presentazione di Manuela Ricci
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presentazione di Manuela Ricci
presentazione di Manuela Ricci Copyright © 2011 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Tutti i diritti riservati è vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-176-0 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano Referenze fotografiche Archivio Casa Moretti, pp. 6, 8, 9, 32, 66, 67, 86, 92, 93, 129, 135 Gianni Fiorito, p. 139 Francesco Izzo, pp. 69, 85 Angelina Montefusco, pp. 58, 129 Pasquale Lubrano Lavadera, pp. 10, 14, 16, 19, 20-21, 24, 25, 26-27, 31, 35, 39, 42-43, 46, 48, 49, 51, 52, 53, 54-55, 56, 61, 68, 70, 71, 72, 75, 76-77, 83, 87, 89, 96-97, 104, 105, 111, 114, 115, 121, 125, 137, 140-141 Luigi Nappa, p. 138 Antonietta Pagano, pp. 59, 82 Vittorio Rubiu (a cura di), L’agave su lo scoglio, Electa Napoli, Napoli 1987, pp. 41, 138 Angelo Salvemini, pp. 64, 65 Luigi Schiano, p. 17 Carmela Scotto di Minico, pp. 79, 119 in copertina Fotomontaggio: Juliette Bertrand, Pizzago e la Baia della Chiaia Indice con il patrocinio di Comune di Procida con il contributo di Hotel La Scivola, Procida Hotel La Vigna, Procida Hotel&Centrobenessere Solcalante, Procida Indrapur Cinematografica, Roma La Casa sul Mare, Procida Lido di Procida, Procida Luigi Nappa Gallery, Procida Sailitalia, Procida Tirreno Residence, Procida Ringraziamenti A Manuela Ricci, Responsabile di “Casa Moretti”, per la consultazione del prezioso epistolario tra Juliette Bertrand e Marino Moretti, per le foto di Archivio e per la presentazione di questo testo. A Carmela Scotto di Minico, cugina di Caterina Mancusi, testimone diretta del rapporto di Caterina con Juliette a Procida e a Parigi, nonché dell’impegno che la Bertrand profuse verso suo padre Pasquale Scotto di Minico e gli altri contadini di Pizzago per scongiurare l’esproprio delle terre nel 1963. Ad Angelina Montefusco, per le notizie, le foto e i ricordi sulla “Signorina Beltrand”; ad Antonietta Pagano nella cui abitazione alloggiò Marino Moretti. A Vincenzo Schiano di Colella Lavina, Procuratore Onorario della Corte di Cassazione, per le informazioni storiche su Villa Lavina. 7 Un luogo di poesia Manuela Ricci 13 Procida 33 “La veduta di Procida…mi piace molto” 33 “Un posto di bella vista e silenzioso” 47 Punta Pizzago 57 Tra i contadini di quelle terre 63 “Mi godo la mia terrazza, il mare…” 74 “La bellissima spiaggia dell’Olmo” 81 “Procida…l’hai scoperta tu” 89 “La tua predilezione per l’isola” 95 “La tranquillità di Procida” 100 “Splendida era l’isola in quei giorni” 103 “L’aria di Procida” 109 “Riposare a Pizzago” 113 “Tracciare una strada sulla nostra punta…” 118 “Beata la punta di Pizzago!” 123 “L’assoluto silenzio” 128 “Nella tua isola mitologica” 136 “Un tempo pensavo di riposare là” 142 Bibliografia Un luogo di poesia Manuela Ricci Responsabile “Casa Moretti” ccorre sempre porre l’accento sull’interazione di un luogo e l’identità territoriale con la personalità di scrittori e intellettuali e la materia di cui è fatta la loro opera, per apprezzarne l’osmotico contributo e il valore che il genius loci assume in relazione, appunto, al luogo dove è nato, vissuto o, più semplicemente, ha operato un autore. Non è solo il valore culturale ma, se possibile, ancor più è il significato emozionale di una terra quello che viene attribuito a uno spazio geografico, a entrare in quello interiore dell’anima e a nutrire, quindi, la pagina letteraria. E non è sempre un gioco di consonanze, anzi, talvolta è proprio un incontro di antinomie e la scoperta di una dimensione speculare o, comunque, complementare rispetto a un temperamento o a un vissuto che fa scoccare la scintilla. Vi sono, ancora, luoghi natii e luoghi d’elezione, e spesso questi diventano fondamentali quanto e, forse, più dei primi. E, infine, è l’opera di quanti il luogo lo vivono che talora influenza la storia di una terra. È il caso di Procida e della francese Juliette Bertrand, nativa di Lione e trapiantata a Parigi che a un certo punto della vita incontra l’amenità dell’isola partenopea. Certo, la bellezza di un paesaggio stupefacente come quello trovato negli anni Cinquanta a Procida dall’intellettuale d’oltralpe non avrebbe potuto lasciare indifferente alcuno, e del resto in quegli anni molti scrittori ne avevano già scoperto e cantato la fascinazione, ma il legame che si creò tra i due fu senz’altro di eccezionale intensità. O nella pagina accanto Casa Moretti a Cesenatico. 7 Marino Moretti e Juliette Bertrand con Ines Moretti. Propiziato da Cesare Brandi (ma l’amico Marino Moretti, già legato a Napoli perché la sorella vi si era trasferita dopo il matrimonio, ebbe pure qualche responsabilità), l’arrivo a Procida di Juliette fu scandito da alcune tappe salienti che Pasquale Lubrano Lavadera con puntigliosa precisione ripercorre in questo volume. L’eccezionale disponibilità delle carte di Juliette a Marino Moretti, giunte a Cesenatico a metà degli anni Novanta, grazie all’erede Francois, a ricomporre un copioso dialogo epistolare, ha permesso infatti di far luce su quella vicenda e darne nel dettaglio uno spaccato interessante per restituire l’immagine dell’isola quale veniva percepita da artisti e intellettuali dell’epoca. Carteggio tanto vasto quanto prezioso per la molteplicità dei dati che restituisce in merito ai rapporti dello scrittore romagnolo con gli ambienti letterari francesi, in particolare quello editoriale e della critica che all’epoca guardava con una sorta di diffidente curiosità agli autori italiani. Ampiezza e ricchezza che contemporaneamente hanno permesso, e meglio permetteranno all’atto della pubblicazione integrale, il recupero di maggiori dati sulla vicenda biografica (ivi compreso il suo complesso, e a tratti controverso, rapporto con la terra e la cultura italiana) di Juliette Bertrand, ancora tutta da scrivere insieme a una bibliografia completa del suo lavoro, che si intuisce vastissimo. Ripercorrendo le numerose altre corrispondenze di quegli anni con gli scrittori italiani, conservate tra le sue carte ordinate dalla famiglia, ci si è resi immediatamente conto dell’imponente lavoro svolto dall’instancabile traduttrice, i cui interessi spaziavano dalla letteratura all’arte, dalla storia alla medicina, con una tensione ideale che pure mai divenne pregiudiziale. Insieme alle ragioni più alte della letteratura e ai dettagli anche minimi della loro vicenda biografica, il carteggio tra Juliette e Marino ha comunque già restituito una ricchissima serie di riflessioni, impressioni, giudizi sull’isola di Procida, in parte già pubblicati da Lubrano Lavadera, che sono risultati utilissimi a questa indagine. Con dovizia e acribia, ha saputo infatti raccoglierli tutti quasi a ricomporre un diario dei giorni partenopei di Juliette Bertrand. Un diario animato non soltanto dalla voce della protagonista, o da quella del sodale di cui si ascoltano opinioni assonanti e partecipi, ma anche da una serie di interlocutori i cui nomi risuonano dai capitoli più significativi della nostra storia letteraria del Novecento: da Aldo Palazzeschi a Piovene, da Antonio Baldini a Moravia, da Giulio Caprin a Pratolini. Personaggi che arrivavano a lambire, di quando in quando, Punta Pizzago con la loro letteratura e a farne, grazie all’amica francese, luogo di poesia. Moretti, ad esempio, ne pregustava tutta l’aura mitologica, lo splendore di una natura selvaggia sia nel tumulto di una burrasca sia nella tranquillità dei giorni più assolati, tanto preziosi per un ozio di intellettuale operosità. Quello stesso isolamento tra mare e sole, inizialmente invocato dalla Bertrand, che diviene, tuttavia, a poco più di un quindicennio di distanza motivo per lei di insicurezza e stanchezza creativa, quando non di vera estenuante tristezza (siamo nel 1966). Ma ciò non sorprende: Juliette era donna dal temperamento forte ma anche umbratile. E come nell’amicizia con Moretti, le difficoltà di conciliare il suo carattere diretto e impulsivo, sempre vivace, con quello più introverso e diffidente dello scrittore romagnolo, incline piuttosto a qualche malinconico ripiegamento, non riuscì a mettere davvero in crisi la loro collaborazione, così la Bertrand rimase, pur nella fatica di accettare i cambiamenti dell’isola, fedele a Procida. E al mantenimento del suo status più naturale e selvaggio, per il quale fortemente si adopererà sempre insieme a Moretti: con più vera passione lei, con maggiore distacco, pur nell’adesione, il poeta. Piccole battaglie come quello verso l’establishment letterario che poco (o troppo poco) aveva gratificato l’uno e l’altra, ed era stato semmai foriero di frustrazione e amarezze. Ma lui, Marino, aveva Marino Moretti negli anni Venti nella sua casa di Cesenatico. avvertito l’amica: «così ho dovuto convincermi che le sconfitte sono in fondo più gradite delle vittorie, anche se così spesso temute, perché creano intorno a noi il silenzio di cui abbiamo tanto bisogno per essere veramente noi stessi mentre il successo non è che clamore, invidia, applausi e inutili lodi». Juliette, tuttavia, male aveva accettato le sue sconfitte, molto patito per un successo che non era venuto: «siamo tutti compagni nel rifiutare sdegnosamente la vita e…finire coll’accettarla e adattarcisi. Forse perché siamo dei superstiti», e nella decisione di far rientro a Parigi sullo scorcio degli anni Settanta si matura per lei, oramai anziana, anche il definitivio abbandono dell’isola amata. Sarà un addio alla vita. nella pagina accanto La Corricella da Terra Murata. 11 12 Procida Terra Murata. nella pagina accanto La spiaggia della Chiaia negli anni Cinquanta. isola di Procida, la più piccola delle isole dell’arcipelago partenopeo (solo 3,7 chilometri quadrati), grazie allo scrittore francese Alphonse de Lamartine e al suo romanzo Graziella, è stata conosciuta oltralpe fin dall’Ottocento da intellettuali, musicisti, poeti e pittori, soprattutto francesi, che spesso hanno raggiunto l’isola, per respirare la sua aria pura e bagnarsi nelle sue limpide acque e rivivere l’atmosfera che si respira nelle pagine del romanzo: L’ Svegliarci al grido delle rondini che sfioravano il nostro tetto di foglie sulla terrazza dove avevamo dormito; ascoltare la voce infantile di Graziella che cantava a mezza voce nella vigna per timore di svegliare i due stranieri; scendere subito alla spiaggia per tuffarci in mare e nuotare alcuni minuti in una piccola insenatura dove la sabbia fine brillava attraverso l’acqua profonda e trasparente e dove non penetravano né il movimento né la spuma del mare aperto; risalire lentamente a casa asciugandoci e riscaldando al sole i capelli e le spalle bagnati dalla nuotata; fare colazione nella vigna con un pezzo di pane e di formaggio di bufala che la ragazza ci portava e divideva con noi; bere l’acqua limpida e fresca della sorgente che essa stessa attingeva con una piccola giara oblunga di terracotta e che, arrossendo, inclinava sul braccio mentre noi attaccavamo le labbra all’orifizio; aiutare poi la famiglia nei mille lavoretti contadini in casa e nell’orto...Queste erano le nostre occupazioni mattutine fino all’ora in cui il sole dardeggiava a picco sul tetto, sull’orto, sul cortile, e ci obbligava a 13 cercare rifugio sotto i pergolati, dove la trasparenza e il riflesso delle foglie di vite tingevano le ombre fluttuanti di una colore caldo e lievemente dorato 1. nella pagina accanto L’Eldorado. Ancora negli anni Cinquanta, nonostante l’isola sia segnata dalla povertà e dalle ferite della Seconda guerra mondiale, per le solitarie stradine dell’isola, si incontrano, sempre in estate, piccoli gruppi di stranieri, ospiti della deliziosa Pensione Eldorado, situata in un giardino coltivato a limoni e con vista sull’incantevole baia della Chiaia, scoperta proprio in quegli anni anche da Elsa Morante e Alberto Moravia, che vi soggiornano a lungo. A Procida la Morante trova ispirazione per il romanzo L’isola di Arturo, Premio Strega 1957, nelle cui pagine l’isola appare scontrosa e di solitaria bellezza: Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre. Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, scherzare in quell’acqua…Mai, neppure nella buona stagione, le nostre spiagge solitarie conoscono il chiasso dei bagnanti che, da Napoli e da tutte le città, e da tutte le parti del mondo, vanno ad affollare le altre spiagge dei dintorni. E se per caso uno straniero scende a Procida, si meraviglia di non trovarvi quella vita promiscua e allegra, feste e conversazioni per le strade, e canti, e suoni di chitarre e mandolini…I procidani sono scontrosi, taciturni. Le porte sono tutte chiuse, pochi si affacciano 1. Alphonse de Lamartine, Graziella, Garzanti, Milano 2009, pp. 41-42. 15 alle finestre, ogni famiglia vive fra le sue quattro mura, senza mescolarsi alle altre famiglie 2. Quando nel 1960 Moravia ritorna sull’isola, come inviato speciale della rivista del Touring Club, Le vie d’Italia, in un articolo dal titolo, L’isola di Graziella, così la descrive: La mattina presto, l’approdo alla spiaggia della Chiaiolella, a Procida, ha tutto l’incanto di quella verginità omerica che ormai, giornalisti e scrittori pretendono non poter trovare se non in fondo al Pacifico, in qualche remoto arcipelago di corallo. Una luce severa si specchia dal cielo sereno; in cui il sole non è ancora spuntato, nel mare perfettamente calmo. La spiaggia è deserta, pochi pescatori accovacciati rammendano in silenzio le reti distese sulla sabbia.(…) Procida non si vede, non si vedono case: soltanto una costa gialla, a picco su un arenile deserto. Sopra la costa nella luce che va imbiondendo, le vigne dalle foglie lussureggianti, alcuni pini sottili, qualche quercia. Il mare è disteso in una bonaccia bianca, oleosa con grandi tracce serpentine quasi diafane, simili a indolenti strade di luce che si dirigano verso l’orizzonte sereno 3. in queste pagine La Chiaiolella e il Lido in due foto degli anni Cinquanta. Di Procida, come luogo omerico, parla lo scrittore Toti Scialoja, che intravede in certe usanze dell’isola proprio i costumi e le movenze dei personaggi dell’Iliade e dell’Odissea: I coloni al tempo della vendemmia, si inerpicavano su per lunghe scale a pioli, strettissime, e in cima alle piante di vite cominciavano a turno a cantare. C’era uno in lontananza che cominciava a emettere un suono lungo, modulato, lamentoso come un richiamo. Un suono che alternava continuamente il maggiore e il minore, secondo una scala armonica assolutamente orientale. A un certo punto anche un vendemmiatore più vicino 2. Elsa Morante, L’isola di Arturo, 3. Alberto Moravia, L’isola di Einaudi, Torino 1957, pp. 8-10. Graziella, in “Le vie d’Italia”, dicembre 1960, p. 1564. 18 nella pagina accanto Casa di pescatori in via Pizzago. nelle pagine seguenti La Corricella. 4. Giancarlo Cosenza e Mimmo Jodice, Procida un’architettura del mediterraneo, CLEAN, Napoli 1993, pp. 10-11. dava inizio al suo grido; e il primo taceva. Poi ne arrivava un terzo, da qualche altra parte. Così il canto si moltiplicava e si inseguiva per tutta la campagna e l’intera isola pareva trasformarsi nel sogno. Io da ragazzo questi canti li ho ascoltati per ore. Così come ho udito questi canti così ho visto i pozzi, e i bindoli, e il ciuco bendato camminare in tondo intorno al palo della cremagliera, mentre la carrucola saliva dal pozzo e, giunta sulla cima, rovesciava l’acqua nei canali scavati a terra per irrigare l’orto. Come al tempo di Omero…Di certo fino a mezzo secolo fa, era ancora determinante nel costume dei procidani l’antico rancore, l’antica diffidenza dei contadini per il sole e dei pescatori per il mare, Nemici entrambi perché ingannevoli, traditori. Tuffarsi nell’acqua del mare o sdraiarsi a prendere il sole avrebbe rappresentato la trasgressione di un tabù ancestrale. Così le spiagge erano deserte. Solo al tramonto, sulla sabbia di Ciraccio o Ciracciello, arrivavano i figli dei vetturini portando i cavalli scossi sotto mano. Si spogliavano, ignudi saltavano sulle groppe cavalcando a bisdosso, con grida e colpi di pugno, li avviavano verso il mare. I cavalli non facevano molta resistenza, camminavano sul fondale basso fino a bagnarsi la pancia. Allora davano in smanie, i ragazzi si buttavano giù dalla groppa e si mettevano a schizzare acqua sui cavalli che si rigiravano e impennavano sollevando grande schiuma; tornati a riva si rovesciavano sulla sabbia ancora calda, scalciando nell’aria in modo festoso. Come vedete ho parlato di Omero, e non a sproposito 4. Ma c’è un di più che rende Procida fascinosa e mitica: l’architettura tipicamente mediterranea, purtroppo non tutelata a sufficienza, nonostante la presenza di studi e di monografie tesi a valorizzare l’esistente e a indicarne la preziosità storica e culturale. Tra le monografie, la più significativa in questo senso è quella di Giancarlo Cosenza, corredata da stupende foto di Mimmo Jodice e da un’introduzione di Toti Scialoja, da cui il passo precedentemente riportato. Essa ci aiuta a scoprire la valenza culturale di tutta l’architettura spontanea di Procida: La storia dell’abitazione a Procida partecipa all’ampia esperienza edilizia sorta nel vicino Oriente e lungo le sponde meridionali del Mediterraneo…e dove il processo produttivo dell’abitazione collettiva, anche in questa parte del golfo di Napoli, si consolida nel tempo lungo e nel riproporsi costante dei metodi impiegati per edificare. E gli uomini, committenti o esecutori, lo affrontano con criteri estranei all’accaparramento di risorse o a procedure di profitto. In questa vicenda l’uomo produce quanto occorre per le proprie esigenze e il proprio ricovero; non vi è sfruttamento perché è improponibile sottrargli parte del suo lavoro. Questa condizione consente una stabile situazione di equilibrio dell’ambiente trasformato, una concreta qualità degli spazi e la totale razionalità nell’articolazione dei volumi. Non si tratta di riscuotere la massima qualità del reddito, ma di ottenere un luogo riparato per tutti…Così l’abitazione assume nel procedere storico il senso di risoluzione dei bisogni reali della vita in comune: definisce i legami interni a ciascuna famiglia, il modo di vivere, la funzionalità come successione dei vari atti connessi alla vicenda quotidiana…Così pure la creatività ricchissima di incessanti innovazioni, ripetute anche ma sempre con ulteriori soluzioni compositive, qualifica l’uso della materia prima: tufo, pozzolana, lapillo e calce. E con i materiali nell’architettura di Procida si mette in gioco, insieme a misure, proporzioni, particolari, il dato figurativo del colore. La tavolozza cromatica dei gialli, dei rosa, degli azzurri mescolati con la calce diviene un segno di importanza decisiva…Il colore, come segno ultimo dell’architettura, nasce dalla terra lavorata, diviene partecipe dell’ambiente trasformato dall’uomo e incide come ulteriore 23 nella pagina accanto La Baia del Carbogno in una foto degli anni Sessanta. sollecitazione compositiva, fortemente accentuata dai materiali utilizzati e dal singolo dettaglio esecutivo, anche come riferimento decorativo 5. Ed è proprio questo elemento compositivo di originalità, armoniosamente unito alla natura delle rocce vulcaniche, che suggerisce a Moravia, nella sua peregrinazione intorno all’isola, una penetrante descrizione: Da un semicerchio vulcanico all’altro, da una punta all’altra, nella mattina serena, sul mare cangiante e liscio che ogni tanto riflette tanta luce da confondesi col cielo, la barca giunge finalmente all’ultimo golfo, in vista alla rocca eccelsa del penitenziario, sotto la quale si sbriciola come un teschio sforacchiato di occhiaie, la parte occidentale dell’abitato dell’isola. Da lontano la vista è senza dubbio orientale, di un oriente da Mille e una notte, che si stupisce di ritrovare così magicamente intatto. La corsa stessa della barca, nonostante il battere del motore, nel momento che appaiono l’abitato multicolore e la rocca che lo sovrasta, assume un aspetto leggendario; involontariamente guardo i miei compagni quasi aspettandomi di vederli vestiti di sete e di velluti, con veli e turbanti, adagiati sopra cuscini. Eppure questa è Procida, isola del golfo di Napoli, dalla bellezza ancora sconosciuta…Le case, al solito, di cento colori pallidi e leggiadri, strette le une alle altre, con le facciate tutte terrazze, poggi e scale, guardano a una ripa su cui, tirata in secco sulla sabbia, si allinea una flotta di barche da pesca. L’occhio, come la barca si avvicina, sale dalla spiaggia alle case, ne contempla con stupore l’aspetto di rovina multicolore, segue poi certe linee ascendenti di strade a gradoni scavati nella roccia, si sofferma sul belvedere sotto il rettangolo giallo dell’opificio del carcere, si arrampica su per i contrafforti che inquadrano le rupi fino alle file di finestre della prigione, ascende all’ultima terrazza sormontata a sua volta da in queste pagine La “Casa di Graziella” a Pizzago. nelle pagine seguenti Veduta verso il porto della Chiaiolella con Vivara. Sullo sfondo Ischia. 5. Ibidem, pp. 35-39.