facessero leva sullo stesso paesaggio culturale, sullo stesso
ambiente di valori. Nei primi anni Sessanta, fantascienza e Resistenza furono due
generi che coabitarono nel medesimo panorama letterario.
Così mi guardo indietro, a quella stagione
che mi si presentò gremita di immagini e di
significati: la guerra partigiana, i mesi che
hanno contato per anni e da cui per tutta la
vita si dovrebbe poter continuare a tirar fuori
Riccardo Giacconi, 2011
Edizione realizzata con il supporto di
École nationale supérieure des beaux-arts de Lyon
THE OTHER SIDE
OF THE SPIRAL
Riccardo Giacconi
In 2005 Gabriele Pedullà completes an essay, which will become the introduction to
a new edition of Beppe Fenoglio’s book
Una questione privata (“A Private Affair”),
published by Einaudi. A significant portion of Pedullà’s essay focuses on the place
the novel held in the author’s life and in
the history of Italian literature. Una questione privata was first published in 1963.
After the initial wave of novels about the
Partisan movement which occurred between
approximately 1945 and 1949 and a lull
the following decade, we witness a second
wave of novels centred on the Italian Resistance in the beginning of the 1960’s. […]
This last phase however was the final one
in a declining movement and with the exception of a few short stories by Calvino, Levi,
Bilenchi and Rigoni Sern, after the publication of Il partigiano Johnny (“Johnny
the Partisan”), published posthumously in
1968, no further significant literature was
published on the subject of the Italian Resistance.
Pedullà’s essay uses a perspective, which
was formulated in two phases by Italo
Calvino to discuss the ‘Resistance novel’.
In an essay of his written in 1949, Calvino
both provides an evaluation of a part of
the Italian literary output as well as opening up a sense of expectation:
To those who ask if Italian literature has
produced a novel that encompasses “all of
the Italian Resistance” (and I mean “all”,
whether discussing a single village, or a single group, I mean “all” as in its essence), a
work of literature that can honestly claim,
“I represent the Resistance”, the answer is
unequivocally, “Unfortunately, not yet”.
Fifteen years later, in the introduction to
the 1964 re-edition of Il sentiero dei nidi di
ragno (“The Path to the Spiders’ Nest”),
Calvino completes the former thought
expressed above. According to him, when
his book was written,
creating a ‘literature of the Resistance’ was
still a wide open question; writing ‘the Resistance novel’ was imperative. […] Not
that I was so culturally ill-informed to not
know that history’s influence over literature
is indirect, slow and often contradictory;
I knew full well that many great historical events had transpired without inspiring
a Great Novel which would capture them,
and this was also true of the “century of
the novel” par excellence; I was aware that
the great Risorgimento novel [Risorgimento
being the movement which led to the unification of Italy] had never been written…We
all knew that, we weren’t that naïve: but I
think that once one has witnessed or taken
an active part in a significant time in history, he feels the weight of a unique responsi-
bility […] By the 1950’s the general landscape had changed, starting with the Italian
literary masters: Pavese had died, Vittorini
closed himself off in silent protest, Moravia
in this new context grew to acquire a different significance (no longer existentialist but
naturalist), and the Italian novel was moving down its moderate-elegiac-sociological
path which we all took and where we all
carved out more or less comfortable niches
for ourselves (or where we looked for escape
routes).
But some writers stayed the course of this
fragmentary epic moment: generally, it was
the more isolated writers, the ones who were
not so ‘well-introduced’ the ones who kept
their momentum. And it was the most solitary of them all who managed to write the
novel we all dreamt of writing, when none
of us was expecting it to materialise, it was
Beppe Fenoglio, who managed to write it
but not even finish it (Una questione privata) and he died in his 40’s before seeing it
in print. The book our generation wanted to
write now exists, and all of our work makes
sense only now; thanks to Fenoglio we can
say that an era has been completed, and it is
only now that we are certain that that moment in time truly existed.
Calvino sees Fenoglio’s novel as the crystallization of the thesis he had laid out fifteen years earlier. He proclaims Una questione privata to be a messianic work, a last
ditch, defiant gesture that was unexpected
but which brought redemption to all the
time Italian writers had spent working on
the creation of a ‘Resistance literature’;
the book gave meaning to their imperative
beliefs. Said imperative can be specifically
traced back to a statement Fenoglio made
in May 1959, a watershed moment that
separated his 1959 collection of stories,
Primavera di bellezza (“Spring of Beauty”),
together with Il partigiano Johnny (“Johnny
the Partisan” – which was published posthumously in 1968) from the material that
would later become Una questione privata:
The new book, instead of giving an overview from 1943-1945, will focus on a sin-
gle episode that takes place in the summer of
1944, and I will attempt to make all the
details and facets of the civil war flow into
this one episode.
In March 1960, in a letter to his editor
Livio Garzanti, Fenoglio adds another
thought to his change of course:
I have suddenly changed my mind and line
of thought. A new story jumped into my
head, a story that stands on its own, a romantic entanglement, not with the Italian
civil war as a background, but a story
that unfolds right in the midst of said
war. I instantly felt passionate about it, and
I still do.
How does Story become part of History?
This seems to be the fundamental crux
of Fenoglio’s change of direction: on the
one hand is Il partigiano Johnny, in which
History is perpetually glued to the main
character’s life, a protagonist who lives
his story in a way which allows us to witness the facts of the war as if it were a
historical document. On the other, Una
questione privata is the perfect connection
between the Resistance and the shape of
a novel insofar as it comes precisely from
the articulation of figure and ground that
Fenoglio manages (and has the courage)
to fine tune. History, in this case unfolds
purely in function of the events, which
touch the main character. However, it is
not simply a loss of information about the
historical backdrop of the novel, because
as Calvino said, in Una questione privata “the
Resistance is portrayed exactly as it was, on the
inside and out, written so truly, as it never had
been written about before, limpidly conserved for
years”. Gabriele Pedullà adds: “Milton’s private affair lit up the great collective passion of the
time, better than any overview, just like Fenoglio
had never been so true to the historic truth as when
he decided to sacrifice the cult of lived experience
to a writer’s freedom”. Una questione privata (as
its title implies, a title which may not be
Fenoglio’s) holds all the Italian Resistance
by way of example – a term which Giorgio
Agamben says the following of:
The paradigm is an isolated case that is removed from its context, only in the measure
that it, in showing its singularity, makes a
new whole comprehensible, a new whole,
which the very paradigm builds. Hence,
making an example is complex, it presupposes that the term which functions as the
paradigm is deactivated from its normal usage, not so it can be moved to another context, but on the contrary, to show the canon
of its usage, that is not possible to show
otherwise.
The implicit paradox in the term ‘historical novel’ unmasks the impossibility of
a stable and equal relationship between
the two terms. It is a fluid articulation between character and background that can
assume different shapes. Isaac Asimov’s
Foundation Trilogy was published in Italy by
Mondadori under the science fiction series, “Urania”. The Italian translation of
the first book (Foundation, 1951), entitled
Cronache della Galassia (“Chronicles from
the Galaxy”), was published in 1963, the
same year Una questione privata came out.
The two subsequent books were published
in 1964 under the titles Il crollo della Galassia centrale (“The Collapse of the Central
Galaxy”) and L’altra faccia della spirale (“The
Other Side of the Spiral”). They were all
translated by Cesare Scaglia. From 1961
Carlo Fruttero was the editor of the “Urania” series, and in 1964 he was joined by
Franco Lucentini. In the introduction to a
re-edition of the trilogy, Fruttero and Lucentini have the following to write:
Where does the fascination with this immense galactic fresco come from, what
makes it so irresistibly readable? First and
foremost, it is its very immensity, or rather
the impression of immensity that it manages
to evoke. The ponderous passage of time,
[…] the masterful orbiting of intrigues create an indefinable, suggestive sense of ‘expansion’, a sort of infinite background of
words, that the reader slowly gets ensnared
by. [… ] Once he has established the tone
(the only tone possible) to convey a remote
and cold subject matter by definition, […]
Asimov puts his vast storyline into place, a
storyline inspired – as he himself admitted
– by [Edward] Gibbon’s The History of
the Decline and Fall of the Roman
Empire. [… ] There is no doubt that the
fundamental reason the Trilogy is such a
success is the fact that it is a history book.
Fruttero and Lucentini describe Asimov’s
trilogy as a historical novel. It is a completely different figure-ground organization from Fenoglio’s (not only in Una
questione privata). Asimov’s work is a choral
saga, made up of independent episodes
with distinct characters: this format is a
consequence of the fact that each of the
three books was first published in episodes
in magazines. Since Asimov’s novel is fiction, one wonders how to justify the term
‘historical’ used by Fruttero and Lucentini. In fact, Asimov employs a series of
several events and characters in order to
provide the reader with multiple points
of view from which to observe a much
wider story (literally involving an entire
galaxy) unfolding. This background can
be described as historical (even if not realistic) by virtue of its operating as a context where various events completely independent of one another occur. And yet
in Asimov’s Trilogy it is that very context
which the author wishes to address – the
single events and individual characters
being subordinate to the ‘historical’ background.
The paradigm device and the study of the
articulation of Story and History call for
the introduction of the concept of ‘genre’.
The possibility of viewing Resistance literature as a literary genre has often been
discussed, as have been the possible inauspicious consequences of such a possibility, in terms of loss of an ethical-political
worth caused by abstracting and fixing
the historical framework. Speaking of the
start of a new relationship between figure
and ground with reference to Una questione
privata and Resistance narrative, Pedullà
claims that for Fenoglio,
the fight of the Italian Resistance suddenly
took on a completely new meaning in his
eyes. No longer the theme, even if it was the
privileged theme, but a huge metaphor of the
human condition: an inexhaustible subject,
at least in terms of potential, since capable
of hosting any story within it. Something
that was increasingly similar to what seafaring and the vast ocean meant to his beloved Conrad: a symbol of the spirit, a demanding demon, an experiment with man.
A genre undoubtedly presupposes the
potential of a series of elements to “host
any story within it”. The Resistance in literature becomes a landscape, a narrative
context whose values are shared by a culture, which receives the works and makes
them their own. It is by referring to a specific environment (post-war Italy), that the
references to values become effective for
Resistance literature. And it is only later,
when those values are both sufficiently
clarified (by almost two decades of literature) and distant (thanks to historical perspective) that one can speak of genre: by
1963, twenty years have passed since the
war and a countless number of books have
been published on the subject. The way in
which Una questione privata articulates storyline and History gives life to (while also
ostensibly putting an end to) the ‘Resistance literature genre’. The responsibility,
the imperative, the duty and the drive of
which Calvino speaks are tied to the ‘imperative’ of providing society with a pattern of values, a shared horizon where
stories can be crafted. Once such shared
horizon has been instilled and established
in society, then Resistance literature starts
including an element of genre that, to a
certain extent, moves it away from lived
experience. Calvino’s introduction to Il
sentiero dei nidi di ragno ends with a bitterness which seems to hold on to a sense
of regret for having reduced the ethical
thrust into a literary genre, through the
collateral effect of a group effort shared
by many post-war writers.
So I look back on my life, to that time which
was filled with images and meaning: the
partisan fight, the months that counted like
years and from which we should have been
able to cull faces and warnings and landscapes and thoughts and episodes and words
and emotions: it’s all distant and foggy, the
pages are there with unabashed assuredness that I know too well to be deceptive,
the pages that had already been written in
conflict with the memories of an event still
present, huge, which had seemed stable once
and for all: the experience – and I don’t
need them, I need everything else, precisely
what is missing.
The genre speaks to the society it addresses and in which it finds success; at the
same time however, it speaks of itself. In
the early Sixties, Italian society received
the second wave of books on the subject
of Italian Resistance and Asimov’s Foundation Trilogy at the same time. The reception Asimov received is tied to the science fiction genre on which Mondadori’s
“Urania” series (started in 1952) was focused. As already stated, the reception a
book receives is tied to a series of values
that a society assimilates and to a series of
reference points. Science fiction, just like
Resistance literature, concerns itself with
the creation of a context where to situate
a series of actions. Furthermore, in the
specific case of Asimov’s novels there is a
somewhat precise definition of historical
framework. The status of ‘genre’, in terms
of both sci-fi novel and Resistance novel,
presupposes a stabilization of the historical framework in which the plot is placed,
and therefore a certain distance from it.
Seeing that the same society, in the same
time frame received both Una questione
privata and the Foundation Trilogy, it is legitimate to question whether both works
drew on the same cultural landscape and
on the same set of values. In the early Sixties, science fiction and Resistance were
two genres, which inhabited the same literary panorama.
Riccardo Giacconi, 2011
Publication produced with the support of
École nationale supérieure des beaux-arts de Lyon
In senso orario / Clockwise
The Hunter (from the Trap volume)_bw : The Hunter (Trap volume), c-print,2011, foto di / photo by aleesa
vostiklap
From the Intention series_2_bw : From the Intention volume, drawing on paper, 2011, foto di / photo by
aleesa vostiklap
From the Intention series_1_bw : From the Intention volume, drawing on paper, 2007, foto di / photo by
aleesa vostiklap
aleesa
vostiklap
Aleesa Vostiklap
Quesiti su un piattino-souvenir
Aleesa Vostiklap
Questions to a souvenir plate
Si prenda uno stato mentale attivo che non sia
solo dell’intelletto, ma piuttosto di una sostanza
informe che è in parte materia sensuale, in
parte arzigogolo verbale simile al pensiero e
ancora in parte lo stampo della cosa materiale
sul punto di emergere.
Given an active mental state that is not solely
that of the intellect, but rather of a formless
substance that is in part sensual matter, in part
thought-like verbal convolute and in part the
mould of the material thing about to emerge.
Quale stato psicofisico ha portato, per esempio, l’inventore del piattino-souvenir all’articolazione di un oggetto che ora popola il mondo? E
come può questo piattino, appeso a un chiodo
sul muro, infiltrarsi insidioso e trasformare la
nostra sfera mentale, senza che ce ne accorgiamo? Ho fede nei dettagli del mio ambiente
abitativo.
Credo che questi oggetti siano altamente
performativi. Come una parola ripetuta spesso,
che per un istante perde di significato, questi
oggetti quotidiani possiedono in sé il potere
della trasformazione. Le superfici non appariscenti, i semplici materiali, gli articoli di uso
giornaliero mi incantano con la loro schiettezza.
Costantemente attraggono e provocano, con
la loro ostinata presenza e la propria indubbia
concretezza, scambi istantanei con le sostanze
fluttuanti del pensiero in un processo di articolazione e riarticolazione a circuito chiuso – diventando così co-autori del visibile. Un contatto
candido che un’opera d’arte voglio che invochi
nello spazio attivo di sua ricezione.
What psychophysical state lead the inventor
of a decorative souvenir plate, for example, to
the articulation of an object that now populates
our world? And how does this plate, hanging
on a nail on a wall, infiltrate and transform our
mental spheres underhand, without us taking
notice? I have faith in the details of my living
environment.
I trust these things to deliver a great performance. Like a word so often repeated, that for
an instance it looses meaning, these everyday
things posess in them the power of transformation. The inconspicuous surfaces, plain
materials, articles of daily use entrap me by
their bluntness.
They permanently entice, through their obstinate presence, their unquestionable concreteness, instant exchanges with the fluctuating
mental substance in a closed-circuit process of
articulation and rearticulation – thus becoming co-authors of the visible. A candid contact
I want an artwork to invoke in the activated
space of its reception.
Costruire e utilizzare miracle machines fai-date mi permette di avvicinarmi un poco a questa
trasformazione di ciò che è fluido e in un certo
qual modo intellettuale in ciò che è fisso e
quasi accessorio. Il che mi porta a domandarmi: «Come può l’intellettuale essere accessorio quando la direzione dell’articolazione è
invertita?».
I pensieri hanno a volte una qualità solida specifica, una intrinseca sensazione di distanza o
di vicinanza, o una certa colorazione di suono,
come se venissero dal mondo dei contorni
visibili. Le intenzioni di qualcun altro mescolate
alle mie...
Da qualche parte tra me e l’oggetto avviene
l’attesa. Sono convinta ci sia un modo di integrare costruttivamente nel quotidiano più d’uno
di questi stati di pura attesa, aperti, positivi e di
larghe vedute.
Meccanismi di generazione di forma della sfera
intellettuale che si distaccano dalle loro funzioni attraverso l’esperienza dell’attendere una
qualsiasi cosa – qualsiasi essa sia. La mia più
recente miracle machine è una trappola d’anticipazione mobile, aggiustabile e personale.
Il piattino-souvenir potrebbe ammorbidirsi e la
sua rappresentazione sciogliersi e liquefarsi,
o parimenti la proiezione intellettuale potrebbe
cadere dal chiodo – solo per l’istante di uno
sguardo.
Building and using do-it-yourself miracle
machines allows me to get a bit closer to this
exchange of that which is fluid and somehow
mental, into that which is set and somehow a
prop. Which leads me to the question: «How
is the mental a prop when the direction of the
articulation is inversed?».
Thoughts sometimes have a solid, specific
quality, an embedded distance or closenessfeeling, or a certain sound colouration, like they
were coming from the world of visible contours.
Someone else’s intentions meshed into my
own...
Somewhere between me and the object, anticipation takes place. I’m convinced that there
must be a way to constructively integrate more
of these open, positive and non-judgemental
states of pure anticipation into the everyday.
Form-generating mechanisms of the mental
sphere taking a break from their functions
through the experience of anticipation of
anything – anything that might be the case. My
latest miracle machine is a mobile, adjustable
personal anticipation trap.
The souvenir plate might soften up and its
representation melt and liquify, or the mental
formation might just as well fall from its nail –
just for an instant of a gaze.
In senso orario / Clockwise
From the Trap volume_bw : From the Trap volume, c-print, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap
Messia Machina_still_2_bw : Messia Machina, video still, 2009, foto di / photo by aleesa vostiklap
Messia Machina_still_1_bw : Messia Machina, video still, 2009, foto di / photo by aleesa vostiklap
In senso orario / Clockwise
Mobile prototype_1_bw : Mobile prototype, documentation, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap
Mobile prototype_2_bw : Mobile prototype, documentation, 2011, foto di / photo by aleesa vostiklap
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